Appunti Marinuncci Dolcini
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Principio di legalità: nullum crimen, nullum poena sine lege. Già previsto agli artt.
1 (reato) e 199 (misura di sicurezza) codice penale del ’30. Poi acquista forza in
Costituzione agli artt. 25 co 2 Cost. (legge) e 25 co 3 Cost. (misure di sicurezza).
Ratio: la scelta dei fatti da incriminare deve essere rimessa all’organo
maggiormente rappresentativo della volontà popolare (quindi Parlamento).
Principio che quindi assume forza vincolante nei confronti del legislatore, che
non può spogliarsi del monopolio nella creazione di norme penali, per quanto
riguarda precetto e pena (riserva di legge formale tendenzialmente assoluta).
Il legislatore poi: è tenuto a formulare in modo chiaro le leggi penali (principio di
precisione); non deve incriminare fatti insuscettibili di essere provati nel
processo (principio di determinatezza); deve imporre al giudice divieto di
applicazione analogica delle norme incriminatrici ed a sua volta deve formulare
le norme incriminatrici nel rispetto del divieto di analogia (principio di
tassatività).
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non convertito. Anche della delega legislativa si fa nella prassi sempre più
ricorso.
Per giustificare il d.l. si dice che nel caso in cui questo non venga convertito,
allora decade ex tunc (art. 77 Cost) e quindi è come se non fosse mai stato
adottato; se invece viene convertito in legge il problema non si pone, perché la
previsione normativa sarà contenuta in un testo di legge. Invece per giustificare
il dlgs si dice che nella legge di delega è il Parlamento a dover dettare i criteri
direttivi che l’esecutivo dovrà rispettare, quindi questo requisito è in grado di
salvaguardare il monopolio del Parlamento in materia penale.
Critiche a queste giustificazioni: in caso di dl non convertito non sono più
reversibili gli effetti sulla libertà personale prodotti dal dl che ha disposto nuova
incriminazione o inasprito la pena. Quanto invece al dlgs la prassi è ben lontana
dal dare deleghe precise, analitiche e chiare.
Legge regionale: non può essere fonte di norme incriminatrici; art. 117 co 2 lett.
l) Cost. e comunque corollario del principio di riserva di legge art. 25 co 2 Cost
perché come si è detto solo il Parlamento può legiferare in materia penale. Il
divieto non riguarda le scriminanti, che non sono norme penali; tuttavia in
questo caso la Regione è tenuta a rispettare i princìpi fondamentali stabiliti dalla
legge dello Stato (art.117 co 3 Cost) e dunque non può modificare la disciplina di
quelle cause di giustificazione che sono espressione di principi generali
dell’ordinamento (legittima difesa; consenso dell’avente diritto etc).
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violazione perché adotti adeguati rimedi strutturali; (2) La Corte Edu deve aver
individuato espressamente una violazione di carattere strutturale o sistemico
imputabile allo Stato italiano la cui rimozione impone l’adozione di misure di
carattere individuale o generale adeguate; (3) la Corte Edu deve aver
riconosciuto implicitamente una violazione di portata generale, purché la
sentenza possa dirsi espressione di una giurisprudenza consolidata.
In virtù dell’obbligo di interpretazione conforme al diritto internazionale pattizio
(effetto espansivo), il giudice penale dovrà in primo luogo interpretare
restrittivamente le norme esimenti che sottraggono classe di fatti alla sanzione
penale (es/la causa di giustificazione della legittima difesa deve essere
interpretata dal giudice nel senso che non consente l’uccisione o il ferimento
grave di chi attenti esclusivamente a beni patrimoniali xk prevale la tutela del
diritto alla vita ex art. 2 Cedu). Inoltre (effetto riduttivo) l’interpretazione
conforme alla Cedu impone al giudice di arricchire il contenuto precettivo delle
norme costituzionali, determinando un innalzamento degli standard di tutela dei
diritti fondamentali.
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Norme penali in bianco: sono illegittime. La norma non può lasciare in bianco il
precetto e rimandare ad un generale ed astratto atto del potere esecutivo (a
meno che questo sia solo di carattere tecnico) (es/dichiarata incostituzionale
norma anti Covid che configurava contravvenzione in caso di mancato rispetto di
non meglio identificate misure di contenimento disposte dal Governo con
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decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o con ordinanza dei Sindaci o
dei Presidenti di Regione).
Principio di precisione.
Funzioni: garanzia di sicurezza e libertà per il cittadino; assicura funzione
general-preventiva della pena ed assicura il diritto di difesa. Si è infatti detto in
proposito che il soggetto che viola il precetto penale non può essere considerato
colpevole se il testo di legge era assolutamente oscuro.
Tecniche di formulazione delle norme penali: (1) tecnica casistica sicuramente
assicura il rispetto del principio di precisione (es/lesioni personali gravissime);
il costo però è quello dell’elefantiasi del codice penale; (2) clausole generali
certamente comportano rischio di imprecisione, ma sono legittime a condizione
che i termini sintetici usati dal legislatore consentano di individuare in modo
sufficientemente certo le ipotesi riconducibili sotto la norma incriminatrice
(es/omicidio); (3) ricorso a definizioni legislative, rese necessarie in ragione dei
molteplici significati dei termini impiegati dal legislatore (es/dolo); (4) ricorso a
concetti o termini descrittivi, a volte possono essere imprecisi e non consentono
di capire a cosa esattamente si stia riferendo la norma (es/incesto non si capisce
se deriva dalla sola congiunzione carnale o da qualsiasi atto sessuale); (5) ricorso
a concetti normativi, cioè concetti che fanno riferimento ad altra norma giuridica
o extragiuridica; tendenzialmente il riferimento a norma giuridica è compatibile
con il principio di precisione (es/altruità); quanto invece alla norma
extragiuridica questa è compatibile con il principio di precisione se fa
riferimento comunque a norme tecniche (es/violazione delle regole dell’arte per
l’imperizia), mentre non è compatibile con il principio di precisione se le norme
sono etico-sociali (es/morale familiare nella diffamazione a mezzo stampa).
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Il principio di determinatezza.
Le norme penali possono incriminare solo fatti suscettibili di essere accertati e
provati nel processo. Pqm dichiarato incostituzionale reato di plagio, perché non
era possibile provare in processo la stato di soggezione richiesto dalla norma
incriminatrice.
Il principio di tassatività.
Anzitutto principio di tassatività è vincolo per il giudice: divieto di analogia a
sfavore del reo. La linea di confine tra l’interpretazione della norma (concessa) e
l’analogia (vietata) è segnata dal tenore letterale della legge. Non sono mancati
comunque casi in cui la Cassazione, in modo aperto o occulto, ha di fatto violato il
principio di tassatività (es/in tema di appropriazione indebita ha esteso il
concetto di bene mobile ai dati informatici, ed in particolare ai file presenti su
pc). Divieto di analogia riguarda anche le circostanze aggravanti (es/prima della
l. 69/2019, che ha integrato appositamente art. 577 co 1 n. 1 c.p. non poteva
estendersi l’aggravante dell’omicidio commesso in danno del coniuge
all’omicidio commesso in danno del convivente di fatto).
Principio di tassatività è poi vincolo per il legislatore: anzitutto il legislatore non
può eliminare le norme che vietano al giudice applicazione analogica delle norme
incriminatrici; a fortiori poi il legislatore non può introdurre norme che
facoltizzino l’analogia nel diritto penale. Infine il legislatore non può creare
norme ad analogia espressa: quindi non va bene la norma che contenga la
locuzione “e casi analoghi” se preceduta da casi eterogenei (es/servitù e casi
analoghi alla servitù non va bene); va bene invece se la locuzione “casi analoghi”
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Principio di legalità delle misure di sicurezza: art. 199 c.p. Deve essere il
legislatore ad individuare il tipo di misura di sicurezza applicabile dal giudice.
Presupposti per l’applicazione di misure di sicurezza: (1) fatto previsto dalla
legge come reato o quasi reato (per quasi reato si intendono art. 49 co 2 e 4 c.p.;
art. 115 co 1 e 2 c.p.; art. 115 co 4 c.p.); (2) pericolosità sociale del reo, che deve
essere sempre accertata in concreto dal giudice.
Attenzione: a differenza di quanto avviene per le pene, la riserva di legge tollera
di per sé misure di sicurezza indeterminate nel massimo, perché appunto la mds
va parametrata in relazione alla pericolosità sociale del soggetto. Però
limitatamente alle mds detentive il legislatore ha invece scelto di ancorarne la
durata massima al massimo edittale della pena detentiva comminata per il reato
oggetto della sentenza.
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pur avendo etichetta di mds siano sostanzialmente vere e proprie pene (art. 117
co 1 Cost per art. 7 Cedu).
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esauriti). Nello stabilire quale sia la legge più favorevole il giudice comunque non
potrà combinare disposizioni dell’una e dell’altra creando una terza legge,
altrimenti violerebbe riserva di legge. Comunque il giudizio deve essere fatto in
concreto: il legislatore deve tenere conto della specie e della misura della pena
principale, delle pene accessorie, delle circostanze del reato, delle misure di
sicurezza, degli effetti penali della condanna, delle cause di giustificazione,
scusanti, cause di non punibilità, cause di estinzione del reato e della pena.
Abolitio criminis: l’abolizione del reato può essere totale o parziale e quindi può
ricorrere abolitio sia quando viene integralmente soppressa una figura di reato,
sia quando ne viene ristretta l’area applicativa.
Attenzione: legge abolitrice del reato può essere anche una legge intermedia e
quindi una legge che, intervenuta dopo la commissione del reato, risulti poi
abrogata al momento del giudizio (il fatto non costituisce reato secondo “una
legge” posteriore).
Abrogatio sine abolitione: ci sono casi in cui l’abrogazione del reato non coincide
con la sua abolizione, perché il fatto è comunque ricompreso in un’altra legge
penale che diventa applicabile per effetto di quella modifica (es/abolito omicidio
d’onore è comunque applicabile omicidio), oppure contestualmente alla modifica
è stata introdotta una nuova legge che ricomprende anche la fattispecie abrogata.
Questa situazione ricade allora nell’art. 2 co 4 c.p. (successione meramente
modificativa).
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Con legge eccezionale si identifica quella legge emanata dal legislatore per far
fronte ad una situazione oggettiva di carattere straordinario una volta finita
l’emergenza il legislatore potrà quindi decidere di abrogare quella legge o di
prevedere un trattamento più mite ma non lo farà come espressione di una
diversa valutazione politico-criminale, bensì perché quella situazione di
emergenza è cessata ne consegue allora che la nuova disciplina non è
applicabile ai fatti commessi mentre la legge eccezionale era in vigore.
Ragioni analoghe giustificano l’ultrattività delle leggi temporanee. Con legge
temporanea si identifica quella legge che contenga la predeterminazione
espressa del periodo in cui avrà vigore.
Comunque la regola derogatori per la quale non trova applicazione il regime di
retroattività favorevole non riguarda anche più leggi eccezionali o temporanee
che si siano succedute durante il periodo di permanenza dello stato di
emergenza/durante il periodo di vigenza.
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Delitti comuni commessi all’estero dal cittadino (art. 9 c.p.): sono assoggettati
alla legge penale ita i delitti comuni puniti con pena detentiva e commessi da
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cittadino ita all’estero; devono però a tal fine ricorrere determinate condizioni.
Inoltre è previsto regime particolare quando il reato sia commesso a danno delle
Comunità europee, di uno Stato estero o di un cittadino straniero.
Anche se non espressamente previsto dalla legge, deve ritenersi che
l’assoggettamento alla legge penale ita di un reato commesso all’estero da
cittadino ita sia altresì sottoposto alla condizione di procedibilità della doppia
incriminazione. Argomentazioni: (a) questo emerge dai lavori preparatori del cp;
(b) tale soluzione è richiesta anche dai principio di legalità e colpevolezza: non si
può pretendere che il cittadino italiano si conformi alla legge ita anche quando è
in uno Stato estero; la stessa cosa vale per il cittadino che soggiorni solo
occasionalmente all’estero e sappia che l’ordinamento di quello Stato non
prevede un determinato fatto come reato.
Delitti comuni commessi all’estero dallo straniero (art. 10 c.p.): si trova qui la
massima espansione del principio di universalità della legge penale italiana. La
legge penale italiana si applica ai delitti commessi all’estero dallo straniero a
danno dello Stato o del cittadino italiano quando la pena sia non inferiore nel
minimo ad 1 anno. Applicabilità però sottoposta alle seguenti condizioni: (a)
presenza dell’agente sul territorio dello Stato; (b) proposizione della querela se
richiesta; (c) se invece reati perseguibili d’ufficio a danni di un cittadino italiano
serve o istanza della p.o. o in mancanza richiesta del Ministro della giustizia; (d)
se reato perseguibile d’ufficio a danno dello Stato italiano è necessaria richiesta
del Ministro della giustizia.
Se invece il delitto è commesso dallo straniero all’estero in danno di Comunità
europee, di uno Stato estero o di un cittadino straniero il delitto commesso deve
prevedere una pena non inferiore nel minimo ad anni 3. In questo caso
condizioni necessarie sono: (a) presenza dell’agente sul territorio dello Stato; (b)
richiesta del Ministro della Giustizia; (c) non concessione da parte del Governo
ita all’estradizione dello straniero/non accettazione dell’estradizione da parte
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del Governo dello Stato straniero; (d) per tutti i delitti comuni richiesta doppia
incriminazione del fatto.
Rinnovamento del giudizio: per i reati commessi nel territorio dello Stato, la
riserva di giurisdizione è piena ed incondizionata, di tal che il cittadino o lo
straniero è giudicato nello Stato anche se è già stato giudicato all’estero (art. 11
co 1 c.p.).
Invece per i delitti commessi all’estero dal cittadino o dallo straniero, il
rinnovamento del giudizio in Italia è subordinato alla richiesta del Ministro della
giustizia.
Secondo il codice del ’30, infatti, il ne bis in idem non opera nei rapporti
internazionali. Attualmente, però, il principio del ne bis in idem è stato previsto
tra Stati Membri dell’UE, che si sono impegnati a non rinnovare il giudizio
quando lo stesso fatto sia stato giudicato in altro Paese Ue.
Riconoscimento delle sentenze penali straniere (art. 12 c.p.): nel codice del ’30
era prevista tendenziale irrilevanza delle sentenze penali di condanna straniere
ineseguibili in Italia per quanto riguarda pena principale inflitta dal giudice
dello Stato estero. Possibilità di riconoscimento circoscritta a determinati effetti
secondari della sent di condanna es/recidiva; dichiarazione abitualità,
professionalità o tendenza a delinquere + taluni effetti di diritto civile
(es/risarcimento del danno o indegnità a succedere).
I paesi membri del Consiglio d’Europa hanno poi ampliato la portata del
riconoscimento delle sentenze penali straniere, al fine di meglio contrastare la
criminalità; ed in particolare (a) può essere eseguita in Italia la pena principale
inflitta da un giudice straniero; (b) consentita la confisca disposta dal giudice
straniero di beni che si trovano nello Stato, sempre che tali beni siano
confiscabili anche secondo la normativa italiana + consentita confisca dei valori
provenienti da reato.
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Italia sentenza irrevocabile (conta l’identità sostanziale dei fatti oggetto dei
relativi procedimenti).
Limiti personali all’estradizione: cittadino estradabile per reati comuni solo se
estradizione prevista espressamente nelle convenzioni internazionali (art. 26 co
1 Cost.). Inoltre sia il cittadino che lo straniero non possono essere estradati per
reati politici (art. 26 co 2 e 10 co 4 Cost + art. 698 c.p.p.).
V’è più: tanto in caso di reato comune quanto in caso di reato politico
l’estradizione non può essere concessa se c’è motivo di temere atti persecutori o
discriminatori, ovvero la violazione di un diritto fondamentale della persona;
divieto che, in relazione al divieto di estradizione per reati politici, è poi
delineato con maggior precisione all’art. 698 c.p.p. (es/no estradizione se motivo
di temere che soggetto sarà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per
ragioni di razza, religione, sesso o lingua).
È infine vietata l’estradizione da parte dell’Italia per reati per i quali
l’ordinamento dello Stato richiedente prevedeva la pena di morte; non importa
che lo Stato de quo assicuri che la pena di morte non verrà irrogata o che, se già
comminata, non verrà eseguita.
Il divieto di estradizione nel caso in cui vi sia un serio rischio che il soggetto
venga altrimenti sottoposto a pena di morte, tortura o pene o trattamenti
inumani o degradanti è poi sancito alla dalla Carta di Nizza (carta fondamentale
dei diritti Ue).
Infine, pur in assenza di espresso riferimento all’estradizione, un divieto analogo
si rinviene all’art. 3 Cedu, ai sensi del quale nessuno può essere sottoposto a
pene o trattamenti inumani o degradanti.
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Gli appartenenti alle forze armate di uno Stato estero che in tempo di pace si
trovino in territorio dello Stato italiano, quando si tratta di reati commessi in
servizio sono soggetti alla sola legge dello Stato di appartenenza.
Disciplina speciale dettata per gli appartenenti alle forze armate dei Paesi
partecipanti alla NATO (convenzione di Londra 1951):
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c’è giurisdizione esclusiva dello Stato di origine per i fatti non punibili in base
alla legge italiana;
del pari c’è invece esclusiva dello Stato italiano per i fatti non punibili secondo la
legge dello Stato d’origine;
per i fatti che invece sono previsti come reato sia dalla legge italiana sia dalla
legge dello Stato di appartenenza del militare, tali fatti sono sottoposti alla
giurisdizione concorrente di entrambi gli Stati, con attribuzione di sfere di
giurisdizione prioritarie a ciascuno di essi; priorità cui comunque lo Stato
beneficiario può rifiutare. In particolare c’è priorità dello Stato di appartenenza,
ad esempio, per i reati che attentano esclusivamente alla sicurezza di quello
Stato (tradimento, spionaggio etc) Attenzione: in questo caso la sentenza
definitiva di proscioglimento o di condanna pronunciata dallo Stato di
appartenenza preclude il giudizio per i medesimi fatti da parte dello Stato
italiano.
Per ogni altro reato commesso nel territorio dello Stato italiano è prioritaria la
giurisdizione del nostro Stato.
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penale internazionale (ICC), con sede all’Aja. Si tratta del primo esempio di
giurisdizione penale permanente, indipendente e sovrastatuale, competente a
giudicare dei crimini più gravi, motivo di allarme per l’intera comunità
internazionale superato il modello di Tribunale penale internazionale istituito
ad hoc ex post ed imposto dalle potenze vincitrici o dal Consiglio di Sicurezza
dell’ONU.
La ICC ha competenza complementare rispetto alle giurisdizioni nazionali: si
attiva solo se lo Stato non può o non vuole procedere nel caso specifico.
Competenza territoriale: crimini commessi sul territorio di uno degli Stati
membri o da parte di un loro cittadino + in casi particolari previsto meccanismo
di segnalazione (cd referral) all’ICC da parte del CdS dell’ONU, che prescinde da
qualsiasi criterio territoriale o di nazionalità.
L’importanza dello Statuto di Roma risiede anche nell’aver operato per la prima
volta una sorta di codificazione del diritto penale internazionale. Accanto ai
singoli reati lo Statuto prevede infatti una parte dedicata ai principi generali del
diritto penale (es/irretroattività, legalità, personalità della resp penale).
Postilla: una prima e fondamentale distinzione con il diritto penale interno
attiene proprio al principio di legalità: il sistema delle fonti di diritto penale
internazionale è un sistema aperto, incompatibile quindi con la nostra riserva di
legge formale tendenzialmente assoluta.
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Cassazione ha poi precisato che l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. agli
amministratori della società non comporta l’automatica esclusione della
responsabilità della società stessa conclusione che trova conferma nel
principio di autonomia della responsabilità dell’ente, statuito all’art. 8 dlgs
231/2001.
Effetti penali art. 131 bis c.p.: la sentenza che dichiara non punibilità del fatto è
iscritta al casellario ed nel giudizio civile ed amministrativo ha efficacia di
giudicato per l’accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità ed
affermazione che l’imputato ha commesso il fatto. Se invece il 131 bis porta ad
archiviazione in sede di indagini preliminari (ha ritenuto la Suprema Corte) non
risulterà al casellario giudiziale, ma dovrà farsene menzione nei certificati
richiesti dall’interessato, dalla p.a. e dal datore di lavoro.
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soggetto attivo del reati nei reati propri; (7) offesa al bene giuridico protetto
dalla norma incriminatrice, che può tradursi in un danno o in un pericolo.
Attenzione: non tutti gli elementi menzionati ricorrono in ogni reato, ma devono
certamente sempre ricorrere la condotta (nella forma dell’azione o omissione) e
l’offesa (nella forma del danno o del pericolo).
