Bellezza Poesie
Bellezza Poesie
Bellezza Poesie
TUTTE LE POESIE
A cura di Roberto Deidier
Introduzione
«La fine dell’amore dopo l’amore»
di Roberto Deidier
POESIA
TRADUZIONI
EPISTOLARI
Bibliografia critica
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Bellezza, «Riscontri», 3-4, 2012.
R. Paris, Cattivi soggetti. Gli ultimi fuochi del Novecento,
Iacobelli, Roma 2013.
—, Moravia, una vita controvoglia, Castelvecchi, Roma
2013.
Nota all’edizione
L’uomo nero non verrà mai più alla nostra infanzia simile
a fuoco che si spegne in un mucchietto di cenere, né
il cuore batte
davanti alle labbra antiche dell’Alba.
Ma eri senz’anima
se il corpo facilmente
concedevi.
Dio mi moriva sul mare
azzurro, sul suo pattino dove
mi aveva invitato ad andare.
Ma fu la gelosia, la normalità
dei ragazzi a spingermi a rifiutare,
ad alzare le spalle alle battute
salaci.
Noi,
le generazioni sterili per la morte.
Ascoltavo la morte nel mio sogno di pazzo dirmi
all’orecchio soave: «Ti trascuro. Non verrò mai da
te».
ma nessuno passava
a vedere le tue gonne
sollevate!
Perché non s’accende la mia carne.
Se mi vieta il rapporto con te. Il mio ragazzo intanto
cambia mutande con qualche distratto cliente di
passaggio.
il deserto popolato, tu
con la tua confusa pazzia
che sa solo il sapore della morte.
Cieco nella perfezione varco
i miei mari dell’angoscia, la
bocca amara, come i suoi fiati
che invano una bocca rintocca.
che piano scivola fino alle cosce rotonde, sei senza cuore
per sentire il mio battito furore che snoda il suo
lento morire nelle ore del tempo innamorato,
maltempo e sospetto
Sarò traditore
della vana patria.
II
IV
VI
VII
Solo alle tue costole ero vivo e vero. Più bestia che
umano risparmiato dall’angoscia.
e tutto scompare.
Sono gesti di morte i tuoi: di chi s’attacca al telefono
che ripete occupato se tutti
i tuoi amici telefonano.
DYLAN THOMAS
Alla follia, non badate, datemi retta!
Pensate piuttosto ai nuovi ritmi in cui immergere la
vostra vita perduta dietro l’apparenza delle cose.
Cercate l’immortalità, l’eterna questione del mare
splendente dentro il sole di giugno che diventa nero
a notte e scompare nelle tenebre. Io dimenticato
relitto di una civiltà passata sono il solo che piango i
defunti miraggi di un’età morta e ancora
coprendomi di ridicolo scrivo lettere d’amore a traditi
amori di un’epoca trascorsa, la giovinezza, e ricordo
lo studente che piegava la sua retta immagine
a misurare l’angolo della sua carnale diversità, a versare
nel seno asciutto di una madre occasionale la
solitudine futura dei suoi giorni tutti uguali.
Lasciatevi andare verso il mare della vita!
Assaporatene la musica sbiadita, e trionfatore sarà
solo il Tempo e il suo nero oltraggio, la Morte!
Mentre io ancora scriverò che il poeta chiude in stremate
parole il suo cervello mirando il muro in alto della
sua stanza e le poesie scivoleranno via, senza pietà,
e nessun Dio le registra, incarnandosi per un attimo.
Il ritmo non sa di mirtillo acerbo e piegarsi sulla bianca
pagina di un diario il meglio dell’ispirazione fa in un
fiato dileguare.
Chiamatemi così: pazzo, deserto testimone di un deserto
da percorrere in una torrida estate, senza acqua
raccolta nella gobba di un domestico dromedario, e
la mia poesia definitela con crudeltà e livore come
lubrica, oscena, interessata e manigolda consigliera
di sventura o furto di anime giovanili in cerca di
nuove reincarnazioni.
Sappiate però che brucio di gioia, di allegria feroce
dentro la mia casa buia, prigioniero di calamitose
idee, slabbrando la mia merda in privata visione
senza lo scempio di immagini e talenti altrui. Sono
un genio geniale che la vita spassa da un dolore
all’altro, teatrale, senza ferite apparenti che non
siano d’amore, piaghe purulente lasciate da una
donna fatale che nessuno conosce. Slabbro la mia
merda in privata visione: ghirigori collettivi e
birbanti. Muratemi
in una galera con la bibbia e i santi.
APOLOGIA
Non mi rimane che scrivere e andare via, via per sempre.
Liberarmi di me e sciogliere
in cantico la mortale melodia che mi possiede.
Mi nutro così
di malinconici ardori, il poeta d’amore ha spento i suoi
profili, i suoi fuochi di passione; è bagnata
primavera, raggelato il pianto sul viso agli specchi,
tardo alla finzione disperata che un dì salvava il
lenocinio, la partita, il gran finale dell’apparenza. Io
prego
un me stesso che non c’è più, un caldo giovanetto
inquisitore di lunatiche sentenze di assoluzione,
nato nel colore ambiguo della morente estate, sotto
il segno funesto della Vergine malata di sangue, di
peccato, votata per calcolo perenne all’espiazione.
Ma quando ancora nella piazza del quartiere vedo un
gatto del bosco, uno straboccante festoso me stesso,
non trattengo né lacrime né urla sante di vergogna.
Chiuso in casa supplico un Dio che solo io conosco e
adoro.
Dio può pensare se stesso essendo puro spirito. Ma
pensando sé ci annulla vigorosi nel corpo a cospetto
del micidiale sonno che ci tiene e ci lascia ma
sempre inconcludente
ci depone alla fine dei giorni, delle ere, e tutto è notte
conchiusa nel vetro stellare della luce senza
speranza di vivere oltre i mondi e le età.
