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SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZIONE

(nel mondo moderno)


Premessa
La sociologia non centra con la pedagogia, è un altro modo di occuparsi della questione educativa e
scolastica. Le due discipline si parlano, interagiscono, si possono condurre delle ricerche
interdisciplinari con entrambe le componenti ma hanno prospettive differenti.
La sociologia cerca le cause dei fenomeni sociali, ovvero si occupa di osservare, descrivere e spiegare
i fenomeni sociali.
I fenomeni sociali sono fatti, avvenimenti che non appartengono al mondo naturale ma sono
fenomeni economici, religiosi.
L’oggetto della sociologia è la società moderna.
Cosa intendiamo per società moderna? Quando inizia la società moderna? Quando inizia la
sociologia?
Possiamo dire che la sociologia come nuova forma di sapere comincia a sorgere alla fine del
Settecento, fine Diciottesimo Secolo (precursori: filosofi politici, es. Montesquieu, Rousseau) e si
consolida nell’Ottocento, che è il secolo della sociologia. Tale processo di consolidamento giunge a
compimento a cavallo tra Ottocento e Novecento (primi vent’anni). In Inghilterra, Francia, Germania
e Italia diviene una disciplina accademica ed inizia ad essere insegnata nelle università. Ha un suo
piano armamentario teorico e metodologico che si differenzia dalla filosofia, dalla storia e dalla
filosofia politica. Sono imparentate ma si raffina fino ad avere un proprio statuto epistemologico.
La società moderna che ne è oggetto inizia a prendere forma nella seconda metà del Settecento in
Europa e negli Stati Uniti.
Il processo di modernizzazione inizia molto prima nella sua fase primordiale, addirittura nella
seconda metà del Trecento (autunno del Medioevo).
Il processo di modernizzazione nel Settecento trasforma la società europea in modo così eclatante
ed impressionante da destare l’interesse di questi filosofi, storici e pensatori politici. Questa è la
FASE MATURA della modernizzazione, detta così perché il processo di modernizzazione comincia a
dare i suoi fiori maturi e visibili, avviene proprio intorno al 1750: quindi 400 anni dopo l’inizio dello
svilupparsi della sociologia (nel trecento).
Parte dalla seconda metà Settecento e continua per tutto l’Ottocento fino alla Prima Guerra
Mondiale. Tale fase matura (1750-1900) è anche detta FASE RIVOLUZIONARIA. I frutti maturi del
processo di modernizzazione assumono un carattere rivoluzionario, cioè potremmo dire di
smantellamento radicale e violento del mondo, dell’ordine sociale cosiddetto pre-moderno
(troviamo quindi il concetto di rivoluzione = distruzione dello status quo precedente: infatti costruire
qualcosa di nuovo significa distruggere ciò che c’era prima). Detta rivoluzionaria anche perché
comincia a prendere forma attraverso l’innesco di rivoluzioni vere e proprie: nel 1750 inizia la prima
rivoluzione industriale in Inghilterra. Quest’ultima inizia a trasformare il tessuto economico della
società con tutte le conseguenze dal punto di vista della globalizzazione, democratico. Ci sono altre
due rivoluzioni: quella americana e quella francese.

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Tutto l’Ottocento è caratterizzato dalle conseguenze della rivoluzione francese su tutti i paesi
d’Europa. È l’epoca delle guerre napoleoniche. La rivoluzione francese è esportata da Napoleone
nei paesi europei, l’idea era quella di portarne i principi negli altri regni ed imperi europei.
Rivoluzione = smantellamento della società aristocratica e dell’Ancien Régime e l’istaurazione della
Repubblica. Le monarchie europee cercano di difendersi. Con la Prima Guerra Mondiale (1914-1918)
assistiamo al completamento di questo processo, della fase rivoluzionaria perché essa vede cadere
gli ultimi baluardi dell’Ancien Régime in Europa in quanto l’Impero Austroungarico ne esce sconfitto
e finisce la monarchia asburgica. Cade l’Impero Ottomano a cui si sostituisce la Turchia come stato
Repubblicano alla francese. La Russia è alleata della Francia contro gli Imperi Centrali; la Russia
conosce la Rivoluzione di Ottobre (Bolscevica). Quest’ultima è stata paragonata dai filosofi politici
alla rivoluzione giacobina del 1789 in Francia che ha smantellato i vertici della monarchia francese
(morte di Maria Antonietta e altre teste coronate). Allo stesso modo la rivoluzione bolscevica
smantella l’istituto monarchico, lo zarismo, ed elimina la famiglia reale.
Smantellamento della società premoderna e delle sue istituzioni fondamentali, quindi un’economia
basata sull’agricoltura e un ordine sociale e politico basato su una struttura sociale rigida, priva di
mobilità sociale, organizzata sulla divisione tra aristocrazia e popolo. Tale mondo inizia a implodere
nella seconda metà del Settecento. Gli intellettuali hanno il compito di dire le cose in fase iniziale e
si rendono conto che sta accadendo qualcosa di portata epocale.
Tale fase rivoluzionaria trasforma le società europea e nordamericana. Qui è più soft perché gli Stati
Uniti d’America erano organizzati in modo diverso però la rivoluzione americana sancisce il taglio
del cordone ombelicale tra le colonie inglesi dalla madre patria e dalla corona britannica
aristocratica.
La modernità racconta sè stessa in termini positivi rispetto al premoderno. É una narrazione
assiologica. Programma educativo volto a dare una rappresentazione positiva del moderno. Il
Medioevo invece, per esempio, veicola un significato negativo premoderno: Medioevo = epoca che
sta in mezzo alle due luci, quella dell’Illuminismo e quella del Mondo Classico, dell’Età Antica. In
mezzo “i secoli bui” del Medioevo. Da un lato la necessità di affrontare un programma educativo, la
narrazione sempre positiva del moderno, dall’altro l’idea di progresso; la modernità è un continuo
processo (fa sempre parte della narrazione assiologica), dal buio alla luce. Il mondo moderno, a sua
volta, è l’inizio di un progresso continuo, quello che viene dopo è sempre meglio di quello che lo ha
generato.
Oltre a questi punti, il programma educativo della società prevede l’idea di predisporre i popoli
affinché il loro agire sia funzionale a garantire il progresso irreversibile del mondo con gli apparati
della modernità: l’economia e la politica, in particolare il capitalismo economico e lo stato nazionale
sul piano economico.
Lo stato laico e repubblicano può convivere con l’istituto monarchico, come avviene in Germania (II
Reich, ove Guglielmo II è l’imperatore di Germania) però né il monarca né l’imperatore hanno potere
assoluto (dalle rivoluzioni). Tali rivoluzioni innescano cambiamenti profondi, i precursori della
sociologia cominciano a descrivere la trasformazione della società in questo processo di
modernizzazione. La sociologia dell’educazione si occupa in particolare dei processi, dinamiche,
programmi che vengono elaborati e messi in atto allo scopo di fare sì che le popolazioni investite
dal processo di modernizzazione agiscano nella loro vita quotidiana in modo conforme alle necessità
di sviluppo della modernità. Funzionale al potenziamento degli apparati moderni. In Francia, dopo
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la Rivoluzione Francese, venne istituito il Sistema di Educazione Nazionale che ha il compito
attraverso la scuola di far sì che il popolo francese abbia un sistema di valori della repubblica, che si
sentano cittadini dello Stato. Allo stesso modo il capitalismo ha bisogno che il popolo sia composto
da produttori e lavoratori e consumatori. Sono le funzioni che servono a questo apparato.
La fase d’oro della sociologia classica è l’Ottocento. La forma mentis sociologica non è quella storica
e filosofica, come detto precedentemente. Gli intellettuali, prevalentemente francesi, inglesi e
tedeschi, notano un processo di trasformazione radicale della società moderna in cui vivono. Essa è
epocale perché per la prima volta nella storia dell’umanità ci si rende conto che si hanno in mano
gli strumenti per trasformare il rapporto uomo-natura. La condizione umana è tale per cui non
possiamo fare altro che accettare i limiti impostaci dalla natura: la vita umana è limitata, è fragile, il
nostro equilibrio fisico è precario, siamo “mortali” (Platone, a differenza degli dei). Tra Settecento e
Ottocento gli studiosi si rendono conto che la conoscenza scientifica si è accresciuta (metodo
scientifico dal Seicento). La conoscenza scientifica ha come oggetto il mondo della natura, il mondo
materiale. Le applicazioni tecnologiche delle innovazioni scientifiche mettono nelle mani
dell’umanità del Settecento un potere che prima non c’era: l’alterare i rapporti di forza con la natura,
che prima non c’era. Esempio: scienza medica. Prima uno si ammalava e moriva. L’applicazione del
metodo scientifico in ambito medico fa sì che le malattie possano essere studiate e che quindi si
possa iniziare a cercare di curarle con metodo. Sapere come una cosa funziona permette di
intervenire per risolvere i problemi. Ora si inizia a capire come funziona la materia, ci si pone
domande e si inizia a tentare di dare delle risposte. Heidegger (filosofo 1900), nel saggio Sull’essenza
della verità si chiede cosa voglia dire pensare/fare filosofia. Fare filosofia consiste essenzialmente
nell’eseguire una sistematica problematizzazione dell’ovvio. Esempio: mela di Newton, “perché la
mela viene giù dall’albero?” È ovvio, ma perché? Pensare è una caratteristica propria della nostra
specie. La rivoluzione della fisica innescata da Newton è iniziata perché egli si è posto certe
domande.
Nel Settecento è divenuto evidente perché si vedevano le conseguenze di tutto questo. Si è capito
che ormai il mondo europeo aveva in mano enormi margini di miglioramento nella conoscenza del
mondo fisico, materiale.
Fisica, chimica ecc. e le loro applicazioni tecnologiche iniziarono ad avere un’enorme evoluzione
(ingegneria). Scienza e tecnica innescano un circolo virtuoso di conoscenza: le innovazioni
tecnologiche ci permettono di aumentare le conoscenze scientifiche e queste ci permettono di
migliorare gli strumenti tecnologici. Per esempio sappiamo che Galileo Galilei intuisce che
probabilmente il sistema astronomico aristotelico e tolemaico non funziona e che probabilmente
funziona invece quello copernicano. Se ne accorge perché mette a punto un telescopio più
sofisticato che gli permette di misurare i movimenti degli astri che non possono essere spiegati usato
quali paradigmi di riferimento quelli aristotelico e tolemaico, invece trova una spiegazione
matematica in quello copernicano (Sole al centro).
Capendo come è fatta la materia si può a livello ingegneristico progredire nelle innovazioni, es.
conoscendo la materia si sa a che temperature fondono i metalli e si può plasmarli a proprio
piacimento, sappiamo come reagiscono tra loro gli elementi. È un’esplosione di sapere scientifico e
tecnologico. La rivoluzione industriale (1750) è resa possibile da ciò: applicazione a livello della
produzione delle innovazioni tecnologiche e scientifiche.
C’è un sapere tale che, se applicato in modo rigoroso e costante, finirà per metterci nelle condizioni
di sconvolgere i rapporti con la natura, noi la dominiamo, interveniamo su di essa ora che ne
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conosciamo i principi, ora e sempre meglio. Es. nel Settecento Londra si illumina di luce elettrica 
cosa epocale!
Oltre alla scienza e alla tecnica, a stravolgere il rapporto con la natura è anche la società industriale.
Scienza e tecnica sono le condizioni necessarie per realizzare la società industriale la quale è la
società che trasforma la natura e l’ambiente a misura d’uomo (un mondo come vuole lui).
Idea classica di divisione tra mortali e Dei imponeva i limiti della natura. Es. mito di Icaro: se vuoi
essere come gli Dei ti autodistruggi. L’uomo moderno invece dice che ora conosce la struttura intima
della materia e quindi può dominarla, non ci sono forze magiche in essa, ci sono le leggi della fisica
e della chimica quindi è solo questione di tempo prima che l’uomo possa emanciparsi dalla natura.
A inizio Ottocento siamo nella Bell’Epochè, c’è molto ottimismo circa il futuro  entusiasmo.
Ragione e liberà sono le colonne portanti dell’Illuminismo. L’uomo come artefice del proprio
destino. Da una parte le leggi della natura e dall’altra quelle della cultura. C’è anche la dimensione
culturale dell’umano, in cui viviamo. Non siamo solo una specie biologica, siamo anche la cultura
con cui elaboriamo significati, linguaggio e che comprende la capacità di riflettere sulla realtà.
Abbiamo autocoscienza di noi stessi. Gli illuministi dicono che la cultura del mondo premoderno è
una cultura il cui rapporto con la natura è nettamente sbilanciato a favore di quest’ultima. L’idea di
cultura dell’uomo moderno lo vede invece artefice del proprio destino.
La società industriale è quella che costruisce questo mondo nuovo: prende la natura, la manipola e
la fa diventare ciò che serve a noi.

La domanda che gli autori si pongono è: che tipo di mondo ci dobbiamo aspettare per il futuro? Che
tipo di mondo siamo in grado di costruire? Cosa è lecito, verosimile immaginarsi che sarà? Tali
studiosi intuiscono la radicalità di questo cambiamento. Noi non ce ne rendiamo conto perché ci
siamo nati ma per millenni l’umanità ha vissuto in condizioni inimmaginabili. Loro intuiscono che il
cambiamento in corso era colossale. Secondo Benedetto Croce la portata dell’innovazione
tecnologica è seconda soltanto all’innovazione introdotta dal cristianesimo. È incommensurabile.
L’intellettuale vede in anticipo e cerca da una parte di interpretare questa trasformazione e dall’altra
di prevedere il tipo di mondo che prenderà forma dallo sviluppo di questo processo.
Inizialmente c’è una lettura ottimistica.

COMTE E IL POSITIVISMO FRANCESE


Comte (nato nel 1798, poco dopo la riv. fr. morto nel 1856), era francese. Comte sostiene che gli
intellettuali, di cui lui stesso fa parte, hanno il compito di lavorare affinché si diffonda nelle masse
una mentalità scientifica, che lui definisce “positivista”; quest’ultima però non è sinonimo di
“scientifica”, ma è qualcosa di più.

Come ogni civiltà, anche quella moderna, ha un suo programma educativo. Sparta aveva un suo
programma educativo: noi siamo una Società Stato basata sull’arte della guerra, dunque il nostro
programma educativo sarà improntato a formare guerrieri, non solo nell’aspetto fisico ma anche
nell’aspetto mentale. L’essere umano agisce tendenzialmente in modo conforme a ciò che pensa,
con le sue credenze e convinzioni. Se vogliamo realizzare un certo progetto di società, vogliamo
costruire un certo tipo di mondo, dobbiamo fare in modo che coloro che lo abitano agiscano in
modo funzionale alla realizzazione di questo progetto. Quindi dobbiamo fare in modo che pensino
 quindi dobbiamo educarli, dobbiamo fare in modo che abbiano dei quadri culturali che li
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spingono ad agire in funzione della realizzazione di questo mondo. C’è la questione della libertà.
L’essere umano è libero quindi è necessario convincere i singoli ad agire liberamente. Vanno educati
in modo che si riconoscano in certi principi e vi aderiscano spontaneamente, costruendo così quel
tipo di mondo. Comte sostiene che loro abbiano un percorso chiaro da compiere e che se ne sono
in grado emanciperemo l’uomo dalla natura. Ciò grazie al fatto che ora si ha a disposizione un sapere
certo inerente il funzionamento del mondo naturale. Tale sapere che giunge solo al tempo di Comte,
perché l’umanità ha avuto bisogno di secoli di sviluppo per giungerci, durante questi secoli ha
condotto una ricerca, è maturata in essa, e nel secolo di Comte è giunta al vero sapere. Non poteva
che capitare in quel momento, l’umanità è giunta nella fase adulta della sua esistenza. Ha una
visione non ingenua della realtà. Noi sappiamo descrivere con la matematica le leggi dalla natura,
per questo è un sapere certo  non ci sono misteri. Negli stadi evolutivi precedenti, l’umanità non
poteva fare altro che immaginare delle spiegazioni per il mondo. La storia dell’umanità è come la
storia del singolo: stadio infantile > preadolescenza > poco alla volta si diviene adulti, allora il modo
di pensare infantile viene superato, però era fisiologico da piccoli averlo. L’umanità ha percorso un
lungo cammino, dice lui, che è lineare (non si torna indietro). L’umanità prima non aveva altri modi
di spiegarsi il mondo se non con narrazioni di tipo “magico > mitico > religioso”.
Comte appartiene al Positivismo francese che è improntato sul concetto di progresso. Esso ha una
posizione netta nei confronti del soprannaturale, della trascendenza, dell’ambito religioso. L’uomo
antico si poteva solo immaginare la presenza di entità soprannaturali perché non avevano le
conoscenze.
Il sapere magico si evolve in sapere mitico ed infine religioso. La società politeista si evolve in quella
monoteista, che è quella più evoluta nella narrazione del Positivismo, nella narrazione del sapere.
Anche se questo è un sapere falso, dice Comte. Ci si spiega il mondo in una situazione di
smarrimento. Per esempio, il mare è in tempesta = il Dio del mare è in collera, dobbiamo rabbonirlo
con dei sacrifici; oppure, dobbiamo partire allora facciamo dei sacrifici prima così che il Dio non vada
in collera. Elaborano una cultura che dia un senso di sicurezza, usano la loro società speculativa per
elaborare una cultura che permetta di convivere in un rapporto con la natura che percepiscono
come sovrastante. Comte sostiene che questo sia normale mentre è assurdo che nella sua di società
si continui a pensare religiosamente. Aveva senso prima ma ora che abbiamo la conoscenza Positiva
non ha più senso. Da adulto non mantieni le convinzioni infantili. Questo è il Positivismo francese.
Per la mentalità illuminista e positivista francese tutto ciò che non è riconducibile alle leggi ferree
della natura è un sapere falso, è superstizione e va abbandonato. Ora non serve più, prima sì, ma
ora no.
Nella storia del pensiero del sapere dell’umanità prende forma il sapere filosofico che inizia in Grecia
qualche millennio prima di Cristo. (Grecia classica). Questi si interrogano sulla natura dell’uomo e
del mondo, si pongono questioni esistenziali, e cercano di rispondersi attraverso la semplice ragione
filosofica, senza far riferimento ad entità sovrannaturali e forze magiche, in termini naturali. Ciò non
significa chiudere il campo alla trascendenza ed al divino. Parliamo di metafisica: pensiero
speculativo razionale. Es. la filosofia delle idee di Platone: il concetto dell’immortalità dell’anima di
Platone e di motore immobile in Aristotele. Comte dice che i filosofi elaborano concetti astratti, si
spiegano il mondo attraverso dei raffinatissimi sistemi di pensiero astratti. Tale sapere
progressivamente sorge e si sovrappone per alcuni secoli ancora ora, poi il pensiero magico-mitico-
religioso inizia a scemare (anche nelle sue forme più evolute), mentre quello filosofico-metafisico si
afferma sempre di più. C’è una fase del pensiero filosofico occidentale che è quella medioevale

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caratterizzata da una stretta sovrapposizione tra questi due saperi. Abbiamo in questa fase la
teologia cristiana europea (Sant’Agostino e Tommaso d’Aquino). Sant’Agostino prende la
rivelazione cristiana e la organizza in termini razionali secondo la filosofia platonica. Tommaso
d’Aquino fa la stessa cosa con Aristotele. Poco alla volta, dopo questo momento, il pensiero
filosofico-metafisico prende il sopravvento e si stacca dall’altro. La filosofia del Seicento è la
massima espressione del pensiero filosofico-metafisico (es. empiristi inglesi, Pascal, Cartesio, ecc.).
Comte dice che il pensiero filosofico a loro non serve perché sono concetti astratti, non hanno alcun
corrispettivo nel mondo materiale. Dunque non ci servono per dominare il mondo materiale. Ci
servono per pensare. La dipendenza dalla natura dell’uomo del Settecento non era diversa da quella
dell’Antico Romano. Esempio: Hegel (il più grande filosofo dell’Ottocento) è morto di colera. Il più
complesso pensiero filosofico di sempre non ha tuttavia permesso a Hegel di far fronte alla
precarietà della condizione umana, questo dice Comte. La differenza del sapere positivo è che i
concetti che questo elabora hanno un corrispettivo nel mondo materiale e cercano di dominare la
materia in modo positivo, diretto, non attraverso narrazioni fantastiche, così da emanciparsi da
questa. Secondo i positivisti la filosofia metafisica e la filosofia in generale, così come qualsiasi
interpretazione religiosa del mondo, non sono altro che dei palliativi, dei placebo. Attraverso la sua
capacità speculativa l’uomo ha trovato il modo di attrezzarsi culturalmente per poter vivere in una
realtà così dura e difficile. Gli altri animali sono forti (pelliccia, artigli ecc.) l’homo sapiens sapiens ha
bisogno di elaborare una tale cultura e di usare le risorse che ha a disposizione. Per difenderci, per
scaldarci, dobbiamo costruirci “cose” come lance, pellicce  dobbiamo inventare.
Dal punto di vista del positivo le narrazioni magico-mitico-religioso dobbiamo abbandonarle, non ci
servono (vanno bene per i musei, come le piramidi). Comte è ancora più severo: non dobbiamo
sprecare energie preziose dedicandoci a cose che non servono all’umanità. Il positivismo non
coincide col sapere scientifico, è una morale per stare al mondo sostanzialmente. Il vero positivista
non è solo uno che si avvale della conoscenza scientifica, è uno che se ne avvale con il fine migliorare
la condizione umana, in particolare la condizione materiale della condizione umana (es. risolvere il
problema delle malattie e i problemi di natura sociale es. povertà, o di natura politica es. la violenza).
Come esiste la scienza fisica che domina il mondo materiale attraverso la matematica, così esistono
anche le scienze sociali, politica ed economica che pensano ad un mondo in cui vigono uguaglianza,
giustizia ed ordine. Il positivismo è la conoscenza scientifica posta al servizio del progresso (=
benessere fisico, sociale, politico ed economico) dell’umanità.
Con Comte abbiamo posto una situazione di sicurezza risolvendo i problemi che hanno
caratterizzato i secoli precedenti. Una volta risolti tutti i problemi, dice lui, nessuno avrà più bisogno
dello spirituale. I problemi che si poneva Platone non ci servono. Questo è uno dei problemi del
Positivismo e di parte dell’Illuminismo (quello tedesco è più profondo). Questo è un concetto
proprio dell’Illuminismo francese da cui nasce questo Positivismo.
Per queste ragioni in ambito filosofico la metafisica e perfino la filosofia teoretica, che hanno
occupato le più grandi menti occidentali per millenni, sono oggi considerate discipline inutili.
Secondo alcuni ciò è ovvio, secondo altri questo dimostra la superficialità del nostro mondo, tempo
e cultura.
Secondo Comte il Positivismo è una morale, è la responsabilità che l’uomo positivista ha di usare
conoscenze scientifiche e tecnologiche per migliorare la condizione umana dal punto di vista
materiale, sociale ecc. Comte se la prende con gli astronomi che sono scienziati ma che non sono
veri positivisti perché secondo lui non serve a nulla sapere quante lune hanno i vari pianeti. O gli

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astronomi dimostrano che la scienza astronomica è una scienza rigorosa, quindi che può migliorare
la condizione umana e allora diventa di interesse sociologico, altrimenti, se serve solo a soddisfare
la nostra curiosità, non rientra nel concetto di positivismo  non si è veri positivisti. Lo scienziato
positivista è quello che usa la scienza per raggiungere il progresso per l’umanità, un progresso
materiale e sociale. Di conseguenza il mondo moderno se vuole continuare a progredire
rapidamente deve elaborare un potente programma educativo per socializzare nelle masse la
mentalità positivista. Così avremo sempre più persone che, animate dallo spirito positivista, si
dedicheranno al sapere della scienza e applicheranno il sapere scientifico in senso morale. Secondo
Comte l’ateismo nell’approccio del positivismo francese è una premessa e una conseguenza
autoevidente.

Il termine materialistico far pensare al positivismo come ad una forma di materialismo; infatti,
affermare che l'unica vera conoscenza sia quella scientifica, equivale ad affermare che l'unica realtà
effettivamente esistente sia quella materiale (naturale e sociale), la quale per l'appunto costituisce
l'oggetto delle scienze.

Il termine “progressista” ha una connotazione filosofica nel positivismo, fa riferimento al progresso


come motore. Sul piano filosofico il positivismo si lascia inspirare dall’idealismo assoluto di Hegel.
L’idealismo assoluto ha esercitato un’influenza anche su Comte, è andato oltre la Germania e la
Prussia. La filosofia di Hegel è la filosofia della storia, immagina e pensa la storia umana come uno
sviluppo lineare che si articola in modo dialettico secondo lo schema della tesi e dell’antitesi della
tesi, uno scontro tra opposti che genera la nuova sintesi di quel periodo. Tale sintesi è a sua volta la
nuova tesi a cui si contrapporrà una nuova antitesi e così via. Comte prende da Hegel l’idea della
storia dell’umanità come sviluppo lineare e progressivo irreversibile verso un compimento finale.
Uno sviluppo di tipo evolutivo, di progressione, non casuale  è quindi il compiersi di un disegno
che ha come meta finale il compimento, ovvero un fine certo, di tale progresso. Tale idea è già
romantica (sintesi culturale prima dell’Illuminismo). Il primo Romanticismo è ancora influenzato
dall’ottimismo illuminista. La Critica della ragione pura è la massima espressione dell’Illuminismo
sul piano filosofico, ma le due critiche successive (Critica della ragion pratica e Critica del giudizio)
di Kant segnano già il passaggio sul piano filosofico dalla sintesi illuminista a quella romantica, poi
ripresa dai tedeschi (Fichte, Schelling e Hegel, dell’idealismo assoluto). La filosofia hegeliana oltre
ad avere un forte impatto sulla cultura tedesca e quella europea, va a influenzare anche il
positivismo francese. L’idea che la storia abbia un suo scopo intrinseco e che questo verrà
inesorabilmente raggiunto attraverso un corso irreversibile attraverso un continuo miglioramento
è un’idea romantica. La mentalità illuminista non può abbracciare questa idea, l’idea di un ordine
delle cose è infatti metastorico (metafisica).

La legge dei tre stadi del sapere dell’umanità, ovvero lo sviluppo evolutivo dell’umanità secondo
Comte è uno sviluppo del sapere: sapere magico-mitico-religioso → sapere filosofico-metafisico →
sapere positivo (o sapere filosofico-teologico).
Tale legge è la versione comtiana del positivismo francese di una filosofia della storia. L’idea che a
prescindere da ciò che noi facciamo la storia abbia un suo corso prestabilito perché è ordinata a una
legge metastorica che la guida. Tale idea, la filosofia moderna, l’ha presa dal Cristianesimo, in
particolare dalla teologia cattolica (idea della Divina Provvidenza). La Divina Provvidenza fa in modo
che a prescindere dagli avvenimenti storici e dalle azioni che gli individui mettono in atto, alla fine
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tutto converge verso un obiettivo prestabilito che è conforme alla volontà di Dio. La filosofia
moderna riprende questa idea, la slega dall’azione di una divinità e la riconduce ad una “legge della
storia”, come se la storia avesse una sua razionalità intrinseca che va oltre gli avvenimenti storici in
senso stretto. Anche Comte trattiene tale idea. Il compimento finale della storia consiste, dal punto
di vista del Positivismo, nella realizzazione di una società nella quale l’umanità si senta realizzata
nelle proprie aspirazioni e desideri, quegli stessi desideri e aspirazioni prima frustrati dai limiti della
condizione umana sovrastata dalle leggi della natura. C’è questa idea che l’umanità si redima, anche
questa presa dal Cristianesimo. La cultura europea, per alcuni temi, è braccata dalla matrice
teologica, è un imprinting profondo. L’idea che l’umanità si redima da una colpa originaria in
conseguenza della quale ci sia una sensazione di sofferenza, solitudine, finitezza è un’idea che viene
dal Cristianesimo. L’azione di Dio libera l’uomo dalle conseguenze nefaste della colpa originaria, lo
redime, lo riporta a una condizione di beatitudine. Tale idea viene ripensata in termini storici. La
fine della storia è il Paradiso terreno, quel luogo in cui l’umanità troverà finalmente lo stato di grazia
originario, cioè sarà emancipata dai limiti fisici posti dalla natura: supererà malattia, sofferenza,
dolore, morte e anche i limiti sociali, come ingiustizia, disuguaglianza e povertà. La società positivista
è quella società che realizza la redenzione dell’umanità e che vede l’emancipazione dalla natura.

Positivismo: il sapere scientifico come strumento per la realizzazione di una società a misura
d’uomo, che corrisponda ai bisogni dell’umanità. Questo è il fine per cui il sapere scientifico si può
dire “positivo”. Il positivismo è una filosofia morale: sapere per liberare l’uomo dai vincoli che ne
causano la sofferenza (es. pensiero della morte). La meta finale di tale percorso storico è sicura ma
potrà essere raggiunta più o meno velocemente nella misura in cui lo spirito positivista verrà
interiorizzato dal maggior numero possibile di persone. Per questo bisogna impegnarsi nel
diffondere la mentalità positivista: l’umanità può influire nel percorso nella velocità di realizzazione,
ma non nel fine.
Seguono due aspetti interessanti e controintuitivi di Comte:
~ Nel primo aspetto Comte dice, che in quanto positivisti, noi muoviamo una critica politica →
il positivismo non è una filosofia fine a sè stessa, una riflessione speculativa fine a sé, esso è
una morale (ci sprona ad agire per trasformare la realtà, è l’elaborazione di un programma
e ne è la sua esecuzione). Il Positivismo ha un’anima morale e una politica, cioè di agire per
trasformare la realtà usando gli strumenti che si possiedono. L’azione politica serve per
costruire un ordine sociale, una società nuova, un mondo nuovo. La critica politica che
muove è alle concezioni reazionarie, a quelle rivoluzionarie ed anarchiche. La morale ed il
programma politico positivisti sono incompatibili, secondo Comte, con queste concezioni
politiche perché il Positivo deve promuovere l’ordine e il progresso. Essi sono due capisaldi
fondamentali di questo; bisogna che essi siano compatibili l’un l’altro. Ad esempio, un ordine
sociale improntato al pensiero conservatore non è compatibile con il progresso in quanto
tende a preservare l’ordine vigente, la tradizione giunta. È vero che va perseguito il progresso
ma in modo ordinato, quindi il Positivismo non prevede la rivoluzione: il progresso è
graduale. Allo stesso modo non può contemplare il pensiero anarchico il quale non prevede
né ordine e né una meta chiara: il Positivismo intende accelerare un percorso storico già
determinato. Il fatto che il Positivismo voglia realizzare un progresso graduale e ordinato non
è una scelta arbitraria di Comte, ma ci sono ragioni precise. Infatti i motori di tale progresso
sono la scienza, la tecnica e la società industriale (cioè il capitalismo nella società europea)
che vengono usate secondo la morale positivista. La società industriale è una società
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capitalista (pensatori anglosassoni quali Adam Smith, David Ricardo, Benjamin Franklin
hanno inventato la teoria economica classica). La scienza, la tecnica e la società industriale
hanno bisogno di ordine per progredire, necessitano di una società stabile, di organizzazione
che funziona, dice Comte, un organismo biologico: necessità di un equilibrio altrimenti
insorge la malattia. Dice questo perché nell’Ottocento la biologia è la scienza che sta dando
i risultati più eclatanti. L’organismo biologico è complesso ma il molteplice coopera in modo
coordinato e coerente per il benessere del tutto. La società moderna funziona allo stesso
modo. Attraverso la metafora dell’organismo biologico Comte spiega anche il concetto di
divisione del lavoro. La società è un organismo sociale composto da apparati molto
complessi e differenziati (sistemi e sottosistemi specializzati) ciascuno dei quali è a sé stante,
ma che cooperano tra loro. L’apparato al suo interno è differenziato e si differenzia dagli
altri, ma tutto coopera per l’equilibrio generale. Comte è stato indicato come un precursore
del Funzionalismo. Essa è una scuola di pensiero della Psicologia che inizia proprio con tale
intuizione di Comte di metafora tra organismo sociale e organismo biologico. La società è
composta da tanti individui che cooperano in modo armonioso. Il problema è che mentre
nel campo biologico il funzionamento è preordinato dalla fisiologia (automatismo), nella
società l’armonia deve essere creata da noi. L’umanità si è immaginata dei finti problemi e
ha immaginato, prima attraverso il pensiero metafisico-teologico, poi tramite quello
metafisico-filosofico, di trovarne delle soluzioni. In questi finti problemi ha proiettato quelli
veri che non sapeva risolvere. Per esempio: tempesta, terremoto e malattia. Essi sono
problemi reali che non riuscivano a capire, tanto meno risolverli, allora proiettano il
problema sul sapere metafisico-teologico e poi quello metafisico-filosofico per cui hanno
una soluzione: fare sacrifici per farsi perdonare dagli dei e così via. Questa è una cultura che
viene elaborata dalla società in uno stadio in cui non aveva la possibilità di risolvere i
problemi reali e di individuarli con precisione. Comte dice che loro hanno il compito di
eseguire la divisione del lavoro, di farlo progredire finché la scienza e la tecnica non ci
permetteranno di creare una società sempre più perfetta e precisa ove i problemi verranno
individuati con precisione e le soluzioni trovate in modo metodico. Tocca a noi realizzare ciò
in tempi quanto più brevi possibili: anche questa idea è presa dalla filosofia cattolica. Il
Positivismo prende idee dalla matrice ebraico-cristiana che ha profondamente plasmato
l’Europa. Comte dice che hanno una responsabilità nel fare la storia, non la fanno ma hanno
un compito in merito.
Un’altra cosa importante che Comte spiega è il rapporto tra individuo e famiglia. La famiglia
è una componente di fondamentale importanza perché segue al concetto di organismo
sociale: c’è una realtà organica (collettiva) composta da un insieme di individui. Mentre
nell’organismo biologico il rapporto apparati/organismo è regolato dalla fisiologia, il
rapporto individuo/società deve essere regolamentato attraverso la diffusione
dell’educazione positivista: i singoli, introiettando la morale positivista, agiscono in modo
conforme agli interessi dell’ente collettivo. Il Positivismo deve fare sì che il singolo desideri
agire per sé (autorealizzazione) intraprendendo azioni che sono anche le migliori azioni
possibile per servire la causa collettiva. Tale compito è complesso. È importante la famiglia
perché è un intermediario indispensabile tra le idee dell’individuo e quelle della società e
della specie umana. Essa è il nucleo in cui il singolo fa esperienza del suo far parte di un
gruppo che lo oltrepassa. Gli insegna ad agire in modo conforme non solo ai suoi propri ed

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egoistici interessi, ma anche a quelli della società di cui fa parte. Gli fa fare un’esperienza
non solo intellettuale-astratta ma anche vissuta-diretta del fatto che ciò che è bene per tutti
lo è anche per te. È una palestra di società. Il Positivismo promuove la famiglia perché è un
generatore di morale positivista.
 Il secondo aspetto, anch’esso molto importante per Comte, è la religione, che è un altro
fattore di integrazione sociale. La società positivista deve quindi promuovere la religione.
Dopo tutto ciò che si è detto perché ora Comte dice questo? L’essenza della religione, come
dice la parola “religo” è di “rilegare”, “tenere insieme”, “tenere uniti” e la religione svolge
proprio questa funzione sociale. Ogni realtà ha un compito da svolgere, se qualcosa
nell’organismo esiste allora ha un compito da svolgere. È ciò che Parsons ha definito
“universale”, “evolutivo”: un minimo comune denominatore, un fattore che si riscontra in
tutte le società umane di sempre. Perché tutte le società umane di sempre hanno una
componente religiosa? Secondo Comte perché svolge una funzione di integrazione sociale,
lega gli individui. La religione ha una funzione di sintesi: da una parte regola ogni esistenza
personale perché è il singolo che è religioso, dall’altro riunisce le diverse individualità. Comte
dice che il regolare e il riunire esigono le stesse condizioni fondamentali.
Nella storia e nelle società più antiche e prestoriche, la religione ha sempre svolto la funzione di
integrazione sociale. Poi, nell’evoluzione si sono alternate religioni diverse, tutte con lo stesso
compito. La società positivista ha bisogno anch’essa della propria religione in quanto l’integrazione
sociale è indispensabile. Comte dice che la religione regola le singole esperienze personali perché
essa si trova al tempo stesso, rispetto al soggetto umano, in rapporto con il ragionamento e con il
sentimento. Anche Pascal nel Seicento aveva detto qualcosa di simile. Da soli, ragionamento e
sentimento, sarebbero inadatti a stabilire un’unità individuale o collettiva. Da una parte è necessario
ché l’intelletto ci faccia concepire una potenza esterna sufficientemente superiore che ci sovrasti,
dall’altro lato per la religione è altrettanto indispensabile essere animati da un interiore affettività
capace di riunire abitualmente tutti gli altri. Fa qui riferimento alla religione cristiana, quella cattolica
in particolare. Ciò per diversi motivi: sia perché lui è francese e la Francia è una nazione cattolica ma
soprattutto perché il cattolicesimo rappresenta la fase più evoluta dello stadio del sapere filosofico-
teologico. La religione quindi parla sia al ragionamento sia al sentimento. La potenza esterna nella
concezione della religione del positivismo è la società stessa! Essa è una divinità storica. È la stessa
legge del progresso. Anche in tal senso non vi è compatibilità col pensiero rivoluzionario ed
anarchico. Noi abbiamo bisogno di una religione dell’umanità. Non quella tradizionale (conservatori)
né attraverso quella rivoluzionaria e anarchica (rifiuto di tutto). Il positivista è una persona
integerrima.

Circa la vera ideologia, dice Comte che il suo graduale apprezzamento costituisce la principale
acquisizione scientifica del nostro tempo nonostante essa rimanga troppo poco sistematica sin a
quel momento. La sana ideologia ci aiuta a capire quanto la religione sia indispensabile perché
svolge una funzione di integrazione sociale. Noi intendiamo una versione positiva della religione,
una nuova religione dell’umanità.
Continua Comte: “Dimostrando la necessità generale di una costante preponderanza esteriore per
permettere l’unità umana, anche quella individuale”, cioè il tutto è più importante della parte, la
collettività è più importante del singolo individuo. Inoltre: “si ha allora veramente la religione, vale
a dire l’unità completa, essendo tutti i motori interni coordinati tra di loro ed essendo il loro insieme
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liberamente sottomesso alla fatalità esteriore”. Quest’ultimo si rifà alla legge della storia di cui si è
parlato prima. Perché ci sia tale unità è necessaria la religione. Comte riteneva che lui stesso sarebbe
stato il grande sacerdote dell’umanità in quanto la sociologia, che è la scienza che l’individuo
elabora, è la più evoluta e complessa delle scienze e diverrà la scienza più raffinata, anche se ora è
all’inizio. Per lui la casta sacerdotale è composta dagli scienziati che hanno interiorizzato la morale
positivista. Essa amministra la nuova religione dell’umanità. Per ciò che riguarda il popolo, non
possiamo pretendere che siano tutti scienziati, è molto importante che esista una vera religione
dell’umanità, non solo nelle nostre teste. Altrimenti come le masse incolte potranno identificarsi col
positivismo e seguire le istruzioni? Attraverso la fede. Visto che non possono essere scienziati ci
devono credere ciecamente nel sapere positivista e negli scienziati, così come prima seguivano il
credo della chiesa cattolica.
Una delle sue opere, dalla traduzione francese, è proprio “Il piano dei lavori scientifici necessari per
riorganizzare la società” (1922).
Il Positivismo ha una sua morale ma per costruire la società si avvale di questa alleanza
imprescindibile tra scienza, tecnica e capitalismo. Il compito della politica, come quello della cultura
(educazione), è di predisporre un programma per permettere alla triade di svilupparsi pienamente.
La morale positivista, l’educazione serve a far in modo che tale programma si possa realizzare.
Come? Servono tante persone che proiettino la morale positivista come se fosse una religione così
che, avendo queste profonde convinzioni, agiscano in modo coerente con esse e si integrino
perfettamente nell’organismo sociale. L’idea di Comte che ognuno debba alzarsi le maniche e
svolgere il proprio compito è molto moralistica, rigorosa  impegno e dovere.
Il termine sociologia l’ha inventato proprio Comte, prima si parlava di fisiologia sociale, fisica sociale.
La sociologia è una fisica sociale che guarda alla realtà sociale come la fisica guarda al mondo
naturale. La sociologia in quanto fisica sociale si compone di una statica sociale e di una dinamica
sociale. La statica è quella parte nella quale il sociologo descrive il funzionamento della società. Così
come il medico studia l’organismo biologico e lo conosce, il sociologo conosce la società, è anche il
medico della società (deve trovare i rimedi alla malattia sociale, per esempio). La dinamica sociale
invece studia il modo in cui la società si trasforma e come orientare questa trasformazione. Essa
studia i mutamenti socio-culturali, ne individua le variabili così da poter agire su di esse orientando
infine, nel modo desiderato, lo sviluppo della società sul piano economico, educativo (il Positivismo
ne ha un ben preciso), politico.

POSITIVISMO INGLESE (o Positivismo evoluzionistico) e SPENCER


Il positivismo inglese presenta alcuni tratti in comune con quello francese. Il tratto in comune di
maggiore interesse è che dal punto di vista del Positivismo dell’Ottocento il compito
dell’educazione, cioè la funzione sociale dell’educazione, consiste nel sostenere il progresso. Ciò
diffondendo da una parte la conoscenza scientifica e tecnologica, e dall’altro, secondo il Positivismo
francese, la morale positivista. La conoscenza serve il progresso, nel senso di emancipazione dai
vincoli della natura. La principale applicazione tecnologia della conoscenza scientifica è la società
industriale  il capitalismo. Per mandare avanti una società di tipo capitalistico non servono solo
gli apparati industriali ma anche le infrastrutture, ossia la rete di trasporti, energetica e di
manodopera. Il capitalismo ha bisogno di spostare le materie prime, le merci, i capitali e la
manodopera. L’educazione deve provvedere a tutto questo. Secondo Comte tutta le persone
devono svolgere la propria mansione per far progredire la società positivistica verso la sua piena
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affermazione: tale aspetto è comune nel Positivismo inglese. L’educazione serve a sostenere il
progresso.
In Inghilterra la fase matura del processo di modernizzazione conosce il suo momento culminante
con la rivoluzione industriale, dalla metà del Settecento in poi. In Francia invece è contrassegnato
dalla rivoluzione francese (1789). Il primo è un evento che caratterizza il mondo economico, il
secondo quello politico. Nel primo caso il fattore rivoluzionario trasforma la società portandola da
una configurazione premoderna ad una moderna e capitalistica. In Francia, invece, il motore è
politico: è lo stato repubblicano. Iniziano ad evidenziarsi le differenze. Comte ha una visione
collettivista del processo: l’individuo è subordinato al tutto, alla società, in particolare nel linguaggio
della rivoluzione francese il cittadino è al servizio dello Stato. È una filosofia collettivista quella che
sta a monte del Positivismo francese sia degli ideali della rivoluzione. La legge dei tre stadi per lui
descrive il progresso dell’umanità. Ciò che porta avanti la società, secondo il positivismo francese, è
il fatto che i singoli si mettano a disposizione di un programma più ampio, di una realtà che li
oltrepassi, del collettivo. Tanto che qui è lo Stato a definire i diritti e i doveri dei cittadini, non li
“riconosce”, li stabilisce. Lo stato non è al servizio del genere umano, il cittadino è definito dallo
Stato stesso, si muove conformemente alle leggi della Repubblica e viene educato per servirla.
In Inghilterra la rivoluzione industriale si basa su una filosofia individualista, non collettivista. La
Rivoluzione industriale si basa sul libero mercato nel quale il singolo individuo si muove liberamente
cercando di massimizzare i propri interessi.
La filosofia individualista che sta alla base del capitalismo trova la sua espressione nel Positivismo
inglese e prima ancora nella teoria economica classica. Il Positivismo inglese è in sintonia con la
teoria economica classica. Secondo Adam Smith è sufficiente che nel libero mercato capitalistico i
singoli agiscano in modo razionale rispetto al conseguimento della massimizzazione dei propri
interessi (profitti) senza preoccuparsi della società nel suo insieme perché di ciò si occupa il mercato.
La “mano invisibile” del mercato è proprio un meccanismo misterioso infallibile che fa in modo che
dalla sommatoria delle azioni messe in atto da innumerevoli individui, ognuno impegnato nel libero
mercato per i propri interessi, scaturisca un bene comune, un vantaggio per tutti. Il singolo deve
solo impegnarsi a fare il proprio meglio per realizzare il più possibile i propri interessi, naturalmente
nel rispetto delle leggi, le quali semplicemente regolamentano gli scambi all’interno del mercato. Lo
Stato in tutto ciò ha il compito di intervenire il meno possibile, deve solo garantire il rispetto delle
regole. In tal caso lo Stato è al servizio degli individui! Il mercato è al servizio degli individui, è a
disposizione di questi se essi si vogliono arricchire in modo intelligente (col lavoro duro, costante,
rispettando le regole, essendo intraprendenti)  Il mercato è meritocratico.
Il Positivismo inglese si può anche chiamare Positivismo evoluzionistico. L’autore di riferimento è
Herbert Spencer (1820-1903). Spencer conosce la teoria economica classica. Egli è un sociologo. Ha
un’idea di storia più complicata di Comte. Per Comte la storia consiste nello sviluppo degli stadi del
sapere: la società viene dopo, prima il sapere e sulla base di ciò che sappiamo costruiamo una
cultura e una società. Prima ci sono le idee, i pensieri, poi viene l’organizzazione della società.
Spencer, invece, sostiene che prima si costituiscono le società e dopo arriva il mondo delle idee, dei
pensieri. Prima prende forma la società come avvenimento storico, la società industriale, dopo
elaboriamo dei quadri culturali coerenti e funzionali ad essa e organizziamo la società industriale in
modo funzionale. Mentre Comte parte dalle idee per spiegare la società, Spencer fa il contrario,
sono comunque entrambi positivisti. I quadri culturali sarebbero il riflesso della struttura della

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società, in Marx ciò è ancora più evidente. Per Spencer noi non dobbiamo occuparci della storia
delle idee, ma piuttosto della storia delle società. Come si sviluppano queste società umane? Anche
per Spencer possiamo pensare ad uno sviluppo evolutivo che va tendenzialmente verso il progresso,
però secondo lui ci possono essere anche dei passi indietro, delle regressioni, che verranno poi
recuperate. Tendenzialmente si va avanti, però se per Comte non erano possibili regressioni per lui
sì. Tale aspetto è collegato al clima culturale di Spencer, vissuto in un’epoca un po’ più tarda di quella
di Comte. L’epoca di quest’ultimo è ancora fortemente intrisa della cultura illuminista, che è una
cultura fortemente ottimistica, quasi ingenua. Negli anni di Spencer, invece, è diversa. La prima
parte del Romanticismo è ancora imbevuta di questo ottimismo, ma la seconda parte assume tinte
più scure, più inquiete. Tramonta l’ottimismo Illuminista per le inquietudini romantiche che
diverranno anche pessimiste (idealismo tedesco, Hegel, prima metà dell’Ottocento, mentre nella
seconda metà dell’Ottocento troviamo Schopenhauer, Nietzsche). Tutto ciò che l’Illuminismo aveva
prospettato come imminente va in fumo. Per Spencer l’evoluzione è l’evoluzione della società, non
del sapere. Essa appunto procede ma non in modo inesorabilmente lineare. È un percorso più fatico,
non spontaneo. L’evoluzione della società consiste nel passaggio da società di piccole dimensioni a
quella di grandi dimensioni  un aspetto importante è la dimensione della società. L’aumento delle
dimensioni porta con sé l’aumento della complessità interna, della strutturazione interna. La stessa
cosa avviene nei corpi naturali, dice Spencer. Sia nella natura organica sia in quella inorganica. Le
parti dei corpi si differenziano, moltiplicano e divengono più complesse e strutturate al loro interno.
Altro aspetto importante è anche l’integrazione: anche se differenziate, le parti sono fortemente
integrate  la società è ben integrata, coerente al proprio interno nonostante sia formata da
numerose parti. Questa è una società evoluta per Spencer e la legge dell’evoluzione sociale segue
proprio questo percorso, che è lo stesso dell’evoluzione naturale. La legge che guida l’evoluzione
sociale è la stessa che guida l’evoluzione della natura (piccola → grande, poco differenziato → molto
differenziato, poco integrato → molto integrato). Una società è tanto più evoluta quanto più è
grande, strutturata e integrata. Di fatti l’organismo naturale più evoluto è il corpo umano e ha
queste caratteristiche: anche se non è il più grande di dimensioni, si intende una grandezza data dal
fatto che è l’animale più complesso, anche se tra i mammiferi ci sono gli animali più grandi.
Un altro personaggio importante in Inghilterra, oltre agli economisti classici, è Charles Darwin, che
è contemporaneo, che ha elaborato la teoria di evoluzione della specie. Secondo Spencer, quello
che dice Darwin vale anche nelle società. Inoltre ciò che dice Spencer viene prima di Darwin.
L’evoluzione della natura è la stessa della società, è un’unica legge. Le società più complesse/grandi
(c), strutturate (s) e integrate (i) sono quelle che meglio riescono ad adattarsi all’ambiente e che
quindi si impongono sulle società meno c, s, i.
Così come gli animali superiori hanno più chance di adattarsi all’ambiente e di sopravvivere. Tutto
questo è funzionale all’Inghilterra dell’epoca dell’Ottocento che era un grande impero coloniale
(epoca vittoriana): la cultura inglese (all’avanguardia, più evoluta di tutte) entrava in contatto con
mondi di altri continenti che dal punto di vista di Spencer erano inferiori evoluzionisticamente e
infatti esse venivano soppiantate. Come vuole la legge dell’evoluzione naturale, che è una legge
della natura e della storia, avveniva ciò. Non bisognava indugiare in scrupoli moralistici. La teoria
scaturisce dalla società: ciò che vediamo in atto (l’impero coloniale britannico) ci dimostra, fornisce
la base storica per elaborare una sociologia evoluzionistica. Sono i fatti storici che ci permettono di
elaborare una teoria evoluzionistica. Il positivismo di Spencer è stato anche definito Darwinismo
sociale per questo (quello di Darwin è un “Darwinismo naturale”).
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Per Spencer in riferimento alla società, oltre che la differenza tra più evolute e meno evolute, c’è
anche un altro aspetto, che in Comte non c’è: le società possono organizzarsi come società militari
o come società industriali. Ci possono essere società csi militari e società csi industriali. Non è che
uno dei due tipi sia superiore, sono due criteri diversi che possono intrecciarsi. Quando capita però
che una società più o meno evoluta si configura come militare è probabile che inizi una fase di
regressione. Quando invece capita che una società più o meno evoluta si configuri come industriale
è molto probabile che si origini una spinta evolutiva. Se una società sia di un tipo o dell’altro dipende
dalla regolamentazione interna, come sono organizzate internamente. In particolare:
- Le società militari sono dette tali perché si caratterizzano per essere in conflitto con
l’ambiente esterno, nello specifico con le società confinanti. Per tale ragione esse, al loro
interno, si organizzano in modo militare. Hanno un sistema normativo molto rigoroso,
disciplinato, basato sull’obbedienza, la subordinazione, la prevedibilità dei comportamenti,
l’ordine. La libertà dei singoli è limitata, azzerata. Sono società basate sulla forza: attraverso
questa si ottiene l’obbedienza.
- Le società industriali sono il contrario: non hanno un atteggiamento conflittuale verso
l’esterno, ma neanche neutrale. Hanno un atteggiamento operativo, improntato alla
collaborazione, allo scambio. Per questo sono dette società industriali, sono dinamiche e
aperte allo scambio, alla comunicazione. Al loro interno valorizzano la libera iniziativa, la
libertà individuale.
società militari società industriali

Relazioni Stato/individuo gli individui hanno restrizioni circa Gli individui godono di poche
la propria proprietà, libertà e restrizioni della proprietà,
mobilità libertà e mobilità

centralizzate decentralizzate

Principi di la cooperazione è forzata la cooperazione è volontaria


coordinazione sociale

Entrambe le società possono essere evolute ma l’integrazione nelle militari è basata su una
cooperazione forzata, mentre nelle società industriali volontaria. Le società che sono proiettate
evolutivamente per avere successo nel futuro, per Spencer sono quelle evolute (csi) e al tempo
stesso industriali. Può anche succedere che una società evoluta si trasformi da industriale a militare
e viceversa a causa delle condizioni esterne che cambiano (all’esterno cooperativi ↔ aggressivi).
Spencer si accorge che anche le società industriali più evolute del mondo (europee e statunitense),
csi, si stavano configurando come società militari. Nel 1870 vede la guerra franco-prussiana: francesi
e tedeschi si iniziano a fare la guerra per le materie prime per far funzionare le industrie (Alsazia e
Lorena). Sono i nazionalismi europei che daranno il via alla Prima Guerra Mondiale, che lui non vede
ma essendo un intellettuale riesce ad evincere che l’ottimismo illuminista è mal riposto perché
queste società evolute si stanno configurando come militari e quindi si sta per realizzare una fase di
regresso. La guerra tra nazioni evolute è un regresso, se industriali avremmo un’evoluzione
repentina. Nel 1989, caduta del Muro di Berlino, 1991 fine dell’Unione Sovietica. La guerra fredda
era lo scontro tra due blocchi e le nazioni sono costrette a configurarsi come militari. All’interno del

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blocco occidentale le società interagiscono tra loro come società industriali, nel blocco sovietico la
stessa cosa. Finita la Guerra Fredda, il mondo si configura in senso industriale e così l’evoluzione
sociale fa il suo corso. Le società si modernizzano e perdono la configurazione militare. Avremmo
dovuto avere una globalizzazione felice ma così non è stato, questa spinta ottimistica dopo la Guerra
Fredda ha lasciato il passo ad alcuni problemi gravi.
Un’altra differenza rispetto a Comte è la religione. I sociologi classici si sono occupati tutti della
religione. Lo fanno per l’importanza sociale di questo tema. I popoli che avevano davanti agli occhi
erano fortemente religiosi. Nell’essere umano le azioni scaturiscono dalle credenze e dai pensieri
quindi studiando le condotte individuali e la strutturazione della società non potevano ignorare
questo tema. La religione occupava un posto di primissima rilevanza perché consisteva in una delle
più importanti fonti motivazionali dal punto di vista individuale e di equilibrio dal punto di vista
sociale (funzione di integrazione sociale). Sia per Comte, sia per Spencer, la religione svolge
un’importante funzione di integrazione sociale ma se per Comte riconoscere questa funzione
significa anche voler mantenere la religione (la nuova religione positivistica) proprio perché utile
allo scopo, per Spencer no. Quest’ultimo ha un’intuizione più novecentesca che ottocentesca
(ricordiamo che visse nel tardo Ottocento e in Inghilterra, che era antireligiosa): non bisogna fondare
una religione positivistica fondata sulla scienza (idea superficiale), bisogna andare in profondità e
guardare nelle dinamiche della natura.
Egli dice: “tutto quello che di misterioso si coglie nella vecchia interpretazione la si aggiunge alla
nuova”. La scienza ci spiega i fenomeni del mondo fisico e sociale, ossia ne individua le cause, però
ogni volta che ne individuiamo la causa non facciamo altro che spostare un poco più indietro la
catena causale (se x → y; allora poi ci dobbiamo chiedere? → x; e così via). La scienza in realtà ci fa
capire come la mentalità scientifica, se considerata attentamente, rimanda ad altre cause (concetto
di “motore immobile” di Aristotele, non si può andar indietro all’infinito). Il mondo naturale è mosso
dalle cause naturali, ma al tempo stesso c’è sempre una componente reale inspiegabile. Non
sappiamo la causa primordiale (es. il Big Bang è un’ipotesi). La scienza tiene quindi aperta la
questione del mistero e quindi la questione religiosa. Ci sono cose in cui la scienza ci può aiutare e
altre no, dice Spencer. Anche Kant l’aveva intuito nella Critica della Ragion Pura, ove dice che la
ragion pura, ossia l’intelligenza scientifica, non ci permette di affrontare la questione religiosa. Dello
stesso avviso fu nel Novecento Ludwig Wittgenstein che disse infatti, in una delle sue massime:
“Quand’anche la scienza avesse trovato risposta a tutte le sue domande il problema dell’uomo non
sarebbe neanche sfiorato”. La scienza tiene aperta la questione religiosa invece di chiuderla, è molto
evoluto rispetto Comte in questo.

MARX E IL MARXISMO
La sociologia di Marx (1818-1883), detta marxismo, è contemporanea al positivismo (che è del
secolo 800). La sociologia dell’800 è molto importante, i sociologi classici di quest’epoca parlano di
tematiche attuali, il loro contributo è indispensabile per la sociologia del 900. La sociologia di Marx
è una sintesi dei suoi studi filosofici ed economici e parla di problematiche scolastiche, riguardanti
l’uguaglianza e la forma dei sistemi scolastici.
Approcci sociologici sui sistemi scolastici: li si trova nel brint-manuale
➔ Teoria funzionalista o modernizzazione: insiste sull’idea che la scuola e l’università debbano
soddisfare lo sviluppo della modernizzazione del sistema economico in quanto principali
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fattori che portano alla modernizzazione  mentalità tipica del positivismo inglese.
➔ Teoria istituzionalista: fa riferimento alla politica e sostiene che i sistemi scolastici nazionali
servono per soddisfare le esigenze organizzative e amministrative della Nazione, ossia la
scuola deve formare dei cittadini, funzionari pubblici e privati  mentalità tipica del
positivismo francese.
➔ Teoria conflittualista: di matrice Marxiana o Weberiana.
La società moderna costituisce una base di partenza, e per i sociologi, da questa base di partenza si
sviluppa un percorso, nel quale noi ci troviamo, e dal quale si sviluppa tutto. Noi però non abbiamo
possibilità di cambiarlo, ma possiamo rallentarlo o accelerarlo ed in base a queste azioni ci
prepariamo alle esigenze della società  benessere materiale e quindi sociale. Per Comte (quindi il
positivismo francese) il bisogno sociologico ci porta a porci questioni alle quali possiamo trovare
risposte; allora costruiamo degli idiomi fittizi per cui abbiamo le risposte  una sorta di
complessazione. È un percorso a tappe scandite, irreversibile e che si articola attraverso il conflitto.
Man mano che la società si modernizza, decrescono fino a scomparire le fragilità dell’uomo.
Insomma la storia dell’umanità è un cammino evolutivo verso una meta finale di compimento ben
concatenato. Il compimento è una società che soddisfa le reali (=materiali) esigenze della società.
Tutta la storia è storia di lotta di classe, è il conflitto che fa avanzare la storia e fa giungere al
compimento  per questo esistono le teorie conflittualistiche. La storia è lotta perché salvaguarda
la nostra specie, ovvero è utile per la sopravvivenza  l’essenza dell’uomo è l’esistenza dell’uomo:
l’uomo nella storia è continuamente impegnato nell’intento di sopravvivere e questo, per Marx
avviene solo tramite il lavoro, quindi senza il lavoro l’uomo non può sopravvivere. L’uomo deve
costruire strumenti per lavorare, perché a differenza degli altri esseri viventi non è autonomamente
provvisto per sopravvivere e quindi deve lavorare. Tutto questo però avviene istintivamente, ma
con il lavorare  ovvero deve costruire qualche cosa (es: il leone va a caccia ed è già attrezzato
dalla natura per andare a caccia; mentre l’uomo va a caccia, ma deve costruire gli utensili per poter
cacciare). Quindi il lavoro, dice Marx, è l’esistenza umana, perciò visto che la struttura portante della
società è l’economia, l’economia è il pilastro dell’esistenza umana.
La struttura portante quindi della società è proprio l’economia, la quale consiste nel lavoro e nello
scambio di merci. Dentro l’economia abbiamo quindi lavoro e scambio di merci, che sono rapporti
economici di produzione (scambio di interazioni nella sfera economica) tra esseri umani. I rapporti
economici, dice Marx, sono il luogo del potere, chi all’interno ne occupi una posizione di dominio
ovvero una posizione apicale, ha una posizione dominante/fondamentale all’interno della società.