Nella grande maggioranza dei casi gli elementi del fatto di reato sono individuati
dal legislatore sotto forma di elementi positivi, dunque elementi la cui presenza è
necessaria perché il reato possa dirsi integrato. A volte però il legislatore
prevede alcuni elementi negativi, che dunque devono essere assenti perché si
possa configurare il reato in trattazione (es/assenza del consenso della donna
nel delitto di procurato aborto).
Per individuare gli elementi del fatto di reato il legislatore può fare ricorso sia a
concetti descrittivi, sia a concetti normativi.
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È controverso se la punibilità rientri o meno tra gli elementi del reato. M-D
ritiene di sì perché anzitutto la pena è ciò che distingue il diritto penale rispetto
ad altri rami dell’ordinamento. Inoltre gli elementi di opportunità politica che
fondano o escludono la punibilità dell’offesa fungono da filtro selettivo nel
ricorso alla sanzione criminale per fatti che, in astratto, sono meritevoli di pena.
Fondano la punibilità quelle che il legislatore definisce come “condizioni
obiettive di punibilità” (art. 44 c.p.), che non contribuiscono in alcun modo a
descrivere l’offesa al bene giuridico, ma esprimono valutazioni di opportunità in
ordine all’inflizione della pena (es/dichiarazione di fallimento nella bancarotta
prefallimentare).
Escludono la punibilità (1) cause personali di non punibilità concomitanti alla
commissione del fatto, che dunque riguardano la posizione personale dell’agente
o i suoi rapporti con la vittima (es/art. 649 c.p.); (2) cause personali
sopravvenute di non punibilità, che ricorrono in presenza di alcuni
comportamenti dell’agente susseguenti alla commissione del fatto illecito
(es/ritrattazione); (3) cause oggettive di esclusione della punibilità, che sono
situazioni che ineriscono all’entità dell’offesa (es/131 bis c.p.); (4) cause di
estinzione del reato, cioè alcuni fatti naturali o giuridici, successivi alla
commissione del fatto, che sono estranei alla condotta dell’agente/non si
esauriscono nella condotta dell’agente (es/amnistia; morte del reo prima della
sentenza; prescrizione).
Talvolta il legislatore rimette al giudice il compito di valutare l’opportunità di
punire (es/131 bis c.p. ; oblazione nelle contravvenzioni punite con pene
alternative cioè arresto o ammenda).
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Può anzitutto operarsi una distinzione tra reati a forma libera e reati a forma
vincolata. Nei reati a forma libera l’evento può essere cagionato dall’autore
mediante qualsiasi condotta idonea a produrlo (es/omicidio). Diversamente, nei
reati a forma vincolata è il legislatore che descrive quale condotta o quali
condotte devono ricorrere affinché il reato possa dirsi integrato (es/truffa);
talvolta addirittura il legislatore dà rilievo a condotte che devono essere tenute
secondo una determinata successione temporale (es/furto è sottrazione e poi
impossessamento).
Possono poi esistere reati di possesso e reati di sospetto. I reati di sospetto sono
una particolare sottocategoria dei reati di possesso. Il reato di possesso si
caratterizza per il fatto che il legislatore vieta di possedere o detenere una certa
cosa (es/detenzione di materiale pedopornografico); si è a lungo discusso su
quale sia l’azione in questo caso, poiché possesso e detenzione sono situazione
statiche; si è allora detto che l’azione è data dal fatto di procurarsi o ricevere la
cosa, oppure se la cosa è stata inconsapevolmente ricevuta dall’agente, illecito è
aver esercitato sulla cosa stessa un controllo diretto a conservarne la
disponibilità.
La particolarità dei reati di sospetto – sottocategoria dei reati di possesso – è che,
in deroga alla presunzione di innocenza (art. 27 co 2 cost), è onere dell’imputato
dimostrare la destinazione o la provenienza lecita della cosa (es/art. 707 c.p.
possesso ingiustificato di chiavi o grimaldelli).
Il legislatore, nella descrizione del fatto, può poi prevedere presupposti della
condotta, cioè situazioni di fatto o giuridiche che devono preesistere all’azione o
ne devono accompagnare l’esecuzione (es/bigamia è necessario precedente
matrimonio).
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meno. È sufficiente che l’azione di Tizio si anche solo uno degli antecedenti senza
i quali l’evento non si sarebbe verificato.
Già questa prima precisazione consente di risolvere due ipotesi che possono
porsi, cioè quella della causalità ipotetica e della causalità addizionale.
Causalità ipotetica: sussiste nesso di causalità se il medico Tizio uccide Caio,
malato terminale, con una puntura letale? Si potrebbe dire che in questo caso,
poiché Caio è malato terminale, la condotta del medico è irrilevante perché Caio
sarebbe morto lo stesso. Invece la teoria della condicio sine qua non ci insegna
che l’evento che va considerato per la sussistenza del nesso causale è l’evento in
concreto che quindi deve tener conto di tutte le modalità di esecuzione e va
accertato tenendo conto del decorso causale effettivo (come sono andate le cose,
non come potevano andare).
Causalità addizionale: Tizio e Caio, l’uno all’insaputa dell’altro, somministrano
una dose di veleno di per sé idonea ad uccidere Sempronio; si potrebbe allora
dire che Tizio non può rispondere perché senza la sua condotta Sempronio
sarebbe morto lo stesso (dose mortale di Caio) e lo stesso ragionamento
potrebbe farsi per Caio, con la conseguenza che nessuno dei due potrebbe essere
chiamato a rispondere della morte di Sempronio. Questo paradosso però si
dissolve se si considera che il rapporto di causalità va accertato in relazione
all’evento concreto e dunque nel caso de quo deve tener conto anche della
quantità di veleno nel corpo della vittima.
Il processo di eliminazione mentale della condicio sine qua non è però una
formula vuota, che deve essere riempita di contenuto attraverso le leggi
scientifiche, universali o statistiche, che spieghino come la condotta x ha causato
l’evento y: si parla di sussunzione del caso concreto sotto leggi scientifiche. Può
essere così immaginato: la legge x mi dice che l’azione A provoca l’evento B,
allora io posso desumere che nel mio caso l’azione a (che fa parte di A) ha
cagionato l’evento b (che fa parte di B).
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Teoria della causalità umana: l’evento non deve essere dovuto al concorso di
fattori eccezionali, quindi il rapporto di causalità si considera escluso nei casi in
cui tra azione ed evento intervengo fattori causali rarissimi, che hanno una
minima ed insignificante probabilità di verificarsi. La ratio è imputare il nesso
causale all’agente solo quando si sia trattato di un decorso causale da lui
dominabile e non invece quando la sviluppo concreto di quell’azione sia legato al
concorso di fattori imprevedibili perché rarissimi (es/emofilia).
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non diminuito il rischio che questo si verificasse; (2) l’evento deve essere
concretizzazione del rischio che la regola cautelare violata mirava ad evitare o
ridurre.
Parte della dottrina italiana ha invece modificato la teoria dell’imputazione
dell’evento al fine di affermare che nei campi in cui la verificazione del nesso
causale risulta particolarmente problematica, ci si accontenta di verificare che la
condotta tenuta dall’agente abbia contribuito ad aumentare il rischio del
verificarsi dell’evento. Pericoloso perché in questo modo si trasformano
sottobanco i reati di evento in reati di pericolo.
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A loro volta i reati di pericolo possono essere reati di pericolo concreto o reati di
pericolo astratto. Nei reati di pericolo concreto il giudice deve accertare se nel
singolo caso concreto la condotta dell’agente ha effettivamente messo in pericolo
il bene tutelato. Invece nei reati di pericolo astratto c’è presunzione legale di
pericolosità della condotta. Proprio in merito a tale presunzione legale, la Corte
Costituzionale ha detto che è legittima quando non risulti irrazionale o arbitraria
ma risponda all’ “id quod plerumque accidit”. In questi casi (reati di pericolo
presunto) ciò che il giudice deve accertare è solo il verificarsi di quel
comportamento che il legislatore ha ritenuto normalmente pericoloso.
Invece nei reati di pericolo concreto il giudizio prognostico è ex ante in concreto
a base totale: il giudice deve riportarsi indietro al momento della commissione
del fatto e poi utilizzare il massimo delle conoscenze disponibili al momento del
giudizio, ivi comprese le ulteriori conoscenze (di fatto o scientifiche) del singolo
agente; infine deve tener conto di tutte le circostanze presenti nel momento in
cui si è compiuta l’azione o si è verificato l’evento.
Va poi segnalato che ci sono alcuni reati di pericolo imperniati sul superamento
di una soglia: in questi casi il legislatore ritiene che oltre ad una certa soglia
quantitativa il fatto sia pericoloso per il bene giuridico tutelato (ratio è
contemperare la tutela del bene giuridico con un diverso interesse che il
legislatore reputa comunque meritevole di tutela).
Certo le regole di esperienza che stanno dietro alle norme con tasso soglia
consentono di enunciare la normale pericolosità delle condotte che quella soglia
la oltrepassano; tuttavia la Corte Costit ha ritenuto necessario valorizzare anche
in questo caso il principio di offensività, di tal che uno scollamento misero
rispetto alla soglia, che dunque sia privo di qualsiasi idoneità offensiva, deve
portare il giudice a considerare l’agente non punibile.
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Reati istantanei e permanenti: nei reati istantanei una volta che si verifica la
consumazione (reato perfetto in tutti i suoi elementi costitutivi) è irrilevante che
la situazione antigiuridica creata dall’agente si protragga nel tempo. Invece nei
reati permanenti il reato è perfetto nel momento in cui si realizza la condotta ed
eventualmente si verifica l’evento, ma non si esaurisce finché perdura la
situazione antigiuridica.
Disciplina peculiare del reato permanente:
prescrizione: decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza;
concorso di persone: possibile anche dopo l’inizio della fase consumativa;
legge applicabile ai fini del tcd: quella entrata in vigore nel corso della
fase consumativa;
applicabilità della legge penale italiana: basta che la fase consumativa
sia proseguita nel territorio dello Stato;
stato di flagranza: perdura fino a quando non è cessata la permanenza;
competenza per territorio: luogo nel quale ha avuto inizio la condotta
(art. 8 co 3 c.p.p.).
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della fattispecie descritta dalla norma incriminatrice non integrerà quel reato
(es/maltrattamenti in famiglia).
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Errore sul fatto: come si è detto, difetta dolo quando l’agente incorre in errore
sul fatto, che può tradursi tanto in errore di fatto quanto in errore di diritto.
Errore di fatto es/credo sia un cinghiale, ma sparo ad un uomo. Errore di diritto
è quello che cade su norma extrapenale, richiamata dall’elemento normativo del
reato es/cosa altrui per il furto ma Tizio dalla lettura di un contratto, frutto del
parere di un esperto notaio, è pervenuto all’erronea convinzione di aver dato in
prestito la cosa al detentore, conservandone la proprietà. Inoltre errore su
elemento normativo del fatto può derivare anche da erronea percezione
sensoriale (es/viaggiatore che in aeroporto scambia la valigia dello stesso colore
per la sua).
Attenzione: secondo prevalente giurisprudenza tutti gli errori di interpretazione
di norme giuridiche richiamate da elemento normativo sono errori sulla legge
penale (quindi art. 5 c.p., non art. 47 c.p.). Oltre che svuotare di contenuto l’art.
47 co 3 c.p., questo orientamento è anche sbagliato: un conto è non sapere che il
furto è reato (art. 5 c.p.), un conto è invece non renderti conto che ciò che stai
prendendo non è di tua proprietà (art. 47 co 3 c.p.). C’è invece giurisprudenza
minoritaria che giustamente riconosce autonomo spazio applicativo all’art. 47 co
3 c.p. affermando che non si tratta di errore sulla legge penale (art. 5 c.p.) se la
norma giuridica mal interpretata è destinata in origine a regolare rapporti
giuridici non penali.
Volizione nel dolo: il soggetto deve aver voluto commettere quel fatto e deve
averlo deciso nel momento in cui agisce (rappresentandosi tutti gli elementi del
fatto descritto dalla norma incriminatrice). Non c’è quindi spazio nel nostro
ordinamento per il dolo antecedente, susseguente o generale. Dolo antecedente:
Tizio decide di uccidere Caio all’ora x, ma pulendo il fucile parte un colpo e lo
uccide per sbaglio prima dell’ora stabilita; no omicidio doloso. Dolo susseguente:
Tizio acquista un bene che proviene da delitto, ma solo dopo l’acquisto si avvede
della provenienza illecita e non se ne rammarica; no ricettazione. Dolo generale:
Tizio vuole uccidere Caio e lo pugnala 10 volte; crede di averlo ucciso e getta il
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cadavere in un fosso; in realtà Caio era ancora vivo e muore solo a seguito della
caduta nel fosso; no omicidio doloso.
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Oggetto del dolo: l’agente deve voler realizzare un fatto concreto che corrisponda
alla previsione della norma incriminatrice. Nei reati a dolo generico oggetto del
dolo è solo il fatto concreto che integra gli estremi della norma incriminatrice,
invece nei reati a dolo specifico l’oggetto del dolo abbraccia anche lo scopo
perseguito dall’agente e descritto dalla norma.
Nei reati ad evento è necessario e sufficiente che il soggetto abbia attribuito alla
sua condotta l’attitudine a causare in concreto quell’evento, mentre è irrilevante
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che abbia previsto un decorso causale diverso da quello che poi si è verificato
(c.d. aberratio causae) (es/killer professionista che spari alla vittima per
ucciderla alla testa, ma la uccide colpendola al cuore).
Quindi: c’è dolo se l’agente si è rappresentato ed ha voluto tutti gli elementi
costitutivi del fatto di reato, ivi compresi i presupposti della condotta e gli
elementi negativi del fatto di reato. È poi da risolversi in senso affermativo
l’interrogativo in merito alla necessità che il soggetto agente si rappresenti la
qualità del soggetto attivo quando si tratti di un reato proprio (conoscenza
comunque da profano di quella qualifica): tanto si desume dall’art. 117 c.p. che
rende responsabile a titolo di concorso anche il soggetto che ignorava la qualifica
del concorrente, quando la presenza della qualità a lui ignota comporta solo
l’integrazione di un diverso fatto di reato.
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morte cagionata da percossa o lesione, nel senso che la norma che reprime
percosse o lesioni ha come finalità la tutela dell’integrità fisica e non è invece posta
esclusivamente a tutela preventiva della vita. Rientrano quindi nel concetto di
“leggi” solo quelle che impongono o vietano una data condotta allo scopo
esclusivo di neutralizzare o ridurre il pericolo che da quella condotta possano
derivare eventi dannosi o pericolosi rilevanti ai sensi di una fattispecie di reato
colposo (es/omicidio colposo stradale escluso se commesso in violazione di una
disposizione che vieta la circolazione di autocarri in giorni festivi sulla costiera
amalfitana; in questo caso la disposizione violata ha la finalità di garantire lo
scorrimento del traffico in una zona particolarmente interessata dal turismo e non
quella di prevenire incidenti stradali).
Da sottolineare infine che le leggi la cui inosservanza può fondare rimprovero
per colpa possono essere sanzionate tanto con sanzione amministrativa quanto
penale (es/legislazione antinfortunistica).
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La condotta colposa:
Nei reati colposi d’evento il dovere di diligenza, prudenza, perizia ha un duplice
scopo e cioè: riconoscere il pericolo che si verifichi il fatto antigiuridico e
neutralizzare o ridurre il pericolo che tale fatto si verifichi. Quindi il carattere
colposo della condotta può derivare già dal mancato riconoscimento del pericolo
di realizzazione del fatto nel momento in cui l’agente concreto ha iniziato o
continuato ad agire o, nel caso in cui il pericolo sia invece stato riconosciuto,
dalla mancata adozione dei comportamenti necessari per neutralizzarlo o ridurlo
(es/normativa per la protezione dei lavoratori esposti ad agenti cancerogeni).
Per stabilire il momento a partire dal quale un dato pericolo è riconoscibile
dall’agente modello, bisogna prendere le mosse dalle conoscenze che in un dato
momento costituiscono patrimonio diffuso. Del pari il momento a partire dal
quale sono esigibili le misure richieste per neutralizzare o ridurre pericolo va
individuato utilizzando, ad esempio, le tecnologie presenti sul mercato.
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Nesso tra colpa ed evento: deve essere duplice (1) l’evento concreto deve essere
realizzazione del pericolo che la norma cautelare violata mirava ad evitare; (2)
verificare se la condotta rispettosa delle regole di diligenza avrebbe evitato nel
caso concreto il verificarsi dell’evento. L’idoneità della condotta diligente ad
evitare il verificarsi dell’evento che la norma mirava ad evitare va accertata
riportandosi al momento in cui il soggetto avrebbe dovuto tenere la condotta.
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che aver agito nonostante la previsione dell’evento è più riprovevole che aver
agito senza interrogarsi sui rischi connessi ad una determinata condotta.
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Irragionevole sproporzione tra misura della pena e grado della colpa nelle norme
nate come responsabilità oggettiva: si tratta di un problema particolarmente
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evidente nelle ipotesi in cui si punisce con la pena prevista per un delitto doloso
una persona alla quale può essere mosso solo un rimprovero per colpa. La Corte
Cost 2020 ha infatti sottolineato che al minor grado di rimproverabilità
soggettiva deve corrispondere una pena inferiore rispetto a quella che sarebbe
applicabile a parità di disvalore oggettivo del fatto.
Lo stesso problema si pone in relazione all’art. 584 c.p.; 572 co 3 c.p. nonché in
tutte le altre norme che puniscono colui che commette un delitto doloso seguito
da omicidio colposo (o da lesione colposa) con una pena notevolmente più grave
di quella derivante dal concorso formale di reati.
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anzitutto si deve ribadire che tra fattispecie base e fattispecie dubbia deve
esserci rapporto di specialità, altrimenti non si potrà parlare di circostanza. Il
rapporto di specialità però non è di per sé sufficiente a considerare circostanza la
fattispecie dubbia.
Criteri che fanno propendere per circostanza: (1) qualificazione in termini di
circostanza nella rubrica o nel testo della norma; (2) riferimento alla disciplina
del bilanciamento, operato al fine di derogarvi; (3) il legislatore si limita a dire
che la pena è aumentata o diminuita, ma non specifica di quanto.
Criteri che fanno propendere per reato autonomo: (1) nomen iuris (es/furto in
abitazione); (2) clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato”.
Tuttavia i criteri appena esposti non sempre consentono con certezza di dire che
una norma dà luogo a reato circostanziato piuttosto che autonomo. I maggiori
problemi si pongono con riferimento ai delitti aggravati dall’evento il codice
in questi casi in linea di principio sembra orientato nel senso di inquadrare
l’evento come elemento costitutivo di un’autonoma fattispecie di reato. proprio
pensando ai delitti aggravati dall’evento il legislatore ha infatti dettato all’art. 42
co 3 la regola della responsabilità obiettiva quale forma, sia pur eccezionale, di
responsabilità penale. Ben diversa è invece la normale fisionomia delle
circostanze aggravanti, che solo eccezionalmente si riferiscono ad un evento, ed
in tal caso si tratta dello stesso evento previsto dalla fattispecie base es/truffa
prevede come elemento costitutivo il danno; truffa aggravata se il danno è
commesso in danno dello Stato. Solo in alcune sporadiche eccezioni il legislatore
considera circostanza una norma che traduce invece in danno il pericolo
presente nel reato base (es/condanna del soggetto calunniato conseguente alla
calunnia). Al di fuori di queste ipotesi eccezionali, invece, se la fattispecie dubbia
traduce in danno il pericolo della fattispecie base, allora si tratta di fattispecie
autonoma di reato.
La giurisprudenza ha cercato di mutare indirizzo in merito ai reati aggravati
dall’evento dopo la riforma del 1974, che ha introdotto le circostanze autonome
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a 1/3 e poi su quella pena aumentare o diminuire di un altro 1/3 e così via.
Questo meccanismo però è soggetto a limiti, fissati agli artt. 66 e 67 c.p.
Se alcune circostanze sono ad efficacia speciale si applicherà l’art. 63 co 3 c.p.
quindi il giudice applicherà per prima la circostanza ad efficacia speciale e poi
quella ad effetto comune. Attenzione: art. 63 co 3 c.p. non menzione circostanze
indipendenti, ma opinione più accreditata è che si riferiscono anche a queste.
mentre se sono tutte ad efficacia speciale si applicherà l’art. 63 co 4 e 5 c.p.
quindi in caso di aggravanti si applica solo la più grave aumentata fino al triplo o
la pena meno grave diminuita fino ad un ulteriore 1/3.
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anche gli effetti penali della condanna (art. 106 co 2 c.p.) es/esito positivo
dell’affidamento in prova al servizio sociale.
Quanto invece al giudizio di maggior colpevolezza, affinché possa dirsi che la
commissione del nuovo delitto denota nel caso concreto insensibilità
all’ammonimento derivante da precedente condanna, è necessario che l’agente
sia a conoscenza di quella condanna. Si tratta di un giudizio rimesso comunque
alla discrezionalità del giudice: si parla infatti comunemente di facoltatività della
recidiva.
