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Acustica 3

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3.

Trasmissione del suono


Riflessione del suono

Il suono non si propaga nel vuoto. Nello spazio il silenzio è


assoluto: stelle, pianeti, satelliti, navicelle spaziali ci
“parlano” per via elettromagnetica e non sonora.
Affinchè le vibrazioni dei corpi sonori possano essere perce-
pite, è necessario un mezzo elastico. Dalla sorgente sonora il
movimento oscillatorio è comunicato all'aria circostante, pro-
vocando rarefazioni e condensazioni che originano una serie di
onde sonore, sferiche e concentriche. E’ importante sottoline-
are che la propagazione del suono non comporta trasporto di
materia, ma solo di energia.
Valgono le seguenti leggi:

1. l'intensità del suono varia in ragione inversa del


quadrato delle distanze;
2. l'intensità del suono è soggetta a modifiche dall'agi-
tazione dell'aria e dalla direzione del vento;
3. la densità dell'aria influisce notevolmente sulla in-
tensità del suono (in alta montagna, ad esempio, il
suono è più attenuato);
4. suoni acuti e suoni gravi si propagano con la stessa
velocità.
La velocità del suono dipende dalla natura del mezzo attra-
verso il quale avviene la propagazione.

La velocità del suono in alcuni mezzi


Aria (20° C, s.l.m.) 340 m/sec
Acqua dolce 1137 m/sec
Acqua marina 1453 m/sec
Vetro 5000 m/sec
Ferro 5127 m/sec

La riflessione del suono


Quando un'onda sonora incontra un corpo incapace di vibrare,
essa si riflette e l'angolo d'incidenza è uguale a quello di
riflessione.

Dalle diverse caratteristi-


che della superficie riflet-
tente, dipende il grado di
intensità della riflessione.
In ogni caso, la parte di
energia che non viene ri-
flessa, è assorbita o rifratta.

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Tre sono i fenomeni derivati dalla riflessione del suono: eco,
rimbombo, riverberazione.

L'eco

Il nome ha origini mitologiche. Deriva infatti da quello della


ninfa Eco, figlia dell'Aria e della Terra che, innamorata di
Narciso, ma da lui non riamata, si consunse di dolore sino a
che di lei non rimase che la voce.
E’ un fenomeno particolare di riflessione sonora che ha luogo
quando il suono riflesso torna all'ascoltatore separatamente
dall'effetto diretto. Perché ciò avvenga deve sussistere una
particolare condizione per quanto riguarda la distanza fra la
fonte sonora e chi ascolta il fenomeno stesso.
Il tempo impiegato da una sensazione sonora per estinguersi
totalmente è stato calcolato in circa 1/10 di secondo.
Dal momento che la velocità del suono nell'aria è di circa 340
m/sec, in ogni decimo di secondo le onde percorreranno 34 m.
Trattandosi di un percorso suddiviso in andata e ritorno, si
ottiene che per poter percepire l'effetto eco occorre, tra il
punto di emissione e quello di riflessione, una distanza non
inferiore a 17 m.
L'eco può produrre effetti multipli, quando i punti di ri-
flessione sono più di uno.

Se la distanza è inferiore ai 17 m e quindi non intercorre un


sufficiente intervallo di tempo tra il suono diretto e quello
riflesso, i due suoni si accvallano originando gli altri due
fenomeni, fra loro assai differenti.

Il rimbombo
Consiste in una disordinata successione di riflessioni del
suono (ad esempio, il fragore del treno in una galleria). Il
rimbombo può essere udito anche da notevole distanza: ad esem-
pio è il caso del tuono il cui rumore è causato da molteplici
effetti prodotti da superfici riflettenti poste anche molto
lontane le une dalle altre, come banchi di nubi, terreno,
strati d’aria di diversa densità in funzione di variazioni di
temperatura ecc. Il fenomeno interessa soprattutto le frequen-
ze gravi che per la loro notevole lunghezza d’onda sono più
soggette al gioco di effetti sonori riflessi: avendo un coef-
ficiente di assorbimento minore possono riflettersi più volte
sulle superfici prima di perdere tutta o gran parte
dell’energia a loro associata. Cessata la causa che ha genera-
to il suono, ciò che viene sentito è il prodotto delle succes-
sive riflessioni di intensità decrescente e di altezza sempre
più grave perché le componenti ad alta frequenza si esaurisco-
no più rapidamente.

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Riverbero

Fra i fenomeni di riflessione il più importante in acustica


musicale è la riverberazione (o riverbero) detta anche effetto
ambiente. Tipico esempio è l'effetto cattedrale derivato dal
lungo prolungamento del suono avvertibile nelle grandi chiese
per le diverse riflessioni dovute a navate, colonne, ecc..
Il riverbero ha aspetti negativi, come il rischio di maschera-
mento delle sillabe del parlato o del fraseggio musicale, e
positivi, come il rinforzo dell'intensità della sorgente.
In uno spazio chiuso ampio come ad esempio una chiesa, a se-
guito di un suono secco si possono udire le innumerevoli ri-
flessioni delle estese pareti che decrescono di intensità fino
al silenzio. La riverberazione dipende dalla dimensione del-
l'ambiente e dalla natura delle pareti investite dal suono.
Materiali diversi hanno coefficienti di assorbimento diversi.
Inoltre, le riflessioni su pareti di tipo diverso hanno inten-
sità diverse a frequenze diverse.
Il 29 ottobre 1898 il pioniere dell'acustica Wallace Clement
Sabine propose una formula per il calcolo del tempo di decadi-
mento del riverbero oltre la soglia dell'udibilità:

Tempo di riverberazione secondo Sabine

dove T è il tempo espresso in secondi V è il volume dell'am-


biente in metri cubi ed A è l'assorbimento totale di tutte le
pareti espressa in metri quadrati.

