Hypnero KLIMKIEWICZ
Hypnero KLIMKIEWICZ
Hypnero KLIMKIEWICZ
dell’Hypnerotomachia Poliphili
di Francesco Colonna
Anna KLIM KIEWICZ 1
Università Jagellonica di Cracovia
anna.klimkiewicz@uj.edu.pl
Recibido: 03/06/2014
Revisado: 01/09/2014
Aceptado: 03/10/2014
RIASSUNTO
Le tendenze letterarie del Rinascimento italiano che mirarono a fondare una cultura
sincretica comprendente tradizioni in comune tra diverse attività umane si manifestarono in
modo particolare nell’Hypnerotomachia Poliphili. L’opera di Francesco Colonna crea una
visione filosofico-artistica universale in cui si incontrano diverse filosofie e diverse culture:
vi si uniscono mondi antichi e presenti, il cristiano non esiste senza il grec o, il latino senza
l’ebraico e l’arabo e tutte le culture si influenzano a vicenda. L’argomento è ricollegabile
alla ricerca della lingua universale dell’umanità, oggetto di studio degli intellettuali del
secolo XV, tesi a conciliare le tradizioni antica, quella biblica e quella orientale. Il presente
articolo si concentra su aspetti letterari e culturali dell’opera in quanto testimone dei rapporti
fra la cultura occidentale e la civiltà orientale, e in particolare sul primo testo arabo
pubblicato a stampa nel mondo.
1
Uniwersytet Jagielloński w Krakowie, Wydział Filologiczny, Instytut Filologii
Romańskiej, ulica Reymonta 4, P-30-059 Kraków, Polska.
where two different worlds coexis t and complete each other: the world of antiquity and the
contemporary world, the Christian and the non -Christian world. The certainty that the
Christian world may not exist without the Greek culture, the world of Latin -based culture
without the Hebrew and the Arab culture, is related to the search for the universal language
of humanity which is the subject of the era’s philosophers’ and writers’ research. Their goal
was to merge the ancient, biblical and oriental tradition. This article focuses on the ques tion
of the Arab inscriptions present in the Hypnerotomachia; they are also the first printed text
in Arabic.
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L’edizione di Aldo Manuzio il Vecchio del 1499 porta il titolo La battaglia d’amore in
sogno di Polifilo dove si mostra che tutte le cose umane altro non sono che sogno e dove,
nel contempo, si ricordano molte cose degne in verità di essere conosciute . È il volume in-
folio di 234 carte che contiene 172 silografie, numero di incisioni molto alto, specie per
l’officina di Aldo. Accanto alla versione italiana esisteva anche la versione latina originale,
che tuttavia non fu mai ritrovata.
La seconda edizione dell’opera, pubblicata sempre a Venezia «in casa de’ figliuoli di
Aldo» nel 1545, ha il titolo La hypnerotomachia di Poliphilo. Cioè pugna d’amore in sogno.
Dov’egli mostra che tutte le cose humane non sono altro che sogno.
I volumi di riferimento per il presente articolo sono: 1. Colonna (2004) per la
riproduzione del testo aldino del 1499; 2. Colonna (2004) per la traduzione italiana.
che diventa testimonianza dell’eredità di una cultura che aveva cambiato l’Europa:
vi si mescolano mondi antichi e presenti, il cristiano non esiste senza il greco, il
latino senza l’ebraico e l’arabo e tutte le culture si influenzano a vicenda.