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Reati della stessa indole (recidiva aggravata sub lettera a) sono non solo quelli
che violano una stessa norma, ma anche quelli che presentano “caratteri
fondamentali comuni”, oggettivi o soggettivi. Tra i caratteri fondamentali comuni
oggettivi la giurisprudenza annovera le circostanze di tempo e di persona che
facciano propendere per l’inclinazione verso una identica tipologia criminosa
es/modalità di aggressione; espedienti utilizzati. Quanto invece ai caratteri
soggettivi la giurisprudenza spesso valorizza l’identità dei motivi es/motivi di
lucro sono stati utilizzati per considerare della stessa indole lo spaccio di
stupefacenti ed il furto in abitazione.
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Effetti della recidiva sulla misura della pena: aumento della pena principale. Ma
incontra un limite all’art. 99 co 6: in nessun caso l’aumento della pena per effetto
della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne
precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo.
Effetti ulteriori della recidiva: (1) non detenzione domiciliare dell’art. 47 ter co 1
ord. pen.; (2) se recidiva aggravata o reiterata non si applicano amnistia, indulto,
prescrizione della pena; invece prescrizione del reato, liberazione condizionale e
riabilitazione sono sottoposte a condizioni più restrittive di quelle ordinarie; (3)
se recidiva reiterata (diritto penale sostanziale) si applica trattamento meno
favorevole in punto di circostanze attenuanti generiche, concorso di circostanze,
concorso formale di reati e reato continuato. Per quanto attiene alla procedura
penale il recidivo reiterato è escluso dal patteggiamento allargato. Infine con
riferimento all’ordinamento penitenziario l’affidamento in prova al servizio
sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi
più di una volta (art. 58 quater co 7 bis c.p.); sono da ultimo previste condizioni
restrittive per l’accesso ai permessi premio.
Altre circostanze che riguardano la persona del colpevole (art. 70 c.p.) sono
quelle che riguardano l’imputabilità. Sotto questo profilo sono circostanze
attenuanti: vizio parziale di mente; sordomutismo quando comporti capacità di
intendere o di volere grandemente scemata; minore di età (14-18) riconosciuto
imputabile; ubriachezza o abuso di sostanze stupefacenti per caso fortuito o
forza maggiore, tali da aver grandemente scemato capacità di intendere o di
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IL TENTATIVO:
Ai sensi dell’art. 56 co 1 c.p. chi compie atti idonei diretti in modo non equivoco a
commetter un delitto, risponde di delitto tentato se l’azione non si compie o
l’evento non si verifica.
Si tratta di una forma di manifestazione del reato e dunque di reato autonomo,
non invece di circostanza attenuante. Il legislatore ha circoscritto la funzione
estensiva del tentativo ai soli delitti. In via di eccezione la legge esclude la
rilevanza penale del tentativo in relazione a taluni delitti (in materia tributaria
art. 6 dlgs 74/2000). Le contravvenzioni rilevano in forma tentata solo se
previsto dalla stessa norma incriminatrice.
Coerentemente con il principio di offensività il tentativo è configurabile solo se
gli atti sono idonei e quindi solo se creano un pericolo per il bene giuridico
tutelato dalla norma incriminatrice. Altrettanto coerentemente con il principio di
offensività, la pena del tentativo è minore rispetto a quella del reato consumato
(art. 56 co 2 c.p.). Solo eccezionalmente singole figure delittuose sono sottoposte
alla stessa pena tanto in caso di tentativo quanto di delitto consumato: è il caso
dei delitti in materia di contrabbando.
Il nostro legislatore accoglie una concezione oggettiva e non soggettiva di reato.
Se avesse accolto concezione soggettiva avrebbe considerato punibile per
tentativo il soggetto che abbia in qualsiasi modo manifestato la volontà di
commettere un delitto. Il legislatore ha invece accolta una concezione oggettiva
dei reato e quindi è punibile a titolo di tentativo il soggetto che abbia creato o
non neutralizzato un pericolo per il bene giuridico tutelato.
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uccidere Caio con del veleno; è atto preparatorio comprare il veleno, mentre è
atto esecutivo iniziare a versare il veleno nella bibita che gli voglio
somministrare).
Attenzione: l’irrilevanza degli atti preparatori ai fini del tentativo, non sempre
comporta la loro irrilevanza penale. Talvolta infatti il legislatore può qualificare
come reati a sé stanti alcuni atti preparatori. Nel farlo però deve rispettare un
duplice vaglio di legittimità costituzionale: (a) possono essere tutelati ad uno
stadio così avanzato solo i beni indispensabili per l’integrità delle istituzioni e la
sopravvivenza della società; (b) in ossequio ai principi di offensività e
proporzione possono essere incriminati solo gli atti tipicamente pericolosi di
quei beni di altissimo rango; quanto meno grave è l’offesa, tanto più elevato deve
essere il rango del bene.
Ovviamente le figure delittuose che danno autonoma rilevanza agli atti
preparatori non ammettono il tentativo, che sposterebbe ulteriormente
all’indietro la soglia di punibilità.
Accertare l’idoneità degli atti (e dunque accertare messa in pericolo del bene
tutelato). Essendo l’idoneità degli atti sinonimo di probabilità della
consumazione, occorre capire: (a) qual è il termine di relazione del giudizio di
probabilità; (b) a quale momento ci si deve riportare per formulare il giudizio;
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(c) quali criteri il giudice deve utilizzare per formulare il giudizio; (d) quale deve
essere la base del giudizio, cioè di quali circostanze il giudice dovrà tenere conto.
(a) Il termine di relazione: non si discute sul termine di relazione del delitto
tentato, cioè il delitto consumato. L’idoneità va quindi rapportata al
completamento dell’azione per i reati di mera condotta, mentre per i reati
di evento l’idoneità va rapportata al verificarsi dell’evento.
(b) Il momento al quale ci si deve rapportare è quello in cui è iniziata
l’esecuzione (prognosi postuma); si tratta quindi di un giudizio di
idoneità ex ante.
(c) I criteri che il giudice deve seguire per accertare la probabilità di
consumazione è dato dal massimo della conoscenze disponibili al
momento del giudizio + eventuali conoscenze ulteriori possedute
dall’agente.
(d) La base del giudizio (quali condizioni) è rappresentata dai mezzi utilizzati
dall’agente (e questo anche nel codice Zanardelli) + circostanze concrete
in cui quei mezzi sono stati impiegati (a contrario del codice Zanardelli)
(es/un pugno può essere idoneo ad uccidere se sferrato da un campione
di pugilato contro un anziano malato). È discusso invece se la base del
giudizio debba essere totale o parziale: base totale se il giudice deve tener
conto di tutte le circostanze del caso concreto, anche se non conosciute
dall’agente e non conoscibili da un osservatore esterno; base parziale
invece se il giudice deve tener conto solo delle circostanze conosciute
dall’agente o conoscibili da un osservatore esterno. Secondo M-D il
giudizio deve essere a base totale: il giudice deve tener conto di tutte le
circostanze presenti al momento dell’azione. Argomentazione principale
di tale soluzione è data anzitutto dal principio di offensività. Conferma di
tale soluzione si rinverrebbe anche all’art. 49 co 2 c.p. (reato impossibile).
I sostenitori del giudizio a base parziale hanno in mente il caso in cui la
predisposizione delle forze di polizia, non conosciuta e non conoscibile,
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Il dolo nel tentativo. Oggetto del dolo è il medesimo del delitto consumato; non
rileva quindi nemmeno per il tentativo il reato putativo (art. 49 co 1 c.p.). Si
discute invece sulle forme del dolo ed in particolare sull’ammissibilità del
tentativo nella forma del dolo eventuale. Secondo M-D anche il tentativo è
compatibile con il dolo eventuale, es/voglio scappare dopo una rapina e per
dissuadere i miei inseguitori sparo colpi all’indietro mentre scappo; non ho certo
dolo di ucciderli, voglio scappare ma per questo accetto eventualità che una
pallottola colpisca e uccida uno dei miei inseguitori.
I sostenitori della tesi del no invece dicono che l’univocità degli atti richiesta
dalla norma è incompatibile con il dolo eventuale, perché richiede che il soggetto
agisca avendo in mente di compiere quel reato. M-D risponde invece che
univocità degli atti non riguarda lo stato soggettivo dell’agente, ma è elemento
oggettivo che indica la necessità di inizio dell’esecuzione.
Desistenza volontaria: art. 56 co 3 c.p. quando è stato integrato un fatto
antigiuridico e colpevole di tentativo, non è punibile il soggetto che desiste.
Desistenza nei reati commissivi si individua nel non aver completato l’azione
iniziata e non portata a termine (es/inizio la condotta di furto in abitazione,
prendo in mano il portagioie ma poi lo metto giù ed esco senza rubare nulla (sarà
punibile solo la violazione di domicilio). Il non aver portato a compimento
l’azione deve essere frutto di una scelta volontaria: potrei ma non voglio e non
invece vorrei ma non posso. Non è necessario che desistenza sia sinonimo di
pentimento; questa può essere dettata anche da calcoli utilitaristici. Non è
nemmeno necessario che la desistenza si traduca in un abbandono definitivo del
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I REATI OMISSIVI
OMISSIONE: il diritto penale è composto anche da comandi di agire e dunque i
reati omissivi sono reati che puniscono l’omissione delle azioni imposte da quei
comandi. È penalmente rilevante soltanto il mancato compimento di comandi
imposti da norme giuridiche.
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I reati omissivi impropri sono frutto del combinato disposto degli artt. 40 co 2
c.p. e delle singole norme di parte speciale.
È controverso se l’art. 40 co 2 c.p. valga anche per i reati d’evento a forma
vincolata. Tendenzialmente no, ma con riferimento alla truffa la giuri la ammette
anche in forma omissiva. In favore di questa soluzione po’ rilevarsi che la legge
penale italiana costruisce l’equivalenza tra la condotta attiva e quella omissiva
sulla base del solo obbligo giuridico di impedire l’evento, non essendo invece
rilevante (a differenza del BGB) che la condotta omissiva “corrisponda” alla
realizzazione della fattispecie mediante condotta attiva.
Nei reati omissivi impropri due sono i criteri per stabilire se e quando l’omesso
impedimento di un evento sia penalmente rilevante: (a) rileva solo il mancato
compimento di un’azione impeditiva imposta da una norma giuridica l’art, 40
co 2 c.c. parla infatti di “obbligo giuridico” di impedire l’evento; (b) è il contenuto
delle singole norme giuridiche che decide quali sono i presupposti in presenza
dei quali sorge l’obbligo di impedire l’evento e quali siano gli eventi il cui
verificarsi deve essere impedito.
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per non aver impedito l’evento, bensì omicidio commissivo colposo per non aver
adottato le misure cautelari richieste per l’esecuzione di lavori pericolosi.
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Nei reati omissivi impropri il principio di affidamento incontra un limite: nei casi
in cui il soggetto abbia l’obbligo giuridico di impedire eventi lesivi dell’altrui vita
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La colpa nei reati omissivi impropri: in questo gruppo di reati la colpa può
consistere (a) nell’inottemperanza del dovere di attivarsi per riconoscere la
presenza dei pericoli che i garanti hanno il dovere di sventare, oppure (b) nel
mancato compimento delle azioni necessarie per neutralizzare o ridurre quei
pericoli.
D’altra parte, comunque, anche nei reati omissivi impropri l’evento non può
essere addebitato a titolo di colpa se il soggetto non poteva evitarlo nemmeno
compiendo le azioni che la diligenza o la perizia gli imponevano di compiere.
Il tentativo nei reati omissivi: per quanto attiene ai reati omissivi impropri, la
configurabilità del tentativo è pacifica = l’inizio dell’omissione punibile ex art. 56
c.p. si ha nel momento in cui il mancato compimento dell’azione doverosa
aumenta il rischio che si verifichi l’evento dannoso che il garante ha l’obbligo
giuridico di impedire. È comunque necessario che l’evento non si verifichi quindi
es/l’infermiera decide di uccidere il pz omettendo di somministrargli il farmaco
necessario alla sua sopravvivenza allo scadere delle ore stabilite; tuttavia il
medico di turno interviene in tempo ancora utile per somministrargli il farmaco
e salvargli la vita.
Può però anche accadere che il garante risponda di tentativo nonostante il
verificarsi dell’evento lesivo questo accade quando l’evento sia stato
conseguenza non già dell’omissione, bensì di una serie causale autonoma
es/l’infermiera risponderà di tentato omicidio se il pz muore per un inopinato
shock emorragico per la rottura di un aneurisma addominale.
Invece la configurabilità del tentativo nei reati omissivi propri è discussa.
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Il consenso dell’avente diritto: art. 50 c.p. “non è punibile chi lede o pone in
pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne” -
il fatto de quo (lesione o messa in pericolo del diritto) è dunque fatto lecito.
Disponibili sono solo i diritti individuali e non invece gli interessi dello Stato e di
ogni altro ente pubblico.
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Errore di fatto sulla legittimità dell’ordine: art. 51 co 3 c.p. non risponde a titolo il
dolo il subordinato che per errore sul fatto dia esecuzione ad un ordine
illegittimo, credendolo invece ordine legittimo (es/agente di pg che esegua un
provvedimento di custodia cautelare in carcere materialmente falsificato in tutti
i suoi elementi se l’errore è dovuto a colpa comunque l’agente di pg non
risponderà di sequestro di persona perché trattasi di delitto solo doloso). Si
tratta di una specificazione di quanto già disposto dall’art. 59 co 4 c.p.
La legittima difesa: art. 52 co 1 c.p. “non è punibile chi ha commesso il fatto per
esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui
contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia
proporzionata all’offesa”. Questa norma costituisce una deroga al monopolio
statale dell’uso della forza; il pvt la può adoperare quando lo Stato non sia in
grado di assicurargli una tempestiva ed efficace tutela attraverso gli organi
preposti. La difesa del pvt cmq deve essere necessaria e proporzionata.
Presupposti: (a) pericolo (b) attuale (c) di un’offesa ingiusta ad un diritto proprio
o altrui; (d) necessità della difesa; (e) proporzione.
Analizziamoli.
Pericolo: per accertare il pericolo di una lesione potenziale ad un diritto proprio
o altrui, il giudice deve compiere una prognosi postuma in concreto (c.d. giudizio
ex ante a base totale) e cioè deve accertare se al momento del fatto, tenuto conto
di tutte le circostanze esistenti in quel momento, vi era la possibilità che si
verificasse l’offesa al diritto dell’agente o di un terzo; probabilità da valutare
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Attualità del pericolo: il pericolo per il quale si agisce in legittima difesa non può
essere passato e non può nemmeno essere futuro. Dev’essere attuale in questa
nozione rientrano (a) lo scenario che vede come imminente la verificazione del
pericolo (es/l’aggressore ha spianato l’arma contro la vittima) e (b) l’ipotesi di
pericolo permanente (es/vittima di sequestro di persona che, mentre si trova in
mano agli aggressori, per evitare il protrarsi della sua prigionia si liberi
provocando una lesione al suo carceriere).
La giurisprudenza esclude l’attualità del pericolo nelle ipotesi dell’ “ora o mai
più” es/tiranno di casa.
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Necessità della difesa: l’agente deve essere stato costretto dalla necessità di
difendersi. Questo significa che (a) il pericolo non poteva essere neutralizzato
come una condotta alternativa lecita la difesa non sarà quindi reputata
necessaria (i) quando il soggetto avrebbe potuto difendere il bene senza
commettere un fatto penalmente rilevante + (ii) quando la persona minacciata
nei propri diritti poteva sottrarsi al pericolo senza esporre a rischio la sua
integrità fisica (c.d. commodus discessus)(es/la difesa è non necessaria se il
soggetto avrebbe potuto entrare in un negozio e chiedere aiuto anziché
accoltellare l’aggressore); non importa che si tratti di una fuga poco onorevole:
l’integrità fisica di un uomo non può mai essere sacrificata per salvare l’onore.
(b) il soggetto non poteva adottare una condotta meno lesiva di quella tenuta in
concreto: se il pericolo può essere sventato attraverso più fatti penalmente
rilevanti, tutti egualmente efficaci, l’agente deve ricorrere al meno lesivo (es/se T
sta per colpire C con un bastone, e C è un omone forzuto, questi può
neutralizzare il pericolo o torcendo il braccio all’aggressore, procurandogli in tal
modo una lesione, o sparargli e provocargli una lesione di maggiore gravità
sarà lecita solo la torsione del braccio).
annoverata tra i diritti inviolabili dell’uomo, proprietà art. 42, solo strumentale e
sottoposta al limite dell’utilità sociale.
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Il legislatore del 2019 è poi intervenuto in punto di eccesso colposo nelle cause
di giustificazione: intento del legislatore è stato quello di escludere la
responsabilità dell’agente in caso di eccesso di difesa all’interno del domicilio,
purché non doloso. La previsione dell’art. 55 co 2 c.p. riguarda ipotesi in cui il
fatto sia stato commesso per la salvaguardia della propria o altrui incolumità
(quindi non in caso di salvaguardia dei beni patrimoniali). L’esenzione da
responsabilità di cui all’art. 55 co 2 c.p. è legata a due diverse situazioni, tra loro
alternative: (a) l’aggredito si trovava in una situazione di minorata difesa (art. 61
co 1 n° 5 c.p.), oppure (b) l’aggradito era in uno stato di grave turbamento
psichico, derivante dalla situazione di pericolo in atto.
Attenzione: art. 55 co 2 c.p. opera NON sul piano dell’antigiuridicità, ma sul piano
della colpevolezza M.D. ritiene infatti che non si tratti di causa di
giustificazione ma di scusante, riferibile ai reati colposi: le due situazioni di
vulnerabilità previste dalla norma assumono rilievo in ragione della pressione
che esercitano sull’agente, impedendogli di tenere una condotta rispettosa di
regole cautelari la cui osservanza avrebbe impedito la verificazione dell’evento
(es/chi di notte trova un intruso in casa e, preso dal panico, lo colpisce con un in
testa con un pesante soprammobile senza chiedersi se questi sia o meno
armato).
Nota bene: l’applicazione del 55 co 2 c.p. presuppone che la difesa domiciliari
incontri dei limiti che possono essere ecceduti quindi certo la potrà invocare
chi si trovi nella situazione di cui al co 2, mentre per quanto riguarda il co 4 tale
risultato lo si potrà raggiungere solo nel caso in cui, attraverso interpretazione
costit orientata, si introducano limiti alla legittima difesa non contemplati dal
tenore letterale della norma.
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L’uso legittimo delle armi: art. 53 c.p., disciplina tre ipotesi (a) uso dei mezzi di
coercizione necessario per respingere una violenza o vincere una resistenza
all’autorità; (b) coercizione fisica necessaria per impedire la consumazione di
una serie di gravissimi delitti; (c) ulteriori ipotesi di legge in cui è consentito un
uso più largo delle armi o degli altri mezzi di coercizione fisica.
Analizziamo queste tre ipotesi.
L’uso legittimo delle armi per respingere una violenza o vincere una resistenza
all’autorità: anzitutto legittimati ad usare le armi sono solo i pu tra i cui doveri
istituzionali rientra l’uso della coercizione fisica diretta con armi o altri mezzi
si parla comunemente di forza pubblica e vi rientrano ufficiali ed agenti della
Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e dalla Guardia di Finanza. Non ci
rientrano invece le guardie giurate.
La legge richiede poi che il pu agisca al fine di adempiere un dovere del proprio
ufficio e che lo faccia nei limiti temporali in cui il pu esercita le sue funzioni; sono
invece irrilevanti le motivazioni personali che eventualmente coesistano con il
fine istituzionale.
Presupposti: (a) necessità; (b) proporzione; (c) dev’essere in atto una violenza o
resistenza all’autorità. Analizziamoli.
Necessità: anzitutto l’uso delle armi è consentito quando il pu non possa
respingere la violenza o vincere la resistenza con mezzi diversi dall’uso di un
mezzo di coazione fisica; inoltre tra i diversi mezzi di coazione, tutti egualmente
efficaci, il pu dovrà scegliere il meno lesivo.
Proporzione: limite non espressamente menzionato dall’art. 53 c.p., ma è
imposto dall’interpretazione della norma in conformità alla Costit il principio
di imparzialità della p.a. (art. 97 Cost) impone agli agenti di forza pubblica di
tenere conto di tutti gli interessi in gioco; c’è poi da evidenziare che vita ed
integrità fisica sono diritti fondamentali, che dunque tendenzialmente
prevalgono rispetto alla gran parte degli interessi perseguiti dall’attività ammin
(es/proporzione c’è se la forza pubblica si limita ad usare lacrimogeni per
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Infine tra le ipotesi dell’uso delle armi previste da leggi speciali possono
ricordarsi le norme che attengono alla rilevanza interna ed esterna degli istituti
penitenziari.
