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Antropologia Culturale

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Antropologia Culturale

Antropologia Culturale, Introduzione (Università Ca' Foscari Venezia)

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ANTROPOLOGIA CULTURALE INTRODUZIONE


Appunti delle lezioni sett/ott 2022
Silvia Parrella
mail del prof: ligi@unive.it

1 LEZIONE:

Kenneth Pike (1912-2000) linguista e antropologo, lavora negli Stati Uniti negli anni 50/60 del
‘900.
Grazie agli studi linguistici è stato in grado di introdurre un concetto fondamentale all’interno del
sapere antropologico, tramite una considerazione di tipo linguistico.
Egli infatti riflette sul concetto antropologico del rapporto tra fonemico e fonetico.
Fonemico è l’ambito dei suoni specifici di una data lingua.
Fonetico è l’ambito di analisi della possibilità di tutti i suoni che un essere umano può produrre
tramite l’apparato di fonazione. Rappresenta qualcosa di comune a tutti gli esseri umani.

Pike riformula questi due aggettivi togliendo il “fon”, formulando il concetto di “emico” e “etico”. In
antropologia infatti, le affermazioni possono dirsi “emiche” o “etiche”.

Esempio:
Natuzza Evolo è stata una mistica e veggente italiana, di religione cristiana. Fa esperienza di
fenomeni mistici in ambito cristiano, in particolare l’ematidrosi o essudazione ematica, ovvero la
traspirazione di sudore misto a sangue.

-Se affermiamo che “Natuzza Evolo all’osservazione ha una ferita sul palmo della mano con
parziale compromissione…” stiamo formulando un’affermazione di tipo etico, vale a dire
un’affermazione scientifica, generale, oggettiva.
-Se affermiamo che Natuzza Evolo “ha le stigmate” stiamo formulando una frase di tipo emico,
perché all’interno del termine “stigmate” è compreso il significato cristiano che indica la
riproduzione delle piaghe di Cristo. L’affermazione emica è dunque interna al sistema di credenze
culturali; comprendere il senso emico significa cogliere il punto di vista di chi o cosa si sta
parlando, all’interno del particolare orizzonte culturale.

Bisogna ricordare che è sbagliato nell’antropologia precipitarsi a decidere vero o falso, come nel
caso della veridicità delle stigmate, o in fenomeni come lo scioglimento del sangue di San
Gennaro. Le “domande” dell’antropologia non sono domande pregiudiziali, il vero o falso sono
risposte che vengono dopo altre considerazioni che per l’antropologia sono più importanti.
Da questa fondamentale considerazione si arriva alla nozione del rapporto tra la cosa in sé e la
percezione della cosa. La percezione della cosa, dunque il punto di vista emico, rappresenta per
l’antropologia l’oggetto di studio.
Comprendere le modalità attraverso le quali le persone utilizzano i dati oggettivi per interpretare la
realtà è ciò da cui si possono trarre informazioni per lo studio dell’antropos.

(Un esempio che ritornerà in seguito riguarda i bambini soldato. Alcuni bambini si bagnavano
perché pensavano di non venire sparati in questo modo, loro credevano in questa cosa anche
difronte all’evidenza della morte. Credere, tema importantissimo che viene trattato nelle lezioni
successive, prevede una complessa percezione di se stessi. Realtà/percezione)

Gli antropologi hanno il compito di capire se le affermazioni di chi e cosa studiano siano emiche o
etiche, ovvero stabilire il posizionamento epistemologico dell’enunciato.

Epistemologico: studio critico della natura e dei limiti della conoscenza scientifica, con particolare
riferimento alle strutture logiche e alla metodologia delle scienze.

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Perché parliamo di concetti ghianda? La ghianda è il frutto secco della quercia contenente
abbastanza codice genetico per produrre un’intera quercia. La quercia è:
1)molto solida
2) molto ramificata
3) longeva
Tutte le materie scientifiche prevedono al loro interno dei concetti base che sono più importanti di
tutti gli altri, questi concetti base sono chiamati concetti ghianda. Sono pochi concetti, sono molto
solidi e hanno impiegato anni, secoli, per essere formulati (es. concetto di moto, tempo, assoluto/
relativo). Sono concetti talmente importanti da aver generato tanti altri concetti derivanti, ovvero
delle ramificazioni.

Antropologia: Antropos: uomo, Logos: discorso: studio dell’uomo.


Studio del genere umano dal punto di vista CULTURALE come elemento fondamentale dell'uomo,
come elemento costitutivo di base.

Edward Burnett Tylor (si legge Tailor), Londra, 1832-1917.


Formula il primo, cronologicamente e per importanza, concetto ghianda antropologico di
CULTURA.

2 LEZIONE:

Tylor nasce da una famiglia quacchera, la fede in un signore forte e potente, che disciplina i suoi
discepoli e basata soprattutto sull’Antico testamento, alla quale Tylor non aderì mai.
Tylor diventa il primo full professor di antropologia al mondo ad Oxford: sistematizzazione
accademica della materia.

Il libro Primitive culture, 1871 rappresenta il primo tentativo di teorizzazione complessiva


dell’Antropologia, libro in cui è formulato il primo concetto antropologico di cultura.

Tylor è evoluzionista, infatti nel titolo compare la parola “primitivo”, parola che nell’antropologia
contemporanea non è più utilizzata. La parola “primitivo” nel paradigma evoluzionista stava ad
indicare qualcosa di “venuto prima” nella scala evolutiva, anche se non in senso razzista.
L’evoluzionismo prevedeva che alcune popolazioni si trovassero su dei gradini più indietro
socialmente, economicamente ecc., rispetto ad altre.
Pur trovandosi Tylor all’interno del paradigma evoluzionista, che è stato attualmente superato, ci
sono degli elementi di grande intuizione. Il concetto di Tylor di cultura è fondamentale per
l’antropologia, infatti è da ricordare che la quercia è longeva ma non eterna, cambia gradualmente
la formulazione ma il cuore del concetto rimane ancora oggi.

Il significato precedente di cultura, detto anche classico si riferisce all’”essere colti”. Il “colto” è la
persona che ha studiato (latino, greco). In questa definizione c’è una metafora agricola, la persona
colta è COLTIVATA, ovvero si coltiva per raffinarsi. La cultura presupponeva in questa definizione,
la scrittura, infatti gli analfabeti erano senza cultura, erano meno raffinati e addirittura rozzi.

Cicerone: <<La filosofia è la cultura dell’animo>>

Caratteristiche del concetto classico:


1)sforzo individuale,
2)volontà,
3)metafora agricola

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4)separazione tra colti/incolti, nobiltà/povertà: elitaria, elitarista, classista, aristocrazia intellettuale,


pensiero esclusivo

Tylor, Primitive Culture: <<La cultura o civiltà nel più ampio senso etnografico, è quell’insieme
complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, e
qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società >>

Elementi principali:
1) “La cultura o civiltà nel più ampio senso etnografico”: In qualunque società, in qualunque
angolo del mondo e momento del tempo c’è cultura. Ogni essere umano è dotato di cultura,
qualunque società esistente e che sia mai esistita ha cultura:
Estensione del significato di cultura, eliminazione della prerogativa elitaria del concetto classico. Si
sgancia la cultura dalla scrittura, non c’è asimmetria tra il colto e l’incolto perché la cultura è un
elemento intrinseco dell’uomo.

(Sappiamo oggi dell’esistenza di società ad oralità primaria, ad oralità diffusa, che non scrivono
tutto o non si affidano completamente alla scrittura ma solo in parte. Anche queste sono dotate di
cultura.)

2) “quell’insieme complesso”: Tylor amplia gli elementi della cultura e si rende conto che questi
elementi sono un insieme complesso: oggi è chiamata logica sistemica.
Es. Il cristianesimo è un sistema di credenze che comprende il concetto di spirito santo, di trinità
ecc., questi sono elementi collegati tramite una logica di covariazione, vale a dire che se viene
modificato un elemento solo, il sistema si riconfigurerà completamente, cambierà tutto.
Questo concetto rientra nella logica sistemica.

3) “costume”: Abitudini quotidiane, gesti quotidiani socializzati, non tipici di un unico individuo ma
condivisi dalla comunità. Es. come si cammina, mangia, ci si muove.
Questo concetto di costume è un elemento quanto più lontano dal concetto classico di cultura,
acquisire cultura significava infatti elevarsi dai propri costumi, raffinarsi. Es. il Bon-ton

4) ”in quanto membro di una società”: Si contrappone al concetto di cultura classica come
sforzo singolo, individuale. “Acquisizione che nasceva da sforzi consapevoli di un individuo che
sulla base delle proprie risorse acquisisce cultura”. Un individuo è invece per Tylor esposto a un
processo di acquisizione culturale potente: capacità di embodiement.

Tylor intuisce l’esistenza di dispositivi di socializzazione (concetto moderno):


Processi sociali che influenzano le persone e i lori comportamenti in gruppo, in famiglia, in società.
Possono essere formalizzati, come per la scuola, o non formalizzati. La conseguenza di questo
ragionamento è che la cultura non c’entra con la genetica, non è ereditaria, dunque pone una
grande distanza dal razzismo.

3 LEZIONE:
Dal primo concetto ghianda dell’antropologia (concetto di cultura), si generano quattro problemi
antropologici generali, ovvero quattro grandi aree problematiche che hanno condotto a studi ed
analisi per giungere non ad una sola semplice risposta ma a tante risposte diverse, anche
attualmente dibattute.

Primo problema) DIFFERENZA: Una delle grandi questioni dell’antropologia e della società in
generale riguarda la differenza.
La differenza tra culture viene fuori dalla stessa definizione di Tylor: “nel più ampio senso
etnografico”-> Le culture sono tutte uguali?

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Nell’ultimo quarto dell’800, durante l’impero della regina Vittoria, iniziò a sorgere interesse verso
tutte le diverse culture che vi appartenevano.
Perché le culture sono tutte diverse e non ce n’è una unica? Esiste una strada concreta per
comprendere la differenza delle manifestazioni così cangianti in termini della cultura? Le culture
sono in numero finito o infinito? Il numero delle possibilità di variabilità culturale, sistemi economici,
familiari, la lingua, sono finite o infinite?

(Es. Concetto di famiglia occidentale e concetti di famiglia altrove come il “sororato”, un uomo
sposa una donna e tutte le sue sorelle, il matriliniaggio ecc.)

Questa questione è posta da Franzis Affergan, un antropologo contemporaneo francese.


La domanda è: si deve parlare di alterità culturale o di differenza culturale?
Una cultura è ALTRA rispetto alla cultura di un’altro luogo?

-Strada dell’alterità: Le culture sono altre, irrelate. Le culture fioriscono in modo irrelato, sono
monadi isolate e assolutamente incomprensibili e incomunicabili.
-Strada della differenza: Ci poniamo all’interno di una prospettiva che presuppone una logica
generale comune, quindi non sono completamente irrelate. Nella differenza troviamo degli
elementi comuni, sono dunque dotate di comprensibilità reciproca.

Le culture non possono essere infinite e completamente irrelate perché l’elemento base è che
siamo comunque tutti esseri umani.
“omo sum umani nil a me alienum puto”: “sono un uomo, niente di ciò ch’è umano ritengo estraneo
a me”, Terenzio.
Oggi si conviene sul concetto che le culture siano inter-comprensibili e comunicabili, ma bisogna
trovare i modi concreti specifici perché ciò avvenga.

Altra questione: pensare la differenza, come noi la rappresentiamo. In ogni società è presente un
dispositivo simbolico di interpretazione della differenza, perché ogni società si pone il problema
della differenza culturale, non solo l’occidente in quanto colonizzatore.
-3 M: mercanti, missionari, militanti

Dispositivo simbolico: gli antropologi utilizzano la parola SELF


1)Un sè, noi: senso del noi. Ogni civiltà ha sviluppato un senso del NOI, le società si organizzano e
sono fondate attorno ad esso.
2) Altri, altri da noi: Identità del singolo/identità sociale
3) Umanità come genere. Ogni società umana ha in se un dispositivo di comprensione della
diversità, una qualche idea di “umanità”.

Es. umanità/disumanità. “Se questo è un uomo” di Primo Levi, l’esperienza smonta il senso di
umanità; nazisti: umanità zavorra, disumanità.

“Ciò che è altro da me rispetto a me e alla mia possibilità di accettazione”:

Es. 1 (Libro Taipi di Herman Melville) Popolazioni restano impietrite dalla bianchezza degli europei,
si chiedevano se fossero umani.
Es. 2: Una popolazione dell’Oceano Pacifico abituata a vivere con il mare un giorno vede il mare
“ammalarsi”. Le vele straniere che approdavano per la prima volta su queste isole erano qualcosa
di percepito come sovrannaturale, non lo consideravano possibile negli orizzonti della loro cultura.

In ogni società dell’uomo e all’interno di ogni cultura gli antropologi hanno riscontrato la presenza
delle stesse domande: cosa siamo noi? esiste un concetto di umanità? chi sono gli altri da noi?
cosa c’è dopo la morte?: queste domande rappresentano ciò che viene chiamata antropologia
implicita.

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L’antropologia implicita è la riflessione interna di tipo antropologico, tipica di ogni società mai
esistita, che non è espressa con manuali ma con miti, leggende, danze, arte, tutte espressioni
degli interrogativi sull’antropos; ogni società è dotata di una sua antropologia implicita.

Es. Il canto attraverso cui iniziano i riti di una popolazione di orticoltori recita: “che cos’è un essere
umano?” Questo interrogativo fondamentale, viene espresso da una popolazione poco “evoluta”,
che però come tutti avverte la necessità di questa domanda.

Secondo problema) SISTEMA: dalle considerazione di Tylor gli antropologi hanno sintetizzato: 1)la
lingua, 2)la parentela, 3)l’economia, 4)riti, 5)politica, 6)religione
A seguito di questa divisione ne conviene che per studiare e analizzare un unico tratto bisogna
studiare ogni grande macro-tratto della società, più o meno approfonditamente. Questo approccio
viene definito approccio olistico. -> Logica sistemica/logica di covariazione

Es. La popolazione Mantawai, popolazione del sud est asiatico, venne coinvolta da un progetto di
cooperazione allo sviluppo sulla riorganizzazione del sistema agricolo per migliorare la capacità di
produrre cibo, in particolare fu condotto sulla cultura del riso. Culture come quella dei Malesi
l’hanno accettato e lo hanno introdotto, i Mantawai invece si sono opposti in modo rigido. La
spiegazione di questo avvenimento è che i Mantawai coltivano il taro, alimento che necessita di
molto meno lavoro rispetto alla coltivazione del riso. All’origine di questa opposizione gli
antropologi hanno potuto scoprire che i Mantawai hanno un sistema di credenze molto articolato
che si basa su elementi tra cui l’astensione dal lavoro per un lungo periodo di tempo. Nonostante
fosse conveniente per quanto riguarda l’alimentazione, vi si sono opposti perché la coltivazione del
riso prevede numerose attenzioni. Questo cambiamento, quindi una forzata introduzione della
coltivazione del riso, avrebbe portato ad un cambiamento di tipo economico ma avrebbe impattato
soprattutto sul sistema religioso.

Es. Società Nuer, idea di tempo: Nella lingua Nuer utilizzare l’aritmetica per parlare del tempo non
è possibile. Una persona della società Nuer che deve collocare un evento nel tempo risponde
riferendosi al tempo ecologico, per esempio con le stagioni ecc.
Un altro modo di collocare il tempo è tramite il tempo strutturale, ovvero la possibilità di
posizionare gli eventi è legata alla struttura sociale, si fa riferimento ad eventi per posizionarne altri
nel tempo: “Quando ti sei laureato? Quando si è sposata mia sorella.”

Misura qualitativa del tempo: è pasqua/ quantitativa: è la 20esima domenica del mese.

Le iniziazioni rituali alle classi di età sono un elemento fondamentale della religione Nuer e
vengono utilizzate per misurare il tempo: “quando ti sei laureato? Quando c’è stato il rito di
iniziazione legato al picchio, al pappagallo ecc…” La conversione religiosa forzata in questa
società ha portato a fenomeni di ansia, alcolismo, suicidio, perché ha impattato su tutte le altre
sfere appartenenti al sistema. Ciò ci spiega come non si possa prendere in considerazione solo la
religione, ma anche il fenomeno linguistico, che permette di raccontare la propria vita, la propria
esperienza.

Questi tratti sono legati tra loro tramite una logica sistemica, sono tra loro integrati, ingranati.
Se cambia il sistema di credenze, sotto l’effetto di una colonizzazione o una conversione forzata, si
attivano cambiamenti a catena in tutti gli altri tratti.
Il concetto di sistemicità è già inteso in “in un insieme complesso” di Tylor.

Terzo problema) MUTAMENTO: Ogni tratto culturale di ogni cultura cambia nel tempo
inesorabilmente, quindi la cultura in se stessa cambia. Le culture non sono prodotti, ma sono
processi, in costante divenire, dinamiche. Bisogna quindi affiancare all’approccio olistico
l’approccio dinamista: tutto cambia (Eraclito)

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George Bandier, antropologo contemporaneo, parla di due tipi di dinamiche, due motori che fanno
cambiare le cose:
1)du dedans: dinamica interna
2)du dehors: dinamica esterna, che impatta su una cultura e la cambia. Ad esempio i contatti
violenti e non violenti, le colonizzazioni. La dinamica esterna è quella più impattante ma le due
dinamiche sono collegate.