Oltraggiati dal nulla, condannati felici, mistici ardenti
di consumare lo strazio
prima dell’avvento,
della certa fame di Dio.
E abbandono morte. Giocattolo di Dio.
Le muse si sveltiscono solo se andate cose rigirano,
sezionando in dolore e confessione, oscillando fra
tenere immagini e pensiero
lucido di ieri, friabile rendendo la memoria delle realtà
impossibili, quelle mai volute e tutte assoldate al
vizio del ricordo.
Le trapassate entità ingiuste e invivibili che fecero di me
un ragazzo come tanti e ora un morto che cammina,
un fiato eterno di pietà e tristezza, trascinandomi un
corpo-cadavere che di mattina alzo e vesto, rantolo
per casa, chiudo al gabinetto, ascolto nelle sue
chiacchiere insulse e quotidiane, chiedendo udienza
alle muse ancora con ironia come una pianta secca
dai fiori profumati, chissà perché. Dentro il cuore si agita
invano la parola chiave, morte, morte terrena, morte
eterna, ed è il corpo trionfante bestia che si accalda
a dimostrarlo in attesa di diventare freddo come un
marmo.
Questo corpo che vesto e nutro e lavo
e accordo ai separati corpi altrui, costringo ad amare,
manometto, chiedo il perdono della sua putrefazione
perenne in una erezione instabile e impotente,
sterile, senza figli severi e solari per confortare
vecchiaia.
Tutto questo decomposto, gracile corpo cadavere devo
affaticarlo per sbiancare una notte senza insonnia
uncinato da pasticche velenose; cuori diabolici nel
letto agitano la loro bandiera nevrotica. «Anche tu
sei dei nostri, caro, scegli l’orgasmo che vuoi. Ti
aspettiamo impazienti, addio!» I morti, gli
strabilianti morti vivendo nei sogni li terrorizzano
fino al delirio della più enorme insonnia e solo le
botte dell’infanzia mi placano, giacendo senza vita
lontano dal centro della mia vita.
«Non urlare, Dario, non urlare, sei pazzo.
Un vivente melodramma da strapazzo!»
Così diviso da me, osservo il mio cadavere, ne contemplo
le mille epoche sopravvissute alle illusioni, alla
felicità passeggera di un bacio, preda di sapienti
ladroni notturni che sanno aspettare fino all’ultimo
l’estremo rantolo.
PARANOIA
Mi sveglio di soprassalto la mattina, il cupo incubo vivo
intatto risuscita e tutto, tutto aggiunge dolore, mi
strema; rinchiudo allora nell’ulcerato cuore ogni
calamità, o strazio e svengo, deliro, canto, gemo,
fingo, urlo, tremo ma non apro gli occhi ciechi, li
serro infiniti al bacio del mattino, languido filtrando
la sua persa luce, sazia luce di Dio.
I treni, le trame
dei desideri, l’addio
di inguaribili amanti
angeli della morte
cadenza idiota
del cervello.
Non sarai tu ad uccidermi, faccia d’angelo, ragazzino
inquieto e imberbe fuggito da casa chiuso involucro
di ardore maschile diretto male, non certo allo scopo
di procreare. Non sarai tu ad uccidermi per una
semplice ragione: l’assassino me lo voglio scegliere
da solo, e non sarà più bello o più brutto di te, non
c’entra niente, questo, ma diverso, più contento di
uccidermi, come in amore sfrenato per la mia morte
terrena. Verrei troppo a infastidire i tuoi sogni, a
tirarti i piedi freddi e stanchi per troppo camminare;
e poi, sei frocio anche tu, peggio di una sgualdrina ti
vanti del tuo povero corpo di mal nutrito. Ne ho
conosciuti tanti come te, e tutti li ho fatti fuori io,
delicatamente, col cervello e un po’ di coraggio
senza minacce, astuto e tenero, straordinario, quasi Dio.
Te ne sei accorto adesso che il tuo Dario è simile a
Dio,
senza scherzi, e non sono un millantatore, provare per
credere, sono Dio?
Voglio dimostrare ai miei nemici di sapere amare di un
amore mortale non solo il mio corpo, narcisismo
che non trova l’oggetto, non essendo degno se non Dio
del mio amore terreno, ma anche te, povera
creatura notturna, di cui cercando nell’armadio, ho
ritrovato una nera giacchetta lisa che tu mettevi tanti
anni fa. Io
sono rimasto nella stessa casa ad aspettarti, ma tu sei
sparita per sempre, e la nera giacchetta è rimasta
ad aspettarti, come in una canzonetta giuliva e
triste.
Allora io funesto
anche a me stesso
prego Dio di pietà:
qualcosa di me resti
per le future età.
In quel molle giovanile quaderno perduto ormai come i
caduti anni
scritta in consunto diario la vita mia si spegneva fra
materne braccia e un esistere sordo e inquieto.
Non mi svegliai.
E la speranza seppelliva
quel me stesso che ero stato e che non sarò mai più. Non
c’era costanza nel bacio e la mia bocca baciava
una prostrata immagine di morte.
Tu non sapevi di guru. Che il rapporto fra maestro e
discepolo deve essere muto.
Ora esisti. So che sei lì, dal mio rivale. Mangi ogni tanto
caviale
e molte volte salti il pranzo.
a Julian Beck
e Judith Malina
e Alberto Moravia
POLVERE E CENERE
Fragile me invece
che inginocchiarmi non so
sulla terra nuda e polverosa
e baciarla senza rancore
di doverci tornare.
IL VIAGGIATORE D’OMBRA
Carlo Marx vinse la guerra dei cento soli La linea
superba della superstizione carolingia mangiò la
bruttezza del luogo dove le fiamme divorarono
l’assoluto. O cara immagine
della razionalità perduta, come prefazione al turibolo
incensato di una caserma Lamarmora dove visse il
poeta silenzioso la tribale necessità di riempirsi di
anfetaminico ardore.