Il tempo di riverbero è il tempo che trascorre finché la sua


pressione sonora diminuisce di 60 decibel.

Il riverbero viene ricreato artificialmente per essere appli-


cato durante spettacoli musicali o in studio di registrazione
alla voce ed agli strumenti musicali per simulare esecuzioni
musicali in spazi ampi o per conferire maggiore profondità ad
un suono. Per simulare l'effetto del riverbero sono state uti-
lizzate soluzioni diverse nel tempo, beneficiando del progres-
so tecnologico.

Riverbero a nastro - Si utilizza un particolare registrato-


re/riproduttore a nastro magnetico che fa scorrere a velocità
costante un anello di nastro dentro una meccanica dotata di
una testina di registrazione fissa e di una di riproduzione
mobile. La testina di riproduzione è infatti montata su un
meccanismo a vite che permette di variarne la distanza da
quella di registrazione. Il segnale registrato dalla prima te-
stina viene letto dalla seconda e miscelato all'originale ge-

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nerando l'effetto. Il tempo di ritardo dipende dalla distanza
tra le due testine e permette di generare sia l'effetto river-
bero che l'eco. Questi apparecchi sono ingombranti e pesanti.
Come in ogni registrazione a nastro, lo scorrimento dello
stesso genera un fruscio che peggiora notevolmente la qualità
del suono.

Riverbero a tromba - Sull'albero di un motore elettrico a ve-


locità variabile vengono montati, sfasati tra loro di 180°,
due microfoni inseriti in contenitori conici (le "trombe", ap-
punto) che ne aumentano la direzionalità schermandoli parzial-
mente dai rumori esterni. Il tutto è inserito in una cassa a-
custica nella quale un altoparlante, montato all'altezza dei
microfoni rotanti, trasmette il suono che si vuole ritardare.
Ruotando, i microfoni passano davanti all'altoparlante captan-
do il suono e trasmettendolo al circuito di amplificazione. Il
ritardo ottenuto è inversamente proporzionale alla velocità di
rotazione del motore (regolabile dall'utilizzatore) e permette
di ottenere riverbero, eco e Leslie (particolare effetto otte-
nuto dalla combinazione di ritardo e sfasamento delle frequen-
ze dovuto all'effetto Doppler). I riverberi a tromba sono in-
gombranti e pesanti. La qualità del suono dipende dalla bontà
della componentistica (microfoni e altoparlanti) ma è comunque
influenzata negativamente dal rumore generato per attriti mec-
canici dal motore e dal rumore esterno captato dai microfoni.
L'effetto Leslie si può oggi ottenere più agevolmente con un
circuito di sfasamento "a pettine" creato con amplificatori
operazionali, meglio conosciuto con il nome commerciale di
Phaser.

Riverbero a molla - Il segnale viene fatto passare, tramite un


apposito trasduttore attraverso una spirale metallica (appun-
to, una molla). All'altro capo della molla un trasduttore e-
quivalente al primo reimmette il segnale nel circuito di am-
plificazione miscelandolo a quello originale. Il segnale pre-
levato dal secondo trasduttore risulterà leggermente ritardato
rispetto a quello applicato al primo originando nell'orecchio
dell'ascoltatore l'effetto del riverbero. Per ragioni di sem-
plicità costruttiva ed esiguità di costi i moderni amplifica-
tori per chitarra di piccole dimensioni sono spesso dotati di
riverbero a molla, che viene alloggiato all'interno della cas-
sa di risonanza. A differenza di altri strumenti, il suono
della chitarra elettrica non risente particolarmente delle
sfumature timbriche che questo tipo di effetto aggiunge al se-
gnale originale. Il funzionamento del riverbero a molla è ba-
sato sulla trasmissione del movimento applicato ad un capo
della molla tramite l'apposito trasduttore che converte il se-
gnale elettrico in un segnale meccanico. La molla vibrerà tra-
smettendo il segnale meccanico attraverso le spire impiegando

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un certo tempo. All'altro capo della molla il segnale giungerà
quindi in leggero ritardo rispetto al capo di ingresso della
molla stessa e verrà riconvertito in segnale elettrico con un
apposito trasduttore, solitamente realizzato tramite un nucleo
ferromagnetico intimamente fissato al capo finale della molla
ed immerso in un solenoide. Grazie alla legge di Faraday il
movimento del nucleo magnetico posto all'interno del condutto-
re diverrà un segnale elettrico. Purtroppo il tempo di ritardo
del sistema è stabilito a priori dalla lunghezza della molla e
dunque non è modificabile dall'utilizzatore. Anche adottando
molle di grande lunghezza, il massimo ritardo ottenibile è
nell'ordine dei millisecondi, quindi non è possibile generare
l'effetto eco ma solo un riverbero accettabile. Se accidental-
mente la scatola a molle viene scossa, i trasduttori captano
il rumore delle molle che sbattono tra loro e contro le pareti
della scatola stessa inviandolo al circuito di amplificazione.

Riverbero a camera - Sulla falsariga del riverbero a molla, in


una scatola isolata acusticamente dall'esterno viene inserito
un tubo curvato in maniera da creare il percorso più lungo
possibile. Ad un'estremità del tubo viene posto un piccolo al-
toparlante mentre all'altra estremità c'è un microfono. Il
suono emesso dall'altoparlante impiegherà un certo tempo per
percorrere tutto il tubo ed arrivare al microfono generando
così il ritardo necessario. Come per il riverbero a molle, il
tempo di ritardo non è modificabile dall'utilizzatore ed è co-
munque piuttosto breve. Il suono ottenuto da questa implemen-
tazione di riverbero è di pessima qualità.