Quando due culture vengono a contatto non si stabilisce mai un rapporto di simmetria, ma sempre
un rapporto di potere. I rapporti di mutamento si possono subire o imporre.
Questo mutamento ha una conseguenza importante sul metodo di studio, che non può essere solo
sincronico, vale a dire studiare il presente di una popolazione, deve essere diacronico, studiare il
presente in relazione al passato: Approccio diacronico o STORICO (importanza della memoria)

4 LEZIONE:

Il primo problema che sorge quando si applica il metodo diacronico o storico è relativo alle fonti.

Es. Francesco Remotti studia la cultura Banande del gruppo Bantu, in Congo, un popolo di
orticoltori, sconvolti dalla guerra. La struttura politica dei Banande è una sorta di regno, una
caratteristica interessante è che quando il re moriva veniva spostata la capitale. Il re veniva
seppellito in una tomba arborea, in dei rami di un albero con radici aeree; nel corso di un anno
queste radici avevano imbozzolato il corpo, (amaero: tomba arborea). I cittadini sanno dove sono
localizzati gli amaero, quindi ne deduciamo che attraverso segni, impronte nel paesaggio, scrivono
il calendario della regalità sacra nel loro regno. La memoria è fisicamente resa presente nel
paesaggio, tutto ciò rappresenta una fonte per l’antropologo.

I mutamenti di una società derivano da dinamiche esterne/interne, quelle esterne sono quelle più
forti. Contatti, incontri e scontri tra culture differenti, come la colonizzazione, la cristianizzazione, le
migrazioni.

Es. Il termine “eschimese”, parte dal termine cri, in canada i cri sono nativi nord americani, il
significato del termine era “mangiatore di carne cruda", loro invece cuocevano, dunque vedevano
chi non lo faceva con disprezzo.

Questo ci riporta a due concetti: l’Etnocentrismo e le società comunicanti.


Etnocentrismo: la mia cultura è superiore
Società comunicanti: Le società hanno sempre avuto un qualche tipo di comunicazione, tramite
scambi di parole, merci, divinità, musica…, le culture sono sempre comunicanti.
Possono esistere percezioni emiche di culture chiuse, infatti alcune culture vogliono erigere delle
barriere ma in nessun caso il mutamento attraverso la comunicazione può essere arrestato.

Il fenomeno del mutamento porta ad una considerazione molto importante:


Come utilizzare in antropologia il termine autentico?
Considerando l’autenticità come oggettiva, come “originale” o prendendo in considerazione la
percezione degli attori di quella società?
Dal punto di vista oggettivo è difficilissima questa analisi, è quasi impossibile stabilire l’autenticità
oggettiva di un oggetto o un fenomeno.

Es. Story board, tavole di racconto


Es. La popolazione Sami, pastori nomadi di renne, ha una forma tradizionale di canto che aiutava
nella trance sciamanica Yoike. La comunicazione non prevede la parola, il messaggio era
tramesso tramite melodie centriche, con una nota centrale che si alza o abbassa di un semitono. Il
Calevala finnico è molto simile, così come i canti funebri georgiani.

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Quindi quale viene prima? È una domanda senza senso. Questi canti sono frutto di patchwork,
quindi è impossibile (e inutile) stabilirlo.

Lo studio dei fenomeni o degli oggetti non vuole arrivare a trovare “l’originale” ma vuole portare
alla comprensione del perché esiste quel fenomeno o quell’oggetto, quindi la percezione della
popolazione e come si riversa questa percezione sulla vita della popolazione: cogliere il punto di
vista emico.

Quarto problema) PUNTO DI VISTA: Problema teorico, metodologico e filosofico. Come si


studiano i costumi? Da quale punto di vista mettersi?

Problema epistemologico: Come faccio a sapere ciò che so? Questo problema è qualcosa che ha
a che fare con le basi della mia conoscenza, non si può non avere un punto di vista.

-Osservatore: noi

(“Osservatore”: Non per sottolineare la vista: la nostra società è oculocentrica: Es. “dare alla luce,
illuminami, luce dei miei occhi”, ad esempio i Sami sono uditivi, per gli sciamani del Perù ad
esempio non si ha “una visione”, lo spirito arriva attraverso una melodia, una sinestesia sensoriale,
estasi uditiva, altre culture sono olfattive e così via. La vista è distanziante, percezione della
distanza e differenza, l’udito è immergente, immersivo)

-Osservati: diversità culturale

Ad un certo punto gli antropologi si sono resi conto che le loro impressioni sugli osservati erano
impregnate di categorie conoscitive, precognizioni, teorie, lingua, pregiudizi, emozioni,
caratteristiche dell’osservatore, elementi che compongono l’osservatore, ecc.
Questi elementi sono un packing, un pacchetto costitutivo dell’osservatore, non si possono
eliminare. Questo packing funziona come “un paio di occhiali posto dietro gli occhi”, non posso
disindividuarmi: Soggettività storico culturale dell’osservatore.
Inoltre questi elementi mutano nel tempo ma ci sono sempre.

Fino a che punto questo influenza il mio studio? Franz Boas ne parlerà, ma il problema emerge già
dalle critiche a Tylor.

Riconosciamo due grandi modi di affrontare il problema dell’influenza della soggettività quando
vado a compiere il mio studio:
1) azzeramento: molti studiosi in particolare in Gran Bretagna dal 1900 al 1950 erano convinti
che la soggettività potesse essere azzerata o ridotta al minimo possibile, si aveva una
grandissima fiducia nella possibilità di compiere uno studio scientifico con neutralità,
oggettività, attraverso allenamenti e sistemi, svolti prima dello studio sul campo, durante i
dottorati. Si pensava all’antropologia come una scienza naturale delle società (scienze dure:
chimica, fisica)
2) rinuncia : posizione secondo cui l’azzeramento è impossibile, ma anzi la soggettività influenza
in modo PROFONDO, rappresenta un ostacolo insormontabile: rinuncia all’antropologia, noi
possiamo conoscere solo noi stessi. Non esiste ambizione di un minimo di generalità
nell’antropologia, l’antropologia è letteratura (Herman Melville). Non ha nessun crisma di
scientificità, ha solo esito aneddotico, narrativo.

Si manifesta poi una terza posizione epistemologica, posizione su cui si basano tutti i paradigmi
antropologici di oggi:

Fine anni 60, inizio anni 70, teoria di Cifford Geertz (si legge gherz o ghirz)

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Gli osservati non ci osservano?


Come gli altri vedono/ giudicano/ osservano te?

Le persone, le popolazioni non sono oggetti di studio, ma soggetti di studio, si studiano altri esseri
umani a partire da relazioni con loro, dialoghi ecc.
Gli antropologi sono scienziati del vivente che possono entrare in relazione dialogica, espressiva,
linguistica, con chi viene osservato, entrano in gioco due soggettività, quella dell’osservato e quella
dell’osservatore (J.Stocking: “observers observed”)

Non è garantito che gli altri vogliano farsi studiare. (Es. Chiapas, cartelli con scritto “no antropos”)

Non sei solo tu che fai domande sulle altre culture, ma soprattutto gli attori sociali studiati
chiedono, hanno una percezione particolare dell’antropologo in base a chi è e come si comporta.
Gli antropologi devono essere posizionati nel loro orizzonte, farsi conoscere dal punto di vista, ad
esempio, di genere, e tutto ciò che riguarda la nostra vita.
L’antropologia non è soggettiva ma è inter-soggettiva.
INTERSOGGETTIVISMO : problema epistemologico che ha a che vedere con gli influssi del
dialogo tra due soggetti diversi nello studio antropologico che si sta conducendo,
Tematizzare (elevare a importanza o dignità di motivo determinante o conduttore): studiare
l’influsso tra le relazioni tra l’osservato e l’osservatore.
Alla fine dello studio c’è la ricaduta: restituire lo studio alle persone studiate.
(Oggi si utilizza anche per lo studio di animali domestici)

5 LEZIONE

Ciclo di sviluppo della conoscenza antropologica: processo di costruzione della conoscenza


antropologica.

4 fasi cronologicamente susseguenti:


1 fase: FORMAZIONE:
Fase di studio nella quale si crea una cassetta degli attrezzi, insieme di strumenti di carattere
concettuale come teorie, concetti, enunciati. Questa fase produce un ordine del pensiero, si
cominciano ad ordinare una serie di dati: politici, storici, filosofici.
La fase di preparazione termina quando si arriva ad un punto di controllo bibliografico: controllo
sulla bibliografia di un argomento, in mano si ha la quantità necessaria per condurre uno studio, si
padroneggiano più o meno i più importanti studi precedenti relativi a quell’argomento.

2 fase: antropologo parte per il CAMPO:


Field work, parola che viene fuori negli anni 20 con Malinowski. L’antropologia si basa su questa
idea: per poter studiare un fenomeno di carattere sociale, nel proprio paese ma soprattutto in altri
paesi, serve farne esperienza concreta. L’antropologia prescrive costruttivamente, nella sua natura
profonda, che per poter studiare un qualunque fenomeno si deve fare esperienza di esso, c’è un
profondo nesso tra esperienza e teoria.
Il campo può essere, e spesso è, lontano geograficamente, si passa la linea di cambiamento di
data, jet lag. Si studia sempre un luogo dove c’è una distanza culturale, anche se non
propriamente geografica. L’antropologia si mette in moto quando c’è un attrito, una curiosità.

Malinowski è il primo antropologo ad andare sul campo, il primo a percorrere una distanza
geografica per studiare, sulle isole Trobriand.

Non è però auto evidente che debba esserci necessariamente esperienza, ci sono invece delle
ragioni ben precise. Fare esperienza diretta porta ad avere un titolo maggiore di autorità. L’autorità
di un antropologo è “essere stati là” secondo Malinowsiki, ma la vera ragione si basa sul concetto
di osservazione partecipante, nucleo del metodo.

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Basato sul concetto di osservazione e partecipazione: partecipare alle attività e al contesto


osservandolo attentamente. Altra espressione è tenda e lingua: vivere con loro e imparare la
lingua.
L’incontro etnografico deve avvenire ma deve anche essere favorito da gatekeepers, persone a
metà tra le culture che introducono lo studioso dentro l’ambiente culturale che vuole studiare.

(Etnografia: ricerca sul campo: metodo complessivo che si adopera. “Faccio campo, parto per
l’etnografia”)

DIARIO DI CAMPO:
La scrittura di tipo A è un tipo di scrittura che si adopera sul campo con la quale si scrive il diario di
campo: note di campo, parole scritte velocemente che cercano di riprodurre le parole dette,
scrittura per asindeto, veloce, brain-storming, icastica (rappresentare tramite immagini).

Dall’etnografia deriva uno shock culturale per l’antropologo che può essere forte, medio o lieve;
anche avendo studiato a fondo un dato fenomeno si vive uno shock culturale quando ci si immerge
davvero.
Lo shock produce un riposizionamento, displacement: un cambiamento dei presupposti, idee,
decisioni e a volte anche argomento di studio.
Il riposizionamento può essere su 3 livelli:
1)fisico: clima, cibo
2)teorico: le cose che avevi studiato sui libri possono risultare diverse ed essere confutate,
3)etico

Effetto dello shock: si sballa l’ordine del pensiero, l’ordine del pensiero precedente visto nella
prima fase della coerenza bibliografica. Non si può evitare l’esperienza di disorganizzazione
dell’ordine culturale, è inevitabile per produrre conoscenza antropologica passare per il
riposizionamento per poi ricostruire.

Secondo Malinowski bisogna stare sul campo un periodo di tempo sufficiente, non eccessivo, per
evitare l’incorporazione: incorporare tutte le modalità di vita eliminando il distacco che permette
l’osservazione partecipante.

3 fase: ACCADEMIA:
Si torna a casa e si scrive la monografia etnografica: primo prodotto fisico della ricerca. La
monografia etnografica è un genere, una tipologia di libro specifico. Il testo ha una scrittura di tipo
B o accademica, basata su una serie di regole date dalla comunità scientifica dell’antropologia,
ovvero scelte di carattere teorico. Anche se oggi si possono condensare i risultati della ricerca in
un documentario etnografico o un book fotografico con allegato un testo, metodi nuovi per
considerare un prodotto “monografia etnografica”.
Contemporaneo di Malinowski: “I was fighting with my material”

Prima monografia etnografica: Malinowski 1922 “Argonauti del Pacifico Occidentale”

Fino a un po’ di anni fa il ciclo della produzione antropologica finiva qui, gli antropologi erano
troppo autoreferenziali, chiusi.
Si è aggiunta infine un’altra fase: CIRCOLAZIONE: tentativo di far uscire dall’accademia il sapere
prodotto. La scrittura utilizzata è una scrittura di tipo C: molteplice, non accademica, che si adatta
alla massa.

E anche la già citata ricaduta: le prime persone che hanno avuto a che fare con il lavoro lo
consultano: il lavoro viene restituito alla comunità studiata.

-Antropologia pura: accademica


-Antropologia applicata: ricaduta sociale degli studi antropologici che vengono divulgati,

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- Relazioni vis via: vis: valutazione di impatto sociale, via: valutazione di impatto ambientale

6 LEZIONE:

Introduzione del secondo concetto ghianda, strettamente legato al primo e che analogamente al
primo ha avuto una ramificazione importante nell’antropologia:

Riprendiamo:
Tylor, Primitive Culture: prima definizione antropologica di cultura.

Il percorso verso il secondo concetto ghianda dell’antropologia inizia dall’ultima frase di Tylor:
“Il costume o qualsiasi altra capacità acquisita dell’uomo in quanto membro di una società”:
Viene tutto (la cultura) acquisito dall’uomo per il solo fatto che l’uomo nasce in una società, per il
solo fatto di vivere in una società l’uomo acquisisce cultura.
Siamo nell’ultimo quarto dell’800, si comprende che la cultura non si acquisisce più per sangue,
razza, genetica, ma per quelli che anni dopo vengono chiamati dispositivi di socializzazione.
Nel 1871 questa idea è un’ipotesi di lavoro,100 anni dopo Tylor, è un dato di fatto, riconosciuto
scientificamente.
Perché è così? Come mai e attraverso quali passaggi l’essere umano (e non altre specie) funziona
così? Perché l’acquisizione di cultura avviene così?

Emergenza della cultura: “emergenza” qualcosa che si manifesta, viene fuori, nel processo di
filogenesi umana.
Filogenesi: Il processo evolutivo di un’intera specie, il processo nell’arco di milioni di anni durante
il quale la specie diventa ciò che è oggi.

In questo lungo processo quando e come sarebbe emersa la cultura in senso antropologico?
Ontogenesi: il processo attraverso il quale si sviluppa un singolo individuo all’interno di una sola
specie.
Individualità e specie sono strettamente legate, l’ontogenesi dipende dalla filogenesi e viceversa. Il
problema dell’emergenza della cultura è duplice: Tylor pone il problema dell’ontogenesi, MA
l’ontogenesi dipende dalla filogenesi.

200 milioni di anni fa il gruppo di animali si è distinto in un bivio: rettili/mammiferi-> gli esseri umani
hanno la stessa mano di un varano, eravamo comuni prima di distinguerci.
L’essere umano appartiene all’ordine dei primati, che è un sottogruppo dei mammiferi, avvenuto 70
milioni di anni fa. Noi abbiamo una parentela forte con i primati, gli scimpanzé.
Una caratteristica che condividiamo con i primati è avere due occhi frontali, visione stereoscopica,
tridimensionale e a colori. Altra fondamentale caratteristica sonno le unghie piatte. (Prensione a
mano aperta, precise prehention, presa precisa.)

Unicità del genere umano:


1) Costruire utensili,
2) Linguaggio articolato (bisogna aggiungere articolato perché la biologia animale mostra come
anche altri animali sono dotati di linguaggio),
3) Uso di simboli.

Queste tre caratteristiche insieme rendono l’essere umano capace di cultura.

Es. Karl Von Frisch, premio nobel in fisiologia e medicina:


Le api non volano semplicemente, mentre volano compiono sempre delle circonferenze, questa
modalità di volo si chiama danza e a seconda della modalità con cui vengono compiute queste
danze e in funzione al senso di rotazione, le api comunicano tra loro la direzione verso cui
veicolare per il cibo e anche il tempo che impiegherà per arrivarci.

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William Willer ha scoperto il linguaggio delle formiche. Le formiche sono animali sociali e hanno
sviluppato una capacità di organizzazione collettiva, tanta è la capacità di organizzazione collettiva
che si parla di mente collettiva. La mente collettiva non è l’unione di tutte le menti, ma è come se
avessero una sola mente delocalizzata, possono fare tutto ciò attraverso gli odori. Incastri chiave/
serratura con i vari recettori per scambiarsi messaggi. Ciò significa che c’è cultura anche tra gli altri
animali, ovvero l’aggiunta di particolari atteggiamenti al di fuori di quelli “normali”.

Teoria del punto critico: la teoria che spiega come nell’arco di milioni di anni all’interno del
gruppo animale si sia sviluppata una specie umana capace di cultura e cioè di costruire utensili,
parlare un linguaggio articolato e di servirsi di simboli.

Secondo questa teoria, la capacità di acquisire cultura (definizione di Tylor) è comparsa


all’improvviso, questo fatto improvviso rappresenta una rottura forte nella storia evolutiva dei
primati: ad un certo punto si sviluppa tutta insieme la cultura.
Tutto ciò avviene al termine dell’evoluzione biologica/organica: nel momento in cui l’encefalo
raggiunge grossomodo le dimensioni attuali, si è sviluppata la cultura. Il punto critico è lo sviluppo
“totale” del cervello.
Alfred Kroger, anni 20/50 del 900, è uno dei principali autori della teoria del punto critico.
Nella teoria del punto critico si ha implicitamente una certa idea di essere umano, di come è fatto e
come funziona.
Schematicamente:
C’è uno stato di base: la sfera biologica-> si aggiunge uno strato superiore, una sovrastruttura che
è la cultura, il culturale si aggiunge al biologico quando è completamente formato: Modello
stratigrafico, “hardware: biologico, software: cultura”.