Non raggiungerò il Sublime perché sono vivo
Un poeta,
che vede da lontano, dall’indefinito azzurro la vita di
quaggiù, e innocuo ormai nel suo sangue versato
come Cristo si dispera di non farne più parte!
IO
DIO
IO
Ma io in questo sogno o delirio multiplo nel cielo di
cartone, finto lascito e rottame dei giorni passati
dentro una losca bestia sanguinaria, ormai erinni
dello spazio-volontà assassinerò tutti per non sentire
come mi avvelenano, trasformandomi nel Diavolo.
Non posso più scoprire la natura, pacificarmi in
essa.
Sì, la natura è lì, mi aspetta, ma da estinto testimone
sarò dai vermi divorato, invano, rinascendo dentro il
Dio
che non c’è, bestemmiato!
DIO
Non capisco chi siano gli altri che mi guardano, chi siano
in verità, sonati come sonata o sonato sono io, antico
rudere egizio, sfatto, tramontato
senza Dio, protesta viscerale, senza stile, o rigore...
LA FINE DEL MONDO
1)
Non guardare fuori dello Specchio.
Lo Specchio rimanda allo Specchio dei tuoi occhi; gli
occhi
rinviano ad occhi sommersi
nelle Età trascorse all’Infinito.
O solitudini! Vicissitudini!
Chiavi del creato!
Andremo dietro
le vanità, e vanità noi fulmineremo.
1) I certi principi del divano apparente i certi calzari del
mio grande parlare, o come apparire di notte in
sembianze illividite dal fuoco delle tenebre!
Amore senza indugio con l’acqua che bolliva sul gas per
gli sporchi capelli, di lontano nella pentola –
borbottando ci chiama senza rancore di essere
lasciata lì a consumare tutta la sua bollente acqua
un attimo prima gelida.
Ti legherei al letto,
mangiandoti il cuore.
Non credo più all’amore.
Sii tu maledetto!
L’età del ferro
e l’età dell’oro:
non so come
vada tutto ciò
sul tuo corpo
mortale, né so
a quale età
tu appartenga!
Le parole tronche,
il silenzio intorno
nell’abbuiata
stanza dei meriggi,
vado e ritorno
sopra un corpo privato:
sono punito
ma non chiedo pietà.
Salto in piedi
dal letto disfatto,
le braccia in croce
vittima eroica
per un certo errore:
la stirpe dei Re
fasulla com’è
prevede solo te
o il tuo scettro
elegante.
A Pier Vittorio Tondelli
Ad Aldo Busi
A Marta
IL VIAGGIATORE D’OMBRA
Credo, morte aspettando, di rifare
il già fatto nel mondo in salvazione:
volteggiando innocuo devo la sorte
ricostruire così come la volle
nel cuore la mia favola perduta:
spavento non è fuga, o liquido
scivolare sulla perdita d’ombra;
chi calza le mattutine babbucce
non può rassegnarsi a dormire
scoperto. Io non posso
continuare a fingere allegria
o felici sommosse dell’anima:
il fuggire canto da ogni beltà.
LACRIMA AMORIS
Quali non sono gli ultimi dieci minuti sarebbe facile dirlo:
tutto ciò
che questi ultimi dieci minuti
di vita scanditi così, male o bene, appesi ad un pendaglio
da forca finale non sono – e amen per gli ultimi dieci
minuti in cui appare, dicono, tutto ciò
che chiunque visse nell’incognita terra all’occhio che sta
per chiudersi.
e la famiglia passo
di meraviglia in meraviglia
Innamorato
Attore
Innamorato
Attore
Innamorato
Mettitelo in testa, carino: io posso amarti solo senza mai
toccarti, non ti darò mai
la soddisfazione, o meglio simulerò la sofferenza per
ubriacarmi di te.
Attore
Innamorato
Attore
Ti sei ridotto ai gatti, sei uno sconfitto, ormai non c’è più
niente in te che ricordi la vita. Sei una lagna, ma
non è detto che io non potrei amarti, o stare con te:
hai fatto tutto da solo.
Innamorato
Attore
Innamorato
Attore
Innamorato
Il mio amore mi fa schifo.
Senza tutta la materialità della Carne.
La immaterialità dell’Essenza Celeste.
Io ti odio forse, perdonami, stammi ad ascoltare, nella
notte buia e senza luna, le stelle sono fuggite dal
cielo con raccapriccio...
Attore
Innamorato
Attore
Attore
Innamorato
Attore
Innamorato
Attore
II
III
IV
VI
Sono felice!
Oltraggio!
provo a dirlo
qui nel regno di nessuno che è il mio commento
ricostruendo meriggi e vite alternative allo strazio
che sarà ricominciare.
VII
VIII
Sapessi dove sono, stella mia, davanti ad un cielo nero,
un balcone di gioia, un rapido tremore, una radio
libera
che trasmette ogni sera canzoni – una tranquilla sera nel
mondo Il terzo Mondo tanto piacente e spiacente ad
un assassinato poeta.
Stasera eccomi a rievocare fantasmi. Non credermi
quando parlo, non cedermi, sono bugiardo
anche con me occultando il mio austero passato dove non
c’è spazio per un qualsiasi debito...
CONGEDO
Tunìs 1988
L’avversario
I
Né pipistrelli né serpi
mangerei nell’Aldilà normale
dei ladri; né ripensandoci
potrei farlo se il culmine
della Fine, il gran Finale
fosse mangiare me stesso
o quel che rimane di me stesso.
Ad ognuno il suo pranzo
più o meno ecologico, senza
sputare nel piatto dei digiuni.
II
ROMA 1989
Autobiografia solenne
in un’infima stanza
la forza dell’indenne
orgasmo adolescente
non vale una bevuta
notturna alla ricerca
del vero Bene. Dunque
non morire, rispetta
il mio gioco d’infinito.