Non è un libro da leggere tutto d’un fiato: «[…] per non correre il serio rischio
di perdersi, non e possibile seguire di volta in volta più di un filone interpretativo»
(Grossato 2009); è un testo che va studiato brano per brano, ma chi segue
attentamente la sua trama e la sua forma si immerge nel mondo dell’Italia
umanistica, erede della cultura pagana e di quella medievale. Il romanzo,
paragonato ad: «[…] un’immane e labirintica cava di pietra, o uno scavo
archeologico incompiuto, dal quale si possono ricavare, quasi senza fine,
innumerevoli spunti e materiali di analisi e riflessione» (Grossato 2009: 228), è un
itinerario allegorico-onirico che Polifilo compie per ricongiungersi con la sua amata
Polia. Si tratta del viaggio che tradizionalmente allude al motivo dell’iniziazione e
alla trasformazione del protagonista che dall’oscurità iniziale – simboleggiata dalla
selva in cui smarrisce – passa alla conoscenza. Il significato dell’Hypnerotomachia
è cospicuo per diversi motivi: dalla scelta della lingua “criptografica”
all’invenzione degli spazi e dei personaggi ispirati dalla tradizione medievale, ma
anche da immagini di matrice classica. Per riflettere sul mondo, sull’uomo e sul
senso dell’essere vi si crea un complesso sistema filosofico che coerentemente lega
il sapere del medioevo e dell’umanesimo. Il testo è importante per gli studi
sull’epoca perché contiene la piena parabola dei suoi tempi: parla dell’unione della
letteratura e magia, cultura e sapienza. Le idee veicolate nell’opera sono complesse,
ma la difficoltà della materia viene attenuata da una chiara spiegazione ed
esposizione graduale dei contenuti, e la loro comprensione è facilitata dalle
illustrazioni e dai disegni-simboli che appaiono agli occhi del lettore. Così, sia la
struttura del testo che i suoi meccanismi narrativi “appartengono” al medioevo (il
loro carattere medievale serve per la maggiore chiarezza della trasmissione dei
contenuti), invece la rappresentazione dei problemi filosofici, simboleggiati dagli
spazi in cui si muove il protagonista e dagli oggetti che incontra, è di natura
umanistico-rinascimentale. Alle idee delle correnti filosofiche, ai contenuti ermetici,
cabalistici e pitagorici dell’Hypnerotomachia rimandano anche le incrostazioni
linguistiche straniere che costituiscono una specie di chiave ipertestuale, e l’opera
intera può essere interpretata come un criptografo creato dall’autore-Polifilo
(Kretzulesco-Quaranta 1996: 180 seg.).
Nel Quattro- e nel Cinquecento l’interesse verso l’Oriente nell’Occidente è un
fenomeno di carattere generale: i ritrovamenti romani e greci sono esempi da
prendere a modello per i soggetti delle storie e per i monumenti, lo sono anche i
geroglifici egizi, riportati in primo piano dopo la scoperta di Horapollone3 . Con gli
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3
Un manoscritto degli Hieroglyphica di Orapollo fu portato a Firenze nel 1422 dal
mercante Cristoforo Buondelmoti. Nel Quattrocento circolavano numerose versioni latine
manoscritte di questo trattato sui geroglifici egiziani e la prima edizione del testo greco fu
stampata a Venezia da Aldo Manuzio nel 1505. Il testo italiano con il testo greco a fronte si
trovano raccolti a cura di Mario Andrea Rigoni e Elena Zanco ; il volume di riferimento è
Orapollo (2009).
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Il De christiana religione di Marsilio Ficino fu pubblicato in volgare a Firenze nel
1474, e successivamente, nel 1476, in latino; poi, nel 1482 venne stampata la Theologia
Platonica de immortalitate animarum. Sulla medesima linea di riflessione insisteva ancora il
De ente et uno di Giovanni Pico della Mirandola dell’anno 1491 con l’idea di ricostruire i
tratti essenziali di una filosofia universale, che guidi alla concordia fra diverse correnti di
pensiero sorte sin dall’antichità che, accomunate dalla sapienza e dall'aspirazione al divino,
culminano nel messaggio cristiano della Rivelazione.
5
Si veda la nota 3 del presente articolo.
6
Gli echi assai precisi dell’opera boccacciana, largamente compresa, erano presenti –
come dimostrava lo studio di Antonio Medin (1905) – in ambiti diversi della cultura veneta
del quindicesimo secolo.
7
Anche nell’Elegia di Madonna Fiammetta: «E così dolendomi e voltandomi e
rivoltandomi per lo letto, quasi tutta la notte passai senza potere alcuno sonno pigliare, il
quale, se forse pure entrava nel tristo petto, sì debole in quello dimorava, che ogni piccolo
mutamento l'avrebbe rotto; e come che egli ancora fievole fosse, senza fiere battaglie nelle
sue dimostrazioni alla mia mente non dimorava con meco» (Boccaccio 1994: cap. VI).