Prove di carattere scientifico smentiscono questa teoria e che gradualmente hanno portato alla sua
smentita completa:
Prima prova: I coniugi Leaky nel 1959 sono archeologi e paleontologi, scoprono in Tanzania, in
Africa orientale, un ominide bipede, simile all’essere umano, dal cervello esiguo.
Lo datano 1milione 750mila anni fa, un ominide parte della storia evolutiva del sapiens sapiens ma
con un cervello molto inferiore dal punto di vista della massa encefalica. Accanto a lui, scoprono
tutta una serie di strumenti finemente elaborati che denotano una notevole capacità culturale e
un’iniziale manifestazione di senso estetico, dunque una capacità culturale piuttosto importante.
Da questo scaturisce una conseguenza importante: La capacità di cultura è emersa gradualmente
nell’arco di milioni di anni. L’atteggiamento culturale inizia molto prima della fine dello sviluppo
organico.
Oggi possiamo affermare che lo sviluppo culturale inizia molto prima che lo sviluppo biologico
avesse fine, grazie a tre rivoluzioni:
1) stazione eretta: si passa da una locomozione su quattro gambe a una locomozione bipede,
quindi si innesta la seconda rivoluzione:
2) gli arti superiori vengono liberati dall’onere di far spostare l’uomo, nei milioni di anni della
locomozione con quattro arti la funzione prensile era svolta dalla bocca, quando le mani vengono
liberate, c’è uno sviluppo dell’articolazione delle mani, le mani diventano più fini, l’articolazione
diventa molto più sviluppata.
3) L’ultimo risultato è che con la bocca libera, abbiamo il linguaggio.

Seconda teoria: Teoria interattiva, sviluppata in particolare da Geertz (“l’evoluzione comincia dai
piedi”).
La teoria interattiva presenta un altro modello di essere umano: la biologia e la cultura sono
intimamente collegate, non si può tracciare nessuna linea di demarcazione netta.
Es. Paura per l’esame-> insonnia, stress-> dolore, la sfera del biologico e del culturale sono
impastate insieme. Concezione differente di corporeità e biologia, va dato un senso più complesso.
Dobbiamo pensare all’essere umano nella sua sfera biologica e simbolica in maniera non
dicotomica ma in maniera integrata. La cultura non è intervenuta ad animare, la cultura è stata un
ingrediente importante nella costruzione di quell’animale.

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Ciò vuol dire che l’uomo produce cultura e anche che l’essere umano in quanto tale è prodotto
dalla cultura, perché vi è un’interazione costante, continua, profonda: mindful body, un organismo
dove la mente e il corpo non si dividono.
L’interazione fra la parte biologica e culturale è costante, fra essere umano e essere umano, fra
singoli e ambiente: interattività totale.

Come mondo occidentale ci siamo sviluppati su dicotomie, Es. divisione tra Anima/corpo: influsso
del cristianesimo.

Gertz dice “il pensiero non è costituito da avvenimenti nella testa, non basta, il pensiero è un
insieme di scambi simbolici tra te e gli altri continuamente, arriva sempre al di fuori di te”.

-Astrolopitecus Afarensis: La caratteristica è l’alimentazione carnivora e la presenza di campi base,


organizzazione per la caccia (elemento culturale di base).

-Astrolopitecus Guasei da Charles Guase che diede i soldi per le ricerche

-Abilis: primo che ha strumenti in pietra, organizzazione collettiva nella forma di campo base
sviluppata: iniziale concetto di casa: tornare alla base dopo aver cacciato.

-Erectus: scopre il fuoco, interazione straordinaria con l’ambiente. Il fuoco serve per difendersi
dagli animali selvaggi, inoltre serve per l’illuminazione. Soprattutto Erectus cuoce, elemento
culturale profondamente sofisticato: gusto. Si inizia a sviluppare il linguaggio.

-Sapiens: Caratteristica fondamentale è lo sviluppo degli abiti: cambia la temperatura corporea, la


resistenza alle intemperie, la modalità di interazione con gli animali per ricavarne le pelli ecc., si
inizia a “cucire” in modi diversi in base alla zona. Sapiens è il primo che seppellisce i morti.
Operazione di carattere sociale che poggia su una complessa sfera simbolica, implica tutta una
serie di concetti: pietas, rispetto, aldilà.
Sapiens Sapiens 35mila anni fa: noi

REGNO: animali
PHYLUM: cordati
SUBPHYLUM: vertebrati
CLASSE: mammiferi
ORDINE: primati
FAMIGLIA: ominidi
GENERE: homo
SPECIE: sapiens
SOTTOSPECIE: sapiens

La filogenesi umana ci consegna un tipo di animale molto diverso dagli altri animali, la diversità
consiste dal fatto che noi dipendiamo per la sopravvivenza molto più dalla cultura che non dai
geni. L’animale prodotto da questo lungo processo è un animale che ha un set genetico di istinti di
base: proteggersi dal caldo/freddo/mangiare, ma non sa come farlo.

Es. il ragno ha l’istinto di costruire una tela e grazie ai geni sa farlo. I nostri istinti di base sono
generali, non esiste una risposta specifica per i nostri istinti di base.
Vi è un’incompletezza biologica di base.
La vera e profonda differenza tra noi e tutti gli animali è l’incompletezza biologica di base. L’essere
umano è estremamente flessibile, il 70%. Delle sinapsi neurali si sviluppa dopo la nascita: siamo
incompleti. Da un punto di vista biologico siamo incompleti rispetto agli altri, quindi in partenza
siamo svantaggiati, all’arrivo noi vinciamo rispetto agli altri animali, (antropocene). Un elemento di
svantaggio diventa il principale fattore che ci concede di vincere su tutti gli altri animali, perché

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l’incompletezza viene gradualmente compensata dalla cultura, da migliaia di forme culturali


differenti.

Attraverso forme di cultura estremamente particolari e variegate. Gli antropologi non parlano con
l’Italia, parlano con individui, persone ecc. L’antropologo incontra l’umanità faccia a faccia. Ma non
come concetto astratto, non come filosofia. L’antropologo vede l’umanità che si dispiega dal
singolo volto della persona che ha davanti.
(“Il più locale dei dettagli locali deve parlare del più generale: Geertz”)

Es. Sfera emotiva: si piange secondo cultura, non secondo natura.


“La cultura invece di essere aggiunta ad un animale completo fu ingrediente e il più importante
nella produzione di questo animale.”
(L’enfant sauvage di Truffaut.)

7 LEZIONE:

Paesino con una grande casa borghese, quasi vittoriana, nei pressi di questo paesino sperduto
della grande provincia americana, la ragazza sola, giovane, un po’ debole, convalescente, isolata,
senza amici, impacciata, inventa la poesia americana contemporanea: Emily Dickinson, poetessa
che ebbe una vita molto particolare, molto sola, introversa, costantemente debole di salute.
Parlava delle sue poesie come “le lettere al mondo che mai scrisse a me”, il mondo non la vede
nemmeno. Ha inventato uno stile straordinariamente efficace, frasi lievi ma penetranti, essenziali
(Sillabe di seta, Silenzi).
“Io abito la possibilità”, il mondo è qualcosa di possibile, di possibilmente diverso, anche io posso
essere diversa da come sono.
Lettera di Dickinson (moodle lettera) (in Poesie di Mondadori) lei la scrive a Hickinson, intellettuale
amico di famiglia, i due avevano una certa familiarità.

C’è un’interrogativo radicale, profondo: “mi potreste dire come crescere?”: Lei verbalizza
l’interrogativo con semplicità, come si fa?
“O non si può comunicare come la melodia o la stregoneria” : Espressione viva, non astratta, gli
interrogativi di fondo che ci richiama quanto detto finora in senso antropologico: l’incompletezza.
Concetto che da un lato ha una sua dimostrazione scientifica e sperimentale e che ha un suo
riverbero su un piano filosofico, l’incompletezza è l’opposto di un limite.
Questa incompletezza viene avvertita da Emily Dickinson, lo leggiamo esplicitamente: sento la
necessità di prendere una direzione ma non so come fare.
Molti aspetti antropologici sono stati molto meglio e prima colti da attori, scrittori, poeti, ballerini.

“La recherche du temps perdue” : memoria è corporea, teoria dell’embodiement, tutto il corpo
ricorda, il cuore es. La sensorialità è intrisa di emozioni, di memoria.

“Io abito la possibilità”

“avere un corpo mi fa paura, e anche un’anima. Possesso precario, profondo patrimonio


obbligatorio”.

“vorrei imparare.. mi sapreste dire come crescere?”

“o forse chiedo qualcosa che non si può dire?”.

La cultura viene acquisita attraverso i processi di socializzazione.


Due esempi etnografici con all’opera dei processi di socializzazione.

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Primo esempio: Banande


Definizone di internet: In antropologia il rituale è qualcosa che: contiene un elemento di
ripetizione, di contenuto, forma o occasione. Viene “recitato”, in cerimonie pianificate, contiene
comportamenti fuori dall'ordinario, o comportamenti ordinari attuati in modi speciali.
Rito: Processo di azione sociale formalizzato e socialmente condiviso, può essere di tanti tipi:
funebri, di intronizzazione, matrimoniali, di fondazione (casa, città)

Rituale di iniziazione, rituale sociale molto formalizzato in cui la comunità risponde alla domanda
di Emily Dickinson: consapevolezza esplicita dell’interrogativo dell’incompletezza.
Sentire sul piano esistenziale questo problema. Non esiste alcuna società priva di un qualche rito
di iniziazione, non esiste società che in qualche modo non abbia pensato al problema
dell’incompletezza.
(L’uomo necessità di una plasmazione culturale da parte della società per ESSERE.)

Esempio BANANDE
Società del centro Africa, Repubblica democratica del Congo, vicino le rive del fiume.
La popolazione Banande o Uanande è una popolazione di orticoltori che vivono in una zona
infestata da guerriglie violente. Questa popolazione è stata studiata da Francesco Remotti e Roy
Richard Grinker.
Per secoli la società banande si è costruita intorno ad alcune azioni, pratiche ed idee fondamentali
particolari. La popolazione coltiva banani, il banano è un’erba che curano per produrre cose come
la farina, la birra ecc.; i Banande disboscano la bruss per creare aree pulite e costruire i villaggi.

Nell’antropologia implicita Nande dal punto di vista emico è fondamentale in concetto di Abakondi,
l’Abakondi viene dal verbo Erikonda, il cui significato è tagliare in senso fisico: tagliare un albero.
Il significato di Abakondi è “tagliatore”. L’Abakondi è una persona vista di buon occhio perché è
abile a disboscare, tagliare la bruss, per organizzare le ekà: le aree pulite per costruire villaggi.
I Banande infatti osservano i vicini di casa e li considerano ngata: fannulloni perché non
diboscano. I Banande sono per definizione abakondi, ovvero un bravissimo intagliatore.

Nell’antropologia implicita Nande c’è un’espressione in kinande “eritwa ekiugo” che vuol dire
“tagliare il mondo”. La civilizzazione per i Banande significa tagliare gli alberi per far posto al
villaggio: ordinare il caos. Il taglio da un punto di vista concettuale è la radice profonda
dell’antropologia implicita Nande.

Rituale di iniziazione maschile: olusumba (da ricordare):


Il rituale culmina in un minimo taglietto sul prepuzio, ma la cosa fondamentale del rito è un canto
che viene intonato all’inizio del rituale, il senso profondo è infatti espresso nel canto.
Gli uomini si riuniscono con i ragazzi che devono diventare uomini, si esce dal villaggio per
raggiungere la bruss e si intona una preghiera sotto forma di canto mentre ci si incammina. Questo
rito rappresenta una prima modalità per sopperire all’incompletezza.

Una preghiera viene ripetuta all’inizio e alla fine del canto al dio Katonda:
“che il nostro viaggio generi uomini”:
Consapevolezza che non si è uomini biologicamente, si è maschi biologicamente, ma per
diventare uomini serve un intervento della comunità, un intervento culturale.

“O dio dei nostri antenati Katonda: in una casa, in una famiglia , in un villaggio, un uomo che
cos’è?”

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Risulta molto sorprendente che in un comunità illetterata vi sia una tale adesione all’importanza di
questo tipo di domande di carattere filosofico: come si costruisce un uomo?

Questa domanda sorge sulla fondatezza di questa tradizione: mentre svolgono il rituale lo mettono
in dubbio, chiedendosi cos’è l’uomo ecc. mettono in dubbio tutto e dunque anche il rituale stesso,
se non sono sicuri del senso dell’uomo stesso come possono esserlo del rituale?: Dubbio critico

“Dio Katonda insegnaci ad abitare queste colline”


Lo scopo è insegnare ai ragazzi della società a diventare uomini, ma gli stessi uomini della società
si chiedono se ne saranno in grado, chiedono aiuto alla loro divinità. Tipico dei rituali di iniziazione
che “trasformano” da un punto di vista emico: è una trasformazione emotiva e profonda.

Donne: David Gilmour e Marilyn Strathern muovono una forte critica all’antropologia del loro
tempo, si prendevano in considerazione solo i riti maschili come se quelli femminili non
esistessero.
Questi due autori si rendono conto che i riti femminili esistono:
Nella società Nande c’è un termine che è omukali, termine kinande che significa “donna”: è la
base da cui partire per dire ogni cosa di più specifica che riguarda la donna.
Ci sono tanti altri termini per indicare la bambina, l’anziana, la ragazza. Un termine molto
importante è omukenzi: parola specifica per indicare la donna nel momento in cui si accorge di
essere incinta per la prima volta, questa parola indica un’esperienza puntuale: in un momento
avviene ed è irripetibile, è un’esperienza fisica, corporea e temporanea. Omukenzi è un punto di
passaggio, cambiamento, non si può tornare indietro. Rappresenta un cambiamento anche per il
futuro, porta al matrimonio, a cambiare casa.
Omukenzi deriva da erikenza: tagliare, torna il tema del taglio.

Erikonda quindi significava tagliare in senso fisico, erikenza significava tagliare in senso simbolico.
Qual è il significato di questo taglio?

Si arriva così ad erikinga: il rituale femminile, molto particolare perché non consiste in un’azione
specifica in una parte del corpo della donna ma è una serie di attività che cominciano a svolgersi,
delle attività femminili in cui viene inclusa per il fatto di aver vissuto l’omukenzi: prende parte
all’omusangano, il contesto femminile delle donne adulte; quindi alle conversazioni femminili,
inizia a lavorare nei campi, comincia un’educazione per la famiglia e per la gravidanza. Iniziano
anche una sorta di scherzi tra donne, sfottò verso i maschi e il marito. Sostanzialmente inizia a
partecipare alla vita sociale delle donne adulte.
Concettualmente il senso del taglio rimanda a una serie di livelli: taglio fra le occupazioni della
bambina e poi della donna, taglio rispetto alle modalità di comportamento di genere (vengono
stigmatizzati comportamenti che prima si potevano attuare tranquillamente e che dopo devono
essere evitati perché visti con malizia, in questa comunità i comportamenti dei bambini non
vengono mai sessualizzati), c’è un allenamento allo sguardo ironico rispetto al comportamento
obbediente a cui la donna era abituata prima, c’è una chirurgia comportamentale.

Il taglio è una forma di consapevolezza, la consapevolezza produce tagli, ti cambia, taglia rispetto
al te stesso di prima.
C’è un momento in cui si può essere tutto, dopo si prendono bivi e ci sono tagli, le scelte portano
ad altre che ne escludono ancora altre fino alla fine. “Abito la possibilità”
Geertz: “Nasciamo con la possibilità di vivere 1000 vite diverse e poi ne viviamo solo una”
Non possiamo non determinarci, non possiamo sfuggire all’esigenza fondamentale del
completamento e la consapevolezza ci determina: taglia.

8 LEZIONE:

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Altra parte da studiare che farà parte delle lezioni successive: Forme della parentela: parte più
formalizzata dell’antropologia, è stato creato un linguaggio assiomatico, formale, per trattare le
centinaia di modalità con cui i parenti sono legati tra loro, famiglie, strutture di parentela, tramite
schemi, diagrammi, anche tramite software. Ci sono sistemi di parentela di carattere descrittivo,
classificatorio (:si chiama ascendente consanguineo per parte di padre: zio, il tipo di parente in
altre società ha nomi diversi rispetto a zio, nonno ecc.)

Le parole comuni di altre culture si chiamano etnemi: “Mangu” è una parola africana.
Le parole che si riferiscono a popolazioni e comunità sono etnonimi es.“I Sami”.

2 ESEMPIO DI RITUALE DI INIZIAZIONE: tema della ricaduta da un punto di vista


dell’ontogenesi, dell’idea di incompletezza.