V
io aspetto la notte
per dormire poche ore
nel caldo di un letto
intrecciato ad un corpo
infelice e sterile, il mio:
non siamo eterni
e questo cadavere intrigante
presto supereremo.
IX
a Giorgio Montefoschi
a Giovanni Giudici
a R.
IO
IO
Te ne dovrai andare
nel mondo dei più.
Non tremare, sospiro.
Ve ne dovrete andare
nel mondo dei meno.
Non illudetevi infeste immagini di gloria,
vi ho lasciato
al primo che passa
della Storia.
Chiudete al Male
le porte del bene,
ma intanto per eros
non morrete.
ALTRO
IO
ALTRO
IO
ALTRO
IO
a Giuseppe Conte
a R. Peyrefitte
Il poeta fallisce.
Stravolta Jonica, stravolto mare!
Tutto cambia certo, ma in peggio – assistere allo scempio
ignoto del paesaggio calabro mi rende furioso,
insensibile e lontano. Ecco la vecchia strada
panoramica regina di Grecia Grande manomessa,
uccisa, sradicata, non c’è più un fico d’India ai bordi
né i pini secolari e le sorelle cicale che rumorose e
fragranti come lucciole illuminate da Dio, fanno
corteo alle nostre notturne passeggiate.
In nome del Traffico Perenne questa strada è stata
manomessa; e nessuno piange, nessuno si dispera.
IL NULLA
Trascolorano tutti i colori
i colori annullano se stessi
si rimane ciechi a guardare
fettuccine mie bambine
rimanete intatte, vereconde
ricordate tanti «restaurants»
tante preghiere di misericordia
prandiale inesistenza, vuoto.
Mie gocciole d’oro, lasagne,
manicaretti, spaghetti,
frizzuli, albertinetti
ormai lontani dal passo
giovanile dell’ubriaco pentito.
I bambini mostri leggeri
consumano fumetti criminali
si preparano alla guerra totale
anch’io acido come un ragno
cui hanno distrutto le reti
della fame permanente
aspetto un allievo moscerino
per metterlo in guardia
dalla Visione.
Nel verde giocavano ragazzi: ora quando scrivo
giocarono devo intendere al lettore
capace di salti di qualità perdonando i vizi altrui:
senza amore io li vidi nel tenero verde giocare parlandosi
il lungo linguaggio dei corpi assassini crescendo,
moltiplicando.
Ore incantate passarono
in tanto sollievo guardando come un vecchio leone
finché mi decisi a partire.
I ragazzi palpitavano ancora.
Io ero tremante e distante.
Mi ritirai a casa, in maniera, in finzione aspettai nel letto
illuminato dalla bianca luna.
Arrivò l’amore e mi calpestò.
Sono ancora a questo dunque: a rievocare dentro una
scucita coperta giapponese, in prosa ritmica e
baciata, lunga di seme la presenza cacciata dello
sguardo di un ragazzo fuggito in Germania.
Chiese aiuto, e fummo sordi e solidali, ubriachi al vento
dello Jonio – ma era minorenne e il padre lo ghermì
vittorioso come la morte!
Traditore, menagramo, sporcificante assedio dei tuoi
sensi inesistenti, come ti detesto!
Contravvenendo al vangelo dei giusti che rinnego per te
rinnegato che offendi la Scrittura, ma non è la mia
anima piena del Tutto che ti odia, bensì qualcosa in
me che chiamo Ragione;
le parti basse affievolite dal sonno
premono per spremere la linfa vitale
che in te non arriva mai al cielo dei Rimorsi.
Il tuo prossimo libro: piange la tua carne bastonata
dall’omicidio commesso
sul tuo rozzo corpo di provinciale malspeso.
Tu hai sporcato poesia, sporcherai anche morte!
Laggiù, oltre il telefono,
riposi in un letto matrimoniale
aspetti la sposa vera, la spirale
tratterà i dovuti suicidi.
Aspirare l’inverno o il vento
battendo sugli infissi d’alluminio
non c’è speranza oltre i secoli bui
del martirio. Attendo
il tuo corpo, l’anima è volata via.
Ti aspetto col buio, nel buio.
E se la tregua convince le bellezze davanti a me – nel
letto sfatto saranno – o come presente il cuore
vandalo verso la fine trova la tregua al nascere e al
morire – sintassi estrema prima di morire, morire.
Unica parola vietata, sincope, deragliata, la fine, di
tutto...
Sei Dio forse
solo perché t’ho amato
e ora inguaribile
ritorno a te
bestemmia, insulto
emblema casto del Passato.
Scilla e Cariddi
Santa Maria degli Angeli
un giovane poeta
si estasiava
davanti al Tabernacolo.
Fuggiva il peccato
in compagnia di sodali
confessava i suoi mali
a un prete lancinato.
Penso alla vita trasparente e severa di mattina alzando le
ossa nel cuore
crepato dall’ansia; e potrei morire disgregato,
addormentarmi precipitare nel vuoto della Peste,
continuando a macerare i giorni passivo ospite di un
corpo.
Finora ho vissuto, bene o male, non importa, né mi
rassegna l’eventualità livida
di non chiudere la porta al vento del domani.
La salvezza
all’istante
lo sguardo esitante
di un bambino festante
al suo cane adorato.
Fugace è la giovinezza
un soffio la maturità;
poi avanza tremando
vecchiaia e dura, dura
un’eternità.
Oggi, dopo una notte d’insonnia
coltivata da mille barbiturici
pillole colorate che danno ansia
ripresi a scrivere poesia
contro la poesia, con pudore
fastidio, inesorabile destino,
con la certezza idiota dei deboli.
Le cene scroccate ai ricchi erano elemosine bandite dalla
mensa della fretta.
O rimbaldino consiglio di una gioventù perduta, smarrita,
incredula di trovarsi al pianto del domani. Così i
ricchi ancora ti guardano (guardano il poeta)
mangiare con simpatia o commiserazione;
contenti, qualcuno che tu mangi
al loro posto per diete sadiche fasulle tralasciando ogni
dieta umana tipo Auschwitz: altrimenti, poverini,
ingrassano nell’anima, e gli altri non potendo fare a
meno di pensare come i poveri siano volgari,
materialisti.