Riverbero digitale - Il segnale analogico viene digitalizzato


ed immagazzinato in banchi di memoria RAM che viene utilizzata
come la spirale metallica del riverbero a molla. Infatti i
bytes vengono fatti "scorrere" da un banco al successivo fino
al raggiungimento dell'ultimo. Il segnale digitale prelevato
dall'ultima memoria viene poi riconvertito in analogico e mi-
scelato al segnale originale ottenendo l'effetto riverbero. Il
tempo di ritardo ottenibile varia agendo sia sul numero di me-
morie coinvolte nel processo, sia sulla temporizzazione del
trasferimento dei dati da un banco all'altro. La grande capa-
cità delle memorie RAM permette di raggiungere anche ritardi
di parecchi secondi e quindi passare agevolmente da riverbero
a eco. Esistono sul mercato circuiti integrati che comprendono
i convertitori A/D e D/A, le memorie ed i circuiti di tempo-
rizzazione. Con un solo chip è così possibile realizzare un
eco digitale in uno spazio ridottissimo e con pochissima com-
ponentistica esterna. La digitalizzazione del segnale e la sua
successiva riconversione in forma analogica causano tuttavia
una certa perdita di qualità del suono che dipende dalla bontà
del campionamento, ma che non è completamente eliminabile.

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Molto diffusi anche i circuiti integrati detti 'bucket briga-
de' (catena di secchi) che non operano al loro interno una
conversione da analogico a digitale e viceversa, ma sono for-
mati da tantissime celle a condensatore che si caricano in se-
quenza con il valore di tensione campionato ad istanti regola-
ri, analogicamente. Il valore della carica viene passato da un
condensatore all'altro (da qui il nome di catena di secchi)
fino a raggiungere l'uscita, impiegando un determinato tempo
che sarà il ritardo desiderato.

La riverberazione e la percezione dell'ambiente acustico


Supponiamo di entrare in una grande sala portandoci una mac-
china capace di emettere suoni impulsivi di durata molto bre-
ve, tipo battimani, e di piazzarla a una certa distanza da
noi. Tale macchina, detta sparkle machine (macchina che genera
scoppi) viene utilizzata spesso in acustica ambientale per lo
studio del riverbero in quanto, emettendo suoni molto brevi,
permette di generare una riverberazione pura, non sovrapposta
al suono originale.
Nell'immediatezza percettiva, la riverberazione ci apparirà
come un tutto unico: una sorta di alone che circonda il suono
e gli sopravvive estinguendosi lentamente.

Questa figura mostra la variazione in ampiezza della riverbe-


razione in una grande sala così come arriva alle orecchie di
un ascoltatore, con un singolo suono impulsivo come eccitazio-
ne di partenza: il grafico visualizza, in pratica, la risposta
all'impulso della sala mostrandoci come la sala stessa reagi-
sce alla produzione di un impulso acustico (un singolo 'toc'
di circa 1/100 di secondo, primo segmento a 0 in ascissa nel
grafico). L'intero grafico rappresenta, sull'asse orizzontale,
un tempo totale di circa 1 secondo e mezzo.
Come si può ben vedere, il riverbero non è uniforme, ma compo-
sto da una serie di impulsi che all'inizio sono ben separati

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fra loro diventando, via via, sempre più fitti fino a generare
una linea pressoché uniforme. Questo dato è molto importante
per il nostro sistema percettivo in quanto apporta una notevo-
le quantità di informazioni che ora vedremo, tanto da spinger-
ci a descrivere il fenomeno più in dettaglio.

La figura qui sopra rappresenta una sala vista dall'alto nella


quale si trovano una sorgente sonora (in alto a sinistra) e un
ascoltatore (al centro) e schematizza la formazione del river-
bero dividendola in tre distinte fasi, da sinistra a destra.
Quando la sorgente sonora emette un suono, il primo "pacchet-
to" di onde sonore che colpisce le orecchie dell'ascoltatore è
il suono diretto che viaggia nell'aria alla solita velocità di
circa 344 metri al secondo andando in linea retta verso l'a-
scoltatore. È il suono più fedele dato che è soggetto soltanto
all'assorbimento dell'aria alle alte frequenze e ci permette
di localizzare la sorgente sonora rispetto alla nostra posi-
zione e nel caso di suoni conosciuti, una prima indicazione
della distanza.
Subito dopo il suono diretto, all'ascoltatore arrivano i primi
echi dovuti alle riflessioni del suono sulle pareti della
stanza. Ogni riflessione comporta una perdita di energia da
parte del suono perché
1. le pareti non restituiscono il 100% del segnale, ma ne
assorbono una parte e
2. il fatto di seguire un percorso più lungo comporta anche
una perdita dovuta alla maggiore distanza, per cui l'in-
tensità sonora dei riflessi è minore rispetto a quella
del suono diretto.