Mary Douglas une delle più importanti antropologhe del secondo 900, britannica, africanistica, nel
1963 pubblica la sua monografia etnografica: “Lele del Kasai”
Questa studiosa vive per molti mesi nella comunità Lele e riscontra una caratteristica importante:
I Lele hanno un sistema di classificazione raffinatissimo, classificano tutto. Ogni forma vivente,
ogni elemento del loro ambiente è classificato; hanno una cosmologia (visione complessiva
dell’ambiente naturale), molto chiara, basata sulla divisione tra mondo acquatico/terrestre/aereo in
modo meticoloso. L’unica cosa che non classificano è il pangolino manistricuspis, animale molto
diffuso nella zona.
Il pangolino ha le squame, dunque è classificabile come pesce ma non vive in acqua, anzi si
arrampica sugli alberi, si arrampica talmente in alto che è classificabile nel mondo aereo. Secondo
la classificazione Lele assomiglia ad una lucertola, dunque lo classificano nell’ambito degli animali
oripari, anche se in realtà è un mammifero perché svolge parti singoli e allatta la prole, similmente
agli umani.
Il pangolino nel sistema di percezione estetica nella cultura Lele, è brutto e nella cultura Lele la
bruttezza negli animali è collegata i a timore di pericolo. Gli animali brutti sono pericolosi e
aggressivi per i Lele, il pangolino però è assolutamente innocuo.
Il pangolino è in antropologia un’anomalia cognitiva: il pangolino introduce un problema di
classificazione, non relativo al fatto che è inclassificabile, ma relativo al fatto che non esistono in
quella cultura categorie adeguate, le categorie possibili sono troppe.

I sistemi di classificazione sono una forma di pensiero, una modalità di pensare il mondo:
Se dico: “quella è una porta”, sto contemporaneamente escludendo altre cose, quella è una porta,
quindi non una sedia, un tavolo ecc… Non tutte le forme di pensiero sono classificatorie, ma tutte
le classificazioni sono una modalità di pensiero.
Per i Lele il pangolino è un animale impensabile, crea un’anomalia nella pensabilità, dunque è
ritenuto profondamente pericoloso. Questo crea il tabù, il pangolino viene tapuizzato: da tapu: da
avvicinarsi con estrema cautela, meglio se non ti avvicini proprio. Una persona/zona/attività può
essere tapuizzata: indicata dalla società come pericolosa, non si capisce come relazionarsi a
questa cosa.

I rituali di iniziazione sono i processi sociali più importanti perché hanno un effetto socializzante,
per cui chi partecipa e viene coinvolto riceve insegnamenti/informazioni per essere plasmato nella
crescita. I rituali sono fondamentali per la riproduzione sociale, sono processi sociali che tendono a
costruire nuovi individui.
Non sono l’unico fenomeno ma sono importanti nella manifestazione dell’idea di incompletezza.
Il protagonista dei rituali di iniziazione dei Lele è il pangolino.

Perché una cosa che eviti viene messa in uno dei fenomeni più importanti per la tua società?

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“Purezza e pericolo”, Mary Douglas 1966, libro in cui si spiega il paradosso del pangolino che è
elemento anche di molte altre società. Mary Douglas farà la sua interpretazione antropologica, la
confronterà con i Lele e troverà riscontro.
Idea di fondo: Il rito di iniziazione è il momento più importante in cui gli adulti devono trasferire i
valori della comunità, soprattutto il rispetto dei sistemi di classificazione, trasmettere i sistemi e
insegnare i valori, per vivere con i Lele si deve avere questo tipo di insegnamento.
Contemporaneamente a ciò gli adulti sentono l’importanza di insegnare anche i limiti delle
classificazioni. Le classificazioni sono estremamente importanti nella cultura e vanno imparate ma
soprattutto si deve imparare la loro imperfezione, revocabilità e limitatezza.
Il rituale riflette sull’elemento principale, il pangolino, il limite tangibile delle classificazioni.
“Avrai tanti problemi nella tua vita, domande, e noi Lele ti aiuteremo con i nostri metodi di
interpretazione, ma sappi che ci sarà sempre una domanda a cui non potremo offrirti una
risposta.”: Forma di riflessione critica interna.
Cosa significa per i Lele essere diventato adulto tramite il rituale? Quando capisci che se vuoi
stare con i Lele non puoi fare a meno di classificare ma non puoi ignorare che il sistema abbia dei
limiti e dunque prenderlo come sistema assoluto, alcune situazioni non hanno una risposta,
nemmeno ricorrendo alle classificazioni.

Passaggio su Moodle da leggere.

Jean Paul Sartre formula un’espressione estremamente efficace, per riassumere in maniera
generale i temi trattati: questa serie di espressioni sono contenute in un piccolo libricino del 1946,
“L’esistenzialismo è umanismo”. E’ un libro che contiene riflessioni sull’umano molto utili per
l’antropologia.

1)Frase icastica che subito è una provocazione: L’uomo si presenta con una scelta da fare.

2)L’uomo si fa, non è qualcosa di bell’e fatto in partenza.

3)Per ottenere una verità qualunque sul mio conto, bisogna che la ricavi tramite l’altro. L’altro è
indispensabile alla mia esistenza come alla conoscenza che io ho di me.

L’essere umano è essenzialmente e costitutivamente relazionale.


Max Weber diceva che l’essere umano è come un ragno che sta appeso a una ragnatela di
significati che egli stesso ha costruito: questa ragnatela di significati lo collega ad altre ragnatele
in una sorta di rete di infinite connessioni. L’altro è indispensabile non solo alla conoscenza che io
ho di me, ma anche alla mia stessa esistenza: la relazionalità con gli altri è essenziale a me, non
soltanto per conoscermi, ma semplicemente per esserci e per vivere.
Irriducibilità ontologica dell’essere umano con il rapporto con gli altri.

4) L’uomo senza appoggio né aiuto è condannato ogni momento ad inventare l’uomo.

Questa serie di frasi rappresentano ciò che in antropologia si definisce costituzionismo sociale:
impostazione profonda dell’antropologia secondo cui vi è pochissimo di naturale, di natura, c’è
tantissimo di storico in noi.
Noi siamo esseri che necessitano di una plasmazione, di una costruzione continua, siamo in
pochissima parte determinati dalla natura, siamo organismo plastico, modificabile, malleabile.

Dopo la nascita c’è questa rete di relazioni sociali in cui il bimbo viene inserito. La plasticità
dell’essere umano, e il fatto che per potersi completare e ritrovare armonicamente inserito nella
sua vita, è necessaria l’acquisizione della cultura, non è un fenomeno biologico, ma un fenomeno
sociale e relazionale; dipende dal tipo, dalla quantità e dalla qualità di relazioni che noi
costruiamo con gli altri, in cui possiamo acquisire comportamenti, modi di fare, idee ma anche
reagire ribellandoci alle stesse. Le relazioni possono essere anche molto conflittuali: in realtà, la
cultura avanza anche e soprattutto grazie al confronto dei conflitti. L’elemento che rappresenta il
nostro mondo non è l’equilibrio, l’equilibrio non esiste, il conflitto è normale nel funzionamento
della dinamica della società.

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Sociale: il nostro essere dipende dalle interazioni, senza le interazioni, l’umano non è.

Enfant sauvage: primato della socialità, sociale NON socievole.


Una contadina che raccoglie funghi nella foresta dell’Aveyron, in un giorno dell’estate 1793, scopre un ragazzo selvaggio
e dà l’allarme. I cacciatori stanano il ragazzo con i cani e lo catturano. I giornali, parlano di lui: dalla gendarmeria di
Rodez, viene trasferito a Parigi, all’Istituto Nazionale Sordomuti. Qui viene esaminato dai dottori Pinel e Itard, che
tentano di ricostruire, la sua esistenza: si pensa che abbia circa 12 anni e che sia vissuto per sette o otto nella foresta,
dove ha imparato a vivere e a muoversi come un animale. Il suo corpo è coperto di cicatrici: una, più profonda, sotto il
mento, fa pensare ad una ferita da arma da taglio. Le unghie sono artigli, si esprime solo con grugniti e non risparmia
morsi ai curiosi visitatori. La convivenza con i piccoli sordomuti si rivela impossibile e Pinel ritiene inutile occuparsi di lui,
consigliando di rinchiuderlo a Bicêtre. Itard si oppone e ottiene di condurre il ragazzo nella sua casa di Batignolles, un
villaggio alla periferia di Parigi. Là, coadiuvato da M.me Guérin, sua governante, intraprende l’educazione del ragazzo
selvaggio, al quale sarà dato il nome di Victor. Il film ricostruisce, con fedeltà documentaristica, le difficoltà e gli alterni
risultati degli esperimenti ai quali Itard sottopone Victor, nel tentativo di restituire al ragazzo l’uso del linguaggio. Victor
sembra reagire positivamente agli sforzi del dottore; ma una notte, fugge. L’estremo tentativo di resistenza di Victor si
risolve comunque con il suo ritorno alla casa di Itard. Poi, riprendono gli esperimenti.

Dal concetto di incompletezza biologica deriva il fatto che il nascere è un processo molto
complesso, perché il nascere è composto da due processi differenti:
un processo biologico che produce organismi biologici; ma anche un processo sociale.
Da questo segue che l’essere umano è un organismo biologico, ma è soprattutto una costruzione
sociale: a questo organismo biologico sono stati insegnati valori, regole, modi di pensare, modi di
esprimere le emozioni, tutta una serie di codici comportamentali che lo hanno plasmato.
In antropologia si dice quindi che l’essere umano è un prodotto storico => la storia si innesta nella
biologia.
L’essere umano è sostanzialmente una costruzione sociale (costruzionismo sociale)

(Es. di antropologie implicite:


Isola di Giava, 20 mln di abitanti: Sei giavanese perché hai capito come viviamo noi, non perché
sei nato qui. Nulla di naturale, solo cultura.)

ANTROPOPOIESI: L’antropopoiesi si può sinteticamente definire come il lungo processo di


lavorazione messa in atto da un contesto socio-culturale per dare forma a un umano culturalmente
specifico, in modo che sia coerente con il gruppo in cui è nato e in cui cresce, che sia quindi in
grado di orientarsi e agire coerentemente in quel mondo. Ponendosi in un’ottica costruzionistica e
non deterministica)
(Antropopoiesi: fare, costruire: termine greco per identificare il costruzionismo sociale)

“Ciò che è naturale nell’uomo è la sua assoluta esigenza poietica, di plasmazione”


Poiesi: formazione, produzione

ESTETICA:
Percezione che innesta una visione del mondo, anche sul piano dei valori, regole morali.
Interventi estetici sono ad esempio le scarificazioni, popolazioni che scrivono sul volto i loro valori
con ferite che non si rimarginano, rappresentano estrema bellezza nel loro sistema di percezione.

(Es. di antropologie implicite:


Isola di Giava, 20 mln di abitanti: Sei giavanese perché hai capito come viviamo noi, non perché
sei nato qui. Nulla di naturale, solo cultura.)

Antropologie implicite sono naturalizzate: pur essendo prodotti storici che cambiano
continuamente, in qualche modo per poter funzionare devono essere ritenute naturali dalle varie
società perché la naturalizzazione rafforza il loro valore, la loro valenza e credibilità.

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La naturalizzazione è solitamente un problema perché rafforza il potere di convinzione.


Es. Donna debole: naturalizzazione. Mamma, papà, figli: famiglia naturale. L’unica cosa naturale in
realtà è il sistema di riproduzione, non la famiglia.

Una cosa interessante è che le popolazioni Nande e Lele hanno un forte elemento di
naturalizzazione ma entrambe coltivano e trasmettono il dubbio, hanno forte capacità critica,
sanno che ciò che fanno è una scelta, una decisione.

Scrive Geertz: “Diventare umani è diventare individui e noi lo diventiamo sotto la guida di modelli
culturali …tramite i quali diamo FORMA ORDINE SCOPO E DIREZIONE alla nostra vita”:
si possono cambiare ma non puoi NON averle.
“Essere umani” non in modo generale, ma in modo singolo, individuale, essere un unico essere
umano.

TERZO CONCETTO GHIANDA: da Marcel Mauss (moss), antropologo e sociologo francese.

Mauss muore nel 1950, la sua opera si colloca tra la fine dell'800 e inizio 900. Studia filosofia,
lingue, sanscrito, è uno degli ultimi antropologi da tavolino.
Un contributo di Moss funziona ancora e ha attraversato tutto il 900.
(Si colloca nell’idea di Emily Dickinson di possedere un corpo): CORPOREITA’

9 LEZIONE:
Termine “embedded", in italiano embricato-> embrici; come le tegole del tetto, connesse in modo
da tenersi tutte insieme.

Che ruolo svolge la corporeità nel processo di acquisizione della cultura?:


Rapporto cultura/corpo.

Es. Nancy Scheper-Hughes, antropologa contemporanea che si occupa di antropologia medica, in


una conferenza in cui espose alcune delle sue ricerche etnografiche svolte in Brasile e in
Amazzonia, parlò di donne costrette a lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero senza
retribuzione. Ciò che è oggetto di studio è il malessere fisico grave che manifestavano come
risposta di ribellione alle conduzioni disumane di lavoro a cui erano sottoposte, Nervos.
Frankenberg, un grande antropologo britannico, maestro anziano, alzò la mano e disse “io ho
sempre immaginato che gli esseri umani vivessero in società ma invece lei ci sta dicendo che gli
esseri umani vivono in corpi”.

Che ne è della nostra corporeità quando si afferma che tutta la nostra vita è costruita socialmente?
Quando parliamo di antropopoiesi come teoria complessa di costruzionismo sociale, non possiamo
escludere come tutti questi discorsi hanno una forte relazione con la corporeità.

Es. Vedere un fegato è come guardare la biografia della persona, si vede il fatto che ha cominciato
a bere, magari perché soffriva a causa di…, vediamo il suo stile di vita: vediamo la sua vita.

Noi abbiamo un corpo o siamo un corpo?


Io ho un dolore/ io sono il mio dolore.

Questa domanda riceve una risposta di tipo olistico, non riduzionista.


Il fegato di una persona è parte di quella persona ma non la rappresenta totalmente, la risposta
univoca, che sia culturalista o fisica, è comunque errata.
La percezione dello stare bene o stare male è una questione che chiama in causa non solo la
sfera culturale e nemmeno soltanto la sfera fisica.

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Il primo che parla di questo problema è Marcel Mauss, nel1936, in un piccolo saggio seminale
(dove c’è dentro qualcosa che ha fecondato, che si è sviluppato, per arrivare a studi come
l’antropologia medica).

Mauss era professore di etnografia/etnologia descrittiva. Di anno in anno il professore dava come
argomento agli studenti una popolazione, lo scopo del corso era esplorare tutto ciò che
riguardasse la popolazione scelta.
Venivano indicati 5/6 capitoli che rappresentavano le grandi aree culturali generali, alla fine l’ultimo
capitolo, intitolato “varie”, trattava tutta una serie di fatti registrati da viaggiatori, mercanti ecc.
L’ultimo capitolo era molto eterogeneo, erano elementi che non potevano ricondursi ai vari capitoli
precedenti. Mauss ad un certo punto si stufa della rigida divisione in capitoli, e metterà in crisi per
primo la forzata suddivisione fra tratti culturali. Decide quindi di partire dall’ultimo capitolo,
rivoluzionando tutto.
L’ultimo capitolo era il più interessante nella descrizione delle “banalità” che facevano parte di una
popolazione. (come la gente si saluta, cammina, conta).
Mauss fu il primo perché gli studiosi a lui precedenti non prendevano minimamente in
considerazione le sottili differenze che rendono le popolazioni diverse culturalmente, e che invece
sono il fulcro dello studio etnografico.
Un’altra importante presa di consapevolezza da parte di Mauss fu capire che gli elementi non sono
solamente economici, politici, sociali ecc. e dunque ascrivibili in categorie divise, gli elementi
culturali al contrario sono contemporaneamente economici, religiosi, politici ecc, sono al crocevia
di tutte queste sfere contemporaneamente.
I piani si sovrappongono ed intrecciano, vengono detti dunque fatti sociali totali, rispetto ai quali
non si può applicare un modello riduzionistico.

(Es. Scambio Cula: scambio di collanine e conchiglie che scambiano con le Piroghe è 1)religioso,
2)politico (alleanze), 3)economico.)

L’interesse degli antropologi non sta nello studiare le intronizzazioni, i grandi funerali. Questi grandi
eventi sono piuttosto oggetto di studio in quanto ultimi eventi di un processo che però parte dal
basso, dalle “banalità”, dalla vita quotidiana. Nel contesto quotidiano si costruiscono le chiavi di
interpretazione del picco: funerale, incoronazione ecc.Il senso di quella circostanza speciale è dato
dalla quotidianità.

(Es. Durante la guerra si nota il modo di zappare che tra eserciti è diverso, dunque fu necessario
fornire gli uomini di zappe diverse perché quelle “straniere” non sapevano utilizzarle.)

(Es. Ebbi una specie di illuminazione mentre ero degente in un ospedale di New York, signorine
che ricordavo non so da dove, camminavano come le infermiere. L’aveva visto in un cinema: modo
di camminare americano.
Idiosincrasia sociale: comportamenti e abitudini dipendenti dal condizionamento dall’ambiente,
dagli spazi e dal contesto culturale. )

Mauss formula il terzo concetto ghianda: TECNICA DEL CORPO

“Saggio sulle tecniche del corpo” : Il modo in cui gli uomini si servono uniformemente alla loro
tradizione O CONTESTANDO la tradizione, del corpo.
Il concetto di tecnica del corpo si riferisce ad un realtà che sperimentiamo continuamente.

Es. Far “svenire” un’alice in padella: l’alice si spappola; una “lacrima" d’olio: quanto olio è?
Nella cucina viene fuori spesso questo concetto, cucinare è osservare la trasformazione degli
ingredienti, odorare, tagliare con forza/meno forza, vedere colori che cambiano.
Basta leggere un libro di cucina per imparare a cucinare? No.