CONGEDO
Se non avesti mai l’amore che volevi, non era colpa mia
se non l’avesti mai ma era la colpa di nessuno che
diveniva di tutti colpa e compassione per chi finì
sotterra. Se non avesti mai che pianti nei tuoi occhi
baciati di nascosto nel sonno ansioso d’un risveglio
senza domani, figlio della promessa non mantenuta
che invano scalpitavi
per un riconoscimento che non venne, non infierire ora
contro di me la tua rabbia senza sepoltura che viene
lenta a marcire l’anima che solo allieta il tuo ricordo
– di quando eri. Se le rivoluzioni ora pretendono la
mia scoraggiata presenza, questi anni della
rivoluzione violenta che tutto vuol distruggere per
niente ricostruire, la mia smaniosa voglia di
autodistruzione non devo cercar di confondere con
quella di questi figli dell’ira. Chi non pecca scagli la
prima pietra e chi non è tentato non sarà salvato ma
tu tentato e tentatore, lo so, non ti ritroverò perché
sei rinato.
1968
A UN POETA
1963
*
La pioggia ha fermato la mia uscita ai vetri rigati della
finestra della nostra ultima stanza – dove resto a
controllare che tutto resti intatto come lo volevi tu,
il poetico disordine – a guardare per la via lucida di
pioggia gli ombrelli saltellare fra le pozzanghere;
chiudendo gli occhi ho creduto di risalire il tempo
passato, di spogliarti come una volta prima di
andare a letto, fra le matte risate e il solletico
reciproco, ho smarrito il cervello al pensiero calmo
ormai che non ci sei più e non mi consolo ancora.
Ragazzo mio è bastata un po’ di pioggia – tanto da
non poter uscire e perdermi nel brusio della città
dove tutti i ragazzi mi parlano di te – per farmi
cadere nella più tetra disperazione.
1967
Sfuma il punto
del nostro incontro lontano
nel ricordo di poche occasioni
ma tu resisti immoto ad ogni urlo
come in un sordo delirio
mi fai segno di desistere
di smettere la lotta
contro il tempo che non perdona.
VII
*
Ho deciso di non più frequentare la tua perfidia immonda
di terrestre consumato dall’invidia delle mie celesti
opere che nel mondo illuminando la verità del
destino, il fato aguzzino dei soavi ragazzini
incatturabili dai mostri osceni e turpi come te,
lasciano l’irrealtà, per sprofondare nella mia
straordinaria coscienza. Dilato il mio giudizio su di
te, corruttore di bambini e straripante lemure che al
ristorante mi afferri e con le tue stregate parolette
di scostumato poeta di periferia, m’infilzi,
bivaccando presso i barbari drogati dell’Assoluto
Relativo.
Non sei niente, ma vorrei assistere al tuo funerale.
Vederti mentre mi vedi
venire al tuo funerale senza poter obiettare a questa
assente presenza che sarei io, a lutto vestita, in
attesa di sparlare di te al ristorante con i miei
cortigiani.
Madama, madonna!
Sette vizi capitali
sono nella mia gonna!
*
*
Se tu provi gli stessi sentimenti da me provati per colui
che rovinò la nostra povera amicizia, allora hai
ragione nel difenderti dalla mia febbre di vederti, e
parlarti, anche se soltanto dovresti pensare che non
fu mia intenzione mettere fra me e te quel bandito
sanguinario, forte solo della sua innocenza collegiale
smarrita in marchette.
Quel ragazzo ha sfigurato la nostra amicizia, sia pure, ma
il tuo punto debole, il mistero resta per me sempre
misterioso. Non riesco a decifrare l’Enigma. Tu
isolata resti dal mio destino e niente può
coinvolgerti.
Sei forse Dio?
Dimmelo prima di morire, tu e io, non so dove
rinascendo, e dove è previsto, in questo nulla che è
il mondo, di non incontrarci senza la frattura oscena
dei corpi.
Fa’ che io morendo non sappia nulla della tua morte
prematura, pur essendo vecchia come il mondo, ed
io giovane sia in effetti così vecchio da rasentare lo
sforzo del Dio ignoto a rinnovare le sue cellule
clandestine
in mille stelle nascoste ai miei occhi indagatori.
Ho peccato contro di te. Ho spento la voglia di
abbracciarti nel corpo del mio assassino potenziale,
ma tutto è avvenuto a mia insaputa, per la prima
volta vivendo ho sentito di essere agito, e che tutte
le manovre per riavvicinarti non servivano.
da POESIA TRE
HITLER
TU SEI PERSA
1975
da GATTI E ALTRO
(VARIANTE)
MADRE
*
La morte vuole morire con me. Dormire solo
annali di tempo morto
prima della rinascita
quando saremo soli.
Invettive e licenze
□ Invettive e licenze, Garzanti, Milano 1971. Volume di 136
pagine. Nel colophon: «Finito di stampare / il 24 febbraio
1971 / dalla Aldo Garzanti Editore s.a.s. / Milano». Risvolto
di copertina di Pier Paolo Pasolini:
Morte segreta
□ Ergastolo (indicata in apparato con E ), con
un’introduzione di Giovanni Raboni, in «Almanacco dello
Specchio», n. 5, Mondadori, Milano 1976, pp. 207-20. La
sequenza comprende tredici poesie numerate con cifre
romane, tutte anepigrafe, alcune accolte in volume con
titolo: I, Sono chiamato dai sensi a rispettare natura →
Scherzo per Catullo e Verlaine; II, Non ha importanza con
chi farai l’amore → Amore amore; III, In un lugubre
smorzarsi dell’autunno; IV, È Dio che muore con me; V,
Perché venisti solo a notte a cazzo dritto; VI, Poi mi accorgo
che l’io, il prode nemico attaccato; VII, Ora s’accende il
ricordo; ed è l’unico sentimento, mai più accolta in volume
(vedi Appendice); VIII, Stasera la depressione è rivenuta
incalzando; IX, Non sarai tu ad uccidermi, faccia d’angelo;
X, Dio può pensare se stesso essendo; XI, Arriva un
ragazzetto biondo da Venezia, si rivolge; XII, La somma
finale del nostro pensare è zero; onde; XIII, Ritorna
primavera, e con essa ritorna gioventù → Ad Anna Maria
Ortese.