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l’uomo, per sfuggire alle acque che salgono di livello, è costretto ad entrare in
un’abitazione altrui).
Non volontaria causazione del pericolo: il pericolo non dev’essere stato
volontariamente causato dall’agente Attenzione: non è invece escluso lo stato
di necessità se il pericolo è stato colposamente creato dall’agente perché, per
definizione, la colpa si caratterizza per l’involontarietà dell’evento.
Danno grave alla persona: oggetto del pericolo dev’essere un danno grave alla
persona dell’agente o di un terzo. Il bene minacciato può quindi consistere nella
vita, nella libertà personale o sessuale; può poi trattarsi di beni collettivi che
rappresentino una sintesi di beni di singole persone, come l’incolumità pubblica.
Sono invece pacificamente esclusi i beni patrimoniali ed i beni istituzionali, cioè
quelli che fanno capo allo Stato o ad altri enti pubblici (quindi es/no stato di
necessità nel caso di poliziotti che per individuare autore di un reato, e quindi
salvaguardare il bene amministrazione della giustizia, avevano commesso fatti di
violenza pvt e di lesioni ai danni di un imputato che non voleva fare il nome dei
complici). Quanto invece alla gravità del danno alla persona, questo va accertato
sia in relazione al rango del bene esposto a pericolo (es/un danno alla vita è
sempre necess grave), sia in relazione all’intensità della lesione incombente
(es/no stato di necessità se allontanamento dai domiciliari per andare dal
dentista e nemmeno se allontanamento perché la vita coniugale è diventata
insostenibile).
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Scusanti dei reati dolosi: (a) stato di necessità; (b) art. 384 co 1 c.p., cioè in alcuni
delitti contro l’amministrazione della giustizia, aver commesso il fatto per esserci
stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto
da un grave ed inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore; (c) provocazione
nel delitto di diffamazione ed in particolare ex art. 599 co 2 c.p. non è punibile chi
ha commesso il fatto nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e
subito dopo di esso; (d) secondo M-D anche la reazione ad atti arbitrari del
pubblico ufficiale (art. 393 bis c.p.; sul punto v tema quest’estate).
Scusanti dei reati colposi: circostanze anormali che scusano la violazione di una
regola di diligenza, perché la loro presenza impedirebbe anche all’agente
modello di rispettare la regola di diligenza violata. Si tratta di una gamma di
circostanze anche in questo caso tassative. In particolare
Rilevano quali circostanze anormali interne (a) il caso fortuito; (b) mancata
coscienza o volontà dell’azione od omissione. Rilevano invece come circostanze
anormali esterne (a) la forza maggiore; (b) il costringimento fisico.
Caso fortuito: può essere dato dall’insorgenza di un malore rapido ed
improvviso, che colpisca ad esempio chi è alla guida di un auto.
Mancata coscienza o volontà dell’azione od omissione: rilevano in questo caso
circostanze interne come terrore e spavento. Volendo continuare con l’esempio
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dell’autista se viene lanciata dal cavalcavia una pietra che manda in frantumi il
parabrezza dell’autovettura, il conducente in preda a terrore e spavento sarà
portato a manovre insensate, come deviare la corsa da destra verso sinistra sino
ad occupare la corsia opposta della strada.
Forza maggiore: continuando in materia stradale, si pensi alla caduta di un
masso da una montagna; contro questo masso va a sbattere un’autovettura che
quindi subisce gravi danni a sterzo ed apparato frenante questo rende
impossibile all’autista fermarsi in tempo per evitare la collisione con un’altra
auto ferma allo stop.
Costringimento fisico: può ipotizzarsi che un rapinatore in fuga, salito a forza
sull’automezzo di un altro conducente, gli spinga il piede sull’acceleratore
rendendo in tal modo impossibile che l’auto si fermi in tempo per non
tamponare la macchina davanti, ferma per incolonnamento.
Quanto ai reati omissivi colposi l’omissione realizzata in violazione del dovere
oggettivo di diligenza era eccezionalmente necessitata dal pdv psicofisco; si
pensi, ad esempio, ad un bagnino modello.
Caso fortuito: improvviso deliquio.
Costringimento fisico: si trovava imbavagliato e legato da rapinatori.
Forza maggiore: era stato ferito agli occhi da un ombrellone scagliato da un forte
colpo di vento.
Mancata coscienza e volontà dei poteri di controllo: paralizzato alla vista del
grave malore che aveva colpito il figlioletto.
Attenzione: tutte queste ipotesi scusanti dei delitti colposi, non hanno autonomo
rilievo nei delitti dolosi ma costituiscono invece altrettante ipotesi di assenza di
dolo.
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centro abitato ad altissima velocità, poi sfociata nell’evento morte; quindi artt. 54
co 3, 589 c.p.
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fatto; (c) escludendo che gli stati emotivi o passionali possano assumere rilievo
scusante.
Analizziamo allora la disciplina codicistica dedicata all’imputabilità.
Vizio di mente: può essere totale (art. 88 c.p.) oppure parziale (art. 89 c.p.).
Vizio di mente totale: non è punibile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto
era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacitò di intendere o di
volere quindi vizio totale = proscioglimento perché il fatto è stato commesso
da persona non imputabile; applicabile mds se soggetto giudicato socialmente
pericoloso.
Vizio di mente parziale: la pena è diminuita quando chi, nel momento in cui ha
commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare
grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere. Mds
applicabile.
Sia per vizio di mente totale che parziale si chiede al giudice di accertare
l’infermità dell’agente + accertare che tra tale infermità e la condotta tenuta
dall’agente ci sia un nesso di causalità: stabilire se in concreto quell’infermità ha
influenzato la capacità di intendere o volere del soggetto.
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Attenzione: nei cfr di chi venga prosciolto o condannato con pena diminuita ex
art. 91 c.p. non può essere applicata nessuna mds.
Ubriachezza abituale (art. 94 c.p.): definito dal legislatore che qualifica come
ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcoliche ed in stato frequente di
ubriachezza. In questo caso il soggetto agente non solo è imputabile, ma la pena è
aumentata (fino ad ⅓, ex art. 64 c.p.). Stesso trattamento sanzionatorio per chi
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Normale irrilevanza degli stati emotivi e passionali(art. 90 c.p.): gli stati emotivi
e passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità irrilevanza che si
spiega in ragione del fatto il legislatore ha voluto evitare abusi, che si erano in
passato creati soprattutto nei casi di omicidio dettato dalla gelosia, assolti poi da
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LA PUNIBILITÀ
Punibilità: insieme delle eventuali condizioni, ulteriori ed esterne rispetto al
fatto antigiuridico e colpevole, che fondano o escludono l’opportunità di punirlo.
Le ragioni alla base possono essere (a) politico-criminali in senso stretto, come
per la desistenza volontaria, che incentiva l’abbandono del proposito criminoso;
(b) ragioni politiche di clemenza, come per l’amnistia; (c) ragioni di politica
internazionale, come per le immunità ad esempio dei diplomatici stranieri che
commettano reati sul territorio italiano; (d) ragioni di salvaguardia della
famiglia, come per l’art. 649 c.p.
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alla sentenza dichiarativa di fallimento, per anni è prevalsa la tesi che rinveniva
nella stessa un elemento costitutivo del fatto di reato, salvo poi escludere la
rilevanza del collegamento tanto causale quanto psicologico tra la condotta
dell’agente e la sentenza dichiarativa di fallimento.
Attenzione: parte della dottrina ha coniato le cause intrinseche di punibilità per
alludere ad eventi che rendono attuale l’offesa al bene protetto dalla norma
incriminatrice o ne rappresentano una progressione es/pericolo per l’incolumità
pubblica nell’incendio di cosa propria in questo modo però si mascherano veri
e propri elementi costitutivi del fatto es/nell’incendio di cosa propria, il pericolo
per la pubblica incolumità esprime l’offesa al bene tutelato dalla norma lo
scopo che si vuole raggiungere con le condizioni obiettive di punibilità
intrinseche è quello di sottrarre alcuni elementi costitutivi del fatto di reato al
dolo ed alla colpa.
Attenzione: l’art. 44 c.p. dice “non è da lui voluto” e quindi fa riferimento al dolo;
tuttavia è intervenuta la Corte Cost ed ha chiarito che l’evento non deve neppure
essere sorretto da colpa.
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Sono del tutto svincolate dal dolo e dalla colpa: operano a favore dell’agente se
obiettivamente esistenti, mentre a nulla varrà l’erronea rappresentazione delle
medesime da parte del soggetto agente infatti, nonostante il tenore letterale,
l’art. 59 co 4 c.p. si applica alle cause di giustificazione ed alle scusanti, ma non
alle cause concomitanti di esclusione della punibilità. Argomentazione: si tratta
di condizioni obiettive di punibilità rovesciate e quindi anche a queste si applica
l’art. 44 c.p. che prevede imputazione oggettiva.
Disciplina comune alle cause personali di esclusione della punibilità: sia le cause
concomitanti che quelle sopravvenute si riferiscono per lo più all’opportunità di
punire la singola persona e quindi hanno, appunto, carattere personale.
Conseguenze in punto di concorso di persone nel reato: cause concomitanti e
sopravvenute di non punibilità non si applicano ai correi; è quanto stabilito
dall’art. 119 co 1 c.p. “circostanze soggettive di esclusione della pena hanno
effetto soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono”.
Cause di estinzione del reato: fatti naturali (morte del reo; prescrizione) o
giuridici successivi alla commissione del reato (amnistia, oblazione, perdono
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Morte del reo avvenuta prima della sentenza di condanna (art 150 c.p.): in
conseguenza della morte del reo il legislatore preclude la possibilità di applicare
qualsiasi sanzione penale anche sul patrimonio del defunto.
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di piccola entità. Ad ogni modo a partire dal ’92 l’amnistia ha riacquistato il suo
carattere di eccezionalità: deve essere adottata con legge deliberata a
maggioranza dai 2/3 dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e
nella votazione finale dell’intero testo (art. 79 Cost.). Le figure di reato
beneficianti dell’amnistia vengono individuate di regola dalla legge con
riferimento al massimo della pena edittale.
Prescrizione del reato (art. 157 c.p.): viene meno l’interesse pubblico alla
repressione dei reati, e quindi all’applicazione di tutte le sanzioni penali, quando
dalla commissione del reato sia decorso un certo lasso di tempo. Non cadono
comunque mai in prescrizione i reati puniti con l’ergastolo, anche per l’effetto di
circostanze aggravanti; inoltre i reati per i quali la legge prevede la pena
dell’ergastolo rimangono imprescrittibili anche nel caso in cui la presenza di una
circostanza attenuante comporti la pena della reclusione.
Tempo necessario a prescrivere il reato: dopo la riforma ex Cirielli del 2005 il
tempo necessario a prescrivere il reato è pari al massimo della cornice edittale
stabilita dalla legge e comunque non inferiore a 6 anni per i delitti e 4 anni per le
contravvenzioni, anche se si tratta di delitti o contravvenzioni puniti con la sola
pena pecuniaria. Per determinare il tempo necessario a prescrivere il reato deve
aversi riguardo al massimo della pena edittale, previsto per il reato consumato o
tentato, senza tener conto delle circostanze aggravanti o attenuanti (art. 157 co 2
c.p.); rilevano invece le aggravanti autonome e le aggravanti ad effetto speciale.
Sono sempre irrilevanti le attenuanti.
Attenzione: ai sensi dell’art. 157 co 5 c.p. quando la legge stabilisce pene diverse
da quella detentiva o pecuniaria di applica il termine di tre anni Ebbene la
norma de qua non fa riferimento alle sanzioni previste per i reati di competenza
del GdP (lavoro di pubblica utilità o permanenza domiciliare) ai quali invece si
applica il termine prescrizionale di 4 anni per contravvenzioni e 6 per delitti
Ha infatti chiarito la Corte Costit che il co 5 ha inteso porre le premesse per un
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Due eccezioni alla disciplina dell’oblazione: (1) in materia di sicurezza sul lavoro,
anche se la contravvenzione è punita con la sola pena pecuniaria si applica la
disciplina dell’oblazione speciale; (2) T.u. immigrazione prevede che in caso di
ingresso e soggiorno illegale sul territorio dello Stato non è applicabile
l’oblazione né ordinaria né speciale, pur trattandosi di un reato punito con la sola
ammenda (dubbi di legittimità costituzionale art. 3 Cost).
Ratio dell’oblazione (a) alleggerire il carico penale gravante sul giudice, perché
per effetto dell’oblazione il procedimento penale si esaurisce di regola prima
dell’apertura del dibattimento; (b) opportunità di ordine economico-fiscale
perché consente allo Stato di riscuotere la somma di denaro; (c) per l’oblazione
speciale ricorre anche opportunità politico-criminale perché in tal modo
incentiva il contravventore a reintegrare il/i bene giuridico/i offesi dal reato.
Estinzione del reato per condotte riparatorie: introdotta all’art. 162ter c.p. dalla
riforma Orlando (l. 103/2017). Attraverso condotte riparatorie, l’imputato di un
delitto perseguibile a querela può ottenere unilateralmente l’estinzione del
reato; risultato che, secondo la disciplina della remissione di querela (art. 152 ss
c.p.) è invece subordinato ad un atto del querelante.
Archetipo è l’art. 35 GdP, che reca rubrica analoga. Tuttavia una differenza
sostanziale tra le due ipotesi riguarda il fatto che nel caso di reato innanzi al GdP
il giudice ha margini di discrezionalità; invece art. 162 ter c.p. non prevede alcun
margine di discrezionalità.
Attenzione: art. 162 ter c.p. si applica ai delitti perseguibili a querela a
condizione che la querela sia soggetta a remissione. Quindi non applicabile tra
l’altro ai delitti di violenza sessuale e violenza sessuale aggravata, per i quali la
querela è irrevocabile. Inoltre, per espressa previsione di legge, l’art. 162 ter c.p.
non si applica allo stalking.
Riparazione del danno: fa riferimento al danno civile da reato e dev’essere
integrale. Riparazione del danno può avvenire sia mediante risarcimento che
mediante restituzione del tolto (risarcimento in forma specifica, 2058 c.c.).
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Al risarcimento è equiparata l’offerta reale non accettata dalla p.o.: in tal caso il
giudice ha margine di discrezionalità in ordine alla congruità dell’offerta di
denaro oggetto dell’offerta.
Risarcimento del danno deve essere volontario, non coartato e deve essere
diretto ad incrementare definitivamente il patrimonio della p.o. quindi
l’imputato non può dire “ti pago ma mi riservo diritto di ripetizione in caso di
esito favorevole dell’impugnazione in sede di legittimità”. Da ultimo si segnala
che il risarcimento deve provenire dall’imputato; può anche essere fornito
dall’ente assicuratore purché vi sia stata partecipazione personale dell’assicurato
es/sollecitazione alla compagnia assicuratrice.
Altra condizione per poter applicare art. 162 ter c.p. è data dall’eliminazione
delle conseguenze dannose o pericolose del reato; sempre che tali conseguenze
ci siano. Se la risposta è affermativa, l’eliminazione di tali conseguenze è
condizione cumulativa con il risarcimento del danno per potersi applicare il 162
ter c.p.
Prevedendo che siano sentite le parti e la p.o., l’art. 162ter c.p. presuppone la
pendenza del giudizio di cognizione (e la presenza delle parti che possono
interloquire sull’esito estintivo) quindi l’istituto non è applicabile in fase
esecutiva.
Al comma 2 l’art. 162ter c.p. si occupa del caso in cui l’imputato dimostri di non
aver potuto provvedere tempestivamente (cioè prima dell’apertura del
dibattimento di primo grado) alla riparazione del danno ed all’eliminazione delle
conseguenze del reato “per fatto a lui non addebitabile”. In tal caso l’imputato
può chiedere la fissazione di un termine ulteriore (fino a 6 mesi) per provvedere
al pagamento, anche rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento. Se il
giudice accoglie l’istanza, dispone la sospensione del processo (con conseguente
sospensione della prescrizione) e impone specifiche prescrizioni.
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autore e vittima del reato. Disciplina contenuta in parte nel c.p. ed in parte nel
c.p.p.
Il provvedimento di sospensione ex art. 168bis c.p. presuppone istanza di parte;
è richiesto il consenso del pm e deve essere sentita la p.o. La sospensione per
map può essere disposta solo se il giudice non deve pronunciare proscioglimento
ex art. 129 c.p.p. questo presuppone un pur sommario accertamento della
responsabilità dell’imputato accertamento che, trovandoci in una fase
antecedente all’apertura del dibattimento, potrà essere compiuto sulla base degli
atti di indagine contenuti nel fascicolo del pm, in analogia con quanto disposto
per il patteggiamento dall’art. 135 disp att c.p.p.
Istituto applicabile ai reati puniti in astratto con la sola pena pecuniaria o con la
pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni Le Sezioni Unite sono
intervenute per precisare che il calcolo del massimo edittale non deve tenere
conto di nessuna circostanza aggravante: argomentazione letterale + voluntas
legis + interpretazione sistematica.
Non possono beneficiare della map il delinquente ed il contravventore abituale o
professione ed il delinquente per tendenza. Può invece beneficiarne il recidivo.
In caso di richiesta map il giudice è tenuto a verificare la corretta qualificazione
giuridica del fatto operata dal pm e, se non la condivide, può modificarla con
tutto ciò che ne consegue sul piano della sussistenza o meno dei presupposti
map.
Il giudice può concedere la map quando (a) reputi idoneo il programma
presentato dall’imputato; (b) ritenga che l’imputato si asterrà dal commettere
ulteriori reati (logica specialpreventiva dell’istituto).
Durata della map non può superare 2 anni se delitto punito con la reclusione ed
1 anno se delitto punito con pena pecuniaria.
La sospensione con map dovrà essere revocata in caso di grave e reiterata
trasgressione al programma di trattamento o delle prescrizioni. Se la map viene
revocata il corso del processo riprende. Qualora all’esito del processo venga
pronunciata sentenza di condanna, nella determinazione della pena da eseguire
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Il perdono giudiziale: art. 169 c.p.; riguarda i soli minori. Il perdono giudiziale,
disposto discrezionalmente dal giudice sulla base della prognosi che il soggetto si
asterrà dal commettere ulteriori reati, può consistere o nell’astensione dal rinvio
a giudizio o nell’astensione dalla pronuncia della condanna. Evidenti
considerazioni di prevenzione speciale: minore che per la prima volta ed in
modo del tutto occasionale ha commesso un illecito non grave si rinuncia a
punire o addirittura si rinuncia al processo per evitare effetto criminogeno.
Il perdono giudiziale presuppone che il minore abbia commesso un fatto
antigiuridico e colpevole, ed infatti al giudice si chiede di quantificare la pena che
andrebbe inflitta nel caso concreto, dovendosi collocare al di sotto del tetto
massimo di 2 anni di pena detentiva o 1549 euro di pena pecuniaria. Attenzione:
nel determinare la pena in concreto il giudice terrà conto anche della
diminuzione prevista per la minore età.
Limiti soggettivi al perdono giudiziale: (a) il minore non deve aver riportato
precedenti condanne a pena detentiva e non deve essere delinquente o
contravventore abituale o professionale; (b) il minore non deve aver già fruito
121
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del perdono (art. 169 co 4 c.p.) requisito mitigato dalla C cost che previsto la
possibilità di concedere il perdono una seconda volta, sempre nel rispetto dei
limiti di pena, se il reato per cui si procede è stato commesso prima della
sentenza di perdono o se è unito dal vincolo della continuazione ad altro reato
per il quale è stato concesso il perdono.
Disciplina comune delle cause di estinzione del reato: autonomia e specificità del
loro campo di applicazione, carattere che si manifesta sia in relazione ai reati ai
quali la causa di estinzione è applicabile, sia in relazione alle persone che ne
possono beneficiare.
Quanto ai reati ai quali la causa di estinzione è applicabile: art. 170 c.p. prevede
che “quando il reato è presupposto di un altro reato (come nella ricettazione), la
causa che lo estingue non si estende all’altro reato”.
Sempre l’art. 170 c.p. prevede al co 2 che “la causa estintiva di un reato che è
elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato, non si estende a
quest’ultimo” es/l’estinzione del furto per amnistia non si estende al delitto di
rapina del quale il furto è elemento costitutivo.
Infine il comma 3 dell’art. 170 c.p. si riferisce alla circostanza aggravante di chi
commette un reato per eseguirne o occultarne un altro (art. 61 n°2 c.p.) e
prevede che “l’estinzione di uno dei due reati non esclude l’applicabilità
dell’aggravante” es/Tizio cagiona lesioni per commettere esercizio arbitrario
delle proprie ragioni l’estinzione di quest’ultimo reato per remissione delle
querela non esclude la configurabilità dell’aggravante.
La stessa logica ricorre nell’art. 151 co 2 c.p. che prevede che “nel concorso di più
reati, l’amnistia si applica ai singoli reati per i quali è conceduta” es/alcuni reati
uniti dal vincolo della continuazione commessi prima della data indicata
nell’amnistia, altri dopo l’amnistia si applicherà ai soli fatti commessi prima
della data indicata.