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Qualcuno deve aiutare una persona a cucinare e piano piano il CORPO apprende: sapere
esperienziale non rappresentazionale (solo nella testa). Tutta la corporeità impara, acquisire il
“sapere della mano”.

Ciò ci introduce ad una visione più ampia del significato di “comprendere, capire”.
Mauss inizia a sviluppare il concetto che vi è sicuramente una comprensione intellettuale, logico/
astratta, che noi mobilitiamo e usiamo, ma esiste anche una comprensione mimetica, empatica,
imitativa.
Tutta la tua corporeità deve essere coinvolta in una serie di azioni al termine delle quali si può dire
“so cucinare”. Questo tipo di sapere non è scisso, è di carattere olistico perché chiama in causa
tutto il nostro self, mindful body.

Es. Imparare una lingua: grammatica, lettorati, struttura + comprensione attiva, buttarsi dentro la
lingua, andare a Londra, immerso in azioni, strette di mano, occhiate, esperienze ed espressioni di
carattere linguistico. Competence+Performance

La risorsa potentissima della nostra corporeità è la capacità di apprendimento esperienziale,


imitativo. Il corpo non pensa, il corpo sa.
La corporeità in un apprendimento esperienziale non è mai robotizzante, perché comprende in sé
anche la mente.

Anni 30 del ‘900: Mauss porta a 2 rivoluzioni: usa in modo nuovo la parola tecnica e la parola
corpo.
Per l’epoca il corpo era una realtà oggetto di studio delle scienze mediche e al massimo
psicologiche. Mauss cambia il modo di riferirsi al corpo perché per la prima volta afferma che il
corpo non può essere oggetto di studio solo della medicina, perché il corpo non è un meccanismo,
un insieme di parti organiche assemblate.
Da Mauss in avanti il corpo comincia ad essere oggetto di studio delle scienze sociali. Il corpo
valica il perimetro della medicina perché si capisce che anche elementi di carattere culturale
possono essere imparate attraverso il corpo.

Tylor: la cultura si acquisisce in quanto membri di una società-> assorbire cultura

(Il nostro corpo ha questa proprietà studiata in neurologia oggi, i neuroni mirror che spiegano
anche le ragioni di carattere neurologico).

Questa capacità di assorbire cultura è detta embodiement: incorporazione. (Teoria


dell’embodiement)
Rivoluziona anche la parola tecnica, perché era prima di allora usata in modo intuitivo, di semplice
visione materialistica.

CREDERE
Es. Un martire di Hamas, movimento di lotta armata islamico, dopo un lungo percorso a piedi si
mette un giubbetto di tritolo e si fa saltare in aria per uccidere 100 persone. Viene chiamato“Alto
Martire”: testimone. Testimonio con il mio corpo la frammentazione della mia terra occupata,
spezzandolo, frantumandolo. Quindi nessuno muore, nessuno si fa male-> credere.

Questa convinzione è carne e fiato: troviamo questa espressione anche in Marinowski, “la cultura
è carne e fiato”. Questa capacità di assorbire cultura è detta embodiement: incorporazione.
Rivoluziona anche la parola tecnica, perché era usata in modo intuitivo, un modo di semplice
visione materialistica.
Teoria dell’embodiement, risorsa del corpo di comprendere per esperienza non solo con modalità
logico-astratte.

2 nozione: Habitus

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10 LEZIONE:

Riassunto:
L’apprendimento è molto più complesso di quanto si fosse pensato fino a quel momento;
l’apprendimento è ora inteso come l’unione tra una comprensione a livello intellettuale e a livello
corporeo ed esperienziale.
L’apprendimento viene acquisito attraverso un’immersione completa con tutto il proprio self nel
contesto, non solo grazie alle facoltà intellettive, il corpo si immerge con i sensi finché impara.
(cucinare, guidare, suonare uno strumento, prendere il bus)
La potentissima capacità del nostro corpo che ci permette di apprendere è detta embodiement,
ovvero la capacità di assorbire a livello corporeo informazioni.

Gli antropologi usano in etnografia questa capacità, non solo la prendono in considerazione nei
propri studi sui soggetti, ma la utilizzano come strumento. Gli antropologi hanno un tipo di studio
che è immesivo, l’etnografia in sé è una tecnica del corpo.

HABITUS
Il concetto di habitus viene associato soprattutto a Pierre Burdieau che amplia quanto detto da
Mauss, Burdieau lavora negli anni 60/70 e formula le teorie della pratica.

L’habitus è la capacità, la caratteristica, che ha la persona di assorbire determinati atteggiamenti


culturali, e, una volta assorbiti, di naturalizzarli. “Naturizzarli”, ovvero renderli naturali, come se non
fossero stati assorbiti dall’esterno.
L’habitus ha anche fare con abitudine e con abiti, quindi qualcosa di quotidiano, di ripetizione, della
strutturazione di cose date per scontate.
Questa parola non designa le abitudini metafisiche, le abitudini sono concrete, variano con gli
individui e con il variare delle società, convenzioni, mode, prestigio.

“Bisogna scorgere la presenza delle tecniche che l’opera della ragione pratica, collettiva e
individuale lì dove si vedono di solito solo l’anima e la sua facoltà di ripetizione”.
Ciò che intende è che le cose che si fanno per abitudine non dipendono solo dalla psicologia
individuale, le influenze sono esterne (influenza sociale).

Qual è la differenza tra habitus e tecnica del corpo? Sono concetti molto vicini, sottilmente
differenziati.
-L’habitus per Mauss è una sorta di impronta, acquisire un habitus significa acquisire un certo
modo di fare le cose secondo questa impronta, data dal fatto che la corporeità è stata plasmata da
una serie di tecniche del corpo.
-Le tecniche del corpo sono microazioni concrete fatte in modo attivo, che permettono di acquisire
un sapere esperienziale, queste stesse tecniche ti formano.
Di habitus se ne possono avere tanti, si possono cambiare e modificare. L’habitus è la
conformazione complessiva delle abitudini dell’individuo e anche degli atteggiamenti corporei, che
viene plasmato dalle tecniche del corpo.
L’habitus è il prodotto delle tecniche del corpo ma ed è anche ciò che ci sottolinea la possibilità
stessa dell’azione delle tecniche del corpo. Il corpo acquisisce certi elementi strutturali dell’habitus.

Mauss discute per la prima volta il rapporto tra corpo e cultura, mette in evidenza l’importanza
dell’apprendimento complesso e mette in evidenza la relazione sociale tra come ci comportiamo e
il mondo attorno a noi. (Consultare Moodle)

Tutto ciò che facciamo è impresso di storia, il nostro organismo biologico ha assorbito storia
sociale, culturale. Questa idea negli anni 90 del 900, 70 anni dopo Marcel Mauss, arriva ad un altro
livello di approfondimento e analisi e prende la forma del concetto di embodiement.

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(Articolo di giornale: embodiement come paradigma per l’antropologia)

Il corpo non è object to be studied, separato dalla cultura, ma è soggetto, existential ground,
supporto esistenziale per cui la cultura c’è. Nessun senso antropologico di cultura potrebbe darsi
senza questo concetto di corpo.

In antropologia si usa self per evitare il sè di Freud, con self si intende tutto, il mindful body, l’unità
in cui armonicamente si impasta la sfera corporea e culturale in cui una linea non si può tracciare,
gli elementi sono embedded: incorporati.
Incorporazione: fissazione di certi valori e disposizioni sociali nel corpo e per mezzo del corpo.

La stessa modalità di impregnazione del corpo che porta ad imparare a cucinare si riscontra
quando ci si immerge in un orizzonte religioso e quegli elementi si fissano nel tuo corpo.
Anche elementi più astratti della cultura come percezioni estetiche, valori morali, non viene solo
appreso ma è embodied, vuol dire che sono naturalizzate,
AS IF (come se fosse naturale), non è naturale, è costruito ma si percepisce come naturale.
Quando si parla di codici morali, la naturalizzazione ha un forte elemento rafforzativo, impedisce
alla persona di concepire la costruzione storica dell’elemento a cui si riferisce.

Nell’esempio dell’ansia per l’esame, esiste una sfera molto importante in cui il concetto di tecnica
del corpo ed embodiement sono fondamentali, la sfera della salute: antropologia medica.
Si è cominciato ad interpretare le malattie (gli antropologi non usano il termine malattia) come
tecniche del corpo. Alcune malattie possono configurarsi come risposta del corpo che si esprime.
I sintomi diventano un linguaggio corporeo di rivolta, ribellione, il corpo non ce la fa più.

Caso di Enzo Tortora, presentatore italiano negli anni 50/70, all’improvviso un giornale diffonde la
notizia per cui Enzo Tortora è uno spacciatore di droga, dalla testimonianza di un pentito di mafia.
Viene arrestato immediatamente, piomba nella disperazione e vuole affermare la sua innocenza.
La cassazione dopo 7 anni lo assolve. Dopo 8 anni torna in televisione e il giorno successivo gli
diagnosticano un tumore grave. “Mi hanno fatto scoppiare una bomba dentro”

L’antropologia medica dice che così come con l’habitus, si creano dei valori, si possono creare
anche dei disvalori, delle reazioni negative che provocano dolore.

Es. Quella relazione di potere che schiaccia le donne nelle piantagioni è stata embodied.

Perché non si parla di somatizzazione d’ansia? Perché il termine somatizzazione riproduce una
dicotomia, l’idea di un soma, cioè un corpo da una parte e un’altra cosa dall’altra.
L’antropologia medica usa al posto di “malattia” il termine “disagio” e cerca di evitare un’idea
normativa di malattia, perché si cerca di superare l’idea del meccanismo rotto da riparare.
(Anche ai medici viene insegnata l’antropologia medica per essere capaci, come nel caso dei
medici senza frontiere, di interagire con le persone di culture diverse).

Su quest’idea dagli anni 80 si riformula il concetto di malattia, si usa scomporre il concetto di


malattia in tre parti che sono tutte e tre facce della stessa medaglia, componenti dello stesso
fenomeno.
-Componente disease, la dimensione corporea oggettiva e organica della malattia.
-Componente illness, percezione soggettiva del proprio star male, percezione del soggetto, del
paziente.
-Componente sickness: componente sociale (e politica) della malattia, lo stigma sociale riferito ad
un certa malattia. Il giudizio morale riferito alla malattia, morte sociale. Es. AIDS

Si può avere il disease e non avere l’illness, non percepirla, e altri casi in cui c’è la componente
ilness senza il disease. Es. stress post-traumatico.

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Ilness narrative: narrazioni del tuo disagio, accostarsi all’illness attraverso le narrazioni del
paziente, tramite la parola.
Tutte le tre componenti convergono, si amplificano a vicenda.
Lo “stare male” non può mai avere una definizione netta, è una biografia impersonata.

Fra gli elementi più importanti che studia l’antropologia di una cultura che sono embodied
attraverso le tecniche del corpo e che quindi costruiscono habitus è l’habitus estetico.
La conformazione naturalizzata che ti permette di percepire il bello o il brutto (parole etnocentrate,
da vedere se corrispondono in altre culture)

Henri Matisse, “il sarto della luce”


Matisse nel 41 sta male, viene ricoverato a 72 anni circa, si opera e l’operazione va a buon fine ma
deve rimanere a lungo in ospedale, un lungo periodo di degenza.
Un giornalista gli propone di fare un’intervista, dovendo stare a lungo in ospedale, e lui accetta.
Dopo 5/6 mesi, era guarito e giunge la prima bozza prima della pubblicazione, lui non autorizza la
pubblicazione. L’ intervista si smarrisce, viene poi ritrovata e pubblicata. “L’intervista perduta”,

Matisse pronuncia una frase che nella sua sintesi è il concentrato dell’antropologia dell’arte:
“Non sono capace di distinguere tra il sentimento che provo per la vita e il mio modo di
esprimerlo” : l’idea della percezione estetica come fenomeno embodied.
L’arte è al di là della portata delle parole, inarrivabilità intrinseca.
Vi è un nesso profondissimo, forse completamente mai raggiungibile e mai comprensibile
davvero, tra il modo di esprimere quello che provo e ciò che provo, sono due sfere che si
sovrappongono.

(Risposta ad un giornalista : “il jazz è aria in movimento” just in Paris Chet Baker)

L’antropologia non è un’alternativa ai discorsi, dibattiti e analisi critiche degli storici dell’arte,
l’antropologia cerca di arricchire le prospettive ma non è una prospettiva alternativa perché
l’approccio antropologico va al di là del discorso tecnico o estetico.
L’analisi che sviluppa l’antropologia va oltre lo studio delle forme, non sono analisi INTRA
estetiche. L’antropologia ritiene che non si possa capire l’oggetto artistico come concatenazione di
forme così come una frase non si può vedere come concatenazione di grammatica.
Il piano formale non è l’unico piano di analisi.

Matisse: da un lato ci sono i mezzi con cui mi esprimo, dall’altro il mio senso della vita e sono
inseparabili. Sentimento-> feeling, feel-> sentire

Es. La popolazione Kambot, Papua Nuova Guinea, realizza delle tavole chiamate dagli occidentali
“storyboards”. Queste “storyboards” sono delle opere entrate nel mercato dell’arte
contemporanea. Si tratta di tavole di legno di 100x50cm, incise molto finemente e poi dipinte.
Si chiamano anche “tavole di racconto”, perché le incisioni sono una sorta di sceneggiatura per la
rappresentazione di immagini di un racconto nativo. La cosa interessante è la sorte che hanno
avuto queste tavole di racconto (bisogna partire dalla considerazione che tutta la zona del
Pacifico Occidentale è stata colpita per decenni da una colonizzazione durissima che si è
accompagnata ad una cristianizzazione durissima, sono stati vietati tutti i rituali, durante i quali
venivano intagliate suddette tavole).
La loro è stata una cultura deculturata: purtroppo la comunità Papua è una delle comunità che
più ha subito un processo di deculturizzazione fino a quasi l’estinzione. Negli anni ’60-’70 del
Novecento però c’è stata una sorta di ripresa, dovuta alla progressiva decolonizzazione, ma
dovuta anche al fatto che i Papua sono stati gradualmente messi a contatto con molti mezzi di
comunicazione (tv, radio). L’interazione con questi mezzi di informazione hanno avuto un effetto
sorprendente: i Papua hanno ricominciato, in maniera inaspettata, a rivitalizzare alcune delle
tradizioni che sembravano essere perse per sempre. I giovani hanno avuto un ruolo molto

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importante: in particolare è stata rivitalizzata la costruzione di queste tavole di racconto.

Queste tavole rappresentano scene della vita quotidiana di un villaggio Papua: ci sono danzatori,
pescatori, piroghe, cerimonie, animali...
Cosa ci vedono i turisti che le acquistano così assiduamente? Perché questi prodotti cominciano
a piacere?
Queste tavole rappresentano il cuore della cultura Papua, comprare una di queste tavole è come
portarsi via “l’essenza” della cultura e del nativo in quanto tale (sono armoniche, serene, delicate,
ancestrali). I Papua stessi si rendevano conto di questa cosa: qui emerge uno dei problemi chiave
dell’analisi antropologica, ovvero il problema dell’autenticità.
Queste tavole sono contemporaneamente autentiche e false: sono autentiche nel senso che sono
realizzate dai Kombat, ma sono false perché rappresentano un mondo che ormai è
completamente scomparso.
C’è un’essenza che si può riflettere in quel modo di rappresentare, ma i Papua di oggi non sono
più, i Papua puri e “originali” di anni fa.
A noi non interessa come antropologi l’autentico “in sé”, ma la percezione dell’autentico.
A noi interessa capire per quale motivo quel tipo di storia per i Papua è una storia autentica,
anche se il loro mondo non è più così (hanno le jeep, i Mc Donalds). Lavorando dal punto di vista
emico, l’antropologo si immerge nelle categorie locali e lavora all’interno delle categorie locali; la
percezione della cosa è più importante della cosa in sé.
I Papua si sono appassionati ai mezzi di comunicazione perché in qualche modo sono rimasti
meravigliati dalla vastità dell’universo al di là del fiume, ultimo confine del loro villaggio. Dopo
questo senso di meraviglia è nato in loro il desiderio di mostrare al mondo ciò che loro sono.

PRIMO ESEMPIO. La linea nell’arte Yoruba. In Africa occidentale, l’ambito culturale Yoruba,
ampissimo e molto ricco, da importanza alla linea: La nettezza, la precisione, la purezza,
l’essenzialità della linea.; la linea è un gesto, una forma potente.
La linea entra a far parte della vita quotidiana: i busti delle statue, i vasi, i tessuti dei vestiti, la linea
è sempre presente. Gli Yoruba tracciano delle linee sui loro stessi volti con la scarificazione.

Qual è il sentimento della vita espresso attraverso la linea?


(Analisi antropologica che parte dal monito di Matisse).

Le scarificazioni sono delle ferite a forma di linea che si cicatrizzano; queste linee non vengono
chiamate tagli, ferite, sfregi, gli Youruba usano la parola scavo.
La linea è associata alla civilizzazione: La frase “il nostro paese è civile” è tradotta come “questa
terra ha linee sul volto”, frase Yoruba.
Uno degli autori che hanno studiato questo fenomeno è Thompson, che scrive il libro “Yoruba
artistic criticism”, Thompson scrive in lingua Yoruba (immersione).