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Da questa differenza di intensità, il nostro sistema percetti-
vo ricava delle indicazioni sulla capacità di assorbimento
della sala.
Ben più importante, però, è il tempo che separa il suono di-
retto dai primi echi che fornisce precise informazioni sulla
grandezza della sala: esso, ovviamente, è funzione della lun-
ghezza del percorso che le onde sonore devono coprire per ar-
rivare alle pareti e rimbalzare fino all'ascoltatore, quindi,
in definitiva, dipende strettamente dalle dimensioni della sa-
la.
A titolo di esempio, possiamo quantizzare, in linea di massi-
ma, questo ritardo per la stanza della nostra figura misurando
le linee dei primi echi e mettendole in rapporto con la di-
stanza fra sorgente e ascoltatore. Il rimbalzo sulla parete
sinistra, per esempio, è circa 2.5 volte la distanza diretta:
supponendo che quest'ultima sia di 10 metri (con il lato più
lungo della stanza pari a circa 40 metri), la distanza percor-
sa dal suono nel primo rimbalzo sarà di 25 metri. A 344
m/sec., il suono diretto impiegherà circa 0.029 secondi per
arrivare all'ascoltatore, mentre l'eco ne impiegherà circa
0.072: una differenza di 0.043 sec. (quasi mezzo decimo di se-
condo) non è poco in assoluto, tanto più se si considera che
questo è solo il primo eco ad arrivare. Il rimbalzo più lungo,
per esempio, è circa 5 volte la distanza diretta il che equi-
vale, nel nostro esempio, a 50 metri con un tempo di 0.145 e
un ritardo di 0.116 (più di 1/10 di secondo).
In modo del tutto automatico, la combinazione orec-
chio cervello trasforma le differenze di intensità e i ritardi
temporali in un senso delle dimensioni e delle caratteristiche
di assorbimento della sala.
Ma le onde sonore non muoiono una volta raggiunto l'ascoltato-
re e continuano a viaggiare rimbalzando sulle pareti e perden-
do, via via, di intensità. In tempi brevi la densità dei ri-
flessi cresce al punto che questi ultimi non sono più distin-
guibili singolarmente nemmeno da un sistema percettivo raffi-
nato come il nostro, arrivando da tutte le direzioni e forman-
do quello che viene percepito come un riverbero diffuso che
circonda la sorgente sonora con un caldo alone ambientale. La
soglia percettiva fra la fase dei primi echi e quella del ri-
verbero percepibile come un suono continuo è stata stimata in
una densità dei riflessi pari a circa 1000 echi al secondo.

Osservazioni su una buona acustica

La riflessione delle onde sonore è un fenomeno estremamente


importante che va tenuto ben presente in sede di costruzione
di teatri e auditori. Una buona sala da concerto deve avere
alcune caratteristiche architettoniche:

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1) un volume adatto, sia in relazione alla massima sonorità
del complesso, sia per quanto concerne il rapporto fra i vari
gruppi (orchestra, solisti, coro). Questo spiega perchè, a me-
no che non vi siano correttore acustici, non esiste un teatro
perfetto per qualsiasi spettacolo, ma ogni sala ha, per le
proprie caratteristiche, una forma di spettacolo congeniale.
2) un buon tempo di riverberazione. E’ la caratteristica di
maggior rilievo. Se infatti sono assolutamente da evitarsi eco
e rimbombo per evidenti motivi di disturbo, la riverberazione
gioca un ruolo essenziale ai fini di una buona acustica. Per
evitare risonanze non gradite e limitare la riverberazione, si
ricorre all'artificio di rendere acusticamente assorbenti
(tutte o in parte) le pareti della sala. Un eccessivo assorbi-
mento comporta secchezza e povertà di timbri, mentre un pro-
lungamento esagerato provoca un fastidioso accavallarsi di
suoni. Il tempo di riverberazione dipende dal volume della sa-
la.

Questa e le successive tabelle sulla riverberazione sono tratte da


P.Righini, Lessico di Acustica e tecnica musicale

3) una risposta omogenea all'intera gamma di frequenze


4) assenza di pareti parallele riflettenti (che genererebbero
onde stazionarie) e di superfici concave
5) uso di riflettori acustici per convogliare il suono dalle
sorgenti verso la sala

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6) costanza delle sue caratteristiche, indipendentemente dal
numero di spettatori.

L'effetto Doppler
E’ un cambiamento apparente della frequenza o della lunghezza
d'onda di un'onda percepita da un osservatore che si trova in
movimento rispetto alla sorgente delle onde (o, viceversa, può
accadere che l’osservatore sia fermo e la sorgente sonora in
movimento). Per quelle onde che si trasmettono in un mezzo,
come le onde sonore, la velocità dell'osservatore e dell'emet-
titore vanno considerate in relazione a quella del mezzo in
cui sono trasmesse le onde. L'effetto Doppler totale può quin-
di derivare dal moto di entrambi, ed ognuno di essi è analiz-
zato separatamente.

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L'effetto fu analizzato per la prima volta da Christian Andre-
as Doppler nel 1845. Procedette quindi a verificare la sua a-
nalisi in un famoso esperimento: si piazzò accanto ai binari
della ferrovia, e ascoltò il suono emesso da un vagone pieno
di musicisti, assoldati per l'occasione, mentre si avvicinava
e poi mentre si allontanava. Confermò che l'altezza del suono
era più alta quando l'origine del suono si stava avvicinando,
e più bassa quando si stava allontanando.
Oggi è molto facile constatare l'effetto Doppler: basta ascol-
tare la differenza nel suono emesso dalla sirena di un mezzo
di soccorso quando si avvicina e quando si allontana. L'effet-
to è più evidente con mezzi molto veloci.

L'orecchio assoluto
L'orecchio assoluto è una capacità particolare, congenita che
è presente in un numero relativamente scarso di individui.

E’ dotato di orecchio assoluto (o memoria tonale assoluta) colui


che è in grado di riconoscere correttamente qualunque nota musi-
cale e di riprodurla con esattezza a memoria, con la voce o con
il fischio. (G. Revez: Psicologia della musica).