Quanto invece al profilo delle persone interessate dalla causa estintiva (concorso
di persone nel reato): art. 182 c.p. prevede che “di regola le cause di estinzione
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Pluralità di persone: nei reati soggettivi, alla commissione del fatto deve
concorrere almeno un’altra persona, invece nei reati necessariamente
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plurisoggettivi la persona che concorre si deve aggiungere a quelle già punite con
la fattispecie incriminatrice. Il reato si considera commesso in concorso anche se
taluno dei concorrenti è non imputabile o non punibile tanto si desume dagli
artt. 111 (autoria mediata) e 112 co 4 c.p.
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Contributo causale alla realizzazione del fatto: la condotta del correo deve aver
avuto influenza causale sul fatto tipico concreto realizzato da altri. La necessità
del nesso causale emerge anzitutto (a) dall’art. 116 c.p. che dice “se … è
conseguenza della sua azione od omissione”; inoltre (b) dagli artt. 111 e 112 c.p.
“chi ha determinato a commettere un reato” = determinare significa compiere
azioni che esercitano un influsso causale sulle scelte del comportamento di altri.
Il contributo del correo può consistere in concorso materiale o morale.
Si ha concorso materiale nel reato quando la condotta atipica di aiuto è stata
condizione necessaria per l’esecuzione del reato commesso da altri. Sul terreno
causale non importa che la condotta atipica sia stata in astratto condotta
sostituibile o insostituibile: si tratta di accertare il fatto così come si è verificato
in concreto e quindi tutte le condotte che hanno portato alla commissione di quel
fatto sono state condizioni necessarie del fatto concreto. La distinzione tra
condotte astrattamente sostituibili o insostituibili potrà invece rilevare in punto
di commisurazione della pena.
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Attenzione: è contra legem la tesi che ritiene non necessario che la condotta
atipica abbia causalmente contribuito alla realizzazione del fatto concreto, ma
che ritiene invece sufficiente che la condotta atipica apparisse ex ante idonea ad
aumentare le probabilità di realizzazione del fatto. Aderendo a questa tesi si
arriverebbe infatti a considerare punibili anche condotte che si sono rivelate ex
post ininfluenti (es/chiave inutilizzata) o ancora peggio dannose (complice
maldestro) Eh ma per punire tali condotte il nostro ordinamento dovrebbe
punire, ed invece non punisce, il tentativo di concorso. Sul punto già Carrara
scriveva “si può essere complici di un tentativo, ma il tentativo di partecipazione
non si ammette”.
Concorso morale: condotta di chi fa nascere o rafforza l’altrui proposito
criminoso. Il nesso causale del concorso morale va accertato tramite un duplice
passaggio: (a) istigazione deve far nascere o rafforzare in capo all’istigato il
proposito di commettere un determinato reato; (b) tale reato dev’essere poi
effettivamente commesso desumibile da art. 115 c.p.
L’influenza causale dell’istigazione va accertata in concreto secondo il consueto
schema della condicio sine qua non: accertare, con l’aiuto di leggi psicologiche,
che in assenza della condotta istigatoria l’autore non avrebbe realizzato il fatto di
reato con quelle specifiche modalità.
Rientra senz’altro nello schema del concorso morale l’accordo, cioè la comune
decisione di commettere un reato, alla quale deve seguire la commissione di quel
reato (art. 115 c.p.).
Attenzione: la mera presenza sul luogo del reato non integra alcuna forma di
concorso morale, a meno che non sia accompagnata da una chiara
manifestazione esteriore di adesione al comportamento delittuoso e l’autore ne
abbia tratto motivo di rafforzamento del proposito o rassicurazione. Del pari non
integra concorso morale la connivenza, cioè la consapevolezza che altri sta per
commettere un reato o sta commettendo un reato, senza che si faccia nulla per
impedirlo. In questo caso potrà aversi concorso nel reato solo in forma omissiva
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Attenzione: Corte Edu qualora ritenga che nell’operazione sotto copertura vi sia
stata una vera e propria provocazione dichiara la violazione del diritto all’equo
processo (art. 6 Cedu) con conseguente inutilizzabilità delle prove così acquisite.
Allo stesso modo anche la Corte di Cassazione ha stabilito che si è al di fuori di
una lecita operazione sotto-copertura quando il soggetto indagato sia stato
incitato o indotto a commettere un reato che altrimenti non avrebbe commesso.
Deroga alla necessità del dolo di partecipazione; responsabilità del correo per un
reato diverso da quello voluto: art. 116 c.p. “Qualora il reato commesso sia
diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde se
l’evento è conseguenza della sua azione od omissione” Viene addossato al
correo il reato a titolo di dolo, anche se egli non lo ha voluto, in ragione del nesso
causale tra la sua condotta e l’evento; attenzione, come si è visto questo è ipotesi
di resp oggettiva, che dev’essere corretta: il correo risponderà a titolo di dolo del
reato diverso da quello voluto solo se ha contribuito per colpa alla realizzazione
del medesimo. Responsabilità dolosa mitigata dal co 2 che prevede attenuante se
il delitto realizzato è più grave di quello voluto (“se” ci fa capire che il reato
diverso può essere anche meno grave di quello voluto).
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fatto ne avesse già il legittimo possesso per ragioni del suo ufficio o servizio. Se
invece il possesso è conseguenza di una condotta illecita del reo, come nel caso
dell’estraneo che sottrae il denaro contenuto nella cassaforte, ricorrerà
un’ipotesi di furto aggravato.
Si segnala peraltro che la soluzione appena esposta è comunque condivisa dalla
giurisprudenza nel caso di reato proprio di mano propria, che può essere
commesso solo dall’intraneus (es/incesto).
Ad ogni modo, di regola, per potersi avere concorso nel reato proprio occorre
che il dolo del partecipe abbracci anche la qualifica rivestita dall’intraneus. A
questa regola deroga l’art. 117 c.p. che prevede “mutamento del titolo di reato
per taluno dei concorrenti”: nelle ipotesi in cui la qualità dell’intraneus comporti
mutamento del titolo di reato, e dunque accanto al reato proprio sia prevista una
fattispecie comune corrispondente (si parla di reato proprio semi-esclusivo),
l’extranues che non si sia rappresentato la qualifica dell’intraneus risponde
comunque di concorso nel reato proprio ipotesi di resp oggettiva che va riletta
alla luce del criterio della colpa (in concreto, cioè la normale colpa): 117 c.p.
opera sola se la mancata rappresentazione della qualifica soggettiva
dell’extraneus sia stata determinata da colpa dell’intraneus. Anche in questo
caso, nonostante il correttivo della colpa, c’è lo stesso problema del 116 c.p. in
relazione al rapporto tra misura della pena e grado della colpevolezza
problema a che non può dirsi superato dalla concessione facoltativa
dell’attenuante che il giudice può concedere all’extraneus (a differenza del 116
c.p. qui l’attenuante è facoltativa; questo si spiega per la minore divergenza tra
voluto e realizzato nel 117 rispetto al 116 c.p.).
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con la voluntas legis (controlla negli appunti di magistratura) (es/non sarà mai
punibile il soggetto passivo del delitto di usura, quand’anche abbia istigato
l’usuraio a prestargli i soldi).
Concorso di persone nei reati associativi: taluno nega che sia possibile ed
afferma che di un reato associativo può rispondere solo colui che partecipa
all’associazione. Tesi che però non convince: può concorrere in un reato
associativo il soggetto che non è parte integrante dell’associazione ma ne agevola
senz’altro l’esistenza. Si parla appunto di concorso esterno nel reato associativo;
ovviamente il concorrente esterno si deve rappresentare che la sua condotta
avrà quest’efficacia agevolatrice per l’associazione e deve essere a conoscenza
delle finalità alle quali l’associazione è rivolta (n.b.: le SU escludono che possa
configurarsi concorso esterno a titolo di dolo eventuale). Argomento a sostegno
dell’ammissibilità del concorso esterno: norme che puniscono l’assistenza ai
partecipi di banda armata e l’assistenza ai partecipi di associazione per
delinquere o mafiosa entrambe le figure si aprono con la clausola di riserva
“fuori dai casi di concorso nel reato” (n.b.: si applicherà il reato dell’assistenza a
meno che l’associato aiutato non abbia un peso e ruolo tale nella vita
dell’associazione da comportare che in realtà l’aiuto sia diretto all’associazione in
sé).
Differenza tra concorso esterno in mafia e singolo delitto aggravato
dall’agevolazione mafiosa: solo il concorrente esterno ha un rapporto effettivo e
strutturale con il gruppo, del quale conosce appieno natura e funzione proprio
per questo il concorrente esterno coglie l’assoluta funzionalità del proprio
intervento, anche quando unico, alla sopravvivenza o vitalità dell’associazione.
Invece nei reato circostanziato l’utilità dell’intervento può essere valutata
astrattamente anche solo da uno degli agenti, senza estensione ai componenti del
gruppo ed è del tutto estemporanea e fungibile rispetto all’attività delinquenziale
programmata e soprattutto non produttiva di effetti di concreta agevolazione.
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Il trattamento sanzionatorio dei concorrenti nel reato: ai sensi dell’art. 110 c.p.
“quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace
alla pena per questo stabilita” (modello unitario di concorso il legislatore non
ha distinto tra autore ed ideatore in punto di cornice edittale). In ogni caso la
pena del singolo correo andrà graduata ex art. 133 c.p.
Una volta determinata la pena base per ciascuno dei concorrenti, il giudice dovrà
valutare se ci sono circostanze del reato (111, 122, 114 c.p. o circostanze comuni
artt. 61, 62 e 62 bis c.p. o circostanze speciali). Tra le aggravanti spiccano gli artt.
111 e 112 c.p., tra le attenuanti invece l’art. 114 co 3 c.p. Esiste poi l’attenuante
del 114 co 1 c.p. nel caso in cui la condotta del correo abbia avuto una minima
importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato (praticamente mai
usata) per espressa previsione normativa comunque il 114 co 1 c.p. non può
considerarsi di minima importanza il contributo causale di chi si sia avvalso delle
condizioni di vulnerabilità dell’autore del fatto previste dall’art. 112 co 1 n° 3 e 4
c.p.
Comunicabilità delle circostanze agli altri correi: art. 118 c.p. “le circostanze che
aggravano o diminuiscono le pene concernenti (a) i motivi a delinquere (b)
l’intensità del dolo (c) il grado della colpa (d) le circostanze inerenti la persona
del colpevole (imputabilità e recidiva) sono valutate soltanto riguardo alla
persona cui si riferiscono”.
Le SU hanno di recente affermato che l’aggravante agevolatrice dell’associazione
mafiosa “si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato dal tale
scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe”
è quindi necessario dolo diretto.
Circostanze non disciplinate dall’art. 118 c.p.: si applicano le regole previste in
generale dal 59 c.p. Ne segue tra l’altro che recesso attivo (56 co 4 c.p.) risulta
applicabile a tutti i concorrenti, quindi anche a chi non ha dato un volontario
contributo all’impedimento dell’evento.
Desistenza volontaria e recesso attivo nel concorso di persone
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Concorso di persone nelle contravvenzioni: pacifico che il 110 c.p. si applichi alle
contravvenzioni necessariamente dolose ed a quelle in concreto commesse con
dolo.
Parte della dottrina dubita che 110 c.p. possa invece applicarsi quando concorso
colposo nelle contravvenzioni colpose. Argomentazione: art 113 c.p. fa
riferimento solo alla cooperazione nel delitto colposo.
Giuri maggioritaria ritiene 110 c.p. applicabile anche al concorso colposo nelle
contravvenzioni colpose. Argomentazioni: (a) art. 113 c.p. era necessario perché
quando si tratta di delitti la colpa deve essere espressamente prevista dalla
legge; invece per il concorso nelle contravvenzioni colpose una norma di tal fatta
non era necessaria, perché la contravv possono di regola essere realizzate
indifferentemente sia per dolo che per colpa; (b) la rilevanza del concorso
colposo nelle contravvenzioni si ricava dallo stesso art. 110 c.p. posto che parla
di concorso nel “reato” e quindi abbraccia anche le contravvenzioni
necessariamente colpose e quelle in concreto commesse per colpa.
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invece la Cassazione ha aderito alla tesi del no. A sostegno della tesi del no le
argomentazioni sono: (a) combinato disposto degli artt. 42 e 113 c.p. Ai sensi
dell’art. 42 c.p. la responsabilità a titolo di colpa deve essere espressamente
prevista dalla legge. Quindi posto che per punire chi ha concorso colposamente,
qui manca l’espressa previsione, perché l’art. 113 c.p. conosce l’ipotesi della
cooperazione colposa nel delitto colposo. Se il 113 c.p. avesse detto concorso
colposo nel delitto doloso o colposo le cose sarebbero state diverse, ma siccome
così non è la norma de qua non può applicarsi al concorso colposo nel delitto
doloso. Immaginare in questo quadro un concorso colposo nel delitto doloso
equivarrebbe ad analogia in malam partem e dunque vietata. (b) Quando il
legislatore ha voluto punire chi per colpa agevola la commissione del delitto
doloso, lo ha fatto con norme ad hoc artt. 254, 259, 350 c.p. (il 350 c.p. un tempo;
oggi invece è illecito amministrativo). In tutti questi casi la legge ha sentito
l’esigenza di introdurre una norma apposita per punire chi colposamente
agevola la commissione di un delitto doloso. Queste norme dimostrano dunque
che solo in questi casi è possibile punire chi colposamente concorre alla
commissione di un delitto doloso. (c) Mancherebbe o comunque sarebbe
difficilmente immaginabile il collegamento soggettivo che ci consente di
distinguere le fattispecie concorsuali dalle ipotesi di cui all’art. 41 co 3 c.p.
(concorso di cause indipendenti). Sia quando parliamo di cooperazione colposa
sia quando parliamo di concorso doloso nel delitto doloso chiediamo sempre
collegamento psicologico e dunque che il soggetto si rappresenti di agire con
altri. Questo collegamento è difficilmente immaginabile nel caso di concorso
colposo nel delitto doloso, perché se mi devo immaginare di agire con altri
probabilmente sono in dolo. Cioè es/se mi devo rappresentare che il veleno che sto
vendendo servirà per omicidio, sicuramente sono in dolo. (d) Il fatto doloso altrui
si potrebbe configurare come fattore interruttivo della causalità, cioè ben si
potrebbe dire che quando l’autore materiale decide di commettere quel delitto e
lo commette, la commissione di quel delitto colposo rappresenta interruzione del
nesso causale tra la condotta sorretta da colpa e l’evento doloso che poi si va a
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verificare. In altre parole ben si potrebbe dire che dal punto di vista del soggetto
che ha posto in essere la condotta colposa la successiva condotta dolosa posta in
essere dall’autore materiale rappresenta un fattore causale sopravvenuto
interruttivo del nesso di causalità (art. 41 co 2 c.p.). (f) Si invoca poi il principio
di affidamento: il concorso colposo nel delitto doloso è strutturalmente
incompatibile con il principio di affidamento, altrimenti il soggetto dovrebbe
preoccuparsi anche che le sue condotte non forniscano spunti per commettere
dei fatti colposi o dolosi. Posto che non è ammesso il concorso colposo nel
delitto doloso, ciò non vuol dire che questi soggetti che hanno posto in essere
condotte sorrette da colpa non possono essere puniti, perché se il reato che entra
in gioco è d’evento e a forma libera è evidente che rispondono a titolo
monosoggettivo (art. 41 co 3 c.p.). Quindi la tesi del no comporta conseguenze
drasticamente diverse rispetto alla tesi del sì nei reati di mera condotta ed a
forma vincolata. È evidente che in questi casi chi non pone in essere la condotta
descritta dalla norma non può essere punito e dunque in relazione a questi reati
se non è ammesso il concorso colposo nel delitto doloso i contributi causali
colposi non verranno puniti.
Seconda tesi: ammesso concorso colposo nel delitto doloso. La tesi del sì in
parte critica alcuni argomenti della tesi del no. Ad esempio (a) l’art. 42 c.p.
non è violato, perché si riferisce alle singole fattispecie di parte speciale e non
anche a quelle norme che estendono l’area della punibilità, come fa il concorso di
persone nel reato. (b) L’obiezione del 113 c.p. si supera con il principio in forza
del quale non c’è dolo senza colpa. Cioè: anche il dolo al pari della colpa richiede
la violazione di regola cautelare. Nel più è contenuto il meno. Quindi se è
ammesso il concorso colposo in un delitto colposo, a maggior ragione deve
essere ammesso il concorso colposo nel delitto doloso. (c) Le agevolazioni
colpose non è vero che sono argomento a sostegno della tesi del no, perché il
legislatore qui ha previsto questi reati perché le fattispecie agevolate non sono
previste a titolo di colpa. Il problema del concorso colposo nel delitto doloso si
pone solo quando quel delitto è punito sia a titolo di dolo che a titolo di colpa.
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Quindi non possiamo dire che da quelle norme si desume che solo in quei casi è
possibile punire il concorso colposo nel delitto doloso. (d) Artt. 116 e 117 c.p.
conoscono ipotesi di concorso con elemento soggettivo differenziato. (e) Se
ammettiamo il concorso doloso nel delitto colposo perché non dobbiamo
ammettere il concorso colposo nel delitto doloso? La tesi dei sì ammette il
concorso colposo nel delitto doloso a condizione che la regola cautelare violata
sia finalizzata ad evitare la commissione di quel reato.
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Ipotesi tacite di antefatto non punibile: in questo caso possono essere motivate
(o) in ragione del principio di sussidiarietà (es/se Tizio prima percuote Caio e
poi, a seguito di una sopravvenuta e nuova decisione, lo ferisce cagionandogli
una malattia, risponderà solo del delitto di lesioni. Stessa cosa se alle lesioni
segue, alle condizioni appena descritte, un omicidio) (o) in ragione del principio
di consunzione (es/la Cassazione ha escluso il reato di furto quando a questo sia
seguito il reato di soppressione, distruzione e occultamento di atti pubblici veri
nel caso in cui i due fatti siano avvenuti in contestualità cronologica ed il fine
dell’agente fosse sin da principio quello di eliminare il documento).
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l’autore (o) consegue i vantaggi perseguiti attraverso il primo fatto (455 c.p.) (o)
ne mette al sicuro i risultati (favoreggiamento personale e reale).
Ipotesi tacite di postfatto non punibile: tutte le volte in cui il reato susseguente
rappresenta un normale sviluppo della condotta precedente, con il quale l’agente
consolida i vantaggi derivanti dal primo reato es/risponde solo di furto il
soggetto che dopo aver sottratto la cosa si comporti da proprietario e quindi la
venda o la distrugga; non risponderà quindi di appropriazione indebita né di
danneggiamento in caso la cosa sia di interesse storico o artistico.
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IL CONCORSO DI REATI
Unità o pluralità di reati: escludere il concorso apparente di norme non basta per
affermare che, in presenza di una pluralità di azioni, ci si trova innanzi ad un
concorso di reati. La soluzione al quesito (sono davvero più reati?) va cercata sul
terreno normativo, attraverso l’esame e l’interpretazione delle norme
incriminatrici.
Accade anzitutto non di rado che sia la stessa norma incriminatrice ad esigere il
compimento di più azioni es/furto= prima sottrazione poi impossessamento;
anche nei reati abituali sono necessarie più condotte reiterate nel tempo
es/maltrattamenti contro familiari e conviventi.
Ci sono poi figure di reato che non richiedono necessariamente una pluralità di
azioni, ma che possono essere integrati attraverso una pluralità di atti
es/partecipazione ad una rissa sia che il soggetto si limiti a compiere un solo atto
di colluttazione fisica, sia nel caso in cui compia una serie di atti violenti nei
confronti di uno o più corrissanti. Es2/si ha un unico fatto di corruzione di
minorenni sia che venga compiuto un unico atto sessuale, sia che vengano
compiuti più atti sessuali in presenza di persona minore di anni 14 al fine di farla
assistere. Es3/anche sequestro di persona (reato permanente) può essere
realizzato con più atti nell’ipotesi in cui il sequestratore dopo l’inziale
trasferimento coatto della vittima in una casa di campagna la sposti, magari più
volte, in altre prigioni.
Infine si ha un unico reato quando ci si trovi in presenza di più azioni, tutte
integranti il modello legale di un medesimo fatto di reato, poste in essere
contestualmente e nei confronti di un’unica persona offesa es/Tizio compie un
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Escluso che ci si ritrovi innanzi ad un unico reato e che c’è invece concorso di
reati, occorre distinguere tra concorso formale e materiale di reati.