Osakeke Osako (Moodle): due espressioni che significano rispettivamente: egli incide i segni e
ripulisce la boscaglia, la Bruss; incidere i segni.
Apertura di segni sul volto->apertura di strade, sentieri, segnare nuovi confini.
Il contesto Yoruba è ricco di natura, disboscare, aprire spazi è mettere in comunicazione villaggi,
persone: socialità, storia, civiltà, antropizzazione, imposizione dell’uomo.
Strada: civilizzazione

Olanon ollaala olapa significa: egli ha aperto un nuovo confine, un nuovo sentiero, una nuova
strada: 3 espressioni diverse che partono da là, il verbo là è il verbo base per esprimere la
cicatrizzazione.
La forma stilistica di espressione è quello che rappresenta la strada, quindi la linea.

In antropologia più che la parola arte, che si usa piuttosto al plurale: Le arti, si usano due modi di
dire: espressione estetica e percezione estetica.
-Espressione estetica: tratto universale, cross cultural, dappertutto sempre e comunque. Ogni
civiltà nel tempo si è espressa esteticamente: accostare colori, forme parole, suoni, movimenti,
accostare materiali per produrre una percezione estetica.

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-Percezione estetica: contenuto di esperienza, attraverso i sensi (Mauss, corporeità),


estremamente variabile. Nasce dal rapporto di una persona con un oggetto, cioè il prodotto
dell’espressione estetica, la persona deve avere una disposizione a farsi cogliere dalla percezione.
Questa disposizione è habitus.
La percezione estetica non si traduce esclusivamente e dappertutto con una categorizzazione tra
bello e brutto.
La percezione estetica è un fenomeno con due componenti: soggettiva e sociale. Soggettiva per
l’unicità di ogni individuo e sociale (Mauss) perché è iscritto ad un contesto, visione storica,
religiosa, geografica.

11 LEZIONE:

Sentimento: intelligenza delle emozioni


“Il mio cuore ha ragioni che la ragione non conosce” -Pascal

Es. Dallo studio di Unni Vikan emerse che nella cultura Balinese il verbo Mekene è intraducibile.
L’unica traduzione possibile fa ricorso ad un verbo inglese nato dall’unione di due verbi inglesi feel-
think, il termine “Kene” è dunque traducibile come “sentimento pensiero”, “feeling-thinking”.
Emozioni felt-thought

Problema etnografico di comprensione.


Nella cultura occidentale i due verbi sono opposti, decisione di pancia/cuore-> testa

(Eugenio Bornia rivoluziona la psichiatria, opponendosi all’idea normativa basata sull’utilizzo dei
farmaci, le sue riflessioni, contenute ne “L’intermittenza del cuore”
Pietrificazione dell’esperienza Intelligenza, creatività sono macchine meravigliose ma inerti,
meccaniche, schematica
Il dolore le mette in moto)

SECONDO ESEMPIO: Scultura Kalahari b della Nigeria


In questa cultura le sculture sono come dei nomi pietrificati, nomi di uno spirito, resi in forma di
oggetto.
In quanto occidentali siamo abituati al fatto che il nome sia una parola, non un’immagine. Nella
sfera eterea in cui si muovono questi spiriti, lo spirito incontra l’oggetto del il proprio nome, lo abita
e abitandolo lo anima.

-Gradi di animatezza: nella nostra cultura siamo portati a pensare agli elementi come animati e
inanimati (immobilità).
She/He/It: It: cosa. Nella cultura Sami qualunque elemento dell’universo possiede un grado di
animatezza. “It” non esiste. Cosa/persona: dicotomia radicale, fondamentale.

Nella lingua Kalahari non esistono gli aggettivi bello/brutto attribuiti alle sculture. Linguisticamente
non si può formulare la frase, dunque non esistono categorie relative alla percezione estetica
esprimibili con bello/brutto. Una scultura calamai può essere buona/cattiva.
La percezione estetica è embedded in un’altra modalità valutativa, sempre attraverso una
percezione.
Le attribuzioni di buono/cattivo dipendono dalla qualità formale, se la scultura non è di qualità
significa che il nome non è chiaro e lo spirito non lo riconoscerà. Lo spirito può entrare in una
scultura sbagliata e nel caso può vendicarsi di chi ha tradito la qualità formale del suo nome.

Come facciamo a cogliere il sentimento della vita che viene espresso tramite un’espressione e una
percezione estetica locale? Comprendere l’opera dal punto di vista emico, quando comprendi dal
punto di vista emico il discorso può proseguire.

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Es. Gaugin, dipinge quello che lui pensava fosse il sentimento della vita di Haiti, non la verità, il
vero sentimento di Haiti.

Come si coglie il punto di vista emico di una forma d’arte? Questa domanda chiama in causa tutti i
concetti ghianda, va però usato in particolare il quarto: strumento molto potente per arrivare alla
risposta, a cogliere il sentimento della vita.

Clifford Geertz (1926-2006), considerato per tre decenni l’antropologo americano più influente;
studia arte.
Segna una rivoluzione nella storia degli studi di antropologia; fornisce l’impostazione più profonda
per risolvere il problema posto prima.

Nella storia dell’antropologia, da Malinowski in poi, l’antropologia si è costruita tra due poli, il polo
dell’esperienza: la ricerca sul campo, l’osservazione partecipante, la raccolta di cose concrete,
fotografie, appunti, testimonianze.
L’altro polo è la teoria: ipotesi, formulazione di leggi, asserti, spiegazioni, generalizzazione.

Come si passa dall’esperienza alla teoria (se si può)?

1)Prima operazione: descrizione. Sono sul campo, faccio esperienza e descrivo.


Es. Brasile, lungo il fiume San Lorenzo, la comunità Bororo. Inizia la ricerca sul campo, scrivo sul
quaderno che questa popolazione dice: ’noi siamo Arara rossi’
2)Comprensione/traduzione: scopro che la traduzione è : ‘Noi siamo pappagallini
amazzonici’ (Arara: pappagalli variopinti)
3)Comparazione: Tramite conferenze, discussione con i colleghi.
Es. Uno studioso durante una conferenza afferma: “Io ho fatto ricerca in Africa, fra gli Asande,
dove ho riscontrato che viene detta questa frase: ‘i gemelli sono uccelli’, che sembra avere delle
affinità con la frase “noi siamo Arara rossi”, che è l’oggetto di studio. Si crea un gruppo di studiosi
che lavorano insieme.
4)Generalizzazione: dopo mesi si formula una certa spiegazione: In certe aree del mondo e
contesti, alcune popolazioni operano uno scambio categoriale tra animalità e umanità. Uccelli->
umani. Tipica informazione generalizzante di carattere antropologico.

Tutto ciò è sbagliato-> Geertz smonta completamente tutte le convinzioni concettuali che avevano
caratterizzato questo modo di procedere.

Costruisce una critica del piano terra, dall’operazione di descrizione.


La descrizione ai tempi di Geertz era considerata, e lo è stato per molto tempo, un passaggio
ovvio, scontato, autoevidente, non sollevava grandi quesiti.
Geertz pensava che gli antropologi si fossero illusi che la descrizione etnografica fosse uguale alla
descrizione degli scienziati naturali.
L’antropologia però nasce sulla base delle scienze naturali, ma nonostante entrambi gli studiosi
siano scienziati del vivente, non sono la stessa cosa.
Per decenni gli scienziati tentano di fare “Scienza naturale delle società”

Unità descrittiva :
Es.
’I rapporti di dominanza del branco possono avere rilevanza in momenti delicati della vita delle
renne’ o ‘durante inverni rigidi la competizione per il cibo di fa pressante’ .
Le frasi in rosso rappresentano un frame descrittivo, ovvero elementi di carattere generale che si
usano per descrivere i comportamenti animali.
La cornice che si adopera per descrivere dunque un frame descrittivo applicabile a tutte le scienze
naturali: è stabile, condiviso, neutrale.
Neutrale-> In qualunque tipo di scienza naturale la descrizione è INDIPENDENTE dall’oggetto che
sto descrivendo.

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In Antropologia non ci sono oggetti di studio ma soggetti di studio, nella descrizione etnografica
non si può usare un frame neutrale. Il soggetto descritto deve partecipare e deve essere coinvolto
nella sua stessa descrizione, il suo coinvolgimento è inevitabile.
La descrizione etnografica non è mai oggettiva, è sempre INTERSOGGETTIVA, la descrizione non
può prescindere dal rapporto diretto che si ha con le persone che si descrivono.

Gilbert Riley filosofo a cui Geertz si rifà.


(Esperienza su campo: polo esperienza)
1 situazione sociale a: nota un Tic ,di una ragazza a lezione (involontario )
2 situazione sociale b: ammiccamento , del prof (volontario, socialmente condiviso, messaggio)
3 situazione sociale c: parodia ,ragazzo che imita l’ammiccamento del prof
4 situazione sociale d: prova, attore che allo specchio prova facendo così con l’occhio
Ecc.

“la persona sta contraendo istantaneamente l’occhio sinistro-> THIN description


“Il ragazzo sta cercando di imitare un gesto del prof caricaturizzandolo con gli amici per
conquistare la ragazza che gli piace” -> THICK description
Infinita oscillazione tra thin e thick

QUARTO CONCETTO GHIANDA: THICK DESCRIPTION

Descrizione non interessata soltanto/tanto alla ragioni storiche, economiche, politiche ecc.
dell’agire sociale; la descrizione densa tenta di cogliere il significato che ha quell’azione per chi la
compie in quel momento.

Polaroid, fotografia dell’occhio contratto: Linguaggio osservativo neutrale: non sufficiente ma


necessario, bisogna poi aggiungere il significato.

Es. I Fore della Nuova Guinea mettono in atto un processo di antropofagia: si cibano di parti del
corpo di esseri umani, ovvero di un frammento di un loro caro appena morto: sepoltura per
ingestione, atto di straordinaria pietas. Dò come sede per il riposo eterno di un mio caro il mio
stesso corpo.
Dobbiamo parlare di cannibalismo o di sepoltura per ingestione?
Significati nativi: atomo di analisi dell’antropologia, unità minima di analisi.

Per Geertz l’Antropologia non è una scienza sperimentale in cerca di leggi ma è una scienza o
disciplina interpretativa in cerca di significati.

Come si creano descrizioni dense?

12 LEZIONE:

La descrizione densa è quindi composta dalla descrizione fisica dell’azione più i significati nativi
dell’azione: si aggiunge un livello semiotico: di significato, cogliere i determinanti interni dell’azione.
Sistemi nativi di significato

Da Geertz nasce un nuovo modo di fare antropologia, da un frame epistemologico di base

Un elemento di partenza per produrre una descrizione densa è l’interazione tra me e l’attore
sociale, per cogliere i suoi determinati interni e le sue motivazioni: intersoggettività.

Es. Nella lingua balinese non esiste un verbo generico per intendere il verbo “mangiare”, ci sono
tanti termini diversi che sono differenziati anche dal punto di vista etimologico; i termini si
differenziato sulla base di chi mangia con chi.

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“Miunaan” significa mangiare applicato ai sacerdoti, “madaar” significa mangiare applicato agli
stranieri.
Per poter produrre qualunque tipo di descrizione si deve accostare una categoria nativa ad una
categoria familiare, una categoria mia, che conosco, proveniente della mia cultura.
Si deve comparare, quindi tradurre.
Miunaan : mangiare applicato ai sacerdoti,
Mangiare: categoria della mia cultura a cui mi riferisco per descrivere

Comprendiamo che: descrizione, comprensione, traduzione, non avvengono in momenti diversi,


sono tutte schiacciate nel livello descrittivo. Per descrivere devo contemporaneamente
comprendere, traduttore, comparare.
Per la descrizione densa è fondamentale guardare all’uso dei termini in un contesto linguistico-
pratico, non si basa su operazioni logico-astratte.

La descrizione era prima di Geertz pre-teorica, tecnica, banale; per Geertz invece la descrizione
rappresenta la massima complessità possibile.

L’esempio di “miunaan” e “madaar” rappresentano l’inaccessibilità diretta dei significati nativi.


I significati nativi possono essere colti indirettamente, ma soltanto filtrandoli attraverso il
significato di “mangiare” in italiano, una categoria estranea alla cultura nativa.
Interpretazione, vincolo intepretativo

Nel 1973, quando esce il volume di Clifford Geertz “Interpretazione di culture” giunge la nozione di
antropologia interpretativa, teoria interpretativa della cultura, (anche detta svolta ermeneutica).

Geertz si pone in una terza prospettiva rispetto a quella dell’azzeramento o della rinuncia.

Geertz pensa che le categorie, la soggettività dell’antropologo, siano categorie pelle non maglietta:
hanno una certa ingombranza ma non sono un pericolo così pesante, anzi sono l’unica risorsa che
si ha per avvicinarsi alle categorie native, sono uno strumento di comprensione, l’unico.

Aggiustare le categorie:
Es. differenze tra medico/sacerdote/sciamano, tramite queste definizioni si cerca di interpretare
cosa possa essere un: ”medico senza laurea, un po’ un sacerdote, un esorcista… “.
Nell’operazione di interpretazione non vengono prese esattamente le categorie della cultura
dell’antropologo e poi riferite al fenomeno, le categorie vengono comparate rielaborandole,
adattandole, dilatandole.
L’antropologia diventa uno strumento di critica culturale.

Es. Isole Trobriand, Malinowski: Struttura matrilineare: Nella casa abitano la mamma e tutti i fratelli
maschi (zii materni), mentre il papà biologico si trova in un’altra famiglia. Per comprender questo
tipo di famiglia devo fare riferimento a ciò che intendo io quando parlo di famiglia.

Questo processo rappresenta soprattutto una critica culturale dei significati occidentali, che
viene messa in atto ogni qual volta si cerca di interpretare un’altra cultura, questo è il valore più
profondo dell’antropologia.

Descrizione densa-> inaccessibilità diretta dei significati nativi-> vincolo interpretativo-> critica
culturale dei significati occidentali: messa in discussione, comprensione profonda delle ragioni alla
base della nostra cultura

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La comprensione etnografica non è un atto mentale, è una tecnica del corpo, determinata dal
gusto, dall’olfatto, dal movimento, della sensorialità, della prossemica (modo in cui stiamo vicini e
lontani): “carne e fiato”
Tramite l’embodiement, coinvolge in modo olistico tutto il nostro SELF.
Gli elementi espressivi sono principalmente NON verbali, sono esperienziali, bisogna toccare,
mangiare, fare, vivere.

Nozione base di linguaggio:


Il sistema di simboli vocali arbitrari usato dagli esseri umani per codificare e per esprimere
l’esperienza di sé e del mondo.
Fenomeno bio-culturale: Bio perché necessita dell’apparato di fonazione, culturale perché
socialmente condivisa, trasmessa con l’apprendimento ecc.

Es. Giava, Indonesia, 85 milioni di abitanti, stato fortemente stratificato (stratificato: diviso in classi
sociali), basato sulla cultura del riso.

“Are you going to eat rice or cassava now?”: 5 modi per tradurre questa frase in giavanese
Are: menapa->napa->apa: in base alla stratificazione sociale, ai ranghi sociali, con relazioni di
potere diversi, vengono utilizzate parole e frasi diverse.
Questo fatto sociale (stratificazione) viene codificato linguisticamente.

E’ stato prodotto uno schema per comprendere queste 5 diverse traduzioni, nonostante ciò lo
schema che è risultato dall’analisi non serve davvero per parlare giavanese perché non dà
l’informazione fondamentale che serve per parlare giavanese: il significato di “posizione altissima,
posizione alta, stessa posizione non intime” : il criterio di comprensione dei ranghi sociali.

Es. canti Piek in Groenlandia con un Inuk: qualcuno del posto può invitarti a cantare il canto con
lui, voi diventate automaticamente “compagni intimi di canto”.
Concetto di intimità: molto complesso e diverso in tutte le culture.

Dunque: Le regole grammaticali consentono di codificare il significato ma non costruiscono mai di


per sé il significato, il significato lo dà la vita.

Es. Noam Chomsky studia l’apprendimento linguistico dei bambini e parla di “competenza
linguistica” quando i bambini sono in grado di esprimere giudizi di grammaticalità dell’enunciato.
Dell Hymes modifica ciò che viene detto da Chomsky, lavora sul fatto che la competenza
linguistica non dà il controllo dei significati, che invece vengono costruiti solo nel contesto, vivendo.
Formula quindi il concetto di “competenza comunicativa”, formulare frasi linguisticamente
corrette e appropriate al contesto.
Parlare una lingua: tecnica del corpo

Ludwig Wittgenstein: filosofo e logico austriaco, molto carismatico.


“Come una parola funzioni non lo si può indovinare. Si deve stare a guardare e imparare di lì. Il
parlare un linguaggio fa parte di una attività o di una forma di vita.” -Wittgenstein

Il linguaggio è un tessuto, pieno di fibre.


Fibre: linguaggio, cibo, storia, clima, parlare, grammatica, ambiente di un luogo.
Stanno insieme perché hanno vincoli di coesistenza contestuale.

“Comprendere una parola è assorbire l’esperienza vissuta del suo significato. E’ un’impresa
pratica. E’ immergersi in una forma di vita”

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Non puoi capire Beethoven se non hai visto certi palazzi, perché quei palazzi sono fibre della
parola Beethoven.
Wicchtenstein : Beethoven è un assetto architettonico, rimanda ad un certo modo di fare i
lampadari, le sale ecc.

13 LEZIONE:

Teoria della metafora di Lakofe (Leicof) e Johnson

Metafora: (da questa definizione parte l’interesse degli antropologi)


La metafora è un dispositivo linguistico che viola (qualcosa, che trasgredisce qualcosa) le normali
regole di denotazione, collegando fra loro due campi semantici irrelati.