I rapporti economici di produzione, sono il nucleo della società e quindi della struttura sociale.
Consistono in rapporti tra esseri umani, che stanno alla base dei processi produttivi. I rapporti
economici di produzione, che sono l’inizio della storia umana, sono stati inquinati dall’introduzione
della proprietà privata. Ovvero chi possiede qualcosa, mette dei paletti e dice agli altri che se lo
vogliono usare, devono pagare. L’introduzione della proprietà privata ha fatto sì che coloro che
posseggono di più, si trovano in una posizione di vantaggio rispetto coloro che posseggono meno o
niente. Cosa bisogna possedere? Si tratta di possedere ciò che è indispensabile per la produzione,
per il lavoro: Andando indietro in un passato lontano, qualcuno ha inventato la proprietà privata e
ha inquinato i rapporti tra esseri umani, perché ciascuno è impegnato a costruire elementi per la
sua sussistenza e proprio questa proprietà privata con il passare del tempo ha portato sempre
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maggiori discrepanze tra chi possedesse di più e chi di meno, a tal punto che qualcuno arrivò anche
a non possedere nulla. In particolare alcuni, un gruppo ristretto di persone, si sono ritrovate
proprietarie di quelle che sono le ricchezze più importanti dei beni umani: ovvero i mezzi di
produzione. Proprio chi detiene l’egemonia sui mezzi di produzione può esercitare un potere su tutti
e se i beni di produzione sono proprietà di privati, chi non li possiede non può sopravvivere.
Quindi non si tratta più di rapporti di scambio reciproco basati sulla comunione, sulla solidarietà e
sulla condivisione; ma si tratta di rapporti di potere, dove chi detiene i mezzi di produzione detiene
più potere su chi non li detiene. È stata proprio la proprietà privata ad introdurre inevitabilmente il
conflitto dentro la storia umana perché chi ha di più vuole difendere ciò che ha, mentre chi non ha,
cercherà di appropriarsi ovvero di sottrarre agli altri ciò che gli serve per sopravvivere  cerca di
sottrarre una parte o anche il tutto ai proprietari  SI CREA UNA LOTTA. Questa lotta si è articolata
per tutta la storia dell’umanità, è il motore della storia. Sono lotte che hanno visto protagonisti non
i singoli individui, ma le classi sociali.

Le classi sociali, sono gruppi di persone, che condividono la stessa posizione (di svantaggio o
vantaggio) all’interno dei rapporti economici di produzione. Quindi possono trovarsi in una
posizione di vantaggio (essere proprietari) oppure di svantaggio (essere NON proprietari). Quanti
più mezzi di produzione possiedi, tanto più sei in una posizione di forza, tanto più la tua classe sociale
di appartenenza è elevata; di contro quanto meno possiedi tanto più la tua posizione sociale è bassa,
inoltre sei “ricattabile” dai proprietari di produzione, se vuoi lavorare.
La lotta di classe, che ha inizio con l’introduzione della proprietà privata, diventa nel tempo sempre
più pura ed efficace, man mano che si alternano i modi di produzione. Si articola in modo imperfetto
man mano che si articolano i modi di produzione, finché è arrivata la rivoluzione industriale e si è
costituito nella storia il modo di produzione capitalistico: tutti i mezzi di produzione si condensano
in una classe sociale. Di conseguenza la lotta di classe, conosce un salto qualitativo, diventa
particolarmente cruenta da un lato, ma dall’altro diventa particolarmente efficace del suo risultato
e inoltre si semplifica nella contrapposizione tra due classi: capitalisti borghesi (es: Helon Musk…)
VS proletari. I capitalisti sono coloro che padroneggiano il mondo. La conclusione della lotta di classe
è data dall’abolizione della proprietà privata  società in cui i rapporti economici di produzione non
sono più basati sulla proprietà privata (= comunismo). C’è l’idea che l’umanità è in cammino per la
sua autoredenzione = si libera dalla precarietà della condizione umana (sofferenza, morte...), idea
derivata dalla concezione religiosa, attraverso uno sviluppo lineare e non circolare. I Romani
avevano già posto uno sviluppo lineare del tempo, prendendo come punto di riferimento la
fondazione di Roma (prima della fondazione di Roma; post fondazione di Roma), poi la Cristianità
ha mantenuto questa cosa dello sviluppo lineare prendendo come punto di riferimento la nascita di
Cristo  bisognerà costruire una società emancipata.

 Seconda e ultima fase dell’idea di Marx: abolizione della proprietà privata  qui inizia la vera
storia dell’umanità.

Si ha una stratificazione sociale netta: le due classi sono la borghesia e il proletariato. La borghesia
è proprietaria, dei mezzi di produzione: quali materie prime, macchinari e manodopera (=la forza
lavoro)  classe piccola, ma potentissima. Quindi la borghesia indirettamente possiede anche la
forza lavoro. I proletari (contadini e operai) sono i proprietari della sola forza lavoro (si intende
proprio la forza muscolare, le braccia ed eventualmente anche dell’esperienza professionale) 

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classe gigantesca, ma priva di potere; i proletari sono capaci di lavorare e quindi vanno dai
proprietari dei mezzi di produzione e chiedono di essere assunti, la borghesia può imporre le sue
condizioni e i proletari possono decidere se accettare il lavoro imposto dalla borghesia. I contadini
vendono il loro lavoro come una merce ai proprietari terrieri e ai grandi latifondisti, mentre gli operai
vendono la loro forza lavoro all’industria.

Per Marx gli strumenti e i mezzi di produzione sono 3:


 Le materie prime: per essere competitivi sul mercato servono materie prime di qualità.
 Macchinari (tecnologie): sempre aggiornati (manutenzione ordinaria) pagare dei tecnici.
Acquistare macchinari efficienti per sostituirli con quelli inefficienti.
 Manodopera: pagare gli operai il meno possibile per risparmiare
 Plus valore, plus lavoro  anche definito sfruttamento: costringe i capitalisti ad
essere in conflitto tra loro: o fallisci o acquisisci un altro che è fallito. Il plus valore e
plus lavoro sono creati dal salario.
 I capitalisti hanno punti a vantaggio perché il lavoratore ha solo la forza lavoro.
I capitalisti offrono il SALARIO che non ha nulla a che fare con il valore che l’operaio
o il contadino produce. Il salario deve essere proporzionato al valore prodotto.
Il salario è calcolato diversamente: quanto ha bisogno il lavoratore per vivere e per
avere la forza lavoro. Il salario deve garantire al lavoratore di mantenere la sua
famiglia; in caso non sia così lui cercherà un secondo e terzo lavoro e questo non lo
renderà più produttivo.
Sovrastruttura ideologica: è costituita dalla dimensione culturale, tra cui la politica, religione,
musica, letteratura, scienza o diritto, comunicazione, questo plasma la realtà e la sua narrazione.
Fornisce dei quadri culturali, che ci servono per interpretare il mondo del lavoro. L’essere umano
agisce in base a quello che pensa. L’essere umano si trova a vivere in una realtà sociale e per viverci
deve attribuire un significato alla realtà e sulla base di questi significati egli agisce, cercando di agire
in modo coerente sulla comprensione della realtà  questo è fatto anche dagli altri animali, ma per
loro è più semplice perché non hanno una divisione simbolica di linguaggio. Marx dice che la
sovrastruttura plasma la mentalità cognitiva di lettura della realtà. A livello di questa sovrastruttura
vengono elaborate e trasmesse le interpretazioni della realtà, per lo scopo di orientare la loro
rappresentazione della realtà sociale, in forte della quale sei portato ad agire in un certo modo. È
un portentoso strumento di controllo sociale, esercitato da parte della borghesia (pochi) sui
proletari (tantissimi).
La classe borghese sfrutta in modo spietato i proprietari della forza lavoro (concetto intrinseco al
capitalismo): questo comporta che la manodopera viene ampiamente sottopagata, rispetto a ciò
che produce. Marx si chiede com’è possibile che la forza lavoro, essendo tantissimi che vivono in
condizioni di sfruttamento, non si ribellino? Oppure se lo fanno, lo fanno in modo disorganizzato? E
alla fine accettano lo sfruttamento? Questo è possibile proprio grazie alla sovrastruttura. L’industria
privata di tipo capitalistico, ha come unico scopo la massimizzazione dei profitti  questo porta
anche i capitalisti ad essere in conflitto tra loro.
Il capitalista investe il suo capitale:
 Per gran parte nei macchinari e per controllare la sovrastruttura ideologica (università,
scuola…).
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 Per una buona parte nelle materie prime.
 Una parte più piccola per pagare la mano d’opera  perchè molti salari vengono tagliati
(infatti non corrispondono alla quantità di lavoro che un proletario svolge)  Marx dice che
i capitalisti si appropriano indebitamente dei proventi della forza lavoro.
 Piccolissima parte trattenuta per i loro piaceri personali.

I proletari non si rendono conto di essere sfruttati perché la sovrastruttura diffonde una falsa
coscienza. Il capitalismo ha bisogno di persone pronte a sacrificare i loro affetti, il loro tempo ed
entrare nel mondo del lavoro e svolgere le funzioni delle quali i capitalisti han bisogno  la
sovrastruttura prepara i proletari a desiderare questo. La sovrastruttura è usata come distrazione
(interesse per il gossip) e porta all’alienazione.
Esponendo il rapporto educazione-società, per esempio nel Marxismo, illustreremo alcuni passaggi
fondamentali della sociologia di Marx, collegati con la interpretazione della storia, la sua filosofia.
Altrimenti, se ci limitassimo a mettere in luce in senso stretto il tema dell’educazione di Marx,
basterebbe parlare del concetto di sovrastruttura ideologia. È bene mettere a fuoco, anche se
brevemente, alcune questioni centrali della sua analisi sociologica della società moderna intesa
come avvento del modo di produzione capitalistico. Per tutti questi autori la società moderna giunta
al suo stato maturo consiste essenzialmente nel suo configurarsi come società industriale, in
particolare capitalistica. Marx chiama ciò “modo di produzione capitalistico” proprio perché lui
mette l’accento sul lavoro, il quale costituisce il modo di essere dell’uomo. Il lavoro è l’esistenza
dell’uomo. Attraverso il lavoro l’uomo deve realizzare la sua esistenza. In questo contesto Marx è
filosofo, ragiona con i concetti della filosofia.
L’economia come rapporti economici di produzione è la struttura portante della società. L’esistenza
dei singoli consiste nel loro lavoro (homo faber = uomo lavoratore  questa è la sua essenza). Nella
misura in cui questa attività lavorativa, l’esistenza come lavoro, si configura in un rapporto di tipo
servo/padrone, ciò genera alienazione. È vero che il lavoro esprime l’essenza dell’umano, però se il
lavoro si articola in un rapporto servo/padrone allora perde il requisito della libertà e quindi diviene
alienazione. Il soggetto non può dare libera espressione di sé nel lavoro, ma piuttosto è costretto
ad una attività lavorativa che è sostanzialmente una forma di servilismo.
Tutta la storia dell’umanità, per Marx, è la storia della lotta di classe, è il susseguirsi, il continuo
articolarsi, della lotta e del conflitto tra gruppi di persone che occupano posizioni diverse nella
produzione. Tale lotta è iniziata nella notte dei tempi quando venne introdotta la proprietà privata.
Essa innesca la dinamica servo/padrone: chi ha di meno si ritrova, per lavorare, a mettersi al servizio
di chi ha di più. La lotta di classe consiste nel continuo conflitto tra gruppi differenti nei rapporti
economici di produzione. Chi ha di meno lotta per avere di più e chi ha di più lotta per preservare
quello che ha ed aumentarlo. Tale lotta è una lotta per emancipazione per i primi, per i secondi è
una lotta per acquisire prestigio. Questa lotta di classe si articola nella storia secondo formazioni
sociali che si susseguono nello spazio e nel tempo. Tuttavia raggiunge il suo stadio più acuto con il
modo di produzione capitalistico.
Ragioni per cui il modo di produzione capitalistico rappresenta l’apice di questo processo:
 Semplifica il discorso con due strati: proletariato (operai e contadini, per Marx è composta
da coloro che sono rimasti in possesso della sola forza lavoro) e la classe della borghesia
(ristretta e ricchissima, per Marx è composta dai proprietari dei mezzi di produzione). I
metodi di produzione sono le materie prime, i macchinari e la manodopera. La borghesia

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possiede in modo monopolistico i mezzi di produzione. L’avvento del modo di produzione
capitalistico rende puro, porta al massimo questo scontro, quindi lo rende decisivo.
Rimangono due classi, che sono quelle che sono in grado di fare storia, questo sarà il passo
successivo per la società comunista che avrà distrutto il modo di produzione capitalista. Ci
sono altre classi, ma sono residuali, non sono in grado di fare storia.
 Come fa il modo di produzione capitalistico a polarizzare la società in due soli classi? Lo fa
attraverso la trasformazione dello scambio economico. Il modo di produzione capitalistico
trasforma la natura dello scambio economico. Quest’ultimo costituisce un aspetto
elementare e fondamentale di una società umana. La nostra sopravvivenza è garantita dalla
possibilità di scambiarci le merci. Prima avveniva attraverso il baratto, poi per facilitare lo
scambio economico si è inventato il denaro come mezzo. Nel susseguirsi dei modi di
produzione il denaro è stato un mezzo per facilitare lo scambio di merci, ossia lo scambio
economico. L’avvento del modo di produzione capitalistico invece trasforma la natura dello
scambio economico: se prima si usava il denaro come merce di scambio (merce per merce
attraverso il denaro), con il capitalismo ciò cambia: dal denaro al denaro, attraverso la
merce. Il denaro da strumento dello scambio diviene il fine ultimo. Il modo di produzione
capitalistico ha come fine ultimo la massimizzazione dei profitti, la moltiplicazione all’infinito
del denaro. La merce è ora lo strumento per la moltiplicazione del denaro. Il capitale è
qualcosa che si accumula, più lo usi e più aumenta (scrive Il capitale infatti). Il denaro non
viene mai speso, ma va investito. Prima invece veniva speso. Tale trasformazione dello
scambio economico innesca nella società moderna industrializzata in senso capitalistico un
inarrestabile processo di proletarizzazione → la classe del proletariato si ingrandisce sempre
più, perché i piccoli proprietari terrieri e i piccoli commercianti vengono fagocitati dai grandi
 il pesce grande mangia il pesce piccolo. Ciò perché quanto più denaro tu hai tanto più sei
in grado di immettere sul mercato merci di qualità sia in maggior numero, sia con un prezzo
più basso (introduzione tecnologia), magari un poco inferiore in qualità rispetto al piccolo
artigiano. I piccoli commercianti e proprietari terrieri devono dismettere le loro attività,
vendere i loro terreni. I grandi proprietari e capitalisti comprano a bassi costi le proprietà e
le imprese dei piccoli stroncati nel mercato concorrenziale. A coloro che hanno perso i loro
mezzi di produzione non rimane che la propria forza lavoro che diviene una merce da
mettere sul mercato. Per sopravvivere non gli rimane che lavorare come operai o contadini
alle dipendenze di qualcuno accettandone le condizioni remunerative. La stratificazione
della società così si polarizza e la lotta di classe diviene pura e cristallina. Rimangono degli
artigiani di nicchia, i quali fanno lavori altamente raffinati per i più abbienti, ma non sono in
grado di fare storia. Abbiamo quindi questa enorme massa di contadini ed operai (divengono
sempre più numerosi). “Proletariato” da “prole” perché la loro unica ricchezza è la forza
lavoro e la generazione futura: generando prole generano braccia, ossia ulteriore forza
lavoro e questa è l’unica ricchezza possibile.
Cosa succede una volta che la società è stata interessata da questo processo di proletarizzazione
come conseguenza della trasformazione del modo dello scambio economico introdotto dall’avvento
del modo di produzione capitalista? Avviene che i capitalisti, a loro volta, sono vittime del modo di
produzione capitalista. Anche loro patiscono le conseguenze del peccato originale della proprietà
privata perché la loro esistenza, anche se si svolge nella ricchezza, è costantemente costretta ad
evitare il fallimento. Il capitalismo genera la lotta di classe e la lotta all’interno delle classi. I capitalisti

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sono tra di loro in constante concorrenza, una concorrenza spietata. Sono come dei predatori che
si contendono le risorse in un territorio ed ognuno è costretto dal modo di produzione capitalistico
a perseguire la massimizzazione dei profitti. Non possono accontentarsi, se si fermano verranno
inghiottiti dai capitalisti più grandi. Questi infatti vivono nell’ansia in quanto se perdono tutto
diventano proletari. La forza lavoro del capitalista, ad un certo livello, è molto inferiore rispetto a
quella di un componente del proletariato (perché Marx intende la forza fisica). Questa ansia genera
quindi alienazione anche nei capitalisti. Quindi l’unico modo è cercare di garantirsi le migliori
materie prime e le migliori tecnologie così da poter mettere sul mercato merci a prezzi
concorrenziali.
Marx spiega come i capitalisti possono massimizzare i profitti. I capitalisti non possono fare
economie sulle materie prime e sui macchinari, altrimenti le merci finiscono per essere di scarsa
qualità e non reggono il confronto con la concorrenza, allora si va a risparmiare sulla manodopera.
Marx spiega che lo sfruttamento del proletariato avviene in modo scientifico, in particolare il Saggio
di sfruttamento consiste nel rapporto tra Plusvalore e Salario.
Plus valore
Saggio di sfruttamento =
Salario
Il plusvalore è prodotto dal plus lavoro. Il lavoro genera un valore. Attraverso il lavoro si producono
delle merci che messe sul mercato hanno un determinato valore di mercato, il prezzo, e data; così
dalla loro vendita si ricavano dei profitti. Dal valore di mercato, per arrivare ai profitti, bisogna
sottrarre i costi marginali (che per esempio sono i costi produzione, i costi di trasporto merci). Marx
si chiede quanto venga pagato l’operario che ha prodotto, attraverso il suo lavoro, questo prodotto.
Si chiede se lo stipendio dell’operaio abbia qualcosa a che fare con il valore di quanto ha prodotto.
Risposta: NO, lo stipendio dell’operaio non ha nulla a che vedere col valore di ciò che ha prodotto.
Lo stipendio infatti non è calcolato in modo proporzionale al valore del prodotto. Lo stipendio Marx
lo chiama “salario”, che quindi non è calcolato in rapporto a questo valore, ma è calcolato basandosi
su un altro criterio: ovvero si tiene conto di una serie di valori tra cui il costo della vita e di quanto
denaro ha bisogno per poter vivere, lui insieme alla sua famiglia e lo si paga con un salario appena
al di sopra della soglia di sussistenza. Ciò perché il capitalista non può permettersi che gli operai
guadagnino meno della soglia di sussistenza, perché ciò innescherebbe dei processi
controproducenti per lui. Se l’operaio non è in grado di mantenersi sarà costretto, per esempio, a
cercarsi altri valori e ciò avrà come conseguenza che arriverà sul posto di lavoro stanco e debilitato
= forza lavoro ridotta.
Se il salario dell’operaio sarà di 1˙000 euro, per esempio, ma l’operaio produce 20˙000 euro, il
plusvalore è di 19˙000 euro. Con il salario il capitalista paga all’operaio 1/20 del valore che produce
con il suo lavoro. Tutte le ore di lavoro oltre a quelle necessarie a produrre 1˙000 euro di ricchezza
sono surplus lavoro, ossia lavoro non pagato. Questa è una condizione ingiusta ma l’operaio non
può contrattare il salario perché i rapporti economici di produzione sono talmente sbilanciati dalla
disuguaglianza della distribuzione della proprietà privata e della ricchezza che è già tanto che trova
un lavoro. Diversamente la sua prospettiva è la povertà e la miseria (diventare membro del
sottoproletariato). Il sottoproletariato è composto da coloro che sono al di sotto della soglia di
sussistenza; vivono di ciò che riescono a recuperare in qualche modo. Marx si schiera dalla parte del
proletariato ma contro il sottoproletariato → dal punto di vista del proletariato l’esistenza del
sottoproletariato dimostra che ci sono anche quelli che stanno peggio. Il proletario tende a dire:
“potrebbe andarmi peggio” e al tempo stesso l’esistenza del sottoproletariato rappresenta un
cuscinetto ulteriore per i capitalisti perché riduce il potere contrattuale del proletariato. Se ne sei
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membro e vai a contrattare il salario ti dicono: “se non ti sta bene vai pure, tanto noi la manodopera
la peschiamo dal sottoproletariato”. Il sottoproletariato è un ostacolo al potenziale rivoluzionario
della classe proletaria. Poi c’è tutta una sovrastruttura ideologica (politica, arte, intrattenimento,
educazione) che è un gigantesco apparato costruito dalla classe dominante che finanzia per distrarre
le grandi masse proletarie e per addormentarle, per farle stare in uno “stato di falsa coscienza”, per
non farle render conto di essere sfruttate in modo spudorato. C’è una grande narrazione del mondo
e della società che viene propinata a diversi livelli, massmediatico in un modo e a livello scolastico
in un altro, ma che sostanzialmente va in un’unica direzione.
Sembra che il proletariato non abbia nessuna possibilità di uscire da tale situazione. Secondo Marx
invece accadrà perché la legge della storia vuole così. Il fine della storia è l’emancipazione
dell’umanità che si è corrotta attraverso l’introduzione della proprietà privata. È una narrazione
paracristiana, tratta dal cristianesimo ma togliendo l’aspetto della trascendenza. Il peccato originale
è la nascita della proprietà privata mentre la redenzione dell’uomo avviene attraverso la lotta di
classe. Attraverso la storia della lotta di classe si arriva al momento finale, che Marx dice accadere
inevitabilmente. Il modo di produzione capitalistico, essendo viziato da proprietà privata, porta in
sé quel germe che lo farà implodere. Ricordiamo che i capitalisti non sono i vincenti della storia,
sono anche loro schiavi. Marx dice che, dal punto di vista strettamente economico, il modo di
produrre capitalistico è destinato prima a ingigantirsi sempre più (apparentemente domina) ma in
realtà più si afferma più si va configurando come un gigante su dei pilastri di argilla. Il meccanismo
del capitalismo si regge sullo sfruttamento del proletariato, il quale a lungo andare fa implodere
tutto il sistema. Dopo aver parlato del saggio di sfruttamento, parla della caduta tendenziale del
saggio di profitto (altra legge economica). Nonostante lo sfruttamento della manodopera, il sistema
capitalista si diffonde sempre più, proletarizza la società e ad un certo punto, quando arriva al
massimo grado di potenza, si flette. Poco alla volta decresce finché implode improvvisamente. Ciò
avviene attraverso questa legge la quale è inesorabile: la storia compie il suo fine. Se ci pensiamo,
dice Marx, c’è una contraddizione interna nel principio dello sfruttamento: esso avviene per
permettere ai capitalisti di mantenere gli standard tecnologici (la scienza si traduce in continui
aggiornamenti tecnologici), devono tenersi sempre aggiornati per essere concorrenziali. Tuttavia,
se osserviamo bene ciò che avviene nella società capitalistica più avanzata, quella britannica,
vediamo che tale aggiornamento tecnologico consiste nell’introduzione nelle filiere produttive di
macchinari che tendenzialmente sostituiscono gli operai, che rendono sempre meno indispensabile
la manodopera. A lungo andare in questo processo, che non può che andare avanti in quanto è
l’unico modo in cui il capitalismo può generare profitti, verrà erosa la fascia proletaria. Licenziare il
proletario significa eliminare ciò su cui si genera profitto, dunque ad un certo punto il meccanismo
andrà in tilt. Il saggio di profitto una volta che raggiunge il suo apice, con la massima
proletarizzazione della società, inizia a declinare. Ciò perché si comincia con i licenziamenti
(aggiornamento tecnologico rende superfluo un numero crescente di proletari). Si innesca un
processo di pauperizzazione (non più proletarizzazione). È un processo graduale, ci voglio decenni
→ i capitalisti hanno bisogno di meno manodopera, riducono le ore di lavoro, così il lavoratore inizia
ad essere più povero (si riduce lo stipendio), inizieranno a licenziare più uomini e ad assumere donne
e ragazzini (come il salario paga la forza lavoro, loro hanno meno forza muscolare e quindi sono
autorizzati ad abbassare i salari). Ci troviamo in una pentola a pressione pronta ad esplodere.
Il primo Marx (quello del Il capitale) pensa che i processi di pauperizzazione innescheranno da soli
la rivoluzione → poichè il proletariato ormai pauperizzato prende coscienza della condizione in cui

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si trova, la sovrastruttura ideologica non ha più presa. Infatti inizialmente, anche se sei poco al di
sotto della soglia di sussistenza, ti raccontano che va tutto bene, ma se proprio patisci la fame non
ci credi più. Ci si accorge che la classe del proletariato acquista coscienza di classe. Svanisce
l’incantesimo messo in atto dalla sovrastruttura ideologica. Allora si dicono: “Siamo tanti,
organizziamoci, possiamo ribaltare la situazione.
Il secondo Marx ha un’altra idea (si vede la mano di Hegel), per lui la pauperizzazione della società
da sola non basta a generare la rivoluzione perché il proletariato pauperizzato è composto da
persone incapaci di organizzarsi, con menti povere. Potrebbero organizzare piccole rivolte che lo
Stato potrebbe facilmente placare. Ci sarebbe un bagno di sangue, ma non una rivoluzione. È
necessario l’intervento degli intellettuali. Il primo Marx pensava che bastasse che le cose andassero
per il corso, che la legge della storia facesse il suo corso. Bastava il momento storico-economico: il
capitalismo fa il suo corso, arriva ad implodere, arriva la pauperizzazione e poi automaticamente
arriva la rivoluzione. Lasciamo che questa legge della storia faccia il suo corso, questo era il pensiero.
Tutto un meccanismo automatico. Nella riflessione con Engels iniziano a pensare che ci sia bisogno
di un momento dialettico. La rivoluzione va organizzata, non può nascere spontaneamente. La lotta
di classe finale non è spontanea, va organizzata. Per farlo è necessario l’intervento degli intellettuali
che non appartengono al proletariato. Essi sono pensatori, scrittori. Qui entra in gioco la questione
dell’educazione. Gli intellettuali sono quelli che per la loro professione sono immuni dalla
sovrastruttura ideologica. Non credono alla grande narrazione che la sovrastruttura ideologica
mette in scena. Essi, per definizione, osservano la società, i processi economici e politici, e vedono
le trame del potere tra queste trame. Pasolini diceva “io so” (prima pagine del Corriere della Sera,
probabilmente gli costò la vita) cosa si nasconde dietro questi episodi, attentati, “perché sono un
intellettuale, è il mio mestiere” osservando le trame del potere e lo sfondo sociale. Anche per Marx
l’intellettuale sa, deve decidere con chi schierarsi.
Marx vede due tipi di intellettuali:
- Intellettuali organici, che si schierano dalla parte del capitale. Sono gli universitari, i
giornalisti, quelli che fanno il discorso pubblico. L’intellettuale si mette a organizzare la
sovrastruttura ideologica che consiste nella manipolazione delle menti, nella costruzione
della falsa coscienza.
- Intellettuali rivoluzionari, che si oppongono a tutto ciò e si impegnano ad intraprendere
un’azione di liberazione. Secondo Marx e Engels è la scintilla che fa scattare la rivoluzione.
L’intellettuale smonta le trame della sovrastruttura ideologica e poi è capace di organizzare
una rivoluzione.
Le fasi della rivoluzione:
1) Azione culturale/educativa per smantellare le menti della falsa coscienza. Per Marx scuola,
cinema, religione fanno tutti parte di questa sovrastruttura ideologica. Per Marx infatti la
religione è l’oppio (sostanza stupefacente più in uso nell’Ottocento) dei poveri, proprio
perché essa ha la capacità di invitare le classi oppresse a rinunciare alla vendetta e ad
ottenere la giustizia attraverso la violenza. Il concetto educativo della rivoluzione è un
progetto di lotta anche alla religione. Perché la religione è un calmierante della rivoluzione.
Essa invita coloro che subiscono l’ingiustizia a far sì che sia Dio, unico vero giudice, a fare
giustizia. Cioè se si è dalla parte della ragione bisogna aspettarsi il premio, per l’ingiustizia
subita, solo nella vita ultraterrena  per questo “oppio” dei popoli.

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2) Organizzazione politica, la formazione di un partito rivoluzionario. La classe oppressa deve
diventare da “classe in sé” a “classe per sé”. La classe in sé è in una situazione di falsa
coscienza, la classe di per sé è in una situazione di coscienza di classe. L’intellettuale ha il
compito di far avvenire questo passaggio. Detta “per sé” perché le sue azioni non sono più
funzionali ad un'altra classe, ma alla propria, è mossa dalla consapevolezza della situazione.
Da qui tutto il resto, ovvero la classe del proletariato deve divenire un partito rivoluzionario
 il partito comunista, che ha il compito di fare la rivoluzione. La rivoluzione è sempre
violenta, rivoluzione = distruzione dell’ordine costruito attraverso la violenza. La violenza è
un momento intrinseco al marxismo e all’idea stessa di rivoluzione. Tanto è vero che Marx
considerava un antecedente della rivoluzione marxista la rivoluzione francese. La rivoluzione
francese era già una lotta di classe (popolo vs aristocrazia), ove l’antico regime è stato
smantellato. È stata un po’ una rivoluzione imperfetta, ma comunque un prototipo di quella
marxista. Lui vede la distruzione dell’ordine politico e morale e l’abolizione della proprietà
privata e ricostruzione della società comunista basata si, su un’economia al centro, ma
riformata, quindi che non si basa sulla proprietà privata.
3) Entriamo nella fase utopica della rivoluzione e della costruzione della società comunista. La
fase utopica è anche drammatica perché quando si persegue un punto di arrivo che si vede
come ideale, perfetto, allora qualsiasi azione, qualsiasi sacrificio, qualsiasi atto di violenza
serve a garantire l’arrivo a tale obiettivo ideale, un mondo pacificato basato su giustizia e
uguaglianza. L’essenza dell’umano non è né religiosa, né economica, ma è il lavoro.
Gli intellettuali devono quindi prima smantellare la sovrastruttura ideologica, poi devono
organizzare il partito rivoluzionario, poi esso si costituirà come esercito organizzato (es. armata
rossa in rivoluzione russa) e, una volta distrutto l’ordine capitalistico, gli intellettuali dovranno fare
ancora un passo. Il partito che è divenuto rivoluzionario si deve trasformare in burocrazia
organizzativa, deve costruire i grandi apparati burocratici statali dopo che la società sarà stata
distrutta dalla rivoluzione. Bisogna ricostruire la società, che sarà comunista. La società comunista
che si immagina essere scientifica, tecnologica ed industriale, è estremamente avanzata ed
efficiente. Qui c’è l’aspetto utopico: dopo ciò hanno pensato che lo Stato comunista si auto-abolisse.
Non essendo infettata dalla proprietà privata, la società comunista non avrebbe infatti bisogno di
un’organizzazione statale, funziona da sola perché genera automaticamente benessere,
uguaglianza, libertà e giustizia. La causa di ogni sopruso è la proprietà privata, senza di essa, tutto
può funzionare, dopo una prima organizzazione. Naturalmente i grandi burocrati dello Stato, una
volta acquisito il potere, si guardano bene dall’abbandonarlo. Si traduce in degenerazione in senso
autoritario.
L’aspetto educativo nel Marxismo è forte nel concetto di sovrastruttura ideologica, nel senso di falsa
coscienza, di alienazione. Dal punto di vista marxista la scuola è uno dei luoghi principali della lotta
di classe, il mondo dell’istruzione. La scuola serve a smantellare i quadri culturali e a dominarli. Le
famiglie sono state formate dalla sovrastruttura ideologica, hanno riprodotto i temi di pensiero
dominanti e li hanno trasferiti ai loro figli. La scuola serve a ricominciare il processo rivoluzionario
smantellando questi quadri. Non possiamo usare la via riformista, es. fare un partito, cercare di
vincere le elezioni, entrare in Parlamento, fare accordi, per essere inghiottiti nella rete di
compromessi. Il sistema non può essere trasformato dall’interno: quindi va abbattuto.

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CONFRONTO TRA POSTIVISMO CLASSICO E MARXISMO
Confronto tra Positivismo classico e Marxismo, che sono due scuole di pensiero pressoché
contemporanee che costituiscono altrettanti programmi moderni; il concetto di moderno lo
vedremo meglio quando parleremo del processo di modernizzazione che consiste nella elaborazione
di programmi che servono a schematizzare e realizzare storicamente gli ideali della modernità.
Il positivismo e il marxismo condividono il fatto di ispirarsi a una filosofia della storia; oltre a questo
aspetto di fondo queste due teorie sociali classiche hanno altri numerosi e importanti punti in
comune, insieme ad alcune grandi differenze.
Un primo elemento in COMUNE consiste nella loro CONCEZIONE DI STORIA: per “storia” entrambi
si intendono il percorso millenario che ha per protagonista l'Umanità, fin dall'inizio della vicenda
umana in un passato remoto; infatti entrambi uniscono degli approcci teorici e pratici, intesi come
elaborazione di programmi, che presuppongono una concezione della storia lineare progressiva e
irreversibile, che si articola per tappe e che giunge a compimento in una fase finale, che prevede la
realizzazione del programma  ovvero una sorta di società perfetta. Il requisito della “perfezione”
coincide con l'emancipazione dell'umanità dai vincoli e dai limiti imposti sia dalla natura (es.:
malattia, vecchiaia, morte) sia dalla cultura (relazioni umane e assetti sociali da sempre caratterizzati
da un grado più o meno elevato di violenza e ingiustizia). Sostengono una concezione della storia
intesa come una filosofia della storia, interpretazione della storia dell’umanità mossa da una
legge/forza insuperabile, inarrestabile che determina gli eventi storici. L'idea di una società perfetta
che si realizzerà inevitabilmente in un futuro ormai prossimo conferisce a entrambi questi quadri di
pensiero un carattere utopico: l'ordine sociale che essi immaginano, cioè la società positivista e la
società comunista, sono due utopie. Si tratta di un aspetto di fondamentale importanza per
comprendere l'esito che questi programmi di modernizzazione, se perseguiti coerentemente,
finiscono per assumere nella concreta realtà storica: un esito totalitario.
Per i positivisti lo Stato di tipo positivistico è certo come è certo che l’esistenza dell’essere umano
ad un certo punto giunga alla fine. Con l’avvento del comunismo i processi storici si verificheranno
con certezza, ma possono essere accelerati o rallentati; per i positivisti, se il programma è stato
interiorizzato da un numero crescente si verificherà prima, mentre per il comunismo, nel momento
in cui il capitalismo realizzerà i processi di proletarizzazione e pauperizzazione e nella misura in cui
un numero crescente di intellettuali sposerà la causa rivoluzionaria allora scatterà più rapidamente
la fase rivoluzionaria e si avvierà la fase di decostruzione: ovvero distruzione della società capitalista
e ricostruzione della società comunista.
Si evidenziamo però due differenze importanti:
Per i Positivisti il progresso come evoluzione di stadi di sapere avviene in modo lineare e evolutivo
nei secoli in cui dallo stadio teologico-filosofico sorge poi quello filosofico-metafisico quasi come si
passassero il testimone ed infine quello scientifico-positivo. È una maturazione del sapere,
caratterizzata da un susseguirsi di fasi di sapere.
Nel Marxismo non abbiamo questa linearità, ma l’evoluzione è segnata dalla lotta di classe, dal
conflitto  la storia per Marx è la lotta di classe, si tratta di un’evoluzione di tipo dialettico, lo
scontro violento è parte integrante dello sviluppo storico. Il lavoro è la condizione necessaria per la
sopravvivenza e proprio a causa della proprietà privata si crea la dualità: cioè il contrasto.
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Un’altra differenza consiste nel CONCETTO DI ELITARISMO: entrambe le correnti sociologiche
puntano sull’intervento di gruppi elitari che svolgono un ruolo fondamentale per realizzare il loro
programma, nonostante a livello storico si verifichi comunque il cambiamento. Nella società dei
positivisti questa élite è rappresentata dagli scienziati, in qualità di depositari del sapere autentico,
ma insieme a questo è necessario essere positivisti, cioè fare propria la morale del positivista e
quindi l’applicazione della scienza finalizzata all’emancipazione della società dai limiti impostati
dalla natura; la scienza è fatta per risolvere problemi e non per sviscerare le proprie curiosità  è
necessario un uso morale della scienza e della tecnologia.
Nel marxismo questa élite è composta da intellettuali rivoluzionari. Secondo il primo Marx la
rivoluzione potrebbe avvenire anche senza élite, una volta che il capitalismo innescando il processo
di pauperizzazione porterà alla rivoluzione. Invece nel secondo Marx, con l’influenza di Hegel,
questo non è più sufficiente, ma è necessario che una ristretta élite di intellettuali sposi la causa
rivoluzionaria ed emancipi la classe oppressa. Quindi ciò che caratterizza l’élite per il marxismo non
è la conoscenza scientifica, ma è proprio la disponibilità degli intellettuali di intraprendere una lotta,
anche rischiosa per loro stessi e che comporta enormi sacrifici, perché si espongono a pesanti
rappresaglie, perché devono pubblicare cose vietate, devono svelare ciò che si cerca di tenere
celato. Questa élite diventa capofila della lotta di classe. Questa classe elitaria è composta da filosofi
nel senso marxiano del termine, ossia non che si dedicano all’elaborazione di un pensiero astratto,
ma che si dedicano all’inveramento della storia; la verità per Marx è mettere in evidenza proprio
come stanno realmente le cose mostrando la struttura classista della società, togliere la maschera
alla realtà che viene presentata ideologicamente sotto mentite spoglie, come realmente non è.
 In entrambi i casi il contributo dell’élite è di fondamentale importanza.
Anche la società comunista è fortemente tecnologica, moderna dal punto di vista scientifico.
L’élite del positivismo francese è composto da intellettuali organici al servizio della società
positivista in cui il capitalismo non è destinato a implodere su sè stesso, ma è un fattore di progresso.
Per il positivismo inglese, come sosteneva Spencer, è l’economia il fattore di progresso, mentre per
quello francese si intende un progresso di tipo politico attraverso l’abbattimento dell’antico regime.
Mentre per il marxismo, il capitalismo è visto come fattore di ingiustizie sociali e come fattore che
arriverà a raggiungere il massimo della sua espressione, ma che poi dovrà decadere. L’élite del
marxismo è mossa da ideali rivoluzionari che si scontrano con quelli organici. Il programma
positivistico prevede un cammino graduale che poco alla volta, grazie all’acquisizione di conoscenze,
compirà il sapere positivistico; la società si organizza per poi diffonderlo attraverso l’educazione,
che ha il compito di sostenere il progresso senza distruggere nulla, ma solo diffondendo la morale
positivista. Per il marxismo l’educazione serve per smantellare la falsa coscienza e per creare la
coscienza di classe, che è uno strumento di lotta.
È storicamente dimostrato che il comunismo ha sempre combattuto una battaglia nei confronti della
massoneria, che richiama molto l’ideale positivista, gli illuminati erano i detentori del sapere e
avevano l’intento di organizzare la società in modo scientifico. Invece nel marxismo la classe di élite
ha il compito di mandare al potere la classe del proletariato, dei contadini. Il modo di intendere il
capitalismo, per il positivismo è un fattore di progresso, mentre per il marxismo non è altro che il
momento culminante che poi porterà alla rivoluzione. Poco alla volta le conoscenze scientifiche e
tecnologiche si evolvono per ottenere il cambiamento, mentre per Marx ed Engels la rivoluzione è
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necessaria per il cambiamento, infatti insieme scriveranno il manifesto del partito comunista,
dimostrando che l’intellettuale deve intervenire praticamente nel cambiamento; il positivismo vede
le criticità come intoppi che si presentano naturalmente e poi si risolvono poco alla volta; quindi
riconosce che la classe operaia vive in condizioni lavorative difficili, ma essa può soltanto andare
avanti seguendo la morale positivista. Invece per il marxismo questa è un’ingiustizia, che può essere
risolta solo con la rivoluzione.
Un altro aspetto è la fragilità del FATTORE IDEOLOGICO: entrambe presentano questo limite, questa
criticità, si configurano come delle ideologie, portano con sé stesse un impianto ideologico.
Entrambe ritengono assolutamente vera e incontrovertibile la lettura della storia della società che
è funzionale rispetto ai loro programmi; la loro filosofia della storia è inerente al fattore ideologico.
Dal punto di vista positivista non è possibile discutere se non si mette in discussione la loro
interpretazione della storia, è sicuramente vero, non è possibile controbattere e discutere su questo
aspetto perché un positivista direbbe che, se si critica la lori visione, si è in uno stadio del sapere
superato; invece non si può mettere in discussione questo aspetto con un marxista, perché si viene
considerati o come un nemico del popolo, quindi un intellettuale organico, oppure come un
individuo immerso nella falsa coscienza. Sono entrambi impianti teorici che si basano sulla
metafisica, cioè intendono la visione della storia come un dogma indiscutibile.
Dopo che Kant scrisse la “Critica alla Ragion Pura” (1781) testo molto complesso per poter essere
compreso, per renderlo più comprensibile scrisse un compendio (“Prolegomeni ad ogni metafisica
futura che vorrà presentarsi come scienza”1783) in cui scrisse in modo più semplice quello che
voleva dire nella Critica alla Ragion Pura, in cui spiega ciò che intellettualmente, come scienza,
possiamo accettare e cosa no; in parole semplici non è possibile spacciare la metafisica come scienza
perché ci sono alcune condizioni per il nostro intelletto, per la nostra Ragione Pura, da soddisfare
perché delle nozioni possano essere accettate come tali. Quindi per Kant la legge dei tre stadi di
Comte del Positivismo è considerata come legge scientifica e il marxismo definisce la filosofia della
storia della lotta di classe come nozione scientifica, in realtà sono concetti metafisici che
scientificamente non possono essere accettati, ma sono dei racconti.
Vedremo come sociologi a cavallo tra 800/900 abbandonarono completamente la filosofia della
storia perché positivismo e marxismo si basano sul romanticismo animato, sull’ottimismo che porta
con sé un fattore di fatica, di impegno: per il positivismo le criticità sono risolte poco alla volta e per
il marxismo grazie alla rivoluzione, ma in entrambi i casi c’è un risvolto ottimistico della storia.
 Quindi questo fattore ideologico caratterizza entrambi le correnti.
Un altro aspetto di confronto è il modo di approcciarsi alla RELIGIONE, che è un elemento di
incompatibilità con i loro programmi. Il positivismo non ha più bisogno della religione e ritiene che
i residui filosofico-teologici siano destinati a scomparire con il consolidamento della società
positivista, quindi bisogna investire energie non nel suo smantellamento, ma nel rafforzamento
della morale positivista; per il marxismo la religione è una forma di alienazione, è infatti vista come
uno dei nemici del popolo, questa infatti va combattuta pesantemente. La religione, secondo il
marxismo è sempre stato uno strumento nelle mani della classe al potere e la ricerca dell’ignoto è
indotta dal processo educativo.
Però va detto che la religione svolge un importante funzione sociale per i positivisti, la morale
positivista deve essere seguita come la morale religiosa nel passato, la fede di fondo deve
permettere alle masse di seguire la casta sacerdotale positivista degli scienziati. Una volta che
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verranno assimilate le conoscenze positive, non si avrà più bisogno delle conoscenze religiose 
attenzione perché non si tratta di scegliere tra ateismo e religione. Nel passato sono state
importanti, ora non più. L’umanità si è fatta religiosa, ma non è un aspetto intrinseco ad essa.
Un aspetto discende direttamente dalla concezione della storia come percorso progressivo
inevitabile e irreversibile dell'umanità verso una meta ultima. Essendo per l'appunto l'Umanità la
protagonista di questo percorso, ecco che sia il positivismo sia il marxismo hanno una tensione
planetaria e solo provvisoriamente nazionale, sebbene con delle differenze. In ogni caso la società
positivista ideale è una società globale cosmopolita, mentre la società comunista sarà veramente
realizzata quando il comunismo si sarà affermato in tutto il mondo, come esito della rivoluzione
totale alla quale il marxismo inneggia fin da subito rivelando il proprio internazionalismo. La cosa
interessante di questo punto sta nel fatto che quello che per il positivismo è un aspetto saliente
della società positivista ideale, per il marxismo è la premessa della rivoluzione totale: l'espansione
su scala planetaria della società industriale capitalista. Quella positivista è la società che scaturisce
anche dall'affermazione del capitalismo su scala globale; quella comunista è invece la società che
scaturisce, attraverso la rivoluzione totale, proprio dalla distruzione del capitalismo giunto alla sua
massima affermazione, come scontro finale degli opposti. In ogni caso, l'aspetto qui evidenziato,
anticipa il tema della globalizzazione, rivelando come esso, in realtà, fosse inscritto nei programmi
di modernizzazione fin dalle loro prime elaborazioni formulate nell'Ottocento.
Un altro aspetto riguarda quello che potremmo chiamare il rapporto tra storicismo utopico ed esito
totalitario dell'ordine sociale e politico che caratterizza i programmi di modernizzazione, sia del
positivismo sia del marxismo. Con l'espressione “storicismo utopico” si intende qui la idealizzazione
di una futura società perfetta, alla quale si approderebbe in forza dell'inevitabile e irreversibile
dispiegarsi di una legge della storia. Ora, il nesso con l'esito totalitario può essere semplificato come
segue: essendo questa meta per l'appunto utopica, essa non accade mai nei termini in cui è stata
elaborata teoricamente, per il fatto che la presunta legge della storia, in realtà, non riesce a venire
a capo dell'imprevedibile contingenza storica, dimostrandosi così inesorabilmente falsa. Siccome,
però, la realizzazione di quella utopia è considerata l'unico possibile bene supremo per la società,
ecco che le forze storiche che presiedono a quel programma di modernizzazione si sentono
autorizzate a forzare la mano, organizzando un apparato autoritario capace di imporre con la forza
ciò che, nelle attese, si sarebbe dovuto realizzare in modo pressoché automatico. Il risultato è per
l'appunto un regime politico-ideologico totalitario. Per quanto riguarda il marxismo, i termini di
questo rapporto si sono manifestati in modo evidente sul piano storico-empirico, mentre sul piano
teoretico essi sono stati illustrati, tra gli altri, dallo stesso filosofo neo-illuminista Karl R. Popper. Per
quanto riguarda il positivismo, invece possiamo ricondurlo a due indicazioni telegrafiche:
A. Abbiamo detto che nel positivismo il capitalismo viene accolto a pieno titolo come
realizzazione storica della società industriale (questa, peraltro, è una delle ragioni per la
quale Marx disprezzava Comte).
B. Il capitalismo afferma sul piano economico (nella specie del liberismo) il principio liberale, il
quale trova nella democrazia la sua espressione sul piano politico. Abbiamo quindi che la
sintesi capitalismo/democrazia prende forma come assetto storico della società positivista
e del suo programma di modernizzazione.
Infatti un argomento fondamentale è l’interpretazione delle realtà sociali in condizioni di tipo
DEMOCRATICO. Lo Stato Democratico è un altro grande apparato; marxismo e positivismo lavorano

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basandosi su una società industriale legata al concetto di modernità (Comte scienza e tecnologia,
Spencer economia, Marx rivoluzione), abbiamo visto rivoluzioni politiche (francese e americana) e
economica (inglese). Per capire quale sia l’importanza anche dell’aspetto democratico dobbiamo
fare un passo indietro poiché sono concetti ancora attualissimi e alcuni pensatori hanno subito
notato questi aspetti sul nascere.
A tal proposito citiamo Alexis de Tocqueville (1805 -1859) che studia a fondo la democrazia nel
momento in cui stava nascendo; la sociologia, ribadiamo, ha come oggetto lo studio della questione
educativa in relazione agli apparati della società moderna che sono in particolare il capitalismo e lo
stato democratico, ossia lo stato nazionale inteso come laico e nella sua versione democratica. La
democrazia, come dice De Tocqueville è soprattutto un’idea e solo dopo può essere applicata allo
Stato che può essere democratico e non democratico. I programmi moderni sono stati elaborati
prevedono diverse configurazioni: ad esempio quello Comunista prevede lo stato comunista mentre
quello Fascista totalitario, ma non democratico. Fortissima concezione dello Stato moderno
democratico, ma che non si configura in senso democratico.
Gli stati liberal-democratici (usciti dalla rivoluzione americana) o liberal-repubblicani (usciti dalla
rivoluzione francese) sono di carattere più democratico; ad esempio lo stato liberal-repubblicano
francese intende la democrazia in un certo modo e riconosce ai cittadini dei gradi relativamente
bassi di libertà; invece lo stato liberal-repubblicano american, riconosce massima libertà ai cittadini,
però, garantendo le condizioni ottimali del libero mercato, lo Sato americano si pone in una
posizione ambigua rispetto al potere economico e rischia di esserne fagocitato.

TOCQUEVILLE
Tocqueville si occupa di una questione delicata che insieme alla società industriale capitalistica
rappresenta un gigantesco elemento di novità del mondo occidentale moderno a cavallo tra ‘700 e
‘800, come conseguenza delle due rivoluzioni: la rivoluzione americana (fine ‘700) e la rivoluzione
francese nel 1789.
In realtà Tocqueville era un aristocratico francese, apparteneva alla nobiltà francese, tuttavia egli
riteneva che il principio democratico fosse inesorabilmente destinato ad alternarsi e a prendere il
posto del principio aristocratico come principio regolatore dell’ordine sociale e politico. Quindi lui
era un aristocratico che ha voluto dedicarsi agli studi in particolare di filosofia politica.
Secondo la sua opinione il principio democratico è destinato inesorabilmente a prendere il posto
del principio aristocratico, come principio ordinatore o regolatore dell’ordine sociale e politico per
ragioni strettamente legate alla formazione della società moderna, lui dice che la società moderna
si sta configurando in modo tale per cui il principio democratico si alternerà, però in che cosa
consiste questo principio democratico e perché è inevitabile che si alterni?
Il principio democratico, dice Tocqueville, è il principio dell’uguaglianza, secondo il quale tutti gli
esseri umani hanno pari dignità e quindi sono uguali davanti a Dio e davanti alla legge. Però le
circostanze storiche dei secoli precedenti erano tali per cui questo principio non poteva affermarsi
come principio regolatore dell’ordine sociale, i tempi non erano maturi perché ciò avvenisse, mentre
il mondo moderno (le società europee), grazie al processo di modernizzazione, si sta configurando
in modo tale per cui le condizioni dell’affermazione del principio democratico si stanno
effettivamente realizzando. Queste condizioni sono ad esempio: l’ascesa della borghesia e,
strettamente collegata, la crescita della società industriale. Una società basata sullo scambio
economico, sul commercio, sulla grande produzione, una società che diventa sempre più dinamica,
la società moderna, con la crisi della scienza e della tecnica, ha a sua volta alimentato la nascita del
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capitalismo e della società industriale. La quale è uno dei principali fattori che ha impresso un
dinamismo alla società (cioè ha messo in movimento la società), perché il capitalismo si basa sullo
scambio di merci, quindi sul movimento dei lavoratori, sul movimento delle materie prime, sulla
stipula di contratti e di accordi. La società diventa sempre più dinamica, sempre più rapida, e queste
sono condizioni favorevoli ad un generalizzato riconoscimento della imprescindibile importanza del
principio di uguaglianza.
Il principio aristocratico è coerente, si sposa bene, con una società stabile, ferma, stratificata in
modo semplice: è chiaro e immodificabile, troviamo l’aristocrazia da una parte e il popolo dall’altra.
Si appartiene all’uno o all’altra classe, facente parte di questi strati sociali per nascita: se nasci in
una famiglia aristocratica farai sempre parte dell’aristocrazia, mentre se nasci da una famiglia del
popolo farai sempre parte del popolo. Persino il clero, parlando della società francese nella quale il
cattolicesimo è la religione più diffusa e naturalmente la chiesa cattolica aveva un’importanza
sociale rilevante, era organizzato secondo il principio aristocratico, cioè coloro che rivestivano e
svolgevano delle funzioni di responsabilità nel clero (i vescovi, i cardinali) erano tutti membri
dell’aristocrazia, ovvero la classe dirigente del clero poteva essere tale, solo in quanto apparteneva
all’aristocrazia. Uno del popolo poteva entrare a far parte del clero, ma poteva solo essere un
semplice prete o una semplice suora, non poteva diventare un vescovo, un cardinale, una madre
badessa o un padre superiore.
 Il principio aristocratico dominava anche la società ecclesiastica  era proprio il vero
principio regolatore della società.
Lo stesso nell’esercito: non potevi diventare un ufficiale se non appartenevi all’aristocrazia, e così
per tutto.
Quindi è una società ingessata, dove la mobilità sociale (cioè il passaggio da una classe sociale più
alta a una classe sociale più bassa o viceversa) non c’era.
Poco alla volta però prende piede la classe borghese che è legata al commercio, alla vita d’impresa,
che viene spinta con forza dall’avvento del capitalismo, questa classe borghese si ingrandisce e
diventa sempre più ricca grazie l’avvento della società industriale, questo accade soprattutto all’alta
borghesia, che diventa ricchissima. Sostanzialmente l’aristocratico vive grazie alla rendita delle sue
terre, che sono coltivate dal popolo. Il popolo, che coltiva la terra del nobile, riceve in cambio vitto
e alloggio e può tenere per sé una piccola parte del raccolto, quella che gli serve a sopravvivere.
Il capitalismo trasforma poco alla volta la distribuzione sociale della ricchezza. Tocqueville ritiene
che queste trasformazioni sociali abbiano reso il principio democratico ormai irresistibile, cioè non
si può più arginare  ciò vuol dire che i tempi sono maturi affinché il principio democratico prenda
il posto del principio aristocratico, come principio regolatore dell’ordine sociale moderno.
Ricordiamo che il principio democratico è il principio dell’uguaglianza, non è un principio liberale.
 Noi siamo abituati a pensare che democrazia = libertà, ma quello è il principio liberale.
Perché il capitalismo scade nel principio aristocratico? Perché nel capitalismo si può diventare ricchi
anche non facendo parte dell’aristocrazia, puoi diventare una persona importante dell’alta società
anche senza appartenere alla nobiltà e quindi occupare posti di responsabilità e di governo anche
non appartenendo all’aristocrazia, l’importante è quanto ti dai da fare, quanto ti impegni, quanto
sei determinato e volenteroso: contano solo le tue qualità e i tuoi talenti, non il tuo ceto sociale.
L’ascesa della borghesia dimostra che è ragionevole e giusto pensare che la ricchezza e il successo
siano il frutto e la conseguenza dell’impegno e del lavoro, anziché un diritto di nascita.
Quindi tutto questo dinamismo che viene introdotto nella società da una serie di fattori, tra cui in
particolare il capitalismo e l’ascesa della classe borghese, dimostra in realtà che non ci sono
differenze tra aristocratici e non aristocratici, dimostra che ci sono delle menti brillanti che possono

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avere umili origini. Quindi Tocqueville era convinto che in Europa ormai i tempi fossero maturi
perché l’aristocrazia e la nobiltà riconoscesse questo e provvedesse a riorganizzare la società in
senso democratico. Secondo Tocqueville quindi la classe dirigente dell’epoca avrebbe da sola
compreso che la società si sta trasformando radicalmente, anche per ragioni di convenienza sarebbe
stato opportuno riordinare la società in modo meno aderente al principio aristocratico anche per
evitare rivolte e sommosse.
Secondo lui infatti, il principio democratico, si sarebbe affermato in Francia anche senza la
Rivoluzione francese (la rivoluzione francese è consistita sostanzialmente nell’abbattimento
dell’antico regime, basato sul principio aristocratico che ferma la società su un rigido principio di
disuguaglianza: aristocrazia in alto e popolo in basso. Disuguaglianza che non può essere
modificata).
La rivoluzione francese sovverte, attraverso la violenza, l’ordine sociale aristocratico e instaura al
suo posto la Repubblica, cioè una versione particolare dell’ordine democratico. Però secondo
Tocqueville, questo costituisce una forzatura, è stato secondo lui un errore per il quale si potrebbero
pagare care conseguenze perché la decisione di scardinare con la violenza della Rivoluzione l’ordine
monarchico (antico regime basato sull’aristocrazia) ha collegato l’avvento della democrazia con
l’azione violenza, cioè in qualche modo ha legittimato la violenza in quanto strumento per
l’instaurazione della democrazia. E quindi in questo modo la violenza diventa anche uno strumento
legittimo per il mantenimento della democrazia. Ed è quello che è successo in Francia dopo la
Rivoluzione, cioè c’è stato il terrore, perché un intero apparato di regolazione sociale viene
smantellato attraverso l’azione violenta e c’è il rischio che coloro che sono stati spodestati, cioè
coloro che tenevano in mano l’ordine sociale, si riorganizzino per restaurare l’antico regime, quindi
diano vita ad un movimento reazionario che dia vita alla Restaurazione. Per evitare questo bisogna
mantenere un regime di violenza e di terrore e questo si traduce in una limitazione anche feroce
delle libertà, ad esempio della libertà di espressione, di opinione, di religione, di movimento e di
riunione.
Secondo Tocqueville questa è stata una scelta sbagliata, dalle conseguenze gravi, perché ha
giustificato l’azione violenta come utile strumento di mantenimento del regime democratico.
Questa è tipica dell’ideologia giacobina. Infatti Tocqueville dice che la democrazia e il principio
democratico si sarebbero affermati anche senza la violenza, ci avrebbe messo un po’ più di tempo
ma la democrazia che ne sarebbe sorta sarebbe stata una democrazia diversa da quella che si è
instaurata attraverso la Rivoluzione. Quest’ultima ha fatto sì che la democrazia francese portasse
con sé il germe della violenza e ha fatto sì che il principio democratico venisse declinato in
contrapposizione con il principio liberale, cioè con la libertà.
Quindi lui dice che questo non è la migliore delle democrazie possibili poichè una democrazia
desiderabile deve sposarsi con il principio liberale. Questa è una democrazia che porta con sé il
germe della tirannia, cioè che può facilmente degenerare in senso tirannico, perché ha familiarità e
confidenza e stima della violenza, ci fa ricorso facilmente nei confronti di chiunque venga percepito
come una minaccia per i valori della repubblica. E difatti i diritti dei cittadini sono diritti stabiliti dallo
Stato, cioè tu hai dei diritti in quanto cittadino della Repubblica, non in quanto appartenente al
genere umano. Quindi è lo Stato che decide quali sono i diritti umani. Mentre secondo Tocqueville
il compito dello Stato non è stabilire i diritti ma è quello di riconoscerli in quanto diritti naturali, che
appartengono all’essere umano in quanto essere umano, a prescindere dal fatto che tu sia cittadino
o non cittadino.
Nello Stato Repubblicano negli spazi pubblici, essendo proprietà dello Stato, possono essere
veicolati soltanto i valori della Repubblica, quindi possono liberamente esprimersi soltanto coloro
che si fanno veicoli di questi valori o comunque tutti coloro che non esprimono, implicitamente o
esplicitamente, contrarietà ai valori della Repubblica. Nel caso in cui ci fosse qualcuno che nella sfera
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pubblica minacciasse direttamente o indirettamente, volontariamente o involontariamente i valori
della repubblica come unici ed esclusivi, costui può essere sottoposto a un regime di limitazione
della libertà di espressione e lo Stato ha il diritto e il dovere di censurarlo. Questa è la ragione per
cui in Francia, dove vi è una grande parte della popolazione musulmana, vi è un dibattito sul velo,
cioè le donne islamiche possono portare il velo negli spazi pubblici? Questo secondo i settori più
rigorosi della laicità non è possibile, deve essere vietato. Perché il velo esprime implicitamente
l’appartenenza ad una comunità prioritaria dei musulmani e secondariamente alla comunità della
Repubblica. Se i valori della Repubblica fossero prioritari per me non metterei il velo. Stessa cosa
per le suore.
Quindi La Rivoluzione ha scardinato il principio aristocratico ma lo ha fatto instaurando anche il
germe della tirannide che è sempre lì latente e può emergere a seconda delle situazioni e
manifestarsi. Invece Tocqueville dice che se si fosse aspettato ci sarebbe voluto più tempo ma ci
sarebbe stata una trasformazione riformista e non rivoluzionaria, graduale, facendo ricorso alla
violenza solo in estrema ratio, quando strettamente necessario, dando la precedenza ad altri
strumenti. Invece così la democrazia francese guarda alla libertà delle persone con sospetto e ci
vede sempre una potenziale minaccia ai valori repubblicani.
La democrazia, per ragioni di contingenza storica, cioè per come i fatti negli eventi storici si sono
verificati, ha preso una piega per cui porta sempre con sé il rischio di degenerare in senso tirannico.
Anche se al tempo stesso, lui dice, che la democrazia è senza alcun dubbio ciò che più di desiderabile
possiamo ottenere.
Eisenstadt (grande sociologo del ‘900 di origine ebraica) importante studioso della modernità e dei
processi di modernizzazione; ha messo bene in evidenza come uno dei capisaldi dell’ideologia
giacobina che animava i rivoluzionari consiste non soltanto nella giustificazione o legittimazione
della violenza, ma anche nella sua glorificazione. La violenza non è soltanto uno strumento
necessario, ma diventa quasi un valore, perché ci permette di far fare un salto qualitativo immediato
alla società, portandola da un ordine sociale aristocratico a un ordine sociale democratico
Talmon è uno storico sociologo della seconda metà del ‘900 e negli anni ‘70 ha pubblicato un’opera
famosissima dal titolo eclatante, tradotta in tante lingue: “Le origini della democrazia totalitaria”;
dove riprende le analisi di Tocqueville. Lui scrive questo libro dopo i tragici eventi dell’inizio del ‘900
(ascesa del fascismo in Europa e del comunismo e in particolare del nazionalsocialismo tedesco) il
termine tirannia è un termine della filosofia politica classica antica e che viene poi sostituito dal
sostantivo totalitarismo e dall’aggettivo totalitario; quindi tirannia diventa totalitarismo e tirannico
diventa totalitario nella seconda metà del ‘900.
L’intuizione che fa Talmon riprendendo quella di Tocqueville è quella di far vedere come il
totalitarismo si sia sicuramente presentato attraverso l’Unione Sovietica e in particolare nella sua
fase dello stalinismo e si sia presentato senz’altro nella sua massima forma nel nazismo tedesco, ma
che il totalitarismo è un fenomeno che non è circoscritto ai regimi totalitari come i fascismi e i
comunismi, è un fenomeno che può configurarsi in modo più sofisticato, perché nascosto, anche nei
regimi democratici. Quindi la democrazia totalitaria è più difficile da riconoscere perché si nasconde
dietro le mentite spoglie della democrazia.
Altri autori molto importanti che hanno contribuito a questi studi sono sicuramente quelli della
Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse, Habermas).
Negli stessi termini si è espresso anche un altro studioso contemporaneo di Talmon, Christopher
Lasch (statunitense), che ha studiato vari aspetti della società americana dal secondo dopoguerra,
è uno dei massimi intellettuali statunitensi della seconda metà del ‘900. Tra le sue varie opere una
di queste si intitola “La ribellione delle èlite. Il tradimento della democrazia.”.