Concorso formale di reati (art. 81 co 1 c.p.): commissione di più reati con una
sola azione od omissione. Il concorso formale di reati può poi essere omogeneo
se quell’unica azione viola più volte la medesima norma incriminatrice, oppure
eterogeneo quando quell’azione viola due o più norme incriminatrici. Attenzione:
non si dimentichi che “unica azione” può aversi sia quando c’è un solo atto, sia
quando l’agente tiene una pluralità di atti in un unico contesto spazio-temporale.
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Nei reati omissivi propri: es/concorso formale omogeneo dei delitti di omissione
di soccorso nel caso in cui taluno, al parco, pur vedendo un bimbo di tre anni
piangente e privo di accompagnatore e vedendo nei pressi del bambino una
donna riversa al suolo gravemente ferita (verosimilmente la madre) decida
scientemente, per non avere fastidi, di non avvisare l’autorità perché prenda in
custodia il bimbo e di non chiamare l’ambulanza perché soccorra la donna ferita.
Es2/concorso formale eterogeneo tra omissione di soccorso e omessa denuncia
di reato da parte di un pubblico ufficiale, il poliziotto che pattugliando una via
cittadina scorga una persona gravemente ferita con un pugnale ancora conficcato
in una spalla e, incurante dei suoi doveri, ometta sia di prestare soccorso
chiamando l’ambulanza, sia di riferire l’accaduto ai suoi superiori.
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Ci sono però opinioni differenti riguardo al come operare il cumulo giuridico tra
pene di genere diverso:
Secondo un primo indirizzo = cumulo giuridico per assimilazione, nel senso che
per cumulo giuridico anche i reati satellite puniti con pena detentiva devono
essere convertiti ex lege in una corrispondente quota di pena pecuniaria (criterio
di ragguaglio del 135 c.p.)- Obiezione: commutare la pena pecuniaria in pena
detentiva viola la legge ed in particolare viola l’art. 81 n°3 c.p. perché si
imporrebbe una pena qualitativamente più grave di quella che sarebbe derivata
al reo dal cumulo materiale.
Abbandonato il requisito del cumulo per assimilazione sono state prospettate
due strade.
Una prima strada: criterio dell’addizione = il giudice deve aggiungere alla pena
detentiva quantificata per il reato più grave una pena pecuniaria per il reato
satellite, la cui misura non potrà superare il limite del triplo della pena base (art.
81 co 1 c.p.) quindi il criterio di ragguaglio del 135 servirà solo per acertare
che tale limite non sia superato.
Seconda strada, accolta da recente pronuncia Sezioni Unite: criterio della
moltiplicazione = l’aumento per il reato satellite deve effettuarsi dapprima sub
specie di pena detentiva, sulla pena detentiva prevista per il reato base, e poi in
seconda battuta tale aumento di pena deve essere ragguagliato in pena
pecuniaria ex art. 135 c.p.
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Disciplina del reato continuato: i reati uniti dal vincolo della continuazione si
considerano unificati (a) ai fini della pena principale (b) ai fini della sospensione
condizionale della pena il giudice terrà in considerazione la pena considerata
unitariamente; ribadito anche all’art. 673 c.p.p. sulla continuazione applicata dal
giudice dell’esecuzione, che in tale sede deve rideterminare la pena e, se ne
sussistono i presupposti, sospenderne condizionalmente l’esecuzione; (c)
dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato per i quali la
considerazione unitaria del reato continuato è a favore dell’agente (logica
propria della continuazione, quella del favor rei).
Considerazione unitaria del reato a partire dal 1 gennaio 2020 (cioè l. 3/2019
che ha ripristinato lo status quo ante legge ex Cirielli 2005) anche in punto di
prescrizione del reato.
Al di fuori di queste ipotesi, i reati avvinti dal vincolo della continuazione si
considerano distinti, ed in particolare (a) amnistia propria ed impropria = da
verificarsi in relazione ad ogni singolo reato; (b) indulto = da verificarsi in
relazione ad ogni singolo reato; (c) imputabilità; (d) misure di sicurezza; (e)
concorso di persone nel reato; (f) circostanze del reato; (g) pene accessorie = si
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ha riguardo alle pene principali di ciascuno dei reati in continuazione (es/p. 616
MD).
Ergastolo: previsto per alcuni delitti contro la personalità dello Stato, contro
l’incolumità pubblica e contro la vita. In caso di concorso di reati ex art. 73 co 2
c.p. l’ergastolo si applica anche quando concorrono più delitti per ciascuno dei
quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a 24 anni.
Prima di una recente riforma, l’ambito applicativo dell’ergastolo veniva
fortemente ridotto dalla disciplina del rito abbreviato. L’abbreviato escludeva
infatti la pena dell’ergastolo, alla quale era sostituita la pena dei 30 anni di
reclusione opinione pubblica ha ritenuto eccessiva questa riduzione di pena e
quindi la l. 33/2019 ha reso inapplicabile il giudizio abbreviato ai delitti puniti
con la pena dell’ergastolo.
La pena dell’ergastolo nasce come pena perpetua, tuttavia già l’art. 176 co 3 c.p.
erode questo carattere prevedendo per il condannato all’ergastolo la possibilità
di essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato 26 anni
di pena. Termine che può essere ulteriormente abbreviato per effetto della
liberazione anticipata (l.a.). Inoltre dopo l’espiazione di almeno 10 anni di pena il
condannato può essere ammesso ai permessi premio e dopo 20 anni alla
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semilibertà anche per l’accesso a questi istituti si terrà conto della l.a.
eventualmente maturata (tutti gli istituti ora nominati verranno approfonditi
nella parte dedicata all’esecuzione della pena).
Tutto quanto appena esposto trova deroga nelle ipotesi di ergastolo ostativo,
previsto quando il reo sia stato condannato per uno dei delitti di cui all’art. 4 bis
ord penit e non collabori con la giustizia, né si trovi in una situazione in cui tale
collaborazione sia irrilevante o impossibile. Tali condannati sono esclusi dal
lavoro esterno, dai permessi premio, dalle misura alternative alla detenzione
(mad) e dalla liberazione condizionale.
È possibile isolamento diurno, che ha natura sanzionatoria e riguarda il
condannato per più delitti ciascuno dei quali puniti con l’ergastolo (isolamento
da 6 mesi a 3 anni) ovvero un delitto punito con l’ergastolo in concorso con uno o
più delitti puniti in concreto con pena detentiva fino a 5 anni (isolamento da 2 a
6 mesi). Comunque l’isolamento diurno lascia aperta la partecipazione del
detenuto ad attività lavorative, di istruzione o di formazione.
Quanto ai problemi di legittimità costituzionale dell’ergastolo, la Corte Costit ha
sempre respinto questioni di costituzionalità fondate sul principio di
rieducazione del condannato (27 co 3 Cost), sia perché la rieducazione non è il
fine unico della pena, sia perché la liberazione condizionale erode la perpetuità
della pena.
La Corte Cost si è poi pronunciata sull’ergastolo ostativo e lo ha ritenuto
legittimo perché questo, facendo salve le ipotesi di collaborazione impossibili,
irrilevante o comunque oggettivamente inesigibile esclude l’automatismo
dell’ergastolo ostativo, che trova applicazione solo quando la mancata
collaborazione è frutto di una libera scelta del condannato. Critica M-D: non è
detto che il condannato che non collabora non abbia ripudiato pienamente e
definitivamente la vita criminale e quindi in quest’ipotesi l’ergastolo ostativo è
incompatibile con il principio della rieducazione.
Nel 2019 la Corte Edu con la sentenza Viola c. Italia si è pronunciata
sull’ergastolo ostativo ed ha condannato l’Italia per violazione del principio di
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umanità della pena (art. 3 Cedu), che abbraccia anche il principio della
risocializzazione, in ragione del fatto che si tratta di una pena non riducibile. La
Corte Edu ha ritenuto priva di fondamento la presunzione per la quale difetto di
collaborazione significa persistenza della pericolosità sociale del condannato. La
sentenza Viola ha dunque chiesto allo Stato italiano di adottare misure generali
idonee ad evitare ulteriori analoghe violazioni dell’art. 3 Cedu; auspica quindi
una riforma del regime dell’ergastolo, che garantisca la possibilità di un riesame
della pena.
Nello stesso anno (2019) la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionalità
dell’art. 4 bis ord penit nella parte in cui non prevedeva per i detenuti la
possibilità di fruire di permessi premio pur in assenza di collaborazione con la
giustizia allorchè siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità dei
collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo
del ripristino di tali collegamenti.
Ulteriore questione di legittimità costituzionale ha investito il carattere fisso
dell’ergastolo. Sul punto la Corte Costit ha affermato che in linea di principio tali
previsioni sanzionatorie fisse non appaiono in armonia con il volto costituzionale
del sistema penale; il dubbio di legittimità costit potrà essere superato caso per
caso a condizione che per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della
sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente proporzionata rispetto
all’intera gamme dei comportamenti riconducibili allo specifico reato. Questo
stesso ragionamento è stato utilizzato dalla Corte Costit che ha dichiarato
l’illegittimità di una comminatoria di pene accessorie in misura fissa.
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Multa (art. 24 c.p.) e ammenda (art. 26 c.p.): la Corte Costit ha negato qualsiasi
contrasto tra l’applicazione di pena pecuniaria ed il principio di rieducazione del
condannato, affermando che non si può escludere che la pena pecuniaria possa
adempiere una funzione rieducativa, nella forma dell’intimidazione-
ammonimento.
Limiti invalicabili per il giudice in sede di commisurazione della pena (anche in
caso di riduzione di pena per patteggiamento). Multa (art. 24 co 1 c.p.): può
spaziare da minimo 50 euro a massimo 50mila euro. Ammenda (art. 26 co 1 c.p.):
può spaziare da minimo 20 euro a massimo 10mila euro. Anche in questo caso
art. 132 co 2 c.p. prevede che limite minimo e massimo possono essere derogati
dal giudice nei soli casi espressamente previsti dalla legge (es/facoltà di
diminuzione della pena ex art. 133 bis c.p.). Invece i limiti de quibus non
vincolano il legislatore (es/art. 24 co 2 c.p.: per i delitti determinati da motivi di
lucro, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice può
aggiungere la multa da euro 50 a euro 25mila attenzione lucro non è profitto e
quindi non vi rientrano i vantaggi non patrimoniali. Comunque nota bene: si
tratta di disposizione praticamente caduta in desuetudine).
Multa e ammenda possono essere pagate in rate mensili; il giudice lo può
concedere al condannato in ragione delle sue condizioni economiche (art. 133
ter c.p.). rateizzazione concedibili (a) al non abbiente; (b) a chi si trovi in
temporanee difficoltà di pagamento e non solo nel caso di totale impossibilità di
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Ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva: art. 135 c.p. dispone che
quando per qualsiasi effetto giuridico (es/reato continuato con pene di specie
diversa; es2/art. 2 co 3 c.p.) si deve eseguire un ragguaglio tra pene pecuniarie e
pene detentive, 250 euro (o frazione) = 1 giorno di pena detentiva.
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mesi; (b) libertà controllata (pena detentiva fino ad 1 anno); (c) semidetenzione
(pena detentiva fino a 2 anni).
L’art. 59 l. 689/1981 prevede poi limiti soggettivi all’applicabilità delle pene
sostitutive: non può accedervi chi sia stato condannato ad oltre 3 anni di
reclusione nei cinque anni precedenti alla nuova condanna.
Semidetenzione: art. 55 l. 689/1981 consiste nell’obbligo di trascorrere almeno
10 ore al giorno in un apposito istituto penitenziario + sospensione della patente
di guida e ritiro del passaporto nonché sospensione di tutti i documenti validi
per l’espatrio.
Libertà controllata: art. 56 l. 689/1981 consiste in una limitazione della libertà di
circolazione del soggetto + sospensione della patente di guida e ritiro del
passaporto nonché sospensione di tutti i documenti validi per l’espatrio +
obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno presso il locale ufficio di
pubblica sicurezza.
Finalità di semidetenzione e libertà controllata è la non desocializzazione del
condannato; effetto tipico invece delle pene detentive brevi.
Tanto la liberà controllata quanto la semidetenzione possono essere sospese
(sospensione della pena), sia se applicate ex officio sia se applicate in sede di
patteggiamento confermato da tenore letterale dell’art. 444 co 3 c.p.p. e da art.
57 co 1 e 2 l. 689/1981.
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Esecuzione delle pene accessorie: ai sensi dell’art. 139 c.p. “nel computo delle
pene accessorie temporanee non si tiene conto del tempo in cui il condannato
sconta la pena detentiva, o è sottoposto a misura di sicurezza detentiva, né del
tempo in cui egli si è sottratto volontariamente alla esecuzione della pena o della
misura di sicurezza”. Portata dell’art. 139 c.p. volta ad escludere che il tempo
dell’esecuzione della pena principale (o della misura di sicurezza) si computi
nella durata della pena accessoria temporanea. Eccezione prevista dalla legge: ai
sensi dell’art. 32 co 3 c.p. l’interdizione legale e la sospensione dall’esercizio della
responsabilità genitoriale si eseguono durante l’esecuzione della pena principale.
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politico-criminali di tali pene (b) identità del bene offeso, sia che il delitto giunga
a consumazione, sia che si arresti allo stadio del tentativo.
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Criteri fattuali di commisurazione della pena ex art. 133 c.p.: (a) gravità del
reato; (b) capacità a delinquere del reo.
Gravità del reato: è la gravità del singolo episodio criminoso, che deve essere
valutata tenendo conto di (i) modalità dell’azione = circostanze di tempo e luogo
che, diverse dal normale, abbiano conferito al fatto una connotazione particolare
(es/nel reato permanente, la durata della condotta); (ii) gravità del danno o del
pericolo cagionato alla persona offesa = riferito solo alla gravità dell’offesa, e non
anche ad altre conseguenze dannose della condotta, né tantomeno al danno
civilistico; (iii) intensità del dolo = occorre valutare rappresentazione
dell’evento, e quindi se è stato lo scopo dell’agente ovvero uno sbocco certo o
possibile della condotta + il grado di complessità della deliberazione criminosa,
che quindi deve tener conto del lasso di tempo in cui si è formato il processo
volitivo + consapevolezza del soggetto dell’antigiuridicità e/o antisocialità del
fatto; (iv) grado della colpa = identifica la misura in cui il soggetto si è discostato
dal modello di comportamento richiesto in generale dall’ordinamento per quel
tipo di attività + giurisprudenza ritiene che anche il concorso di colpa della
vittima possa attenuare la colpa dell’agente.
Capacità a delinquere del reo. Anzitutto va precisato che la capacità a delinquere
“guarda al futuro” (lo impone 27 co 3 Cost), nel senso che è un giudizio
prognostico sulla futura condotta del reo e non un giudizio basato sul fatto già
commesso. Capacità a delinquere desunta da (i) motivi a delinquere e carattere
del reo = in merito ai motivi a delinquere occorre valutarne l’intensità, l’idoneità
a permanere nel tempo; invece carattere del reo implica una valutazione
complessiva della personalità dell’agente (es/capacità di autocontrollo, stabilità
emotiva, senso di realtà); (ii) condizioni di vita individuale, familiare e sociale del
reo = in questo modo la commisurazione della pena tiene conto dei fatto socio-
ambientali di criminogenesi; (iii) precedenti penali e giudiziali ed in generale vita
precedente del reo = ruolo certo non marginale nella prassi; (iv) condotta
contemporanea e susseguente al reato = per quanto riguarda la condotta
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Criteri finalistici di commisurazione della pena: a quale fine deve tenere la pena
che il giudice decide di irrogare? In assenza di una previsione normativa,
indicazioni vincolanti per il giudice sono rinvenibili in Costituzione: rieducazione
del condannato (27 co 3) entro i limiti della colpevolezza del singolo fatto
concreto, quindi no pene esemplari (27 co 1), nel rispetto della dignità della
persona (3 co 1) e nel divieto della responsabilità per fatto altrui (27 co 1).
C’è un ordine che il giudice deve seguire tra i criteri di commisurazione della
pena? Anche a questa domanda risponde art. 27 co 1 Cost.: principio costit di
colpevolezza vale ad attribuire posizione preminente agli indici di colpevolezza e
quindi intensità del dolo e grado della colpa. Sempre in virtù del principio di
colpevolezza il giudice dovrebbe valutare la gravità del reato all’interno dei limiti
della colpevolezza e quindi escludere qualsiasi componente incolpevole del fatto.
Inoltre dal 27 co 3 Cost (rieducazione della pena) sembra potersi trarre la
conclusione che la capacità a delinquere del reo non può essere utilizzata per
fondare l’applicazione di una pena eccedente rispetto alla gravità del fatto
colpevole, ma solo suggerire invece l’applicazione di una pena inferiore.
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Procedimento per decreto (decreto penale di condanna art. 459 ss. c.p.p.): per i
soli reati punibili in concreto con pena pecuniaria, anche se inflitta in
sostituzione di pena detentiva. In questi casi il pm può chiedere che la pena sia
diminuita fino alla metà del minimo edittale (an e quantum della diminuzione
sono affidati ogni volta alla discrezionalità del pm). Il giudice o accoglie in toto la
richiesta del pm o la rigetta. Se accoglie la richiesta il giudice è tenuto ad
esplicitare, nel decreto di condanna, sia l’entità della diminuzione di pena al di
sotto del minimo edittale, sia le ragioni che hanno determinato tale diminuzione
(art. 460 c.p.p.) scopo è rendere evidente all’imputato che gli è stato applicato
un trattamento di favore e quindi scoraggiarlo dall’instaurare il dibattimento. Se
ciò nonostante l’imputato propone opposizione, il giudice può applicare una
pena diversa ed anche più grave di quella fissata nel decreto di condanna e
revocare benefici già concessi (art. 464 co 4 c.p.p.).
Istituto che risponde a logiche di mera economia processuale.
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ostacolo ad un’attiva partecipazione sociale. Infine sono stati introdotti gli istituti
dell’affidamento in prova, della semilibertà, la detenzione domiciliare, i permessi
premio e la sospensione dell’esecuzione delle pene detentive.
In merito alla sospensione dell’esecuzione delle pene detentive fino a 4 anni
(limite innalzato da Corte Cost 2018) deve osservarsi quanto segue. Ai sensi
dell’art. 656 co 5 c.p.p., nel momento in cui la condanna diviene definitiva, il pm
contestualmente all’ordine di esecuzione della pena ne dispone la sospensione, a
meno che (a) condannato sia in custodia cautelare in carcere; (b) sia stata
condannato per delitti di cui all’art. 4 bis ord penit o (c) per alcuni delitti indicati
dal comma 9 dell’art. 656 c.p.p.
Se non ricorrono le condizioni ostative appena elencate, il pm dispone che
l’esecuzione della pena rimanga sospesa fino a 3 anni (o 6 se si tratta di reati
commessi in stato di tossicodipendenza).
Con dlgs 121/2018 è stata introdotta una disciplina organica dell’esecuzione
della pena nei confronti dei minorenni, ove ruolo prioritario è attribuito a misure
non detentive.
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Rilevanti restrizioni per accesso alle m.a.d. prevista nei confronti del recidivo
reiterato (99 co 4 c.p.) nonché per i condannati ex art. 4 ord penit.
Altra misura alternativa alla detenzione prevista per lo straniero privo di
permesso di soggiorno: se deve scontare pena non superiore a due anni (sia pena
originaria, sia pena residua), può essere disposta l’espulsione a titolo di m.a.d.
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decisione in merito alla pena detentiva residua da espiare, tenuto conto della
durata delle limitazioni patita dal condannato e del suo comportamento durante
il periodo trascorso in affidamento in prova.
Se la prova ha esito positivo la pena si estingue e viene meno ogni effetto penale
della condanna, ad eccezione delle pene accessorie perpetue.
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Prima ipotesi: condannato alla pena della reclusione che abbia compiuto 70 anni
purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per
tendenza né sia mai stato condannato con l’aggravante della recidiva in qualsiasi
forma. Non può comunque beneficiare di questa misura chi sia stato condannato
per alcuni gravissimi reati indicati dall’art. 51 co 3 bis c.p.p. e dall’art. 4 bis o.p.
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Esecuzione della pena detentiva presso il domicilio: si tratta di due misure simili
alla detenzione domiciliare. La prima è stata adottata nel 2010 per far fronte al
sovraffolamento carcerario e la seconda ha tenuto conto sia del sovraffolamento
carcerario che dell’epidemia Covid-19.
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Nel 2010 legge svuotacarceri, fruibile da chi debba scontare 18 mesi di pena
detentiva, anche come pena residua. Ulteriori requisiti: (a) non condannato a
delitti art. 4 bis ord penit.; (b) no delinquente abituale, professionale o per
tendenza; (c) no pericolo di fuga o di commissione di altri delitti; (d) necessario
un domicilio idoneo ed effettivo.
Si tratta di ipotesi in cui non può trovare applicazione la sospensione condizione
della pena, né una pena sostitutiva, né una m.a.d. + in caso di soggetto che si
trova in carcere non è applicabile la liberazione condizionale ex art 176 c.p.