L’autore vorrebbe che questo libro fosse letto dai giovani, dai ragazzi;
che essi cioè facessero giustizia da sé di un «corpus» poetico a loro
consacrato. Esso, rozzo, raffinato, vuole non identificarsi con i valori
della società costituita, disprezzata quel tanto che ha permesso un
margine di libertà all’autore di sentirsi poi ancora capace di scrivere
poesie. Il che, lo si ammetta, diventa sempre più difficile e raro. Né
l’autore ha voluto capire la morte, la sua morte, per ripiego o rivalsa,
o per un vezzo ironico. Egli infatti ha cercato di parlare di una morte
che riguarda tutti. Segreta quel tanto che basta a farla nota al
mondo, come morte ideologica, morte dell’anima, in un mondo
corrotto e violento. Le poesie sono state scritte alla maniera antica
da chi si accorgeva che stava delegando un altro a scriverle, più
poetico dell’autore stesso e che doveva per forza di cose parlarci
della sua morte. Lette come un giallo, o un romanzo che s’insegue
poesia dopo poesia, il libro prende alla gola per intensità e dolore.
Nessuno sa come andrà a finire tanto sfacelo e tanta disperazione. E
questa morte dunque è solo un pretesto per chi assalito dai mostri
del Potere, si è ribellato, ha dato scandalo e strazio di sé, ha ucciso
come San Giorgio il drago, e si è infine ammalato, è morto. Ma ogni
morte è una rinascita e Dario Bellezza spera di farcela a portare a
compimento un suo progetto ambizioso, un ritorno al «Paradiso», per
ora proibito, per sola virtù di poesia.
Accolto, con Invettive e licenze, il suo precedente libro di poesie,
come il miglior poeta delle nuove generazioni, D.B. ha compiuto un
esorcismo: letterato, ha portato la «letterarietà» a un diapason
infinito e perfetto, fingendo di essere un grande poeta, senza forse
avere la coscienza di esserlo. Ma nessuno sa di essere un grande
poeta. Neppure Rimbaud. Certo, leggendolo, si senta il lettore
giovane trascinato verso i voli più alti della poesia; qui interessano
solo i grandi temi, le grandi tragedie, e ogni sconfitta ha il sapore di
un ritorno al grembo materno dove è stata perpetrata, per la prima
volta, la prima «morte segreta».
v. 3 a me stesso:] a me stesso; E
I vv. 8-13, in E , hanno una diversa scansione:
v. 20 a me stesso,] a me stesso; E
v. 6 d’offuscarsi] di offuscarsi E
v. 15 vero,] vero E
AMORE AMORE
Libro d’Amore
□ Libro d’Amore, Guanda, Milano 1982. Volume di 80
pagine, n. 89 della collana «Quaderni della Fenice» diretta
da Giovanni Raboni. Nel colophon: «Finito di stampare / nel
mese di settembre 1982 / dalla Tipolitografia Lodigraf
s.p.a., Lodi». Quarta di copertina anonima ma attribuibile a
Giovanni Raboni:
io
□ io, Mondadori, Milano 1983. Volume di 104 pagine; nel
frontespizio: «io / 1975-1982». Il colophon riporta: «“Io” /
di Dario Bellezza / Collezione Lo Specchio / Arnoldo
Mondadori Editore / Questo volume è stato impresso / nel
mese di ottobre dell’anno 1983 / presso le Arti Grafiche
delle Venezie di Vicenza / Gruppo Mondadori / Stampato in
Italia – Printed in Italy». Risvolto di copertina di M.F.
[Marco Forti]:
Serpenta
□ Colosseo (indicata in apparato con C ), Colosseo. Apologia
di Teatro (indicata con CA ), vedi Libro di poesia
ROMA 1986
Testo di S85 :
v. 2 sconfitta –] sconfitta UE
VERDE
In tondo in S85 . Tutti i vocativi «O» sono qui resi con «Oh».
La terza e la quarta strofa sono unite.
v. 9 dunque] dunque. S85
v. 15 fortunati preziosi immortali] fortunati, preziosi,
immortali, S85
v. 32 divinità] Divinità S85
v. 34 scivoleremo] scivoleremo nel duro gorgo. S85
v. 5 smessi;] smessi: UE
v. 8 pentola –] pentola UE
v. 9 borbottando ci chiama] borbottando che ci chiama UE
v. 16 stanza.] stanza UE
v. 7 infelici] infami UE
v. 3 urlare] cantare UE
v. 4 o scempio] oh scempio UE
v. 6 manipolato] masturbato UE
v. 18 penso: potessi] penso. Potessi UE
SOTTOPONTE
Testo di UE :
In tondo in S85 .
v. 2 o oscura luce dagli occhi incantatori.] o luce oscura
degli occhi incantatori S85
v. 4 una volta:] una volta S85
v. 5 i baci, gli abbracci, i turbamenti] i cani, le gazzelle, i
turbamenti S85
v. 10 vola via] vola via... S85
RIPRENDIAMOCI LA VITA
OLTRE L’OBLIO
v. 8 normale,] normale PC DP
v. 15 il cuore] il mio cuore PC DP
REGINA DI MORTE
Il testo è in tondo in PC DP .
v. 4 distruzione] distruzione, DP
v. 13 per questo] Elsa!; per questo PC DP
Testo di S85 :
Il ricordo smemora fuori del tempo
il corpo decade senza fretta
lì nella campagna m’aggiro
pauroso di restare, fermo
il corpo decade ma con giudizio
la testa è pesante, il cuore fermo
il sole quello di tutte le estati
sconfitte e vittoriose in città
sperando di sfuggire alla morsa.