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Lo studio di Tocqueville sulla Rivoluzione francese si intitola “L’antico regime e la rivoluzione” è uno
studio epocale, uno dei grandi classici della storia di geopolitica e sociologia. L’anno della prima
edizione è il 1856, in quegli anni c’è l’idea ormai di farla finita con l’antico regime, con la monarchia
assoluta, il diritto divino, ecc, questa cosa non è più compatibile con la società moderna. Le forze
giacobine sono forze profondamente antimonarchiche e anticattoliche che vedono appunto
nell’aristocrazia e nella chiesa cattolica una zavorra che limita la modernizzazione;
però c’è anche una colpa obiettiva dell’aristocrazia francese, perché questi non si sono resi conto di
quello che stava succedendo. Erano chiusi nelle loro regge a fare la loro vita di sfarzi e di vizi e non
si sono accorti della sofferenza del popolo e delle profonde trasformazioni cui andava incontro la
società e quindi sono rimasti inermi, fermi a continuare nelle loro cose e non hanno saputo prendere
nessuna iniziativa. Quando si sono resi conto della situazione hanno provato a prendere qualche
iniziativa ma ormai era tardi; per questo si parla di contingenza storica, perché c’è stata un’ingenuità
e sprovvedutezza dell’aristocrazia francese che non è stata in grado di rendersi conto di quello che
succedeva e questo è tipico dell’antico regime: pensare che le cose sono sempre state così e saranno
sempre così, è una forma mentis.
Tocqueville è famosissimo anche per un’altra opera “La democrazia in America”, opera che lo ha
reso celebre in tutto il mondo. Mentre l’opera “L’antico regime e la rivoluzione” è un’opera più per
gli studiosi di professione e per gli addetti ai lavori, l’opera “La democrazia in America” è diventata
famosissima. Ce ne sono due edizioni una pubblicata nel 1840 e una nel 1845, erano due volumi
distinti. Nel primo libro Tocqueville mette in luce gli aspetti positivi della società americana e della
democrazia americana, che lui dice è qualcosa di strepitoso, gli Stati Uniti d’America sono un altro
mondo, sono una società incredibile; per noi europei andare in America significa proprio entrare in
un altro mondo ed è strabiliante in senso positivo. Nel secondo volume lui mette invece in luce gli
aspetti negativi, cioè lui anche nella democrazia americana intravede degli elementi problematici
che possono crescere e compromettere ciò che c’è di buono nell’incredibile democrazia americana.
La sua non è una critica alla democrazia, sta semplicemente mettendo in evidenza le criticità, allo
scopo di mettere in guardia, e di spiegare perché bisogna prendersi cura della democrazia, che è
qualcosa di bellissimo e molto desiderabile, perché afferma un principio che è quello ugualitario che
corrisponde alla nostra ragione pratica, è uno dei valori eterni nei quali la nostra razionalità morale
si riconosce.
Quindi la democrazia è qualcosa di buono ma va custodita, va preservata, ciascuno deve fare la
propria parte per prendersene cura, perché è molto delicata e rischia facilmente di rompersi.
Il principio ugualitario è un principio che non piace ai potenti e quindi la democrazia è qualcosa che
non piace ai potenti. Loro preferiscono un ordinamento sociale e politico che normalizzi e consolidi
e faccia aumentare le quote di ricchezza, potere e prestigio a coloro che già ce l’hanno
(disuguaglianza), mentre la democrazia è ordinata all’uguaglianza, non solo l’uguaglianza come
principio filosofico-morale o filosofico-antropologico ma anche un principio di ordine sociale,
politico ed economico. Questo in sostanza vuol dire che ad esempio lo Stato democratico fa in modo
che coloro che hanno di più paghino più tasse, le tasse vengono pagate in proporzione alla ricchezza.
Naturalmente chi ha la ricchezza, dice Tocqueville, si organizzerà perché ciò non avvenga.
Quindi nemico il della democrazia in Francia, lui dice, è lo Stato repubblicano con il suo insieme di
valori. E il nemico della democrazia in America è invece il capitalismo.
Tocqueville conosceva la società francese perché era cresciuto lì mentre la società americana lui la
conobbe abbastanza approfonditamente perché venne inviato dal governo francese in America per
studiarne il sistema carcerario. E tra le cose negative della società americana che lo colpirono di più
vi fu la totale mancanza di scrupoli con cui i grandi capitalisti americani perseguono i loro obiettivi,
cioè seguono i loro obiettivi con una determinazione totalmente priva di scrupoli morali, pronti a
tutto pur di raggiungere questi obiettivi di ricchezza.
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Questa bramosia di denaro e di ricchezza, considerando la potenza di questi apparati, costituisce
una minaccia per la democrazia americana. Il grande capitale finanziario cercherà di prendere in
mano le redini dello stato.
Un altro pericolo che lui vede in America è il conformismo. Che è un concetto collegato al concetto
di Tocqueville della tirannia della maggioranza. Il conformismo è la tendenza a pensare come la
pensa la maggioranza, tendenza a conformare i nostri pensieri e i nostri comportamenti, i nostri
giudizi, le nostre opinioni a quello che pensa la maggioranza o a quello che noi pensiamo che la
maggioranza pensi. Questo fenomeno è molto diffuso nella società americana.
Il conformismo è un pericolo per la democrazia perché la democrazia ha bisogno del confronto, delle
discussioni, del pluralismo delle opinioni, non perché non esista la verità, ma perché possono esserci
diversi punti di vista in base ai propri valori. La democrazia pluralista è una democrazia dove ci si
confronta e si cerca insieme un punto d’incontro, la democrazia non va d’accordo con il
conformismo, ma con il pluralismo e la libera discussione nel rispetto reciproco.
Caratteristiche della società americana:
Tocqueville visita gli USA e rimane impressionato da questa società, perchè è veramente un “Nuovo
Mondo”. Ma, effettivamente, in questo viaggio attraverso il quale visita i penitenziari statunitensi,
si trova di fronte un mondo completamente nuovo rispetto al Vecchio Continente.

Ci sono alcuni aspetti portanti di questa società. Egli dice che la società americana è qualcosa di
clamorosamente diverso, colpisce e lascia esterrefatti, sembra di sbarcare su un altro pianeta.
● Aspetti positivi:
Viene colpito da diversi aspetti, in primo luogo dal dinamismo della società americana. È una società
in costante movimento, sia nel senso che la vita quotidiana è più frenetica rispetto all’Europa 
infatti c’è un’evidente preoccupazione a non perdere tempo (che verrà poi ripreso da Weber che il
non sprecare tempo è uno dei requisiti fondamentali nella società); ma anche più in generale,
l’intera società americana ha fretta di espandersi, di conquistare nuove terre (verso ovest) e di
modernizzare tutto ciò che è allo stato naturale (va trasformato). C’è una frenesia, un dinamismo
poderoso. Dinamismo inteso anche come trasformazione sociale, processo di mutamento sociale.
Questo dinamismo è ciò che più differenzia la società americana da quella francese.

Un altro aspetto che lo colpisce positivamente è l’associazionismo: i singoli cittadini si organizzano


in associazioni per risolvere problemi comuni. C’è molto questo aspetto nella società americana. Le
persone hanno una forte tendenza a fidarsi degli altri, a interagire, stabilire contatti, aiutarsi a
risolvere problemi che riguardano tutti. Abbiamo un problema e ciaiutiamo per risolverlo; vado alla
ricerca di qualcuno che ha il mio stesso problema e gli propongo di associarsi a me per risolverlo.

Da un lato c’è l’associazionismo, dall’altro c’è il detto “aiutati che Dio ti aiuta”, cioè non aspettare
che qualcun altro venga a risolverlo, non aspettare che il problema se ne vada da solo, ma affrontalo,
datti da fare, prendi l’iniziativa, organizzati e poi vedrai che la buona sorte o il buon Dio ti daranno
una mano. Tocqueville dice che gli americani hanno una mentalità intraprendente.

In contrapposizione a ciò, c’è l’individualismo. Il cittadino americano innanzitutto crede in sè stesso,


vuole avere successo, è stato educato a cercare il successo, ha forte fiducia in sè stesso. Ciò è una
caratteristica tipica dei cittadini americani: devi arrivare in alto, diventare ricco  la ricchezza
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economica è un importante indicatore di successo nella società americana.
Il tuo successo dipende innanzitutto da te, da quanto sei disposto ad impegnarti e fare sacrifici. Puoi
trovarti in situazioni favorevoli o sfavorevoli, ma in primis devi investire tempo ed energie a far
fruttare le tue capacità.
Chi non riesce ad ottenere successo è perché non ha creduto abbastanza in se stesso, quindi è giusto
che rimanga emarginato.

L’individualismo non va necessariamente contro l’associazionismo: devi innanzitutto rimboccarti le


maniche, non devi cercare di associarti a qualcuno così che egli tiri avanti anche la tua carretta. Tu
hai il tuo sogno da realizzare.
L’associazionismo è una cosa razionale rispetto all’individualismo. Può essere utile quando il
problema che ho davanti è difficile da affrontare da solo e riguarda tanti. Allora a quel punto mi
associo.

Tocqueville si chiede perché i cittadini americani siano così.


Questa intraprendenza, da dove viene? Secondo l’autore, viene da due fattori:
- Religione: principale oggetto di studio di tutta la sociologia classica, poiché è un fattore che sta
alla base della catena causale dei fenomeni. L’essere umano vive nella realtà materiale, nella
società. Però è anche vero che noi agiamo anche sulla base di ciò che pensiamo, di ciò che
riteniamo giusto. Cioè la nostra specie ha una potente capacità di riflessione. Quindi è vero che
la nostra esistenza cerchiamo di viverla in modo coerente a ciò che pensiamo. La religione
naturalmente definisce molto di questi contenuti inerenti al modo in cui noi definiamo il buono
ed il giusto. La religione fornisce un sistema di valori molto profondi, un modo di lettura della
realtà. Dal punto di vista cognitivo rimanda ad una realtà trascendente, ultraterrena. Questo
aspetto religioso è un minimo comune denominatore di tutti gli umani. Tocqueville dice che
anche nella società americana il fattore religioso gioca un ruolo decisivo.
- Libero mercato: nella società americana il liberismo economico (il capitalismo liberista) ha
conosciuto la sua massima espressione.

Questi due aspetti cooperano in qualche modo per generare il dinamismo, l’associazionismo e
l’individualismo. Hanno in comune quello che è il valore fondamentale della società americana, la
libertà individuale.
Tocqueville dice che questa libertà consiste nel poter agire in modo conforme ai principi che
l’individuo riconosce come suoi principi. La libertà è il poter agire in maniera conforme ai propri
valori.
A sua volta, il libero mercato, è il luogo ideale per realizzare la propria esistenza. La società americana
si organizza per rendere il mercato il luogo in cui l’individuo può diventare ricco. Il sogno americano
vale per tutte le classi sociali: il tuo status di nascita non determina il tuo destino, se tu vuoi e se sai
muoverti nel modo giusto, puoi diventare ricco. Il mercato permette a ciascun individuo di avere
successo.
Tocqueville dice che invece la società europea post Rivoluzione francese è controllata da uno stato
repubblicano fortemente centralizzato e burocratizzato che guarda con sospetto la libertà degli
individui (perché può essere utilizzata per dare la possibilità alle forze dell’antico regime di tentare
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la controrivoluzione). Questo stato riconosce solo i suoi valori repubblicanie guarda con sospetto la
libertà degli individui (essi vanno controllati).
La società americana invece è l’opposto: compito dello stato americano è garantire le condizioni
ideali per permettere al mercato di funzionare nel miglior modo possibile. Poi dopo ogni cittadino
se la gioca. Il mercato è un principio regolatore giusto, che distribuisce a ciascuno ciò che si merita.
Adam Smith diceva che è una mano invisibile, fa in modo che dalla sommatoria delle azioni
individuali, ciascuno impegnato nella persecuzione del proprio benessere, ne scaturisca anche un
bene più grande per tutta la società. Non è lo stato che deve costruire il bene comune, questo è un
concetto che viene dalla teologia cristiana: la divina provvidenza.
La libertà individuale implica la responsabilità delle proprie azioni: raccogli ciò che semini.
Tocqueville dice che il fattore religioso sta a monte di tutto ciò. Il capitalismo negli USA è riuscito ad
attecchire così bene grazie alla matrice teologica americana, che è cristiana protestante. È una
matrice improntata su un valore, che è la libertà religiosa. La libertà di ciascuno comincia dalla
libertà religiosa: la religione ti fornisce la visione del mondo, un sistema di valori, quindi la libertà
deve innanzitutto significare scegliere a quale religione fare riferimento, perchè da lì discende il
proprio principio di valori.
Tocqueville nota che la libertà religiosa in America è un valore centrale. Oggi questo aspetto è un po’
in declino.
La società americana è dinamica perché è basata sull’ intraprendenza ed è basata sul valore della
libertà. Ancora di più della religione.

Ma perchè la matrice teologica occupa una posizione così fondamentale?

Tocqueville dice che gli USA, prima di diventare tali, erano in buona parte colonie britanniche (ma
anche francesi e spagnole). La east cost era prevalentemente composta da colonie britanniche. È
anche la parte più avanzata. Questi possedimenti inglesi sono composti da cittadini inglesi (sudditi
della corona britannica) e molti olandesi ed irlandesi. Studiando questa realtà, Tocqueville capisce
che questi coloni erano prevalentemente membri di sette protestanti calviniste. E si chiede di nuovo
il perchè (in UK c’è più che altro l’anglicanesimo); in olanda c’era un po’ di calvinismo. Queste però
sono delle sette e, in quanto tali, non si riconoscono nella chiesa nazionale. La setta si distacca dalla
chiesa. È composta da un leader carismatico che fa un annuncio originale (nuovo) rispetto a quello
ufficiale della chiesa di riferimento. Intorno a questo leader portatore di un credo religioso, si
radunano delle persone che lo seguono. Questo nel protestantesimo è un fenomeno fisiologico,
previsto, perchè c’è l’idea che il credente interagisce con Dio senza la mediazione del clero
(individualmente, personalmente) attraverso la reinterpretazione personale della Sacra Scrittura e
la preghiera personale verso Dio. Senza la mediazione di un sacerdote. Ciascun credente si pone in
comunicazione diretta con Dio e ascolta ciò che lui ha da dirgli. Ci sono quindi anche alcuni che
ritengono che Dio abbia voluto fare a lui o a lei una rivelazione personale, gli sta chiedendo di farsi
portavoce di questa nuova particolare sfumatura del credo. Il credente deve eseguire questo
annuncio e radunare intorno a sé altre persone.
Tocqueville dice che dalla seconda metà del Cinquecento nascono molte sette (soprattutto
calviniste), soprattutto nei paesi calvinisti come l’Olanda.

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Questo fenomeno viene mal tollerato dalle Chiese centrali perchè sono chiese nazionali (e la corona
deteneva questo potere ed esercitava il controllo sul popolo anche per mezzo della religione).
Quindi un’uscita di fedeli dalla chiesa ufficiale crea un grosso problema alla Corona, perché vuol dire
perdere un forte controllo su quote crescenti del proprio popolo. Inoltre, le sette si organizzano e
diventano istituzioni: queste realtà alternative diventano un problema di obbedienza al potere
politico e diventano anche un problema economico (i seguaci finanziano le sette e non più la Chiesa
centrale). Ad esempio, i quaccheri predicano la non violenza  quanto più aumentano i quaccheri,
più aumentano i giovani che si rifiutano di fare il servizio militare. Il rifiuto della guerra è un problema
per il potere politico.
Questo fenomeno viene fortemente ostacolato tramite la persecuzione. Ad un certo punto i seguaci,
per sottrarsi alle persecuzioni, scappano dal loro Paese, si imbarcano e vanno oltreoceano a
costruire le loro sette religiose.
Tocqueville studia questi fenomeni e quindi arriva a dire che le colonie americane sono per lo più
costituite da queste persone.
Il fondatore dei quaccheri si chiamava George Fox (che rimase in Inghilterra) ed il suo più stretto
collaboratore era un autorevole giurista di nome William Penn, che andò in America. La comunità
americana dei quaccheri ruota attorno a lui. Da questa comunità prenderà il nome la Pennsylvania
(che sta per Penn). Molti stati americani erano costituiti da queste sette di matrice protestante.
 Tocqueville a questo punto ritiene spiegata la situazione e dice: è chiaro che una società composta
da persone che fuggivano dalle persecuzioni si dia come valore fondamentale la libertà religiosa.
Qualsiasi religione deve poter godere della massima libertà. Questa è la ragione secondo l’autore per
cui la libertà individuale è uno dei fondamenti assoluti della cultura americana.
Tra l’altro, in questo modo lui si spiega anche il successo del libero mercato: se c’è una religione che
predica l’intraprendenza, la fiducia in sé stessi, il sacrificio per il lavoro è proprio il calvinismo.

Weber riterrà di aver spiegato perché nel calvinismo ci sia un nesso così forte tra il lavoro ed il valore
del tempo. Il calvinismo è così attento alla serietà dello svolgimento del proprio lavoro. È attento
all’uso del denaro e del tempo. Condurre un’esistenza disciplinata.

Queste sono tutte questioni educative: formano i quadri educativi, orientano l’educazione e
configurano una società. Tocqueville si interroga e si chiede in che modo l'uguaglianza si sposa con
la libertà. Come si legano?
Si incontrano nel principio delle pari opportunità. L'uguaglianza significa pari opportunità  la
società democratica si prodiga per offrire a ciascuno le opportunità di avere successo. Questo lo fa
lo stato innanzitutto attraverso il mercato.
Riconosce la libertà religiosa e tutte le altre libertà che ne discendono. L’America vuole garantire
ciò. Grazie al libero mercato, si hanno degli individui intraprendenti.
Mentre l'uguaglianza “all’europea” significa che se tu nasci povero lo stato deve darti dei sussidi.
L’America non si preoccupa di ciò, non si pone come stato assistenzialista, deve solo darti
l’opportunità di entrare nel mercato. L’istruzione ha il compito di mettere i cittadini nelle condizioni
di giocarsela al meglio nel libero mercato. Quindi deve insegnare certi valori è competenze.

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ASPETTI CRITICI DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA: sostanzialmente consistono nel CONFORMISMO
→ attitudine, atteggiamento del popolo americano e da questo può scaturire un pericolo per il
mondo. Si intende una conformità di opinioni, ovvero che tutti abbiano la stessa opinione su
questioni inerenti la vita pubblica e politica. È un conformismo delle opinioni. Si tende a pensarla
allo stesso modo, ogni singolo individuo quando si tratta di farsi un’idea rispetto alle questioni
intorno alle quali si articola il dibattito politico, tende facilmente a convergere verso l’opinione
dominante. Questo è un grande pericolo per la democrazia, che ha bisogno di cittadini attenti e
disposti ad assumersi le proprie responsabilità politiche. Tocqueville afferma che la democrazia
funziona se si hanno cittadini attivi e non passivi, cittadini che si danno da fare anche come
imprenditori. Purtroppo però osservando la società americana l’atteggiamento dominante verso le
responsabilità politiche tende non all’intraprendenza, ma alla conformazione nelle opinioni, a ciò
che viene proposto dalla pubblicistica. Tendono a delegare alla stampa la formazione delle proprie
opinioni, accontentano il popolo su ciò che vuole sentirsi dire.
Gli americani in quanto cittadini hanno questa tendenza a lasciarsi portare dall’opinione generale e
ad essere passivi nei confronti delle responsabilità politiche perché secondo Tocqueville investono
energie in attività lavorative e nel successo e non hanno tempo nè interesse ed energie per
assumere responsabilmente lo svolgimento dei propri doveri come cittadini democratici. La vera
custodia della democrazia è quindi nelle mani della cittadinanza.
Quindi le istituzioni dello Stato rimangono incustodite, sono nelle mani di coloro che le
amministrano, minoranze come parlamentari, ministri, governatori… quanto più il popolo è
distratto dai suoi doveri, tanto più il popolo lascia non custodita la burocrazia democratica e così i
grandi interessi del denaro, del capitale, cercheranno di sostituirsi al popolo. Perché sta tutto negli
interessi dei grandi proprietari del capitalismo di avere uno stato che asseconda i loro desideri.
Tocqueville si rende conto del gigantesco potere che è nelle mani dei grandi apparati del
capitalismo.
Quello che Tocqueville teme, è legato ad uno stato democratico che pur mantenendo l’apparenza
nelle sue istituzioni e nelle procedure, va a configurarsi come una tirannia. Perché l’unico modo che
permette l’esistenza della democrazia è la libertà e la sovranità del popolo, con il suo principio di
uguaglianza astratto che viene concretamente espresso attraverso la sovranità del popolo.
Quest’ultimo deve controllare cosa fanno i politici, saper vedere dietro le quinte le decisioni
politiche. Nota queste dinamiche nell’America della prima metà dell’800. Dal punto di vista del
potere sociale, che è una sorta di sinonimo del potere reale, il potere e il controllo che esercitano
l’élite sul popolo attraverso gli apparati dello Stato, esso controlla il mercato e i mezzi di produzione
di massa. È razionale pensare che chi ha l’interesse di intervenire in questo modo intervenga in
questo determinato modo; e se ha la possibilità di farlo, è molto probabile che lo faccia. L’opinione
pubblica usa un linguaggio semplice e comprensibile per far passare azioni volte a garantire gli
interessi del popolo che in realtà sono volte a garantire gli interessi della minoranza.
Raymind Boudon ha condotto uno studio su Tocqueville e secondo lui la TIRANNIA DELLA
MAGGIORANZA è basata su tre processi:
1. TIRANNIA DELLE MINORANZE
2. TIRANNIA DEGLI ESPERTI Esso è noto come teorema di
Tocqueville
3. TIRANNIA DELL’OPINIONE GENERALE
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La tirannia della maggioranza coincide con la tirannia dell’opinione generale, ovvero il fenomeno
per cui si fa in modo che il singolo individuo si convinca che su un certo problema di rilevanza
pubblica e politica la grande maggioranza la pensi nello stesso modo. È il fenomeno per cui il potere
sociale usando i mezzi di cui dispone riesce a fare in modo che il singolo cittadino si convinca del
fatto che su una serie di questioni politicamente sensibili la grande maggioranza degli altri cittadini
come lui, la pensi nello stesso modo e quando dovrà esprimere la sua opinione egli tenderà a
conformarsi all’opinione della maggioranza. Se non la pensa così è perché ha paura di esporsi, di
subire critiche, se si è invece lasciato convincere aderirà, ma aderirà anche nel primo caso. Quindi
aderisce a prescindere, anche se di fatto non si tratta dell’opinione della maggioranza.
C’è questa pressione sociale sui singoli cittadini che li porta a conformarsi e questa è un’azione
condotta dalle minoranze attive, che coordinano la sovrastruttura ideologica e vengono chiamate
gruppi di pressione. Questa cosa è fisiologica, il problema non è impedire a queste minoranze di
esercitare queste azioni, ma se fosse presente un popolo attento e attivo questo problema potrebbe
essere arginato.
La tirannia degli esperti è uno dei modi attraverso cui i mass media operano in maniera tirannica.
Quando una persona non ha avuto il tempo, le energie e le competenze per seguire la politica perché
preso da altre cose, appena arriva il momento del voto e di espressione politica chiede un parere,
tende ad affidarsi a chi ritiene che ne sa di più.
La gente che non si è fatta ancora una propria opinione tenderà a conformarsi all’opinione che
l’esperto ha dato di quella data questione.
Per far in modo che i cittadini si comportino in modo responsabile sono presenti due anticorpi.
1. LA LIBERA MAGISTRATURA
2. LA LIBERA STAMPA: giornali e giornalisti che facciano quello che si chiama “giornalismo di
inchieste” volto a mettere in luce quelle dinamiche che si verificano dietro le quinte. Quanto
più è libera la stampa, ovvero composta da giornalisti liberi, tanto più la democrazia si rimette
in salute, perché i cittadini saranno informati delle strategie che vengono messe in atto.
Sono entrambe composte da esseri umani che possono quindi essere corrotti o minacciati. La libera
stampa e la libera magistratura sono minoranze facilmente incontrollate, il popolo invece è in
maggioranza. Quindi il rimedio è l’associazionismo, i cittadini che si mettono insieme mossi dal
desiderio di esercitare responsabilmente i loro doveri politici.
Anche oggi ci sono provvedimenti della magistratura che cominciano in seguito allo scoop di un
giornale.
Il tema della costruzione dell’opinione pubblica è molto caro alla scuola di Francoforte, come
Adorno Horkeimer, Eric Fromm, Marcuse ed Habermas.

DURKHEIM
Su Durkheim, il suo contributo è molto importante. È un positivista ma non classico, bensì è un
positivista maturo, perché nasce nel 1858 e muore nel 1917. Inoltre, è insieme a Weber in Germania,
il sociologo che riesce a fare della sociologia una rigorosa disciplina accademica, ovvero che entra a
fare parte delle università. È il primo sociologo che studia appositamente il tema dell’educazione
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come sociologia dell’educazione. Durkheim parla proprio della sociologia dell’educazione ed
evidenzia l’aspetto educativo nella società moderna ed essa l’espressione della cultura moderna.
Lui vive in un periodo caratterizzato dall’ottimismo dell’ottimismo che caratterizzava la prima metà
dell’800, come eredità della seconda metà del 700 con l’Illuminismo. L’800 è il secolo del
Romanticismo, c’è un primo Romanticismo quello della prima metà dell’800, che si lascia irradiare
dall’ottimismo dell’illuminismo che immagina il futuro radioso dell’umanità. Le sociologie della
prima metà dell’800 sono impregnate su una concezione metastorica del progresso quindi sul
distino luminoso che sicuramente verrà raggiunto dal nostro impegno o prima o dopo. La Preistoria
è dove l’essere umano è soggiogato dalla natura, allora quando inizierà la storia, che è l’epoca in cui
l’umanità è padrona del proprio destino, l’uomo non subirà più il proprio destino, ma lo creerà
Questa cultura ottimista rappresenta la prima metà dell’Ottocento in Europa soprattutto in Francia
e in Inghilterra, mentre i tedeschi sono sempre stati più tragici. Kant e Weber sono tedeschi. La
seconda metà del'800 è il periodo della Belle Epoque, la quale lascia il passo ad un tempo
contrassegnato da più ombre che luci, il cielo anziché essere stellato e luminoso comincia ad
annuvolarsi. Un’inquietudine crescente comincia ad invadere la cultura europea legata al secondo
Romanticismo (Shopenauer). Durkheim, pur essendo un positivista, risente di questo clima culturale
e lo esprime nella sua analisi moderna. Quest’aspetto costituisce un elemento di maturazione del
positivismo. Durkheim non ha una visione luminosa del futuro, è positivista si, ma ha la
consapevolezza che le cose potrebbero non andare bene. Durkheim risente di questo clima culturale
e lo esprime nella sua analisi moderna. Lo scenario che si configura davanti ai nostri occhi è uno
scenario di luci e ombre e il futuro può essere qualcosa di desiderabile ma potrebbe essere anche
un futuro, per il tipo di società, per nulla desiderabile. Nel Marxismo esiste un movimento religioso
che è proprio la rappresentazione della storia, esiste la LEGGE DELLA STORIA che porta l’umanità
alla lotta di classe alla rivoluzione finale alla società comunista. Questo movimento religioso e di
metafisica viene abbandonato da Durkheim. Lui è un illuminista ed un romantico più nel senso
dell’inquietudine, del secondo Romanticismo, che nel senso dell’ingenuo ottimismo della prima
metà dell’800. Alla fine dell’Ottocento e inizio Novecento l’Unione Europea si riscopre inquieta, le
vere ragioni consistono in questo il progresso della tecnica e del progresso industriale mettono in
mani dell’uomo moderno un grande potere cioè l’uomo moderno è in grado di fare cose che prima
non erano neanche pensabili. Questo grande potere crescente con gli sviluppi della scienza e della
tecnica in tuti i campi e la società industriale è un moltiplicatore di questo potere, ma l’uomo
moderno sarà in grado di gestire responsabilmente questo potenziale? Sia nel bene che nel male. Il
progresso tecnologico significa anche il potere esponenziale del potere distruttivo delle armi, la
società industriale può produrre ordigni industriali in quantità industriali. L’uomo moderno avrà la
capacità di gestire tutto questo con responsabilità? Durkheim ha parecchi dubbi su questo, dice che
è possibile ma non è affatto scontato, non ci aspetti domani una società altamente pericolosa, è
scettico ma comunque possibilista, mantiene un certo sguardo positivista verso il futuro mentre
Weber è pessimista, non è molto tranquillo rispetto al destino del mondo moderno.
Le sue due opere più importanti sono “La divisione del lavoro sociale” e “Il suicidio” (che è uno studi
sul suicidio). La prima è una ricerca empirica che descrive e interpreta la sua visione della società
moderna, ovvero ha lo scopo di verificare le sue teorie espresse nella “divisione del lavoro sociale”.
La seconda invece ha lo scopo di verificare le teorie espresse nell’opera precedente. La terza grande
opera si intitola “Le forme elementari della vita religiosa”.

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La sua domanda è: che cosa differenzia la società moderna da quella pre-moderna? La società
moderna dà una risposta in termini sociologi, ci sono tre indicatori che ci aiutano bene a mettere
a fuoco la differenza a misurarla.
In termini sociologici ci sono 3 indicatori che permettono di misurare le caratteristiche salienti della
società moderna:
1. LA DIVISIONE DEL LAVORO SOCIALE
2. LA STRATIFICAZIONE SOCIALE
3. LA DIFFERENZIAZIONE SOCIALE
La divisione del lavoro sociale non è il lavoro inteso genericamente ma è l’insieme delle mansioni
che in una società devono essere svolte regolarmente per permettere a quella società di riprodursi
nello spazio e nel tempo. Che cosa si intende per mansioni? Non è solo il lavoro professionale ma
tutte altre mansioni che circondano le attività sociali. Esistono delle mansioni e professioni che non
sono funzionali alla riproduzione sociale o che addirittura sono controproducenti. Egli si riferisce
quindi a quelle mansioni che devono essere svolte regolarmente, quindi quotidianamente a
intervalli regolari, per permettere alla società di riprodursi e di sussistere ai propri bisogni, nel tempo
e nello spazio. Per Durkheim la società è come un organismo biologico (metafora positivista).
Per stratificazione sociale si intende il fatto che la società è stratificata in classi è tipica della società
moderna e pre-moderna solo che quella della società pre-moderna era più semplice e netta perché
era regolata dai due strati dell’aristocrazia e del popolo, non c’era mobilità sociale. Con l’emergere
della borghesia tramite la modernizzazione è aumentata la stratificazione sociale. La
modernizzazione inserisce nella società un dinamismo, una trasformazione sociale. Nell’era
moderna la stratificazione sociale è data dal sottoproletariato, dal proletariato, dalla borghesia e
dall’aristocrazia. La borghesia si articola a sua volta in diversi strati, più la società è articolata e più
ha bisogno di diverse mansioni e così di riflesso aumenta la stratificazione sociale.
Per differenziazione sociale si intende l’elemento di differenza all’interno di una stratificazione
sociale che la rende più differenziata. È una funzione delle due precedenti, la divisione del lavoro
sociale fa aumentare il numero delle mansioni, la modernità fa aumentare il numero delle mansioni
e così aumenta le stratificazioni sociali. L’elemento delle differenziazioni si fa strada, ci sono tante
mansioni e la società si differenzia. Prima esistevano solo campagne e città, poi città industrializzate,
all’interno delle città si è cominciato a differenziare i vari luoghi, la zona industriale, il centro, le zone
periferiche, la prima e la seconda cintura. Ci sono poi città grandi piccole e medie, vivere in città
vuol dire tante città diverse. Faccio un lavoro d’ufficio, ci sono tantissimi lavori d’ufficio, la società
si articola in tanti modi. Gli ospedali come le università sono diversi rispetto al secolo scorso, oggi ci
sono molti più corsi di laurea e reparti. Le società moderne si trasformano molto lentamente, ci
sono dei fattori di trasformazioni sociali che consistono nella spinta poderosa della componente
scientifica e innovazioni sociali che imprimono gigantesche trasformazioni alla società. Nella società
pre-moderna sono presenti bassi gradi di differenziazione, invece nella società moderna alti gradi di
differenziazione. La società moderna è un mondo una società complessa. Durkheim si chiede dato
che la società è così differenziata, come fa a rimanere coesa? Non è ragionevole pensare che ad un
certo punto le forze centrifughe prevalgono sulle forze centripete (forze che tendono verso il centro
e che fanno star insieme)? Ci sono varie ragioni per porsi questa domanda, da un lato la società
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domanda sta coesa però queste non dobbiamo illuderci perché c’è una legge della storia che
andando avanti nel tempo la società si fortifica e quindi si unisce e arriva al suo pieno compimento.
Grazie a delle forze centripete che prevalgono per delle ragioni concrete, le quali, se non ci fossero,
condurrebbero ad alti gradi di conflittualità. Durkheim c’è un’idea fisica e sociale che tengono unita
la società nonostante questa si sta differenziando, questi fattori potrebbero affievolirsi e cedere e
quindi disgregare la società. Lui vede per il futuro che questi fattori che tengono unita la società che
fanno prevalere le forze centripete su quelle centrifughe si stiano logorando, consumando.
I 5 punti che riguardano il ragionamento di Durkheim sono i seguenti:
1. I FATTORI CENTRIPETI ESISTONO: costituiscono la solidarietà sociale; è grazie ad essa che la
società rimane coesa ed è composta da due componenti (una moneta con due facce):
a) Solidarietà morale: costituita da un insieme di credenze e di valori condivisi da tutti. Si ha la
stessa visione del mondo, lo stesso sguardo per il futuro e lo stesso atteggiamento verso il
passato  COSCIENZA COLLETTIVA: la società è un fatto morale; la coscienza collettiva è
generata da una matrice religiosa.
b) Solidarietà funzionale: è la divisione del lavoro sociale e permette ai singoli individui di
contribuire ciascuno all’equilibrio della società; permette anche di dare un senso
all’esistenza e un’autorealizzazione dei singoli individui  genera INTERDIPENDENZA
FUNZIONALE: dipendiamo gli uni dagli altri all’interno di società differenziate sia quelle
semplici, complesse moderne e pre-moderne. Io vengo da te perché io faccio il coltivatore e
tu il falegname, io dipendo da te per arredare case e tu perché devi mettere qualcosa in
tavola per nutrirti, ci dividiamo quindi i compiti e ognuno è dipendente dall’altro. Grazie alla
divisione del lavoro, ognuno si serve dell’altro, su funzioni che è capace a svolgere a
differenza sua, e l’altro si servirà di altri per soddisfare a sua voltai suoi bisogni  la società
è un fatto sociale.
2. PER ADESSO TENGONO
3. SI STANNO CONSUMANDO: in modo direttamente proporzionale all’aumento della
differenziazione/complessità sociale.
4. NON VEDO AL MOMENTO EQUIVALENTI FUNZIONALI: altri fattori che possono svolgere questa
funzione di coesione.
5. SONO DESTINATI AD ESTINGUERSI: come una candela che quando finisce non fa più luce. Se finisce la
candela cosa mettiamo al suo posto? Nulla, rimaniamo al buio.

La preoccupazione di Durkheim è per la società di domani, se non troviamo degli equivalenti


funzionali, cioè dei fattori che sostituiamo a quei fattori che tengono unita la società complessa, la
società comincerà ad erodersi, ma che lo farà sempre di più visto il cambiamento della società che
diventa sempre più complessa. Come per gli ambientalisti pessimisti, se non troviamo un altro
pianeta Terra o troviamo un altro pianeta equivalente alla Terra (funzionale per vivere) siamo finiti,
poiché le risorse stanno finendo: narrazione più pessimistica.

In tutte le società moderne e pre-moderne ciò che tiene uniti e coesi è la solidarietà sociale, che è
data dalla somma della solidarietà morale e da quella funzionale, questo succede in tutte le società.
Il processo di differenziazione ha introdotto del disturbo tra le due solidarietà.

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La modernizzazione per la prima volta nella storia dell’umanità tende a separare queste due facce
della stessa moneta. Rompe il meccanismo della solidarietà sociale che è fondamentale per la
società umana secondo Durkheim, per mantenerla coesa. È un meccanismo fondamentale anche
per ogni essere umano, perché affinchè si possa sentire in equilibrio e in pace con sé stesso, ha
bisogno di svolgere nella sua vita ordinaria delle mansioni coerenti con ciò che crede e ciò può
avvenire solo se svolge attività coerenti con la propria coscienza; in caso contrario si genererebbe
tensione, attrito, ansia e inquietudine con sé stessi. Il processo di modernizzazione divide queste
due realtà che sono sempre state complementari.
Le società semplici (pre-moderne, prima della modernizzazione) erano caratterizzate da un grado
elevato di coscienza collettiva e di solidarietà morale, erano fortissime, ma anche da un basso
grado costante di interdipendenza funzionale cioè solidarietà funzionale, perché non erano ancora
delle società tecnologiche e moderne ed erano meno differenziata. (es. ospedale molto meno
specializzato rispetto ad oggi). Ai tempi dei nostri nonni, non c’era bisogno degli altri (di persone
che facevano altri mestieri), erano necessari per la coscienza collettiva cioè per il mondo dei valori
ma in casa, in una realtà di contadini, ci si sapeva arrangiare, si sapeva fare un po’ di tutto. Oggi
quello che abbiamo addosso è acquistato, i nostri nonni sapevano farselo da soli: non c’era bisogno
di supermercati. All’epoca le società erano formate da sindaco, medico, farmacista, parroco e
qualche artigiano per il resto ci si aggiustava, tutti sapevano fare tutto, non c’erano tutte le
esigenze di oggi. Durkheim le chiama SOCIETÀ A SOLIDARIETÀ MECCANICA, sono società semplici,
meccaniche che hanno un grado basso e costante di interdipendenza funzionale. Il meccanismo
può essere paragonato all’ingranaggio di un orologio, sono poche componenti che tra di loro
funzionano meccanicamente in modo perfetto e quelle sono e quelle restano. Sono società che
rimangono facilmente in equilibrio, possono andare avanti secoli. Sono società che viaggiano sui
ritmi della natura e seguono il ciclo delle stagioni. Da lì possono venire i pericoli, se nella stagione
del raccolto viene una grandinata, avviene uno scompenso. Oppure da scontri militari con altre
società. Roma ha deciso di distruggere Cartagine.
Le società complesse/moderne sono caratterizzate per un grado elevato e crescente di
interdipendenza funzionale, ma anche da un grado basso decrescente di coscienza collettiva 
questo è un problema; sia da sola e lo è ancora più grave se coesistono entrambe le cose. Esse
vengono chiamate da Durkheim SOCIETÀ A SOLIDARIETÀ ORGANICA, organica perché richiama la
complessità dell’organismo biologico che ha un’elevata specializzazione, cioè un grado elevato di
interdipendenza funzionale. Anche l’organismo biologico, che è costituito da numerosi componenti
(apparati, organi), si può differenziare. Sono società che si trasformano facilmente e che sono
costantemente impegnate a mantenere il proprio equilibrio che può alterarsi facilmente  sono
molto più instabili. Cosa le può abbattere e metterle in difficoltà? Per esempio, un tracollo
economico come quello del 2008. Queste società seguono il ciclo economico, il rapporto tra
nazioni, la geopolitica (il terremoto della Turchia non ha distrutto la Turchia, essa si riprenderà),
una guerra nucleare può far evaporare lo stato. La coscienza collettiva, quella valoriale è
decrescente ma aumenta esponenzialmente la componente tecnica e la scienza. Ha molti vantaggi
dal punto di vista istituzionale, ma ci porta anche di fronte ad una situazione di precarietà, questa
modernizzazione va a toccare i pilastri delle società umane, quell’elemento fondamentale delle
due solidarietà. La coscienza collettiva può diminuire fino ad un certo punto, la solidarietà morale
si indebolisce sempre di più, ma la società continua a restare unita, perché la solidarietà funzionale

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è molto forte e tiene unite le persone solo sulla base di un criterio egoistico, autoreferenziale (ti
rispetto perché mi servi, non per motivi valoriali). È una società che diventa sempre più
individualista: società di stranieri. Quando non ci sarà più la coscienza collettiva ci si rapporterà gli
uni con gli altri in un’ottica non più morale bensì solo funzionale, come fossimo tutti estranei, e
questo diventa un filo sottilissimo che tiene tutto fino a quando non capita qualcosa. Quando tutto
va avanti normalmente c’è l’interdipendenza funzionale ci trattiamo da estranei (senza coscienza
collettiva) ma interagiamo per le funzioni e tutto procede nel verso giusto. Però il giorno in cui
avviene un evento catastrofico, ad esempio una situazione di guerra o una crisi economica, con
conseguenza di scarseggiamento dei beni diventano e i supermercati si svuotano, se manca la
coscienza collettiva, che è quella che ci impedisce di aggredirci gli uni con gli altri, noi ci
aggrediremo e prevarrà la legge del più forte. Bisogna quindi individuare equivalenti funzionali che
consentono di mantenere uniti i due tipi di solidarietà, cioè la religione. La società della scienza e
della tecnica va ad erodere le credenze religiose che sono generatrici di sistemi di valori condivisi
di coscienza collettiva, la modernità quindi erode la TEORIA CLASSICA DELLA SECOLARIZZAZIONE
 fa decrescere la religiosità delle persone. Non avviene sempre e tal volta si assiste al contrario,
la modernità convive bene con la religione. Durkheim dice che ciò tendenzialmente, porta al
disincantamento del mondo, prima non te le spiegavi ora le puoi spiegare scientificamente e quindi
non è necessario rivolgersi al divino.
Definiamo la società: rapporto educazione società.
Che cos’è la società? Un organismo biologico, la società moderna specialmente. (paragone
sociologo/medico e società/organismo biologico).

Più in generale ogni società è costituita da due forze: la coscienza collettiva (solidarietà morale,
società come fatto morale) e l’interdipendenza funzionale (fatto sociale).
Cosa significa fatto sociale/morale? Qualcosa di cui dobbiamo prendere atto e che sta al di fuori di
noi. Quando Durkheim parla di fatto parla di qualcosa per cui l’essere umano non può che subirne
le conseguenze, essendo qualcosa che precede la nostra esistenza come singoli individui.
La società si differenzia dalla natura per il fatto che è una realtà sui generis. Nella teoria di Durkheim
la società ha bisogno degli individui per formarsi, allo stesso tempo, quando la società si costituisce
come conseguenza dell’aggregazione tra individui assume un'esistenza propria, indipendente dai
singoli, sui quali inizia ad esercitare un potere crescente.
DEFINIZIONE: realtà sui generis
la società è una realtà sui generis, ossia ha un carattere proprio differente dalla somma delle sue
parti (gli individui) e si impone sui suoi membri attraverso le sue istituzioni, trascendendoli e
ricomprendendoli.
Il singolo individuo non può innescare un processo di trasformazione delle società, è plasmato da
essa (tranne poche eccezioni: vedi i grandi leader della storia).
Il potere esercitato sui singoli è coercitivo proprio per via del carattere “esterno” della società; è un
fatto dal quale non si può prescindere. Il potere coercitivo immerge gli individui in continui ruoli
sociali che li costringono al rispetto di determinate norme quando vengono indossati (fatto sociale).
Perché ruolo coercitivo?
 Perché la società è un dato di fatto esterno al quale ci dobbiamo adeguare;
 Perché la società esercita il potere di fatto sociale e di fatto morale. Fatto sociale perché
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noi stiamo dentro la società, siamo sempre coinvolti in interazioni e relazioni sociali
caratterizzate dai ruoli che ricopriamo.
DEFINIZIONI: interazioni sociali, relazioni sociali, ruoli sociali
Interazioni sociali: fanno parte di noi in quanto membri di una società, sono definite dai ruoli nei
quali ognuno di noi si trova collocato. Terminata la specifica interazione sociale ci si sveste del ruolo
e se nemette un altro in base alla situazione che stiamo vivendo.
Relazione sociale: tra due o più individui, è fatta da continue interazioni. Attraverso le interazioni
la relazione prende corpo e continua nello spazio e nel tempo.
Ruoli sociali: non sono sempre gli stessi, cambiano a seconda delle interazioni/relazioni che stiamo
vivendo. Questi ruoli non li definiamo noi ma la società.
Le regole sociali, scritte o non scritte, devono essere rispettate da ognuno di noi. Se dentro le
interazioni in cui siamo impegnati, noi non ci comportiamo in modo attinente e rispettoso delle
regole e norme che lo regolamentano, veniamo definiti da Durkheim soggetti devianti.
Non conformità rispetto alle aspettative di ruolo: colui che nelle interazioni della vita quotidiana
agisce dentro a quel ruolo in modo non conforme rispetto alle norme che lo regolamentano.
Ogni comportamento deviante comporta una sanzione, la società si organizza per sanzionare e
richiamare al rispetto delle norme i soggetti devianti, perché il rispetto dei ruoli sociali è funzionale
alla sopravvivenza della società.
Le aspettative di ruolo sono le azioni che ciascun soggetto coinvolto nella relazione si aspetta dal
suo interlocutore.
La società si deve occupare del rispetto dei ruoli sociali per la sua sopravvivenza, questo è un fattore
difficile perché gli individui sono soggetti liberi e pensanti. Durkheim pensa alla società come un
organismo che organizza gli individui in base alle sue esigenze di sopravvivenza e di potenziamento.
Per far sì che gli individui (soggetti liberi) rispettino le norme della società entra in gioco
l’educazione. L'educazione è la programmazione degli individui affinché agiscano in modo
conforme, comprendano i ruoli sociali e li assumano in modo consono.
Ciò avviene soprattutto nella società moderna, società che per riprodursi ha bisogno di
innumerevoli e sempre crescenti individui specializzati nello svolgimento di ruoli diversi. Per le
società pre-moderne questo problema è più semplice da risolvere, perché i ruoli da coprire sono
poco differenziati e non iper-specializzati.
L'educazione nella società moderna deve garantire la formazione di individui sempre più
differenziati e specializzati. Perché?
 Perché c’è un’elevata divisione del lavoro sociale.
 Perché bisogna evitare che i processi educativi (di programmazione), che la società mette
in atto sugli individui, finiscano per danneggiare il rapporto individuo-società. Gli individui
devono sentirsiparte della società; altrimenti si ottiene il contrario se i processi educativi
non funzionano e creano soggetti dissociati, non in armonia con il corpo sociale.
Per la buona riuscita dell’educazione è necessario preparare al meglio gli individui che
svolgono le funzioni educative.

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INDIVIDUALISMO: la dignità del singolo
INDIVIDUALISMO: libertà degli individui di muoversi e comportarsi. È un atteggiamento naturale
di ogni singolo essere umano, ognuno di noi secondo Durkheim è individualista.
 L'individualismo non ha né tempo né luogo...: non dipende dalla cultura o dal tipo di
società, è un fattore della natura umana.
 … atteggiamento proprio di ogni essere umano per cui un essere guarda a sé stesso, pensa a
sé stesso esi considera un individuo depositario o titolare di una dignità insuperabile: dove
insuperabile significa inviolabile. Ciascuno di noi ha a cuore l’inviolabilità della propria dignità,
percependosi come portatore di essa. Ogni violazione di questa dignità viene vissuta dagli
individui in modo negativo.

Lo scopo dell’educazione è duplice, da un lato orientare i singoli ai ruoli e alle norme sociali affinché
ognuno di loro possa occuparsi di qualcosa e svolgerlo in modo adeguato; dall’altro lato l’educazione
deve fare attenzione a non incanalare gli individui in ruoli sociali che sentono come violazione della
loro vita; dobbiamo prestare molta attenzione alle predisposizioni degli individui.

I processi educativi devono essere pensati per svolgere queste due funzioni:
 Individuare le predisposizioni di ognuno;
 Mettere in atto processi educativi e formativi basati sulle predisposizioni del singolo.
In questo modo avremo dei ruoli sociali coperti da persone preparate e felici del ruolo che stanno
coprendo  questo è un vantaggio assoluto per lo sviluppo della società.

Ci sono una serie di ruoli e funzioni che devono essere eseguiti nella divisione del lavoro sociale.
Alcuni ruoli sono meno desiderabili di altri, ma sempre funzionali.
In questo caso i processi educativi devono agire sugli individui allo scopo di far loro desiderare certi
percorsi, facendo in modo che questi si sentano gratificati dallo svolgimento di determinati compiti.
Ad esempio, un lavoro poco gratificante ma con un buono stipendio può diventare appetibile per
qualcuno.
 La gratificazione in termini economici possiamo considerarla un compensatore.

ESEMPIO: è giusto che i minatori vengano pagati di più dei soldati?


Secondo degli studi condotti in Francia da un sociologo moderno (non si ricorda nome), per il senso
comune è giusto che i minatori vengano pagati di più dei soldati. Questo perché, nonostante siano lavori
utili alla società, i soldati quando perdono la vita in battaglia vengono gratificati dallo Stato con onori
mentre i minatori no e questo va compensato con la gratificazione economica.
Secondo quanto detto precedentemente gli educatori e l’educazione devono prevedere,
nell’infanzia e nella giovinezza, percorsi formativi che introducano i singoli a svolgere mestieri e ruoli
che siano consoni rispetto all’individualismo di ognuno.
Ci sono dei casi numerosi nelle società complesse in cui si commettono degli errori nei processi
educativi. Il sistema scolastico tedesco prevede una biforcazione alla fine della scuola primaria: alla
fine di essa i bambini e le bambine devono scegliere se intraprendere un percorso di studi che li
porterà al lavoro o all’università. Questo è un rischio, perché il percorso di studi scelto caratterizza
molto il modo in cui vivrai la tua vita e le tue professioni; fare il salto da una parta all’altra diventa
quindi molto complicato.
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La scuola e la famiglia (individuati come enti principali di formazione e educazione) devono
collaborare per riuscire ad individuare le predisposizioni di ognuno. Non sempre questo è possibile,
Durkheim prevede che nella società moderna si avranno molti casi di adulti che si sentiranno non a
proprio agio, insoddisfatti e frustrati  soggetti psicolabili.
Sono soggetti che vivono una sofferenza psichica in quanto tutta la società funziona rivolta verso
l’interdipendenza delle funzioni, non c’è più Dio e neanche la prospettiva morale. Cosa significa
questo? Che l’orizzonte di senso che ognuno di noi si sente di ricoprire si esaurisce solo nella
dimensione del lavoro e non nell’importanza del singolo in quanto tale.

Parliamo di un orizzonte di senso dell’interdipendenza funzionale, non esiste il logos ovvero il


senso dell’esistenza in quanto definizione morale.

Questo fa sì che questi individui vivano in modo critico il rapporto con la società, sentendosi
estranei e non integrati: questo mette in grave rischio l’equilibrio psichico delle persone. Le società
moderne sono esposte alla creazione di soggetti psicologicamente labili.
Nel mondo pre-moderno questo tipo di evento era impossibile o quasi, la divisione del lavoro sociale
era bassa e la coscienza collettiva alta, per cui se fossi nato contadino avresti continuato il mestiere
senza la possibilità di desiderare altro. Nelle società pre-moderne il potere coercitivo era palese e
molto forte: il tuo ruolo era prestabilito e non avevi la possibilità di farti domande.
Al giorno d’oggi, bisogna motivare i soggetti a prendere le strade che li porteranno a svolgere i ruoli
sociali del presente. La società complessa ha bisogno di persone altamente specializzate che vivano
il percorso scolastico e formativo come qualcosa che realizzi le proprie aspirazioni. Bisogna quindi
educarli a ciò di cui la società ha bisogno.
Più il mondo si modernizza dal punto di vista dello sviluppo, più servono specialisti e non dilettanti e
questo comporta un lungo percorso formativo.
In una società tenuta insieme dalla divisione del lavoro sociale, chi si ritrova in un ruolo sociale non
adatto alle proprie disposizioni, ci si sente un pesce fuor d’acqua. Non hanno, questi soggetti,
neanche i compensativi morali che danno un altro orizzonte di senso rispetto a quello delle funzioni.

Questi individui sono isolati, disadattati perché la società ha sbagliato il suo percorso formativo.

Questo, secondo Durkheim, può portare (a livello di ipotesi) ad un livello sempre più crescente di
soggettiche vivono una sofferenza psichica. Quanto più è grave la sofferenza psichica rispetto alla
solidarietà funzionale e quanto meno queste persone possono avvalersi di risorse di solidarietà
morale, tanto più è probabile che queste andranno incontro alla possibilità di suicidarsi (ecco perché
gli studi sul suicidio).
Come fa Durkheim a capire che queste sue teorie possano essere corrette? Elabora delle ipotesi,
come quelle sul suicidio.
Devono essere, le persone suicide, caratterizzate da un certo tipo di caratteristiche, questo serve a
poter confermare l’ipotesi di Durkheim.
CARATTERISTICHE delle persone suicide:
 Persone con scarse appartenenze di tipo comunitario (luoghi dove sopravvive la solidarietà

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morale).
 Persona con percorsi formativi critici.

FATTORE SOCIALE  educazione, genera una sofferenza psichica che può portare l’individuo a
suicidarsi.Perché per l’individuo l’esistenza è diventata impossibile, la sofferenza quotidiana della
società che esercita un fattore sociale coercitivo diventa insostenibile.
Il suicidio può essere di due tipi: fisico o sociale. Una vita in cui si decide di estraniarsi dai ruoli sociali
è un suicidio sociale dove non si ha un posto nel mondo per quanto riguarda la solidarietà morale e
sociale.
Secondo Durkheim nella società moderna ci saranno sempre più persone che si esiliano dalla società
emarginandosi, perché la solidarietà funzionale è l’unico orizzonte di senso per la società moderna.

Dalle riflessioni sulla società prende spunto per lo studio sul suicidio e sul rapporto
individuo/società.

TEORIA SUL RAPPORTO INDIVIDUO/SOCIETÀ

 Come funzionano?
 Come sono stati alterati dalla modernizzazione?

Durkheim fa un’analisi che va dimostrata attraverso il metodo scientifico sperimentale mettendola


alla prova con la realtà, come?

 Formulando delle ipotesi coerenti con la teoria.


 Formulando ipotesi facilmente verificabili e sperimentabili, da sottoporre a verifica
empirica.

Una buona fetta del potere coercitivo della società deve essere educazione, l’educazione non è una
scelta.
Però abbiamo a che fare con persone libere e quindi chi si occupa di educazione deve intercettare
l’individualismo dell’individuo, mettendo anche in conto di fallire.
Con queste premesse, Durkheim trova il suicidio come un argomento utile e consono da verificare.
IPOTESI:
1. Aumento dei tassi dei suicidi in modo proporzionale rispetto all’aumento della
modernizzazione della società.
2. Nei casi dei suicidi individuati, mi aspetto che gli individui abbiano avuto problemi nel
rapporto con la società da una parte e dall’altra parte che abbiano avuto scarse appartenenze
con il ruolo comunitario.
 Le sue ipotesi iniziali vengono tutte confermate dai dati.