Vi c’era una bellissima figura di giovane dai folti capelli biondi, con gran parte del p etto
coperto di panno sottile, sopra le ali distese di un’aquila che, il capo levato, lo fissava
contemplandolo. La figura era aureolata da un diadema azzurro ornato di sette raggi,
mentre ai piedi di aquila, da una parte e dall’altra si vedeva un ramo verdeggiante di
immortale alloro. Simboli che erano rappresentati su ciascun lato. In tutte le corone vidi
un dipinto simile, ognuna immagine propria al suo pianeta, conteneva la favola su
divinità con il dato pianeta legati. (Colonna 1499: f. Vverso; f VI recto; Colonna 2004: 120)
L’aquila che fissa lo sguardo verso il sole è un topos della letteratura antica e
medievale, da Aristotele a Dante 8 , e proprio per la sua familiarità con le più alte
sfere del cielo e la sua confidenza col bagliore diretto del sole, diventa naturale
attributo eliaco. E sotto la raffigurazione del Sole, che fa pensare all’egizio Amon-
Ra rappresentato con caratteristiche greco-latine e attributi cristiani, avviene la
metamorfosi psicofisica di Polifilo. Si tratterà della purificazione dei sensi condotti
dalla Ragione e dalla Volontà: i sensi mondati vengono purificati dalla conoscenza
della caducità e del ciclo vita-morte, e sono sottomessi progressivamente al piacere
più nobile dell’intelletto.
Il testo dell’Hypnerotomachia è volto a trasmettere le idee che rimandano a
correnti filosofiche diverse; per intenderne il significato occorre seguire le
descrizioni e osservare le silografie strettamente legate alla storia raccontata e
rintracciare le incrostazioni linguistiche straniere inserite nel testo volgare che si
mescola con il latino, il greco e con dei termini vernacolari, ebraici ed arabi; vi
appare anche la scrittura geroglifica egiziana. L’accenno ai segni geroglifici e ai
termini arabi presenti nella narrazione di Polifilo costituisce il primo punto che ci
incoraggia a parlare dell’Hypnerotomachia in quanto testimone della
complementarità di pensiero occidentale e orientale.
La tradizione culturale e scientifica dell’Oriente, tramandata dagli auctores latini
antichi e medievali, vi si proietta in un umanistico racconto delle visioni che
evocano il passato e il presente fusi in una cultura unica, visioni che si rileggono
alla luce della coscienza. I richiami e le allusioni al mondo arabo attingono da
ricche fonti del sapere e dell’arte e svelano diversi aspetti letterari, filosofici e
culturali. Tra le presenze orientali ivi raccolte si notano le epigrafi arabe inserite nel
testo o presentate in silografie. Una traccia araba è quindi costituita da segni che,
come abbiamo detto, sono una specie di chiave interpretativa dei contenuti e dei
messaggi nascosti nell’ipertesto.
Le iscrizioni arabe che cita il testo di Polifilo sono tre: la prima è riportata sul
foglio [b II verso], la seconda sul foglio [b VII recto], e la terza sul foglio [h VIII
recto]. La prima delle epigrafi non è illustrata, le altre due sono accompagnate dalle
rispettive silografie. Le iscrizioni silografate hanno un’estrema importanza non
tanto per lo stesso libro, ma per la storia della lingua araba, in quanto costituiscono
il primo testo arabo pubblicato a stampa nel mondo (Piemontese 1999: 207). Il libro
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8
Aristotele: Historia animalium: 620a; Dante Alighieri: Divina Commedia,Paradiso:I, 47-48.
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Qui è da notare la tradizione pliniana che parla di «obeliscos vocantes Solis sacratos.
Radiorum eius argumentum in effigie est» (Colonna 2004: 537).
conoscenza” ossia “fatica e sapere”. L’iscrizione non è citata nello stesso testo del
libro, che riporta soltanto il senso dell’epigrafe: le medesime parole si leggono
direttamente solo quando si osserva la silografia [fig. 1] che illustra il testo 10 .