Idiota che ascolti le canzoni
di dieci anni fa fermati
ad ascoltare me liquido emblema
del tempo che s’aggira fermo
di muoversi contento per gli umani
assediati da morti e ancora morti
senza elemosina piangendo il domani.
L’ESTREMO RIPOSO
DOPO LA FINE
Il testo è in tondo in PC DP .
v. 2 dell’agonia,] dell’agonia terribile, PC DP
v. 3 giullare] giullare, PC DP
v. 8 vai] va’ DP
Libro di poesia
□ Colosseo, Barbablù, Siena 1982. Plaquette di 28 pagine,
n. 16 della serie «Quaderni di Barbablù». Privo di indice, il
volumetto comprende la serie: Colosseo; Invettiva;
Naufragio; La fine delle fini; Amore (con il titolo Nella città
di Virgilio in Libro di poesia); Eros; Un nemico della poesia
(mai più accolta in volume, vedi Appendice); Al circo
Massimo; Sottoponte (poi in Serpenta, 1987, con dedica
«Ad Aldo Busi»); Insieme a Elsa e Aldo (mai più accolta in
volume, vedi Appendice); I giovani padri. La stessa
sequenza è mantenuta in Colosseo. Apologia di Teatro. Alle
pp. 26-27 la nota di Dario Bellezza:
MAESTÀ
Testo di PC DP :
Chiuso e stretto nella mia follia derubo
il tempo stretto della mia arida ardia:
non c’è ricerca ma vuoto,
con nuove parole senza senso
ahimè festeggiando in excelsis
il mancato trasloco, burla
in vitro, in salamoia, in furore
in accidente mortale, in clausura:
questo fu il tempo dei vani strepiti
dell’assenza di poesia, del cercare
e non trovare, mentre fuori piove
la pioggia dei Secoli e delle Apocalissi
col vento lacero su uno straccio
bagnato come me in ascoltando
la vita come fu o sarà
menzognera estate o libro di virtù
sciagurato.
Già aussi l’ivresse paranoïque
dovrei usare per raggiungerti
o amarti, bella deità, sconfino morente
del mondo, zoccolante vecchietta di morte
e rinascita effimera, caduta, dici, per tua
volontà e così cercando di negare il Dio
al quale vorresti credere, oh Elsa.
SE IO FOSSI DONNA
Testo di PC DP :
I GIOVANI PADRI
v. 14 morte:] morte CA
v. 22 del loro cuore] del loro / cuore C CA
DIO
LA PATRIA È LA LINGUA
DICE O.W.
Testo di PA , datato in calce «1985»:
ARTURO R.
CUORE DI PIETRA
Testo di PA :
COLOSSEO
INVETTIVA
NAUFRAGIO
v. 41 lacrimose,] lacrimose CA
EROS
AL CIRCO MASSIMO
L’avversario
□ Donna di Paradiso, vedi Serpenta.
v. 2 purissimo] inestinguibile DP
v. 22 giovane] ragazzo DP
v. 24 o prostituzioni] o le prostituzioni DP
v. 26 orge] le orge DP
v. 27 per vizi] per i vizi DP
v. 28 vecchia giovinetta] vecchietta antica e giovinetta DP
v. 29 strazio suicidale] strazio o rivolgimento suicidale DP
L’OMBRELLO DI ELSA
GATTI
Testo di G :
Siete miei prigionieri
prigionieri dell’orrore dunque
anche il tetto vi è proibito
e la vostra vita passa e ripassa
in due stanzette umide dove vi rinchiudo.
AD UN GATTO
Il v. 6 e il v. 13 sono assenti in G
v. 1 Siam –] Siam G
v. 9 all’infedele] alla infedele G
v. 16 pasquale –] pasquale G
v. 17 ragazzetto] ragazzotto G
v. 21 incarnazione,] incarnazione G
v. 22 mi affanna:] mi affanna, G
v. 24 la tua perduta caritatevole forma] la tua / perduta
carità. G
AD UN CANE
1987
1988
1989
Da ricordare: camomilla
Dalla storia dei nostri poveri giorni
Dalle profonde letargie del mio destino
Davanti immacolate montagne
DE PROFUNDIS
Delatore, spia
Delinquente mio delinquente
Dentro un’agenzia di viaggi
Di là ti masturbi senza lode
Di nuovo ecco la ripetizione
Dialoghetto
DIALOGO FRA UN ATTORE E UN POETA INNAMORATO
Dice O.W.
Dicono che non sia un poeta raffinato
Dio
Dio mi moriva sul mare
Dio può pensare se stesso essendo
Diranno che ero un gran depravato
DISAMORE
«Domani sarò sola
DONNA
Donna conforme e vicaria del male
Dopo la fine
Dopo un anno, feroce giorno in cui un poeta è caduto,
1976
Dopo una rottura
Dormivi o eri sveglia quando materna
Dov’è la sterilità che t’accompagna
Dove la notte calza la mattina
Dove riposi io guardo
Dovrei ritornare quello che ero: ragazzo battagliero
Dura legge sapere che niente
Factum est
Factum est, gridai andando
Fare, sbirro del proprio corpo, tutto
Felice te passero (impudicizia mi spinge
Finché cadrà la parola odio nasconderai
Fino in fondo ho bevuto il calice dell’amarezza. Ma è
Folle è ritrovarti. Folle è
Forse m’impiglio in pigrizia, non riesco
Forse mi prende malinconia a letto
Fosse l’ultimo amore il tuo
«Frocio arrepentito, escremento del demonio
Fu sul tram che t’incontrai
Fu, nel passato, la mia una illusa visione
Fugace è la giovinezza
Fuggono tutti i giorni miei
Fumavi sigarette drogate
FUORI DI ME
GATTI
Gatti
Gatti, occhi
Già da te mi distacco, inquieto testimone
Giovane laggiù nel tuo letto
Gli ultimi dieci minuti
Grato senza eccesso
Guarda così ancora la sedia blu
Gusbi, Gusbi, dico al gatto giallo
L.S.D.