Dove metto l’asterisco vuol dire che il valore è fuori dal range fisiologico e quindi diventa patologico
e disturba il normale funzionamento del corpo. Lui dice che ogni società ha un tasso fisiologico di
suicidi, e ha un numero fisiologico (normale) di casi di tentati suicidi. Quando siamo in presenza di
un tasso fisiologico siamo davanti ad un fenomeno sociale ordinario, normale, che non suscita un
interesse particolare da parte di un sociologo, come un medico che vede analisi del sangue con valori

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che restano dentro un range preciso e prestabilito e non si preoccupa. Il sociologo individua tutta
una serie di parametri, soprattutto il sociologo di matrice positivista, per visitare la società e se ci
sono dei parametri patologici elabora una cura per far rientrare la società nei parametri. Lui dice
quindi che il tasso di suicidi ci interessa solo se è patologico. In tutte le società vi è un tasso di suicidi
che non ci deve allarmare. Però l’aumento del tasso dei suicidi ci indica che c’è qualcosa che non va
nella società; ci dà un buon terreno per testare la tenuta delle sue teorie. La sua ricerca dà subito
un esito positivo. Il suo lavoro infatti consiste proprio nell’ipotesi che la società moderna presenta
dei range di suicidio perchè ci sono problemi nei processi educativi, che sono difficili da accordare
con l’individuale differenza di ognuno. La società ha bisogno che gli individui mettano la società al
primo posto e si sacrifichino per essa, ma al tempo stesso devono essere prolifici e ottimali per farla
funzionare, efficienti nel loro operato. Individui frustrati non svolgeranno bene le loro funzioni. Non
è un’attenzione di benevolenza verso i singoli ma lo è per la visione sociale del tutto. Non bisogna
avere un numero troppo alto di individui disfunzionali e frustrati. Il salario degli operai viene
calcolato per far si che riescano a mantenere sè stessi e la loro famiglia ma non per benevolenza nei
loro confronti, ma solo per l'interesse del datore di lavoro. Lavoratori che funzionano e lavorano per
bisogno. La società sovrasta l’individuo, gia si verifica nella società premoderna, quella moderna lo
sovrasta ancora di più (concetto studiato dai positivisti ed anche dal punto di vista del marxismo).
Detto ciò per calcolare correttamente il tasso di suicidi, distinguendolo tra fisiologico e patologico,
dobbiamo fare ancora una distinzione, ossia tra quali soggetti suicidari o di chi tenta il suicidio non
consideriamo i casi nei quali il protagonista è affetto da patologie psichiatriche, cioè quelli che
venivano all’epoca chiamati malati di mente; ma parliamo invece di quei casi che si trovano in uno
stato di sofferenza psicologica derivata da processi diseducativi, che portano a scorrette relazioni
sociali. Durkheim fa questa precisazione perchè fa riferimento a soggetti che decidono di suicidarsi
nel pieno possesso delle loro facoltà mentali e non prende in considerazione persone che lo fanno
perchè non hanno il controllo su loro stessi. A lui interessano i soggetti sani, che decidono a causa
dell’eccessivo peso della sofferenza inflittagli dalla società, di togliersi la vita. Perché esclude i
soggetti con patologie psichiatriche? Perché un soggetto che ha una patologia psichiatrica potrebbe
lanciarsi da un ponte non per volersi uccidere, ma perché crede di poter volare. Come fa a
raccogliere questi dati? Raccoglie i verbali della polizia, della gendarmeria. È un personaggio in vista,
un professore della sorbona, quindi ottiene dal Ministero degli Interni l’autorizzazione a visionare
migliaia di casi di suicidio, di cui si sono redatti i verbali. Che cosa viene riportato in questi verbali?
Data evento, nomi cognomi della persona e poi una serie di dati che sono quelli che interessano a
lui ossia: sesso, età, livello di istruzione, nazionalità, professione, stato civile (sposato, divorziato,
vedovo), stato di famiglia ossia il nucleo familiare (se è solo/sola, figli, ecc.), luogo di nascita, luogo
di residenza e la confessione religiosa. Tutti questi dati sono molto importanti perché nelle sue
prime analisi generali, nelle sue prime classificazioni, lui ottiene dalle analisi dei dati empirici una
serie di dati statistici che segnano una linea di tendenza, una serie di costanti: trova sostanzialmente
che i suicidi sono tendenzialmente più diffusi in città che in campagna; il suicidio è più diffuso tra
coloro che vivono da soli; più diffusi tra gli uomini che tra le donne; più diffusi tra le persone separate
o vedove; più diffusi nelle coppie che non hanno figli rispetto a chi ne ha; più diffusi tra gli atei che
piuttosto che tra i credenti; e se si vede tra le confessioni religiosi sono i protestanti che si suicidano
maggiormente; e rispetto agli ebrei sono i cristiani cattolici che si suicidano di più. Inoltre gli eventi
suicidari avvengono tendenzialmente di più nella bella stagione che nell’inverno. Maschio vedovo
non credente che vive in città, si suicida in sostanza. L’assenza o la presenza della dimensione

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comunitaria è aggravante (se assente) della situazione. Ad esempio vivere in un piccolo paese dove
tutti si conoscono vuol dire vivere in una comunità che aiuta. E poi naturalmente nel piccolo paese
c’è un indice di solidarietà più alto. Stessa cosa vale per l'opzione familiare, ossia chi ha una famiglia
unita o dei figli che contano su di esso, tendenzialmente non si uccide. C’è una socialità familiare di
tipo funzionale e morale. Idem per l'appartenenza religiosa, il fatto di appartenere ad una comunità
religiosa comporta la frequentazione degli altri credenti con cui interagisci durante il culto, ma anche
fuori. I protestanti invitano i credenti a vivere la propria fede individualmente senza la mediazione
del clero. Esiste una divisione comunitaria ma non è così presente. Questo porta comunque ad una
solitudine. I protestanti americani sono diversi da quelli europei. Quello europeo è tendenzialmente
più freddo. Le comunità cattoliche esistono, vi è la mediazione della chiesa tra il credente e il divino
creando un maggior coinvolgimento comunitario. La comunità ebraica ha una divisione comunitaria
ancora più forte che si basa sulla visione del popolo, il popolo intero, il popolo eletto. Non solo per
quanto riguarda la religione ma anche solo per la linea biologica, storica. Anche se hai solo la madre
ebrea nel tuo sangue scorre sangue ebraico. Quindi sei parte del popolo. È una divisione comunitaria
forte, importante, consapevole di essere parte del popolo eletto scelto da Dio. Lui era cresciuto
nell’ebraismo, pur non essendo praticante, quindi sapeva bene di cosa parlava. In assenza di questi
fattori la situazione circostanziale si aggrava. Lui individua Tre Tipi + Uno (uno è un tipo residuale)
di profili di soggetti suicidari:
● Il tipo residuale è un insieme, un gruppetto, in cui lui mette tutti quei casi che ha studiato per cui
non riesce a dare una spiegazione, con protagonisti persone razionali ma per cui non ne riesce a
spiegare le ragioni. Questo sottoinsieme residuale è composto da pochi elementi. La stragrande
maggioranza trova una spiegazione.
● Primo tipo: è quello più raro, il suicidio ALTRUISTICO ossia un tipo di suicidio in cui rientrano quei
soggetti che hanno subito un processo educativo problematico, che li ha legati troppo alla società,
li ha quasi annullati, ha neutralizzato o rimosso (Freud) il loro individualismo. Siamo in presenza di
una situazione di IPERSOCIALIZZAZIONE. I processi educativi su questi soggetti sono stati troppo
marcati ed hanno avuto un risultato negativo. Tendono a dimenticare, rimuovere o neutralizzare
se stessi, sono spinti a sacrificare tutto e ciò nonostante non si sentono mai in pace con loro stessi
perché ritengono di non aver mai fatto abbastanza, di non aver adempiuto il loro dovere fino in
fondo, pensano che avrebbero potuto fare meglio e di più. Incolpano loro stessi. Ci sono alcuni
genitori che magari hanno il figlio che ha preso una strada che loro reputano a rischio oppure che
l’ha portato in rovina davvero, loro pensano che sia colpa loro, si incolpano di scelte che hanno
fatto i figli in autonomia. Talvolta hanno ragione e talvolta no. Nella società moderna capita agli
anziani che vogliono togliersi di mezzo per non essere di peso ai figli: mi tolgo la vita come atto di
benevolenza per i figli. Questo tipo di suicidio può essere calmierato con la rete societaria. Un’altra
sfumatura è il sacrificio di sé come avviene nei soldati o nei volontari che si lanciano contro il rischio
a vantaggio di tutta la comunità. Questo tipo di ipersocializzazione può portare a questo tipo di
suicidio. Quando scoppiò Chernobyl ci furono tutta una serie di tecnici e soldati che si sacrificarono
andando sul posto per calmare il nucleo dell’esplosione. Andarono consapevolmente in contro ad
una morte molto rapida e molto dolorosa per il bene della comunità. Ricordiamo i Kamikaze
giapponesi ed i Kamikaze islamici, sappiamo che sono persone ricattate e manipolate. Si trova di
meno nelle società moderne, perché sono società nelle quali i soggetti tendono a sviluppare un
vivace individualismo, non sono società statiche ma dinamiche. Il dinamismo è sempre stimolante.

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● Il secondo tipo di suicidio: di tipo EGOISTICO e in questo caso possiamo parlare di tipo
socializzazione cioè nei quali il processo educativo e di socializzazione non è riuscito ad imbrigliare
l’individualismo (opposto al caso precedente) e non è riuscito a creare una continuità tra
individualismo e la società in cui si vive. Qui troviamo individui frustrati che ad esempio fanno
lavori che non vogliono e che non li valorizzano. Nel caso non ci siano CALMIERANTI si generano
appunto frustrazione, amore-odio con gli altri. Si ha un IO diviso, a differenza del caso precedente
dove l’IO è compenetrato nella società. Qui in parte vorresti ma in realtà non puoi perchè la società
non ti permette di raggiungerli. L'individuo è stato educato a desiderare qualcosa che però non
riesce a raggiungere, o perché non è in grado lui stesso o perché la società non glielo permette.
Quindi scatta la paura, il senso di sottomissione e di oppressione, avere sempre la sensazione di
dover fare obbligatoriamente cose che non vuoi fare, infine odio e violenza narcisistica. Il senso di
onnipotenza e le manie di grandezza. Tutto il mondo è sbagliato, solo io sono l’unico corretto.
Questo problema va affrontato precocemente perché può portare ad un adulto molto sofferente
psicologicamente e quindi pericoloso, per sé stesso e per gli altri.
● Il terzo tipo di suicidio: il suicidio ANOMICO che può andare in parte a sovrapporsi agli altri due.
Dall’etimologia greca Anomos, dove nomos sta per norma, quindi con deficit normativo. Ci
troviamo quindi in una società dove vi è un deficit normativo. È tipico della società industriale
capitalistica. I protagonisti di questi suicidi sono i più diffusi insieme a quelli egoistici. I soggetti
sono persone che patiscono un senso di insicurezza e di vulnerabilità e come dicono gli psicologi
la sicurezza è strettamente imparentata con il nostro istinto più radicato e cioè l’istinto di
sopravvivenza. Questi soggetti sono pronti a sacrificare anche la propria libertà ma non la
sicurezza. Il criterio della sicurezza prevale sul resto. Aristotele diceva che il filosofo che vuole
filosofare sulle grandi questioni del mondo deve prima essere sano psicologicamente ed avere una
vita sicura senza pensare alla propria sopravvivenza. Devi essere tranquillo in e per ogni cosa e solo
dopo puoi filosofeggiare. Questi soggetti hanno paura di subire azioni violente; hanno paura di
ritrovarsi in miseria e povertà; di ritrovarsi in balia degli altri e di ogni pericolo. Cosa ha a che fare
con le norme sociali? Lui dice che le società capitalistiche si articolano a seconda del ritmo del
mercato; il ciclo economico è fatto di crescita, stabilità, equilibrio e decrescita. Poi ci possono
essere altre fasi ma il ciclo economico si articola come detto sopra. Queste società sono fatte di
interdipendenza di funzioni, tenuta insieme dai ruoli sociali, dalle aspettative di ruolo e dalle
norme. Le norme determinano interazioni sociali e ruoli sociali. Per ciascun ruolo sociale vi sono
delle aspettative sociali che comprendono norme, scritte o no, a cui bisogna attenersi. Il fattore
economico in queste società capitalistiche è molto importante e richiede un impegno sempre
maggiore. La società è sempre più plasmata dall’economia. Il punto è che queste società sono
inevitabilmente costrette ad articolarsi secondo il ciclo economico. Lui dice che quando si passa
da una fase di crescita ad una di decrescita e viceversa, nei punti di flesso dove la curva cambia
direzione, si avrà una CRISI ANOMICA. Queste crisi sono molto pericolose, possono essere
tempeste o uragani.
I suicidi erano 8 e si nota a livello psicologico una sofferenza, nel senso di vulnerabilità e insicurezza,
ed esposizione alla prepotenza, violenza alla prevaricazione da parte degli altri, quindi paura di
subire violenza da parte di altri. Perché dice Durkheim quello che ci protegge dalla violenza altrui
sono le regole, le leggi, le norme e le istituzioni che fanno rispettare queste norme. Questo ci
permette di vivere la nostra esistenza quotidiana a e interagire con i nostri simili e a relazionarci ad

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essi, entro i nostri ruoli sociali all’interno di situazioni precise senza il rischio, o con un rischio basso,
di subire violenza altrui. Perché le interazioni sono regolamentate dalle norme a cui ciascuno è
tenuto ad attenersi rivestendo il ruolo sociale che gli spetta in diverse situazioni e circostanze. E
questo sostanzialmente è ciò che tiene insieme le società complesse, basate sulla dipendenza
dall’istituzione. Non si può fare troppo affidamento sulla moralità degli individui, sulla loro coscienza
morale o sulla ragion pratica della razionalità morale. Proprio perché sono società complesse
moderne e sono società nelle quali la coscienza collettiva, cioè la solidarietà morale, va sempre più
indebolendosi, mentre invece si rapporta più costantemente con la solidarietà funzionale e noi
interagiamo nella società altamente differenziata: non abbiamo più bisogno del lavoro, ma
interagiamo attraverso ruoli sociali che sono tenuti dalle norme, dalle aspettative di ruolo, dalle
prescrizioni di ruolo, dagli obblighi. Prescrizione di ruolo: una espressione che non avevo ancora
usato, cioè i ruoli sociali e aspettative. Le prescrizioni sono ciò che il ruolo ti prescrive, ti obbliga a
fare, sono i tuoi obblighi, ciò che tu hai il dovere di fare assumendo quel ruolo. Il ruolo ti prescrive,
quindi ti vincola al tuo dovere di svolgere determinate cose. Potremmo dire che le aspettative del
ruolo sono collegate. Sono proprio ciò che il tuo interlocutore si aspetta da te, cioè si aspetta che tu
esegua le prescrizioni del ruolo, che tu agisca in modo corrispondente alle prescrizioni di ruolo, agli
obblighi del ruolo che assumi nella relazione sociale che ti impone. Immaginate le interazioni sociali
in forza delle quali avviene la divisione del lavoro sociale in cui la società riproduce sé stessa
quotidianamente, ci sono norme che regolamentano queste interazioni. Però Durkheim dice che se
tutto va bene, in presenza di un impianto normativo che funziona e regolamenta correttamente le
interazioni sociali e le relazioni sociali, ciascuno di noi è protetto dalle norme che proteggono le
norme. Un giro in cui uno reagisce fedelmente alle prescrizioni di ruolo e i suoi interlocutori fanno
la stessa cosa cadendo nel prescritto delle norme e quindi siamo protetti nella nostra incolumità
fisica dall’impianto normativo. Ciascuno agisce secondo le proprie prescrizioni e lo fa aderendo alle
proprie prescrizioni di ruolo e ai ruoli diversi che possiamo assumere. Il problema è quando si
verificano i deficit normativi e la pressione delle norme sociali viene meno, si allenta e i singoli
individui si sentono liberi dai suoi vincoli. Si allenta la pressione normativa che da un lato aumenta
il senso di indipendenza rispetto alle norme e dall’altro lato aumenta la percezione di pericolo,
vulnerabilità, il senso di insicurezza. Ad esempio se esiste una legge, che viene puntualmente fatta
rispettare dall’autorità pubblica, uno si sente protetto se ha intenzione di agire onestamente in
determinate situazioni, però se quella stessa legge che esiste non viene fatta rispettare è chiaro che
la persona intenzionata ad agire onestamente, comportarsi in modo conforme alle regole,
percepisce di essere esposto al rischio che il suo interlocutore non faccia la stessa cosa, perché la
legge esiste formalmente ma non viene fatta rispettare. Quindi il singolo soggetto rimane in balia
della sua coscienza morale. Ad esempio c’è quello che ha coltivato la sua moralità e agisce
onestamente, c’è quell’atro che non ha interesse a un agire morale, ma ha interesse per un agire
interessato, un agire spregiudicato, e approfitta del deficit normativo e che la norma esiste ma non
viene fatta rispettare per approfittare della buona fede dell’interlocutore e compie nel suo riguardo
un’ingiustizia. Diciamo che in presenza di un deficit normativo i soggetti deboli o che comunque non
sono avvezzi a stare nel mondo con un atteggiamento opportunistico, violento, furbistico si sentono
esposti al rischio di subire violenze, soprusi, truffe. In presenza di deficit normativo questi soggetti
hanno la percezione di vivere in una società non più regolamentata da norme, ma in una situazione
che assomiglia a una giungla, dove vige la legge del più forte e del più furbo. Secondo Durkheim
questa situazione di crisi anomica, (a privativo – assenza di norme), si verifica durante le fasi di

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cambiamento del ciclo economico, quando si passa da una fase di crescita a una fase di decrescita
e viceversa, quando cambia il ciclo economico. I cambiamenti del ciclo economico sono rapidi,
repentini, improvvisi e che cosa significano in una società organizzata sui ritmi e sugli apparati del
capitalismo? Quando c’è una fase di crescita economica ci troviamo in una situazione nella quale c’è
ricchezza disponibile e quindi, dice Durkheim, in una società di questo tipo si scatena la corsa all’oro,
alla ricchezza, alla posizione migliore. Corsa all’oro: c’è disponibilità di ricchezza e i primi che
arrivano si prendono la fetta più grande. L’emblema di questo è quello che accade in borsa, le
interazioni sociali delle borse si basano sui titoli che salgono e scendono: quando i titoli salgono, si
prevede che aumentino il loro valore, li c’è una possibilità di arricchirsi. Adesso questi titoli costano
poco, però sulla base delle notizie che veniamo a sapere da diverse variabili, quei titoli nel giro di
pochi giorni aumenteranno esponenzialmente il loro valore. Quindi quando si diffonde questa
notizia, i primi che lo sanno ovviamente sono più avvantaggiati, ma quando si diffonde la notizia
tutti coloro che hanno liquidità corrono e cercano di comprare le azioni, perché adesso si pagano
poco ma tra qualche tempo varranno molto di più e a quel punto varranno X volte tanto, si potranno
rivendere e si avrà un guadagno. Quindi quello che accade nella borsa si può utilizzare anche per
tutta la società basata sui ritmi del capitalismo, che nella borsa sono ritmi enfatizzati a ritmi
esponenziali, che però sono gli stessi ritmi della cui influenza risente l’intera società basata sul
capitalismo. Ecco quando c’è il miraggio della ricchezza, per Durkheim, le regole e le norme che
hanno un valore convenzionale, non hanno un valore intimamente morale, non sono norme alle
quale tu aderisci sulla base della tua ragione pratica direbbe Kant e della tua razionalità morale. Non
sono norme che si eradicano in profondità nella tua coscienza morale, sono norme che regolano il
gioco, alle quali tu ti attieni per rispettare il ruolo e non avere una sanzione. Ma non è che se non lo
fai sei un soggetto amorale. Questo sempre di più accade nelle società moderne organiche, basata
sull’interdipendenza delle funzioni. Per cui quando c’è il miraggio della ricchezza, possibilità di
arricchirsi, tanto più in una società in cui la ricchezza economica è considerato un valore è chiaro
che l’impianto normativo che esiste tenderà ad avere sempre minor presa sulle persone perché le
persone in una società di questo tipo rispettano le norme, perché sono tenute a farlo dalla pubblica
autorità, ma sono norme che per loro hanno un valore convenzionale e non sostanziale. Sono regole
come del gioco degli scacchi, devi rispettare le regole del giorno, non sono norme che rispecchiano
dei valori e che se non le rispetti subisci una sanzione. Ma in fase di crescita economica c’è il miraggio
della ricchezza e le norme tendono ad essere rispettate e quindi si scatena la corsa alla ricchezza
nella quale i più spregiudicati, furbi, disonesti, violenti, coloro i quali non hanno coltivato una
coscienza morale non si fanno scrupoli nel calpestare gli altri, più onesti deboli, fragili, deboli che
hanno coltivato una coscienza morale che ti frena ad agire in modo opportunistico, violento. La
scena classica della borsa e quella del negozio di tecnologia digitale dice “ai primi 10 che arrivano,
regaliamo l’ultimo iphone a meta prezzo” ci sono quelle scene di gente che corrono di fronte alle
serrande che fanno di tutto per arrivare primi. Durkheim ha in mente questo, dice che quando nella
società moderna dove viviamo si va a configurare un momento di crescita economica, le norme che
hanno un valore veramente convenzionale perdono progressivamente la loro presa sugli individui
che agiscono ciascuno al fine di massimizzare la propria ricchezza. Ecco che si arriverà a una
situazione di decrescita economica dice Durkheim, anche se può sembrare apparentemente una
contraddizione, nella crescita economica non c’è il miraggio della ricchezza, ma lo spettro della
povertà e quindi i soggetti hanno la percezione di trovarsi in una situazione di scarsità di risorse e
quindi c’è la corsa per accaparrarsi queste risorse scarse. Nella borsa quando gira voce che un titolo

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è destinato a crollare, tutti quelli che hanno quei titoli nel portafoglio cercano di venderli e
naturalmente quando hai un titolo di cui sai che diventerà spazzatura e quei soldi che hai speso per
quel titolo, non varranno più nulla, devi rivenderlo, ma chi lo compra quando gli addetti ai lavori
sanno che verrà svalutato? Lo compreranno i non addetti ai lavori, che però non devono essere
informati della svalutazione  bisognerà quindi agire in modo disonesto. In genere viene fatto con
persone ingenue che si recano in banca con i loro risparmi, che si fidano degli operatori oppure che
hanno dei gruzzoletti messi da parte con fatica, la banca consiglia certi titoli che potrebbero avere
un certo guadagno, poiché’ l’operatore di banca ha ricevuto indicazioni di sbarazzarsi di quei titoli,
però se qualcuno che si fida, li compra, investendo i suoi risparmi in quei titoli si ritroverà con i suoi
risparmi dissolti. Nel primo caso per la corsa alla ricchezza c’è bisogno di prevaricazione della forza,
nel secondo caso per agire contro lo spettro della povertà, bisogna usare l’astuzia. Si viene meno
alla società morale, i soggetti non hanno scrupoli, non si fanno problemi. Altro esempio, ai
telegiornali si dà la notizia di una crisi, di un blocco navale, uno sciopero, questioni geopolitiche per
cui le merci non arriveranno più nei supermercati, per cui tutti correranno ad accaparrarsi le scorte
e immagazzinare i beni di prima necessità per sopravvivere in casi catastrofici. In questi termini salta
la normale interazione governata dalle norme e le persone cominciano a interagire con criteri di
prevaricazioni o furbizia. Durkheim allora dice in queste situazioni i soggetti più fragili entrano in
uno stato psicologico caratterizzato da un forte senso di insicurezza e di vulnerabilità. E appunto
l’assenza di fattori calmieranti (fattori nei quali non ti senti accolto dalla comunità) nella dimensione
comunitaria, nei casi più gravi possono decidere di intraprendere azioni suicidarie, del tipo “addio
mondo crudele. Non voglio dover avere a che fare con un modo così”. Ecco questo è un suicidio che
possiamo classificare come anomico insieme al tipo egoistico, dice Durkheim, dobbiamo aspettarci
che vada ad aumentare nella nostra società. Possiamo cercare di mettere a punto delle
contromisure, però non è automatico, non è detto che le troviamo e non è detto che siano così
efficaci. Perciò Durkheim continua a vederla da positivista e cioè nella società tecnologica-
industriale è un indicatore di progresso, che però ha effetti collaterali anche pesanti. Questa
situazione, per Durkheim, può peggiorare o può essere arginata e se siamo bravi possiamo anche
eliminare buona parte del problema; mentre il positivista classico era sicuro che questi problemi
sarebbero stati risolti. Quindi Durkheim rimane positivista ma in modo in modo realistico,
disincantato. In particolare dice che dovremmo trovare un equivalente funzionale della religione,
quindi un sostituto della religione, perché nelle società organica la solidarietà funzionale va bene,
tiene con i suoi limiti, per cui servirebbe anche una certa linea di valori condivisi, di solidarietà
morale, solo che la società morale è generata dalle credenze religioni condivise, erose dal processo
di modernizzazione e quindi lui dice che questo è preoccupante perché è un circolo vizioso. La sfida
è trovare un sostituto funzionale delle religioni storiche classiche, destinate secondo Durkheim (in
questo è positivista) a perdere l’influenza nella società e nella vita dei singoli soggetti. Cosa sia
questo sostituto funzionale è tutto da capire. Potrebbe essere la nozione dei diritti dell’uomo,
potrebbero essere un insieme di valori in cui tutti ci riconosciamo. Anche se naturalmente non è
una religione, non può essere una religione trascendente dove si riconosce il sovrannaturale. Ed è
per questo che lui si mette a studiare a fondo la religione che poi è l’oggetto del suo ultimo libro del
1915. Durkheim è interessante per il modo in cui vede la religione. Lui non era credente, ma secondo
lui l’esperienza religiosa esiste, è qualcosa di reale. Chi fa un’esperienza religiosa ha un’esperienza
reale, fa esperienza del sacro. Durkheim ha studiato le dicotomie della sociologia della religione tra
sacro e profano. Allora lui dice che durante un rituale religioso si fa esperienza del sacro, anche nelle

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società premoderne e primitive - come aborigeni australiani che ha studiato attraverso gli scritti di
altri -. Le esperienze religiose ci sono in tutte le religioni, anche preistoriche sia semplici tribali sia
quelle più sofisticate come le occidentali, elaborate come quelle europee con tanti rituali. Durate i
rituali religiosi, i credenti fanno esperienza del sacro, una esperienza religiosa reale, per Durkheim
non è una illusione solo che il sacro che loro sperimentano non è il sacro soprannaturale, il divino
soprannaturale, ma il divino immanente. Questo divino immanente altro non è che la società come
realtà sui generis. Perché lui dice come noi guardiamo la realtà della nostra vita ordinaria,
quotidiana, noi vediamo i nostri simili, il mondo naturale e poi vediamo gli oggetti che abbiamo
costruito noi umani (città, palazzi, ecc.). Non vediamo la società, non facciamo esperienza della
società. Questo durante la nostra esistenza normale quotidiana è la nostra esperienza del profano.
Lui dice che nella quotidianità, sia nelle società premoderne che moderne, noi viviamo nella
dimensione del profano, non facciamo esperienza del sacro, però durante un rituale religioso
possiamo fare esperienza del sacro. Il riturale vero e unico religioso, funziona secondo Durkheim in
questi termini: i credenti si ritrovano insieme, intorno a un simbolo, che Durkheim chiama totem.
Lui dice che l’unica forma elementare di vita religiosa intende essenzialmente la religione del
totemismo, la religione nella sua esistenza. Cioè ci si ritrova intorno al totem, che rappresenta,
simboleggia la società, anche se i credenti non lo sanno, rappresenta il divino, il trascendente ciò
che li oltrepassa che non è un trascendente soprannaturale, ma un trascendente entro lo spazio e il
tempo, solo che trascende la nostra esperienza quotidiana. Ma per fare esperienza di società, cioè
del corpo/organismo sociale di cui tutti siamo parte, per fare esperienza del sacro cioè per
sperimentare il fatto che siamo tutti parte di un organismo più grande, c’è bisogno di un rituale
religioso e questa è proprio la funzione della religione, secondo Durkheim. Quindi la religione ha
una funzione di cementare il rapporto tra individui, farli sentire una cosa sola. Questa è l’esperienza
del sacro che avviene durante i rituali religiosi  ci sentiamo una cosa sola. Mentre nella vita
quotidiana ognuno svolge i propri ruoli, ed è l’esperienza del profano, nella quale siamo legati alla
società in relazione alle funzioni. Però non è una esperienza che ci coinvolge nella nostra interiorità.
Per questo Durkheim dice che servono i rituali collettivi. Ad esempio l’Italia è sempre stato un paese
cattolico, con le fiaccolate, le processioni, oltre la funzione domenicale cioè le persone si ritrovano
tutte insieme avendo un rituale religioso che svolge una funzione sociale fondamentale, cioè quella
di far sentire tutti parte di un cuor solo, un anima sola, parte di un corpo più grande che li trascende
e questo infonde serenità, sicurezza e senso di appartenenza e ti motiva ulteriormente ad agire in
modo conforme alle norme e ai valori della società. Ora però lui dice che queste religioni storiche
sono continuamente erose nelle loro credenze dalla società tecnologica, dalla modernizzazione per
cui la religione si indebolisce. Però un suo sostituto funzionale non è soltanto un concetto o delle
idee, per essere un sostituto funzionale deve avere dei rituali, come quelli religiosi. Bisogna quindi
studiare e trovare un sostituto funzionale alle religioni storiche, che sono destinate a scomparire e
che possa svolgere la funzione della religione, cioè far fare esperienza alla società del sacro, ciò che
ci trascende, ciò a cui apparteniamo che ci permette di vivere e ciò per cui noi viviamo. Per Durkheim
questa idea della religione immanente, che svolge una funzione è il concetto su cui si basano le
religioni politiche. Ad esempio sappiamo, che il socialismo tedesco aveva uno componente religiosa
e aveva i suoi rituali religiosi che servivano a far si che il popolo tedesco si sentisse investito di una
missione storica, si sentisse divinizzato e si cementasse attorno ai leader, alla classe dirigente del
nazionalsocialismo e in particolare al leader che la guidava. Avete presente, avrete visto dei
documentari di queste gigantesche manifestazioni ad esempio a Norimberga, nella notte, con le

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fiaccole dei nazisti e rappresentano tutto il rituale di una religione politica. Durante il quale i singoli
individui nella esperienza del rituale vivono poi la loro vita normale, vanno a lavoro e tornano casa,
fanno cose normali vivono nella dimensione del profano, nella quotidianità. Non fanno esperienza
di essere parte di qualcosa di più grande, non hanno una visione storica mentre partecipano al
rituale collettivo, rituale sapientemente costruito per far si che sia efficace a unire tutti, i tedeschi
quindi passano dalla dimensione del profano a quella del sacro e vivono un’esperienza religiosa
collettiva, un’esperienza in cui il popolo tedesco viene investito della sua missione storica, come se
vivesse in un'altra dimensione. Questo è ciò che intende Durkheim quando parla di sostituto
funzionale della religione. Durkheim muore nel 1917, quindi molto prima dell’avvento del
nazionalsocialismo, ma lui ha solo spiegato il meccanismo delle religioni politiche (non conosceva il
nazismo, è un esempio per comprendere quale possa essere una religione politica). Durkheim ha
illustrato il concetto di potere carismatico: quindi il concetto di carisma. Lui dice che dobbiamo fare
in modo che i singoli individui nel mondo moderno vivano un’esperienza religiosa collettiva,
attraverso un rituale ipotetico che serve a questo. Non tutti i sostituti funzionali delle religioni sono
religioni politiche e non tutte le religioni politiche hanno conseguenze nefaste come il
nazionalsocialismo. Questo accade anche nelle democrazie, noi celebriamo il 25 aprile, celebriamo
la liberazione dal nazifascismo e l’inizio della repubblica democratica. C’è una manifestazione di
popolo. Il Presidente della Repubblica va all’altare della Patria con le frecce tricolori, è un rituale
religioso, quindi è un sostituto funzionale della religione, che serve per fare esperienza di società
come esperienza del sacro, ci ricorda che apparteniamo alla società che ci permette di esistere 
noi coesistiamo: la tua esistenza, le cose che fai ogni giorno sono al servizio di un organismo più
grande di cui sei parte integrante. E quindi Durkheim dice che è essenziale, poiché la religione svolge
una funzione sociale fondamentale non sostituibile. Fino adesso l’hanno svolta le religioni storiche,
che secondo il punto di vista illuminista e positivista vengono costantemente erose dal processo di
modernizzazione e quindi bisogna trovare un sostituto funzionale, perché con l’interdipendenza
delle funzioni ci troviamo solo nella dimensione del profano e se viviamo solo nella dimensione del
profano, allora non percepiamo il fatto di essere una sola cosa, tendiamo sempre di più ad agire e
in caso di deficit normativo tendiamo ad agire egoisticamente, in modo autoreferenziale,
individualista. Invece questo tipo di esperienza riempie di senso anche la nostra vita nel quotidiano,
nel nostro lavoro, nelle interazioni, vengono riempite di un senso altro, molto più profondo, rispetto
a quello solo funzionalistico delle cose. I ruoli che svolgiamo pienamente acquisiscono un valore più
profondo, però queste esperienze devono avere una certa regolarità. Sono appunto, nel caso dei
regimi liberal democratici, sono le feste come il 1 maggio, 2 giugno, 25 aprile. Sono le feste in cui
siamo invitati a far parte del fatto che siamo un popolo che condivide dei valori, contenuti nella
Costituzione, rappresenta la Costituzione e incarna questi valori  è quindi un rituale, secondo D.
che svolge le funzioni della religione. Di per sé non è necessario, non si produce qualche cosa, non
si realizza qualche cosa, me è un atto simbolico che però è indispensabile per cementare, far fare
esperienza e memoria di essere parte di qualcosa di più grande.
Ogni nazione ha il suo rituale, in America per esempio è il 4 luglio.

MAX WEBER
È contemporaneo di Durkheim, nasce nel 1864 e muore nel 1920. Ed è considerato una delle menti
più importanti della sociologia, insieme a Durkheim. Era uno dei massimi intellettuali europei
dell’epoca, era anche un giurista e uno storico, un politologo poi come tutti gli intellettuali tedeschi
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aveva un potente carico filosofico. Anche Weber, offre un contributo fondamentale alla sociologia
dà buon sapere alla disciplina accademica. La cosa interessante è vedere come Marx, Weber
Durkheim, Comte, Spencer, pur avendo dei punti di vista molto diversi, pur essendo vissuti
esattamente nella stessa epoca, hanno avuto intuizioni che valgono ancora tutt’oggi da un lato e
dall’altro hanno compreso le stesse cose, anche se poi le hanno espresse in modo diverso, ma hanno
visto gli stessi fenomeni molto chiaramente. Ad esempio anche in Weber è centralissima la
questione del capitalismo dello stato, della democrazia e della burocrazia legata allo stato, anche il
tema della religione per Weber è fondamentale. Ha scritto tante cose, ma è ricordato in particolare
per il libro “Il metodo delle ricerche storico sociali”, è il libro nel quale lui conferma la sociologia
come disciplina accademica. Un libro fondamentale. Però per quanto riguarda i contenuti ci sono
altri due scritti fondamentali: uno è “Economia e società”, un’opera postuma, in cinque volumi,
uscita a cura della moglie di Weber, che ha raccolto i suoi scritti non ancora pubblicati, li ha preparati
per la pubblicazione e li ha fatti pubblicati: in quest’opera riguardante la sua teoria della società ci
sono tutte le cose più importanti che lui ha scritto a riguardo. Però l’opera più importante, che ha
quasi completato in vita, si intitola “La sociologia delle religioni”. Questa Sociologia delle religioni
mondiali, non parla delle religioni classiche, ma si basa sulla sensibilità della filosofia tedesca, dei
suoi amici filosofi contemporanei, che lui ha fatto schematizzato secondo la sua idea. Che cosa dice
Weber nel libro Sociologia delle religioni? Sostanzialmente lui qui espone una sua intuizione in modo
grandioso. Per cui lui dice che la religione è una delle variabili causali, uno dei fattori definitori – che
definiscono – l’economia. Cioè la religione dice Weber plasma è l’economia. La struttura economica
delle società mondiali è plasmata dalla matrice teologica di queste società. Difatti lui studia le
religioni mondiali, il rapporto tra l’impianto economico delle grandi società mondiali e la matrice
religiosa di queste. Lui comincia nel primo volume con l’Europa moderna, studiando in particolare il
rapporto tra protestantesimo e capitalismo; quindi la religione come variabile causale, variabile
indipendente. Poi lui sostiene che non è la religione a plasmare il tutto, ma ci sono una serie di
fattori storici, contingenze storiche, che plasmano il tessuto economico, quindi la struttura
economica, di una società. Tra questi fattori ci sono sempre i fattori religiosi, fattori particolarmente
importanti. Lui era un plurifattorialista. Cioè dice che i fenomeni sociali sono causati da diversi
fattori, non solo da uno. Ad esempio per Marx i fenomeni sociali sono tutti causati dalla guerra
economica, dai rapporti economici e dalla produzione: cioè una sola variabile che determina tutta
la struttura sociale ed ideologica. La variabile economica determina la struttura economica della
società e di riflesso la sovrastruttura ideologica. Ma questo perché Marx aveva ancora una idea, una
filosofia della storia, monofattorialista. Weber invece non era certo lontano anni luce dal marxismo,
infatti sostiene le cose dette da Marx soprattutto riguardo al discorso della religione e della società,
che contengono degli elementi di verità, però il racconto della società è anche diverso, perchè non
è limitato a una visione economica. Quello che ha capito Marx è che anche l’economia può
influenzare e plasmare la religione, può utilizzare la religione come sovrastruttura ideologica per
confermare la struttura in classe e dare potere alle classi dominanti. Però Weber sostiene che in
realtà è molto più vero il contrario. Nel medio lungo periodo è molto più la religione a plasmare,
anche se nel breve periodo si può vedere in taluni casi, la religione che può svolgere funzioni per le
classi dominanti. Però dice storicamente, lui che era un grande storico, possiamo vedere come siano
prevalentemente le religioni a plasmare il tutto delle società (lo troviamo nelle sue opere), cioè la
matrice teologica plasma la matrice economica, la struttura economica. Nel primo volume studia
particolarmente il rapporto tra quello che lui chiama il capitalismo occidentale moderno, cioè quello

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di cui abbiamo parlato fino adesso: la società industriale collegata allo sviluppo delle scienze e della
tecnica. Un circolo vizioso o virtuoso per cui la scienza e la tecnica alimentano la società industriale,
la quale a sua volta alimenta la scienza e la tecnica. Il capitalismo occidentale moderno si è formato
attraverso un processo lungo e articolato, attraverso tutta una serie di fattori, tra questi vi è anche
quello religioso che ha svolto il ruolo preponderante. Non è l’unico, ma è il più importante e lui fa
riferimento al protestantesimo e in modo specifico al calvinismo. Allora, in questo primo volume
famosissimo, Weber parla dello spirito del capitalismo e del protestantesimo. Insieme ad altri due
saggi, questo testo è il primo dei quattro volumi della opera di Weber. Sono due livelli educativi
religiosi anche se il secondo è più un’etica, uno stile di vita dello spirito del capitalismo. L’etica del
protestantesimo è stata plasmata dal capitalismo. Poi gli altri volumi sono dedicati al rapporto
religione economica nelle altre civiltà mondiali, quindi lui studia la civiltà dell’India, in particolare il
rapporto tra induismo e la struttura economica della società indiana tradizionale. La stessa cosa fa
per il confucianesimo, il taoismo e il buddismo. Questo ci fa capire sia i suoi studi sia l’originalità
della sua idea, del rapporto stretto stretto tra religione ed economia, però di tipo opposto a quello
messo in luce da Marx. Invece in “Economia e società” lui si occupa del concetto di potere, che è il
fenomeno del potere. Il potere nel senso di obbedienza. Cioè tutte cose che noi diamo per scontate,
a cui non pensiamo. Perché’ obbediamo a un comando? Qual è il motivo per il quale soggetti liberi
obbediscono al comando? Obbediscono per il potere. Per cui questa questione va studiata a fondo,
perché è uno dei pilastri della società, ma nel mondo moderno assume una forma particolare. Per
cui uno al comando, dà un comando ad un altro, che obbedisce. La stessa cosa la fa il capitalismo,
questo lo spiega nel rapporto tra protestantesimo e capitalismo. Parla del fenomeno della
burocrazia che è collegato al fenomeno del potere. E infine c’è la questione fondamentale, che è
alla base di tutto questo: cioè l’agire sociale. Weber elabora la sua famosa tipologia sui fondamenti
dell’agire sociale, o tipologia quadripartita dell’agire sociale. In questo caso egli procede applicando
due volte il metodo della tipizzazione, cioè della costruzione di tipi ideali. Innanzitutto dobbiamo
distinguere due tipi ideali generali: il tipo ideale dell'agire sociale razionale e il tipo ideale dell'agire
sociale non pienamente razionale. Successivamente, a ciascuno di questi due tipi generali si applica
ancora il metodo della tipizzazione andando alla ricerca di profili più particolari e ottenendo due
“sottotipi”, uno per ogni tipo generale: in totale 4 tipi ideali.
Procedura di tipizzazione dell'agire sociale:
1. Primo livello: si ottengono due tipi (A e B)
A. Agire sociale razionale (TIPO IDEALE)
B. Agire sociale non pienamente razionale (TIPO IDEALE)
Secondo livello: si ottengono 4 tipi (due per ciascuno dei primi due tipi, A e B)
A. AGIRE SOCIALE RAZIONALE
A1. Agire sociale razionale rispetto allo scopo (tipo ideale)
A2. Agire sociale razionale rispetto al valore (tipo ideale)
B. AGIRE SOCIALE NON PIENAMENTE RAZIONALE
B1. Agire sociale tradizionale (tipo ideale)

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B2. Agire sociale affettivo (tipo ideale)
Weber delinea quindi due tipi ideali di agire sociale razionale e due tipi ideali di agire sociale non
pienamente razionale. Nel loro insieme questi 4 tipi ideali formano quella che è nota come tipologia
weberiana dell'agire sociale:
1. Agire sociale razionale rispetto allo scopo
2. Agire sociale razionale rispetto al valore
3. Agire tradizionale
4. Agire affettivo
Il problema dell’agire sociale si riferisce alle azioni che i soggetti agenti, le persone, intraprendono
nella società. E quindi sostanzialmente sono sempre azioni che sono sempre dentro a delle
interazioni. L’agire sociale è sempre un agire nei confronti di uno o più interlocutori. Il soggetto
umano ha un agire sociale quando è rivolto a uno o più suoi simili. L’agire dei soggetti umani in
società. Un’altra cosa che dice Weber, cosa vuol dire ragionare sull’agire sociale? Cioè Weber si
chiede cos’è che ci muove ad agire in un certo modo nei confronti dei nostri simili? Che è una
riflessione che parte sempre dallo stesso presupposto, cioè che il soggetto è diverso dagli altri esseri
viventi, dagli animali, pur essendo noi anche animali. Noi umani siamo diversi, secondo Weber,
grazie alla questione del pensiero e della libertà. Questa roba qui fa si che l’agire sociale, l’agire
umano in società, sia qualche cosa che va studiato, che va compreso, perché è qualche cosa che può
essere orientato. Perché l’essere umano agisce tendenzialmente, in regola generale, desidera, è
spinto ad agire in modo coerente con ciò che pensa, in base alle sue valutazioni e alle sue riflessioni.
Le sue azioni sono sovente esito di una sua decisione, che è il risultato di un ragionamento, di una
riflessione. Ed è questa la logica che sta alla base del suo studio sull’etica protestante e sullo spirito
del capitalismo. Lui dice il protestantesimo ha messo nella testa dei suoi credenti tutta una serie di
credenze e convinzioni, che ha portato a pensare che sia giusto e doveroso agire in un determinato
modo, si identifica in un certo stile di vita al cui centro c’era il lavoro e questo nel giro di secoli ha
dato origine alla struttura del capitalismo, che ha preso forma poco per volta. Ha innescato la
scintilla da cui si è sviluppato. Dice Weber oggi abbiamo il capitalismo nella potenza dei suoi
apparati, però all’inizio non c’era l’industria, il lavoro, il libero mercato, il sistema bancario, il mondo
di scambio finanziario, il mondo dei trasporti, tutte cose su cui si regge la società industriale. Questo
fenomeno gigantesco, che è la società capitalistica occidentale, prima non c’era. Come ha fatto una
società così mastodontica a prendere forma? Al centro c’è la tecnica d’accordo, però ci manca un
anello di congiunzione. In che modo è diventato alla fine un sistema capitalistico? Senza tenere
conto del fatto che ha subito un’accelerazione ulteriore. Questa cosa qua che, lui dice, che plasma
la società moderna ed entra nelle nostre vite in modo feroce da dove viene? Come ha fatto
storicamente a formarsi, a costituirsi? Che cosa c’è alla base? Deve esserci sotto qualcosa di grosso.
Secondo lui, sotto ci sono tutta una serie di fattori che hanno iniziato a interagire, però secondo lui
il più grosso è la riforma protestante. Cioè un cambiamento, una trasformazione di tipo culturale
ancora in corso. Anche Weber, come Durkheim, aveva uno sguardo pessimistico del mondo
moderno in Europa. Lo sguardo di Durkheim era uno sguardo preoccupato, quello di Weber invece
era pessimistico. Per Durkheim ci sono delle preoccupazioni e oggettivi motivi di preoccupazione,
che però effettivamente possono essere risolti, non è detto però che vengano risolti, ma insieme ci

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possiamo provare. Invece per Weber la situazione in cui ci troviamo è sostanzialmente irrisolvibile
ed è tragica, il mondo moderno dice Weber, lo porta in un’epoca tenebrosa. Lui è fortemente
preoccupato per il futuro. Un filosofo italiano, Costanzo Preve, già morto, non è molto famoso, ma
molto preparato ha affermato che il pensiero di Weber, sull’analisi del mondo moderno e il
concepimento del mondo moderno, rappresenta la versione edulcorata di ciò che pensa ed esprime
Nietzsche, Weber però ha espresso questi concetti nel suo linguaggio: cosi poetico, per aforisma,
infatti è uno dei massimi vertici della poetica tedesca, ma quello che Nietzsche dice con il suo
linguaggio visionario, Weber lo ha espresso con un linguaggio edulcorato, coretto e lucido. Hanno
però visto la stessa cosa.
I criteri secondo il quale l’essere umano agisce in società:
La società è il risultato delle azioni degli individui. Il concetto è centrale nella sociologia
dell’educazione, perché lo scopo dell’educazione è proprio quello di far sì che le persone agiscano
in un certo modo. L’agire sociale è lo stesso che sta alla base del principio dell’educazione. A Weber
non interessano le azioni intraprese in un’isola deserta, ad esempio, perché si tratta di
comportamenti, non di azioni. Egli pensa all’agire sociale come l’agire dotato di senso. Questo senso
è ciò che il soggetto, che compi l’azione, ha in mente; ovvero il senso che sta alla base del pensiero
del soggetto che compie l’azione.

 Weber si concentra sulla centralità dell’individuo, in particolare nel rapporto tra individuo-
società  nessun essere umano accetterà mai di intraprendere un’azione che non sente di
intraprendere, che non abbia senso per lui intraprendere.
 Durkheim si concentra sulla centralità della società  la libertà individuale è meno
importante della società. Il peso che ha l’individuo nel rapporto individuo-società tende a
zero.
Nel positivismo-funzionalismo il protagonista dell’azione viene definito attore sociale. Mentre nella
prospettiva weberiana, chiamata sociologia comprendente, il protagonista dell’azione è detto
soggetto agente. I positivisti-funzionalisti ritengono che l’individuo reciti una parte, stabilita dalla
società. Mentre per Weber la società sì, ha interesse a plasmare l’individuo, ma nonostante la sua
potenza, gli esseri umani sono sempre soggetti. L’influenza quindi esercitata su di loro viene sempre
filtrata, e il loro agire conforme alle aspettative della società passa sempre prima dalla loro volontà;
essi sono responsabili delle loro azioni, sono consapevoli di starsi adeguando alla società, sia con
voglia, che controvoglia. Per Durkheim l’attore sociale è programmato dalla società attraverso
l’educazione, per questo egli si concentra sulla potenza della società. L’agire sociale è un agire
dotato di senso intenzionato, il soggetto è consapevole di questo senso; esso non è inconscio,
definito dalla società e intrapreso passivamente. Inoltre è intelligibile, cioè comprensibile dai suoi
interlocutori, da coloro nei confronti dei quali egli ha intrapreso la sua azione. Questo è possibile
per il fatto che di solito i soggetti interagiscono tra di loro condividendo una cultura, un linguaggio.
Le azioni sono delle interazioni sociali che avvengono indossando dei ruoli sociali all’interno di
determinate situazioni, che sono ben comprensibili dagli interlocutori. Il mondo va avanti perché
coloro che lo abitano interagiscono tra di loro e l’agire di ciascuno di essi è un agire di senso
intenzionato intellegibile, che parla di sé stessi, che racconta qualcosa sulla propria interiorità,
razionalità, soggettività. I ruoli sociali servono alla società, ma poi ciascun ruolo è svolto da persone
che sono soggetti unici e irripetibili, quindi ognuno, il medesimo ruolo, lo può interpretare in
maniera diversa, basandosi sulla propria interiorità, indipendentemente dalle aspettative di ruolo.
60
Questo aspetto è importante anche in una società moderna e fortemente organizzata, perché vi è
comunque la possibilità di portare sé stesso al mondo.
Weber è molto pessimista, ha capito le stesse cose di Durkheim, ma essendo il suo un pensiero
tedesco e kantiano, sono presenti forti differenze tra i due, dal punto di vista del contesto. Weber
ritiene che l’agire umano, per sua natura è tendenzialmente sensibile a quattro fattori motivazionali,
che definiscono il senso, all’interno di due diverse dimensioni che devono conciliarsi: l’azione dentro
la realtà e il pensiero  l’essere umano vive all’interno di uno spazio-tempo, ma ha bisogno che la
sua esperienza nella realtà sia conforme al suo pensiero.
Questi due tipi di fattori motivazionali sono tipi ideali dell’agire sociale e hanno una caratteristica in
comune, si possono definire come tipi ideali non del tutto razionali  il soggetto non ha bisogno di
soffermarsi a pensare, perché sono dei fattori motivazionali che si affermano in maniera diretta,
muovono subito la persona ad agire.
Quelli invece razionali sono più interessanti per studiare e capire il rapporto individuo-società, sono:
1. IL FINE-LO SCOPO (agire sociale razionale rispetto allo scopo): l’individuo decide di intraprendere
un’azione per raggiungere uno scopo o realizzare un certo risultato. Si tratta di un agire
strumentale, perché interessa la dimensione dell’esistenza umana che si articola nello spazio e
nel tempo. Per raggiungere gli obiettivi si tiene conto delle risorse e degli strumenti che si hanno
a disposizione. Consiste nella massimizzazione del rapporto mezzi-fini. È razionale perché
bisogna fermarsi a capire quali sono i fini e quali sono i mezzi a disposizione, raccogliere
informazioni e capire se è semplice o meno raggiungere certi obiettivi. Bisogna valutare il tempo,
il denaro, organizzarsi con i mezzi a disposizione e stabilire quindi il senso, che sarà basato sulle
capacità e sulle conoscenze individuali. Nel mondo moderno, che è così complesso, bisogna
fermarsi a pensare, e ci sono molte più variabili complesse rispetto al mondo premoderno.
L’azione è efficace quando si raggiunge l’obiettivo, mentre è efficiente quando per raggiungere
l’obiettivo viene massimizzato il rapporto mezzi-fini.
2. I VALORI (agire sociale razionale rispetto al valore): qui si presenta un agire assiologico, perché i
valori sono un asse importante d’azione. Qui il senso è la fedeltà e la testimonianza rispetto ai
valori. Agendo in un determinato modo, si dà senso, cioè si è fedeli, e si dà testimonianza a
determinati principi e valori. Anche qui l’agire è razionale, perché l’azione è conforme ai propri
valori, è scaturita in seguito ad un pensiero, infatti ciò richiede il soffermarsi a pensare a quale
azione è meglio intraprendere: richiede pensiero e riflessione.
3. AFFETTIVITÀ (agire sociale di tipo affettivo): potente fattore motivazionale, che spinge a fare
cose anche pericolose, in quanto mossi da un legame affettivo molto forte, che coinvolge
emotivamente.
4. TRADIZIONE (agire sociale di tipo tradizionale): non intende i valori tradizionali, ma la
consuetudine, l’abitudine. Una parte delle nostre azioni, noi le intraprendiamo perché abbiamo
sempre fatto così, non perdiamo tempo ad inventare nuove abitudini.
L’agire umano è come fosse una moneta con entrambe le facce, che non vanno intese come
alternative distinte. L’essere umano vive in entrambe le dimensioni, interna ed esterna. L’esigenza
è quella di mettere insieme entrambe le dimensioni per fare in modo che l’individuo sia in equilibrio
con sé stesso, sia contento e si riconosca. La razionalità al valore e quella allo scopo, sono entrambe
essenziali per l’individuo, servono entrambe, perché la prima mette nelle condizioni di raggiungere

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un obiettivo, ma non definisce lo scopo, indica solo come raggiungerlo in modo efficiente; mentre
lo scopo viene definito in parte dalla razionalità al valore, in parte dalla società stessa. Se si decide
di perseguire uno scopo, è perché è stato selezionato dalla razionalità al valore, la quale lo ritiene o
meno conforme, dà o meno il via libera. Se ci fosse solo quella al valore, si rischierebbe di inseguire
dei castelli in aria, illusioni, obiettivi non realistici e non fattibili, irraggiungibili.
Il problema del mondo moderno è che ha scisso questi due aspetti della razionalità e li ha messi in
contrapposizione. Nel normale fisiologico funzionamento della ragione umana sono distinte, ma
interagiscono e la propria personalità dipende dal modo in cui esse interagiscono. Invece il mondo
moderno si struttura su apparati giganteschi come le grandi organizzazioni burocratiche, con a capo
lo Stato, e le grandi organizzazioni del capitalismo, le cui potenze innescano sull’individuo un potere
enorme. Questi apparati hanno la necessità che gli individui agiscano in modo conforme al loro
incremento, alla loro evoluzione e riproduzione. Il mercato si organizza in modo burocratico e ne
consegue un processo di burocratizzazione dell’intera società, gli individui devono agire in modo
prevedibile e le loro azioni devono quindi diventare parte di protocolli e procedure standardizzate.
Si assiste ad un processo di eterogenesi dei fini, si giunge ad una società in cui gli apparati non sono
posti al servizio degli individui, ma al contrario sono questi ultimi ad essere a servizio degli apparati.
Viene mantenuta la razionalità allo scopo, ed emarginata quella al valore. L’individuo deve essere
funzionale al mondo esterno, e per far ciò deve emarginare la sua interiorità, la sua razionalità al
valore. Avviene quindi un processo di razionalizzazione, che porta all’assolutizzazione della
razionalità strumentale. Allo stesso tempo, si assiste al processo di secolarizzazione, che porta
all’emarginazione della razionalità assiologica nella sfera della irrazionalità.
Per Weber potremmo dire che il processo di modernizzazione si può tradurre nelle tre fasi di
razionalizzazione, burocratizzazione e secolarizzazione.
Per Weber le interazioni sociali vengono improntate secondo un criterio di massimizzazione dei
rapporti mezzo-fini dove i fini sono dominati da denaro e potere cioè i due mezzi di scambio
principali di capitalismo e stato.

Weber affronta un’altra tipologia dell’agire sociale: tipologia del potere decisivo. Siamo sempre
nella prospettiva di Weber dell’esigenza di spiegare fenomeni sociali più rilevanti, e per lui il più
importante è l'agire sociale.
Weber studia anche i sistemi educativi perché l’educazione serve a orientare quel nesso per cui si
compone la nostra esistenza, la dimensione riflessiva e pratica.
Il fenomeno che per Weber è necessario mettere a fuoco è quello del fenomeno del potere inteso
come il motivo per cui un soggetto A compie quello che gli viene detto dal soggetto B, il soggetto B
è in grado di ottenere obbedienza dal soggetto A.
Questo fenomeno serve a capire le dinamiche dei processi sociali però Weber distingue tra
l’obbedienza dovuta da ragioni di forza e minaccia e quella ottenuta per autorità.
Weber dice che il fenomeno della forza è presente in natura in quanto il più forte domina sul più
debole, quindi dal punto di vista sociologico non ci interessa. Weber si interessa invece all’autorità
che lui chiama potere legittimo dove il soggetto sottoposto al potere obbedisce ai comandi
dell’altro perché ritiene che costui abbia il titolo per farlo, ritiene che sia giusto obbedire. Nessuna
società può stare in piedi con l'obbedienza dovuta alla minaccia.

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Ottenere obbedienza stabile e duratura è possibile soltanto a condizione che questi individui
riconoscano come legittimo il comando che ricevono. Obbediscono assecondano gli ordini, è come
il funzionamento dei ruoli sociali che prevedono sempre delle aspettative di ruolo, ed èil modo
secondo cui la società esercita un potere coercitivo.

Weber dice che per studiare il fenomeno del potere legittimo dobbiamo studiare le modalità
secondo cui si riconosce una legittimità. Osservando le dinamiche del potere politico Weber
individua tre contenuti di questa legittimità che fanno sì che l’individuo decida di agire secondo gli
ordini:
1. Potere carismatico cioè quando colui che vuole ottenere obbedienza è in grado di dimostrare di
essere portatore di un carisma allora ha buone probabilità di ottenere obbedienza in quanto
verrà visto dagli altri come uno che legittimamente chiede di essere ascoltato e uno a cui può
avere senso obbedire.
Per Weber il carismatico è qualcuno che non rientra nell’ordinario, il concetto di carisma serve a
sottolineare una diversità dagli altri. I veri capi carismatici hanno maturato delle capacità e
qualità straordinarie: sono avidi oratori e condottieri che hanno ottenuto obbedienza da un
numero elevato di persone.
Il capo carismatico deve costantemente dare dimostrazione delle sue qualità straordinarie e per
Weber questo è un problema. Altro problema è che quando il carisma viene meno, il potere che
è stato costruito intorno a lui rischia di scomparire.
Un capo carismatico deve preoccuparsi di quello che avverrà dopo la sua perdita di carisma e deve
mettere in atto dei processi di burocratizzazione e istituzionalizzazione del potere.
Quando viene meno il potere carismatico se c’è una struttura amministrativa per la gestione del
potere, questa consentirà di mantenere il fatto che il carisma sia costruito intorno al carisma.
Per cui Weber si chiede qual è il processo con cui nascono le grandi organizzazioni storiche?
inizialmente nascono come delle sette intorno ad un capo, ma se questo perde carisma, le sette
vanno a trasformarsi in una struttura che Weber chiama chiesa. La chiesa nel campo religioso è
un apparato che serve a preservare quei contenuti che prima si reggevano solo sull’autorevolezza
del capo. Chi sarà al vertice di questa organizzazione avrà un carisma d’ufficio che gli deriva dal
fatto di occupare il posto più alto.

Quei poteri che si costituiscono sul carisma pensano l’educazione in un modo particolare, è
sempre nell’interesse del potere lavorare ad un programma educativo per cui gli allievi vengano
motivati a riconoscere nel capo carismatico qualcuno a cui è dovuta obbedienza.
I processi educativi servono a consolidare l’obbedienza.
Weber dice che i poteri fondati sul carisma elaborano dei programmi educativi orientati a
plasmare degli adepti (o iniziati), cioè soggetti fedeli al capo, testimoni del suo carisma e
divulgatori di una concezione del mondo, della storia e della società coerenti con i contenuti
programmatici del carisma, che possono anche contenere più o meno marcati elementi profetici
o utopici. Abbiamo dunque il tipo ideale dell'adepto (o iniziato).