Quindi il legislatore del 2010 si proponeva di evitare il carcere o comunque
l’espiazione totale in carcere della pena a soggetti che non di rado presentano il
carattere del plurirecidivo, ovvero del tossicodipendente o dell’alcoldipendente.
All’esecuzione della pena presso il domicilio si può accedere sia dallo stato di
libertà che dallo stato di detenzione. Competente a disporre la misura è il
magistrato di sorveglianza; se si tratta di detenuto la decisione dovrà tener conto
anche di una relazione della direzione dell’istituto penitenziario.
Allontanamento dal domicilio punito a titolo di evasione, quale che sia la durata
dell’assenza del domicilio.
Nel 2020 l. 27 ha introdotto all’art. 123 una nuova misura temporanea, destinata
ad essere applicata fino al 30 giugno 2020. Anche in questo caso il limite di pena
da poter scontare al domicilio è 18 mesi. Valgono le stesse preclusioni soggettive
della l. svuotacarceri + (a) sanzione disciplinare per sommosse o disordini in
carcere; (b) rapporto disciplinare per sommosse o disordini in carcere
verificatesi a partire dal 7 marzo 2020; (c) condannato per maltrattamenti
contro familiari o conviventi o per atti persecutori. NON è stata invece ribadita
l’esclusione della misura per i casi in cui si accerti il pericolo che il condannato si
dia alla fuga o commetta altri delitti.
Per le pene detentive superiori a 6 mesi è previsto come obbligatorio i controllo
mediante braccialetto elettronico.
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Esecuzione della pena detentiva per gli esponenti della criminalità organizzata:
si è delineato un sistema di preclusioni che impediscono o ritardano l’accesso di
determinate categorie di condannati all’ordinario sistema dei benefici
penitenziari, nonché ad altri istituti favorevoli al condannato che interessano
l’esecuzione della pena detentiva. La l. 3/2019 ha esteso tali preclusioni anche
alla corruzione e ad altri reati contro la p.a.
Inoltre possibile applicazione del regime del carcere duro (41bis o.p.) per autori
di reati art 4 bis ord penit se ricorrono “elementi tali dal far ritenere la
sussistenza di collegamenti con un’associazione terroristica, eversiva o
criminale”. Carcere duro che consiste in limitazioni all’interno del carcere e con
riferimento alle comunicazioni tra detenuti e società esterna.
Durante l’epidemia Covid-19 il TdS ha ammesso alla detenzione domiciliare
alcuni membri di organizzazioni criminali che si trovavano in 41 bis, in ragione
del fatto che si trovavano in gravi condizioni di salute tutelare diritto alla
salute anche per questi autori di reato, perché impossibile prestare loro
adeguate cure in carcere o in apposite strutture sanitarie individuate
dall’amministrazione. Queste scarcerazioni hanno però provocato allarme
sociale, sì da indurre il Governo ad intervenire con due provvedimenti d’urgenza.
Con un primo provvedimento è stata innovata la disciplina della detenzione
domiciliare umanitaria e quella dei permessi premio e si è previsto che il giudice
di sorveglianza, prima di concedere la misura, debba chiedere un parere – non
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Rinvio dell’esecuzione della pena: artt. 146 e 147 c.p. obbligatorio e facoltativo,
disposto dal TdS (art. 684 co 1 c.p.p.). Invece particolare e autonoma rilevanza la
assume l’ipotesi di infermità mentale sopravvenuta alla condanna (C. Cost 2019).
Rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena (art. 146 c.p.): (a) donna incinta;
(b) madre di prole inferiore ad 1 anno; (c) persona affetta da AIDS conclamata,
grave deficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente grave per
effetto della quale le condizioni di salute risultino incompatibile con lo stato di
detenzione, di tal che il condannato si trova in uno stato di malattia in cui non
risponde più ai trattamenti disponibili ed alle terapie curative.
Il rinvio obbligatorio si applica anche alla semidetenzione, alla libertà
controllata, nonché alla permanenza domiciliare ed al lavoro di pubblica utilità
irrogate dal GdP.
Rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena (art. 147 c.p.): (a) presentata
domanda di grazia; (b) il soggetto che deve eseguire la pena detentiva si trova in
condizioni di grave infermità fisica; (c) la pena detentiva deve essere espiata da
madre di prole di età inferiore a 3 anni.
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In tutte queste ipotesi rinvio non può essere adottato ovvero dev’essere revocato
qualora sussista pericolo concreto della commissione di delitti (art. 147 co 4
c.p.).
In tutti i casi in cui può essere disposto rinvio obbligatorio o facoltativo della
pena, il TdS ha l’ulteriore possibilità di ammettere il condannato alla m.a.d. della
detenzione domiciliare (art. 47 ter co 1 ter o.p.).
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La morte del reo (art. 171 c.p.): in ossequio al principio di personalità della
responsabilità penale (27 co 1 Cost) la morte del reo avvenuta dopo la sentenza
di condanna estingue la pena principale, le pene accessorie ed ogni altro effetto
penale della condanna, ad eccezione della confisca, che colpisce le cose e non
invece la persona del condannato. Inoltre la morte del reo non comporta
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La prescrizione della pena (artt. 172 e 173 c.p.): il decorso di un certo lasso di
tempo dalla condanna irrevocabile determina l’estinzione di tutte le pene
principali, ad eccezione dell’ergastolo. Non si estinguono invece né le pene
accessorie né gli effetti penali della condanna.
Il termine per la prescrizione della pena decorre dal giorno in cui la condanna è
passata in giudicato; però nel caso in cui l’esecuzione della pena sia iniziata e sia
poi stata interrotta da un fatto volontario del condannato, la prescrizione inizia a
decorrere dal giorno successivo a quello in cui il condannato si è
volontariamente sottratto all’esecuzione.
La pena della reclusione si prescrive in un tempo pari al doppio della pena
inflitta e comunque entro i limiti di minimo 10 anni e massimo 30.
La pena della multa si estingue in 10 anni. Però se la multa è inflitta insieme alla
reclusione, entrambe si prescrivono nel tempo previsto per la reclusione.
In caso di concorso di reati e di reato continuato deve farsi riferimento alla pena
inflitta per i singoli reati.
Arresto ed ammenda si prescrivono in 5 anni, anche nelle ipotesi in cui siano
applicate congiuntamente.
Eccezioni: (a) per recidivi (salvo che si tratti di recidiva semplice ex art. 99 co 1
c.p.) e delinquenti abituali, professionali o per tendenza sono imprescrittibili le
pene della reclusione e della multa, mentre arresto ed ammenda si prescrivono
nel doppio del tempo ordinario, cioè in 10 anni; (b) se il condannato, durante il
tempo necessario all’estinzione della pena, riporta una condanna alla reclusione
per un delitto della stessa indole, la reclusione e la multa sono imprescrittibili.
Attenzione: per quanto riguarda pena pecuniaria c’è un orientamento giuri che fa
decorrere la prescrizione non dal passaggio in giudicato della sentenza, ma dal
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momento in cui il debito erariale viene iscritto a ruolo, dopo che al condannato è
stato notificato invito al pagamento ed il pagamento non è stato eseguito.
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La non menzione della condanna nel casellario giudiziale: si tratta della non
menzione nel casellario spedito a richiesta dai pvt; non copre però i certificati
che devono essere prodotti dal pvt perché richiesti dal diritto elettorale (art. 175
c.p.).
Requisiti per la non menzione nel casellario: (a) pena detentiva inflitta non
dev’essere superiore ai 2 anni; se pena detentiva + pena pecuniaria non
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La liberazione condizionale (artt. 176 e 177 c.p.): applicabile a chi ha già scontato
30mesi e comunque almeno metà della condanna. Si tratta di istituto pensato
quale correttivo delle pene detentive di lunga durata. Alla liberazione
condizionale segue, in caso di esito positivo della prova, l’estinzione della pena: a
tal fine il condannato nel periodo corrispondente alla pena residua, ovvero nei 5
anni successivi alla concessione della liberazione condizionale se si tratta di
ergastolo (a) non deve commettere nuovo delitto né contravvenzione della
stessa indole (b) non deve violare gli obblighi inerenti la libertà vigilata, che il
giudice può ordinare all’atto della liberazione condizionale.
Condizioni per potersi applicare liberazione condizionale: (a) ammontare della
pena già scontata, pari a 26 anni in caso di ergastolo, oppure in caso di reclusione
o arresto almeno 30 mesi e comunque almeno metà della pena; se poi si tratta di
recidivo (eccetto recidivo semplice) il condannato deve aver scontato almeno 4
anni di pena e non meno di ¾ della pena inflittagli; (b) la pena residua da
scontare non deve superare i 5 anni, a meno che si tratti di minorenni, che ai
sensi dell’art. 21 RdL 1404/1934 può beneficiarne in qualsiasi momento
dell’esecuzione della pena, qualsiasi sia la durata della pena inflitta; (c) aver
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La sospensione condizionale della pena (artt. 163-168 c.p.): fruibile in caso di (a)
pena fino ai 2 anni; (b) pena 2 anni e 6 mesi per i giovani adulti (cioè fino a 21
anni) e gli ultrasettantenni; (c) pena fino a 3 anni per chi al momento del fatto
era imputabile ma non aveva ancora compiuto 18anni.
Si sospende pena principale e anche pene accessorie, fatta eccezione per quelle
previste in caso di corruzione o altri delitti contro la p.a. (art. 166 co 1 c.p., modif
l. 3/2019).
La prova ha durata di 5 anni se si tratta di delitto e 2 anni se si tratta di
contravvenzioni.
Di regola la sospensione condizionale della pena è disposta dal giudice di
cognizione; solo eccezionalmente disposta dal giudice dell’esecuzione (es/se
riconosciuta la continuazione in sede esecutiva).
L’applicazione dell’istituto è riservata al potere discrezionale del giudice, che può
provvedere anche d’ufficio; anche il giudice d’appello può disporre la
sospensione anche ex officio (art. 597 co 2 c.p.p.).
In relazione alla condanna a sola pena pecuniaria, quando il condannato non vi
abbia interesse ma il giudice disponga ex officio la sospensione condizionale,
questi è tenuto a motivare l’utilità dell’istituto in ragione delle finalità di
prevenzione speciale cui è rivolta la sospensione condizionale della pena.
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sospensione condizionale della pena. A seguito di modifica del 2011 l’art. 163 co
1 c.p. prevede infatti che se i limiti indicati per effetto del ragguaglio di pena
pecuniaria in pena detentiva impedirebbero di concedere la sospensione
condizionale, il giudice non deve provvedere al ragguaglio e deve invece
sospendere la sola pena detentiva.
Anche le pene sostitutive delle pene detentive sono sospendibili.
NON sono invece sospendibili le pene irrogate dal GdP, perché il legislatore ha
voluto creare un “diritto mite ma effettivo”(no contrasto con art.3 Cost.).
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Revoca della sospensione condizionale della pena (art. 168 c.p.), in cinque casi.
Revoca obbligatoria: (a) se la sospensione è stata concessa, anche con sentenza
444 c.p.p., per più di due volte ovvero se è stata concessa una seconda volta,
allorché la pena inflitta cumulata con la prima condanna supera i limiti.
Inoltre revoca obbligatoria se entro 5 anni dal passaggio in giudicato che ha
disposto la sospensione se si tratta di delitto, ovvero entro 2 anni se si tratta di
contravvenzione (b) il condannato non adempie entro il termine stabilito dal
giudice per gli obblighi, se l’adempimento era concretamente esigibile; (c)
commette un delitto per il quale venga inflitta la pena dell’ergastolo o della
reclusione; rileva a tal fine il momento della commissione del delitto; (d)
commette una contravvenzione della stessa indole per la quale venga irrogata la
pena dell’arresto; (e) riporta una nuova condanna per il delitto commesso prima
del passaggio in giudicato della sentenza che ha disposto la sospensione
condizionale della pena.
Attenzione: nelle ipotesi (c), (d) ed (e) la revoca è obbligatoria solo se sono
superati i limiti di pena indicati dall’art. 163 co 1 c.p. Se invece i limiti de quibus
non vengono superati, la revoca è facoltativa.
Attenzione: le Sezioni Unite hanno chiarito che anche la sentenza di
patteggiamento è equiparata in tal proposito a sentenza di condanna (si desume
da art. 445 co 1 bis c.p.) e quindi costituisce titolo idoneo per la revoca.
In caso di esito positivo si estingue la pena principale e le pene accessorie;
permangono invece gli effetti penali della condanna.
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Sospensione condizionale breve: introdotta nel 2004, dispone che la pena sia
sospesa per 1 anno, a prescindere che si tratti di delitto o di contravvenzione.
Presupposti: (a) ammontare della pena inflitta non deve essere superiore ad 1
anno; (b) il soggetto, prima della pronuncia di primo grado, deve aver tenuto una
condotta riparatoria (contenuti analoghi al 62 n°6c.p.) quindi: (o) riparazione
integrale del danno mediante risarcimento e, quando possibile, mediante
restituzioni (o) il colpevole deve essersi adoperato spontaneamente ed
efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del
reato, quando tali conseguenze siano da lui eliminabili.
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perpetue potranno essere estinte con riabilitazione solo dopo che siano trascorsi
almeno 7 anni dalla riabilitazione, purché il condannato abbia dato prova
effettiva e costante di buona condotta. (b) Quanto agli effetti penali della
condanna, limitazioni agli effetti della riabilitazione sono espressamente
riguardano la concessione della sospensione condizionale della pena e del
perdono giudiziale.
La funzione primaria della riabilitazione è il reinserimento sociale del
condannato. Proprio per tale motivo è necessario che il condannato abbia
dato prove effettive e costanti di buona condotta; comunque si tratta di una
valutazione di un dato di fatto e non già di un accertamento prognostico sui
futuri comportamenti del soggetto. In tal proposito giurisprudenza
minoritaria ritiene che un singolo episodio occasionale di inottemperanza non
possa determinare automatica preclusione alla concessione della riabilitazione.
Di avviso opposto è invece la giurisprudenza maggioritaria, che ritengono che
qualsiasi nota negativa in ordine al comportamento del soggetto può essere letta
come prova contraria rispetto a quella richiesta dal legislatore, che dice invece
“prove effettive e costanti” di buona condotta.
Ai sensi dell’art. 683 c.p.p., il provvedimento di riabilitazione può essere adottato
solo a seguito di espressa richiesta dell’interessato; competente a decidere è il
TdS (art. 666 c.p.p.).
Due condizioni ostative alla riabilitazione: (1) sottoposizione ad una misura di
sicurezza, a meno che si tratti di confisca o espulsione; (2) inadempimento delle
obbligazioni civili da reato, salvo che il soggetto provi di trovari nell’impossibilità
di adempiervi (nemo ad impossibilia tenetur).
Revoca della riabilitazione: conseguente reviviscenza delle pene accessorie e
degli effetti penali della condanna. Presupposto della revoca: commissione di un
nuovo delitto non colposo entro 7 anni dalla sentenza definitiva che ha disposto
la riabilitazione; reato per il quale sia stata inflitta la pena della reclusione non
inferiore a 2 anni ovvero l’ergastolo.
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LE MISURE DI SICUREZZA
Le misure di sicurezza possono essere personali o reali, a seconda che
interessino la pericolosità della persona o della cosa.
Le misure di sicurezza personali possono essere applicati tanto a soggetti
imputabili e semi-imputabili ritenuti pericolosi, quanto a soggetti non imputabili
ritenuti pericolosi. Misure di sicurezza personali che si distinguono in detentive e
non detentive (art. 215 c.p.).
Sono misure di sicurezza personali detentive: (a) assegnazione ad una colonia
agricola o ad una casa lavoro; (b) assegnazione ad una casa di cura o di custodia;
(c) ricovero in un o.p.g.; (d) ricovero in un riformatorio giudiziale.
Sono misure di sicurezza personali non detentive: (a) libertà vigilata; (b) divieto
di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province; (c) divieto di
frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche; (d) espulsione dello
straniero dallo Stato.
Prevede l’art. 215 co 4 c.p. che nei casi in cui la legge prevede un mds ma senza
indicarne la specie, il giudice disporrà la libertà vigilata a meno che, trattandosi
di un condannato per delitto, ritenga di dover applicare l’assegnazione ad una
colonia agricola o casa di lavoro.
Attenzione: ulteriori tipologie di mds sono contenute nella parte speciale del
codice penale; es/art. 609novies per alcuni reati sessuali prevede restrizione dei
movimenti e della libertà di circolazione, divieto di avvicinarsi a luoghi
frequentati abitualmente da minori, divieto di svolgere attività che prevedano un
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contatto diretto con minori, obbligo di tenere informati gli organi di polizia sulla
propria residenza e sui propri spostamenti.
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Da ultimo, nel 2014, si è stabilito che le mds dell’opg o della casa di cura e di
custodia possono essere disposte solo qualora ogni altra misura risulti
inadeguata. Inoltre si è stabilito che la durata massima di qualsiasi mds non può
superare il massimo della pena detentiva comminata per il reato commesso.
I due presupposti per l’applicazione di una mds detentiva sono: aver commesso
un reato o un quasi reato e la pericolosità sociale del reo.
Reato e quasi reato come primo presupposto: anzitutto occorre chiarire cosa
debba intendersi ex art. 201 c.p. con il termine “reato” Nessun dubbio sul fatto
che se la mds è da applicare ad un soggetto imputabile o semi-imputabile devono
ricorrere tutti gli elementi costitutivi del reato (fatto tipico, antigiuridico e
colpevole + secondo MD punibile).
Si discute invece se il dolo del non imputabile abbia la stessa struttura richiesta
per il dolo del soggetto imputabile o semi-imputabile. Sul punto sono state
sostenute entrambe le tesi.
La giurisprudenza maggioritaria afferma l’identità di struttura tra dolo
dell’imputabile e del non imputabile, ritenendo volizione e rappresentazione
configurabili anche in capo all’incapace di intendere o di volere.
Argomentazione: che possa agire con dolo una persona incapace di intendere o
di volere è dimostrato dalla disciplina dell’ubriaco o drogato giuridicamente
imputabile, ma naturalisticamente incapace di intendere o di volere: a lui si
applicherà la pena prevista per il delitto doloso commesso se, al momento del
fatto, ha agito con rappresentazione e volizione di tutti gli elementi costitutivi del
fatto. Del pari la mds della casa di cura o di custodia può essere disposta dal
giudice che abbia accertato che l’ubriaco abituale, che quando ha commesso il
fatto era totalmente incapace di intendere o di volere, ha agito con dolo o colpa.
Di diverso avviso è invece la dottrina maggioritaria, che ritiene che il dolo
rilevante per l’applicazione della misura dell’opg e del riformatorio giudiziario
sussiste anche in caso di errore condizionato cioè di errore determinato dalla
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Quasi reato: (a) reato impossibile ex art. 49 co 2 e 4 c.p.; (b) accordo per
commettere un delitto che poi non viene commesso (art. 115 co 1 e 2 c.p.); (c)
istigazione a commettere un reato se l’istigazione è accolta ma il reato non viene
commesso (art. 115 co 3 c.p.); (d) istigazione a commettere un delitto, non
accolta (art. 115 co 4 c.p.).
Nota bene: quando l’art. 203 c.p. include, tra le persone socialmente pericolose,
anche le persone non punibili fa riferimento proprio agli autori di un quasi reato,
e non invece alle persone che hanno agito in presenza di una causa di non
punibilità (a questi ultimi non è applicabile alcuna mds). Quanto appena esposto
(cioè che per la mds serve punibilità) trova conferma all’art. 210 c.p. ove si
prevede che l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle mds.
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Applicazione delle mds personali: anzitutto l’art. 200 co 1 e 2 c.p. prevede che
per l’applicazione delle mds vige il principio temus regit actum si applica la
legge in vigore al tempo della loro applicazione, anche se diversa da quella in
vigore quando il reato o quasi reato è stato commesso.
La mds personali sono applicate dal giudice della cognizione nella sentenza di
condanna o di proscioglimento; vale anche sentenza di patteggiamento a
condizione che si stata inflitta una pena detentiva superiore a due anni (sola o
congiunta a pena pecuniaria) (al di sotto di tale limite è applicabile solo la mds
della confisca; art. 445 co 1 c.p.p.).
Quando una persona ha commesso più fatti di reato per i quali risultino
applicabili più mds della stessa specie (es/libertà vigilata), è ordinata una sola
mds; quando invece le mds sono di specie diversa (es/colonia agricola e libertà
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viene ricoverato in ospedale civile, dove verrà sottoposto a tso per malati
mentali.
Art. 211 bis co 1 c.p.: anche per le mds personali (verosimilmente solo detentive)
si applica la disciplina dettata dagli artt. 146 e 147 c.p. in tema di rinvio
dell’esecuzione della pena.
Da ultimo occorre sottolineare che cause di estinzione della pena di regola
impediscono l’applicazione e l’esecuzione della mds personali (art. 210 c.p.)