L’amicizia è tutto
L’amore uccide ciò che ama
L’ansia divorò tutto, in città, la città natia
L’antica poesia si chiamò lingua degli dei
L’arcano fascino dell’amore tradito
L’asilo nella città più insidiato
L’attore è la voce dell’Assente
L’AVVERSARIO
L’avversario
L’Eros è incerto
L’estremo riposo
L’età del ferro
L’immaginario è scoperto dai giornali
L’insonnia che mi prende
L’ombrello di Elsa
L’ombrello di Elsa è un eroe
L’ubriachezza molesta che uccide, e tu
L’unica cosa che non mi spiegasti, o sublime, è
L’unigenito sole si sfiocca nella bile
La casa zeppa di straniere pulci
La distruzione è l’unico movimento dell’eterno
La fine del mondo
La fine delle fini
La fine, la fine è prossima...
La freschezza animale del tuo corpo
La gattità
La leggera sciarpa avvolgi intorno
La mattina, birre, «salade», un po’ di caviale
La mia casa, l’entrata
La mia discesa nel più infantile dolore, in te
La mia poesia è mentale
La morte vuole morire
La notte aspetto nel silenzio calamitoso e le avventure
vorrebbero
La notte, infedele peccato di amanti
La patria è la lingua
La pioggia ha fermato la mia uscita ai vetri rigati
La pittura è colore e dolore
La promessa ragazzo spasimo amore
La Santa
La sapevi lunga. Imposte
La sedia di paglia si è rotta
La somma finale del nostro pensare è zero; onde
La tua anima bisognosa di Dio
La tua assenza sgomina
La tua nonna tanto simile alla mia, innocente
La vedo tutta lì la sorte mia
La vergogna del sesso sconclusionato
La vergogna del sesso sconclusionato
La vita che vivo non è mia
La vita è sogno di giornate ardenti
LA VITA IDIOTA
Lacrima amoris
Laggiù, oltre il telefono
Lascio indietro le stanze e le strade
Le botte cadevano forte sul mio cranio
Le cellule tue sono dissolte
Le cene scroccate ai ricchi erano elemosine
Le chiavi del caso
Le fosche licenze del non-amato
Le gambe le cosce l’ardente
Le illogiche parole dell’amante
Le intermittenze del cuore, a freddo
Le marchette costano troppo a Capri
Le muse
Le pazienti fami dei giovani diversi
Le pazzie dei disadattati sanno l’odore
Le scie alate della tua morte oscura
Le trombe squilleranno
Legge di natura lo schiaffo
Leggiamo le mie possibilità amorose
Leggo ancora i poeti contemporanei
Lei, la nera, li guarda
Leuconoe, quando io e te si muoia
Li saluto tutti come da una partenza
Lingua, tu non rispondi, né apri
Lo scomodo alibi dell’Indifferenza rapace
LO SGUARDO PUNISCE CHI GUARDA
LODI DEL CORPO MASCHILE
Luce, luce per i miei occhi stanchi
Luna sparviera che guardi i miei amori di pura sensualità
Naufragio
Né maschile né femminile, il suo sguardo
Né pipistrelli né serpi
Nel presente
Nel tempo e nello spazio
Nel verde giocavano ragazzi
Nell’arido seguire dell’irrealtà
Nella città di Virgilio
Nella luce fioca mi lecco
Nella mia notte il pessimo tuo mattino
Nella villa padronale dove m’invitasti c’era il tuo
Nessuna notte risarcirà quella notte
Niente si offre per l’ultima volta
«Non c’è altra donna fuori di me
Non c’è mostro più mostro di te
Non c’è niente di meglio che barare
Non ci tieni più
Non credi all’amicizia, ai suoi valori
Non devo pagare niente
«Non è colore, o luce, riverbero o ombra
Non è la carne, la musica dei tempi, l’oblio
Non è realtà che m’intriga
Non furono immagini, raggianti e regali
Non guardare fuori dello Specchio
Non ha importanza con chi farai l’amore
Non ho memoria. Non ricordo di averne mai avuta
Non ho Paradiso: la vita fugge
Non invento più
Non m’accende amore
Non merito aiuti né misericordie
Non mi rassegnerò mai alla tua morte
Non mi rimane che scrivere e andare via
Non mi vedi sgocciolare per casa
Non posso che maledirti, senza comprensione
Non posso pensare al futuro. L’amata
Non raggiungerò il Sublime perché sono vivo
Non regalare quadri provvisori
Non sarai tu ad uccidermi, faccia d’angelo
Non scrivermi più, illusa illusione di ritrovarmi
Non si muore subito
Non si vedrà per tutto l’inverno
Non so che forma scegliere per esprimere
Non sono capace di solenni peccati
Non sono né invincibile né Dio;
Non ti abbandonare ai sogni
Notte, peccato
Notturno orinatoio autunnale
Numerato i peli del tuo pube
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Tutte le poesie
di Dario Bellezza
© 2015 Mondadori Libri S.p.A., Milano Pubblicato in accordo con Grandi &
Associati, Milano Ebook ISBN 9788852060144
COPERTINA || ART DIRECTOR: GIACOMO CALLO | PROGETTO GRAFICO: GIANNI CAMUSSO | LUIGI
ONTANI, PINEALISSIMA, 1981, MASCHERA IN LEGNO DI PULE DIPINTA CON COLORI NATURALI
CON IDA BAGUS ANUM, COLLEZIONE PRIVATA, COURTESY L’ARTISTA E GALLERIA LORCAN O’NEILL