2. Potere tradizionale che si basa sull’autorità della tradizione. Per tradizione si intende sia la
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consuetudine (si è sempre fatto così) sia l’obbedienza come agire razionale assiologico (cioè
rispetto al valore). Ad esempio nella monarchia la successione alla corona può avvenire per
consuetudine dandola al primogenito maschio oppure per obbedienza al valore quando si pensa
che una forza divina abbia scelto il successore.
Weber si chiede che tipo di programmi educativi vuole mettere in atto il potere tradizionale:
questo potere pensa agli educandi come uomini colti, cioè depositari di un preciso patrimonio
culturale al contempo ampio e variegato, ma anche organico e coerente, soprattutto in campo
umanistico: in campo letterario, artistico, morale, filosofico, religioso, pedagogico. Il programma
educativo da mettere in atto è quello che ha lo scopo di plasmare un popolo di colti non nel senso
di eruditi ma nel senso di soggetti che abbiano una visione del mondo onnicomprensiva perché il
rapporto col potere è un potere con il divino. Il potere tradizionale senza una cultura non avrebbe
legittimità.
Secondo Weber con l’avvento della modernità le dinamiche del potere cambiano, il potere
tradizionale e carismatico sono destinati a scomparire. Nel mondo moderno si è affermato un
altro tipo di potere  il potere legale.

3. Potere legale-razionale si è affermato nelle società moderne anche in quei paesi dove si è
mantenuto il potere monarchico come in Inghilterra. Weber dice che a fondamento del potere
legale razionale c’è il rispetto delle procedure.
Ad esempio nel regime democratico ci sono delle leggi che regolamentano il potere.
Se si applica un protocollo, in questo caso la legge elettorale, l'esito di questa procedura
conferisce legittimità di esercitare il potere a chi vince.
Poi questa persona vincitrice può anche avere carisma ma ciò che conta è la vincita elettorale.

 Alla tipologia del potere corrisponde una TIPOLOGIA DI EDUCAZIONE.

In questi casi del mondo moderno, il potere ha in mente un tipo di educazione che pensa glieducandi
come dei professionisti o specialisti. Questa è la conseguenza del fatto che il mondo tecnologico è
dominato dalla razionalità dello scopo ed è quindi una società che si pensa in funzione dell'efficienza
per raggiungere obiettivi materiali. È una società scientifica e tecnologica che per funzionare ha
bisogno di specialisti. Un leader politico deve dare prova di essere un professionista della politica.
Weber dice che la democrazia può essere una buona cosa se seleziona i più capaci con leelezioni, la
campagna elettorale serve infatti ai candidati per dimostrare di essere competenti. Ma Weber dice
che in realtà sovente accade che coloro che vincono le elezioni non sono i migliori oppure sono
corretti dalle minoranze attive.
Analogamente anche nel mercato del capitalismo fanno carriera coloro che dimostrano di essere
capaci, nel mondo moderno si deve dimostrare di essere in grado di raggiungere obiettivi concreti
secondo il criterio dell'efficienza = massimo risultato con il minimo sforzo. Certamente ci può essere
il fenomeno della corruzione ma di per sé il fenomeno del potere funziona secondo questo criterio,
quindi il popolo va educato ad obbedire a colui che si dimostra capace di raggiungere gli obiettivi
nel rispetto delle regole.
Dal punto di vista formale nel nostro modo importa la correttezza procedurale insieme alla

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competenza.
Anche lo specialista ottiene obbedienza, ad esempio l’insegnante che ha seguito una certa procedura
di formazione.

La burocrazia così come l’educazione, hanno bisogno per sostenersi ed esercitare il loro potere di
avere a disposizione un apparato amministrativo.
Chi detiene il potere politico prende delle decisioni ma poi queste devono essere legittimate e
diventare procedure a cui sottoporre la popolazione.
L’apparato amministrativo del potere legale-razionale è la burocrazia. Tutti i membri dell'apparato
burocratico sviluppano secondo Weber un senso di appartenenza per l'apparato per il quale
lavorano. Ognuno è esperto nelle procedure di cui si occupa.Questo insieme di cose sviluppa nel
funzionario uno spirito di corpo e un orgoglio di mestiere, si crea solidarietà tra i membri
dell’apparato.
Per Weber nel mondo moderno non c’è spazio per i dilettanti perché è organizzato in modo tale da
trasformare le nostre interazioni sociali in protocolli e procedure per le quali è necessario ci siano
degli specialisti, è quindi necessario che l’educazione formi degli specialisti da inserire nella
burocratizzazione.
Weber dice che l’apparato burocratico non può non formarsi in senso gerarchico perciò ogni
funzionario ha un capo da cui prendere ordini. Proprio per il fatto di avere come finalità il
raggiungimento di obiettivi, gli apparati burocratici enfatizzano la questione del controllo.
Il tipo ideale della burocrazia presenta le seguenti CARATTERISTICHE IDEALTIPICHE (cioè
distintive)21. Il principio della COMPETENZA
• Il funzionamento della burocrazia è disciplinato da una fitta rete di normative e regolamenti,
procedure e protocolli; questa regolamentazione comporta la divisione dei doveri e dei poteri di
ufficio, il loro adempimento continuativo e regolare nel rispetto delle norme e delle procedure
previste. È necessario che i funzionari abbiano una puntuale conoscenza di questa
regolamentazione, sebbene ciascun funzionario sia addestrato per conoscere soltanto una parte
relativamente piccola dei regolamenti e ad eseguire una parte relativamente piccola delle
procedure e dei protocolli, ovvero quelle parti che competono alla sua specifica mansione.
 La conoscenza infatti è potere; al fine di esercitare sui propri funzionari un efficace potere di
controllo, l'apparato burocratico fa in modo che nessuno dei funzionari conosca nei minimi
dettagli tutti i regolamenti e le procedure, ma soltanto quella parte di essi/e di cui egli necessita
per svolgere in modo efficiente le specifiche e circoscritte mansioni che gli sono affidate nel suo
ufficio. Questo vale anche per i vertici degli apparati burocratici, cioè gli alti funzionari: questi
hanno una conoscenza generale dei regolamenti, dei protocolli/procedure, ma non hanno una
conoscenza dettagliata dei singoli passaggi come la può avere invece un semplice funzionario, il
quale pur ignorando la procedura nel suo insieme, è però specializzato in quella specifica
mansione. In forza del principio gerarchico (2) e del principio di specializzazione (3), l'apparato
burocratico regolamenta il principio di competenza in modo razionale rispetto alla realizzazione
degli scopi propri dell'apparato burocratico.

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2. Il principio della GERARCHIA degli uffici
L'apparato burocratico è organizzato secondo una distribuzione gerarchica del potere e
dell’autorità: ogni funzionario è sottoposto a una rigida catena di comando, per cui egli prende
ordini dal suo diretto superiore e soltanto a lui rende conto del proprio operato. La carriera dei
dipendenti, cioè la loro mobilità ascendente all'interno dell'apparato burocratico, dipende non solo
dall'abnegazione/professionalità dimostrate nel lavoro e dall'anzianità, ma anche dalla fedeltà al
principio gerarchico e al segreto d'ufficio.

3. Il principio della SPECIALIZZAZIONE


Una specifica preparazione professionale, in forza della quale i funzionari sono dei professionisti i
quali: hanno completato un percorso di studi specialistico, conseguendo un diploma o una laurea
che permette loro di presentarsi ai concorsi pubblici per il reclutamento dei funzionari burocrati.
Una volta eventualmente superato positivamente il concorso, essi sono assunti a tempo
indeterminato e sono stipendiati.

4. Il SEGRETO d’ufficio
Gli atti relativi al funzionamento dell’apparato burocratico sono rigidamente separati dalla vita
privata
dei funzionari. Impegnati di solito in un lavoro a tempo pieno, i funzionari sono tenuti a mantenere
il segreto d'ufficio: essi cioè sono legati da un rapporto di fedeltà al proprio servizio (l'insieme dei
colleghi funzionari che lavorano sotto la direzione del medesimo capo ufficio) che implica il
mantenimento di un generale riserbo nonché, rispetto a certe pratiche, della più assoluta
segretezza;
ciò vale sia verso i colleghi di altri servizi all'interno del medesimo apparato burocratico, sia – e anzi
in questo caso in modo tassativo – verso il pubblico, cioè nei confronti delle persone esterne
all'apparato, che non sono dipendenti.

Lo SPIRITO DI CORPO e l'orgoglio di mestiere


o Dall'insieme di tutti i punti precedenti, discende il fatto che i funzionari dipendenti di un apparato
burocratico siano educati direttamente e indirettamente a maturare un senso di appartenenza
forte all'apparato. Grazie a ciò ciascuno di essi si percepisce come parte di un gruppo esclusivo
composto di professionisti altamente specializzati, depositario di conoscenze accessibili a pochi
e da cui possono dipendere le sorti di altre persone, quantomeno rispetto allo specifico campo
di sul quale opera quel particolare apparato.
o In altre parole lo spirito di corpo e l'orgoglio di mestiere sono due atteggiamenti, suscitando i
quali l'apparato burocratico fa in modo che i propri funzionari gustino, almeno in parte, il potere
che esso è in grado di esercitare sul pubblico, cioè sulle persone che non fanno parte di esso e,
in particolare, sugli utenti e i destinatari delle attività il cui svolgimento è regolamentato
(innanzitutto sul piano amministrativo, ma non solo su di esso) dai protocolli e dallw procedure
create, eseguite e verificate da quell'apparato.

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 Il tipo ideale della burocrazia presenta inoltre le seguenti AMBIVALENZE (cioè delle contraddizioni
interne mai del tutto eliminabili).
 Secondo Weber rientrano nelle caratteristiche costitutive del tipo ideale della burocrazia
occidentale moderna anche una serie di contraddizioni interne le quali sono sostanzialmente
ineliminabili, in quanto esse non sono la conseguenza di un errato funzionamento di questi apparati,
bensì discendono proprio come conseguenze inevitabili del loro normale funzionamento. In altre
parole, quanto più una burocrazia funziona correttamente tanto più essa genera queste
contraddizioni.
 Per questo motivo si parla appunto di “ambivalenze” della burocrazia, laddove cioè la parola
“ambivalenza” indica ad esempio l'immagine di una moneta con due facce. Weber individua almeno
due grandi ambivalenze, che qui dobbiamo prendere in considerazione, non solo e non tanto per
ragioni di completezza quanto, soprattutto, perché – come vedremo meglio nell'ultimo paragrafo –
anch'esse caratterizzano il sistema dell'educazione come apparato burocratico.
1. Spersonalizzazione
• La prima ambivalenza consiste nel fatto che ogni burocrazia, proprio per essere
efficiente nel perseguimento dei propri scopi, tanto nella redazione e applicazione
dei regolamenti quanto nella preparazione e nell'esecuzione delle procedure e dei
protocolli, deve agire in modo asettico e impersonale: essa cioè, interfacciandosi al
pubblico (cioè ai propri utenti), deve saper essere distaccata, indifferente e
insensibile a tutte quelle esigenze delle persone che non rientrano nella casistica
prevista dai regolamenti e dai protocolli che si stanno applicando. La persona è
semplicemente un “utente” sul quale si deve applicare il regolamento e la procedura.
Il resto non conta nulla.
• Tutto ciò, naturalmente, può generare negli utenti un atteggiamento di diffidenza nei
confronti di una burocrazia in particolare e dello stato in generale. Questi
atteggiamenti, a loro volta, minano la fiducia che dovrebbe alimentare il registro dei
rapporti stato/cittadino, allontanando il cittadino dalle istituzioni pubbliche e
riducendo la sua disponibilità ad agire in modo collaborativo nei loro confronti. Ecco
che la burocrazia, proprio nella misura in cui si sforza di applicare rigorosamente la
razionalità strumentale per perseguire in modo efficiente gli obiettivi posti dallo stato
per garantire i servizi ai cittadini, ottiene anche – in parte – il risultato opposto,
allontanando i cittadini dallo stato.
2. Ritrosia nell'adeguarsi al nuovo
• La seconda ambivalenza consiste nel fatto che gli apparati burocratici sono
scarsamente in grado di modificare i propri regolamenti e le proprie
procedure/protocolli, al fine di adeguarli al mutamento sociale; questo vale sia in
senso generale (rispetto al mutamento della società nel suo complesso), sia in
particolare (cioè con riferimento ai mutamenti che si verificano nell'ambito di
competenza di una specifica burocrazia, ad esempio quello dell'istruzione). Questa
ambivalenza è dovuta ad almeno due ragioni. ◦ La prima ragione potremmo dire che
sia di natura “politica” e riguarda il merito, cioè i contenuti del cambiamento. Essa
consiste nel fatto che il cambiamento, più o meno marcato, degli obiettivi che in un
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determinato campo (ad esempio in quello dell'istruzione) una particolare burocrazia
ha il compito di perseguire, può essere indotto dal cambio della guardia a livello
politico. Qualora cioè, dopo le elezioni politiche, la coalizione che prima delle elezioni
era all'opposizione si trovasse adesso al governo, ecco che essa potrebbe decidere di
varare una riforma del sistema dell'educazione nazionale. Ciò comporterebbe
naturalmente anche una inevitabile ristrutturazione dell'apparato burocratico
direttamente interessato (il Miur). Nel caso però che gli alti funzionari (burocrati di
professione) che presiedono al funzionamento di questo apparato fossero contrari a
questa riforma (per diverse ragioni, non ultima l'eventuale loro vicinanza politica alla
maggioranza di governo precedente, uscita sconfitta dalle elezioni) ecco che essi
potrebbero usare il loro potere (in tal caso commettendo ovviamente un abuso di
potere) per impedire o ostacolare o rallentare il cambiamento.
◦ La seconda ragione potremmo invece dire che sia di natura tecnica e concerne il
metodo, cioè la difficoltà del cambiamento in sé stesso. Essa consiste nel fatto che la
stesura di regolamenti, procedure e protocolli richiede un lavoro difficile e
complesso. Inoltre, una volta stabiliti regolamenti, procedure e protocolli, l'intero
apparato burocratico deve strutturarsi al proprio interno (in ottemperanza ai principi
di competenza, di specializzazione e al principio gerarchico) proprio al fine di poter
applicare le regole ed eseguire le procedure/protocolli in modo massimamente
efficace (cioè efficiente), ovvero in modo razionale rispetto allo scopo. È chiaro che
un mutamento delle condizioni esterne che renda necessario un cambiamento degli
scopi, richiederebbe in teoria una revisione di tutta l'organizzazione interna
dell'apparato burocratico deputato al perseguimento efficiente di quegli scopi. Ma
questa operazione si rivela sempre molto difficile, sia perché essa comporta enormi
sforzi riorganizzativi, sia perché l'eventuale riorganizzazione di un apparato
burocratico complesso può richiedere tempi mediamente lunghi rischiando fin sa
dubito di compromettere gli standard di efficienza.
• L'attuale situazione di pandemia con la quale ci ritroviamo a fare i conti costituisce
un'eccellente quanto drammatico esempio per spiegare bene questo punto. Di
fronte alla pandemia sia il sistema sanitario sia il sistema dell'educazione sono stati
colti di sorpresa e si sono ritrovati improvvisamente inadeguati, cioè incapaci di
perseguire ciascuno i propri obiettivi in modo efficiente. Entrambi questi sistemi si
sono impegnati in un grande sforzo di riorganizzazione interna per far fronte alla
nuova situazione; tuttavia, quando questa ristrutturazione sarà finalmente ultimata,
la pandemia probabilmente sarà ormai passata. [Almeno così si spera. Come è noto,
purtroppo, si teme una possibile seconda ondata per il prossimo autunno].

La spiegazione comprendente, che fa parte della sociologia di Weber, è una nozione semplice da
capire, una volta che si sono compresi i concetti di: agire sociale razionale rispetto allo scopo e di
agire razionale rispetto al valore. Questi sono le due facce della razionalità dell’agire: razionalità al
valore (che è la razionalità assiologia) e razionalità allo scopo (che è la razionalità strumentale).

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Weber ha parlato dell’essere umano, che ha una sua interiorità, ovvero il nostro mondo interiore
che comprende i nostri sentimenti, le nostre riflessione, insomma noi stessi (Margaret Tatcher parla
di contrattazione interiore: noi contrattiamo con noi stessi valutando e soppesando la situazione in
cui ci troviamo, e rapportandola alle nostre credenze e valori).
L’essere umano ha questa sua divisione: l’interiorità: è potentissima in virtù della sua capacità
speculativa d’insieme, ha una sua autocoscienza, che riguarda il porsi delle domande; e l’esteriorità.
L’essere umano non agisce in base all’istinto, ma le speculazioni sono impresse perché
presuppongono il pensiero. Weber è particolarmente interessato alla sociologia e si sofferma
sull’agire dotato di senso e, in particolare, sull’agire razionale. Questi due tipi di agire richiedono il
coinvolgimento del nostro pensiero, il soffermarsi a riflettere, a pensare e a valutare un’azione in
una determinata situazione e valutare quale azione intraprendere per raggiungere efficacemente
un obiettivo e agire in modo conforme ai nostri valori, per scegliere degli obiettivi nel mondo reale
che siano coerenti con i nostri valori.
Quindi una volta capito questo è facile capire anche la spiegazione comprendente che è tipico della
sociologia, che tiene conto di queste due dimensioni:
 dell’interiorità, del pensiero e riflessione, ordinata e attenta ai principi e
 la dimensione esterna, del mondo materiale esterno e sociale.
L’essere umano è un essere pensante però non vive nel mondo delle idee, dell’astrazione, ma nel
mondo reale. Per cui, la sua esistenza si articola nello spazio-tempo che è fatto di interazione con i
suoi simili, entro determinate situazioni. Weber dice che un essere umano equilibrato è quell’essere
umano che riesce a trovare un equilibrio tra la dimensione dell’interiorità (che informa la razionalità
al valore) e la dimensione esterna (che invece informa la razionalista allo scopo). Quando noi agiamo
nella realtà in modo coerente con i nostri principi e valori, stiamo bene nella nostra pelle.
Diversamente, si generano delle sofferenze di tipo psicologico, delle patologie che la psicologia ha
cercato di mettere in luce.
Il fatto è che il mondo rende tutto ciò difficile, perché le situazioni in cui ci troviamo ad agire sono
situazioni in cui spesso non è facile capire come agire per raggiungere gli obiettivi, quali obiettivi
sono compatibili con i nostri valori, quali azioni sono compatibili con i valori e anche quali sono i
valori. Ogni governo è caratterizzato dal politeismo dei valori. Oggi parliamo di pluralismo culturale
e morale, per cui siamo continuamente provocati dalla realtà esterna in cui viviamo, sempre
provocati a mettere alla prova la tenuta del nostro agito con i valori. Questo equilibrio nel mondo
moderno è difficile da raggiungere, il soggetto è in difficoltà. La sua conversazione interiore è sfidata
perché si trova di fronte a situazioni in cui è difficile capire come agire in modo razionale, in base
agli scopi e ai valori.
Spiegazione comprendente: se noi vogliamo spiegare e comprendere l’agire dotato di senso, l’agire
sociale, e se volgiamo comprendere un fenomeno sociale piccolo o grande, dobbiamo applicare
questa tecnica della spiegazione comprendente, dove la spiegazione guarda alla situazione concreta
nella quale il soggetto deve agire e agisce; mentre la comprensione guarda al senso dell’agire, cioè
all’agire dotato di senso. Il soggetto quando agisce lo fa in modo conforme ai propri valori e
credenze, cioè al senso; perché anche gli obiettivi e scopi che si prefigge sono selezionati dal
soggetto tra quelli possibili e per la scelta degli obiettivi usa la razionalità al valore. Una volta

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selezionati gli obiettivi, si usa la razionalità allo scopo per raggiungerli, gli obiettivi infatti si
perseguono attraverso la razionalità allo scopo.
Se vogliamo capire perché un soggetto agisce in un certo modo, come micro-fenomeno sociale,
dobbiamo innanzitutto capire la sua sfera di valori, entrare nella sua testa e calarci nella sua
interiorità, capire il suo punto di vista e capire come egli ragiona sulla base dei suoi principi, credenze
e valori. Dobbiamo comprendere il senso: il senso è qualcosa che si elabora attraverso il
ragionamento, il pensiero. Agire dotato di senso vuol dire un agire che scaturisce da una riflessione.
La comprensione è rivolta a qualcosa che è rivolta all’interiorità del soggetto agente, mentre la
spiegazione guarda alla situazione esterna a lui, situazione materiale ed oggettiva in cui il soggetto
si trova ad agire e della quale per forza deve tenere conto perché la situazione esterna a lui, come
dice Durkheim, è un fatto sociale (cioè, è una realtà esterna a individui che esercita un potere
coercitivo. Cioè tu devi tenere conto della situazione concreta esterna in cui ti trovi ad agire, che
non puoi modificare, che ti costringe ad adeguarti).
Se vogliamo capire tutto questo, capire un agire sociale fino in fondo, e comprendere un fenomeno
sociale dobbiamo guardare nell’interiorità del soggetto e la situazione n cui si trova. Perché il
soggetto prende decisioni che lo portano ad agire, ma queste decisioni sono la sintesi della
razionalità allo scopo e della razionalità al valore.
Di fronte alle opportunità che la realtà ti pone in base alle diverse situazioni in cui ti trovi ad agire,
essa ti pone anche dei paletti e vincoli, a tu devi tenere conto di questo. Dobbiamo spiegare le cause
esterne, i vincoli e le opportunità. Una volta che il soggetto, sulla base delle sue conoscenze,
competenze e capacità, si è fatto il quadro della situazione concreta in cui si è ritrovato ad agire, e
ha preso coscienza e consapevolezza dei vincoli e opportunità (poi magari si è sbagliato, o comunque
questa conoscenza non è mai perfetta perché dipende dalle nostre competenze, conoscenze ed
esperienze), ci ritroviamo ad agire in situazioni in cui le variabili sono ben presenti, cioè situazioni
che conosciamo, allora potremo individuare vincoli ed opportunità; mentre in altre situazioni meno
conosciute facciamo più fatica a individuare vincoli ed opportunità.
Dipende dalle nostre competenze, esperienze e conoscenze; ma c’è una parte del nostro
ragionamento che ci porta ad agire e tiene conto della realtà esterna in cui ci troviamo, e cerca di
decifrarla cercando di capire quali sono i limiti, vincoli, che dobbiamo accettare e quali sono le
opportunità che quella situazione ci offre e che possiamo decidere di sfruttare.
Una volta stabilito questo (noi studiosi lo chiamiamo “spiegazioni”. Cioè spieghiamo le cause esterne
dell’agire del soggetto), ci dedichiamo alle cause interne, cioè alla comprensione del senso (ci
mettiamo nel suo punto di vista e cerchiamo di calarci nella sua interiorità come soggetto umano
storico, perché ha delle competenze valori e credenze. Cerchiamo di capire i suoi valori morali che
lo muovono ad agire, perché principali sono proprio questi i motori del suo agire, che però poi
devono fare i conti con la realtà esterna).
I fenomeni sociali sono: le azioni degli individui (micro-fenomeni), dei fenomeni più grandi (macro-
fenomeno storico, come esito della somma delle azioni dei soggetti agenti nei secoli).
La spiegazione comprendente, quindi, può essere applicabile anche a noi. Talvolta ci chiediamo, col
senno di poi: “Ma perché ho fatto questa cosa? Ho preso questa decisione? Ho fatto bene o ho fatto
male a prendere questa decisone?”. Allora si riflette e si cerca di ripercorrere il processo decisionale,
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il ragionamento, che lo ha portato a decidere di intraprendere quella via. Quando cerchiamo di
ricostruire il processo decisionale che ci ha portato ad agire in un certo modo, facciamo la stessa
cosa. Siamo come dei sociologi weberiani che studiano il proprio agire dotato di senso, ci mettiamo
noi come oggetto di studio. Ripercorro le mie decisioni. Quel soggetto agente, che siamo noi stessi,
che stiamo studiando, con il senno di poi mentre facciamo la verifica, lo trattiamo col metodo della
spiegazione comprendente. [Per cui diremo mi stava a cuore questo, le cose che mi stavano a cuore
interiormente erano queste, sto cercando di comprendere le ragioni interiori che mi hanno spinto
ad agire e tenendo conto della situazione esterna alla fine ho deciso di fare così. Ad es la scelta
dell’università tra due facoltà].
Burocrazia, educazione e scuola
Perché ci siamo soffermati su questo argomento? La risposta è molto semplice: perché il sistema
dell'istruzione (in senso lato “la scuola”) altro non è che un grande apparato burocratico, uno dei
più grandi e importanti del sistema sociale nazionale. Esso è a tal punto importante e complesso che
alle sue regolamentazione è dedicato un ministero dello stato, cioè appunto il ministero della
pubblica istruzione (oggi, in Italia, si chiama Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca
– MIUR).
Ciò significa che tutte le caratteristiche del tipo ideale weberiano della burocrazia occidentale
moderna, che sono state appena elencate e brevemente descritte, si riscontrano anche nel sistema
scolastico.
Ora, gli insegnanti fanno parte di questa burocrazia in veste di funzionari. Sebbene essi non si
occupino del funzionamento dell'apparato scolastico dal punto di vista amministrativo (per questa
mansione esiste appunto, anche negli istituti scolastici, il personale specializzato) gli insegnanti,
ciascuno nel proprio campo, di fatto vengono preparati allo svolgimento e all'esecuzione di un
particolare tipo di protocollo, che si chiama “programma ministeriale”, rispetto al quale essi sono
vincolati da un dovere d'ufficio.
Certo, nell'adempimento di questo dovere, essi hanno diritto a usufruire di un certo margine di
discrezionalità, ma appunto soltanto entro i limiti previsti dai programmi. Ad esempio, un professore
di filosofia del terzo anno del liceo scientifico deve (“è obbligato a”) svolgere il programma
ministeriale (che prevede in questo caso la filosofia greca classica e la filosofia medievale); una volta
esaurito il programma, se ne ha il tempo, egli potrà anche dedicarsi a degli approfondimenti, ad
esempio eseguendo in aula la lettura integrale e il commento di un dialogo di Platone.
Come ogni funzionario, anche gli insegnanti sono inseriti in una catena di comando la quale,
ripercorsa dal basso verso l'alto, collega ciascuno di essi alla leadership che governa l'intero
apparato, vale a dire il gruppo di comando ristretto costituito dal Ministro e dai suoi sottosegretari
(di solito si tratta di politici di professione) affiancati dai più alti funzionari ministeriali (si tratta
sempre di burocrati di professione).
Questo apparato burocratico, dell'istruzione nazionale e della scuola, è pensato per perseguite in
modo razionale (razionalità strumentale) due obiettivi tra loro in buona parte interconnessi e
complementari:
Un obiettivo più strettamente politico: il diritto all'istruzione; un obiettivo più strettamente
economico: rifornire la società civile e il sistema industriale e produttivo, di personale specializzato

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in campo giuridico, gestionale, amministrativo, tecnico-scientifico, nonché nelle più svariate
professioni, mestieri e mansioni.
È un atto di realismo, tenendo presente la realtà esterna, come fatto sociale. Si tratta di trovare il
modo di stare dentro la realtà esterna, accettando i vincoli ma cogliendo le opportunità che ci offre,
e fare tutto ciò in modo coerente e compatibile con ciò che nel nostro mondo interiore ci sta
veramente a cuore, con le nostre credenze e i nostri valori. Se noi siamo distratti rispetto al nostro
mondo interiore, (per cui se non coltiviamo la nostra interiorità), le nostre credenze e i nostri valori
verranno sostituite dalle mode culturali, finiscono per esserci imposti anche queste dal mondo
esterno.
La democrazia ha bisogno di cittadini responsabili che si facciano carico di partecipare alla vita
pubblica, mentre se sono distratti agiranno politicamente in modo conformistico senza rendersene
conto. Il mondo moderno richiede che il soggetto sia attento a preservare le proprie credenze e
valori e a coltivarli e a non darli per scontati.
Passiamo ad un altro argomento: vediamo come Weber applica la spiegazione comprendente allo
Studio sull’etica protestante e lo spirito del capitalismo. È un’opera famosissima. Questo libro è
particolarmente interessante perché è dedicato alla genesi di quello che Weber chiama il
capitalismo occidentale moderno, che è un macro-fenomeno di tipo socioeconomico. Noi oggi (800-
900) lo viviamo nella coerenza dei suoi apparati. Quali sono gli apparati del capitalismo? La moneta,
la borsa, le libere imprese, gli apparati industriali, i giganteschi scambi economici dei primi beni e
prodotti finanziari. Lui si chiede “Come ha preso forma questo gigantesco fenomeno?”. Che,
secondo lui, è il fenomeno dominante del mondo moderno, insieme allo stato.
Questo interrogativo è di grande interesse dal punto di vista sociologico, perché è uno dei pilastri
portanti. È interessante perché, quando parliamo durkheineamente e weberiamente del mondo
moderno, della società moderna come fatto sociale, è un fenomeno che esercita un potere
coercitivo sugli individui, perché il capitalismo è così determinante da modificare le nostre esistenze.
Tutti i sociologi si sono dedicati alla società industriale, al capitalismo. (Marx, Weber, Simmel).
Attraverso il capitalismo la società moderna esercita un potere coercitivo sugli individui. La
sociologia del denaro.
Weber spiega questo fenomeno riconducendolo sostanzialmente, e individuandone la causa, ad un
fattore storico di tipo culturale e religioso: cioè la riforma protestante. Non è che afferma che il
protestantesimo ha generato il capitalismo, ma afferma che il protestantesimo fu uno dei fattori
che contribuirono a generare il capitalismo, addirittura il contributo del protestantesimo, secondo
Weber, è stato decisivo, anche se da solo non ci sarebbe riuscito. Il capitalismo non è naturale, ma
per Weber ciò che muove gli individui sono le profonde convinzioni, altrimenti non ci si muove, ci
accontentiamo di poco. Per intraprendere grandi imprese gli individui hanno bisogno di una forte
spinta motivazionale interiore. Siccome il capitalismo è un fenomeno gigantesco, che ha modificato
profondamente la storia umana, per Weber è quasi certo che ci debba essere stata una forte
motivazione ideale, valoriale e culturale in questo senso.
Secondo Marx invece le cose stanno al contrario: tutto il mondo ideale dei beni e idee è una
sovrastruttura, come proiezione dei rapporti di forze, del mondo capitalistico. La sovrastruttura non
può plasmare la struttura. Prima vengono le forze di produzione e poi vengono il mondo delle idee,

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la cultura come apparato ideologico, creato dai dominatori (quelli che hanno vinto i rapporti di
forza) per preservare la propria posizione di forza.
Per Weber è successo il contrario: è una innovazione di carattere culturale e in particolare religioso,
che ha innescato una serie di processi culturali che hanno mosso gli individui ad agire in un certo
modo, e dalla sommatoria delle azioni delle persone nei secoli in alcuni paesi dell’Europa centrale e
settentrionale, dall’esito della somma delle azioni di questi innumerevoli soggetti agenti nei secoli,
ha preso forma il capitalismo.
Per studiare il fenomeno del capitalismo occidentale moderno, (risalendo alle cause) dobbiamo fare
uno studio di tipo storico (e infatti si chiama sociologia storica), che ci deve portare ad individuare
quel nucleo motivazionale, che ha portato i soggetti ad agire in un certo modo.
È un’opera affascinante, famosa ed è interessante da approfondire, inoltre rende bene idea della
potenza della dimensione educativa, del modo in cui siamo educati a pensare, che ci porta poi ad
agire in modo corrispondente. Secondo Weber, il capitalismo occidentale moderno non si sarebbe
formato, se nei popoli occidentali non ci fosse stata una forte educazione alla fede religiosa
protestante in generale, e calvinista in particolare, che è un fattore imprescindibile da spiegare nella
genesi del capitalismo.
Perché il capitalismo occidentale moderno è un fenomeno interessante sociologicamente? Perché
si basa sull’investimento del denaro che viene trattato come capitale. Cosa significa? Il capitale è un
concetto che viene adoperato in campo economico. Non è sinonimo di denaro. Capitalizzare il
denaro vuol dire usare denaro in modo tale che si ritorni ad esso: cioè usare il denaro per produrre
denaro. Marx parla della merce alla merce per creare denaro, con il capitalismo il denaro viene
investito per produrre altro denaro. Il capitale è qualcosa che più lo usi e più aumenta, che è il
contrario del consumo che più lo usi e più si esaurisce.
Infatti parliamo anche di capitale culturale e capitale sociale. Il capitale sociale è l’insieme delle
nostre reazioni, ciascuno di noi ha un suo capitale sociale, la rete delle nostre relazioni. Più coltivi la
relazione più si rafforza aumentando il valore, meno lo usi più si diminuisce questo valore e si può
perdere l’amicizia. Il capitale culturale se lo coltivi si ingrandisce sempre di più.
Cosa ne facciamo del denaro? Il capitalista moderno ha questo rapporto: il denaro va investito per
produrre altro denaro. Per Weber questo non si era mai visto, storicamente è la prima volta che
compare nella storia dell’umanità questo rapporto del denaro.
Nelle grandi civiltà o nel medioevo c’era il capitalismo (accumulazione di denaro), alcune civiltà ne
accumularono più di altre, ma questo capitalismo era finalizzato al benessere, sfarzo e opulenza (per
permettersi dei grandi lussi, costruire grandi case, avere più schiavi nel mondo antico, ad es. per
corrompere la politica). Il denaro serviva per accrescere il proprio lusso, e godersi la vita. Invece se
andiamo a guardare il capitalismo occidentale moderno vediamo che qui l’uso del denaro non è
finalizzato a quello scopo, ma alla massimizzazione del denaro  denaro per il denaro.
Se vediamo le sue origini vediamo che questo prende forma nei paesi dell’occidente in Europa, nei
decenni successivi alla riforma protestante. Questo punto è stato criticato e contestato, perché in
realtà il capitalismo (le banche) sono state inventate dai preti nel medioevo, nel mondo fiorentino
e veneziano e nel rinascimento nel resto d’Italia.

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Weber però si riferisce ad un capitalismo differente. Esistono 2 capitalismi:
1. Uno si è sviluppato in Italia
2. L’altro si è sviluppato in Germania
 Con il tempo, il secondo ha prevalso e si è espanso  affermandosi storicamente.
Se noi risaliamo a ritroso la storia del capitalismo occidentale moderno vediamo che nasce in
Germania e poi in Inghilterra, cioè nei paesi in libera riforma. Come si fa a dirlo? Sostanzialmente
perché la rivoluzione industriale è cominciata in Inghilterra e a seguire in Germania. Perché inizia lì?
Perché gli sviluppi della scienza e della tecnica in quei paesi sono stati particolarmente rapidi ed
efficaci. Questo perché maggiori quantità di denaro sono stati investiti in quei campi:
nell’applicazione tecnologica della scienza, in particolare degli apparati produttivi. In questi paesi la
potenza della scienza e della tecnica è stata orientata, in base ad investimenti di denaro, verso un
obiettivo: razionalizzare la produzione. Questo ha portato alla rivoluzione industriale. La rivoluzione
scientifica ebbe inizio in Italia nel 600, l’invenzione del metodo scientifico sperimentale si riferisce a
Galileo Galilei, per cui l’Italia ha sempre avuto un ruolo centralissimo nelle scienze. La scoperta del
metodo scientifico nei paesi protestanti è stata orientata, soprattutto, in potenti investimenti di
denaro, nel razionalizzare la produzione: quindi è stato orientato nel senso economico.
Perché l’economia era così importante? Perché la dimensione economica era considerata di
primaria importanza. E perché? Questa importanza attribuita alla dimensione economica,
l’importanza della razionalizzazione economica e massimizzazione dei denari, è un fenomeno
economico ma il cui senso è religioso, non ha una ratio di tipo solo economico. È un fenomeno
economico ma ha una ragion d’essere di tipo religioso, dovuto al protestantesimo.
Weber, per spiegare il capitalismo, studia la teologia calvinista del 500 e anche in parte del 600.
C’è questa caratteristica tipica del capitalismo occidentale moderno che è tutto impegnato a
massimizzare i profitti, e lo scopo del denaro è quello di rigenerare altro denaro. Il denaro viene
usato non per essere speso, ma investito. Questa cosa non si è mai vista nella storia dell’umanità, si
è visto usare una parte delle ricchezze per fare manutenzione. Mentre, i capitalisti occidentali
moderni (piccoli imprenditori) investono quasi la totalità dei loro profitti, reinvestendo quasi tutti i
profitti nella propria attività imprenditoriale anziché solo una parte e l’altra per il proprio benessere,
per il risparmio o necessità. E questo richiede disciplina, rigore, metodo e un forte controllo di sé. Ti
imponi una vita moderata, austera, fatta di sacrifici usando solo quel poco che ti serve, e tutto il
resto lo reinvesti per il bene dell’impresa, in modo che diventi sempre forte. Questo, secondo
Weber, non capita normalmente nelle società umane ma è inedito e quindi va studiato.
Quali sono le cause? Perché dei soggetti pensanti agenti hanno deciso di agire così? Cioè di avere
un rapporto con il tempo e con il denaro, di questo tipo? Questo è ciò che riguarda la spiegazione
comprendente.
I primi imprenditori che fecero così, derivavano dall’Olanda, dalla Germania e dall’Inghilterra, dal
500 in poi. Questo rapporto con il denaro, il tempo e con il lavoro scaturisce dall’etica protestante,
e Weber tecnicamente la chiama “etica puritana del protestantesimo ascetico”.
Parallelismo con Durkheim con un livello di suicidio che aumenta: cosa ha generato il suicidio? Un
problema nei rapporti all’interno dell’educazione; ma qualcosa: problemi di educazione, rapporto

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educazione-società e individuo, hanno generato nell’individuo una sofferenza psicologia  e questa
ha generato casi più gravi  aumento di suicidi.
Mentre per Weber il capitalismo è il risultato della sommatoria dell’agire di soggetti dotati di senso,
di innumerevoli persone protestanti in Europa nell’arco di alcuni secoli (500-700). L’etica
protestante è una dottrina morale che discende dalla riforma. In mezzo c’è l’interiorità che lui
chiama spirito del capitalismo (è una mentalità).
La riforma religiosa che comporta l’etica (cioè come mi devo comportare nella mia vita per agire in
modo conforme alle mie credenze religiose, di tipo protestante). L’etica protestante ha generato lo
spirito del capitalismo (cioè una mentalità che poi ha portato i soggetti ad agire in un certo modo).
Il capitalismo, dunque, è una mentalità che prevede una certa concezione del denaro, del tempo,
del lavoro e del sacrificio. L’etica protestante viene interiorizzata dai fedeli protestanti e va a
uniformare il rapporto con il denaro, tempo e lavoro, sacrificio. Il tempo non può essere sprecato,
va usato per il lavoro. Il lavoro ha lo scopo di massimizzare i profitti, aumentare e generare il denaro.
Apparentemente, sembra una cosa masochista, senza senso. Per comprendere questo fenomeno è
necessario calarsi nella mentalità del fedele protestante, calvinista in particolar modo. Studiando gli
imprenditori tedeschi, olandesi e inglesi del 600 e 700, Weber nota la severità della loro esistenza
morigerata, improntata ad una disciplina ferrea, e una vita priva di lussi, piaceri e svaghi. E poi ha
notato quello che lui chiama “la separazione dei registri contabili”: cioè, questi imprenditori erano
famiglie che erano imprese (imprese a conduzione familiare), però diversamente da ciò che capitava
prima, esiste un registro contabile familiare e un registro contabile dell’impresa. Pur essendo
impresa a conduzione familiare, i registri contabili (dove si registrano entrate e uscite) sono separati.
La loro fonte di reddito è l’impresa, se rende 10mila euro al mese (cioè il profitto), una voce di spesa
del bilancio di impresa è il reddito familiare (una parte, dunque, è la ricchezza della famiglia), es
1/10 (1000 euro), il resto viene reinvestito. Nel bilancio familiare si registra questa entrata di 1000
euro. Anche se si necessita di denaro ulteriore non si aggiunge, si fanno rinunce anche se si dispone
di un grande capitale. Questo modo di agire è il processo di razionalizzazione. Cosa ha reso questi
uomini e donne così disciplinati? Weber dice che ha radici nel puritanesimo calvinista. Diversamente
questo capitalismo non sarebbe mai esistito e non si sarebbe espanso.
Le cause interne della spiegazione comprendente, che sono motivazionali, stanno alla base dello
spirto del capitalismo. Lo spirito del capitalismo è una mentalità, che muove i soggetti a
intraprendere delle azioni; muove gli individui a compiere delle azioni, questo spirito ha spinto il
modno per circa due secoli, fino a formare il capitalismo vero e proprio. [Il prof legge un passaggio
di Weber, per spiegare meglio lo spirito del capitalismo, dove Weber cita un saggio di Benjamin
Frenklin, nel quale Frenklin si rivolge agli uomini della sua epoca, spiegandogli idealmente cosa
devono fare per avere successo nella vita: in particolare per avere successo nella società americana].
In questo brano, Weber dà dei consigli:
 Considera che il tempo è denaro.
 Considera che il credito è denaro.
 Considera che il denaro ha la natura fruttuosa.
 Considera che secondo il proverbio, chi è noto è il padrone della borsa di tutti

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 Non tenere mai il denaro preso a prestito, anche solo un’ora in più del concesso  questo
comporta che chi te lo ha prestato in futuro avrà mancanza di fiducia nei tuoi confronti.
Ricorda però che per essere puntuale devi essere moderato e prudente.
 Un uomo deve tenere conto delle azioni, anche quelle più irrilevanti. Quindi l’apparire onesti è
importante perché aumenta il credito, non i soldi ma la credibilità della persona (es: andare a
lavoro già al mattino presto e rimanerci fino alla sera tardi, è un modo per aumentare la propria
credibilità).
Attenzione però, perché molte persone che godono di credito spesso pensano che ciò che
possiedono sia di loro proprietà.

Weber sottolinea di prestare attenzione ai dettagli, poiché somme relativamente piccole, vanno a
costituire grandi somme.
Se sei un uomo con liquidazione e hai un’accortezza potrai ricevere dalla banca o da un privato 100
sterline. Ma queste 100 sterline ti costano 106, cioè devi restituirne 106. Quindi di 100 sterline
all’anno, tu puoi averne l’uso di 100 sterline, ma se sei onesto potranno darti un interesse di 6
sterline all’anno. Se spendi/sprechi un grosso ritorno, spendi 6 sterline all’anno. Chi perde ogni
giorno un grosso valore del suo tempo (due minuti), perde ogni anno 6 sterline. E perdi anche ciò
che potresti impegnare nella tua attività e questo ammanta ad una cifra davvero esorbitante;
altrimenti potresti ottenere molti denari.
 Tutto questo per dire che il capitalismo premia un uso moderato dei risparmi, questa è una
mentalità del ‘700, ma per affermarsi ha avuto bisogno di due secoli.
Tutto il capitalismo si basa sul denaro da reinvestire  circolazione di denaro.
Weber: dalla religione al capitalismo
Sono le componenti della teologia protestante, che hanno favorito l’affermarsi di una mentalità così
disciplinata e austera, rispetto alla gestione del lavoro, del tempo e del denaro. In sintesi si può far
riferimento alla teologia riformata protestante, infatti si usa il termine BERUF (termine tedesco, che
significa vocazione e professione). In questo termine, il significato della parola professione è diverso
da quello di lavoro, perché significa un lavoro nel quale tu esprimi la tua vocazione.
Dottrina della predestinazione nella versione calvinista.
Weber vuole capire quale sia la particolarità della religione protestante, per fare questo si devono
considerare due aspetti. Per capire queste due componenti della teologia protestante, in questa
epoca così rigorosa e dedita al lavoro, dobbiamo immergerci nei panni delle persone dell’epoca,
solo allora capiamo che la credenza religiosa era fortissima. Infatti la visione religiosa del mondo,
riformava le loro vite.

La religiosità protestante vive su due dimensione:


 Verticale: tratta il rapporto con Dio. Ci sono due possibilità: la MISTICA (cioè di tipo mistico),
che in genere è prevalente nell’educazione religiosa che si riceve. La mistica è il rapporto con
Dio e valorizza la contemplazione. L’altra alternativa è la ASCETICA: riguarda le virtù morali,
cioè il rapporto con Dio è vissuto prevalentemente come fine per allenare e rafforzare le
proprie virtù, quindi sconfiggere e dominare i propri vizi  dove aumentano le virtù,
diminuiscono i vizi. L’ascetica è il rapporto con Dio che valorizza l’agire. Queste due

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possibilità le troviamo in tutte le religioni (pensiamo al monachesimo benedettino “ora et
labora” ora è la mistica, labora è la ascetica).
 Orizzontale: tratta il rapporto con il mondo. A seconda dei tipi di fede religiosa, si può
coadiuvare un rapporto religioso con il mondo di tipo: RIFIUTO DEL MONDO; oppure
TRASFORMAZIONE DEL MONDO (nel senso di comprensione del mondo). Il rapporto con il
mondo deve essere prudente, siccome il mondo è il luogo della tentazione, ovvero il luogo
dove regna il demonio. Quindi il credente è educato a guardare il mondo con molta
circospezione, bisogna quindi stare lontani dal mondo proprio perchè il mondo è il luogo
della tentazione e della perdizione. Oppure si avrà la trasformazione del mondo; il mondo è
il luogo nel quale il credente è chiamato a trasformare il mondo, proprio nel mondo infatti
può mettere alla prova la purezza della sua fede e resistere alla tentazione del demonio,
quindi trasformare il mondo convertendolo. Nelle diverse denominazione religiose
(cattolicesimo…), ci sono tutti questi aspetti.
Per spiegare il capitalismo Weber, parte dalla teologia.
Tipologie di religione weberiana, quattro tipi:
 Misticismo extramondano (=rifiuto del mondo)
 Misticismo intramondano
 Ascetismo extramondano
 Ascetismo intramondano
Weber per spiegare le cose, usa la tecnica diretta o indiretta (indiretta cioè per differenza); infatti
per spiegare che tipo di religiosità è quella protestante usa sia la tecnica diretta, che quella indiretta.
Il protestantesimo in generale e il calvinismo in particolare sono definite con un ascetismo
intramondano: cioè religione, che proietta i credenti sulla dimensione ascetica e sull’azione dentro
il mondo; siccome il mondo è un luogo di tentazione, è una palestra perfetta per rafforzare le proprie
virtù, esponendosi alle tentazioni; bisogna fare attenzione a non cadere in tentazione  ESERCIZIO
ASCETICO, trasformare il mondo e conformarlo alla volontà di Dio.
Noi nell’esercizio del nostro lavoro possiamo impegnarci poco o molto, essere sinceri o no, onesti o
no: proprio il lavoro e in particolare la professione sono rispettivamente il luogo e l’attività nella
quale noi viviamo la nostra vocazione (=ovvero il rapporto con Dio)  la professione è qualcosa di
religioso. Ovviamente però questo pensiero è obiettabile. Vale per tutte le religioni, ma nel
calvinismo questo aspetto diventa molto pregnante.
Weber dice che per capire bene l’aspetto della teologia riformata, è necessario che noi teniamo
presente che cosa diceva la dottrina cattolica, che poi è stata sostituita da quella calvinista, perché
questi popoli sono diventati protestanti dopo la riforma, ma prima erano cattolici. Prima bisogna
capire il concetto di predestinazione: si intende il destino dell’anima dopo la morte, per questo
bisogna mettersi nei panni dell’uomo del ‘500 o comunque prima della riforma, perché loro avevano
da vivere un’esistenza sostanzialmente breve, fatta di sacrifici, lavoro, sofferenze e malattie, fino ad
arrivare al deperimento; quindi l’esistenza del mondo è breve ed è molto dura; però dopo questo
breve frammento di vita sulla terra, si spalancano le porta dell’eternità, perché l’anima è immortale.
Quindi dal punto di vista del credente è di fondamentale importanza la questione di vivere
un’eternità beata e non dannata. Weber dice, per noi oggi (‘700), che siamo distanti da queste cose
o le viviamo con sarcasmo è difficile comprendere, ma per gli uomini del ‘500 questa era una
questione decisiva. Allora la dottrina della predestinazione di calvino parla proprio di questo; a
differenza della dottrina cattolica che proclamava che nel momento del concepimento Dio crea la
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vita con un’anima immortale, la quale si reincarna in un altro uomo, ma quest’anima è macchiata
dal peccato originale, che però grazie al battesimo viene riportata nello stato di grazia; tuttavia
anche se lo stato di grazia viene ripristinato, rimane un’anima indebolita e ferita e allora durante la
sua vita terrena quest’anima dovrà lottare contro il male, attraverso il libero arbitrio potrà scegliere
tra bene e male, alla fine della vita entrando nella dimensione dell’eternità, l’anima di ciascuno
troverà ciò che liberamente ha scelto durante la vita: se ha avuto un cammino ascetico costante e
ha rifiutato il male (anche avendo delle cadute, ma riprendendosi attraverso il sacramento della
confessione) allora nell’eternità avrà una beatificazione; in caso contrario avrà una dannazione.
Mentre la riforma calvinista introduce la predestinazione (cioè se uno è ricco o ha successo nella
vita è perché è Dio lo ha destinato così). La riforma di Calvino parte dall’idea che il peccato originale
è stato talmente grave, che ha allontanato il genere umano da Dio in modo irrecuperabile,
addirittura nemmeno la crocifissione di Cristo ha potuto redimere questa cosa e quindi anche con il
battesimo non viene cancellata: ma allora chi si salva, si domanda Weber? Allora Calvino spiega che
si salva solo colui che è predestinato da Dio, ovvero Dio decide di salvare una persona già nel
momento in cui crea l’anima, Dio deciderà se l’anima dovrà essere beata o dannata. A causa però
della distanza incommensurabile tra Dio e uomo, questa decisione di Dio, non può essere
conosciuta, nessuno può sapere la sua predestinazione  la decisione di Dio quindi è
imperscrutabile e irrevocabile. Il singolo individuo non può in nessun modo modificarla, anche
prescindendo da come vivrà sulla terra, perché è predestinato. Questo, dice Weber, porta il
credente in uno stato di ansia, perché lui non conosce il suo destino dopo la morte, ma sa che quello
che lo aspetta sarà per l’eternità. Quindi bisogna mettersi nei panni di questi credenti, per i quali
questo aspetto della loro esistenza era decisivo. Nel ‘600 alcuni teologi aggiornano la teoria
calvinista, aggiungendo dei corollari: loro dicono è giusto che la distanza che ci separa da Dio sia
incommensurabile, perché la colpa del peccato originale non è stata colmata, ed è anche giusto che
la nostra predestinazione sia sconosciuta, però aggiungono una parte, ovvero che è razionale
ritenere che nella nostra esistenza terrena si manifestino dei segni di predestinazione per la
dannazione o per la beatitudine. Questa differenza la possiamo trovare nel successo o
nell’insuccesso della professione. Nella misura in cui si riesce a raggiungere il successo nella propria
professione, allora si arriverà alla beatitudine, mentre l’insuccesso nella professione è un segno di
dannazione; perché per avere successo nella professione (intesa come impresa privata)  devi
raggiungere te stesso e credere in te stesso e il successo dipende da te stesso, devi essere
disciplinato e ascetico, ovvero non cedere alle tentazioni del mondo, (es: non puoi fregare una
persona) allora sarai beato. Se invece non riesci a essere disciplinato nel lavoro e ad agire in modo
rigoroso, non avrai successo e sarai dannato. Insomma secondo i calvinisti se tu riesci a fare bene il
tuo lavoro è perché la tua anima è stata creata da Dio per fare questo, se invece non riesci è perché
la tua anima non è stata creata per farlo e non riuscirai mai a raggiungere il successo.
Questo ignoto rispetto alla propria anima, secondo Weber, come già detto genera un’angoscia, che
ha bisogno di essere lenita, l’unico modo per lenirla è cercando i segni della predestinazione nelle
azioni quotidiane. Questi imprenditori facevano di tutto per razionalizzare il proprio lavoro, per
eliminare gli elementi di disturbo: evitano di sprecare denaro in cose che non fossero necessarie alla
sussistenza, evitavano di concedersi eccessi e razionalizzavano l’uso del tempo e del denaro,
rendendo il proprio lavoro massimizzato e depurato dagli elementi di disturbo, perché così la tua
professione diventa qualcosa che ti può effettivamente dare dei segnali; perché se nonostante tutti

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gli sforzi e l’impegno non riesci ad ottenere successo nel lavoro, vuol dire che la tua anima è
destinata alla dannazione.
Questa ansia, secondo Weber, ha costituito la motivazione profonda per fare grandi sacrifici, che si
sono tradotti in notevoli spostamenti di capitali, il denaro veniva reinvestito per massimizzare i
profitti dell’azienda. Questa cosa però ha incontrato lo sviluppo della scienza e della tecnica e quindi
grossi investimenti di denaro sono proprio andati nello sviluppo tecnologico, finchè si è sfociati poi
nella rivoluzione industriale. Quindi proprio il binomio scienza-tecnica ha spinto l’investimento di
denaro verso la razionalizzazione della produzione.
Weber dice che nel ‘700/’800 queste motivazioni di carattere religioso sono andate scemando, ma
rimane il capitalismo (ormai radicato) e la potenza dei suoi affari, che domineranno anche il ‘900.
Secondo Weber è stata l’etica protestante a produrre lo spirito del capitalismo, la quale ha generato
il capitalismo; però lo spirito del capitalismo è una mentalità data dalla disciplina del lavoro,
finalizzata alla massimizzazione dei profitti. Questa è una delle cause che hanno generato il
capitalismo, in particolare è una causa di tipo culturale e parareligioso; esistono anche altre cause:
cause geopolitiche, ecc. però il fattore religioso-culturale ha giocato un ruolo decisivo.
Tipologia di religiosità – tabella schematica:
Rapporto con Dio
Rapporto con il mondo Mistico Ascetico
Rifiuto del mondo Misticismo extramondano Ascetismo extramondano
Trasformazione del mondo Misticismo intramondano Ascetismo intramondano

Weber ha una visione pessimistica del futuro del mondo moderno, parla di disincantamento del
mondo. Che significa che i progressi della scienza e della tecnica, quindi il costituirsi del mondo
moderno come società dominata dalla tecnica, genera un disincantamento, come se facesse
dissolvere l’orizzonte del mistero, rendendo impossibile qualsiasi tipo di tensione religiosa; non si
vive più di miti  tutto si riduce ad una sola dimensione: quella orizzontale, dominata dalla scienza
e dalla tecnica. Il mondo disincantato vede dissolversi il mondo del sovrannaturale, l’uomo moderno
non è più capace di pensare religiosamente. Si punta ad avere un mondo dominato dalla conoscenza
tecnica e dalla massimizzazione dei profitti; i rapporti tra le istituzioni, tra le nazioni, tra le persone
sono improntati sulla logica della forza, del dominio. Quindi il destino del mondo moderno è
destinato alla fine di ogni valore (parallelismo con nichilismo di Nietzsche).

TALCOTT PARSONS
Parsons è considerato un sociologo importante perché fa da spartiacque tra la sociologia classica
(fine 700 - inizio 900) e la sociologia contemporanea (dal secondo dopoguerra ad oggi), lui è
considerato l’ultimo sociologo classico e il primo contemporaneo.
Parsons è il più importante sociologo della storia del pensiero sociologico, egli ha elaborato un
sistema teorico estremamente potente sulla lettura della rete sociale, questa potenza deriva da tre
intuizioni:
1. La prima intuizione è date dall’idea di elaborare un sistema teorico mettendo insieme Durkheim
e Weber, che venivano considerati incompatibili. Infatti nel rapporto individuo-società Durkheim
predilige la società, mentre Weber predilige l’individuo. Durkheim si concentra sugli equilibri
della società e vede il soggetto come un attore che la società domina; Weber invece si concentra
sul soggetto, il quale è agente ed è in grado di interpretare il suo ruolo nella società sulla base
dei valori  Parsons prova ad integrare queste due visioni opposte.
79
2. La seconda intuizione deriva dall’idea di sostituire la metafora dell’organismo biologico che
Durkheim aveva utilizzato, con una metafora più efficace per esprimere il funzionamento della
società moderna: Parsons infatti usa la metafora di sistema cioè Parsons pensa la società
moderna come un sistema.
3. La terza intuizione consiste in un superamento di Weber e Durkheim e di tutta la sociologia
dell’800: si tratta del superamento del pessimismo di inizio 900.
Abbiamo visto tra 800 e 900 un positivismo ingenuo, poi con Durkheim e Weber avvenne il tramonto
della solidarietà morale e l’affermazione della solidarietà funzionale, alle esigenze organizzative
della società industriale. Weber dice la stessa cosa parlando del declino della razionalità al valore e
l’assolutizzazione della razionalità allo scopo.
Per Durkheim la modernizzazione separa le due solidarietà, mentre per Weber separa le due
razionalità. Secondo i due, questo è un esito che non si può evitare e che trasformerà la società in
una “gabbia di acciaio” improntata all'efficienza e quindi disumanizzata.
Secondo Parsons invece non è detto che il destino del mondo moderno sia questo, secondo lui la
società moderna può configurarsi come una comunità societale. Con società si intende quella
industrializzata, della solidarietà funzionale e razionalità allo scopo; mentre con comunità, si intende
la solidarietà morale e razionalità al valore.
Secondo Parsons non è possibile costruire una società che sia efficiente, industrializzata, razionale
e al tempo stesso percorsa da una potente dimensione comunitaria. Da questo contesto nasce la
comunità societale. Per questo è al confine tra la sociologia classica e contemporanea.
Il pensiero sociologico di Parsons è stato da lui stesso reso più comprensibile grazie alla sua
rappresentazione schematica dei suoi concetti fondanti. Parsons ha coniato il concetto di
socializzazione.
Riguardo la prima intuizione per la parte di Durkheim, Parsons elabora la teoria dei sistemi, mentre
per Weber elabora la teoria dell’azione.
L’approccio teorico di Parsons tende di più dalla parte di Durkheim, rispetto a quella di Weber,
prevale la visione dell'individuo come attore sociale.
Riguardo la seconda intuizione, pensare la società come un sistema significa adottare un codice
binario che distingue tra sistema e ambiente. L’esistenza di un sistema è sempre in relazione ad un
ambiente, all’interno del sistema le cose funzionano secondo processi diversi da quelli che regolano
l’ambiente. Il senso dell’esistenza del sistema consiste nel preservare la sua differenza rispetto
all’ambiente. Parsons vede il sistema come un rettangolo e le sue pareti sono superabili
dall’ambiente, che cerca sempre che il sistema si conformi a sé, mentre il sistema resiste.
Questi tentativi di conformità avvengono attraverso input = stimoli e output = risposte allo stimolo.
L’ambiente manda degli stimoli al sistema il cui equilibrio viene alterato, il sistema cerca quindi di
stare attento agli input e organizza delle risposte (output) che riportano l’equilibrio.
Altro concetto è quello di feedback = retroagire. Il feedback è possibile per il fatto che i sistemi hanno
memoria, cioè mantengono una memoria degli scambi di input e output, di conseguenza nel caso in
cui dall’ambiente arrivi un input simile o uguale a uno stimolo già ricevuto, il sistema sarà in grado
di creare un output in modo rapido.
Per il sistema, l’ambiente è tutto ciò che sta al di fuori dei suoi confini. Dentro l’ambiente però ci
sono altri sistemi (es. ambiente = Europa, sistemi = singoli stati). Il feedback vale anche per
l’ambiente con gli input  il singolo individuo si organizza per far fronte all’ambiente esterno e non
farsi plasmare.