Da Tuttoscienze 15 marzo 1995


Ezio Giacobini, L’angolo musicale del cervello

Come sanno tutti gli appassionati di musica, Mozart era capace


di distinguere qualsiasi nota musicale suonata su qualunque
strumento, senza fare alcun riferimento a un’altra nota.
Naturalmente in questa abilità non è unico, tuttavia è eccezio-
nale che un musicista possa distinguere una nota qualsiasi senza
paragonarla a una di riferimento, contenendo gli errori entro il
5%. Chi ci riesce viene classificato come una persona dotata di
“orecchio assoluto”, e rientra spesso in quella categoria di in-
dividui che, pur non conoscendo la musica, possono riprodurre su

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uno strumento un intero pezzo musicale dopo averlo ascoltato so-
lo un paio di volte.
Quali sono le capacità mentali che permettono una tale abilità
musicale? Molti studi hanno dimostrato che l’emisfero cerebrale
di sinistra è dominante sul destro per quanto riguarda la ripro-
duzione e la comprensione del linguaggio nella maggioranza degli
individui.
Ricerche analoghe dirette a stabilire la presenza di un “centro
della musicalità” a livello della corteccia cerebrale sono quasi
completamente fallite perché lo studio degli individui che col-
piti da lesioni cerebrali sviluppano un difetto detto “amusia”
(mancanza di musicalità) non ha rilevato localizzazioni specifi-
che come invece avviene, per esempio, nel caso
dell’organizzazione del linguaggio.
Questa situazione è cambiata drasticamente con l’introduzione
della PET (tomografia a emissione di positroni) una tecnologia
che permette di analizzare una determinata funzione cerebrale
(parola vista, udito, movimento) nell’individuo vivente. La PET
consente anche di correlare direttamente l’effetto di stimoli
verbali o non-verbali a una variazione di flusso cerebrale san-
guigno, metabolismo cerebrale (il consumo di glucosio, per esem-
pio) in una determinata regione del cervello di pochi mm di dia-
metro.
Fin dal 1992 è noto che esiste una prevalenza dell’emisfero ce-
rebrale destro per le funzioni musicali,(intonazione, percezione
melodica) nelle persone che non conoscono la musica. Altri studi
hanno dimostrato che questa prevalenza può cambiare secondo le
strategie musicali individuali e secondo l’esperienze acquisita.
Un primo sospetto di cambiamenti di lateralità e di localizza-
zione era già noto studiando semplicemente le differenze anato-
miche anche grossolane, del cervello di famosi musicisti e para-
gonandoli a individui non musicisti.
Questi studi sebbene molto imprecisi suggerivano differenze di
simmetria emisferica particolarmente a carico del lobo tempora-
le.
In un lavoro recente pubblicato sull’autorevole rivista america-
na Science, un gruppo di neurologi e psicologi dell’Università
di Dusseldorf comunica che il cosiddetto “planum temporale”, una
regione della corteggia cerebrale nota per l’analisi dei segnali
acustici, è molto più estesa nei musicisti di professione e in
particolare tra quei pochi che sono dotati di un orecchio asso-
luto per le note. Questa scoperta conferma ancora una volta il
concetto che funzioni altamente specializzate sono localizzate
prevalentemente in un lato del cervello. D’altra parte contrad-
dice parzialmente le nozioni precedenti che indicavano che musi-
ca e talento musicale erano un privilegio del cervello di de-
stra.
Nello studio riportato da Science i ricercatori hanno usato la
risonanza magnetica (MRI) che permette di misurare con maggiore
precisione rispetto alla PET il volume di determinate strutture
cerebrali.
Gli autori hanno messo a confronto le immagini ottenute con la
MRI dal cervello di 30 musicisti di professione non mancini, un-

72
dici dei quali selezionati per il loro orecchio assoluto, con 30
individui della stessa età non musicisti e non mancini. I musi-
cisti dalla nota perfetta differivano maggiormente nella asimme-
tria (prevalenza a sinistra) cerebrale dagli altri due gruppi
(musicisti normali e non musicisti).
Non si sa se questa differenza sia una qualità innata del cer-
vello o venga acquisita con l’esperienza musicale.
D’altra parte è stato dimostrato che praticamente tutti gli in-
dividui dotati di talento musicale eccezionale iniziano a suona-
re uno strumento prima dei 7 anni. Che si tratti di un carattere
innato (ereditario?) è suggerito anche dal fatto che nel lavoro
pubblicato da Science i musicisti che avevano iniziato a suonare
a un’età più avanzata e non dimostravano doti eccezionali non
erano meno “asimmetrici” dei non musicisti.
La polemica non si conclude qui. Un altro gruppo di ricercatori
guidato dal canadese Zatorre ha pubblicato un anno fa uno studio
che dimostra che quando ascoltiamo una melodia nuova non è il
cervello di sinistra bensì quello di destra che entra in maggio-
re attività. Come conciliare questi dati con quelli ora ottenuti
che sottolineano una musicalità “di sinistra”? Secondo alcuni
studiosi l’analisi perfetta della qualità del suono (orecchio
assoluto) richiede qualcosa di più del semplice ascolto di una
melodia e coinvolge funzioni sia verbali sia musicali. Di fatto
il “planum temporale” include anche il centro del linguaggio la
cosiddetta area di Wernicke delegata alla comprensione della pa-
rola. Il fatto che l’orecchio assoluto possa identificare un
suono (tono) non è sufficiente. Esso deve essere in grado di di-
re ad esempio: “Si tratta di un do diesis”. La contraddizione
non verrà probabilmente risolta prima di nuovi studi e di dati
più precisi. Per il momento dobbiamo semplicemente concludere
che possedere un orecchio musicale perfetto è non solo un talen-
to, ma anche un vero dono del nostro cervello.