Regole di denotazione: il principio secondo cui connotiamo degli aggettivi in senso proprio, es.
“tavolo pesante”, pesante: denotativo di tavolo; non posso invece dire che questo tavolo è timido.

Es. di metafora nella quale si ha questo tipo di violazione:


“Giovanni è un pavone”: si usano due campi normalmente non messi in relazione tra loro, persona/
pavone. Io soggetto che parlo, potrei utilizzare altri termini, conosco dei denotativi “appropriati”, es.
“Giovanni è un vanitoso”.

Compiendo questa violazione della denotazione, associando i campi semantici in questo modo, ho
una denotazione più efficace, immediata. In una comunità di parlanti la metafora funziona se è
condivisa, quindi può essere compresa.

Es. Negli anni 60 negli Stato Uniti nasce il modo di dire “Cops/Pigs”, anche in quel caso si sarebbe
potuto dire “i poliziotti sono violenti, autoritari ecc.”.

Primo tipo di metafora: metafore descrittive, metafore in cui c’è questo collegamento tra campi
semantici comunemente irrelati, per fare una descrizione che inchioda il soggetto o l’oggetto, che
arriva immediatamente.
Sono spesso metafore descrittive le parolacce, es. stronzo: immediato, termine della sfera
scatologica (bagno).

1) Metafore descrittive
2) Metafore cognitive

Esempio:
“Il signore è il mio pastore”, salmo (22, 23) di Davide, 1000 a.C. :
Questa frase si iscrive all’interno del contesto di una comunità pastorale, non ha un potere
referenziale diretto, quindi è una metafora.

La metafora funziona con due campi semantici, un primo campo semantico che si chiama dominio
sorgente e un secondo campo semantico: dominio bersaglio.
La metafora compie una mappatura del dominio bersaglio a partire da elementi del dominio
sorgente.

Dominio sorgente: pastorizia


Dominio bersaglio: divinità (il concetto di divinità da noi, nella nostra comunità di pastori)

Caratteristiche del dominio bersaglio:


1) E’ di straordinaria importanza per gli attori sociali, è centrale nella loro vita
2) Non lo conoscono adeguatamente, a differenza delle metafore descrittive, gli attori sociali si
rendono conto di non conoscere i denotativi adeguati.

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Dunque, dominio bersaglio:


elementi culturali di una società, estremamente importanti, ma rispetto ai quali gli attori sociali non
hanno i denotativi adeguati.

In questo esempio, il tema della divinità ci rimanda al concetto di ineffabilità, la divinità è un campo
ineffabile, gli attori sociali non trovano delle parole adeguate per poterlo rendere, per questo
rincorrono all’uso del dominio sorgente.
Il dominio sorgente dunque ha a che fare con un’altra sfera di carattere quotidiano, molto
importante per la società, in questo caso la pastorizia:
Gli attori sociali, lavorando sulla propria esperienza di pastori, riscontrano una serie di elementi utili
per poter esprimere le caratteristiche che sentono debba avere il dio, che non riescono, non sanno
come esprimere diversamente: METAFORE COGNITIVE.

1) Metafore descrittive: Descrivono. Io so, conosco ciò di cui parlo, quindi descrivo usando la
metafora.
2) Metafore cognitive: Ho un problema di conoscenza, voglio poter conoscere elementi del
dominio bersaglio, allora utilizzo una mappatura di carattere semantico. Il dominio sorgente
offre risorse linguistiche di carattere cognitivo per poter fornire un’immagine di quello che io
sento essere una caratteristica importante della divinità in cui credo.

Nelle metafore cognitive si può rovesciare come un guanto la metafora, ovvero esplicitare quella
che si chiama implicazione metaforica; ogni metafora cognitiva ha un’implicazione metaforica.

Implicazione metaforica:
Es. “Io sono una pecora”
In questo esempio, il significato metaforico di pecora, non ha niente a che vedere con la nostra
tipica concezione del termine in senso metaforico, ovvero “ignorante, capra, che segue la massa”
In altre culture “stare in gregge” non significa accodarsi, non pensare, essere ignorante; in alcune
culture è un aspetto positivo, indica la necessità positiva di essere guidati, curati. Il concetto che
non siamo autosufficienti ma abbiamo bisogno del nostro PASTORE per guidarci, curarci, aiutarci.

L’implicazione metaforica esprime un’implicazione di sé:


Un’antropologia implicita, pensare gli elementi fondamentali della mia umanità:
Chi siamo, da dove veniamo, che c’è dopo la morte? La risposta è “Io sono una pecora/ Il signore
e il mio pastore”

Conseguenza metodologica: (Vale per tutte le metafore ma soprattutto per quelle cognitive)
C’è una conseguenza, un monito, un’indicazione su come svolgere l’analisi antropologica, se ad
esempio sei un antropologo interessato di religione, fai domande sulla pastorizia non domande sul
dio, perché le domande sulla pastorizia possono ricondurti al concetto di “Io sono una pecora/ Il
signore e il mio pastore” .
L’antropologo deve immergersi nella sfera della pastorizia per capire la religione (sistema)

LINGUAGGIO:
Il significato è un tessuto, gli antropologi intrecciano fibra con fibra.

Es. Bororo “Noi siamo Arara rossi”

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I Bororo compaiono per la prima volta nel mondo occidentale in uno scritto del 1894 di Karl von
Den steinen, non ancora un etnografo. Egli raccoglierà informazioni sui Bororo attraverso la ricerca
sul campo perché era un esploratore.

Emile Durkheim (Annè sociologique), è stato un sociologo, capo del gruppo di studiosi che
comprendeva Mauss e Bruhl.
Bruhl nel 1910 pubblica “Le funzioni mentali nelle società inferiori”.
Bruhl sosteneva che ci fossero comunità con pensiero immaturo, l’immaturità era come “urla di un
bambino”, Bruhl non farà etnografia, non va sul campo. In questo libro è evidente la
generalizzazione pre-geertziana.

Metodologia interpretativa:
Christopher Crocker pubblica uno studio: “Mio fratello il pappagallo”, 1975.
Va sul campo, nel 1975 non era più un concetto messo in discussione.

Intreccia fibre:
Prima fibra) Il processo del suo studio inizia col capire che la frase non ha potere referenziale
diretto, dunque sa di star lavorando con una metafora.

Seconda fibra) Comprende la centralità del sistema di credenze, incentrato su una “divinità”,
l’Aroe. L’Aroe non rimanda al nostro concetto di divinità, infatti rappresenta la forza vitale della
foresta amazzonica, che non è personale (non un dio impersonato), ma è soggettiva.
Con ciò si intende che la forza vitale si vede nella rigogliosità dell’aroe, si parla di energia
soggettivata.
L’elemento più evidente dell’Aroe sono i colori dell’Arara, ovvero i pappagalli molto variopinti.
L’Arara è l’animale sacro dei Bororo perché mostra inevitabilmente l’esistenza dell’Aroe.

Terza fibra) Lo studioso prende in considerazione la struttura di parentela dei Bororo, la società
matrilineare. La società matrilineare è basata su un concetto di famiglia che prevede che nella
casa familiare ci vivano la mamma e fratelli maschi della mamma. (Anche nei Trobriand troviamo il
matrilineaggio)
Questo tipo di matrilineaggio è molto particolare, è quasi l’unico di questo tipo; si può definire
matrilineaggio uxlilocale: Il padre biologico, che nei comuni matrilineaggi vive con un’altra famiglia,
con la sorella, vive anche lui nella casa familiare.
La situazione che ne risulta è armonica ma particolare, perché il padre non ha nessuna autorità
nella casa come “padre”. Rappresenta infatti il polo affettivo, non ha voce in capitolo nelle
decisioni. Gli zii hanno autorità.
Il padre biologico sta quindi come un pappagallino.
Questo perché in tutte le case Bororo ci sono gabbie con gli Arara, che sono amatissimi animali da
compagnia.
Croker interpreta questa frase tramite queste fibre che intreccia, poi si confronta con loro .
La frase è una battuta, una descrizione ironica di se stessi, degli uomini.

Finalmente si capisce che i Bororo avevano capacità ironiche, non erano come era stati descritti
per anni, ovvero dei bruti, forti, si rivelano per avere tutt’altra caratteristica, ovvero essere dei
semplici pappagallini.

4 fibre: DESCRIZIONE DENSA

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CREDERE :
Studio antropologico del credere, ambito fondamentale per le persone e l’antropologia.
Ambito nel quale applicare il metodo interpretativo, che non è un metodo, è una visione stessa
dell’antropologia.

“Credere”:
Il credo è religioso, politico, “io credo in te”… : ESPERIENZA COMPLESSIVA DI SE STESSI

Gli studiosi da subito si interessarono alle varie forme di credenze diverse. (Già Tylor in Primitive
Culture).

Il credere porta inevitabilmente al problema del COMPRENDERE, il credere è iscritto dentro al


paradigma interpretativo, perché le persone non si SPIEGANO, si COMPRENDONO (passaggio
epistemologico interpretativo).

Explanition/understanding
Erklaren/verstehen

Tra fine ‘800 e primi anni del ‘900 l’antropologia si è confrontata con altre religioni e altri sistemi di
credenze, forme di credenze incontrate da missionari, militari, ecc. molto lontane dalle religioni
conosciute dall’occidente.
L’antropologia nasce proprio dallo studio di chi crede cose che “noi” non crederemmo mai, che
facevano addirittura ribrezzo, soprattutto se chi studia è una persona che crede egli stesso in una
religione.
Gli antropologi hanno praticato un approccio, hanno operato una grande bipartizione, una
dicotomia fra gli esseri umani, a partire dallo studio dei diari dei missionari, dalle conoscenze che
arrivavano dalle periferie del mondo fino in Gran Bretagna (Impero).

Gli studiosi hanno sintetizzato due grandi modalità di atteggiamento degli attori sociali, questa
differenza emergeva soprattutto difronte alla domanda “perché mi è capitata una disgrazia?”

Religione classificatoria: Sciamanismo, animismo. (Animismo, Tylor, da anemos: va da vento a


soffio vitale, credenze in cui le persone pensavano che ogni elemento dell’universo avesse un
afflato vitale, soffio di vita.)

Religione storica: cristianesimo

Perché ci è capitata questa disgrazia?-> problema teorico dei nessi causali

Dalla fine dell’800 agli anni 30 del ‘900, il paradigma evoluzionista è stato quello più diffuso, che
prevedeva ci fosse qualcosa di “primitivo”, cioè venuto prima, non in senso dispregiativo, quasi da
un punto di vista tecnico.

Successivamente si sono definiti gli “altri” PRE-MODERNI, primitivi. (Ciò sostituisce il concetto di
selvaggio nell’800)
Gli ALTRI, i pre-moderni sono coloro che si orientano nella loro esperienza del mondo attraverso
l’atteggiamento del credere.

(Terremoti in Giappone: drago sottomarino che si scuote, leggende locali)

NOI, i moderni sono coloro che si orientano nella loro esperienza del mondo attraverso
l’atteggiamento del conoscere.

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Noi occidentali conosciamo, gli altri credono.

-Le credenze sono false; determinate dalla magia.


Es. Immacolata concezione di Maria, falsa dal punto di vista della conoscenza scientifica.

-Le conoscenze sono vere, verificabili; determinate dalla scienza.

Ne risulta una visione forte dell’irrazionalità del primitivo (peccato, ira degli spiriti) e un’idea forte
della razionalità occidentale (cause materiali, analisi scientifica).

Tutto ciò è SBAGLIATO

Questo approccio è chiamato APPROCCIO OGGETTIVISTA CLASSICO:


Studiare i fenomeni pensando che la credenza sia per definizione falsa perché non scientifica.

Se si utilizza l’approccio oggettivista classico non può esserci antropologia, c’è solo una dicotomia
tra scientifico e non scientifico, il mondo si divide in due.

Es. I Mai Mai erano convinti che le pallottole poi schivassero da bagnati, questa credenza continua
ad avere senso per questi soldati, anche difronte alla realtà delle cose.

Domanda: Credere e conoscere sono dinamiche opposte? La tensione oppositiva è assoluta,


radicale?

A rispondere a questo quesito è Evans Pritchard (1902-1973), antropologo britannico, uno dei più
importanti antropologi in assoluto. Lavora negli anni 40-50 del ‘900, è allievo di Malinoski.
Pritchard prende di petto questa domanda, egli si sentiva molto stretto nell’insegnamento che gli
era stato impartito di tipo oggettivista.
Pritchard va in Africa e sceglie una delle popolazioni africane che creavano più problemi al tempo
per quanto riguardava lo stabilire la razionalità o irrazionalità della stessa popolazione.

La popolazione in questione è la popolazione Azande (pronuncia: asande, con la s di snake).


Passa 4 anni in Africa, la sua ricerca sul campo dura dal 26 al 30.
Nel 1937 pubblica “Witchcraft, oracles and magic among the Azande”, “Stregoneria, oracoli e
magia fra gli Azande”, con il quale cambierà il modo di lavorare rispetto alle credenze.

Gli Azande hanno un sistema di credenze molto articolato, che si fonda sul concetto di mangu, il
male, inteso però in senso ampio, tanti elementi infatti rientrano nel campo semantico di mangu.
Mangu è un etnema, una parola proveniente da un altro contesto culturale, dove i campi semantici
non corrispondono ai propri.
(Polisemantico: Di vocabolo o ideogramma cui si riferiscono più significati)
Mangu significa anche la capacità di fare male.

La comunità Azande pensa che i componenti della società abbiano capacità di influire
negativamente sugli altri. Questo concetto viene infatti definito nel titolo come “Witchcraft”, anche
se non si riferisce alla stregoneria del Medioevo o del ‘500, fa riferimento piuttosto a questa
capacità di agire negativamente sugli altri componenti della comunità.
Esistono persone dunque che attraverso mezzi mistici, indirettamente, possono influire
negativamente sugli altri.

Come si capisce se una situazione di male, di disagio sia derivata dal mangu? (cioè da una
persona, femmina o maschio, intenzionalmente)

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Attraverso la consultazione oracolare, gli oracoli del BENGHE, benghe: veleno.


La consultazione dell’oracolo del Benghe è la più importante, all’interno della società ci sono
più oracoli che svolgono diverse funzioni.

Es. Ho un malessere perché penso che mia moglie mi tradisca, mi rivolgo ad un operatore rituale.
Gli spiego perché penso che mia moglie mi tradisca.

Rituale: L’operatore rituale prende una gabbia con dei polli e formula una domanda; ha il compito
di riassumere tutto il discorso della persona che si è rivola a lui in una domanda precisa, la cui
risposta può essere solo SI O NO.

È vero che la moglie ha tradito quest’uomo sotto l’effetto del mangu?

Alla la risposta si associa uno stato fisico del pollo (pulcino), gli viene somministrato un po’ di
veleno, dalla risposta fisica del pulcino si decreterà la risposta oracolare. Se il pulcino vive la
risposta è si, se muore la risposta è no.

-Poniamo che viva:


La risposta è affermativa, dunque la moglie è sotto l’effetto del mangu.
Questa consapevolezza porta ad una seconda domanda che Pritchard inizialmente non capisce;
Si tratta di una domanda di verifica.
L’operatore rituale tira fuori un altro pulcino e ripete il rituale daccapo, stavolta la domanda sarà:
“La risposta oracolare appena risultata è vera o falsa?”
In questo caso se il pollo vive la risposta è no, se muore la risposta è si, dunque vera.

(All’inizio Pritchard cataloga questa ripetizione in una categorizzazione occidentale, usa infatti il
termine “verifica”, parola tipicamente occidentale, di carattere scientifico)

Pritchard nota delle contraddizioni nel rituale, si chiede e chiede poi agli Azande se la mal riuscita
del rituale possa derivare dal fatto che ad esempio l’operatore rituale abbia somministrato poco o
tanto veleno, da quello dunque per lo studioso, non dalla veridicità della frase per cui il rituale è
stato messo in atto, deriva la risposta fisica e la conseguente interpretazione da parte
dell’operatore rituale.

Pritchard si trova di fronte al fatto che gli Azande non capiscono bene il senso di queste domande,
questo perché gli Azande hanno risposte coerenti per ogni tipo di interrogativo di quel genere.

Ci sono una sfilza di tabù che l’operatore deve rispettare se vuole svolgere il suo lavoro, una serie
di regole da rispettare per essere affidabile nell’esecuzione. Il rispetto di questi tabù però, molto
numerosi e impegnativi, non veniva controllato. Gli Azande non verificavano preventivamente se gli
operatori rituali fossero in grado o meno di svolgere il rituale.

Da questo concetto, ovvero dal fatto che gli Azande avessero risposte coerenti per ogni tipo di
contraddizione che potesse nascere da analisi svolte al di fuori del contesto culturale degli Azande,
si ricava il concetto di AUTOPORTANZA.
Autoportanza: Ogni sistema di credenze è creato x disambiguizzare le contraddizioni interne, vi
può resistere.

A seguito di questo studio è evidente capire che l’accusa di irrazionalità mossa verso questa
popolazione sembra essere sensata, questo studio sembra confermare l’irrazionalità di questo
popolo. Lo studio però va avanti…

Evans Pritchard viene a sapere stando con gli Azande che il mangu è anche inteso come una
sostanza fisica, non solo una capacità di influire misticamente sugli altri. Analisi post mortem infatti

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venivano praticate per constatare o meno la sua presenza tramite un taglio sulla pancia che
poteva mostrare la presenza di una bile (mangu).
Questa sostanza fisica, il mangu, è ereditario.