80
Lo schema AGIL
Altro punto importante della sociologia di Parsons è il modello AGIL: Parsons dice che ogni sistema
per ottimizzare il confronto con l’ambiente si organizza al proprio interno differenziandosi in quattro
sottosistemi. Sono quattro perché secondo Parsons ogni sistema per sopravvivere deve soddisfare
quattro bisogni fondamentali, quelli che lui chiama prerequisiti funzionali. Siccome questi sono
quattro li esprime schematicamente con un rettangolo: dividendo il rettangolo del sistema in
quattro riquadri uguali, ma il loro ordine ha un significato.
In ogni sottosistema il sistema si differenzia, ovvero si specializza nel soddisfacimento di uno dei
quattro bisogni fondamentali che sono:
- A: ADAPTATION (adattamento): fa riferimento al problema 1) di ottenere abbastanza risorse
e mezzi dall’ambiente esterno al sistema, e 2) di distribuire successivamente quanto
ottenuto nel sistema
- G: GOAL - ATTAINMENT (raggiungimento o conseguimento delle mete): si riferisce a quegli
elementi di un sistema di azione che servono alla definizione delle sue mete, e a motivare e
mobilitare gli sforzi e l’energia nel sistema al fine di raggiungere queste mete realizzazione
delle mete
- I: INTEGRATION (integrazione): fa riferimento al problema di mantenere la coerenza e la
solidarietà, e coinvolge quegli elementi normativi che servono a garantire il controllo, a
mantenere il coordinamento tra i sottosistemi e a prevenire la disgregazione del sistema
(equilibrio).
- L: LATENCY (latenza), ovvero mantenimento dei modelli latenti e controllo delle tensioni: si
riferisce al processo grazie al quale l’energia motivazionale è accumulata/distribuita nel
sistema, e si articola in due problemi interconnessi, 1) pattern-maintenance vale a dire il
fornire e il confermare i modelli di comportamento consistenti in simboli, idee, conoscenze,
gusti e giudizi ecc., 2) tension-management vale a dire la risoluzione delle tensioni e conflitti
interni degli attori.

Cosa si intende con esterno e interno:


Secondo Parsons Adattamento e realizzazione delle mete sono sottosistemi che si sono specializzati
per gestire il rapporto del sistema verso l’esterno quindi verso l’ambiente.
I due sottosistemi in basso si occupano invece della vita interna del sistema.
81
Significato di strumentale e consumatorio: strumentale indica l’atteggiamento di razionalità che
caratterizza i due sottosistemi a sinistra, adattamento e latenza.
Secondo Parsons questi sistemi sono sull’asse della razionalità allo scopo, invece i due sottosistemi
a destra, realizzazione delle mete e integrazione sono ordinati dalla razionalità al valore.
La teoria di Parsons si chiama struttural-funzionalista perché i sottosistemi sono al servizio della
struttura, del sistema. Ognuna delle quattro parti individuali svolge funzioni diverse:
1. L’adattamento è un sottosistema esterno strumentale, è il sottosistema più a contatto con
l'ambiente esterno. Il sistema deve adattarsi all'ambiente senza farsi omologare. Le funzioni
dell’adattamento sono la funzione di reperimento dall'ambiente esterno delle risorse
materiali e la funzione di distribuzione delle risorse agli altri sottosistemi nella misura in cui
le richiedono.
2. Il sottosistema della realizzazione delle mete svolge la funzione di individualizzazione delle
mete, deve decidere quali sono gli obiettivi del sistema e ordinarli in ordine di priorità.
Un’altra funzione è mobilitare le risorse materiali e motivazionali ritenute indispensabili per
realizzare le mente.
3. L’integrazione è un sottosistema riflessivo perchè il fatto che il sistema sia suddiviso
comporta il rischio che ciascun sottosistema diventi autoreferenziale, questo perché ogni
sottosistema eredita le caratteristiche del sistema, sono delimitati da dei confini e c’è il
rischio che il sottosistema tenda a percepire ciò che sta fuori dai confini qualcosa da cui
difendersi. Questa difesa è necessaria, si tratta di un sottosistema specializzato ma bisogna
far sì che questo avvenga senza che si estranei e si dimentichi di far parte di un sistema
generale. C’è quindi il rischio che il singolo sottosistema veda gli altri sistemi come parte
dell’ambiente da cui difendersi. Per questo motivo Parsons pensa ad un sottosistema con lo
scopo che ci sia integrazione tra i sottosistemi e il sistema. L’integrazione è realizzata
tenendo in comunicazione l’asse latenza - realizzazione delle mete.
4. Il sottosistema della latenza svolge due funzioni: mantenimento dei modelli latenti e
controllo delle tensioni. I modelli latenti sono i valori (razionalità al valore e solidarietà
morale). Parsons dice che ogni società ha una sua matrice morale e valoriale a livello della
quale si definisce cosa è giusto o ingiusto. Questi modelli sono detti latenti perché i valori
sono invisibili ma fondamentali.
Parsons combinando la prima dimensione (che distingue tra interno ed estero di un sistema) con la
seconda dimensione (che distingue tra aspetti strumentali, o anche rapporto mezzi-fini e aspetti
consumatori) produce la sua personale teoria del sistema che mira a ricongiungere il senso delle
azioni con il loro coinvolgimento sistemico.
Nel 1953 insieme a Balse pubblica un lavoro dove delinea il nuovo paradigma AGIL, tutta l’opera
tratta di come questo sistema può essere applicato a diversi livelli (sia per analisi di strutture
statiche, che di processi dinamici, mantenendo un continuum tra le due).
La convinzione che l’intersecarsi delle due dimensioni produca l’identificazione dei quattro problemi
o prerequisiti funzionali, a cui ogni sistema deve far fronte, costituisce l’idea guida della teoria
parsonsiana.
Il presupposto è che ogni sistema, per mantenere il proprio equilibrio, o sviluppare un equilibrio
nuovo per garantirsi la sua differenziazione rispetto all’ambiente circostante, deve risolvere una
serie di problemi o soddisfare una serie di esigenze. Secondo Parsons i problemi che deve risolvere

82
un qualsiasi sistema possono essere generalizzati attraverso l’incrocio delle due dimensioni
esterno/interno e strumentale/consumatorio  da questo incrocio arrivano i 4 problemi funzionali

che ogni sistema d’azione deve soddisfare.


Se questi modelli vengono mantenuti allora è possibile il controllo delle tensioni, nel caso ci fosse
un conflitto e si conosca già cosa sia giusto, allora si riesce a placare il conflitto. In una società
moderna è facile che ci sia un conflitto tra classi.
Per Parsons ci sono dei valori fondativi che si collocano nel modello della latenza, per lui l’educazione
è uno di questi.
Prendiamo come esempio esplicativo il sottosistema dell’adattamento, che a sua volta al suo
interno si divide in quattro sotto-sistemi, che diventano di nuovo AGIL, abbiamo quindi dei
sottosistemi, della differenziazione e della specializzazione.
La divisione interna può andare avanti di sottosistemi in sottosistemi. Basta vedere il sottosistema
dell’adattamento (in alto a sinistra), noi lo dividiamo in quattro sottosistemi, che a loro volta saranno
diviso in quattro sottosistemi e si può andare avanti così ed è quello che avviene man mano che la
società diviene sempre più complessa e differenziata. Per questo Parsons parla di linguaggi iper-
specializzati dei sottosistemi, a tal punto quasi astratti e specializzati, che diventano disinteressati
e incapaci di decifrare il valore morale, perché concentrati a gestire l’iperspecializzazione e la
complessità che costituisce il loro interesse  tutto il resto è rumore, è disturbo.

Ricordiamoci del problema insuperabile che ha, secondo Parsons, ogni società moderna che si
modernizza sempre di più, dove per modernizzazione si intende la differenziazione della società, la
sua specializzazione. Per Parsons la differenziazione è inevitabile, va di pari passo con la
modernizzazione ed è necessaria perché la modernizzazione è spinta dallo sviluppo della scienza e
della tecnica, quindi dal formarsi e svilupparsi dei saperi esperti. Scienza e tecnica richiedono la
presenza di specialisti. Quindi Parsons dice che la modernizzazione è qualcosa di positivo però ciò
comporta la differenziazione che noi possiamo soltanto gestire, non possiamo fermarla. La
differenziazione comporta sempre la suddivisione di sistemi in sottosistemi. Ogni sottosistema
eredita dal sistema di cui fa parte le sue qualità, quindi un chiaro orientamento nel leggere
l’ambiente esterno come qualcosa di diverso da sé. I sottosistemi tendono quindi, inevitabilmente,
a rapportarsi agli altri sottosistemi dello stesso sistema in questo modo. Essendo una caratteristica
inevitabile, bisogna integrare continuamente i sottosistemi tra di loro in modo che non perdano la
memoria di essere parte di un sistema più alto, rispetto al quale svolgono delle funzioni. Le funzioni
che i sottosistemi svolgono sono al servizio della struttura.
83
Il soggetto agente può essere il singolo individuo o un gruppo umano organizzato, lo schema dettato
dalla teoria di Parsons si può applicare ad entrambi → lui lo chiama SISTEMA GENERALE
DELL’AZIONE, perché si applica ad un soggetto agente.
Schema:
 SOTTOSISTEMA DELL’ADATTAMENTO (corrisponde al sottosistema biologico). Ciascuno di
noi ha un organismo agente, cioè un corpo (sistema biologico). Esso ci permette di stare nel
mondo materiale e di interagire con la realtà esterna. Da un lato noi siamo i nostri pensieri,
dall’altro però esiste anche la parte della nostra materialità biologica. Questa è una delle
dimensioni costitutive dell’essere umano e quindi del soggetto agente. Secondo Parsons
questa dimensione dell’umano svolge le funzioni tipiche del SOTTOSISTEMA
DELL’ADATTAMENTO, perché si trova in quella parte di noi che è in diretto contatto col
mondo esterno. Parsons dice che ci sono discipline scientifiche che si occupano di ciò, le
scienze biomediche e le loro scienze di base (es. chimica e fisica). Le scienze biomediche e le
scienze elementari si occupano del nostro sistema biologico. Il reperimento delle risorse
materiali dall’ambiente esterno e la distribuzione di tali risorse nel sistema, sono le funzioni
del sottosistema dell’adattamento. Queste risorse non servono solo a far funzionare il nostro
organismo biologico, ma sostengono anche la nostra interiorità e il nostro pensiero. Queste
risorse quindi sostengono anche il nostro cervello, che è un organo attraverso cui
sviluppiamo le nostre riflessioni. Se non ci nutriamo e non respiriamo ossigeno, il nostro
corpo non funzionerà a dovere. Il nostro sistema biologico reperisce dall’ambiente esterno
queste risorse materiali e le restituisce all’interno del sistema andando a sostenere
materialmente altri sottosistemi, mettendoci nelle condizioni di far funzionare le altre
dimensioni dell’umano.
 SOTTOSISTEMA DELLA PERSONALITA’. Consiste nella nostra mente, è la dimensione
dell’interiorità, dove si costituisce e prende forma la nostra personalità. La psicologia si
occupa di questa dimensione, ci sono anche discipline di confine come la psichiatria (che si
occupa del sistema neurologico). Parsons si chiede perché non viviamo nel sottosistema
della personalità? Come facciamo ad agire? Siamo esseri pensanti, che non si lasciano
definire in modo deterministico dagli istinti (dimensione strettamente biologica), per agire
dobbiamo elaborare un processo decisionale. Weber lo aveva messo in evidenza. Noi ci
diamo degli obiettivi, priorità, in modo gerarchico, poi attraverso una conversazione
interiore, con cui acquisiamo familiarità con noi stessi, osserviamo il mondo esterno e
mettiamo a confronto la realtà con le nostre ambizioni, agendo di conseguenza. Prendiamo
in considerazione sia i vincoli sia le opportunità che il mondo esterno ci offre. Questi obiettivi
devono essere conformi ai nostri principi e valori. Per capire ciò ci vuole una conoscenza di
se stessi. Tutto ciò avviene nel sistema della personalità. Qui organizziamo anche il
reperimento delle risorse materiali e motivazionali. Le risorse materiali le chiediamo in parte
al sottosistema biologico, in parte al sistema sociale (es. il denaro). Per esempio,
un’alimentazione corretta, un tempo di riposo adeguato, ecc. richiedono una creta
organizzazione e sono possibili grazie alla condizione che la nostra settimana sia organizzata
in un certo modo. Tutte e quattro le dimensioni servono ma è nel pensiero che organizziamo.
Secondo Weber nel mondo moderno questo processo ingaggia in modo particolarmente
forte la ragione per lo scopo e al valore. Sempre in questo sottosistema si volge una verifica,
se c’è qualcosa da correggere in ciò che stiamo svolgendo. Tale sottosistema è importante

84
ma è esterno perché è votato all’azione. La nostra azione avviene nei confronti di altri. È
dotato di senso intenzionato e intellegibile, si esprime in una situazione nello spazio-tempo.
 SOTTOSISTEMA DELL’INTEGRAZIONE diventa SISTEMA SOCIALE. Il sistema sociale per
Parsons è quella componente del nostro essere umani. Una dimensione del nostro essere
umani è il nostro essere sociali. La nostra esistenza è fatta di relazioni, il nostro sistema
biologico deve essere nutrito, poi pensiamo e programmiamo; ma esistere, nel caso
dell’essere umano, vuol dire vivere in una rete di relazioni. La socialità è una componente
essenziale della nostra esistenza. Noi non siamo delle monadi (entità umana). Di questo
aspetto si occupa propriamente la sociologia. Quindi le scienze mediche si occupano del
sistema biologico, la psicologia si occupa del sistema della personalità e le scienze sociali si
occupano del sistema sociale, delle interazioni. Secondo Parsons siamo sempre, sia in modo
implicito sia in modo esplicito in contatto con gli altri; anche attraverso i social media. La
socialità si articola dentro le la gerarchia del controllo sociale. Se ragionando sul sistema
della personalità Parsons è weberiano, ragionando sul sistema sociale è durkheimiano.
Parsons mette molto in evidenza la forza della società attraverso il concetto di “controllo
sociale”, che è diventato uno dei concetti fondamentali della sociologia. Il controllo sociale
avviene attraverso una gerarchia di strumenti:
 I valori: visto che siamo esseri pensanti, tendiamo ad agire in modo conforme a ciò che
pensiamo. Perciò la società cerca di plasmare i nostri pensieri. Noi agiamo in base a ciò
che riteniamo giusto o desiderabile. Quindi c’è una connotazione valoriale in ciò che noi
pensiamo e in ciò che ci orienta ad agire. La società tende ad esercitare un controllo
innanzitutto in profondità, plasmando i nostri valori, ovvero ciò in cui crediamo.
 Le norme (che discendono dai valori): questi valori per avere presa negli individui devono
essere codificati in norme, in regole, leggi, codici normativi. Le nostre interazioni nella
vita quotidiana, soprattutto nella sfera pubblica, sono tendenzialmente regolamentate
da norme (codice della strada, al codice penale, al codice civile e così via).
 I ruoli: la società, dice parsons, organizza il controllo, che può essere esercitato in modo
ancora più stringente attraverso i ruoli. I role set sono gli insiemi dei ruoli che noi
interpretiamo nella nostra esistenza quotidiana, essi possono cambiare. Ogni ruolo
comporta delle aspettative di comportamento, noi siamo vincolati ad agire in un certo
modo in base ai ruoli che abbiamo. I ruoli non sono altro che le norme e i valori ritagliati
ad hoc sull’individuo. Le norme sono ciò che un individuo deve o non deve fare, ma ogni
volta che si applicano i ruoli (es: codice della strada dove ci sono automobilista / pedone)
si applicano delle aspettative di ruolo e le norme in oggetto. Ciò per ogni ruolo che
assumiamo nella nostra giornata.
 Le sanzioni (positive o negative): se agisco in modo non conforme al mio ruolo sono
passibile di sanzione negativa, stabilita a seconda della violazione in modo proporzionale
(devianza), se agisco in modo conforme in modo particolarmente virtuoso allora ottengo
dei premi (es. promozione sul lavoro). Lo stesso vale per le sanzioni scolastiche. In questo
modo il controllo sociale ha lo scopo di plasmare dei soggetti che imparino ad agire in
modo conforme ai ruoli assegnati dalla società. Questa analisi può essere utile, per
esempio, per leggere le dinamiche in atto in una classe.
La società esercita dunque un controllo sugli individui attraverso la gerarchia di controllo
sociale. Il sistema della personalità e quello sociale sono strettamente collegati → a

85
incarnare questi ruoli ci sono sempre dei soggetti che interpretano questi ruoli e li
vivono ed esprimono sulla base della propria soggettività. Ci sono insegnanti che
svolgono correttamente il loro ruolo eppure insegnano in modo diverso  applicano la
propria soggettività. Diverse personalità tendono a ridurre la propria soggettività,
facendo l’espressione di quel dato ruolo, in questo consiste l’omologazione; però,
facendo questo siamo sotto un controllo sociale totalitario. Non è tollerata nell’esercizio
dei ruoli sociali l’espressione della propria personalità (conformismo eccessivo come
sintomo di derivazione totalitaria).
 SOTTOSISTEMA CULTURALE: per cultura si intende quell’altra dimensione della nostra
persona: dove noi elaboriamo i pensieri. Noi abbiamo un corpo, ma non è possibile elaborare
pensieri ed interagire con gli altri senza cultura. Questa è innanzitutto dato dal linguaggio:
senza linguaggio non possiamo elaborare pensieri. Usiamo le parole per pensare, esse ci
servono per definire i concetti, per distinguerli tra di loro. Il linguaggio è una delle
componenti fondamentali della cultura, attraverso esso noi stabiliamo i valori, gli diamo un
nome. C’è anche un aspetto che lega l’aspetto culturale a quello sociale in quanto il
linguaggio noi lo possiamo imparare solo interagendo con i nostri simili. Si capisce così come
il sistema tende a integrare (per esempio, una delle ragioni per cui durante il lock down tanti
hanno sofferto è che è stata messo in crisi questa struttura → chiusi in casa, faceva danni
l’isolamento sociale). Attraverso la cultura possiamo pensare, dialogare con noi stessi,
orientare il nostro agire possiamo quindi interagire.
I processi educativi, secondo Parsons, sono dentro a questo sottosistema culturale. Suo è
anche il concetto di quelle che chiama agenzie o agenti di socializzazione, che sono i luoghi
d’interazione  le istituzioni interattive. Parsons ne individua essenzialmente quattro: la
famiglia, la scuola, la religione e i mass media. Sicuramente se ne possono aggiungere altri,
come il lavoro. Attraverso le agenzie di socializzazione avviene, dice Parsons, il processo di
socializzazione. Quest’ultimo è il processo attraverso il quale la società ci socializza, ci rende
capaci di vivere in modo funzionale ad essa. La socializzazione, per Parsons, è
interiorizzazione di norme e valori. Per interiorizzazione intende qualcosa di diverso dai
processi cognitivi: può avvenire attraverso questi, però vuole dire che ciò che assimiliamo
non sono delle conoscenze astratte ma sono delle convinzioni profonde che vengono
interiorizzate, vanno a plasmare la nostra interiorità. Ad esempio, durante il periodo fascista
le persone avevano interiorizzato i valori del fascismo. Una parte minore di italiani ha
interiorizzato i valori fascisti rispetto alla Germania, dove la stragrande maggioranza ha
interiorizzato i valori del nazismo, il dramma è stato proprio questo. Parsons ha un’idea forte
dell’eduzione: la società vuole, in modo durkheimiano, che i suoi valori vengano
interiorizzati, non basta che siano conosciuti!
Parsons distingue tra:
 Le agenzie della socializzazione primaria: la famiglia. “Primarie” per due motivi. Il primo
è che viene prima: la nostra socializzazione inizia qui, iniziamo ad interiorizzare nella
famiglia. Per esempio, il concetto di madrelingua: il concetto di madrelingue è indicativo
del concetto di socializzazione primaria → la nostra madrelingua l’abbiamo imparata in
tenera età interagendo di solito nel nucleo famigliare  quindi l’abbiamo interiorizzata.
Una persona può studiare benissimo una lingua straniera, ma non sarà mai la sua
madrelingua.

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Il secondo motivo è che ciò che si assimila con la socializzazione primaria è
profondamente interiorizzato  plasma una buona fetta di personalità. Per questo i
sistemi politici di tipo totalitario cercano di anticipare l’ingresso dei bambini nel sistema
scolastico. Ai tempi di Parsons la religione era una forma di socializzazione molto forte,
oggi nei paesi più occidentali lo è meno (secolarizzazione). Altre forme di socializzazione
sono i mass media, ma anche il gruppo dei pari. Attraverso l’interazione con il gruppo dei
pari si assimilano giudizi, valori e così via. Per Parsons il gruppo dei pari è importante
perché la socializzazione avviene in modo orizzontale, mentre in famiglia, religione,
scuola, nei mass media e nel lavoro la socializzazione avviene in modo verticale (c’è
un’autorità superiore). I mass media sono di per sé un’autorità (se lo dicono al
telegiornale già è un giudizio). Anche tra i pari c’è una leadership, però si può considerare
orizzontale.
 Le agenzie della socializzazione secondaria: tutte le altre, in particolare la scuola. La
scuola è interessante, così come gli oratori in contesti religiosi, perché uniscono questi
due processi di socializzazione: verticale e orizzontale. A seconda del tipo di società ci
sono altre forme di socializzazione oltre quelle citate, come l’esercito. In USA e Israele
per esempio è importante.
Parsons prende questo schema e lo applica ad un sistema sociale inteso come Stato, in questo caso
in Italia. Lo fa per far vedere l’utilità del suo approccio ideologico e per dare un’idea dell’elasticità
della sua teoria.

La nostra socialità è regolarizzata dai due massimi apparati: lo Stato e il mercato capitalistico (società
politica democratica e società industriale). Parsons dice che le nostre interazioni nella vita
quotidiana sono contestualizzate qui. Come pensiamo alla società applicando questo sistema?
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Mettiamo la politica e l’economia in alto. In particolare, il sottosistema economico sta
nell’adattamento: tutto ciò che noi usiamo (i beni materiali) viene attraverso il sistema economico
che prende le risorse materiali esterne, poi le distribuisce in tutto il sistema sociale. Queste materie
esterne possono essere le materie prime che vengono trasformate, quelle che provengono
dall’ambiente naturale, ma possiamo anche intendere “materie esterne sociali”, per esempio il
sistema economico inteso attraverso le importazioni di prodotti esteri, che vengono poi distribuite.
Si pensi al progetto di costruzione di un’Unione Europea unita: pensare ai diversi Paesi come parti
dello stesso sistema, idea di annullare i confini. L’ambiente si differenzia all’esterno dei confini. Il
sistema economico reperisce le risorse e le distribuisce. La politica va nel sottosistema G (sistema
della personalità), biopsichico: la politica decide gli obiettivi e le priorità. Essi devono essere
conformi ai principi costituzionali. Il Parlamento è dove si ragiona, dove ci si confronta, ci si
argomenta, si prendono le decisioni, possibilmente condivise. La politica e le istituzioni politiche,
secondo Parsons, sono i luoghi dove si discutono le mete e si reperiscono le risorse materiali e
motivazionali. Per esempio, il reperimento delle risorse materiali è la legge più importante del
Governo, quella finanziaria (come finanziamo questo certo programma?). Il sistema economico
fornisce le risorse materiali, le risorse motivazionali invece fanno appello al mondo dei valori,
convinzioni, principi, è ciò che spinge i cittadini (ci aspettano cinque anni di sacrifici per rendere
l’Italia un Paese più democratico, governo e così via). Al tempo del fascismo le risorse motivazionali
consistevano nel rendere l’Italia una delle grandi potenze, guerra e violenza come strumenti
motivazionali. La politica deve sempre fare discorsi motivazionali: loro prendono le decisioni ma
sono i cittadini che le devono mettere in atto → legge fiscale, ok, ma poi è il cittadino che paga. È il
cittadino che si mobilita.
Il sottosistema integrativo è quello governato dagli apparati dell’ordine, della legalità, della legge
civile, penale e morale. Sono le istituzioni che stabiliscono le regole sia di tipo giuridico sia morale.
Parsons mette nel sistema integrativo anche le istituzioni religiose, perché plasmano le regole
morali. Però sottolinea come importanti la legge e gli apparati che garantiscono l’applicazione della
legge, soprattutto per ciò che riguarda il codice penale e civile, la sfera dei diritti e doveri.
Infine il sottosistema valoriale della socializzazione.
Questi sottosistemi sono strettamente collegati. Ad esempio, analisi di come variano i sistemi
scolastici nel tempo (libro Brint) per far fronte a diversi interessi.
Il problema del senso della globalizzazione: principali interpretazioni sociologiche
Cinque principali quadri teorico-interpretativi:
1. Neo-funzionalista
2. Neo-marxiano
3. Neo-illuminista
4. Nichilista (o «postmoderno» nel senso di François Lyotard, cioè come «fine delle grandi
narrazioni»)
5. Neo-ontologico
Si consideri che:
 Questi quadri interpretativi sono in concorrenza tra loro;
 Tra alcuni di essi, tuttavia, esistono anche dei tratti convergenti;
 All’interno di ciascun quadro teorico possono esserci correnti interpretative tra loro in
disaccordo e in competizione.

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Approccio Neo-funzionalista:
 Funzionalismo classico: ‘800 e primo ‘900 [> E. Durkheim]: nel funzionalismo classico la
società è pensata come un organismo biologico (> Biologia); un organismo si caratterizza per
la differenziazione interna e la specializzazione (di apparati, organi, parti, cellule) ordinata
allo svolgimento di funzioni direttamente o indirettamente vitali per la sopravvivenza del
sistema. La solidarietà sociale si articola su due livelli:
~ Interdipendenza delle funzioni
~ Coscienza collettiva
 Funzionalismo maturo: struttural-funzionalismo [> T. Parsons] (tra prima e seconda metà del
‘900). Nel funzionalismo maturo la società è pensata come un SISTEMA (> Cibernetica). Un
SISTEMA che si caratterizza nel seguente modo:
~ Si costituisce in forza del codice binario sistema/ambiente
~ Il «senso» della sua esistenza consiste nella ricerca e nel mantenimento dell’equilibrio
interno
~ A tale scopo esso si differenzia in sottosistemi specializzati
~ Il fondamento ultimo dell’equilibrio e la sua struttura valoriale
 Neo-funzionalismo (Funzional-strutturalismo) [N. Luhmann] dagli anni Settanta del ‘900 in
poi

Dallo STRUTTURAL-FUNZIONALISMO al FUNZIONAL-STRUTTURALISMO


Nel concetto di struttural-funzionalismo la società moderna è vista come costrutto sociale, morale
e solidale, che è ancora in grado di limitare e gestire i rischi essenzialmente per una ragione: perché
è una COMUNITA’ SOCIETALE (valori > norme)
~ La comunicazione tra i sottosistemi è possibile perché il Sistema riesce a mantenere e a
riprodurre la struttura dei valori latenti.
~ L’interdipendenza delle funzioni e dei sottosistemi è ricondotta e, ultimamente, ordinata a
un patrimonio di valori comuni, fondativi e costitutivi dell’identità culturale, morale e politica
del Sistema sociale generale.
Struttural-funzionalismo: le funzioni sono al servizio del Sistema
Nel concetto di funzional-strutturalismo abbiamo il dissolvimento della struttura dei valori latenti:
~ Mancano i codici fondamentali per la comunicazione interna del sistema;
~ Il processo di differenziazione si articola secondo criteri meramente strumentali
(perseguimento di interessi materiali secondo il principio dell’efficienza);
~ Si generano sottosistemi iper-specializzati autopoietici  autopoiesi dei sottosistemi:
indipendenti, autonomi, autoreferenziali;
~ I sottosistemi più forti si impongono, in quanto luogo dell’aggregazione di potenti interessi
particolari;
~ I codici etici e tutta la struttura sociale sono rielaborati in modo convenzionale e artefatto,
come funzionali a questi interessi particolari (political correctness) > Funzional-
strutturalismo.

Società moderna come costrutto sociale a-morale e individualista (paradosso del costrutto sociale
a-sociale). La società moderna non è più in grado di limitare e gestire i rischi, ma anzi li moltiplica in
89
modo esponenziale, essenzialmente per una ragione: perché si è sviluppata e costituita
essenzialmente come società tecnologica e tecnocratica (interessi > norme > pseudo-valori).
Inoltre, essendo ultimamente ordinata alla volontà di potenza delle minoranze che controllano i
sottosistemi più forti, questa società – potenzialmente e tendenzialmente – avrà uno sviluppo
totalitario in senso distopico.
Funzional-strutturalismo: il Sistema è al servizio delle funzioni
Il concetto di società/comunità è inteso come forma tipica della società premoderna; mentre la
società in senso stretto forma della società moderna, multi-differenziata, una società industriale,
tecnologica e specializzata.
Secondo Parsons il divenire della società può avere aspetti sia negativi che positivi, mentre per i
sociologi classici il disfarsi della società è fisiologico, insito nella legge della storia.
Durkheim e Weber in particolare si focalizzano sul problema della società multi-differenziata che è
un problema e bisogna accettarlo così com’è. Mentre secondo Parsons questo problema esiste, ma
è risolvibile e superabile, secondo lui è addirittura già superato. In realtà il processo di
modernizzazione può anche svilupparsi si verso una visione societaria e di differenziazione sociale,
tramite la divisione del lavoro, ecc.., ma questo può accadere anche accompagnandosi con una forte
dimensione comunitaria.
Parsons pensa che il superamento dell’utilitarismo e il fornire, una soluzione soddisfacente al
problema dell’ordine sociale, sia possibile, sostenendo che in tutti i sistemi sociali esista un insieme
di valori condivisi, da parte dei loro membri. I valori condivisi sono contemporaneamente esterni
all’individuo: giacché preesistenti alla sua nascita, manifestati da altri soggetti, espressi i libri,
giornali, film. ecc., ma anche interni alla personalità dell’individuo: venendo interiorizzati nel corso
del processo di socializzazione.
Dunque, la modernizzazione non fa venire meno, per forza, la dimensione comunitaria, può
succedere, ma non è dato per scontato.
Questa sintesi/simbiosi tra dimensione societaria e dimensione comunitaria è già visibile,
costituendo la caratteristica più evidente della società moderna per eccellenza: gli U.S.A.  secondo
Parsons gli Stati Uniti sono un esempio di comunità societaria.
Gli U.S.A., che uniti formano che è uno stato democratico capitalistico, hanno sviluppato questi
concetti nel modo più evidente possibile  esempio di sviluppo del mondo.
Le ragioni per cui ciò è avvenuto vengono spiegate da Parsons direttamente. Gli USA hanno
sviluppato la propria modernizzazione in modo radicale, ma al tempo stesso hanno mantenuto e
salvaguardato i processi di socializzazione e la matrice teologica cristiana protestante.

Come avviene questo processo secondo Parsons? I processi di socializzazione trasmettono valore.
Quindi le interazioni della vita quotidiana, dentro i ruoli sociali, mantengono in sé le loro
caratteristiche:
a. Il soggetto agente è un attore specializzato e agisce in modo conforme alle aspettative di
ruolo dettato dalla società, secondo un principio di efficienza (USA = società razionale ed
efficiente. Riesce ad imprimere ai cittadini questa disciplina nello svolgimento del proprio
ruolo).
b. I processi di socializzazione trasmettono anche in parte la struttura dei valori latenti, in
forza della quale i singoli attori sociali sono anche soggetti agenti, interpretano i propri
ruoli, li eseguono razionalmente; ma al tempo stesso cercano di agire anche in modo
conforme ai valori.

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Questo può avvenire a tutti i livelli della società. Le norme sociali sono tendenzialmente votate
all’efficienza (quindi alla razionalità allo scopo) e ai valori (quindi alla razionalità al valore).
Tutto questo è vero o no? Lasciamo in sospeso questa domanda. Risposta data dai sociologi
contemporanei di metà 900.
Aspetti da tenere in considerazione:
1. Struttura dei valori trasmessa anche dal sistema normativo
Gli USA hanno la loro storia. Secondo Parsons la struttura dei valori latenti è forte e viene
confermata dall’interazione della vita quotidiana, dalla società modernizzata, che spinge i soggetti
ad agire in modo razionale rispetto allo scopo e alla massimizzazione della potenza degli apparati
moderni, allo stato di assoluto mercato (individualismo, agire razionale rispetto allo scopo per la
massimizzazione dei profitti, ecc.); ma è anche vero che, nella loro interazione nella vita quotidiana,
gli americani non dimenticano la dimensione sociale; perché il quadro normativo costantemente
richiama i cittadini a questo aspetto. In parte ciò si vede anche nel cinema americano, dove vige
l’idea retorica di fare sempre la cosa giusta. Alla fine, è vero che ci sono i cattivi, che vogliono
corrompere le istituzioni per interessi privati, ma nel sistema i buoni prevalgono  il bene vince
perché le istituzioni fanno valere il bene.
2. Mutamento socioculturale
Alcuni critici hanno detto che la sociologia di Parsons non può affrontare questo argomento, perché
il suo approccio teorico sarebbe deficitario, poichè non adeguato a studiare il fatto che la società si
trasforma velocemente (fenomeno tipico della modernità).
Secondo Parsons il sistema è in equilibrio, la società si trasforma senza scossoni, attraverso
trasformazioni lente e graduali. Secondo altri studiosi la società evolve tramite la rivoluzione,
mentre per Parsons rivoluzione è sinonimo di scardinamento, implosione del sistema, ricostruzione
 quindi qualcosa che sconvolge il sistema; mentre il sistema si deve trasformare lentamente.
Come avviene la trasformazione della società? Mutamento socioculturale vuol dire mutamento
anche della struttura dei valori.
Il mutamento segue due dinamismi:
a) Ordinario: nella normalità delle società, i sistemi sociali si trasformano secondo questo
dinamismo. Avviene in tutte le società, compresa quella moderna  dinamismo di tipo
orario.
Dinamismo di tipo AGIL  parte dal sottosistema economico di adattamento, poi passa a
quello della politica, a quello integrativo per arrivare al cambiamento della struttura dei
valori.
Siccome le società moderne sono prevalentemente industriali, il loro pilastro più importante
è proprio quello economico. Più in generale, il sottosistema dell’adattamento è quello più
esposto/a contatto con l’ambiente.
Nelle società moderne sono le esigenze di tipo economico che imprimono la trasformazione
della società, la quale avviene sempre in modo equilibrato = si cerca di fare in modo che
siano assecondate le esigenze del sottosistema economico, mantenendo però l’equilibrio
anche degli altri sottosistemi. Per esempio quello politico si mette in movimento, ma rimane
comunque democratico. Il sottosistema dei valori latenti può trasformarsi, ma i valori
fondamentali non cambiano; anche se si cercano modalità più consone alle esigenze
dell’economia per affermare dei valori. Anche le interazioni della vita quotidiana ne
risentono, i ruoli sociali cambiano, ma tutto ciò avviene comunque in equilibrio.

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b) Straordinario: capita più raramente. Il processo di mutamento socioculturale anziché avere
un dinamismo di tipo orario, è di tipo antiorario. Ovvero parte dal sottosistema della latenza,
che va a plasmare l’economia. Questo avviene specie quando ci sono delle improvvise,
impreviste e profonde trasformazioni nell’orizzonte dei valori. Ad es una trasformazione di
tipo religioso come lo studio del capitalismo di Weber (la trasformazione di tipo teologico
plasma un’etica, che va a trasformare anche il sistema economico). Può anche accadere che
sia il mondo della soggettività, cioè quello dell’individualità dei singoli, dei valori che
coinvolge ciascun individuo, a trasformare la società.
Questa è una lettura della realtà conforme al capitalismo, alle esigenze della classe
dominante. La culla della società si mantiene, la struttura dei valori riesce a tenere testa. La
società dei valori si trasforma, ma la struttura dei valori latenti tiene e riesce a trasmettere
dei valori nella società in trasformazione, riesce a ripensare ai valori fondamentali
iscrivendoli in nuovi ruoli sociali, in normative per cui il sistema tiene.

Obiezione mossa dalla sociologia degli anni 80/90, in particolare mossa da Luhmann Niklas (anche
se elaborata in precedenza, ma arrivata a maturazione in quegli anni): l’unica società che hai in
mente è esistita e ha retto fino ad un determinato momento, (Parsons ha in mente gli USA anni ’50),
in cui la comunità societaria ha raggiunto la sua massima espressione.
Ma dagli anni ‘60 in poi c’è il fenomeno del graduale logoramento della dimensione comunitaria,
della solidarietà morale e affermazione dominante della dimensione societaria funzionale e
razionale allo scopo. Questo è un fenomeno la cui causa principale risiede nell’accelerazione della
modernizzazione dal secondo dopoguerra in poi.
In questo periodo, succede che lo sviluppo scientifico e tecnologico aumenta in modo esponenziale,
di conseguenza anche la sua applicazione nella società morale.
Il processo di trasformazione socioculturale che parte dal sotto-sistema economico comincia ad
articolarsi su ritmi intellegibili per il sottosistema della latenza (= la società si trasforma troppo
velocemente, sotto la spinta dei progressi tecnologici e industriali che sono esplosi).
1945-50 USA diventa una società sempre più moderna ma ha ancora una forte tenuta dei valori, che
si declina dagli anni 60 in poi. La struttura dei valori latenti poco alla volta si sfalda.
Luhmann spiega in che modo si sfalda (molto vicino a Weber):
- Il sottosistema economico si potenzia al punto tale da andare a plasmare in modo sempre più
diretto sia gli obiettivi dell’agenda politica sia i nuovi valori, plasmandoli secondo le proprie
esigenze, votate alla massimizzazione dei profitti.
- Il capitalismo dispone di una capacità di deviazione della società, tale per cui è in grado di
diffondere nuovi pseudo-valori, in grado di trasformare le nuove strutture valoriali (culture del
consumismo, individualismo, esibizionismo, narcisismo, ecc.  sono tutti pseudo-valori). Ciò
è dovuto all’insaziabile bramosia di denaro dei capitalisti.
Secondo Luhmann avviene il passaggio da una società basata sul struttural-fuzionionalismo ad una
basata sul fuzional-strutturalismo. Nello struttural-funzionalismo di Parsons i sottosistemi hanno
memoria di appartenere al sistema, ciascun sottosistema è specializzato nello svolgere funzioni
fondamentali, nello svolgimento di bisogni fondamentali per il sistema. I sottosistemi si
specializzano e ciò è normale che avvenga, perché altrimenti non avverrebbe la modernizzazione, e
senza modernizzazione ci sarebbe un’implosione e il sistema verrebbe colonizzato da altri sistemi.
Ma i sottosistemi mantengono la memoria del sistema centrale nell’elaborare i ruoli sociali
specializzati o le aspettative dei ruoli necessari, per adempiere a tutte le mansioni del sottosistema
specializzato, i codici normativi tengono conto, quindi, dei valori latenti. Ad es bisogna avere un
sistema economico con un obiettivo di mercato competitivo, per cui i lavoratori devono lavorare in
modo puntuale e regolare per tot ore al giorno, altrimenti non si è competitivi sul mercato interno
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ed esterno. Questo processo è esploso con la globalizzazione, anche se anche prima della
globalizzazione valeva questa regola, perché c’era un mercato internazionale. Bisogna rimanere
competitivi ed efficienti, ma nel rispetto di alcune regole: per esempio i diritti dei lavoratori.
Stessa cosa succede in altri mercati, ad es. il mercato del cibo (che riguarda il bisogno primario di
nutrirsi) dove esiste una competitività, ma anche delle regole da seguire. Ad es vi sono molte
pressioni da parte dell’UE sui prodotti che devono seguire una serie di regole (ad es prodotti
sdoganati in USA, sono vietati in EU per motivi di salute).
Così altri mercati, come l’industria farmaceutica.
Chi ci tutela da questa minaccia?
- Giornalismo di inchiesta professionistico
- Magistratura libera
- Associazionismo dei consumatori che si coalizzano per tutelarsi, esercitando i diritti di
cittadinanza, di libera informazione ecc.
Secondo Luhmann questo meccanismo si è rotto infatti il capitalismo, ad un certo punto, ha assunto
un potere tale per cui la comunità americana ha iniziato a disgregarsi. Il sottosistema economico ha
cominciato a dettare legge politica e a modificare il sistema dei valori  il tutto è avvenuto
ovviamente poco alla volta, poiché questo processo è graduale.
Lo struttural-funzionalismo (di Parsons) e le sue funzioni (i sottosistemi) sono funzionali al sistema.
Ciascun sottosistema è specializzato, ma lavora per il sistema generale.
Luhmann dice: la dinamica che ha preso il mondo moderno (USA) è il funzional-strutturalismo = la
struttura al servizio delle funzioni (le funzioni singole della struttura che piega il sistema centrale).
Specialmente il sottosistema finanziario piega la società secondo i propri bisogni. Nelle società
moderne la politica non è più in grado di dire al mercato cosa fare, ma è il contrario.
Concetto di autopoiesi: un sottosistema autopoietico è un sottosistema che è in grado di riprodursi
da solo, senza altri sottosistemi. È anche autoreferenziale perché concentrato solo su sé stesso. I
sottosistemi autopoietici e autoreferenziali sono sottosistemi super specializzati, che sviluppano un
linguaggio comunicativo altamente specializzato. Questo è normale per tutti i sottosistemi (di
entrambi gli assetti) per gestire la complessità. Senza un linguaggio altamente specializzato non si è
in grado di gestire la complessità interna. Es. due chirurghi specializzati parlano e si capiscano tra di
loro, ma noi non capiamo, perché usano un linguaggio specializzato, questo serve per gestire la
complessità del loro ambito; così per tutte le figure specializzate: filosofi, ecc.
I sottosistemi autopoietici e autoreferenziali sono totalmente incapaci di recepire gli stimoli.
Es. bioetica = è il tentativo di applicare alla scienza biomedica una riflessione di tipo etico, cioè
inerente con ciò che è moralmente lecito o illecito fare. Porre un limite all’applicazione automatica
in campo biomedico. Tutto ciò che è tecnicamente fattibile in ambito biomedico non è detto che sia
fattibile dal punto di vista etico.
Questa riflessione è nata negli anni ’50, quando la scienza e la tecnica hanno avuto uno sviluppo
esponenziale. In una società democratica con registro struttural-funzionalista questo tentativo viene
apprezzato e valorizzato. Invece in una società impostata in un registro funzional-strutturalista
(dove il sottosistema dominante è quello economico) il rapporto bioetico viene rigettato, perché ciò
che è fattibile lo valutiamo da un punto di vista esclusivamente economico e non valoriale/etico 
il codice comunicativo, in questo caso, è il denaro.
La domanda è: quindi ciò che eticamente possibile ci permettere di mettere a punto delle pratiche
che consentono di guadagnare? Questi due ambiti sono codici differenti che non sono capaci di
comunicare tra di loro.

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La società tecnologica offre grandi possibilità di sviluppo in senso positivo, ma anche l’aumento della
possibilità di controllo sociale. Quello che Weber diceva, ovvero il pericolo che le società si evolvano
in senso totalitario, ora secondo Luhmann diventa un rischio concreto.
Negli anni ’70, è stato pubblicato un volume dello storico israeliano Jacob Leib Talmon, tradotto in
molte lingue e oggi considerato un classico “Le origini della democrazia totalitaria” approfondisce
proprio questo concetto.
Democrazia totalitaria: è uno stato che dà l’idea della democrazia che si mantiene nei suoi apparati
e processi (modi, libere elezioni, sistema dei partiti, divisione dei poteri). Ma in realtà l’assetto viene
deciso da ristretti gruppi di persone elitarie. Sono i poteri reali / poteri forti che controllano gli
apparati centrali. Lavorano nei retroscena, e si mette in scena lo spettacolo della democrazia; in
realtà è finta  non esiste, solo un ristretto gruppo detiene il potere.
L’approccio teorico di Parsons ha due prospettive:
a. Teoria del sistema: incentrata sull’interdipendenza tra le parti dei sistemi, al cui interno gli
attori sociali agiscono.
b. Teoria dell’azione: incentrata sul nesso che intercorre tra le azioni e il senso o significato delle
medesime.
C’è un aspetto che è molto utile e interessante: le variabili strutturali = ovvero in ciascun ruolo
sociale che rivestiamo quotidianamente, che il sistema sociale ci richiede e per il quale ci ha
socializzato (apprezzato moralmente per adempiere correttamente alle aspettative di questo ruolo)
ci troviamo ad affrontare diverse situazioni. In ciascuna di esse noi non siamo degli attori (attori
sociali che seguono un copione); ma mettiamo in gioco la nostra dimensione interiore, la nostra
soggettività. Per cui, interpretiamo i nostri ruoli, ma li interpretiamo attraverso i nostri valori (questi
ultimi anche se insegnati attraverso la socializzazione, noi li abbiamo interiorizzati secondo la nostra
dimensione interiore. Negoziamo i valori scegliendo il nostro modus vivendi). Nelle situazioni in cui
ci troviamo a vivere interpretiamo i ruoli, ma dobbiamo ogni volta risolvere un dilemma
fondamentale. Nella risoluzione entra in gioco la nostra unicità come soggetto.
Parsons elabora un sistema di classificazione delle azioni e di tutti gli elementi connessi ad esse su
cui basare l’analisi sociologica. Lo strumento che elabora è la classificazione PATTERN VARIABLES
(reso con variabili strutturali, variabili modello ecc. secondo le opzioni interpretative del traduttore).

Il sistema Pattern Variables


Teoria dell’azione di Parsons, lui le chiama variabili strutturali, che tradotto in inglese diventa
appunto patterns variables (PV). Le Pattern Variables consistono in cinque dicotomie/coppie con
cui classificare qualsiasi oggetto sociale. Parsons ha cominciato a delinearle nel corso di uno studio
svolto negli anni ’30 sulle professioni, in questo studio egli comparava tra loro la professione medica
(idealmente caratterizzata dall’altruismo), il ruolo dell’imprenditore (idealmente caratterizzato
dall’egoismo) e il funzionario pubblico (idealmente caratterizzato dell’imparzialità).
Uno dei quesiti, che accompagnavano l’intento comparativo, mirava a chiarire se si poteva
affermare che l’uomo sia caratterizzato da una sola base motivazionale e quindi se l’uomo è di
natura egoista o altruista.
Parsons studia le varie figure ed emerge che non è necessario ipotizzare una natura umana
peculiare: le motivazioni altruistiche oppure egoistiche oppure orientate all’imparzialità non sono
naturali ed in alternativa, esse sono indotte dal contesto strutturale in cui le persone si trovano ad
agire. Ad esempio, l’imprenditore non è per sua natura egoista, ma per il buon funzionamento della
sua impresa è necessario che si comporti in modo egoistico e calcolatorio. Viceversa un medico può
benissimo essere una persona egoista, ma le esigenze connesse alla sua pratica professionale lo
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inducono a comportarsi come se fosse altruista. Il radicamento istituzionale dell’altruismo o
dell’egoismo va ben al di là del fornire una base motivazionale alle persone, ma caratterizza
organizzazioni sociali nel loro complesso. I cittadini non si aspettano che un ente economico sia
generoso nei loro confronti, ma invece ritengono ovvio che vi sia un servizio sanitario disponibile, e
più o meno gratuito.
Le PV nascono oltre che per l’analisi comparata di professioni anche per superare la dicotomia che
ha dominato per lungo tempo la sociologia: cioè la contrapposizione tra società e comunità.
Questa contrapposizione era nata dal passaggio da società premoderne (società caratterizzate da
sentimenti di appartenenza molto forti e radicati e da un rapporto tra individuo e il suo intorno
sociale, molto stretto e coartante) a società moderne (i rapporti sociali, liberamente scelti dagli
individui, sarebbero modulati dall’istituto giuridico del contratto e dall’individualismo, all’interno di
una organizzazione sociale sempre basata sulla interdipendenza degli individui ignoti gli uni sugli
altri).
Parsons con le PV vuole offrire uno schema di analisi:
- Unitario e generalizzato
- Per descrivere le caratteristiche di entrambi i tipi di organizzazione
- Adeguato a rilevare la compresenza di aspetti comunitari e societari
- Che promuova l’identificazione di altri assetti sociali.
Altro punto importante è che questo approccio, una volta che si coniugherà con la teoria del
sistema, avrà la capacità di riconoscere il modo in cui le medesime esigenze funzionali sono
soddisfatte in sistemi diversi, permettendo di riconoscere caratteristiche presenti nella società
moderna, di solito pensate come tipiche solo delle società premoderne.
Parsons infine vede le professioni come la vera chiave di volta della società moderna. Egli sostiene
che tanto le teorie sociali liberali quanto quelle marxiste hanno torto nell’enfatizzare il ruolo
trainante dell’economia come caratteristica peculiare della struttura di una società moderna.
Per Parsons questo ruolo spetta alle professioni, in quanto la società moderna è pervasa da criteri
di razionalità anche nella gestione degli affari correnti, così i ruoli professionali funzionerebbero da
cerniera tra il mondo della scienza e il suo utilizzo a fini operativi. Le professioni avrebbero anche il
ruolo di introdurre nelle organizzazioni, dominate dal principio gerarchico, elementi di collegialità
che stemperano il modello burocratico con elementi di collegialità tipici del lavoro scientifico.
Parsons per facilitare l’approccio a questa tipologia la illustra facendo riferimento ad alternative di
scelta con cui gli attori sociali si confrontano ogni volta che fanno un’azione.
Queste coppie di dilemmi, anche dette alternative di scelta. Si tratta del fatto che secondo Parsons,
l’individuo in quanto attore sociale riveste dei ruoli nella sua integrazione nella vita quotidiana. Dei
ruoli sociali che i processi di socializzazione gli ha attribuito e in forza dei quali egli sta dentro la
società e svolge delle funzioni per la società, in quanto attore sociale. Assume questi ruoli e svolge
queste funzioni coerentemente alle aspettative del ruolo.
Però nell’ assumere questi ruoli lui è anche soggetto agente e in quanto tale aderisce alle aspettative
di ruolo, svolge e adempie alle funzioni previste dal suo ruolo con una certa discrezione soggettiva
ed è anche soggetto, non soltanto attore. Questa discrezionalità soggettiva, come si esprime? Si
esprime secondo Parsons nel suo massimo fronte nella risoluzione dei dilemmi.
Sono cinque coppie di dilemmi simili tra loro, perché da una parte abbiamo la scelta di un’alternativa
tra l’agire in modo comunitario o l’agire in modo societario. L’atteggiamento societario è attento e
guarda alla situazione, definisce la situazione in cui si trova ad agire e guarda cosa succede agli altri
essere umani con cui interagisce, usa uno sguardo attento all’aspetto funzionale, alla razionalità
95
funzionale. La dimensione comunitaria invece si spinge ad avere un atteggiamento che esprime il
comunitarismo; l’appartenenza comunitaria ci porta a guardare le situazioni e a posare sui nostri
interlocutori uno sguardo di tipo comunitario. Quindi più che alla dimensione funzionale e
all’efficienza, è più attento all’aspetto della persona nel suo insieme. In particolare Parsons individua
cinque coppie di dilemma, nelle quali si ripropone il dilemma tra dimensione comunitaria e
societaria e nella misura della sensibilità di ciascuno e dei ruoli sociali dentro le situazioni della vita
quotidiana percepiamo, talvolta in modo drammatico, questo dilemma e dobbiamo risolverlo. Qui
entra in gioco la nostra soggettività personale. Per cui, ad esempio, possiamo, parlando della nostra
esperienza personale, di quando eravamo alla scuola, anche se i ricordi sono un po’ sbiaditi, la
pratica e gli insegnanti che abbiamo incontrato, questo racconto sarà diverso a seconda del grado
di scuola e dell’insegnante. Questo non dipende solo dalla materia che si insegna, ma anche dalla
competenza dell’insegnante su quella materia, dalla capacità di spiegarla, dal tipo di atteggiamento,
di sguardo che l’insegnate posa su di noi, dal modo in cui interpreta il suo ruolo, quindi non solo dal
punto di vista tecnico (la trasmissione dei contenuti) e dalla competenza del ruolo (sai fare
l’insegnante perché sai la materia), ma anche dai rapporti che si intraprendono con le persone.

Questi dilemma di scelta, che inizialmente erano 5 ridotti poi a 4, sono:


 Dilemma universalismo/particolarismo:
1- Universalismo (razionalità allo scopo weberiano): l’attore può valutare gli oggetti esterni
verso i quali rivolge l’azione in base a un sistema generalizzato di regole,
2- Particolarismo (razionalità al valore weberiano): l’attore può valutare gli oggetti esterni in
base al particolare significato che hanno per lui (alla particolare relazione che intrattiene con
essi).
Queste sono due alternative e dobbiamo decidere se agire secondo l’una o l’altra. Questa scelta
spetta a noi e qui si mette in gioco la nostra umanità. In alcuni casi il ruolo sociale ci invita a
prediligere un atteggiamento di tipo particolaristico, ma abbiamo un certo margine per interpretare
il ruolo in senso universalistico e viceversa. Ad es, questo dilemma lo posiamo ritrovare nella scuola:
l’insegnante deve tenere un atteggiamento tendente verso quale dei due? Trattiamo gli studenti
allo stesso modo (siamo universalistici). Ma nei tempi c’è una pretesa di tipo particolaristico,
richiama l’attenzione su ciascuno perché ognuno è un soggetto con le proprie caratteristiche e
quindi va valutato e bisogna rapportarsi a lui, tenendo conto delle sue caratteristiche specifiche e
particolari  questo dilemma aumenta la responsabilità del soggetto, perché deve decidere di volta
in volta cosa fare (è possibile anche una sorta di mix).
Diciamo che tendenzialmente un atteggiamento sensibile alla dimensione comunitaria, spinge verso
il particolarismo piuttosto che verso l’universalismo. Però poi c’è anche un secondo livello, più
profondo, che talvolta la dimensione comunitaria si afferma di più e si può affermare attraverso un
atteggiamento universalistico.
Per esempio, se noi vogliamo trasformare la classe in una comunità in cui le persone siano solidali
tra di loro, hanno poi degli atteggiamenti improntati alla gratuita e al dono, piuttosto che alla
reciprocità piuttosto che al dominio e all’agire strategico. Una dimensione comunitaria dov’è la
classe è una comunità, per fare questo bisogna fare in modo che non prevalgano degli atteggiamenti
particolarismo che accumunano soltanto alcuni dei nostri alunni. Magari ci sono alcuni alunni che
hanno un denominatore comune di tipo etnico culturale, noi vogliamo che loro non facciano gruppo
a sé ma vogliamo che loro facciano comunità con la classe, invece che del loro gruppo ristretto,
perché una delle funzioni della scuola è quella di integrazione e l’altra è di selezione. Però la
selezione per esigenze della società, per coltivare e selezionare le persone e orientate in percorsi
formativi e che poi entrino all’interno della società delle persone formate e siano più contente di

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svolgere certe funzioni della società. Quindi la funzione della selezione è legata a quello. La funzione
dell’integrazione invece è orientata alla dimensione valoriale, anche se rispetto ai valori condivisi
dalla società. Per cui se noi vogliamo salvare la dimensione comunitaria della classe, dobbiamo far
prevalere un atteggiamento universalistico anziché un atteggiamento particolarismo, non
dobbiamo favorire i particolarismi, tenendo conto in tutto ciò ed equilibrare le cose. Quindi ciascuno
di queste coppie di dilemmi, diciamo che c’è in linea di massima il dilemma per la comunità e sociale,
tra solidarietà morale e solidarietà funzionale, e in ciascuno di questi dilemmi il dilemma si risolve
tendenzialmente verso il particolarismo e la dimensione comunitaria e l’universalismo verso la
società. Però questa è una tendenza, ci possono essere casi per cui il comunitarismo per essere
affermato richiede un atteggiamento più universalistico, poiché la comunità a cui noi guardiamo e
l’appartenenza comunitaria che vogliamo valorizzare sarebbe utile se andassimo verso il
particolarismo.

 Dilemma qualità/prestazione:
1- Qualità: l’attore può valutare gli oggetti esterni per quello che sono
2- Prestazione / realizzazione: l’attore può valutare gli oggetti esterni in base alle loro azioni
(alle loro realizzazioni, alle loro capacità realizzative).
Io mi rapporto a te sulla base di ciò che tu sei (qualità) o sulla base di ciò che sai fare (prestazione).
Ad es, una persona molto dotata nel disegno ma che non si applica, realizzerà un disegno abbastanza
scadente. Un altro invece non dotato, ma che si impegna e nonostante i suoi sforzi realizza
comunque un disegno ancora più scadente di colui che non si è applicato. Cosa si valuta in tal caso?
Valuto solo il risultato finale o anche la qualità del lavoro (l’impegno messo, il tempo impiegato,
ecc.)? tanto più siamo sensibili e cogliamo questi temi, tanto più la nostra interpretazionedel ruolo
da svolgere ci crea dei dilemmi.
Il soggetto che in una data situazione riveste un certo ruolo, legge la situazione e si rapporta in
relazione ai suoi interlocutori, con un atteggiamento improntato alla prestazione. La qualità: ovvero
mi concentro sul mio interlocutore, in quanto tale, sulla persona nella sua interezza. La prestazione:
io sono attento a ciò che tu sai fare, mi relaziono a te valutandoti, osservandoti in ciò che sei capace
di fare, in ciò che sei capace di realizzare anziché nell’interesse della tua persona. Non esiste che
una scelta sia buona e l’altra cattiva, ma dipende sempre dalla situazione e dal ruolo che ci
ritroviamo a ricoprire. Quindi l’attore può valutare gli agenti esterni per quello che sa, oppure in
base alle loro azioni, alle loro realizzazioni, alle loro capacità. Ti valuto per quello che sei o per cosa
sai fare. Diciamo che poi uno può valutare le persone si per quello che sanno fare, ma uno dei due
aspetti a volte prevale.
 Dilemma specificità/diffusione:
1- Specificità: ti giudico sulla base di una cosa che sai fare, un aspetto specifico della tua
persona, l’attore può orientarsi verso la situazione esterna considerandone solo alcuni
aspetti specifici  limitandone quindi a priori le potenzialità.
2- Diffusione: ti giudico sulla base della rete della tua persona, l’attore può considerare la
situazione esterna nella sua generalità senza una definizione a priori del livello di
coinvolgimento.
L’attore sociale o soggetto agente si rapporta alla situazione nella quale si trova e agli attori con
i quali interagisce in quella determinata situazione, considerando solo alcuni aspetti specifici 
fa prevalere atteggiamenti legati alla specificità. Oppure non considera aspetti specifici, ma
guarda alla situazione e ai suoi interlocutori nella generalità, senza una divisione a priori del
livello di coinvolgimento. Quando inizia la priorità, inizia la specificità, è un po’ astratto.
Possiamo fare degli esempi:
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 Il docente deve decidere se attenersi a confini delimitati e specifici nelle proprie azioni
limitandosi a indagare quanto sa o non sa lo studente, comunicandogli infine un voto. Il
docente interroga lo studente e si limita  definizione a priori. Io relazionandomi a te mi
coinvolgo a un livello specifico. Io insegnante di matematica ti sto esaminando su questa
materia, quindi il mio coinvolgimento è limitato a un livello matematico, alla verifica dei tuoi
contenuti in ambito matematico. Il mio compito è indagare quanto sai o non sai e infine do
un voto. Questo è un atteggiamento riportato alla specificità, un atteggiamento di tipo
societario  cioè di solidarietà.
 Oppure in alternativa posso decidere di assumere un atteggiamento più diffuso 
improntato alla diffusione. E quindi aumento il livello di coinvolgimento, eventualmente
cercando di rendere lo studente più consapevole del suo modo di rapportarsi alla disciplina,
del suo grado di preparazione, delle sue potenzialità latenti. Quindi non solo quanto sai o
non sai e ti do un voto corrispondente, ma cerco di stimolarti affinché tu possa prendere
consapevolezza del modo e rapportarti alla disciplina, magari hai delle paure e dei timori
rispetto alla disciplina e sei convinto di non capirci niente, ma magari la tua paura è infondata
e irrazionale. Oppure ti invito a riflettere sul tuo metodo di studio, sugli errori della
preparazione e ti faccio notare le tue potenzialità rendendoti consapevole. Mi rapporto con
lo studente, con un rapporto di congiungimento più diffuso, non mi concentro solo su un
aspetto, che nel caso di una interrogazione ad esempio sarebbe semplicemente quello della
valutazione della preparazione.
La dispensa dice: nel ricorrere a un test scritto un docente opta per un orientamento specifico,
mentre nell’esame orale è sempre possibile virare verso un atteggiamento più diffuso.
Questo perché nel test scritto, quello che è scritto è scritto e il docente corregge il test, ciò
che è giusto fa guadagnare punti, ciò che è sbagliato no. Ma di per sè quando uno corregge
un test scritto non ha davanti il volto di chi ha compilato il test, ha solo un nome, che molto
probabilmente non conosce. L’interrogazione orale è il metodo più diffuso perché se
qualcuno non ricorda qualcosa il docente può magari dare un indizio e vedere se dall’altra
parte c’è una reazione. Io ho visto che se avete difficoltà a capire una domanda allora vi do
un indizio, in questo modo posso facilitarvi un po’. Quindi l’esame orale presenta la
possibilità di virare verso un atteggiamento di diffusione, nello scritto una domanda se la sai
bene se non la sai fine. Qui passiamo nella teoria dell’azione quindi è il soggetto con la sua
personalità e la sua soggettività che si mette in gioco dentro le relazioni. Può tenere conto
di una o più qualità del candidato, ad esempio se è uno studente lavoratore, straniero, ecc.
insomma ci sono tante diverse possibilità. Ad esempio se è uno studente lavoratore posso
dire “apprezzo la buona volontà” per cui l’esame è da 6.5/7, perché appunto apprezzo la sua
buona volontà di uno studente lavoratore per i suoi impegni.