L'orecchio umano
Dopo aver analizzato i fenomeni legati alla produzione e alla
trasmissione del suono, può essere utile soffermarsi sull'or-
gano che ci consente la percezione degli impulsi sonori. L'o-
recchio umano si divide in tre parti: esterno, medio e inter-
no.

1. padiglione
2. membrana del timpano
3. tromba di Eustachio
4. coclea
5. nervo acustico
6. staffa
7. incudine
8. martello

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L’orecchio esterno è costituito dal padiglione auricolare e
dal condotto uditivo.
L’orecchio medio è formato dal timpano, dalla catena di ossi-
cini (martello, incudine e staffa) e dalla finestra ovale.
L’orecchio interno comprende la coclea, i canali semicircolari
e le terminazioni nervose che portano al cervello i segnali
stimo alti dal suono.
Il padiglione auricolare ha la funzione di raccogliere il suo-
no da un’area sufficientemente ampia e convogliarlo verso il
timpano. Condotto uditivo e timpano costituiscono una sorta di
tubo aperto a un estremo e risuonano attorno alla frequenza di
3800 Hz il che spiega perché la nostra maggiore capacità udi-
tiva riguarda le frequenze comprese fra 2000 e 5000 Hz. Il
timpano entra in vibrazione quando è sollecitato da oscilla-
zioni di pressione nell’aria interna al condotto, anche se ta-
li oscillazioni possono essere molto deboli.
Il padiglione auricolare, oltre a raccogliere il suono, aiuta
a individuarne la provenienza. Infatti le onde riflesse dai
vari punti del padiglione verso l’imboccatura del condotto au-
ditivo presentano piccoli sfasamenti fra loro che consentono
al nostro sistema nervoso di dedurre informazioni di tipo di-
rezionale. Per avere una localizzazione completa della sorgen-
te sonora sono necessarie le due orecchie perché dalle infor-
mazioni provenienti da entrambe il cervello può dedurre la po-
sizione precisa. Dalle informazioni provenienti dalle due o-
recchio il cervello elabora la posizione effettiva della sor-
gente.

L’orecchio medio è la zona compresa tra il timpano e la fine-


stra ovale, apertura di accesso alla coclea. Il timpano è man-
tenuto in tensione dal muscolo timpanico. La vibrazione del
timpano trasmette l’onda alla finestra ovale tramite il movi-
mento degli ossicini. Essendo particolarmente grande il rap-
porto tra l’area del timpano (75 mm2) e quella della finestra
ovale (3 mm2) le oscillazione di pressione all’uscita

74
dall’orecchio medio sono amplificate di circa 30 volte rispet-
to a quello in ingresso. Se il suono è eccessivamente forte,
l’orecchio medio si difende: il muscolo timpanico si irrigidi-
sce, il timpano si deforma pertanto poco mentre un secondo mu-
scolo allontana la staffa dalla finestra ovale diminuendo così
il trasferimento della vibrazione. Questo effetto protettivo
si chiama riflesso acustico o riflesso di Stapedio. Dal momen-
to che necessita di qualche istante per mettersi in azione,
risulta inefficace in caso di esplosioni o di suoni improvvi-
samente violenti. Infine, la tuba di Eustachio è un condotto
che collega l’orecchio medio con la parte posteriore della ca-
vità orale e ha la funzione di equilibrare la pressione stati-
ca interna e quella esterna, Normalmente è chiusa, ma si apre
per contrazione muscolare se si sbadiglia o si deglutisce.

La coclea è il fulcro dell’orecchio interno e sede propria del


processo uditivo: ovvero della trasformazione degli impulsi
meccanici in segnali nervosi. Ha forma di chiocciola ed è
scavata all’interno dell’osso temporale. E’ lunga circa 35 mm:
il diametro all’imboccatura della spirale misura circa 2 mm e
gradualmente si restringe. All’interno c’è la membrana basila-
re immersa in un mezzo acquoso. Lungo la membrana si sviluppa
l’organo del Corti, una sottile massa gelatinosa con celle ci-
liate collegate come le terminazioni nervose: le cellule e-
sterne sono circa 24.000 disposte su più file. Quando vengono
raggiunte dalla vibrazione meccanica in moto lungo la membrana
basilare, le ciglia si flettono e il loro piegamento stimola
le celle a generare segnali elettrici che, raccolti dalle ter-
minazioni nervose, sono inviati al cervello. Il numero di im-
pulsi al secondo dipende alla frequenza dell’onda ma anche
dalla sua intensità.

75
APPENDICE
Acustica nei teatri

Premessa
Gli aspetti relativi ad una buona risposta sonora delle sale
destinate alla produzione musicale, costituiscono certamente
gli elementi più importanti per un musicista nel campo
dell’acustica.
Le esigenze acustiche degli spazi destinati all’esecuzione e
all’ascolto di un evento musicale variano durante i secoli,
così come varia la musica. Del resto i mutamenti sono causati
da una serie di fattori: il modo di vivere, il clima, i mate-
riali utilizzati, le tecniche costruttive, ma anche i generi
musicali, la produzione stessa del suono. Ad esempio gli spazi
destinati ad accogliere il suono naturale sono diversi rispet-
to a quelli per il suono amplificato, in termini, ad esempio,
di ampiezza. Si pensi ai grandi stadi per gli eventi rock e
alle sale assai più contenute per un concerto cameristico.
Oggi, molto spesso, per ragioni essenzialmente economiche, si
tende a costruire spazi alquanto ampi per poter accogliere
tutti i tipi di generi musicali e di suoni, cercando di appor-
tare le necessarie correzioni con strumenti elettronici.
Gli elementi fisici fondamentali per poter studiare l’acustica
di uno spazio sono: il volume, la forma, la larghezza e la
lunghezza, i materiali usati e la loro capacità di assorbire o
diffondere il suono.