La considerazione empirica svolta da Pritchard è la seguente: La società Azande è patrilineare, la


popolazione è bassa demograficamente, dunque i vincoli parentali tra gli Azande sono
numerosissimi, talmente numerosi da arrivare a legare con questi vincoli tutti gli abitanti.
Da ciò deriva che se c’è il mangu in un clan di parentela, in un altro clan non ce l’ha nessuno.

Queste considerazioni non vengono capite dagli Azande.

Proseguendo gli studi Pritchard si rende conto di una cosa che lo lascia allibito: gli Azande sono
perfettamente consapevoli dei nessi causali empirici, materiali delle cose.

Gli Azande sono bravissimi vasai di terracotta, questi vasi li vendono.


Es. di Pritchard: Un Azande lavora tutta la notte ad un vaso da consegnare al cliente l’indomani, la
notte stessa lo fa cadere, non lo può più consegnare in tempo.
Questo collegamento di nessi causali è perfettamente chiaro all’Azande.
La sua interpretazione però sarà: “mi hanno fatto il mangu “

Es. del granaio: Un caro sta bevendo accanto a un granaio, viene giù la trave del granaio e muore.
L’Azande è perfettamente consapevole del fatto che la trave sia caduta per le termiti che hanno
mangiato il legno che non è stato controllato e sostituito.
La sua interpretazione però sarà: “gli hanno fatto il mangu “

Prima degli studi di Pritchard si pensava che queste popolazioni non fossero assolutamente in
grado di trovare nessi empirici, dopo invece si capisce tutt’altro.
La risposta alla domanda occidentale “Se sono in grado di comprenderli, perché non si soffermano
solo sui nessi empirici?” È che agli Azande i nessi empirici non interessano, non sono importanti.

Metafora della seconda lancia:


Il mangu è la seconda lancia
-Prima lancia: come le cose accadono,
-Seconda lancia: perché

Fa emergere nel pensiero Sande (se si dice “pensiero”: si leva la A) la presenza di una doppia
teoria della casualità : 2 livelli di causa del male

Gli Azande vogliono capire perché quel pomeriggio specifico c’era mio fratello e non il tuo,
sorte individuale: perché quella cosa è capitata proprio a ME.
Perché si è spaccato il vaso che mi serviva per vendere e non uno di prova o in un’orario che mi
avrebbe permesso di farlo daccapo?

Le nostre vite corrono per binari paralleli, ad un certo punto si incontrano in un’istante, cosa li fa
incontrare? Mangu

I nessi materiali, empirici delle cose sono un numero tendente a infinito, non aiutano a determinare
davvero perché una certa disgrazia sia capitata. Non c’è fine alla produzione di conoscenza
scientifica, per questo non è deterministica.

Chi (soggetto) si trova in quel punto di connessone probabilistica tra due eventi che si sono
incontrati per dar luogo ad una disgrazia non si pone il problema di sapere in modo empiristico che
ad esempio la velocità della macchina che ha investito il proprio figlio fosse di 50 o 100 km/h, o

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che avesse uno stato psico-fisico alterato a causa dell’assunzione di alcool. Al soggetto colpito
dalla disgrazia interessa solamente che il “caso” sia lui/lei, che abbia un nome, che sia carne e
fiato.

Problema di determinare la sorte individuale: riflessione filosofica estremamente profonda

Wicchtenstein: “Anche quando tutte le nostre domande scientifiche avranno delle risposte, i nostri
problemi vitali non sarebbero stati nemmeno pur toccati”

Qual è dunque il sentimento che spinge gli Azande a rincorrere al mangu?


Il fatto, comune a tutta l’umanità, che il male necessita di senso, perché senza senso il male fa
troppo male.

Il problema della ricerca di senso si può risolvere in moltissime risposte diverse. Con il mangu, con
la religione, iniziando attività come la carità, la beneficienza ecc…: RIORGANIZZARE un senso
affettivo, di vita.
(Capacità di agire nel problema della ricerca del senso)

Es. Caso di una coppia che ha perso il figlio di 6 anni, iniziano ad occuparsi di beneficenza rivolta
ai bambini morti per cause analoghe a quelle del figlio.

Possiamo non usare il termine mangu, possiamo usare “fatalità, caso”, o rispondere con azioni tipo
il volontariato, ma staremo comunque facendo tutti la stessa cosa: rispondere al male dandogli un
senso.

Geertz risente degli insegnamenti di Prichard, possiamo usare una terminologia geertziana per
definire quanto appena detto: APPROCCIO INTERPRETATIVO all’analisi dei sistemi di credenze,
approccio oggi praticato totalmente, avendo superato quello oggettivista classico.

Nell’approccio interpretativo applicato ai rituali di stregoneria, le domande antropologiche non sono


più: “ma il rituale funziona o no, il benghe che veleno è, a cosa serve il rituale?”
LA domanda sarà COSA STANNO FACENDO DAVVERO , PER LORO? (Thickness)

14 LEZIONE:
Testo di Natalia Ginzburg su Moodle: “Le piccole virtù”->“I rapporti umani”, che esprime il concetto
secondo cui nonostante la formalizzazione della materia, al di sotto c’è sempre carne e fiato.

La parentela (affetto, innamorarsi, conflitti , consanguinei-non consanguinei) è una grandissima


area di interesse che ci dice come stiamo insieme.
I rapporti di parentela costituiscono un tessuto importantissimo che tiene insieme le persone.
(Antropologia della parentela)
Ci sono tanti aspetti densi da considerare attorno ad una parola come mamma, papà ecc…

Malinoski fu primo a costruire l’analisi della famiglia matrilineare.


Polemica tra Malinoski e Freud : Malinoski muove una critica a Freud in quanto si chiede come
possa parlare del complesso di Edipo in senso generale se dall’altra parte del mondo la famiglia è
intesa in modo completamene diverso (etnocentrismo).

Claude Lévi Strauss (Stross) 1908-2009, è uno dei maggiori studiosi di parentela, durante gli anni
’50/’60 ha rappresentato l’antropologia stessa.
Padre dello STRUTTURALISMO in antropologia culturale, una teoria potentissima che per tanti
decenni che ha fatto innamorare gli studiosi, tutti gli antropologi sono stati per un periodo

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strutturalisti, in quanto è una teoria molto affascinante perché da l’impressione di arrivare ad una
risposa vera, finale. Lo strutturalismo viene però superato dall’ermeneutica e dall’antropologia
interpretativa.
Strutturalismo->Interpretativismo

L’antropologia della parentela non si può studiare solo in modo teorico, ci sono dei schemi, anche
computerizzati, da analizzare.

Esistono due grandi ambiti di studio dell’antropologia della parentela, si possono studiare le
terminologie di parentela o le strutture di parentela.

Le terminologie di parentela sono sistemi di relazioni tra parole.


Le strutture di parentela sono sistemi di relazioni tra persone.
Due tipi di studi diversi che si completano.

Termini: mamma, zio, cognata, suocera; non sono uguali in tutte le parti del mondo e in tutte le
lingue ma nella maggior parte dei casi non sono nemmeno traducibili.
Per questo va adottato un’aggiustamento di categoria.
Lo studio delle terminologie parte da uno studio linguistico, è estremamente difficile.

Terminologie di parentela:
Morgan, avvocato americano della fine dell’800, anni 70/80 dell’800.
Fu il primo avvocato a difendere una comunità nativa in una causa contro una compagnia
ferroviaria su un contenzioso relativo all’espropriazione di una parte di territorio per estendere le
linee dei binari.
Morgan inaugura il diritto nativo: conflitti fra il diritto nazionale e il diritto nativo sul riconoscimento
delle proprietà e degli usi del suolo e dell’acqua.
Morgan, lavorando nel periodo evoluzionista, aveva un’ottica evoluzionista ma nonostante questo
non ha mai avuto atteggiamento negativo, anzi si offre con patrocinio gratuito di difendere questa
comunità.

Morgan si esprime sul fatto che le tipologie di parentela si dividono in due:

-Sistemi classificatori: il parente consanguineo in linea diretta e in linea collaterale ha lo stesso


termine:
Mio papà (linea diretta) e il fratello di mio papa (linea collaterale) è sempre “papà”.
Una certa parte di terminologie di parentela hanno questa caratteristica.

-Sistemi descrittivi: ogni parente riceve un nome specifico, papa, nonno, zio ecc.
Anche quando in italiano chiamiamo i vari fratelli del papà entrambi zio, è un sistema
classificatorio.
Ci sono lingue in cui OGNI persona ha il suo specifico nome.

Perché c’è questa differenza?


Morgan offre una risposta: le società primitive classificano, le società civilizzate descrivono; sistemi
sempre più analitici e che descrivono sempre di più: evoluzionismo.

Strutture di parentela:

Per studiare le strutture di parentela in antropologia ci sono due modi:

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1) Il primo modo è immaginare una retta verticale


Es. andare sul campo, studiare la parentela chiedendo a loro chi è figlio di chi.
Questo approccio è come tagliare in senso verticale la biografia storica (cronologicamente) delle
persone : DISCENDENZA (o ascendenza), tipico dell’antropologia britannica.

Se studiamo secondo l’approccio della discendenza, mettendo insieme le persone che vengono
indicate dalla persona che si sta studiando, emergono dei gruppi : gruppi di discendenza.
Gruppi di persone che stanno in gruppo in base il criterio della discendenza comune.
I gruppi di discendenza sono di due tipi: unilineari (lignaggi) o bilaterali (cognatici)

-I gruppi di discendenza unilineari tracciano la discendenza o per il tramite della padre


(patrilignaggi) o per il tramite della madre(matrilignaggi).
(Struttura matri/patrilineare)

(Noi siamo unilaterali per quanto riguarda il cognome, mentre la bilateralità si vede in tutto il resto
degli elementi della nostra parentela)

2) Il secondo modo è immaginare una retta orizzontale


Es. chi sposa chi? chi può sposare chi?
Il matrimonio crea rapporti tra gruppi e famiglie differenti, tra persone che non sono consanguinee.
Non si tratta di una cronologia storica e biografica, verticale, ma si basa sulla capacità di instaurare
rapporti tramite il matrimonio : APPROCCIO DELL’ALLEANZA, tipico dello studio dell’antropologia
francese, Strauss, uno dei massimo studiosi dell’alleanza, “teoria dell’alleanza”)
L’approccio della discendenza e quello dell’alleanza sono integrati, servono entrambi insieme allo
studio antropologico.

“Scambio”: parola tecnica che usava anche Strauss, per parlare di una relazione.
Il concetto di matrimonio è un concetto molto variegato nelle popolazioni del mondo.

Le osservazioni nella storia dell’antropologia hanno evidenziato che ci sono due grandi tipologie di
come si realizza questa relazione tra gruppi diversi studiando le strutture secondo l’alleanza:

-Sistemi elementari di scambio matrimoniale: società che esplicitano esattamente le regole


matrimoniali, chi si può e chi non si può sposare.
-Sistemi complessi di scambio matrimoniale: non c’è alcuna regola o limitazione.

Ulteriore nozione necessaria:


Concetto di clan: (l’antropologia ha offerto tante parole che sono entrate nell’uso comune, con un
senso che si discosta dal senso originario)
CLAN: parola scozzese, è un etnema.
L’antropologia ha preso degli etnemi e li ha trasformati in parole-strumento.
Il clan è un gruppo di discendenza, il clan è un lignaggio, un lignaggio molto particolare.
Nei lignaggi ogni persona appartenete al clan è perfettamente in grado di risalire al capostipite del
proprio lignaggio, quindi di andare molto indietro cronologicamente, e il capostipite è una persona
fisica.

Nel caso del clan questo percorso a ritroso si può fare, ma nella maggior parte dei casi i membri
non ricordano più chi è il capostipite del proprio clan e spesso non si tratta di una persona fisica,
ma di un’entità non umana (un’entità sovrannaturale, un evento atmosferico, una forza della
natura, Aroe).
Nel clan si innesta il registro narrativo mitico, che fa risalire la sua costituzione a tempo immemore.

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Per poter fare studi di parentela gli antropologi hanno inventato una notazione grafica con la quale
costruire i diagrammi di parentela, questa notazione si basa su dei simboli convenzionali.

Triangolo: individuo di sesso maschile


Cerchio: individuo di sesso femminile
I_I : relazione di coniugio (coniugi)
(Si usa la parola coniugio invece che la parola matrimonio, perché “matrimonio” è una parola molto
densa antropologicamente.)
Π: Relazione di fratelli germani (siblings)
(Viene usata questa descrizione per evitare la flessone del genere)
I: relazione di discendenza, ovvero la procreazione

Si può parlare di relazione di discendenza anche quando non c’è una relazione di consanguineità,
in alcune culture non è rilevante il legame di sangue

Patrilignaggio (schema su moodle) spiegazione:


A e B si sposano; hanno 3 figli: A1, A2, A3, due figli maschi e una femmina.
La linea di discendenza è tracciata per il tramite del padre. Tutti i segni in nero sono le persone che
appartengono al patrilignaggio di A. Una cosa interessante è che il patrilignaggio contiene anche le
donne, infatti se A1 si sposa, i suoi figli, maschio o femmina, apparterranno comunque al
patrilignaggio di A. A3 (figlia di A) si sposa, i suoi figli cambiano lignaggio, apparterranno al
lignaggio di E, quello del marito.

I lignaggi sono molto rigidi,


Un antropologo amico di Pritchard li ha definiti: ”un corpo, un unico soggetto giuridico”; il lignaggio
è fatto di individui che si sentono in obbligo di comportarsi in modo uniforme, sono un blocco molto
compatto, si chiamano : sono gruppo corporato, le relazioni sono prescrittive, molto forti.

I gruppi bilaterali sono al contrario molto labili, difficili da disegnare addirittura negli schemi.

E’ importante ricordare che ogni volta che si guarda un diagramma di parentela, va indicato il
punto di vista, chiamato EGO, il punto di partenza.La persona con cui io parlo e dalla quale parte
la costruzione di tutto lo schema. I diagrammi sono ego-centrati.

In molte società matrilineari il papà biologico viene anche detto mamma-papà, rappresenta il polo
dell’affettività. Al contrario il papà-papà è il fratello della mamma biologica, lo zio materno, che
rappresenta il polo dell’autorità.

In molte società la parentela è un linguaggio, la parentela è un fatto sociale totale (Mauss).


Gli antropologi hanno notato questo fenomeno in alcune società come la società Nuer (Pritchard),
società che praticava le scarificazioni (come gli Youruba).

Evans Pritchard ha studiato questa popolazione perché nota che questa società non ha re, non ha
capo, non ha governo: qualunque tipo di forma politica è assente; non esiste forma di potere
formalizzata. Queste società sono dette “acefale”, letteralmente senza capo, oppure anarchiche.

Negli anni 20/30 del ‘900 Evans Pritchard voleva verificare ciò che in accademia gli avevano
insegnato secondo il paradigma evoluzionistico. Ciò che gli era stato insegnato era che le società
acefale stessero al gradino più basso dell’evoluzione, uno dei criteri di classificazione delle società
era infatti quello della complessità del sistema politico, più era complesso, più la società era
considerata evoluta.

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Pritchard voleva tramite i suoi studi eliminare le classificazioni, ovvero questa modalità di
posizionare le società in scala di progresso.

Ci sono delle società nelle quali altri tipi di relazione passano attraverso il linguaggio delle relazioni
di parentela.
Quando si studia la parentela, non si studiano i “parenti” ma si studia un linguaggio, quindi delle
relazioni attraverso le quali passano rapporti di potere, di guerra, di eredità, rapporti POLITICI.
Questi rapporti politici non vengono espressi attraverso il lessico occidentale della politica ma
vengono espressi attraverso il lessico della parentela, per questo rappresenta un fatto sociale
totale.
Il lessico della parentela si salda su quello della politica. (In molte altre società si salda su quello
rituale ad esempio.)

Pritchard scopre una cosa sorprendente per gli anni ’30.


I Nuer sono una società unilineare, patrilineare.

Questi rappresentati sono patrilignaggi, che sono uno nell’altro, dai più grandi ai può piccoli.
A e B sono clan,Y si può chiamare lignaggio massimo, al suo interno c’è il lignaggio maggiore,
minore, minimo.
Ogni lignaggio, come le matrioske, ha forme di gradazione di elementi contenuti negli altri, che
però dipendono da dove ci si ferma cronologicamente, andando all’indietro nella storia del
lignaggio.
Evans Pritchard nota che spesso tra i Nuer sorgono conflitti ad esempio tra Z1 e Z2, gruppi molto
piccoli e vicini. Notiamo che il conflitto cambia di livello:
Vi è tra i Nuer un sistema raffinatissimo di organizzazione flessibile dell’identità. Viene
riorganizzato continuamente il concetto di “chi sono” e “come si definiscono” in base al livello del
conflitto che devono risolvere; in base al livello sono pronti a risolverlo per salire di livello.
Salire di livello permette di risolvere il conflitto riconfigurando il senso di noi.

Pritchard ha chiamato questa società un’ANARCHIA ORDINATA, un ossimoro, un paradosso.


Pritchard scopre che attraverso la struttura di parentela è possibile essere perfettamente
organizzati anche in una struttura anarchica, senza che ci sia un’autorità politicamente riconosciuta
in senso esplicito. Una società acefala perfettamente organizzata.

L’elemento che la organizza non è l’equilibrio, è il conflitto. Il conflitto è la fisionomia sociale, non
la patologia sociale. (La ricerca di equilibrio attraverso il conflitto)
Il conflitto è il fattore integrativo, altra scoperta dello studioso.
Società di questo tipo si chiamano società a struttura lignatico-segmentaria, dove le relazioni
sociali funzionano a fisarmonica.

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