 Dilemma affettività/neutralità affettiva:


Quando noi assumiamo un ruolo in una determinata situazione, assumiamo anche un
atteggiamento legato all’affettività. Queste espressioni intuitivamente ci fanno pensare a una
cosa, ma solo a quella cosa; mentre per Parsons è diverso. Secondo lui, quando noi assumiamo
un atteggiamento vuol dire che decidiamo di ricercare una gratificazione immediata in quella
situazione.
1- Affettività: l’attore può decidere di ricercare una gratificazione immediata da parte della
situazione esterna  per esempio meglio l’uovo oggi.
2- Neutralità affettiva: l’attore può decidere di differire la gratificazione, al fine di garantirsi una
gratificazione maggiore o più realistica in un futuro  meglio avere la gallina domani.

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Rapportiamo questo dilemma alle varie situazioni, ognuno può gestire una situazione in maniera
diversa:
~ Per esempio uno dice che vuole dare un esame subito anche se è meno preparato,
mentre un altro può dire, io differisco la gratificazione, perché siccome ci tengo ad avere
un voto alto preferisco, posticipare l’esame per aumentare la mia preparazione e poter
prendere un voto più alto.
~ Per esempio, c’è chi, pur di non camminare, fa un picnic sul bordo della statale, in un’area
di sosta piazzando lì il tavolino. Ci sono quelli invece che mollano la macchina e
camminano per ore, cercando un posto bello nella natura e cercano la gratificazione
differita, ma questo comporta per loro un investimento di tempo.
~ Altro esempio, finisco la scuola dell’obbligo e cerco un lavoro, o continuo a studiare.

 Dilemma orientamento all’ego/orientamento alla collettività: è il dilemma più intuitivo.


L’attore che assume un ruolo orientato all’ego decide di proseguire gli interessi e gli scopi
personali; mentre quando è orientato alla collettività decide di perseguire gli interessi e gli scopi
del gruppo. Prendiamo come esempio, un insegnante della scuola superiore di secondo grado
di matematica, che è appassionato alla materia, vuole andare sempre più avanti nel programma
per arrivare agli argomenti più raffinati, più interessanti alla fine del programma. Le
conseguenze sono la facilità o le difficoltà degli studenti nel seguire l’insegnante, cosicché alla
fine dell’anno scolastico solo alcuni studenti riescono a stare dietro all’insegnante. Questo è un
orientamento legato all’ego, siccome a te piace la materia vuoi portarti avanti, però la
collettività della classe viene disgregata, non segue gli interessi della collettività.
1- Orientamento all’ego: l’attore può decidere di perseguire i propri interessi e scopi
personali,
2- Orientamento alla collettività: l’attore può decidere di perseguire gli interessi del gruppo/i
o della società.
Con particolare attenzione va considerata questa PV spesso sbrigativamente identificata con
l’opposizione tra un atteggiamento caloroso e uno distaccato. Ritornando al docente impegnato
con gli esami, di fronte a uno studente in difficoltà egli può decidere di tagliar corto con l’esame,
magari anche promuovendo lo studente, gratificandosi immediatamente con una chiusura
anticipata dell’esame (ottenendo altresì la riconoscenza dello studente), oppure può decidere
di assumere un atteggiamento di neutralità affettiva protraendo l’esame al fine di meglio
valutare la situazione.
Infine, il docente deve decidere se orientarsi al sé dedicando pochissimo tempo ai singoli esami
quella mattina, perché ha preso un qualche impegno durante l’intervallo di pranzo, oppure se
anteporre gli interessi della collettività (degli studenti) dedicando a ciascun studente il tempo
necessario per un’adeguata valutazione.
Per completare il discorso occorre distinguere tra ciò che è socialmente prescritto attraverso le
norme, circa i comportamenti da tenere e la particolare interpretazione delle medesime, che
può variare secondo gli individui, producendo effetti di un loro consolidamento sociale oppure
contribuendo alla loro trasformazione.
Può essere utile esercitarsi nell’utilizzo dello schema, innanzitutto per qualificare interi ruoli
come quello del genitore confrontandolo con quello dell’insegnante, con quello di un ministro
del culto ecc. In secondo luogo si prenda in considerazione come gli orientamenti possono
cambiare nel corso del tempo e secondo le circostanze.

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Niklas Luhman (1927-1998), sociologo tedesco, parla di sistemi autoreferenziali e autocoesi e
sottosistemi, che diventano in tutto per tutto indipendenti autonomi e autoreferenziali e
disinteressati a ciò che sta all’esterno dei propri confini e lo classificano semplicemente come
ambiente. I tentativi di comunicazione degli altri sottostimi del sistema vengono trasmessi al
sottosistema, vengono decifrati dal sottosistema non come messaggi, ma come rumore, qualche
cosa di incomprensibile, di inutile o addirittura come elemento di disturbo, perché sono messaggi
comunicativi che provengono da altri sottosistemi, che quando raggiungono un altro sottosistema,
risultano a esso incomprensibili, perché il sottosistema iperspecializzato è capace di parlare e
comprendere solo il suo linguaggio ed è diventato incapace di comprendere il linguaggio comune
del sistema. È come se potenzialmente in Italia, chi sta in Piemonte sapesse parlare e capire soltanto
il piemontese, chi sta in Emilia l’emiliano etc e nessuno parlasse più italiano. Quindi la
comunicazione esterna, anche se con senso per chi la esprime, è incomprensibile per chi la riceve,
poiché riceve solo rumore, riceve un elemento di disturbo e allora si cerca di tacitarlo.
Secondo Parsons tanto più il soggetto è capace di cogliere questi dilemmi, di far proprio questo
atteggiamento e di assumerli responsabilmente e di risolverli in modo coerente, mettendo in gioco
la propria interiorità, la propria razionalità morale, tanto più sarò votato alla vita di gruppo.
Nella misura in cui questo accade le interazioni della vita quotidiana di diversi ruoli in diverse
situazioni sono interazioni, che oltre a essere svolte in modo efficiente e perseguire in modo
efficiente gli obiettivi, trasmettono e diffondono anche valori. Perché i soggetti che si fanno carico
di questi ruoli nelle situazioni di interazione con gli altri si sforzano (nella misura in cui però sono in
grado di farlo, quindi a seconda della loro soggettività) cercando di mettere insieme le esigenze della
società, di tipo societario agendo verso lo scopo della società funzionale, però cercando anche il più
possibile di uniformare il loro modo di rapportarsi al valore. È per questo che si può costituire una
comunità societaria dove le persone, nelle relazioni rivestono dei ruoli, in una società tecnologica
moderna orientata alla specializzazione, ma anche umana, dove le persone sanno interagire da
essere umani.
Margaret Archer, sociologa inglese ha inventato non solo il concetto di conversazione inferiore ma
anche un approccio sociologico, quello che si chiama approccio morfogenistico ha comparato
negli anni settanta i sistemi scolastici internazionali. Ecco lei ha anche recentemente pubblicato un
libro una decina di anni fa che si intitola: Being human, esseri umani.
Cosa vuol dire esseri umani in senso sociologico? Essere umani è possibile anche in epoca
tecnologica moderna avanzata, però richiede soggetti capaci di svolgere adeguatamente la loro
conversazione interiore. Secondo Parsons questo fa sì che anche nella società moderna si configuri
una società.
Poi ci sono le obiezioni che tendono a prevalere gli orientamenti autoreferenziali dal valore e della
solidarietà morale. Tuttavia siamo sempre in presenza di sfide e quindi secondo M. Archer è
possibile una società comunitaria, non come intendeva Parsons, ma in modo diverso. Questa società
è possibile se la società moderna è popolata da esseri umani e non da automi (che eseguono
soluzioni semplicemente da una razionalità per seguire uno scopo, per delle funzioni e poi ciascun
soggetto apolide staccato da qualsiasi dimensione comunitaria piegato su sè stesso): una
personalità narcisistica infatti è uno dei rischi della società moderna (problema affrontato da
Christofer Lash, un sociologo statunitense. Ha pubblicato libri sulla società americana dov’è
cresciuto, studia le trasformazioni in atto nella società americana e ha tra le varie cose il libro sulla
la ribellione dell’élite e il tradimento della democrazia. Anche lui è un autore che si può collocare
attento ai rischi della democrazia totalitaria. E poi ha pubblicato due libri bellissimi dai titoli
emblematici “La cultura del narcisismo” e “L’io minimo”). L’affermazione della cultura narcisistica è
data da processi psicologici, stessa analisi che fanno Durkheim e Weber parlando della
trasformazione della società, analizzando le cause sociali, che generano ricadute pesanti sul piano
100
psicologico  infatti il narcisismo è una patologia psichiatrica  personalità narcisistica. L’io
Minimo è collegato con lo sviluppo della personalità narcisistica, è una delle più importanti e
preoccupati ricadute sul piano psicologico individuale dei vari processi politico-social-economici che
hanno coinvolto la società americana dalla fine degli anni cinquanta in poi, che Lash ha spiegato nel
suo testo “La ribellione dell’élite”. La società americana in cui la razionalità allo scopo, prevale su
quella al valore, viene scissa dal valore e dalla società morale, così la razionalità allo scopo diviene
l’unico registro. Questo processo di mutamento impresso dal capitalismo americano genera sul
piano individuale sofferenza psicologica, che porta alla formazione di personalità narcisistiche.
Luhmann è molto pessimista; mentre secondo Archer un rifiorire dell’umano è possibile anche se
difficoltoso.
La teoria del sistema e i sistemi d’azione
Le PV saranno sempre da tenere presenti per l’analisi della struttura del senso, che gli individui
danno alle loro azioni.
Ora consideriamo la teoria del sistema: prima fa riflessioni legate a schemi adottati dall’economia,
ma ben presto le abbandona per approdare a un’analisi di tipo funzionale, ispirata alla biologia
(quindi a tutti gli elementi in comune tra i vari sistemi).
Parsons vede la materia vivente come un sistema che mantiene attivamente i propri confini: gli
esseri biologici sono, in altre parole, dei sistemi che possiedono dei meccanismi, più o meno
sofisticati, che permettono loro di generare e mantenere attivamente i propri confini rispetto
all’ambiente in cui vivono. Un sistema vivente possiede dei meccanismi con i quali tiene sotto
controllo, sia l’ambiente esterno sia l’ambiente interno, registrando le variazioni che possono
incidere sul proprio equilibrio. Queste variazioni vengono valutate e, se necessario, si innescano
delle reazioni volte a far fronte alle variazioni e/o ad utilizzarle. Sono i cosiddetti meccanismi di
retroazione (feedback), che vanno dai più semplici, quindi quelli di tipo meccanico (ad esempio un
termostato di un impianto di riscaldamento tipico di un sistema non biologico) a quelli più complessi,
per esempio quelli dell’organismo umano (l’ansia, vista come meccanismo di vigilanza sull’ambiente
circostante).
Mantenere i propri confini rispetto all’ambiente esterno, vuol dire anche mantenere la propria
differenziazione sia esterna (distinzione dall’ambiente) sia interna (specializzazione delle varie parti
costitutive il sistema); il caso estremo di perdita di confini, rispetto all’ambiente, è rappresentato
con la morte  quindi il mantenimento dei confini è legato alla persistenza e alla sopravvivenza.
Il sistema tende all’equilibrio, per Parsons, accusato di avere una visione da conservatore, questo
equilibrio corrisponde alla legittimazione dell’ordine sociale. In realtà Parsons ha una visione
dinamica dell’equilibrio e del rapporto tra equilibrio e disequilibrio  un sistema è tale in quanto
tende all’equilibrio e presenta un’inerzia a mantenerlo. D’altra parte la storia evolutiva di qualsiasi
sistema è caratterizzata dalla transizione a forme di equilibrio superiori, attraverso eventi (interni
ed esterni al sistema) che provocano la rottura, anche traumatica, di equilibri precedenti e
stimolano quindi processi di differenziazione nel sistema accompagnati da un nuovo equilibrio e da
nuove modalità di integrazione del sistema.
Le varie azioni e attività sono state ricondotte a due settori definiti come:
1. Dimensione Strumentale: area di esecuzione del compito
2. Dimensione espressiva: area socio-emotiva  diventerà dimensione consumatoria, per gli
aspetti delle azioni vissute come gratificanti per sé, (es. soddisfazione al momento del
raggiungimento del traguardo).

101
PERIODIZZAZIONE STORICA DEL PROCESSO DI GLOBALIZZAZIONE
Per comprendere il senso e la portata del processo di modernizzazione è utile osservare il suo
sviluppo spazio-temporale e svolgere una periodizzazione. Questa è un’operazione tipica della
sociologia storica, che secondo la quale per comprendere un fenomeno o un macrofenomeno, è
importante ricostruirne la genesi e lo sviluppo per come è iniziato.
È fondamentale porsi questi interrogativi: come è iniziato? Perché? Dove? Come si è sviluppato,
come ha preso forma? Perché in quel lungo e in quel tempo? Cosa lo ha innescato? Perchè si è
sviluppato in quel modo invece che nell’altro? Quali sono state le tappe principali di questo sviluppo?
In questo modo se ricostruiamo il fenomeno nel suo farsi storicamente, lo riusciamo a comprendere
meglio, anziché vedere solo una foto del presente, vediamo anche un fenomeno in atto, che si è
sviluppato nel tempo e nello spazio. Ci permette di comprendere meglio il senso e di intuirne gli
sviluppi futuri, proprio perché vediamo il suo percorso. E siccome la sociologia si occupa del mondo
moderno, la sociologia storica in particolare, vuole vederci chiaro sulla modernizzazione, sulla
società moderna e le sue caratteristiche.
Dobbiamo quindi partire dicendo che cos’è il processo di modernizzazione e come si è svolto.
Tra le diverse possibili ricostruzioni di questo processo, una è più importante di altre. La più
importante si articola in sei fasi.
Il processo di periodizzazione storica si deve ragionare, facendo riferimento agli eventi storici di
diversa durata, di diverso tipo di cultura, di diverso tipo politico, di diverso tipo religioso, ecc. Sono
eventi che per le conseguenze che hanno innescato o che hanno contribuito a innescare possono
essere considerati eventi epocali, quelli che hanno segnato un’epoca o hanno innescato un
cambiamento epocale.
Le fasi:
1- Fase embrionale
2- Fase gestazionale
3- Fase matura
4- Fase critica
5- Fase avanzata
6- Fase apicale, terminale

1. Fase embrionale: è quella in cui sostanzialmente si fa iniziare il processo di modernizzazione,


poi diciamo che le prime due fasi sono propedeutiche, preparatorie anche se non sono parte
integrante del processo.
Qui cominciano a verificarsi fenomeni storici di diversa natura, che iniziano a preparare il
terreno per quello che poi sarà un cambio d’epoca, il passaggio tra premoderno e moderno
avviene in un lasso di tempo breve. È un processo perché la società premoderna sembra sempre
venga sminuita con l’aggettivo premoderno, perché noi siamo abituati ad associare il termine
moderno a qualcosa che va bene, infatti se non sei moderno allora non vai bene (non sei in linea
con i tempi). Mentre per la sociologia, il termine premoderno indica quello che c’era prima del
mondo moderno, non c’è un giudizio valutativo. Ma il mondo, ovvero la cultura premoderna,
ha costituito qualcosa  è un mondo fortemente radicato, è un processo.
La fase embrionale comincia nel quattordicesimo secolo, tempi antichi (1300). Siamo in Europa
occidentale, in particolare in Italia, Francia, Germania e Inghilterra. Poi naturalmente gli Stati
Uniti, ma molto dopo. L’aspettò interessante è che l’Italia ha svolto un ruolo centralissimo,
anche nel costituirsi della società premoderna e nella costruzione delle grandi società del
mediterraneo, che sono sorte sostanzialmente lungo il mediterraneo, per un sacco di motivi,
anche di tipo climatico.

102
In termini molto generali potremmo dire che la fase embrionale finisce sostanzialmente a metà
del 1400, metà del quindicesimo secolo. In cui si afferma il pensiero filosofico di Guglielmo da
Occam, filosofo di riferimento per gli inizi della storia del pensiero filosofico europeo e
moderno. È lo stesso pensiero che viene romanzato da Umberto Eco nel libro “Il nome della
rosa”. Il protagonista de “Il nome della Rosa” è proprio Guglielmo da Occam, perché Eco
pensava a lui; Guglielmo da Occam era un teologo francescano e un filosofo medioevale.
Secondo gli studiosi ha dato inizio al pensiero moderno, perché nel panorama filosofico e
teologico di quel periodo Guglielmo da Occam, ha introdotto alcune categorie di pensiero che
sono considerate scintilla del pensiero moderno  ha orientato il dibattito filosofico in una
certa direzione.
Quindi la fine della fase embrionale si ha intorno la metà del quindicesimo secolo. Poi
naturalmente queste fasi, come diceva Comte, si sovrappongono, le date hanno solo un valore
indicativo.
Guglielmo da Occam ha introdotto un concetto importante quello del “Rasoio di Occam” che è
stato chiamato anche “principio di economia” o di “parsimonia”. Questo concetto è un principio
della logica, già espresso da Aristotele, esso afferma che “è inutile che si dia con più cose ciò
che si può darsi con meno cose”. Cioè, dovendo pronunciare una o più proposizioni al fine di
definire qualcosa o ragionare di un certo argomento o spiegare un certo fenomeno, il modo più
efficace di procedere, è quello di fare riferimento e chiamare in causa soltanto quei fattori che
si ritengono essere realmente indispensabili e, di conseguenza, usare una quantità di parole o
di frasi anch’essa limitata allo stretto necessario e sufficiente: pertanto dovendo impostare un
discorso, la ragione logica, proprio come un rasoio, deve tagliare tutto ciò che risulta superfluo.
Il richiamo di Occam al principio di parsimonia acquista un senso specifico e ulteriore che, nel
dibattito filosofico e teologico del Trecento comincia a innescare un effetto che sarà poi
dirompente.
Il rasoio di Occam incide con i suoi tagli rispetto a due questioni, tra loro peraltro inscindibili:
 La questione del rapporto tra senso e significato
 La questione della scelta dei nomi, cioè delle parole da usare in un discorso logico-
argomentativo.
Quindi si potrebbe dire che in un ragionamento logico è necessario e sufficiente, che le parole
siano utilizzate limitatamente al significato che il parlante ritiene utile attribuire loro allo scopo
di far scorrere il suo ragionamento in modo lineare e farne comprendere il senso; invece per
quanto riguarda i significati profondi di quelle stesse parole, ebbene si può fare a meno di
occuparsene indugiando in inutili precisazioni; una volta che sia chiaro il significato secondo il
quale è necessario che in un certo discorso, una certa parola debba essere intesa, ciò è
sufficiente e non si deve prendere in considerazione niente altro.
Facciamo un esempio. Se io affermo la seguente proposizione: “l’amore è cieco”, ciò a cui
intendo riferirmi non è l’Amore in sé come realtà assoluta e divina, né l’amore come idea
universale, né l’amore in una particolare accezione (sia essa pagana, cristiana, romantica o in
una qualsiasi altra accezione specifica) e neanche l’amore particolare di una precisa persona nei
confronti di un’altra precisa persona; allo stesso modo usando l’aggettivo “cieco” non si intende
fare riferimento alle funzioni dell’occhio e della vista, né alla cecità come patologia medica con
tutte le sue varianti. Con quella frase si intende invece semplicemente esprimere l’idea, o il
luogo comune, non ha importanza, secondo la quale il trasporto amoroso (inteso in senso lato,
cioè qualunque cosa il senso comune più o meno vagamente intenda con questa espressione)
non risponde a criteri prestabiliti, misurabili e prevedibili. Per trasmettere questo senso non c’è
alcun bisogno di soffermarsi e indugiare in infinite, complesse, erudite e articolate riflessioni

103
circa il significato profondo della parola “amore” e della parola “cieco”, ovvero indagando
l’essenza dell’amore e della cecità.
Pertanto le parole “amore” e “cieco” sono qui assunte in forza del taglio dei significati profondi
veicolati dalla loro etimologia. Sono parole che assumiamo e usiamo secondo un registro
appunto strumentale e convenzionale e non sostanziale ed etimologico, perché il primo registro
è sufficiente a veicolare il senso che vogliamo esprimere con la proposizione “l’amore è cieco”.
Nel discorso filosofico e teologico medievale il rasoio di Occam implica l’opportunità di mettere
tra parentesi tutti i presupposti metafisici e ontologici, qualora il ricorso ad essi non sia
strettamente necessario, come ad esempio avviene nelle argomentazioni inerenti
effettivamente le sostanze e gli universali. Nelle altre argomentazioni, ad esempio quelle
riguardanti la politica, l’economia, la fisica, la medicina, l’astronomia ecc., è sufficiente che la
coerenza logica del discorso si basi su significati attribuiti alle parole in modo strumentale e
convenzionale, cioè semplicemente funzionale alla corretta e comprensibile espressione del
senso che il parlante o lo scrivente intende comunicare e trasmettere.
Ragionando sull’avvento del registro moderno e l’innesco del processo di modernizzazione del
pensiero, l’occamismo si rivela un momento altamente significativo, in quanto esso propone
un’interpretazione del principio di parsimonia nel campo della logica, secondo cui tutti gli
oggetti che di fatto non siano strettamente inscritti nell’ambito della metafisica o
dell’ontologica, possono e devono essere trattati indipendentemente da tali ambiti. Viene così
reciso – tagliato dal rasoio – il nesso tra la dimensione ideale (quella degli assoluti, delle essenze
e delle sostanze, nonché degli universali) e la dimensione materiale e storica, con riguardo alla
descrizione/spiegazione sia dei fenomeni naturali sia di quelli storicosociali.

2. Fase gestazionale: possiamo farla cominciare a metà del 1400 e qui si può mettere una data con
valore indicativo, che corrisponde al primo degli eventi epocali di quest’epoca: che è l’invenzione
della stampa a caratteri mobili da parte di Guttemberg. La data è 1455. Che vuol dire che i libri
possono essere riprodotti in modo automatico, meccanico anziché attraverso il lavoro laborioso
e costoso degli amanuensi. Questo vuol dire che i libri sono più facilmente accessibili, non si
fanno errori, vengono corretti e sono più facilmente diffusi e riproducibili.
A differenza del contributo di Occam, che andrà ad influenzare solo i pensieri filosofici,
l’invenzione della stampa è un evento epocale di carattere tecnologico, che influenzerà tutto il
mondo.
L’evento epocale successivo, 1492 come data indicativa così sappiamo che è l’anno della
scoperta del nuovo mondo da parte degli europei (scoperta dell’America). L’avvento epocale
non è la scoperta dell’America di Colombo, ma le scoperte geografiche da parte degli europei,
ovvero la scoperta della presenza di una nuova Terra. Si mette come data simbolica il 1492, ma
in realtà cominciano prima di quell’anno. Siamo sempre nel 1400, ma iniziano nella seconda
metà, ma quella più eclatante è questa, quindi la mettiamo come data simbolica.
L’altro evento epocale di questa fase 1517 (altra data importante) è la riforma protestante di
cui abbiamo parlato nel libro di Weber. Poi sempre nel 1500: il concilio di Trento, anche detto
Riforma Cattolica. Comunque il concilio di Trento dura alcuni anni, poiché è stato anche
interrotto dalle guerre.
L’ultimo evento epocale è quello dell’invenzione del metodo scientifico sperimentale. Nel 1632
Galileo Galieli pubblica il “Dialogo” e da qui nasce la scienza moderna.
Fase gestazionale 1492 a cui corrisponde una data concreta fino alla fine del 1600. Perché poi il
1750 comincia la rivoluzione industriale.

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3. Fase matura: è la terza fase e occupa all’incirca 150 anni, andando dalla seconda metà del
Diciottesimo secolo fino all’ultimo decennio del Diciannovesimo. Possiamo chiamarla modernità
“matura”, nel senso che la pianta della modernità è ormai cresciuta e comincia chiaramente a
presentare i suoi frutti maturi. Sono numerose le scoperte e le invenzioni avvenute in questo
straordinario periodo in tutti i campi.
Unitamente alle acquisizioni della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche nei campi più
diversi, questi eventi costituiscono per l'appunto i frutti “maturi” dell’epoca moderna. Si tratta
in particolare dei seguenti quattro eventi:
 1750-1830 – Rivoluzione industriale (a partire dall'Inghilterra)
 1775-1783 – Rivoluzione americana o Guerra di Indipendenza americana: nascita degli
Stati Uniti d'America [Costituzione americana]
 1789 – Rivoluzione francese: inizio della fine dell'Antico Regime in Europa e guerre
napoleoniche
 1848 – Moti rivoluzionari in Europa
Questa fase “rivoluzionaria” ha poi una sua ultima fondamentale appendice all'inizio del
Ventesimo secolo, vale a dire la Rivoluzione comunista bolscevica in Russia. La rivoluzione
bolscevica presenta in realtà numerose analogie con la Rivoluzione Francese.
Abbiamo poi la I guerra mondiale, quindi lo smantellamento dell'antico regime, principio
aristocratico vs democratico (uguaglianza > comunismo); il potere politico e ordine sociale di
diritto divino vs. ordine positivo.
 1917 – Rivoluzione russa
– Primo caso di rivoluzione comunista;
– Primo caso di formazione economico-sociale socialista;
 nascita dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS)
Questo è un po’ l’esito di queste due fasi propedeutiche, preparatorie di alcuni secoli, nei quali
hanno prodotto più le condizioni per la trasformazione della società europea cominciata a figurarsi
come società moderna anche rivoluzionaria in ambito politico ed economico.
4. Fase critica: è la quarta fase del processo di modernizzazione, qui ci presenta quella che possiamo
chiamare la “modernità critica”. Vale a dire: la manifestazione dei frutti maturi della
modernizzazione, si comincia a rendere possibile un bilancio del processo di modernizzazione; si
tratta semplicemente di cominciare a fare un confronto tra, da un lato, le promesse, gli obiettivi,
le aspettative della modernità e, dall'altro lato, i risultati effettivamente raggiunti e le loro
implicazioni e conseguenze. Ebbene, da questo confronto emergono una serie di evidenze:
 1) La manifestazione incontrovertibile del fatto che l'esecuzione dei diversi programmi
moderni, non solo produce sempre anche “conseguenze impreviste” ed “effetti perversi”
(cioè opposti agli obiettivi prefissati), ma che queste conseguenze ed effetti possono
essere non semplicemente negativi, bensì gravissimi e di enormi proporzioni: il mondo
moderno, infatti, si presenta costellato di eventi tragici o addirittura catastrofici, di
dimensioni mai viste.
 2) La graduale presa di coscienza che i programmi moderni hanno una natura
insuperabilmente problematica e contraddittoria e che, di conseguenza, ogni tentativo di
eliminare questi effetti perversi, a sua volta, potrebbe anche generare conseguenze
ancora più gravi.

Limitiamoci ad analizzare un elenco di eventi, che certamente non è esaustivo, sotto due punti di
vista:

105
 Quantitativo: gli elenchi non sono completi (sia perché limitati ai secoli XIX e XX sia perché si
considerano solo i casi più noti);
 Qualitativo: non è ovviamente possibile entrare nel merito di ciascuno degli eventi indicati,
al fine di illustrarne adeguatamente il peso e il senso rispetto al processo di modernizzazione
e alla riflessione su di esso.
 Genocidi programmati ed eseguiti perché ritenuti necessari e funzionali (cioè giustificabili anche
moralmente), ovvero per la realizzazione di uno specifico programma di modernizzazione (alcuni
casi tragicamente esemplificativi di seguito):
– Genocidio degli indiani del nord America nello stato nascente degli USA;
– Genocidio vandeano nella Francia post-rivoluzionaria;
– Genocidio armeno in Anatolia (attuale Turchia, allora parte dell'impero Ottomano: 1909 e
1915);
– Genocidio dei contadini ucraini nella Russia comunista sovietica;
– Genocidio degli ebrei ad opera della Germania nazionalsocialista.
 Salto qualitativo nella concezione e conduzione della guerra:
 Si afferma il concetto di “guerra di annientamento”:
1) Lo scopo del conflitto, cioè, non è sconfiggere il nemico ma cancellarlo definitivamente dalla
cartina geografica;
2) Qualsiasi sacrificio in termini di vite umane (militari e civili) viene considerato legittimo se
funzionale alla distruzione del nemico.
 La prova generale è la Guerra franco-prussiana del 1870: la guerra si conclude in breve tempo,
tra lo stupore generale, con una netta vittoria tedesca. Questa guerra segna l'affermazione della
Prussia tra le maggiori potenze europee e, di conseguenza, costituisce il preludio (o comunque
una premessa importante) per le la Prima guerra mondiale  i confitti diventano appunto di
estensione mondiale: nelle due Guerre mondiali i morti si contano nell'ordine delle decine di milioni.
Si ha l’invenzione e la produzione su larga scala di armi di uccisione di massa (chimiche,
batteriologiche, atomiche e termonucleari) e il loro utilizzo in guerra (chimiche, batteriologiche,
atomiche); per le armi termonucleari l'uso (fino ad ora) è stato limitato alla funzione di dissuasione
e minaccia. Dopo la Seconda guerra mondiale (1945) e l'inizio della Guerra fredda (1948), nel giro di
pochi anni, il genere umano si trova esposto al rischio concreto di estinzione. È infatti reale la
possibilità di una guerra mondiale, con armi atomiche e poi termonucleari (molto più potenti di
quelle atomiche). Le conseguenze sarebbero l'annientamento di miliardi di persone, la distruzione
dell'intero ecosistema e, infine, l'estinzione degli esseri viventi superiori eventualmente
sopravvissuti: le radiazioni renderebbero infatti il pianeta invivibile, per secoli, sia all'uomo che alla
maggior parte delle altre specie animali.
Si presenta il fenomeno dei totalitarismi politici: con questa espressione si fa riferimento:
 Ai regimi comunisti: Unione Sovietica, regimi comunisti asiatici (es. Cina), regime comunista
cubano;
 Al regime nazionalsocialista tedesco (nazismo);
 C'è poi il caso del fascismo italiano. Su di esso, nel dibattito storiografico e storico-filosofico,
prevale l'idea che si sia trattato di un regime autoritario (basato anche sulla celebrazione
della violenza e della guerra), che però non presenta tutti i tratti che contraddistinguono
invece il totalitarismo. Ciò discende innanzitutto dal fatto che la sua ideologia non esigeva
necessariamente il controllo totale sulla società: essa si “accontentava” di una posizione di
monopolio sul piano politico-partitico e di una sostanziale supremazia nella società italiana,
ammettendo l'esistenza di altri due poteri insormontabili, con i quali si doveva
inevitabilmente e strategicamente scendere a patti, ponendo e accettando delle condizioni:

106
questi due poteri erano la Monarchia e la Chiesa Cattolica. Inoltre, il partito fascista non solo
non aveva una taratura ideologica di tipo totalitario, ma non avrebbe comunque avuto
neanche la forza per affermarsi in tal senso.
 Invenzione dei campi di concentramento e dei campi di sterminio secondo una
concezione razionale e burocratica.
I regimi totalitari, al fine di imporre un controllo appunto totale sulla società, si avvalgono dei
campi di concentramento (o campi di lavoro), veri e propri strumenti di sfruttamento,
persecuzione, minaccia, tortura ed eliminazione fisica degli avversari veri o presunti tali.
L'obiettivo del controllo è raggiunto sia direttamente (attraverso l'internamento, lo
sfruttamento e/o l'eliminazione dei dissidenti e di chiunque il potere consideri, in qualche
modo, un potenziale pericolo), sia indirettamente (attraverso il terrore che la minaccia stessa
dell'internamento esercita sull'intera popolazione).
Comincia l'Unione Sovietica comunista con la costruzione dell'«Arcipelago gulag», un insieme
di decine di campi dislocati nelle immense, remote e gelide lande siberiane. Ci sono anche
campi dove lavorano solo donne e bambini. Questo fenomeno si ripete in molti altri regimi
comunisti (specie nel comunismo asiatico, ma anche a Cuba). Nella Cina maoista i Laogai
ricalcano il modello del Gulag sovietico. Nei campi di lavoro troviamo prigionieri politici e
prigionieri di guerra, le vittime (deportazioni, stenti, torture, esecuzioni) degli apparati
repressivi comunisti ammontano a circa 100 milioni di persone.
L'idea viene poi imitata da Hitler nella Germania nazista: il principio del Konzentrationslager
nazista è sostanzialmente analogo a quello del Gulag sovietico: si tratta di campi di
sfruttamento dove i prigionieri vengono fatti lavorare, in condizioni di fame, freddo e malattia,
fino alla morte  il ricambio dei morti si ottiene con dei nuovi prigionieri, infatti è constante.
Il nazismo però ha la prerogativa di aver inventato i campi di sterminio. Essi furono ideati e
supervisionati personalmente da Heinrich Himmler (comandante supremo delle SS) per
eseguire l'ordine ricevuto direttamente da Hitler di procedere con la soluzione finale della
“questione ebraica”. Si tratta di una realtà per la quale non è affatto esagerato o fuori luogo
scomodare aggettivi come “diabolico” o “satanico”. Non solo per cosa avvenne in essi, ma
anche per come avviene e per la terrificante ferocia messa in atto dagli aguzzini. Queste realtà
non sono pensate per lo sfruttamento del lavoro o la rieducazione, ma appunto per
l'annientamento razionale di grandi numeri di persone. Sono campi organizzati e gestiti come
una specie di infernale catena di montaggio, appositamente allo scopo di eliminare, nel più
breve tempo possibile, il più alto numero possibile di individui: in poche ore migliaia di persone
transitano dai vagoni merci ai forni crematori; i passaggi intermedi sono lo spogliatoio, la
camera a gas e, nei campi non ancora provvisti di forni, la fossa comune (in questi casi, dopo
che i forni sono stati installati, le fosse vengono riaperte, i cadaveri riesumati e inceneriti). In
questo percorso, non è raro che alcuni prigionieri, soprattutto le donne e i bambini, subiscano
dagli aguzzini violenze e torture indicibili, al punto da non arrivare vivi alle camere a gas.
Quest'ultima pratica, tuttavia, viene limitata allo scopo di non perdere tempo ed evitare
rallentamenti, in quanto l'ordine tassativo è liquidare l'intero “carico” di un treno prima che
arrivi il treno successivo. I direttori dei campi si sforzano di battere il record di treni, o di vagoni,
“liquidati” in un solo giorno. Tutto questo sembra impossibile, ma è accaduto davvero, in
Europa.
Livelli di atrocità e crudeltà paragonabili a quelli raggiunti nei campi di sterminio nazisti sono
riscontrabili nel regime totalitario comunista instaurato da Pol-Pot (che si ispirava a Stalin e
Mao) in
107
Cambogia, negli anni 1975-1979.
C'è poi il fenomeno, ambivalente, del capitalismo occidentale moderno. Da esso sono scaturiti
indiscussi, diffusi e strabilianti vantaggi sul piano del benessere materiale, insieme a innegabili
e gravi conseguenze negative, sotto molti aspetti che in questa sede non è impossibile trattare.
Qui ci
limitiamo a precisare come queste criticità si manifestino con particolare intensità soprattutto
in relazione al modello ultraliberista statunitense. Il primo evento emblematico della criticità
del capitalismo è senza dubbio il fenomeno noto come «Grande depressione», innescato dal
tracollo della borsa di Wall-Street nel 1929. La Grande depressione del 1929 contribuì in modo
forse decisivo, sebbene indirettamente, alla vittoria delle elezioni, in Germania nel 1933, da
parte del “Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori” (NSDAP) e quindi all'ascesa al
potere di Adolf Hitler.
5. Fase avanzata: è la quinta fase del processo di modernizzazione. La modernità avanzata comincia
a prendere forma dopo la seconda guerra mondiale (1945) e si può affermare che essa abbia
formalmente termine nel biennio che va dal novembre del 1989 (caduta del Muro di Berlino) al
dicembre del 1991 (fine dell’Unione Sovietica). Dal punto di vista geografico-politico la fase
avanzata della modernità coincide quindi con la Guerra Fredda. Per il momento non è possibile
soffermarsi a proporre una riflessione circa il significato storico-sociologico della Guerra Fredda,
sebbene lo scenario internazionale non sia mai un fattore sociologicamente trascurabile per la
comprensione dei fenomeni sociali; dobbiamo invece prioritariamente limitarci a descrivere le
caratteristiche della modernità avanzata con riferimento, evidentemente, alle società
occidentali. A tale riguardo diciamo subito che questa fase della modernizzazione si presenta
percorsa essenzialmente da due processi, tra loro collegati, il “processo di modernizzazione
tecnologica della vita quotidiana” e “processo di trasformazione del quadro valoriale”. Sebbene
il rapporto tra di essi possa per certi aspetti considerarsi biunivoco, si può tuttavia affermare
come sia stata innanzitutto la modernizzazione tecnologica ad avere pesantemente favorito la
trasformazione del quadro valoriale. A ben vedere questi due processi, già nei termini scelti per
indicarli, richiamano alla mente i due tipi ideali dell’agire sociale razionale descritti da Weber –
improntati rispettivamente alla razionalità allo scopo e alla razionalità al valore – nonché il
rapporto anomalo che, secondo Weber, la modernità ha fatto sì che si instaurasse tra di essi: per
cui, in sintesi, si considera come il processo di modernizzazione comporti, da un lato, l’aumento
esponenziale della razionalità allo scopo (processo di razionalizzazione e burocratizzazione)
insieme alla sua affermazione pervasiva ed esclusiva nella sfera pubblica e al contempo, dall’altro
lato, la progressiva emarginazione della razionalità al valore nella sfera privata e nel campo della
irrazionalità (processo di secolarizzazione).
Perché questa fase è chiamata proprio avanzata? Perché tra il 1945 e il 1948 vi è stato un
equilibrio tra il periodo del terrore e l’integrazione europea, a livello economico grazie al blocco
Atlantico (NATO), che è stata una protezione da una possibile invasione sovietica.
Avanzata per 2 ragioni:
1. Prima ragione: è di carattere culturale; è detta avanzata perché il modo di pensare la
modernizzazione e il mondo moderno è più evoluto  consapevole da un lato dei vantaggi
rispetto a ricchezza e benessere e dall’altro lato consapevole del fatto che espone l’umanità a
una serie di problemi  si ha la consapevolezza che sia necessario assumersi la responsabilità
della modernizzazione, mentre nell’800 vi era l’idea di matrice illuminista e romantica e si
credeva che la storia fosse giunta nella sua fase finale e che si apprestasse a far approdare
l’umanità in una situazione di benessere e di pace diffusa  legge irreversibile della storia

108
(materialismo storico dialettico o dei tre stadi o del positivismo inglese). Questa visione viene
superata, per questo questa fase viene detta avanzata. Un esempio è dato dall’energia nucleare,
estremamente potente, alla luce delle conquiste e delle conoscenze tecniche è facile da creare
ed è utilizzabile per alimentare la società industriale MA richiede responsabilità  prende forma
l’idea che la professione non sia solo mansione, ma che per svolgere la professione in mondo
moderno sia necessaria una preparazione, la consapevolezza e il senso di responsabilità.
Il nucleare pone grandi rischi in entrambi gli ambiti: sia per uso civile del nucleare (incidenti nelle
centrali), sia in applicazioni in campo militare.
Hans Jonas negli anni 70 pubblica “l principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica”.
Si riferisce in particolare all’ utilizzo del nucleare e alle correlate responsabilità, l’uso del nucleare
può dare vantaggi, ma se c’è la possibilità che avvengano errori o non si ha il pieno controllo e la
sicurezza del suo uso, si deve avere la coscienza di fermarsi 8concetto di responsabilità) altrimenti
le conseguenze potrebbero essere catastrofiche  l’uomo moderno deve imparare a
maneggiare un enorme potere messo in mano dalla tecnica, però deve farlo con responsabilità
nei confronti delle generazioni future.
Responsabilità significa proprio agire in modo tale da consegnare un mondo vivibile e
possibilmente migliore alle generazioni future, per Jonas il compito della sua generazione è
quello di gestire la modernizzazione, che è inarrestabile, con responsabilità. Non tutto ciò che è
scienza e tecnica è anche legittimo. Il criterio economico deve essere gestito attraverso un’etica.
Jurgen Habermas nel 2004 scrive “Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale”.
Si riferisce non alla questione nucleare ma alla mappatura del genoma umano, cioè fa riferimento
alle conquiste nell’ambito dell’ingegneria genetica. Queste conoscenze ci mettono in mano la
possibilità di manipolare il genoma umano, quindi di definire le caratteristiche dei nascituri 
questo progresso mette nelle mani di chi ha questo potere la possibilità di intervenire su questo
problema, che non è solo etico ma è etico-politico  rischio per la natura umana e per la
democrazia.
Per la natura umana perché ogni essere umano si ritrova il patrimonio dei genitori che si combina
in modo casuale, dipende dalla natura, mentre ora vi è la possibilità di determinare le
caratteristiche genetiche e ciò è qualcosa che non può essere permesso e che se si permette lo si
può fare solo dopo una lunga e sincera riflessione etica, ponendo dei paletti ben precisi
(interveniamo perché probabilmente svilupperà malattie gravi quindi potremo evitarlo? Ma
serve un principio di precauzione; perchè se non sono in grado di controllare tutte conseguenze
delle azioni e, se si sa che alcune potrebbero essere gravi o imprevedibili, è meglio evitare).
È invece un rischio per la democrazia perché i cittadini di oggi determinano le caratteristiche di
quelli di domani. E’ da vietare che sia il principio del liberalismo economico a gestire le possibilità
che offrono queste conoscenze  no alla genetica liberale, perché per il capitalismo queste
possibilità implicano ricchezza sui mercati; ma costruire bambini in provetta, secondo desideri, è
una costruzione industriale  sarebbe quindi la fine della democrazia.
Quindi in questa fase c’è una riflessione che è più critica. Si analizzano conseguenze negative
anche pesanti. (Oggi la coscienza ecologica applica questo ragionamento; mentre esso è arginato
nell’ambito dell’ingegneria genetica proprio per via del mercato).
Robert Spaemann (filosofo contemporaneo tedesco, ha una coscienza critica alta tra gli
intellettuali tedeschi, che si sentono in dovere dato gli errori dell’Olocausto), scrive il libro
“Felicità e benevolenza”. Contrario all'uso dell'energia nucleare in ambito militare e civile perché
è vero che le probabilità che accadano incidenti sono abbastanza basse, ma non tanto da rendere
accettabili questi rischi, perché le conseguenze sarebbero troppo pesanti per l’ambiente naturale
e per il genere umano. Riflessione molto evoluta in tal senso sulla responsabilità, riflessione che
109
è stata molto contrastata dopo la guerra fredda, perché in contrasto con il capitalismo 2.0/turbo
capitalismo  che vorrebbe l'apertura di nuovi mercati.
2. Seconda definizione di avanzato è una doppia faccia della stessa moneta: il progresso scientifico
tecnologico ha un'impennata esponenziale  le società (soprattutto Giappone, usa, Cina etc) si
modernizzano sul piano tecnologico molto rapidamente e questa modernizzazione/sviluppo
tecnologico si insinua e diventa parte della vita quotidiana della gente comune. (Es fino agli anni
40 per muoversi da continente ad altro non c’erano voli aerei, era usato il piroscafo; in Europa
ci si muoveva con i treni e solo in alcuni casi vi erano autostrade (segno di modernizzazione ed
in Germania infatti sono state costruite per far notare la potenza tecnologica e industriale del
paese) man mano i viaggi lunghi venivano poi effettuati con l’aereo  in breve tempo mondo si
trafora completamente  alla fine degli anni 60 abbiamo mondo nuovo.
Il boom economico negli anni 50 trasforma i paesi rendendoli fortemente industrializzati; i lavori
in fabbrica e come dipendenti della burocrazia statale e privata diventano le principali attività
lavorative. Anche la vita quotidiana cambia, grandi protagonisti sono le automobili e gli
elettrodomestici che hanno un impatto enorme sulla vita delle persone  società trasformate
radicalmente, mentre prima la vita era quella in campagna, scandita dal ritmo delle stagioni,
successivamente dati questi cambiamenti i ritmi diventano quelli della società industriale (es
Torino si amplia tantissimo, Nichelino “dormitorio” per operai fabbriche). Avanzata è da
intendersi in questo senso, gente comune nella quotidianità fa esperienza di vita moderna  la
televisione è motivo di trasformazione dei quadri valoriali e culturali e ha il compito di aumentare
mercati, creare consumatori  nel tempo libero si è consumatori mentre a lavoro produttori 
ritmi lavorativi definiti in turni, lavoro è regolamentato da orari ben precisi, c’è del tempo libero
al contrario dell’esperienza contadina dove non esisteva il concetto di vacanza e hobby. Non c’era
questa tipologia di cultura perché quando non si lavorava nei campi c’era altro, si facevano tutti
i mestieri (mobili, alimenti, vestiti), era un lavoro continuo; vi era una concezione diversa della
vita  a stretto rapporto con mondo naturale e animale.
Nella seconda metà del ‘900 prende forma la società avanzata dove si vive in mondo fatto da noi,
artefatto (con strade asfaltate, palazzi, luci, metro -> mentre prima di notte si vedeva il cielo
stellato, oggi c’è luce artificiale).
Ciò è modernità avanzata che regolamenta diversamente il tempo e libera la gente comune da
numerose incombenze (es il weekend è libero mentre il lavoro in campagna prevede la cura di
piante e animali), si ha stipendio fisso e tempo libero  due condizioni fondamentali per essere
consumatore  l’ industria ha bisogno di chi produce e consuma.
Anche le società scolastiche si volgono a ciò, società aiuta a comprendere le trasformazioni della
pedagogia che sono in funzione delle trasformazioni sociali ed economiche.
Si è liberata da incombenze la vita quotidiana perché oltre ai soldi e al tempo libero è necessaria
energia per essere operativi -> elettrodomestici fanno risparmiare tempo (es no bucato a mano
ma lavatrice), risparmiare tempo ed energia dà possibilità di avere tempo per consumare.

Le ricerche svolte dal sociologo statunitense Ronald Inglehart, a partire dalla seconda metà degli
anni Settanta, si rivelano di notevole utilità per descrivere in modo sintetico la fase avanzata della
modernizzazione, e in particolare i due processi che l’hanno caratterizzata. All’inizio del 1977
Inglehart pubblicò un volume dal titolo emblematico “The Silent Revolution” [La rivoluzione
silenziosa] destinato a diventare uno degli studi classici della sociologia contemporanea. In
questo libro egli descrive e interpreta i risultati di una vasta ricerca empirica comparata, nella
quale si opera un confronto tra la società americana e le società di alcuni altri importanti paesi
occidentali; l’oggetto dello studio consiste nella trasformazione dei valori in corso, per l’appunto

110
in occidente, a partire dagli anni Cinquanta. Nei piani di Inglehart questo lavoro costituisce
soltanto la prima tappa di uno studio molto più ampio, il quale dovrà articolarsi negli anni
successivi, replicando ogni dieci anni la medesima ricerca empirica su quegli stessi paesi e,
insieme ad essi, su molti altri, allo scopo di osservare e descrivere il processo di trasformazione
dei valori in corso d’opera (appunto monitorandolo ogni dieci anni) ed estendendo la
comparazione a un numero sempre crescente di contesti nazionali. La ricerca continua ancora
oggi e comprende ormai decine di paesi sparsi in tutti i continenti.
Le risultanze più evidenti degli studi di Inglehart trattano di un profondo processo di
trasformazione dei valori che prende rapidamente forma nelle società occidentali, articolandosi
in due fasi. La prima fase si svolge nell’immediato secondo dopoguerra per svilupparsi negli Stati
Uniti lungo tutti gli anni Cinquanta, mentre in Europa continua fin verso la fine degli anni
Sessanta. Questa prima trasformazione del quadro valoriale, spiega Inglehart, consiste nel
passaggio dai valori tradizionali ai “valori materialisti”. L'espressione “valori materialisti”,
tuttavia, non deve essere fraintesa: infatti, essa non è qui sinonimo di materialismo nel senso
dell’affermarsi di una visione del mondo o di una concezione dell’esistenza improntata al
materialismo, cioè chiusa alla dimensione della trascendenza e al senso religioso; si intende
invece l’avvento di una mentalità positivamente aperta a riconoscere come un valore – cioè
qualcosa di buono, giusto e desiderabile – il benessere materiale introdotto nella vita quotidiana
dalla tecnologia e dai beni di consumo prodotti dalla società industriale capitalistica.
A partire dagli anni Cinquanta, infatti, anche la vita quotidiana delle persone comuni che
popolano le società occidentali è andata incontro a un rapido processo di trasformazione, dovuto
essenzialmente a tre fattori: in primo luogo, l’introduzione massiccia di tecnologia (dagli
elettrodomestici, grandi e piccoli, all’automobile che fino a tutti gli anni Quaranta era ancora un
bene di nicchia, relativamente poco diffuso); in secondo luogo, l’introduzione massiva di una
enorme e sempre crescente quantità e varietà di beni di consumo (fanno la loro comparsa prima
i supermercati e poi gli ipermercati); in terzo luogo, la costruzione di una sfera pubblica
comunicativa massmediatica nella quale il posto della televisione è destinato fin da subito ad
occupare una posizione dominante.
Il secondo momento della rivoluzione silenziosa costituisce anche un aspetto saliente della
seconda fase della modernità avanzata e consiste in una seconda metamorfosi del quadro
valoriale: abbiamo adesso valori materialisti, che lasciano progressivamente il posto a quelli che
Inglehart chiama “valori post-materialisti”. Questi ultimi, in estrema sintesi, sostituiscono il
primato del benessere materiale con quello del benessere psicofisico: si potrebbe dire che il
desiderio di felicità, anziché essere prevalentemente inteso in termini di sicurezza economica e
materiale, come affermato dai valori materialisti, tende adesso ad essere declinato come
perseguimento dell’autorealizzazione personale, come ricerca del proprio io autentico e
affermazione della propria soggettività originaria. L’inizio di questa seconda fase della rivoluzione
silenziosa e della modernità avanzata si può collocare negli Stati Uniti degli anni Sessanta, mentre
in Europa – sull’onda lunga degli Usa – il suo inizio si colloca alla fine dello stesso decennio avendo
come data simbolica il 1968.
In questa fase si realizza in effetti anche l'avvento del materialismo, come stato esistenziale
diffuso. Si tratta di un processo culturale complesso, che è stato oggetto anche della profonda
riflessione di Christopher Lasch, uno dei massimi intellettuali statunitensi del secondo
dopoguerra. A differenza di Inglehart, che svolge una indagine empirica, Lasch è invece un
teorico, o meglio un teorico sociale, e uno storico. Nella sua analisi egli mette in evidenza come
la società americana, a partire grosso modo dagli anni Settanta, sia percorsa essenzialmente da

111
tre diversi processi, i quali concorrono allo sgretolamento delle basi morali e civili del popolo
americano e della democrazia statunitense.
Questi processi consistono rispettivamente: 1) nella “ribellione” da parte delle èlite statunitensi
ai principi fondamentali della cultura politica democratica americana; 2) nel processo di costante
logoramento della famiglia, come cellula originaria della struttura morale che tradizionalmente
caratterizza la società civile americana; 3) nella graduale trasformazione del cittadino americano
medio in un tipo umano alienato sul piano sociale, nonché dotato di una personalità configurata
in senso narcisistico sul piano psicologico.
Seguendo la medesima catena causale – sociale/psicologico/sociale – rilevata sia da Durkheim
sia da Weber per spiegare, rispettivamente, il microfenomeno dell'aumento del tasso di suicidi
nelle società industriali (Durkheim) e il macro-fenomeno della nascita del capitalismo occidentale
moderno (Weber), Lasch spiega sociologicamente la patologia psicologica narcisistica che va
diffondendosi tra gli americani a partire dagli anni Settanta, facendola risalire allo sfaldamento
dei pilastri morali sui quali si fonda la socialità americana al livello della società civile e di quella
politica.
6. Fase apicale o terminale: è la sesta e ultima fase del processo di modernizzazione può essere
anche definita “tarda modernità”; si tratta della fase “apicale” e/o “terminale” della
modernizzazione, che innesca il fenomeno della globalizzazione. La tarda modernità inizia
storicamente con la fine della Guerra Fredda, vale a dire nel biennio che va dal novembre 1989
(Caduta del Muro di Berlino) al dicembre 1991 (fine dell'Unione Sovietica). Dal punto di vista
geopolitico, quindi, essa è innescata dalla vittoria del blocco occidentale liberaldemocratico e
capitalistico, a guida statunitense, sul blocco orientale comunista e di economia pianificata, a
guida sovietica. Questo evento colloca l'Occidente in una posizione di forza (gli Usa rimangono
l'unica superpotenza) e lo proietta con decisione a sviluppare il proprio programma di
globalizzazione. Questo programma, in estrema sintesi, prevede la riorganizzazione del mondo
in termini funzionali alla massimizzazione della potenza degli apparati del capitalismo
occidentale. All'interno di questa fase si segnalano almeno due punti di svolta epocali, insieme
ad alcuni altri fatti di grande portata.
Il primo evento epocale, in ordine temporale, riguarda l'Europa e consiste nel potente balzo in
avanti del programma di unificazione europeo: all'inizio degli anni Novanta viene stipulato il
Trattato sull'Unione Europea o Trattato di Maastricht (1992-1993); successivamente aggiornato
dal Trattato di Lisbona (2007-2009), che sancisce a tutti gli effetti la nascita dell'Unione Europea.
A questi eventi di carattere politico-amministrativo va poi aggiunto quello fondamentale, di
carattere economico-finanziario, della creazione del grande mercato unico europeo mediante
l'entrata in vigore dell'euro, la moneta unica europea (1 gennaio 2002). L'Unione europea e il
mercato unico sono due processi tra loro complementari ma indipendenti: non tutti gli stati
membri dell'UE aderiscono anche alla moneta unica. Il secondo evento epocale di questa fase
consiste negli attentati che si verificano negli Stati Uniti il 9 settembre 2001, a New York, a
Washington e in Pennsylvania. Questo evento segna l'inizio di una nuova vasta campagna militare
interventista statunitense in Afganistan (ottobre 2001), in Iraq (2003) e più in generale nel Medio-
Oriente. L'offensiva viene presentata all'opinione pubblica mondiale come guerra al terrorismo
fondamentalista internazionale di matrice islamista, in quanto l'amministrazione Usa attribuisce
ad alcune organizzazioni terroristiche islamiste con base in Afganistan e affiliazioni in tutto il
medio oriente, la responsabilità degli attentati del 9 settembre 2001.
Si verificano poi alcuni altri fatti di grande portata e in particolare i seguenti:
– Le guerre civili, secessionistiche e nazionaliste nella ex-Jugoslavia (1991-2001);

112
– Le cosiddette “rivoluzioni colorate” nelle repubbliche ex-sovietiche (2003-2005); nei paesi in
cui hanno successo, le rivoluzioni colorate producono la sottrazione di questi paesi dalla sfera
di influenza russa e il loro inserimento nella sfera di influenza occidentale: tale inserimento
in molti casi si concretizza anche formalmente mediante l'ingresso di questi paesi nell'Unione
Europea e/o la loro adesione all'Alleanza atlantica (NATO);
– La crisi finanziaria globale del 2008: inizia con il crack della banca d'affari statunitense
Lehmann-Brothers e coinvolge tutto il mondo, con effetti particolarmente gravi in Occidente;
– Le cosiddette “primavere arabe” (2010-2012) nel Medio oriente, nel nord-Africa, nella
Penisola arabica e nel Corno d'Africa;
– La pandemia da Sars Covid-19: biennio 1920-1922 (attualmente in via di esaurimento);
– La guerra Russia-Ucraina: il 24 febbraio 2022 (tutt'ora in corso) come effetto di breve-medio
periodo di una delle rivoluzioni colorate, la Rivoluzione Arancione per l'appunto in Ucraina
(novembre 2004 – gennaio 2005).
Più in generale, in questo periodo si assiste al rapido evolversi di un gigantesco fenomeno, che
consiste nell'emergere sulla scena economica e geopolitica mondiale di alcuni grandi paesi (si
parla per l'appunto di “paesi emergenti” o “potenze emergenti”), intenzionati ad assicurarsi un
ruolo da comprimari nella globalizzazione. Durante il periodo della Guerra Fredda l'Occidente,
usando come metro di misura e strumento di comparazione il proprio modello di sviluppo liberal-
democratico e capitalista, definiva se stesso “Primo Mondo”, proprio in quanto portatore di quel
modello4. Esso definiva poi “Secondo Mondo” l'insieme dei regimi comunisti e di economia
pianificata e “Terzo Mondo” tutte le rimanenti aree del pianeta (Centro-America, Sud-America,
Africa, India ecc.) composte da paesi ex-coloniali e sovrappopolati. Questi paesi, a loro volta, si
distinguono in due sottogruppi:
~ I “paesi sottosviluppati” (estremamente poveri e arretrati, eventualmente classificati anche
sotto l'etichetta di “Quarto Mondo”).
~ I “paesi in via di sviluppo” (con un'economia crescente, ma caratterizzati ancora da sacche
di povertà e arretratezza relativamente diffuse).
Durante la Guerra Fredda i più importanti paesi del “Secondo Mondo” erano senza dubbio
l'Unione Sovietica e la Cina, mentre quelli del “Terzo Mondo” il Brasile e l'India. Ora, dopo la fine
della Guerra fredda e l'inizio della globalizzazione, questi quattro paesi diventano potenze
emergenti: si tratta dei cosiddetti B-R-I-C, acronimo per l'appunto di Brasile-Russia-India-Cina (a
questi si possono poi aggiungere altri paesi emergenti, sebbene di portata e potenziale inferiore,
come ad esempio il Sudafrica e il Messico).
Le quattro potenze emergenti condividono alcune caratteristiche di fondo:
– Distinzione dall'occidente: non hanno mai fatto parte del “Primo Mondo” e non intendono
né assimilarsi ad esso né sottomettersi ad esso;
– Capitale territoriale: i loro confini comprendono un'estensione territoriale gigantesca,
paragonabile o superiore a quella degli Stati Uniti o dell'Australia;
– Capitale demografico: la loro popolazione supera ampiamente i cento milioni di abitanti,
sebbene con forti differenze (Russia: ca. 150 m.; Brasile: ca 213 m.; India: ca. 1380 m.; Cina:
ca. 1420 m.);
– Sviluppo industriale, economico-finanziario in costante crescita (media, forte o esponenziale
a seconda dei casi);
– Sviluppo scientifico e tecnologico avanzato, paragonabile o prossimo a quello occidentale
(con differenze anche significative a seconda dei paesi e dei settori);
– Capacità militare da superpotenza (Russia), o comunque di prima grandezza e in crescita
forte (India) o esponenziale (Cina).