Nell’antichità

Orange, Teatro romano, I sec.a.C.

Probabilmente i primi spazi destinati allo spettacolo furono


realizzati da indiani, inca o babilonesi. Non esistono docu-
mentazioni anche se si ritiene che ad esempio nei templi Babi-

76
lonesi i costruttori un aspetto progettuale importante era
rappresentato dal miglioramento dell’acustica.
Gli architetti e gli ingegneri dell’antichità fanno in genere
riferimento ai pitagorici quando si tratta di affrontare il
problema dell’acustica in una sala di spettacolo. Questo non
significa che prima di Pitagora e della sua scuola non ci sia-
no stati studi scientifici; significa solo che a noi non sono
pervenuti.
Fra gli esempi più famosi di teatri antichi dotati di una buo-
na acustica si possono citare i teatri di Epidauro, di Pompei
e di Orange.

Pompei, Odeion del Teatro Piccolo, I sec. a.C.

I greci e i romani prediligevano gli spazi semicircolari e se-


miellittici, con un piccolo palcoscenico appoggiato a un soli-
do fondale e una serie di ripidi gradoni per i posti a sedere.
Tutto ciò garantiva una buona visuale e un buon ascolto. Spa-
zi ellittici come il Colosseo romano presentavano una eccessi-
va concentrazione del suono. Ciò era per certi aspetti negati-
vo, ma presentava anche alcuni vantaggi: ad esempio il rumore
della folla si indirizzava interamente nell’arena esaltando il
tifo nei confronti dei gladiatori e degli atleti coinvolti
nelle gare.

Giovanni Battista Piranesi, Veduta dell’anfiteatro Flavio detto il Colosseo


(1748)
L’acustica come scienza
Fra i primi a compiere studi in campo acustico fu Aristotele
(384 a.C. – 322 a.C.) che in De Anima e in De Audibilibus si

77
occupò di propagazione del suono, di eco e di intelligibilità
delle parole.
Un autentico esperto del settore fu Vitruvio che nei suoi Die-
ci libri sull’architettura (25 a.C.) fece compiere
all’acustica autentici progressi, consigliando ad esempio
l’utilizzo di vasi risuonatori per rinforzare la rispondenza
sonora in talune parti del teatro ottenendo una maggiore uni-
formità nella diffusione del suono.
Fu invece Severino Boezio (480 – 524) a sviluppare la prima
teoria ondulatoria relativa al suono, prendendo spunto
dall’osservazione del moto dell’acqua.
Non ci sono invece rimaste documentazioni relative al Medioe-
vo. Sappiamo ad esempio che l’arcivescovo Sigieri per la Cat-
tedrale di Saint Denis (1129) utilizzò vasi murati nelle pare-
ti per migliorare la qualità del suono.

Venezia, Basilica di San Marco

Nel Cinquecento gli spazi furono sfruttati con una particolare


attenzione alle loro potenzialità acustica. Basta ricordare
l’attività policorale veneziana che sfruttava la doppia canto-
ria della Basilica di San Marco introducendo nel discorso mu-
sicale il concetto di stereofonia e spazialità del suono.
Fu tuttavia Galileo (1564 - 1642) a studiare per primo in ma-
niera rigorosa le frequenza acustiche trasformando l’acustica
in una scienza vera e propria. A lui seguirono Robert Boyle
(1627-1691) e Isac Newton (1653 – 1742) che nei suoi Principia
Mathematica espose la sua teoria della velocità del suono
nell’aria e studiò le analogie fra l’acustica e l’ottica. An-
cora Joseph Sauveur (1653 – 1716), il fondatore della scienza
acustica musicale, coniò il termine “acustica” e studiò il
rapporto fra la frequenza e l’altezza dei suoni.

78
Nelle epoche successive, gli studi furono portati avanti con
successo da importanti personalità: i contributi di Eulero
(1703 – 1783), Lagrange (1736 – 1813), D’Alembert (1717 –
1783) e Laplace (1749 – 1827) trovarono applicazione nella co-
struzione delle nuove sale da concerto e dei teatri. Savart
(1791 – 1841), inoltre, indagò i limiti di udibilità mentre a
Faraday si deve un’indagine sull’irraggiamento acustico.
La ricerca nel campo dell’acustica trovò ulteriori spinte in
Lord Rayleigh (1842 – 1919, Theory of Sound, 1877) e in Sabine
(1868 – 1919, sul tempo di riverberazione e sull’assorbimento
sonoro).
Il Novecento, naturalmente, ha visto un proliferare degli stu-
di, intensificati soprattutto durante la seconda guerra mon-
diale quando furono compiuti molti sforzi per migliorare
l’acustica utile alla guerra sottomarina.
Nel secondo dopoguerra, ha ricevuto infine un impulso
l’acustica ambientale grazie all’apporto di Watson (Acoustics
of buildings, 1930), Knudsen (Acoustic Design in Architecture,
1950) e Cremer (Die wissenschaftlichen Grunlagen der Raumaku-
stik, 1976).

I Teatri

Nel 1585 fu inaugurato a Vi-


cenza il Teatro Olimpico i-
deato da Andrea Palladio
(foto accanto e sotto). Que-
sto teatro è considerato un
modello, anche se l’acustica
non è ottimale. I teatri e-
lisabettiani, con il sensi-
bile assorbimento verso
l’alto e le loro gallerie
laterali, erano adatti alla
parola, ma non molto al can-
to e alla musica.
Il Teatro del Buen Retiro,
costruito nel 1632
dall’architetto italiano Cosimo Lotti per il re di Spagna, fu
uno dei primi teatri ad avere palchi di proscenio e un palco-
scenico capace di contenere cinque file di quinte. Il palco-
scenico era di notevole profondità, con grandi tendaggi assor-
benti e poche superfici riflettenti intorno agli esecutori,
comportava diversi problemi acustici.