Durata e revoca delle mds personali: la durata delle mds personali è sempre
sottoposta ad un limite minimo. Una volta decorso il periodo minimo il
magistrato di sorveglianza deve procedere al riesame della pericolosità sociale e,
qualora ritenga che questa sia cessata, disporrà la revoca della mds. Se invece
ritene il soggetto ancora socialmente pericoloso, fisserà nuovo termine per
ulteriore riesame, potendo comunque procedere in qualsiasi momento a nuovo
accertamento qualora vi sia ragione di ritemere cessato il pericolo (art. 208 co 2
c.p.). Art. 69 o.p. attribuisce al magistrato di sorveglianza un potere di revoca
anticipata della misura, cioè potere di revocarla prima che sia decorso il termine
minimo di durata.
Come già si è accennato sopra, il legislatore è intervenuto nel 2014 prevedendo
che la durata massima della mds non può superare la durata massima della pena
detentiva comminata per il reato commesso. Nota bene: limite massimo non
opera quando si tratta di delitto punito con la pena dell’ergastolo.
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Abitualità ritenuta dal giudice (art. 103 c.p.): se il soggetto ha già riportato una o
più precedenti condanne per due delitti non colposi (non vale quando due delitti
sono uniti dal vincolo della continuazione), in occasione della condanna per un
nuovo delitto non colposo il giudice deve accertare se “tenuto conto (a) della
specie e della gravità dei reati (b) del tempo entro il quale sono stati commessi
(c) della condotta e del genere di vita del colpevole (d) delle altre circostanze
indicate nel capoverso dell’art 133 c.p.”, il colpevole sia dedito al delitto. La
Cassazione parla di tendenza criminosa radicata nella personalità del soggetto.
Abitualità presunta dalla legge (art. 102 c.p.): se il soggetto ha riportato una o più
precedenti condanna alla reclusione, per un ammontare complessivamente
superiore a 5 anni, pronunciate per tre delitti non colposi della stessa indole,
commessi non contestualmente ed entro 10 anni dall’ultimo dei delitti
precedenti. Attenzione: in seguito all’abolizione della presunzione di
pericolosità ex lege, anche questa forma di abitualità nel delitto deve ora
considerarsi subordinata all’accertamento in concreto della pericolosità sociale.
Professionalità nel delitto (art. 105 c.p.): riguarda il soggetto che, trovandosi
nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità, riporta condanna ad
un altro reato. In particolare la professionalità del reato può essere dichiarata
qualora avuto riguardo (a) alla natura dei reati, (b) alla condanna (c) al genere di
vita del colpevole e (d) delle altre circostanze indicate al capoverso dell’art. 133
c.p. che egli viva abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato.
Non è necessario che il soggetto sia stato dichiarato delinquente abituale, ma è
sufficiente la sussistenza dei presupposti che avrebbero consentito quella
dichiarazione.
Delinquente per tendenza (art. 108 c.p.): può essere dichiarato delinquente per
tendenza chi commette un delitto non colposo contro la vita o l’incolumità
individuale qualora, per la gravità oggettiva e soggettiva del reato commesso, ed
alla luce delle circostanze di cui all’art. 133 co 2 c.p., egli “riveli una speciale
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Colonia agricola o casa di lavoro può poi essere applicata anche a coloro che già
in passato erano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per
tendenza, e dunque sottoposti a questa mds poi revocata sull’assunto che la
pericolosità sociale fosse venuta meno in un’ipotesi di tal fatta la misura viene
nuovamente disposta se il soggetto commette un ulteriore delitto non colposo
nel quale il giudice ravvisi una nuova espressione della pericolosità dell’agente
(art. 216 n. 2 c.p.).
Gli ulteriori casi di legge nei quali può trovare applicazione la mds (art. 216 n. 3
c.p.): es/colui che, sottoposto a libertà vigilata, abbia commesso gravi o ripetute
trasgressioni degli obblighi inerenti a quella misura (art. 231 co 2 c.p.).
Durata minima della colonia agricola o casa di lavoro: due anni per i delinquenti
abituali, tre anni per i delinquenti professionali, quattro anni per i delinquenti
per tendenza. Per le ipotesi invece dell’art. 261 n. 2 e 3 c.p. la durata minima è di
un anno.
Durata massima è invece uguale al massimo della pena edittale per il reato
commesso.
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Durata minima della mds casa di cura e di custodia: 1 anno quando la pena
stabilita dalla legge non è inferiore nel minimo a cinque anni; tre anni quando la
pena è quella dell’ergastolo; 6 mesi se si tratta di un altro reato punito con pena
detentiva in quest’ultimo caso il giudice può disporre invece la libertà vigilata,
a meno che non si tratti di condanna alla pena diminuita per cronica
intossicazione da alcol o sostanze stupefacenti.
Il ricovero in un opg (art. 222 c.p.): nelle intenzioni del legislatore avrebbe
dovuto avere contenuti eminentemente terapeutici. Invece nella prassi si è
trattato di istituzioni che si differenziavano solo marginalmente dal carcere. La
Corte Costit è intervenuta prevedendo l’illegittimità dell’art. 222 c.p. nella parte
in cui non prevedeva per il giudice la possibilità di disporre una misura diversa
dall’opg che pur nel caso concreto risultasse parimenti idonea a curare
l’infermità di mente ed a far fronte alla sua incapacità. Poco dopo una pronuncia
dello stesso tenore ha riguardato anche l’applicazione provvisoria della misura
(art. 206 c.p.).
Nel 2012 si è disposta con legge la chiusura degli opg e delle case di cura e di
custodia a partire da marzo 2015, da sostituirsi con le REMS.
Principali caratteristiche delle REMS: almeno 2 psichiatri a tempo pieno e
personale sanitario; presidi armati solo all’esterno degli edifici; non più di 20
posti destinati, di regola, a soggetti provenienti dalla regione.
Destinatari opg: soggetti la cui capacità d’intendere o di volere era totalmente
esclusa al momento della commissione del fatto.
L’applicazione della misura dell’opg presuppone che il soggetto abbia commesso
un delitto doloso punito in astratto con la reclusione superiore nel massimo a
due anni; la struttura del dolo coincide con il normale dolo dell’imputabile.
Accertamento della pericolosità sociale dell’infermo di mente richiede al giudice
di selezionare fattispecie “qualificate” di pericolosità sociale, cioè limitare la
propria prognosi ad una gamma di reati identici o affini a quello già commesso,
come espressione della medesima patologia.
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Introdotte nel 2014 due regole particolari che attengono ai criteri di valutazione
della pericolosità sociale: (a) il giudice non deve tener conti delle condizioni di
vita familiare e sociale del reo; (b) non costituisce elemento idoneo a supportare
valutazione di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici
individuali evitare che opg o casa di cura e di custodia possano dipendere da
impossibilità di assegnare la persona interessata ai dipartimenti di salute
mentale, cioè alle strutture non detentive facenti capo al servizio sanitario e
dislocate sul territorio nazionale.
Durata minima opg: (a) 5 anni se si tratta di delitto doloso punito con la
reclusione non inferiore nel minimo a dieci anni; (b) 10 anni nel caso di delitti
puniti con la reclusione dell’ergastolo.
Destinatari: (a) minori degli anni 14; (b) minori degli anni 18 giudicati non
imputabili; (c) minore degli anni 18 ritenuti imputabili e condannati a pena
diminuita; (d) minori di 18 anni dichiarati delinquenti professionali, abituali o
per tendenza. Solo quando abbiano commesso una ristrettissima gamma di
gravi delitti dolosi (art. 23 dpr 448/88).
Inoltre sempre nel 1988 il legislatore ha dettato, per il minore, una definizione
più ristretta di pericolosità sociale (art. 37 co 2 dpr 448/88), nel senso che è
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Attenzione: mds nei confronti di chi era minorenne al momento del fatto sono
quelle previste secondo le norme e con le modalità previste per i minorenni
anche nei confronti di coloro i quali nel corso dell’esecuzione abbiano compiuto
più di 18 anni ma meno di 25, sempre che per quanti abbiano già compiuto i 21
anni non ricorrano particolari ragioni valutate dal giudice competente, tenuto
conto altresì delle finalità rieducative.
La libertà vigilata: mds personale non detentiva, che comporta una serie di
prescrizioni limitative della libertà personale (sul cui rispetto vaglia l’autorità di
p.s., cioè di pubblica sicurezza) + una serie di interventi di sostegno ed assistenza
(affidati ai servizi sociali).
Destinatari libertà vigilata: (a) condanna alla reclusione superiore ad 1 anno; (b)
autore di un quasi reato; (c) contravventor abituale o professionale che, non
essendo più sottoposto a mds, commette un nuovo reato che costituisce nuova
manifestazione di abitualità o professionalità; (d) soggetto sottoposto a misura
di colonia agricola o casa di lavoro che venga dimesso da tale istituto, ma sia
ancora pericoloso (oppure gli può essere applicata la cauzione di buona
condotta); (e) condannato a pena detentiva ammesso alla liberazione
condizionale, qualora il giudice ritenga il soggetto socialmente pericoloso.
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Durata minima: (a) di regola pari ad 1 anno (art. 228 c.p.), ma la scadenza non
determina la cessazione dello stato di libero vigilato, che dura invece fino al
provvedimento di revoca da adottare previo accertamento della cessazione della
pericolosità sociale; (b) in caso di condannato a reclusione non inferiore a dieci
anni o all’ergastolo quando non debba scontare del tuto o in parte la pena per
effetto di grazia o indulto, la durata minima è di 3 anni; (c) per l’ammesso alla
libertà condizionale, la libertà vigilata si protrae per tutta la durata della pena
inflitta.
Durata massima: nessun limite previsto; trattandosi di mds personale non
detentiva, la libertà vigilata dovrà eseguirsi fintanto che permane la pericolosità
sociale del soggetto.
Violazione degli obblighi di libertà vigilata: (a) il giudice può aggiungere la mds
della cauzione di buona condotta. Qualora però (b) la violazione sia
particolarmente grave o ripetuta, ovvero non venga prestata la cauzione, il
giudice può sostituire la libertà vigilata con un’altra mds più gravosa. Infine (c)
nel caso in cui si tratti di mds disposta nei cfr di chi ha fruito della liberazione
condizionale, la violazione degli obblighi di libertà vigilata comporta la revoca
della liberazione condizionale (art. 177 c.p.).
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Per quanto riguarda poi la sola cauzione di buona condotta: (v) il soggetto deve
aver commesso un fatto preveduto dalla legge come reato + pericolosità sociale;
(vi) applicabile l’art. 200 co 2 e 3 c.p. (art. 236 c.p.) e cioè se la legge del tempo in
cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al
tempo dell'esecuzione (co2). Le misure di sicurezza si applicano anche agli
stranieri, che si trovano nel territorio dello Stato (co3).
Destinatari: (a) soggetto che è stato sottoposto a colonia agricola o casa di lavoro
ed è stato poi dimesso perché permane pericolosità sociale ma non tale da
giustificare più quella misura così afflittiva; (b) il soggetto sottoposto alla libertà
vigilata che ne abbia violato gli obblighi; (c) il soggetto che abbia trasgredito il
divieto di frequentare osterie o spacci di bevande alcoliche; (d) il soggetto che
abbia riportato condanna per gioco d’azzardo, se si tratta di contravventore
abituale o professionale in questo caso cauzione di buona condotta si
aggiunge alla libertà vigilata.
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Presupposto della confisca ex art. 240 c.p.: pericolosità della cosa, da intendersi
nel senso che se lasciata nella disponibilità del reo sarebbe per lui incentivo alla
commissione di un ulteriore reato di regola pericolosità della res è un
presupposto che va accertato in concreto (confisca facoltativa), però ci sono casi
in cui è presunta ex lege (confisca obbligatoria).
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Confisca facoltativa (art. 240 co 1 c.p.): nel caso di condanna, il giudice può
ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere
il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto dalla formulazione
letterale della norma (servirono, furono destinate) si ricava che la confisca
facoltativa può applicarsi solo ai delitti dolosi.
Si tratta di una disposizione che risponde ad una logica di prevenzione speciale,
quindi è lasciata al giudice potere discrezionale, nel senso che è suo compito
accertare in concreto la necessità di sottrarre al reo quelle cose connesse al
reato, in quanto potrebbero appunto rappresentare uno stimolo a commettere
nuovo reato.
Prodotto del reato = cose materiali create attraverso l’attività penalmente
rilevante (es/monete falsificate).
Profitto del reato = utilità economica direttamente o indirettamente conseguita
con la commissione del reato (es/denaro rubato o denaro ricavato dalla vendita
del bene oggetto di furto).
Due condizioni per poter disporre confisca facoltativa: (1) il procedimento
penale deve essersi concluso con sentenza di condanna (art. 240 co 1 c.p.); (2) la
cosa non deve appartenere a persona estranea al reato (art. 240 co 3 c.p.). Quindi
sono confiscabili i beni di proprietà dell’autore del reato e del correo. Secondo
giurisprudenza non si considera estranea al reato la persona giuridica
proprietaria della cosa quando il reato è stato commesso a vantaggio della
persona giuridica, responsabile a norma del dlgs 231/90. È invece estraneo al
reato, secondo giurisprudenza, il soggetto che non ha concorso alla commissione
del reato, né ha tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa, serbando una
condotta in buona fede.
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Confisca obbligatoria (art. 240 co 2 c.p.): sono tre ipotesi di cui due di portata
generale ed una per i soli reati informatici.
Prima ipotesi: le cose che costituiscono il prezzo del reato, cioè il denaro o altra
utilità economica che sono state date per istigare o determinare il soggetto a
commettere il reato; il altri termini il prezzo del reato è il corrispettivo della sua
esecuzione. Anche in questo caso la confisca è preclusa se l’oggetto che
costituisce il prezzo del reato (es/un gioiello) appartiene a persona estranea al
reato (art. 240 co 3 c.p.).
Seconda ipotesi: beni o strumenti informatici o telematici usati per la
commissione di reati informatici, nonché beni che costituiscono il profitto o il
prodotto di questi reati.
Terza ipotesi: cose c.d. intrinsecamente pericolose, cioè cose la cui fabbricazione,
uso, porto, detenzione o alienazione è prevista dalla legge come reato (es/armi
da guerra). In queste ipotesi occorre comunque distinguere tra cose il cui uso etc
costituisce sempre reato (divieto assoluto) ovvero cose il cui uso etc può essere
autorizzato in via amministrativa (ipotesi di divieto relativo; es/porto d’armi)
in quest’ipotesi la confisca deve essere disposta se in concreto mancava
l’autorizzazione ovvero non erano state rispettate le condizioni alle quali
l’autorizzazione era subordinata.
Sia in caso di divieto assoluto che in caso di divieto relativo, la confisca
dev’essere disposta anche in assenza di una sentenza di condanna (art. 240 co 2
n°2 c.p.), ad esempio nel caso in cui il soggetto sia stato assolto per difetto di
dolo.
Se la cosa è di proprietà di soggetto estraneo al reato, la confisca è applicabile nei
casi di divieto assoluto, ma non in quelli di divieto relativo: in tal caso non è
necessario che l’autorizzazione amministrativa sia stata effettivamente rilasciata
al terzo, ma basta l’astratta possibilità del suo rilascio (si desume dalla lettera
della legge, che dice “possono essere consentiti mediante autorizzazione
amministrativa”).
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dati in gestione ad associazioni con finalità sociali. Si tratta di una misura che ha
carattere definitivo, ma è suscettibile di revoca.
La Corte Costituzionale si è pronunciata in favore delle misure di prevenzione ed
ha affermato che in linea di principio svolgono funzione di garanzia dell’ordinato
e pacifico svolgimento dei rapporti tra cittadini. Cionondimeno le misure di
prevenzione sono sottoposte al principio di legalità, imposto dall’art. 13 co 2
Cost. quindi non vanno bene definizioni troppo generiche problema che
continua a persistere anche nel codice antimafia del 2011 che ad esempio all’art.
1 parla di “coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto,
abitualmente dediti a traffici delittuosi”, nonché a “coloro che per la condotta ed
il tenore di vita debba ritenersi, in base ad elementi di fatto, che vivono
abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”. Proprio per
questo motivo la Corte di Strasburgo (Tommaso v. Italia) ha condannato l’Italia
per violazione dell’art. 2 protocollo 4 Cedu, a norma del quale la libertà di
circolazione non può essere sottoposta a restrizioni diverse da quelle previste
dalla legge, ed invece nel codice antimafia la legge non contiene previsioni
sufficientemente dettagliate su che tipo di condotta sia da considerare espressiva
di pericolosità sociale. PQM è stata sollevata questione di costituzionalità per
contrasto con gli artt. 13 Cost e 2 prot 4 Cedu per le misure di prevenzione
personali, nonché 42 e 1 prot1 Cedu per le misure di prevenzione patrimoniali.
La Corte Costit nel 2019 ha ritenuto infondata la questione relativa al “vivere
abitualmente con i proventi di attività delittuose” (art. 1 lett b cod antimafia),
mentre ha accolto la questione relativa ai soggetti “abitualmente dediti a traffici
delittuosi” (art. 1 lett a cod antimafia) Ha dichiarato quest’ultima norma
affetta da radicale imprecisione, non emendata dalla giurisprudenza. La
locuzione “traffici delittuosi” non è in grado di selezionare delitti la cui
commissione possa costituire il ragionevole presupposto per un giudizio di
pericolosità del potenziale destinatario della misura.
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Nota bene: con particolare riferimento alla disciplina della confisca per
prevenzione l’art. 24 cod antimafia dispone la confisca dei beni sequestrati nel
caso in cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa
giustificare la legittima provenienza degli stessi. Si tratta di una disciplina che
ictu oculi apparrebbe in contrasto con i principi costituzionali in punto di prova,
ma che trova una sorta di interpretazione correttiva ad opera della giuri, che
pone a carico dell’interessato un mero onere di allegazione difensiva (produrre
elementi dai quali il giudice possa dedurre la legittima provenienza dei beni
sequestrati.
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Poiché dunque la resp da reato degli enti non è penale, non può trovare
applicazione l’art. 131 bis c.p.
Cerchia degli enti responsabili da reato: ai sensi dell’art. 1 co 2 dlgs 231/01 sono
(a) gli enti forniti di personalità giuridica; (b) le società; (c) le associazioni anche
prive di personalità giuridica.
Cassazione ha poi affermato che vi rientra anche (a) ente pubblico economico;
(b) enti stranieri nel cui interesse o vantaggio sia stato commesso un reato sul
territorio del nostro paese, da parte di soggetti “apicali” ovvero da parte di
soggetti sottoposti all’altrui direzione o vigilanza; (c) gruppi d’imprese, quindi la
società capogruppo può essere chiamata a rispondere per un reato commesso
nell’ambito dell’attività di un’altra società del gruppo, quando alla commissione
di quel reato abbia concorso una persona fisica che agisca per conto della
holding perseguendo anche l’interesse di quest’ultima.
Non rientrano invece nell’ambito di applicazione dell’art. 1 le imprese
individuali, perché la norma fa riferimento soltanto a enti, società o associazioni.
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Onere della prova: il dlgs 231/01 distingue a seconda che il reato sia stato
commesso da soggetto in posizione apicale ovvero da soggetto sottoposto
all’altrui direzione. Nel primo caso grava sull’ente l’onere di provare l’assenza di
una colpa di organizzazione. Il dubbio invece non nuoce all’ente quando si tratti
di reti commessi da persone sottoposte all’altrui vigilanza o direzione: non opera
in questo caso nessun’inversione dell’onere probatorio e quindi graverà
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La prescrizione dell’illecito dell’ente: modellata sulla falsa riga degli illeciti civili,
quindi 5 anni dalla consumazione del reato ed inizio di un nuovo periodo di
prescrizione dopo ogni atto interruttivo (art. 22).
Costituzione di parte civile nei confronti dell’ente: ci si è chiesti se, nel silenzio
della legge, il danneggiato da reato possa costituirsi parte civile nel
procedimento contro l’ente. Prevale in giuri orientamento negativo: (a)
l’autonomo illecito di cui l’ente deve rispondere non è produttivo di danni diversi
ed ulteriori rispetto a quelli che derivano dal reato presupposto, per i quali l’ente
potrebbe essere chiamato a rispondere in qualità di responsabile civile ex art.
2049 c.c.; (b) la disciplina del c.p.p. sulla costituzione di parte civile non è
applicabile in via analogica, perché si tratta di lacuna volontaria del legislatore.
L’ente potrà comunque essere citato come responsabile civile (art. 83 c.p.p.) nel
processo penale contro la persona fisica chiamata a rispondere del reato
presupposto. Normalmente, ma non necessariamente, si tratterà di processo
riunito a quello instaurato nei confronti dell’ente per l’accertamento della
responsabilità da reato.
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Questi appunti sono il frutto del lavoro di un collega che, con grande spirito di
solidarietà, ha voluto condividerli con tutti.
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