113
Ad oggi abbiamo che:
La Cina è una potenza tecnologica e una superpotenza demografica, industriale, economica
e finanziaria; sul piano militare è una potenza nucleare ormai prossima a diventare una
superpotenza
L'India – anch'essa potenza nucleare – segue rapidamente la Cina sulla medesima linea di
crescita, sebbene le distanze siano ancora significative.
La Russia è una superpotenza militare e possiede il più vasto arsenale strategico (armamenti
nucleari) del mondo, insieme agli Stati Uniti; inoltre è il paese più esteso del mondo e, quasi
come una conseguenza, essa è di gran lunga al primo posto per ricchezza di fonti energetiche,
di materie prime, di risorse naturali e di metalli preziosi; sul piano industriale e
Per questa ragione come parte integrante del “Primo Mondo” si intendono, oltre all'Occidente
(cioè i paesi del Nord-America e dell'Europa Occidentale), anche l'Australia, la Nuova Zelanda, il
Giappone e la Corea del Sud. tecnologico rimane una potenza di grandezza media, ma con
eccellenze assolute in alcuni settori specifici (spaziale, militare, infrastrutture, industria pesante).
Facendo riferimento all'anno 2022, la Russia, la Cina e l'India si trovano, rispettivamente, al 2°, al
3° e al 4° posto nella classifica mondiale delle potenze militari, guidata dagli Stati Uniti. Ciò
significa che delle 4 nazioni militarmente più potenti del mondo, ben 3 sono potenze emergenti
non-occidentali non disposte a sottomettersi all'Occidente.
Inoltre, sul piano demografico, il totale della popolazione dei BRIC ammonta a oltre tre miliardi
di persone (ca. 3,2 M.) rispetto a un miliardo dell'Occidente (ca. 1,1 M.), comprensivo di
Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud (oltre che Nord-America ed Europa).
Infine (ma esistono anche altri aspetti sui quali in questa sede non è possibile soffermarsi) la Cina
è ormai diventata la potenza più influente in Africa, dove anche il peso specifico della Russia è in
costante crescita; al contempo, sia gli europei che gli americani, negli ultimi anni, hanno visto
diminuire drasticamente le loro zone di influenza nel continente africano.
Da questo quadro generale – qui appena abbozzato – si possono facilmente evincere sia le ragioni
che stanno alla base della crisi del programma di globalizzazione occidentale (a guida
statunitense), sia le ragioni per le quali la società globalizzata si configura come una società
endemicamente rischiosa.

LA GLOBALIZZAZIONE
Questo concetto descrive il fenomeno/processo che occupa il centro della riflessione sociologica
contemporanea. In estrema sintesi diciamo che:
 La globalizzazione consiste nella fase acuta e al contempo critica del processo di
modernizzazione;
 Questa fase si caratterizza per la complessità e la riflessività.
Significato e senso della globalizzazione: per capire il concetto e i suoi risvolti problematici, è
necessario soffermarsi a ragionare intorno alla definizione canonica della globalizzazione
1- Il suo SIGNIFICATO ➔ è il fenomeno del progressivo superamento del registro statale-nazionale a
favore di un registro globale:
- Nelle dinamiche dei processi economici e finanziari
- Nelle dinamiche dei processi decisionali politici
- Nelle dinamiche dei processi culturali e comunicativi

 Cioè il registro nazionale, ovvero la governance diretta e indiretta esercitata dalle autorità e dalle
istituzioni nazionali al livello: dello stato, del mercato, della società civile, della sfera pubblica e
comunicativa, perde progressivamente la capacità di controllare e orientare i processi che si
114
articolano in tutti i sottosistemi del sistema sociale: economico, finanziario, politico, culturale,
comunicativo, educativo, scientifico, etico, religioso.

2- Le interpretazioni prospettiche della globalizzazione = il suo SENSO

La Cina unica potenza che può permettersi un confronto con l’occidente, è la potenza più forte
insieme agli USA, con tutti i loro alleati.
Il Brasile, l’India e altri paesi meno influenti chiedono una rinegoziazione della globalizzazione, in
modo da:
- Decidere insieme le sfere di influenza, avere accesso alle risorse, evitare le guerre e
totalitarismi.
- Evitare il disastro ambientale, il paese potrebbe diventare invivibile dalle specie, anche per
questo serve un confronto
- Ridistribuire le risorse

 Ma per i paesi occidentali vuol dire ridurre gli standard di consumo e modificare i propri stili di
vita; quindi, USA e Cina vogliono guidare rispettivamente la concertazione con i propri modelli.

Con la globalizzazione, insieme al problema della complessità la sociologia si occupa anche del
problema dell’assenza di una GOVERNANCE GLOBALE: gli Stati nazionali non hanno il controllo sui
problemi globali, questo perché non esiste un governo globale, gli stati possono gestirli
relativamente con diverse risorse, ma uno stato meno organizzato ne viene facilmente travolto.
Esempio, la crisi finanziaria globale: i Paesi più ricchi avranno dei danni ma riusciranno a gestirla, i
paesi meno abbienti ne verranno travolti. Beck e Giddens vogliono organizzare una GOVERNACE
GLOBALE, che però:
- È realizzabile o in modo unilaterale, che è un’operazione di riduzione della complessità
rischiosa
- O si procede alla concertazione, ma questo prevede una grande disponibilità da parte dei paesi
(soprattutto di quelli più potenti, che dovrebbero rinunciare a parte della loro ricchezza per
distribuirla).

Un altro rischio, premesso che in qualche modo la governance si realizzi, è capire come può
caratterizzarsi questo mondo. Potrebbe essere:
- Un mondo perfetto
- Prendere la forma di un regime totalitario globale dal quale è impossibile uscire (non
esisterebbe una potenza più grande in grado di liberarci).
Tutto questo giunge fino ai giorni nostri, noi, quotidianamente, viviamo queste questioni globali, e
quindi, globalizzate.

IN CHE SENSO FASE TERMINALE DELLA SOCIETA’ GLOBALIZZATA? Due sensi possibili:

1- La modernità è giunta con successo al suo termine, ha compiuto il suo programma. Siccome
“modernità” significa (oltre a tecnologia e benessere) anche risolvere il conflitto interno, essa
vuol dire raggiungere la governance globale o in modo unilaterale o con la concertazione. Anche
attraverso la guerra, l’importante è che il genere umano sopravviva senza arretrare e con tutte
le conoscenze ancora usufruibili (questo perché la III guerra mondiale potrebbe portare anche
all’estinzione dei paesi e quindi ad un arretramento).

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2- La modernità fallisce o per aver ottenuto la distruzione con la governance oppure perché nel
dibattito moderno si rimette in discussione l’ipotesi iniziale, si riapre l’orizzonte trascendentale,
divino.

La globalizzazione non è un processo casuale:


 Non procede d'inerzia;
 Certamente è facilitato da potenti premesse:
 Sviluppi sul piano geografico-politico(esempio guerra fredda)
 Progressi compiuti dalla scienza e dalla tecnica...
 Certamente avviene in forza della crescente capacità:
 Sul piano quantitativo…
 Sul piano qualitativo…
 Certamente avviene in forza della spinta esercitata intenzionalmente da parte di potenti
soggetti agenti…
 La globalizzazione è un processo contingente e tuttavia rimane un processo esposto alla
contingenza (non del tutto al dominio umano). Ovvero, esso resta sempre in buona parte
sfuggente, non pianificabile, non prevedibile in tutti i suoi sviluppi.

Ogni azione dotata di senso che venga intrapresa, genera anche:


- Sempre effetti imprevisti
- Non di rado effetti indesiderati
- Talvolta effetti perversi (ottengo il contrario di quello che volevo)
Questo perché si tratta di un processo che si articola in un registro di complessità e di riflessività.

La globalizzazione è un fenomeno contingente in quanto è complesso:


 Complessità: significa che la conoscenza e il controllo dei fattori e delle dinamiche che
compongono quel fenomeno –nonché delle relazioni tra i fattori, tra le dinamiche, e tra fattori
e dinamiche – risultano problematici, e che tale problematicità non è mai risolvibile, bensì
soltanto parzialmente gestibile attraverso delle “operazioni di riduzione della complessità”.

La globalizzazione è un fenomeno contingente in quanto è riflessivo: in altri termini diciamo


che la complessità non genera solo imprevedibilità ma anche riflessività.
 Riflessività: significa che qualsiasi operazione venga messa in atto per ridurre la complessità dei
processi, al fine di meglio controllarne e orientarne il dinamismo, comporta sempre e
inevitabilmente anche l'effetto collaterale di modificare il fenomeno stesso secondo modalità
che sono sempre anch'esse in buona parte imprevedibili.

Controllo della contingenza come riduzione della complessità


Questo significa che, in condizioni di complessità, qualsiasi operazione di riduzione della complessità
genera due effetti:
• Nel breve-medio periodo essa consente di aumentare la conoscenza del fenomeno e, di
conseguenza, la percezione del controllo esercitabile su di esso (benché conoscenza e
controllo rimangano comunque relativi e parziali);
• Tuttavia, nel medio-lungo periodo, essa genera inevitabilmente un aumento della
complessità interna del fenomeno in termini anch'essi in buona parte non prevedibili.

L'effetto di questa dinamica consiste nell'aumento esponenziale, sia in termini quantitativi sia in
termini qualitativi, della rischiosità. La società moderna in generale e la società tardo-moderna in
particolare, per il fatto di caratterizzarsi inevitabilmente come società complessa e riflessiva, è
116
destinata inesorabilmente a configurarsi nei termini di quella che chiamiamo società del rischio
endemico e crescente.

Possiamo quindi dire che nella società globalizzata, ogni operazione di riduzione della complessità
comporta sempre anche un re-innesco del circolo vizioso di complessità/riflessività/rischiosità.
Le categorie teoriche di «pericolo» e di «rischio»
 Pericolo: una minaccia che incombe in quanto generata da fenomeni/processi naturali
 Rischio: una minaccia che incombe in quanto generata da fenomeni/processi artificiali
(costrutti umani complessi).

Quali sono i principali rischi della società globalizzata?


- Tracollo economico-finanziario mondiale
- Devastazione irreversibile dell’ecosistema
- Pandemia di virus letali per l‘uomo (naturali / costruiti)
- Atti di terrorismo con metodi convenzionali e/o con armi di distruzione di massa
- Guerra termonucleare locale o globale tra potenze
- Deriva totalitaria di carattere distopico

Perché la società globalizzata è rischiosa? Sostanzialmente per due ragioni


1) A causa del circolo vizioso di complessità/riflessività/rischiosità
2) A causa della permanente assenza di una GOVERNANCE MONDIALE

Il problema del senso della globalizzazione


Esistono cinque principi/quadri teorici:
1. Neo-funzionalista
2. Neo-marxiano
3. Neo-illuminista
4. Post moderni (in seguito alla fine delle grandi guerre)
a. Nichilista
b. Neo-ontologico
È importante ricordare che questi quadri sono in concorrenza tra loro, anche se tra alcuni di essi
esistono dei tratti contingenti. All’interno di ciascun quadro teorico possono esserci correnti
interpretative tra loro in disaccordo e in competizione.

Approcci neo-illuministi
Sono “neo-illuministi” quegli approcci che ragionano sulla globalizzazione, o comunque sulla
modernità avanzata, partendo da una riflessione sui contenuti e i programmi dell’Illuminismo, allo
scopo di individuarne e preservarne l’essenza.

Il loro ragionamento prende le mosse da una presa d’atto (1) e da una domanda (2):
1) La modernizzazione (cioè l’esecuzione dei programmi dell’illuminismo) ha prodotto anche
numerosi e gravi effetti indesiderati e perversi, al punto che la globalizzazione si configura
come una società del rischio endemico.
2) Come è stato possibile? Che cosa e dove abbiamo sbagliato?
A seconda delle risposte alla domanda e delle soluzioni proposte, gli approcci neo-iluministi seguono
due linee di sviluppo, diverse e in buona parte contrastanti:
1) Il neo-illuminismo RADICALE o neo-positivismo
2) Il neo-illuminismo CRITICO
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1) Neo-illuminismo radicale
L’interpretazione dei principi dell’Illuminismo e la elaborazione dei programmi è stata corretta
Si è commesso invece un errore fondamentale nella esecuzione del programma moderno. In
particolare le forze storiche che hanno eseguito il programma dell’illuminismo:
a. Hanno permesso alla tradizione di sopravvivere e riorganizzarsi;
b. Hanno accettato richieste/proposte di compromesso;
c. Non di rado esse stesse hanno cercato questa alleanza.
Pertanto la modernizzazione non ha potuto dispiegare tutto il proprio potenziale, il quale è rimasto
in parte inespresso o limitato; gli effetti indesiderati e gli effetti perversi vanno pensati come la
conseguenza di questa esecuzione imperfetta e del conseguente intralcio costituito dal permanere
di alcune importanti impalcature della tradizione.
Cosa fare allora per risolvere il problema degli effetti indesiderati/perversi della modernizzazione?
 Implementare un “secondo illuminismo”, con lo scopo di completare il programma eseguito
solo parzialmente dalla prima ondata;
 Si tratta di mettere in atto un’opera di sistematica, radicale e definitiva cancellazione dei
gruppi/istituzioni vettori della tradizione  essenzialmente questo programma dovrebbe
dispiegarsi attraverso l’l’implementazione dei seguenti tre processi:
o Processo di individualizzazione degli individui
o Processo di democratizzazione della democrazia
o Processo di cosmopolitizzazione della società globalizzata

2) Neo-illuminismo critico
Si è commesso invece un errore nella elaborazione del programma moderno. In particolare:
 L’errore è consistito nel pensare che l’implementazione dell’Illuminismo dovesse
necessariamente intendere il rapporto modernità/tradizione come un “gioco a somma 0”.
 Ciò ha comportato, come conseguenza:
o Lo sviluppo della modernizzazione come trionfo della razionalità allo scopo
(razionalizzazione/burocratizzazione) ed emarginazione della razionalità al valore
(secolarizzazione);
o La graduale e crescente incapacità della razionalità moderna di gestire la potenza
offerta dalla sintesi di scienza/tecnica/capitalismo secondo un registro morale, cioè
quantomeno termini di un’etica della responsabilità.
 Da qui il manifestarsi crescente di sempre più gravi effetti indesiderati e
perversi e il configurasi della società globalizzata come società
endemicamente rischiosa.
Cosa fare per risolvere il problema degli effetti indesiderati/perversi della modernizzazione?
 Riabilitare il registro della razionalità morale nella modernità al fine di sottoporre al suo
controllo la gestione della Potenza.
 Recuperare il contributo dei “saperi sapienziali” costitutivi della sintesi culturale pre-
moderna, al fine di informare e rafforzare il registro della razionalità morale nella modernità.
 Restituire il diritto di cittadinanza nella sfera pubblica discorsiva alle istanze della filosofia
metafisica classica e delle grandi tradizioni religiose (in primis, benché non in modo
esclusivo, a quella giudaico-Cristiana); - Tradurre il lascito morale di questi saperi sapienziali
in un codice linguistico e concettuale post-metafisco, cioè utilizzabile e comprensibile nella
sfera pubblica moderna.

118
Approcci neo-marxiani
Alcuni illustri, che possiamo definire neo-marxiani, per come hanno impostato la loro analisi sono:
Chomsky, Galliano, Lash, Touraine, Wallerstein (lui è il più sistematico e noto).
In questo approccio, la concezione della storia è disincantata, ovvero non esiste una “legge della
storia” di Tipo deterministico e la storia dell’umanità non procede inesorabile verso l’avvento della
società comunista. La lotta di classe, proletariato VS borghesia, è anacronistica nel contesto della
globalizzazione  non ci sarà alcune rivoluzione globale del proletariato.
Si delinea una specie di lotta di classe al contrario: il grande capitale viene in buona parte
ridimensionato nel suo potere dall’ascesa delle classi medie e dal controllo che gli stati democratici
esercitano sul mercato economico e finanziario (banche centrali nazionali, politica economica…).
Questi stati pianificano di riappropriarsi del massimo controllo possibile sulla ricchezza disponibile
operando un progressivo smantellamento degli stati nazionali e una neutralizzazione dei processi
democratici.
Prende forma un nuovo scenario: la lotta di classe è combattuta dal grande capitale turbocapitalista
(o finanzcapitalista) riunito nelle più potenti e circoscritte aggregazioni degli interessi della storia,
contro le masse. Quest’ultime versano in una situazione di sistematica e crescente debolezza, in
quanto disorientante e disorganizzante per effetto dell’azione di una sovrastruttura ideologica di
enorme potenza.
I movimenti culturali neo-marxiani accusano i partiti post-comunisti di essersi trasformati in partiti
radical-borghesi, al servizio del grande capitale finanziario  si configura uno scenario
caratterizzato da un elevato rischio di guerra, anche su vasta scala e condotta con armi di distruzione
di massa. Tra le forze storiche del turbocapitalismo occidentale e quelle dei grandi apparati del
capitalismo emergente non occidentale (primariamente quello cinese).
La strategia di azione diventa quella della mobilizzazione attiva delle masse (specie nei paesi con
una radicata tradizione democratica) non per la finalità della rivoluzione, bensì per un esercizio
responsabile dei diritti di cittadinanza democratica. L’obiettivo dell’azione deve essere orientato alla
salvaguardia dell’autentica democrazia partecipativa. Si tratta di impedire, attraverso l’esercizio
intensivo dei diritti di cittadinanza democratica, che le “minoranze attive” del turbocapitalismo
prendano il pieno controllo delle istituzioni democratiche, trasformando i regimi democratici in
forme di democrazia totalitaria  unica strada percorribile per provare a scongiurare il rischio di
una grande guerra globale.

Approcci post-moderni (alla Lyotard)


Sono “POST-MODERNI” quegli approcci che ragionano sugli effetti perversi della globalizzazione,
ritenendo che tali effetti siano la dimostrazione del fatto che l’Illuminismo non era che l’ultima delle
grandi narrazioni, anch’essa fallita. Il post-moderno segna l’uscita definitiva dalla modernità e
l’ingresso in un’epoca caratterizzata dalla fine delle grandi narrazioni. Si deve abbandonare l’ideale
illuminista dell’Uomo che, in forza della propria ragione, si rende artefice del proprio destino  il
mito del progresso non è che un’illusione: non è possibile per l’Uomo emanciparsi dalla caducità
della propria esistenza.
Si possono distinguere due correnti:
1) Gli approcci post-moderni NICHILISTI:
A loro volta questi si distinguono in:
1.1. Neo-stoicismo (o di nichilismo tragico)
1.2. Neo-epicureismo (o di nichilismo gaio)

119
2) Gli approcci post-moderni NEO-ONTOLOGICI, che Pierpaolo Donati, chiama più correttamente
DOPO-MODERNI o TRANS-MODERNI (in particolare facendo riferimento alla sua sociologia
relazionale)
1. Gli approcci post-moderni NICHILISTI
1.1. Neo-stoicismo (o di nichilismo tragico)
 L’esistenza umana è irrimediabilmente segnata dalla sofferenza e dalla morte.
 Il desiderio di assoluto e di infinito non fanno che condannare l’Uomo all’infelicità.
 Tuttavia la vita trova il suo senso nell’accettazione umile e realistica della condizione umana
e nella ferma volontà di vivere la propria esistenza dignitosamente.
 Si tratta di fare del proprio meglio per allietare la vita degli altri e sopportare la durezza della
vita per continuare a farlo il più possibile.
Si può anche parlare di un pessimismo tragico (G. Leopardi) ma altruistico.
1.2 Neo-epicureismo (o di nichilismo gaio)
 In questo caso invece la dignità dell’esistenza risiede nella possibilità di fare in modo che
l’esperienza del piacere prevalga su quella del dolore.
 Quando ciò non è più possibile l’esistenza umana perde progressivamente di senso e viene
percepita come sempre men degna di essere vissuta.
 L’esperienza del piacere, tuttavia, non è detto che debba consistere soltanto nel piacere
fisico; una sana e sincera amicizia, ad esempio, allieta l’esistenza più di moli piaceri materiali.
 Il nichlista gaio, in ogni caso, concepisce il rapporto con la moralità e con la ricchezza in
modo – tendenzialmente – opposto al nichilista tragico.

2. Neo-ontologici - L’idea centrale: la sintesi culturale modernità ha preso le mosse da un errore


fondamentale, la cui conseguenza sono quelli che chiamiamo gli effetti perversi della modernità.
 Questo errore consiste nell’idea stessa della distinzione irriducibile tra modernità e
tradizione. - Ciò che abbiamo chiamato “moderno”, “epoca moderna”, “modernità”,
“modernizzazione” non è altro che la reiterazione di questo errore: è una profezia che si
autoadempie.
 In realtà è possibile declinare la scienza e la tecnica in modo lineare e armonico con il
pensiero che viene erroneamente definito “premoderno” o “tradizionale”. - Mentre si tratta
invece del pensiero propriamente umano.
 La scienza e la tecnica declinate sulla base del pensiero propriamente umano non
genererebbero effetti perversi.
 Il pensiero propriamente umano prende le mosse dalla metafisica greca classica ed è capace
di dialogare armonicamente con le grandi tradizioni spirituali-religiose dell’umanità,
mostrando una particolare affinità con il Cristianesimo.
 La riflessione esistenziale scaturisce e dà espressione alla tensione più intima e costitutiva
dell’umano, che consiste nell’apertura verso la trascendenza, come dimensione del mistero
inesauribile: verità infinita, bontà infinita, bellezza infinita.
 Per questa ragione la sintesi culturale dell’umanesimo cristiano europeo è qualcosa di unico
nella storia dell’umanità.
 Anche importanti pensatori non-credenti contemporanei, propongono una riscoperta in
senso forte di questa sintesi culturale, come unica via possibile per scongiurare le peggiori

120
derive della triade razionalista “scienza/tecnica/capitalismo” ordinata alla volontà di
potenza.

ATTENZIONE APPROFONDIMENTI
Approfondimento su concetto di soglia della modernità è un concetto interessantissimo che
dobbiamo a Weber e Eisenstadt. Nel senso che Eisenstadt è un sociologo contemporaneo ed è uno
dei massimi studiosi di Weber. Secondo lui negli studi Weberiani dedicati alla modernità si può
cogliere, anche se Weber non lo esplicita, il concetto di soglia della modernità. Un concetto tipico
weberiano ed è molto interessante perché ci permette di collegare in termini teoretici e astratti,
come concetto, il passaggio dal premoderno al moderno, che cosa significa questo passaggio, parla
in fatti di soglia.
Soglia sta per linea passata la quale si esce da un certo contesto e si entra in un altro, come un
portale spazio temporale. Passare attraverso la soglia della modernità vuol dire passare da
premoderno a moderno, da una mentalità premoderna e una moderna. Noi usiamo questi aggettivi
in senso scientifico non in senso valutativo, perché non si deve dire moderno bene e premoderno
male, semplicemente ognuno ha le sue caratteristiche. Chiaramente dice “noi assistiamo nel corso
dei secoli a profonde trasformazioni socio culturali, inizialmente in Europa che poi si diffonderà nel
mondo. Per cui la società si è profondamente trasformata però qual è il senso di questa
trasformazione e quando comincia? Cioè cosa significa passare attraverso la soglia della modernità?
E quando avviene questo? Quando comincia ad avvenire?” Secondo E. capire il concetto di
modernità e di soglia è importantissimo, lui dice Weber è quello che l’ha spiegato. Il passaggio lo
trovate spiegato nella dispensa, è il momento in cui l’idea di un ordine sociale preordinato
divinamente inizia a perdere la propria validità esclusiva. Vuol dire che l’unico modo possibile non
è più unico, cominciano a presentarsi altre realtà possibili diversa da questa. La quale rimane, ma
perde la validità esclusiva. Anche altre idee si affacciano e cominciano e sorgere e avanzare con
successo con requisiti di valutazione che vengono accettati come plausibili. Idee diverse dall’idea
per cui l’ordine sociale è preordinato divinamente.
Che vuol dire l’idea per cui la società umana, esattamente come il mondo naturale, sono preordinati
divinamente? Cioè così come la realtà naturale rispetta il disegno della creazione, il disegno divino;
allo stesso modo le società umane vanno costruite dall’uomo sull’idea di corrispondere al disegno
della creazione divini. Sono cioè preordinate divinamente. In base a quale disegno costruiamo la
società umana, una realtà costruita dell’uomo? Cosa intendiamo parlando dell’idea di società a
misura d’uomo, coerente al disegno divino. Questa è la differenza tra premoderno e moderno.
Secondo Weber nel contesto premoderno, il criterio che le società occidentali seguono nell’ordine
sociale in ultima istanza è un criterio sempre preordinato divinamente, è un tentativo di costruire
una società che corrisponda al disegno della creazione se vogliamo usare una espressione, un
concetto ebraico cristiano o comunque se vogliamo uscire dal contesto della tradizione ebraica
cristiana, una realtà sociale che tiene conto della differenza tra divino e umano. Intende l’umano
come subordinato divino, c’è un ordine naturale della cos’è stabilito divinamente e se vogliamo
costruire una società che non imploda su se stessa, dobbiamo usare un criterio che rispetti l’ordine
naturale delle cose, così come la divinità lo ha stabilito.
121
Weber era un grande studioso della religione, in particolare il rapporto tra la loro matrice religiosa
e la struttura economica della società. E lo ha fatto come abbiamo detto per tutte le grandi civiltà
del mondo antico anche, dal confucianesimo, taoismo, buddismo. Poi si è occupato anche di
cattolicesimo e Islam. Ecco lui è un grande studioso delle civiltà antiche fino alla modernità, e c’era
un rapporto molto stretto tra la realtà storica e il mondo del divino. E l’idea era che il divino
superiore all’umano, che l’uomo per stare nel mondo massimizzando le proprie chances di
sopravvivenza non può fare altro che rispettare diciamo così le coordinate della realtà come il divino
le ha stabilite. Allo stesso modo vale per il mondo naturale, per cui ad esempio la legge di gravità,
perché se non sei un’aquila ma sei un animale o un animale non volatile non puoi pretendere di
volare perché la realtà che è esterna a te è più forte della tua volontà. Tu puoi anche pensare
intensamente di volare ma poi se ti lanci nel vuoto precipiti perché c’è una struttura della realtà che
prescinde dai tuoi pensieri, sogni e aspirazioni. Però questo vale anche per la realtà sociale e morale.
Una società per stare in piedi deve tenere conto di questo aspetto, del fatto che c’è una struttura
preordinato divinamente. Per esempio, gli antichi se devono partire offrono sacrifici al dio del mare
perché non si accanisca contro di loro oppure se si va in guerra e si invoca il dio della guerra.
Weber dice a un certo punto, accade in Europa che questa idea per cui l’ordine costruito va pensato
e costruito come tentativo di uniformare la realtà sociale all’ordine divino, così che siamo sicuri che
stia in piedi anche se poi ha vari difetti perché è sempre una costruzione umana ed essendo l’uomo
imperfetto sarà una realtà che cerca di realizzare in terra qualche cosa che corrisponda al mondo
della storia, quindi saranno società sempre difettose sempre migliorabili, tendendo in quella
direzione.
Secondo Weber questa idea qua comincia in Europa a declinare, cioè inizialmente comincia a perde
la sua esclusiva, non è l’unico modo di pensare il mondo sociale l’ordine sociale (politico e morale),
ma ne vengono accettati altri. Secondo Weber questa idea che era presente da molti secoli,
comincia a declinare inizialmente perde la propria validità esclusiva, vengono accettate come
plausibili anche idee alternative a questa.
Anche per Weber l’ordine sociale può essere pensato smarcandosi dall’ordine divino. Poi
progressivamente questo processo continua e si afferma in Europa e viene capovolta la questione,
cioè l’idea di ordine sociale preordinato divinamente diventa minoritaria fino a essere ritenuta
inconcepibile. Questo può aprire diverse forme di pensiero, ad esempio il positivismo che non
concepiva il pensiero religioso ormai superato insieme al pensiero filosofico. L’unico modo di
pensare il mondo sociale era quello ordinato alla soluzione dei problemi e alla realizzazione
dell’umanità, in termini di sicurezza e superamento dei limiti della condizione umana, alla morte
malattia e ingiustizia, violenza, povertà e della fame. In Europa si è sviluppato secondo questa linea,
cioè il rapporto tra ordine sociale e ordine divino è stato interpretato diversamente, superando
l’idea del preordine divino. Questa è la linea di sviluppo del pensiero filosofico europeo del
razionalismo, contemporaneo a Weber. Idea per cui il pensiero filosofico si sviluppa a un certo
punto, con passaggio della soglia, coltivando l’idea della incompatibilità, necessita di superamento
di questi concetti religiosi. L’ordine sociale è pensato poi umanamente.
Poi c’è un’altra linea di sviluppo minoritaria, che contempla un salto evolutivo della nostra ragione
che non mette fuori gioco l’idea di un ordine divino, ma che si evolve e anziché assumerlo
acriticamente o darlo per scontato lo mette alla prova. Dice proviamo a costruire un’ipotesi

122
plausibile anche con un’idea moderna. Ok proviamo a costruire un ordine sociale preordinato
divinamente e vediamo che società viene fuori e vediamo se corrisponde alla necessità degli umani.
Questa linea di pensiero si chiama ontologismo. La prima teoria è quella del razionalismo.
Resta poi da chiedersi da quando iniziai questa soglia. Il processo di trasformazione profondo ha
bisogno di tempo, per il processo si può cercare un inizio trovando le coordinate spazio temporali
per collocare l’inizio di questo passaggio. Come abbiamo detto la prima scintilla può essere intravista
nel pensiero di Guglielmo da Occam. Possiamo esprimerlo sinteticamente. È un concetto raffinato,
nel senso che per comprenderlo bisogna vere un po’ di familiarità con il pensiero filosofico classico,
è un pensiero metafisico.
Occam era un monaco, un filosofo, ha questa intuizione. Lui dice che la realtà metafisica, cioè tutto
ciò che non è disponibile all’esperienza dei sensi, va al di là del mondo fisico, tutta la realtà
metafisica non è pensabile direttamente attraverso l’intelletto. Il nostro intelletto non è in grado di
elaborare le caratteristiche eterne delle cose, che ci facciano conoscere il mondo metafisico,
soprannaturale. Questo mondo esiste ma il nostro intelletto non è in grado di elaborare dei concetti
per esprimerlo. Possiamo soltanto elaborare dei concetti di tipo convenzionale, che ci servono a
titolo di esempio, per darci una rappresentazione della realtà, ma non ci dicono nulla di vero su
quella realtà, sono semplicemente delle convenzioni. I valori di queste parole, questi concetti, che
elaboriamo per descriverlo sono semplicemente convenzionali. Quindi Occam per questa ragione è
considerato il fondatore del nominalismo, una corrente della logica filosofica. Noi non possiamo
dire nulla di vero e di falso sul mondo sovrannaturale, sulla metafisica, esiste ma il nostro intelletto
non è in grado di comprenderlo. Non possiamo elaborare concetti se non conosciamo, possiamo
elaborare concetti che lo descrivano in mondo convenzionale. Quindi il valore dei concetti universali
e convenzionali.
Lui fa un esempio: nella proposizione Socrate è un animale, la parola animale non sta per sé, ma al
posto della cosa, cioè al posto di Socrate. Lui dice che non esiste l’animale nella realtà, esiste
soltanto quell’essere umano che io chiamo Socrate, poi esistono altri innumerevoli esseri umani
ognuno con il proprio nome, così come non esiste l’animale ma quel gatto che sto vedendo in quel
momento. Poi questi hanno un comune denominatore per cui sono esseri viventi, hanno un
organismo, ecc. allora io vedo questo comune denominatore tra tutti gli individui somiglianti e
chiamo questo comune denominatore animale, ma quindi l’animale non esiste è soltanto un
concetto convenzionale, che io uso per dare un nome a questo comune denominatore.
Nella realtà non esiste l’animale, esiste un singolo animale, un singolo gatto, un singolo rinoceronte
e così anche per gli umani. Il concetto di animale e la parola animale è universale, ma a cui non
corrisponde alcuna realtà universale! Serve per descrivere convenzionalmente tanti individui
particolari con delle caratteristiche comuni, ma quella caratteristica non è universale, è una
convenzione.
Tutto il pensiero metafisico sia quello antico di Platone e Aristotele, sia quello teologico di
Sant’Agostino che ha assunto in sostanza l’impalcatura di Platone e di Tommaso d’Aquino che ha
seguito Aristotele (nelle dispense è spiegato meglio!). Ecco tutto quel pensiero lì, dice Occam che in
sostanza è una enorme e grandiosa bellissima e razionale impalcatura di pensiero, una creazione
geniale dell’intelletto di questi pensatori che non dicono nulla in realtà, non ci permettono di

123
conoscere la metafisica al di là del mondo fisico. Sono soltanto concetti convenzionali, dei nomi del
nominalismo.
Allora, secondo alcuni, il passaggio della soglia della modernità è cominciato con una scintilla nel
pensiero filosofico dentro le università medioevali dove i dotti dell’epoca, che erano monaci,
disquisivano di questioni filosofiche e teologiche. E se si prende per vera la intuizione di Occam il
pensiero metafisico e il pensiero teologico diventano sostanzialmente grandiose astrazioni, come
l’intuizione che ha avuto Comte, sul pensiero filosofico e metafisico e religioso.
La scolastica e il pensiero filosofico medioevale è il pensiero filosofico religioso espresso in maniera
raffinatissima.
Però Occam dice sostanzialmente che cosa ne deriva da tutto ciò? Ne deriva che noi ragionando
delle cose del mondo naturale e sociale non avremmo bisogno di fare riferimento a concetti
metafisici, perché tanto quella realtà metafisica non è adeguata per descrivere questi concetti,
perché hanno soltanto un valore convenzionale. Quindi è inutile cercare di guardare al mondo fisico
come riflesso del mondo metafisico, perché i concetti che disponiamo per fare questo racconto non
sono adeguati per descrivere il mondo metafisico, sono adeguati per solo per descrivere il mondo
fisico. E già qui si vede la scintilla e il possibile ordine sociale preordinato divinamente. Non lo
chiederò all’esame, ma lo scopo dell’Università non è solo passare gli esami ma anche formare la
nostra testa, il pensiero. Non è neanche naturalmente essere d’accordo o meno, ma capire le cose,
i discorsi, i concetti che formano la nostra testa.
Occam per esempio dice che per conoscere il divino devi cercare una via mistica o ascetica piuttosto
che quella razionale, che non è adeguata per elaborare concetti che esprimano la realtà
soprannaturale. Naturalmente l’occaismo può essere l’anticamera dell’ateismo, ma non
necessariamente. Può esserlo se lo assumi come anticamera dall’ateismo allora il pensiero filosofico
da lì si sviluppa seguendo la linea del razionalismo. Se invece lo assumi come un salto qualitativo del
pensiero… non si capisce il con, tra soffiate di naso e tosse, scusate 😅 … ipotizziamo una società
basata sull’ordine predivino e vediamo se questa società è soddisfacente o meno. Questa è la linea
di sviluppo del pensiero moderno, lungo la linea dell’ontologismo (per fortuna, l’ontologismo l’ha
spiegato sopra)
Questa idea qui del rasoio di Occam può essere considerata la scintilla che nel pensiero filosofico
europeo ha dato inizio con il tempo al cambiamento, ha segnato l’invio del passaggio della soglia e
siamo a metà del tredicesimo secolo.
Quando guardiamo l’ordine naturale, guardiamo la natura, facciamo riferimento ai concetti
universali, ma senza pensare che questo concetto descriva in essenza una sostanza fondamentale.
È semplicemente un costrutto astratto che ci permette di classificare, di comparare, ma non esprime
l’essere così metafisico delle cose.
E la stessa cosa quando pensiamo all’ordine sociale, cosa vuol dire? Quali implicazioni comporta ciò?
Questo comporta una rivoluzione gigantesca, perché cosa vuol dire uguaglianza? Libertà? Tutte
queste cose se non possono più essere declinate elevando sempre al divino, in base a cosa pensiamo
a una società giusta? Lo stabiliamo noi ma in base a quale criterio? L’ordine sociale non più
preordinato divinamente, ma ordinato umanamente, ma come si fa a stabilirlo? Diventa oggetto di
dibattito e pubblica discussione. Cioè diventa argomento di confronto tra intellettuali, politici ecc.
124
siamo noi che dobbiamo stabilire una società giusta. L’ordine sociale deve essere giusto, però cosa
intendiamo per giusto? Prima ciò che siamo per giusto lo acquisiamo dal lato divino, dall’ordine della
creazione, giusto è conforme al disegno divino. Però se noi tagliamo con il rasoio di Occam,
dobbiamo metterci d’accordo tra di noi per cui, nella modernità è normale che un modus viventi sia
il conflitto, perché non c’è più un comune denominatore divino, ma dobbiamo stabilirlo noi e quindi
dovendolo stabilire ci può anche essere conflitto. Non si comprende, si mangia le parole…
Nella cultura moderna dobbiamo noi decidere cosa intendiamo per società giusta, per guerra giusta,
ecc. quindi il modus viventi della modernità è il conflitto, la discussione anche animata. Ad esempio,
per quanto riguarda la democrazia, che ha il compito di gestire la conflittualità in modo tale da
esprimere modernità. Però bisogna incanalare lo scontro, il conflitto, bisogna istituzionalizzarlo,
permettergli di esprimersi, perché la modernità ha bisogno di questo. Ma i criteri con cui costruiamo
la società moderna giusta sono risultati dallo scontro, da diverse opinioni e realtà. Cerchiamo di
mettere a punto dei meccanismi che permettano a questo scontro di esprimersi e permettere di
sintetizzare le idee migliori ed escludere le peggiori, non desiderabili e fare tutto questo senza la
violenza, o almeno limitandola allo scontro verbale. Però prima di arrivare alle democrazie, nel
mondo moderno questa necessità è sfociata in conflitti e per questa ragione l’aspetto della violenza
è parte integrante del mondo moderno e per ragioni diverse rappresenta anche il mondo
premoderno.
Per esempio, a livello macro abbiamo detto che nell’800 iniziano a prendere forma sintesi di ordine
di origine sociale moderno che poi vanno a scontrarsi alla fine dell’800, che sono comunismo,
fascismo e varie, sono tutti programmi moderni. La differenza dall’origine delle democrazie rende
le democrazie diverse, ma sono sempre tutti programmi moderni, che entrano in conflitto tra loro.
Quindi abbiamo detto che la fase rivoluzionaria termina nel 1917/1918 con rivoluzione russa,
bolscevica, il comunismo sovietico e nel 1918 alla fine della prima guerra mondiale. La prima guerra
mondiale pone fino a quello che è iniziato in Francia e ancora qualche anno prima in America, dove
il distacco delle società moderne dal regime monarchico. La prima guerra mondiale completa a
livello istituzionale il passaggio nella soglia della modernità, perché possiamo pensare che l’istituto
monarchico non lo sia per diritto divino. Invece, nella seconda guerra mondiale è archiviato lo
scontro tra Ancienne regime e modernità, tra mondo premoderno e moderno, all’organizzazione
anche economica della società. La rivoluzione francese e quella americana, le guerre napoleoniche
e i moti rivoluzionari dell’800 in Europa e poi la prima guerra mondiale che segna il tramonto degli
ultimi imperi, delle ultime monarchie europee con la caduta dell’impero austroungarico, quello
russo e quello ottomano. Dalla seconda guerra mondiale invece non è più scontro tra moderno e
premoderno, ma scontro tra diversi programmi moderni che sono i fascismi nelle sue diverse
versioni, le democrazie non ancora così evolute come quella americana, che si scontra poi con la
nuova democrazia sovietica.
I fascismi vengono sconfitti, si passa alla fase successiva dove si scontrano gli altri programmi
moderni, vincitori della seconda guerra mondiale. Cioè comunismo, con la guerra fredda contro la
democrazia americana, vince quest’ultima e comincia la globalizzazione.
Però questo è il processo di modernizzazione, che inizia con il passaggio della soglia di modernità
come scintilla. Questa fase gestazionale, le date precise sono nelle dispense, per esempio la stampa
a caratteri mobili 1455, il primo libro stampato da Ghuttermberg - quello che lo ha inventato, è una
125
invenzione tecnologica, un salto tecnologico- è la Bibbia, il libro più importante. La stampa della
Bibbia rende la Bibbia disponibile in versione stampata, anche se in non tante copie, però questa
cosa è collegata, aiuta la riforma protestante perché uno dei capi saldi della riforma protestante è
la interpretazione personalistica delle sacre scritture. Per cui il singolo credente si rapporta con il
divino, un dio totalmente altro, si rapporta con lui attraverso la mediazione della sola scrittura.
Quindi questa interpretazione si relaziona con dio. Come fai a interpretare la scrittura se sei
analfabeta? E quindi si innescano una serie di dinamiche e una tira l’altra.
Anche le grandi scoperte geografiche, evento fisico, si sono rese possibili dalle innovazioni di
navigazione oltre all’ingegno di alcune persone. Le grandi scoperte geografiche cambiano l’idea del
mondo europeo, che dava per scontato per secoli che a ovest delle colonne d’Ercole ci fosse la fine
del mondo (lo stretto di Gibilterra). E quindi il mondo conosciuto era sotto controllo, al di là di quello
che non conosciamo è mistero, soprannaturale, comunque qualche cosa di inaccessibile all’uomo.
Le grandi scoperte permettono all’uomo di disegnare il pianeta, poco alla volta lo disegna e quando
una cosa la disegni vuol dire che la puoi pensare, disegna anche in modo proporzionato, in scala.
Venivano fatte delle misure, quanto distano le coste del Brasile dalle coste del Portogallo? E queste
distanze vengo riportate sulle mappe. Prima il mondo era mistero ora diventa qualche cosa di
conosciuto tramite strumenti, lo pensiamo e lo disegniamo, cioè è roba nostra, ci appartiene. Le
scoperte geografiche conferiscono all’uomo europeo di essere il dominatore della terra, perché la
puoi misurare, disegnare, pensare la comprendi e cominci a percorrere distanze che prima erano
indefinite, quella cosa lì diventa casa tua. Prima era un mondo che apparteneva alle potenze
soprannaturali. Nella cultura classica c’era questa idea che noi siamo mortali, gli dei immortali,
quindi cos’è che l’uomo non può e non deve fare? Cercare di essere immortale, e c’è un limite
invalicabile tra il nostro mondo e quello divino. Quando tu cerchi di superare quei limiti per la cultura
classica commetti un errore letale, mortale, che è quell’errore di commettere superbia dell’uomo
che vuole farsi divino. L’uomo non accetta di essere inferiore agli dei e vuole elevarsi al loro livello,
o comunque provarci. Questo secondo loro è un errore letale, un peccato mortale, perché ha come
conseguenza l’autodistruzione, come Icaro che ha cercato di raggiungere il sole e inesorabilmente
precipita. Per cui è proprio una cosa che nome di deve fare, questa cosa l’uomo inizia a pensare che
tutto il reale sia nella sua disponibilità. È in grado di conoscerlo e quindi di dominarlo. C’è coraggio
nel seguire i propri calcoli e le proprie idee. Di fatto, le scoperte geografiche conferiscono all’uomo
europeo una grande autostima. Però questa idea qui in qualche modo, questo ampliamento della
conoscenza del mondo fisico aumenta con il metodo scientifico di Galileo che ha praticamente
superato l’idea della terra piatta e delle colonne d’Ercole dietro il quale c’è il mistero, dà alla cultura
europea una nuova conoscenza: l’astronomia. Perché l’idea affermata da Tolomeo e Aristotele e per
cui la terra sta al centro dell’universo e gli astri girano attorno che è un’idea apparentemente
evidente perché guardano gli astri abbiamo l’impressione che le stelle ci girino attorno. Quindi il
sistema astronomico aristocratico tolemaico era considerato reale, su questo si era innescata la
visione del mondo ebraico Cristiana perché c’era una corrispondenza tra l’astronomia di Aristotele
(un filosofo pagano) se lo dice Aristotele prima di rinnegarla ci vogliono forti elementi. Quindi per la
cultura europea sistema astronomico aristotelico era posto su solidissime basi scientifiche, nel senso
non della scienza moderna ma quella intesa in senso antico, già molto rigorosa come le idee di
Pitagora e altri. Allora però questa cosa trovava corrispondenza nella cosmologia ebraico Cristiana
perché nella creazione, nell’atto di creare il mondo Dio aveva creato il mondo è poi per l’ultimo
l’uomo, a sua immagine e somiglianza è lo pone nel paradiso terrestre. Per cui, simbolicamente, il
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fatto che la terra fosse al centro dell’universo come dichiara Aristotele secondo la cultura ebraico
Cristiana questo era un dato scientifico astronomico questo corrisponde a all’ordine della creazione.
Riapprenderà non solo simbolicamente ma anche concretamente la centralità dell’uomo, e infatti
tutto ruota attorno alla terra dove c’è l’uomo, che è stato posto qui. Ogni cosa si tiene insieme. Però
Galileo che supera il paradigma aristotelico, per i quali gli scienziati antichi avevano trovato
corrispondenza tra divino e natura. Galileo oltre a essere un matematico era anche un ingegnere,
costruiva gli strumenti attraverso cui faceva le sue ricerche. Costruisce per cui un telescopio più
potente di quelli di cui disponeva prima e attraverso questo strumento riesce ad osservare fenomeni
della volta celeste che prima non erano visibili, o non con quella precisione. E allora lui i fenomeni
che osserva lui si è messo a calcolare questi movimenti, partendo dal paradigma (un insieme di
assunti ragionevolmente plausibili, sulla base dei concetti che disponiamo, non dimostrabili, ma
assunti quanto ragionevoli) sulla base dell’astronomia dell’epoca questi paradigmi aristotelici erano
plausibili ed era confermato anche dalla cosmologia, dalla visione del mondo delle sacre scritture,
quindi era più che plausibile. Galilei era un fervente cattolico però vede che la realtà che osserva
non coincide con quello che vede, non riesce a spiegare il paradigma con quello che vede. Non esiste
un calcolo matematico che gli permetta di spiegare partendo dal quel presupposto questi momenti
che osserva. Quindi dice “o è sbagliato lo strumento, le lenti costruite alterano i movimenti che in
realtà sono diversi da quelli che osservo. Oppure se le lenti sono giuste allora se non è uno è l’altro,
allora il paradigma di riferimento è sbagliato. O è sbagliato il dato che osservo ma che ho verificato
mille volte ed è proprio così allora sono sbagliati gli assunti di partenza, del modello tolemaico. Per
cui lui (con il pensiero moderno) dice proviamo a non dare per scontato quella cosa lì e elaboriamo
delle ipotesi. Supponiamo che il sole sia al centro e la terra gli giri attorno, insieme agli altri pianeti.
Come faccio a sapere se questo assunto sia vero o non vero? Perché per ora è solo un assunto.
Elaboro delle ipotesi coerenti con il paradigma e che siano verificabili anche indirettamente e poi
vado a verificarle. Se la verifica mi conferma le ipotesi, allora mi conferma il paradigma, allora vuol
dire che il paradigma è verosimile. E così che per Galileo il sistema astronomico tolemaico è
sbagliato, non ci permette di spiegare tutta una serie di fatti e fenomeni che lui invece osserva.
Mentre il nuovo paradigma funziona, mi permette di elaborare delle teorie che lo spiegano.
Naturalmente nella cultura dell’epoca questa cosa scardina le idee del mondo intellettuale, nell’
élite dell’epoca questa cosa rompe la corrispondenza tra ordine naturale e ordine ideologico, questa
corrispondenza pensata dai teologi e filosofi dei secoli precedenti. Quindi gli mettono sotto processo
e gli dicono “senti noi non discutiamo i tuoi calcoli, i tuoi calcoli saranno anche corretti. Quello che
discutiamo è che la cosa venga resa pubblica adesso, adesso i tempi non sono maturi e quindi devi
ritrattare.” Perché si scardina tutto l’ordine sociale, politico si scardina tutto sul fatto che si prenda
per valido tutta un insieme di conoscenze e su queste si costruisce un ordine sociale. Quindi questa
cosa che lui dice ha una validità astronomica e matematica, però il tempo non era corretto. “Questa
cosa pubblicamente non te la lasciamo dire” perché il potere stabilisce quello che si può dire o non
si può dire, nel medioevo come nel 600. E quindi Galileo non lo dice, però è di nuovo quell’idea del
moderno e della soglia della modernità nel 1600 questa intuizione di Galilei è un altro passo avanti
ed esprime la mentalità moderna. Cioè non dare per scontato che quello che si è sempre pensato
non possa essere messo in discussione, se in realtà i dati ci dicono che i conti non tornano. Perché
poi naturalmente noi sappiamo che la fisica newtoniana e l’astrofisica e poi Einstein hanno
confutato l’ipotesi di Tolomeo. Questo perché la conoscenza scientifica procede in questo modo.

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Nel concilio di Trento si tiene conto di tutti questi accadimenti per aggiornare una visione cattolica
del mondo che sia corrispondente, che tenga conto del fatto che conosciamo il pianeta terra. È un
aggiornamento. Il processo di modernizzazione coinvolge tutto. E questa fase gestazionale è
importantissima. È in giallo perché le prime due fasi sono preparatorie, non c’è ancora un ordine
moderno. Sono tutta una serie di vettori che portano a quello che poi farà l’inizio della costruzione
più concreta e moderna della fase successiva. Che comincia con la rivoluzione industriale,
conseguenza delle scoperte scientifiche e tecnologiche e dall’altro lato è una conseguenza di diversi
fattori. Il capitalismo occidentale moderno deriva da tutta una serie di concause, tra cui – secondo
me - la più importante dal l’unto di vista culturale è la riforma protestante, ma perché senza il
capitalismo non si faceva, non sarebbe sorta la società industriale. Però come mai è accaduto?
Perché gente risorse economiche e finanziare sono state investite nel comparto economico delle
imprese economiche, per razionalizzare l’impresa nella sua opera di massimizzazione di profitti e
questo a un certo punto porta a usare la scienza e la tecnica per massimizzare i profitti, per rendere
sempre più efficienti, sempre più. Quindi sono tutto un insieme di fenomeni che naturalmente
possiamo spiegare e illustrare soltanto in modo evocativo, poi ciascuno sulla base dei propri
interessi può approfondire.

Approfondimento delle dispense sulla parte di Inglehart:


Le ricerche svolte dal sociologo statunitense Ronald Inglehart a partire dalla seconda metà degli anni
Settanta si rivelano di notevole utilità per descrivere in modo sintetico la fase avanzata della
modernizzazione, e in particolare i due processi che abbiamo detto caratterizzarla.
All’inizio del 1977 Inglehart pubblicò un volume dal titolo emblematico The Silent Revolution [La
rivoluzione silenziosa] destinato a diventare uno dei classici della sociologia contemporanea. In
questo libro egli descrive e interpreta i risultati di una vasta ricerca empirica comparata, nella quale
si opera un confronto tra la società americana e le società di alcuni altri importanti paesi occidentali;
l’oggetto dello studio consiste nella trasformazione dei valori in corso, per l’appunto in occidente, a
partire dagli anni Cinquanta. Nei piani di Inglehart questo lavoro costituisce soltanto la prima tappa
di uno studio molto più ampio, il quale dovrà articolarsi negli anni successivi, replicando ogni dieci
anni la medesima ricerca empirica su quegli stessi paesi – e, insieme ad essi, su molti altri – allo
scopo di osservare e descrivere il processo di trasformazione dei valori in corso d’opera (appunto
monitorandolo ogni dieci anni) ed estendendo la comparazione a un numero sempre crescente di
contesti nazionali. La ricerca continua ancora oggi e comprende ormai decine di paesi sparsi in tutti
i continenti. In questa sede possiamo soltanto descrivere, in estrema sintesi, quelle che Inglehart
presenta come le risultanze più evidenti dei suoi studi. Si tratta per l’appunto di un profondo
processo di trasformazione di valori che prende rapidamente forma nelle società occidentali
articolandosi in due fasi. La prima fase si svolge nell’immediato secondo dopoguerra per svilupparsi
negli Stati Uniti lungo tutti anni Cinquanta, mentre in Europa continua fin verso la fine degli anni
Sessanta. Questa prima trasformazione del quadro valoriale, spiega Inglehart, consiste nel passaggio
dai valori tradizionali ai “valori materialisti”.
L'espressione “valori materialisti”, tuttavia, non deve essere fraintesa: infatti, essa non è qui
sinonimo di materialismo nel senso dell’affermarsi di una visione del mondo o di una concezione
dell’esistenza chiusa alla dimensione della trascendenza e al senso religioso; si intende invece
l’avvento di una mentalità positivamente aperta a riconoscere come un valore – cioè qualcosa di
buono, giusto e desiderabile – il benessere materiale introdotto nella vita quotidiana dalla
tecnologia e dai beni di consumo prodotti dalla società industriale capitalistica. A partire dagli anni
Cinquanta, infatti, anche la vita quotidiana delle persone comuni che popolano le società occidentali
è andata incontro a un rapido processo di trasformazione, dovuto essenzialmente a tre fattori: in
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primo luogo, l’introduzione massiccia di tecnologia (dagli elettrodomestici, grandi e piccoli,
all’automobile che fino a tutti gli anni Quaranta era ancora un bene di nicchia, relativamente poco
diffuso); in secondo luogo, l’introduzione massiva di una enorme e sempre crescente quantità e
varietà di beni di consumo (fanno la loro comparsa prima i supermercati e poi gli ipermercati); in
terzo luogo, la costruzione di una sfera pubblica comunicativa massmediatica nella quale il posto la
televisione è destinata fin da subito ad occupare una posizione dominante.
Il secondo momento della rivoluzione silenziosa costituisce anche un aspetto saliente della seconda
fase della modernità avanzata e consiste in una seconda metamorfosi del quadro valoriale: abbiamo
adesso che i valori materialisti lasciano progressivamente il posto a quelli che Inglehart chiama
“valori post-materialisti”. Questi ultimi, in estrema sintesi, sostituiscono il primato del benessere
materiale con quello del benessere psicofisico: si potrebbe dire che il desiderio di felicità, anziché
essere prevalentemente inteso in termini di sicurezza economica e materiale – come affermato dai
valori materialisti – tende adesso ad essere declinato come perseguimento dell’autorealizzazione
personale, come ricerca del proprio io autentico e affermazione della propria soggettività originaria.
L’inizio di questa seconda fase della rivoluzione silenziosa e della modernità avanzata si può
collocare negli Stati Uniti negli anni Sessanta, mentre in Europa – sull’onda degli Usa – il suo inizio
si colloca alla fine dello stesso decennio avendo come data simbolica il 1968. In questa fase si realizza
in effetti anche l'avvento del materialismo, come stato esistenziale diffuso. Si tratta di un processo
culturale complesso, che è stato oggetto anche della profonda riflessione di Christopher Lasch, uno
dei massimi intellettuali statunitensi del secondo dopoguerra. A differenza di Inglehart, che svolge
una indagine empirica, Lasch è invece un teorico, o meglio un teorico sociale, e uno storico. Nella
sua analisi egli mette in evidenza come la società americana, a partire grosso modo dagli anni
Settanta, sia percorsa essenzialmente da tre diversi processi, i quali concorrono allo sgretolamento
delle basi morali e civili del popolo americano e della democrazia statunitense. Questi processi
consistono rispettivamente: 1) nella “ribellione”, da parte delle élite statunitensi, ai principi
fondamentali della cultura politica democratica americana; 2) nel processo di costante logoramento
della famiglia, come cellula originaria della struttura morale che tradizionalmente caratterizza la
società civile americana; 3) nella graduale trasformazione del cittadino americano medio in un tipo
umano alienato sul piano sociale, nonché dotato di una personalità configurata in senso narcisistico
sul piano psicologico. Seguendo la medesima catena causale – sociale/psicologico/sociale – rilevata
sia da Durkheim sia da Max Weber per spiegare, rispettivamente, il microfenomeno dell'aumento
del tasso di suicidi nelle società industriali (Durkheim) e il macro-fenomeno della nascita del
capitalismo occidentale moderno (Weber), Lasch spiega sociologicamente la patologia psicologica
narcisistica che va diffondendosi tra gli americani a partire dagli anni Settanta, facendola risalire allo
sfaldamento dei pilastri morali sui quali si fonda la socialità americana al livello della società civile e
di quella politica.
Anche i processi educativi subiscono una variazione: vi è la cosiddetta “svolta comunicativa”, un
nuovo modo orizzontale e dialogico di intendere la scuola. Nella relazione allievo-docente bisogna
tener conto delle reciproche aspirazioni, la scuola deve essere infatti un luogo per scoprire le proprie
capacità e potenzialità. Vi è un maggior coinvolgimento della famiglia. I bambini non ricevono
soltanto, ma comunicano anche e gli insegnanti devono essere attenti anche alle comunicazioni dei
bambini. Anche i genitori e gli altri adulti iniziano a rivolgersi in questo modo nei confronti dei
bambini.
In questa fase si realizza in effetti anche l'avvento del materialismo, come stato esistenziale diffuso.
Si tratta di un processo culturale complesso, che è stato oggetto anche della profonda riflessione di
Christopher Lasch, uno dei massimi intellettuali statunitensi del secondo dopoguerra. A differenza
di Inglehart, che svolge una indagine empirica, Lasch è invece un teorico, o meglio un teorico sociale,
e uno storico. Nella sua analisi egli mette in evidenza come la società americana, a partire grosso
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modo dagli anni Settanta, sia percorsa essenzialmente da tre diversi processi, i quali concorrono allo
sgretolamento delle basi morali e civili del popolo americano e della democrazia statunitense.
Questi processi consistono rispettivamente: 1) nella “ribellione”, da parte delle elites statunitensi,
ai principi fondamentali della cultura politica democratica americana; 2) nel processo di costante
logoramento della famiglia, come cellula originaria della struttura morale che tradizionalmente
caratterizza la società civile americana; 3) nella graduale trasformazione del cittadino americano
medio in un tipo umano alienato sul piano sociale, nonché dotato di una personalità configurata in
senso narcisistico sul piano psicologico. Seguendo la medesima catena causale –
sociale/psicologico/sociale – rilevata sia da Durkheim sia da Max Weber per spiegare,
rispettivamente, il microfenomeno dell'aumento del tasso di suicidi nelle società industriali
(Durkheim) e il macro-fenomeno della nascita del capitalismo occidentale moderno (Weber), Lasch
spiega sociologicamente la patologia psicologica narcisistica che va diffondendosi tra gli americani
a partire dagli anni Settanta, facendola risalire allo sfaldamento dei pilastri morali sui quali si fonda
la socialità americana al livello della società civile e di quella politica.

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