Qui le lettere arabe sono disegnate da qualcuno che, con ogni probabilità, non
conosceva la lingua e aveva soltanto copiato i caratteri: «ta‘ab wa-ma‘rifa» (si
osservino in particolare le vocali lunghe del primo termine, scritto con errori di
ortografia)11 . Tuttavia i caratteri grafici sono chiari e ben leggibili: con virtuosismo
vi si espone la calligrafia che è l’arte islamica per eccellenza. La scelta dei due
idiomi e l’accostamento fra greco e arabo indica la complementarità del sapere
scientifico e filosofico comunicato attraverso le rispettive lingue e culture
(Piemontese 1999: 207). Si tratta di un possibile parallelismo tra pensiero
sapienziale occidentale e orientale originale, espresso attraverso l’idea umanistica di
conciliazione delle filosofie e delle visioni del mondo contrastanti, ma integrabili,
se inserite in un contesto nuovo che non sia riletto ed interpretato secondo rigide
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10
Le illustrazioni riportate provengono dall’edizione dell’Hypnerotomachia del 1499
che si conserva a Venezia, nella Nuova Manica Lunga, Fondazione Cini, FOAN T ES 171.
11
Le osservazioni sulla terminologia araba sono state discusse con Elżbieta Górska,
arabista e professoressa dell’Università Jagellonica di Cracovia.
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12
Nulla, nisi ardua, virtus (Ovidio, Ars Amatoria: 2, 537).
scolpite tre porte con sopra tre epigrafi «di charactere Ionico, Romano, Hebraeo &
Arabo» (Colonna 1499: h VIII recto). La scena è così illustrata:
Le lingue ivi riportate sono le tre lingue sacre per eccellenza: l’ebraico, il greco e
il latino13 , cui se ne aggiunge una quarta: l’arabo. Il motivo di tale aggiunta, sarebbe
forse più profondo di un semplice: «[…] soddisfare e completare quella sorta di
enciclopedia linguistica che è il romanzo, dove non mancano geroglifici,
neologismi e lo stesso volgare […]» (Colonna 2004: 769). L’iscrizione della porta
collocata a destra dice: Cosmodoxia (Gloria del Mondo), quella a sinistra:
Theodoxia (Gloria di Dio) e la porta centrale è nominata: Erototrophos (Madre
d’Amore). Le parole dell’epigrafe delle singole iscrizioni sono disposte in righe e si
vedono l’una sopra l’altra in modo tale che alla base sta il testo latino, il testo greco
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13
Di tali lingue sacre parla Isidoro di Siviglia nelle Etymologiae: IX, 1, 5.
è sopra, l’ebraico sopra il greco e il testo arabo sta sopra tutti gli altri. Si formano
così due gruppi di testi: i primi due sono testi occidentali, gli altri due orientali, ma
tutti i quattro nel loro insieme sono l’immagine di una cultura sincretica che, pur
divisa, si rilegge come unica. I termini incisi in arabo sono situati in alto e
dominano per la grandezza dei caratteri così che «la versione araba è espansa sulla
vasta parete della montagna»; il fatto non deve significare tuttavia il «rango
linguistico predominante dell’arabo, definito nec est sub celo ydioma maius illo per
l’impareggiabile estensione coeva del suo uso in paesi di Asia, Africa ed Europa»
(Piemontese 1999: 210-211). La disposizione degli spazi grafici sulla silografia
potrebbe essere dovuta al carattere della stessa illustrazione: si tratterebbe di una
conformità del disegno delle lettere arabe al disegno dei crepacci della montagna su
cui sono incise, si noti anche che la calligrafia araba necessita più spazio rispetto
agli altri tracciati.
Nella lettura delle frasi si osserva una inversa distribuzione delle righe arabe
delle epigrafi, mentre i termini latini, greci ed ebraici rimangono allineati (Donati
1950: 143). Le frasi arabe sono collocate nel seguente modo: a destra, in linea con
Cosmodoxia e Gloria Mundi, si legge «maḥd Allāh», nel significato “gloria di Dio”,
a sinistra, in linea con Theodoxia e Gloria Dei si legge: «maḥd ad-dunyā» (Gloria
del Mondo), in mezzo, in linea con Erototrophos e Mater Amoris si legge: «umm
al-maḥabba» (Madre dell’Amore). La contraddizione dei termini arabi con quelli
greci e latini, può avere la seguente spiegazione: l’arabo è disposto in linea a partire
da destra e diretto verso sinistra così come il greco e il latino sono disposti da
sinistra verso destra. Si tratterebbe dunque di una corrispondenza lineare delle
espressioni e non di una corrispondenza verticale dei termini, nel senso della
disposizione dell’uno sopra l’altro. L’accostamento di diverse lingue rappresenta un
consenso universale fra le dottrine di diverse tradizioni, cristiana e musulmana: qui
si arriva ad un’espressione dell’identità, della stessa condizione umana in ambiti
spaziali e temporali lontani, dove l’importanza della giusta scelta è decisiva per la
sorte universale dell’uomo.
Il luogo in cui sono incisi i nomi è un locus horridus che prende la funzione del
bivio pitagorico espresso dalla lettera Y: rappresenta il transito, battaglia psichica e
iniziatica che l’uomo deve necessariamente passare per arrivare alla vita beata. Il
concetto si basa sul mito pagano e cristiano e fa parte dell’universale topos antico e
medievale che è in comune fra la cultura occidentale e orientale: le porte
emblematiche appaiono in un contesto etico-filosofico. Per tradizione, la parte
destra del bivio è eticamente superiore, ma orrida e difficoltà, e invita ad una vita di
virtù che porta alla beatitudine, la strada sinistra facilior, conduce invece a una vita
viziosa ed è simbolo della caducità del mondo. Qui si dovrebbe avere la scelta tra il
piacere e la virtù della tradizione che allude al mito di Ercole al bivio, il
protagonista invece passa la soglia della prima e della seconda porta estrema e,
sperimentato l’arduo percorso, ritorna per varcare la soglia della terza porta che sta
in mezzo. La tripartizione descritta nell’Hypnerotomachia ricalca la speculazione
classica di origine peripatetica, tuttavia l’episodio delle tre porte si allontana dalla
tradizione pitagorica. La scelta giusta non è conforme a quella ovvia, tradizionale,
ma è rappresentata, come spiega Thelemia, guida della volontà e del desiderio, dalla
«porta mediana» (Colonna 1499: I II recto). Invece del suggerimento per l’una o per
l’altra via, come ovvio nel topos, viene quindi mostrata la terza via: quella mediana,
la stessa che nel bivio pitagorico apparteneva alla strada facilior. Alle vie estreme
della gloria terrena e quella divina si preferisce quindi la chiara scelta del trionfo
dell’Amore venereo: la via giusta porta a voluptas rappresentata da Venere
(Colonna 2004: 765 e 775). Qui, l’esito del percorso universale umano non è
univoco: con esso non viene confermato il valore dell’aristotelica mediocritas, via
di mezzo per evitare gli estremi, ma si indica l’importanza della Erototrophos,
epiteto di Mater Amoris che non è Mater Dei, ma Venere.
L’idea della complementarità di mondi e culture lontani è riconducibile alla
ricerca della lingua universale dell’umanità, oggetto di studio degli intellettuali del
XV secolo, tesi a conciliare le tradizioni antica, biblica ed orientale. Le tre porte
Polifilesche sono i tre accessi al sapere universale e, se si penetra nei loro tesori
celati e profondi, si svela il cielo delle verità, verità uniche e comuni a tutti. Le
esperienze realizzate in somnium filosofico parlano del destino dell’uomo,
proiettato nel processo della coscienza e inteso come ascesa dell’intelletto, solo che
nell’Hypnerotomachia Poliphili la verità e la divinità da contemplare si interpretano
nella Natura, nell’Arte, nell’Intelletto e nella Voluptas: categorie della cultura
umanistica e rinascimentale.
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