79
Vicenza, Il Teatro Olimpico

Il Seicento vide la nascita del teatro “per musica” distinti


in teatro d’opera e sale da concerto.

Il Teatro Farnese costruito a Parma da Giovanni Battista Ale-


otti (1654, foto in alto e spaccato) è uno dei primi esempi.

In Francia fu Lully a convincere Luigi XIV a costruire il Tea-


tro di Versailles, dotato di una delle prime vere buche orche-
strali.

80
Fra i grandi architetti del Sette-
cento figura la dinastia dei Galli-
Bibiena che progettarono vari tea-
tri. Fra questi di rilievo è il
Margrafliches Opernhaus di Bayreuth
(1751-53), a forma di campana (foto
accanto). La sua decorazione favo-
risce la diffusione del suono. Dei
palchi laterali facevano parte an-
che i cosiddetti Trompetenlogen,
dai quali i suonatori di tromba an-
nunciavano l’arrivo del margravio.
I palchi laterali avevano una funziona acustica essenziale in
quanto distribuivano il suono in direzione del pubblico e dei
musicisti che all’epoca non erano nella buca orchestrale.
Non sempre i teatri funzionavano bene. Ad esempio gli stessi
Galli-Bibiena costruirono il Comunale di Bologna (1756-63) ma
dovettero rifarne l’interno dopo le prime prove musicali: il
rivestimento in pietra risultava troppo riverberante. Oggi ma-
teriali duri (marmi e pietra) sono tranquillamente usati con
particolari accorgimenti. Si possono ricordare il Corum di
Montpellier (2000 posti) o lo stesso Carlo Felice di Genova
(2000 posti) che hanno un’ottima riuscita grazie ad un uso a-
deguato di superfici diffusive.
Negli ultimi due secoli sono stati costruiti teatri d’opera
sempre più grandi.
Naturalmente quanto più grande è il teatro, tanto più diffici-
le è ottenere una buona acustica sul modello dei teatri più
contenuti. La capienza varia nel corso degli anni.
La Scala era stata progettata per 2800 posti, in realtà agli
inizi del Novecento ne conteneva circa 1800. Il Carlo Felice
del Barabino conteneva oltre 2500 spettatori, il Politeama Ge-
novese quasi 3000. Spazi ampi che non potevano certo adattarsi
ad ogni genere di spettacolo. Il Carlo Felice era celebre per
la buona acustica in campo lirico, probabilmente non era adat-
to alla sinfonica e men che meno alla cameristica. Risultati
analoghi proponeva la Fenice di Venezia, probabilmente il tea-
tro italiano con la migliore acustica nell’Ottocento.
Molti teatri in Europa e in America sono stati costruiti su
modelli di quelli italiani.
L’Opera Garnier di Parigi è sempre stato oggetto di critiche
per l’acustica: centinaia di posti non ricevono alcun suono
diretto e ovunque si avverte un eccessivo assorbimento. Recen-
ti lavori di rinnovamento, con l’utilizzo di folti velluti as-
sorbenti hanno peggiorato la situazione.

81
Ch.Garnier, Opera di Parigi, 1861-75

Il Festspielhaus di Bayreuth è un teatro unico. Voluto nel


1876 da Wagner, fu rivoluzionario nella sua struttura.

O. Bruckwald, Fiestpielhaus, Bayreuth, 1872-76

L’orchestra è quasi completamente racchiusa in


una fossa coperta; la trasmissione del suono tra
la fossa orchestrale si aprono sulle pareti
laterali.

Bayreuth, Il Festspielhaus e la sua buca orche-


strale

Il Metropolitan Opera House di New York (1883) pur essendo


molto grande (3600 spettatori) ha una buona acustica. In gene-
re si sostiene che l’optimum acustico si ottiene per sale da
1500 posti, con la possibilità di arrivare a buoni risultati
fino a 2000 spettatori. Oltre l’impresa si fa ardua perché è
difficile far sedere tanta gente in spazi relativamente vicini
alla fonte sonora.

82
Wallace K.Harrison, Metropolitan Opera House, New York, 1966
Sotto: spaccato

Oltre al Metropolitan si può ricordare, fra le principali ec-


cezioni positive, il Colon di Buenos Aires che contiene 3252
posti ed è usato anche per la sinfonica.

Victor Meano, Colon di Buenos Aires, 1908

Le sale da concerto
La più antica sala da concerto pubblica è lo Holywell Music
Room di Oxford (1748). Fra le più antiche e famose, l’Altes

83
Gewandhaus di Lipsia (1780), ancora oggi oggetto di studio: il
suo successo fu dovuto al volume e alla forma: un volume di
circa 2.100 m³ per 400 spettatori con un tempo di riverbera-
zione di circa 1,2 sec, oggi considerato insoddisfacente.

Lipsia, sala da concerto dell’Altes Gewandhaus

Il Neues Gewandhaus (1886) che ha sostituito la vecchia sala


conteneva 1560 spettatori in un volume di 15.600 m³; il tempo
di riverberazione era di circa 1,55 sec.

Alla fine dell’Ottocento vengono costruite le


migliori sale da concerto nella forma a “sca-
tola da scarpe”. Le tre sale più celebri sono:
il Grosser Musikvereinssaal di Vienna (1870),
il Concertgebouw di Amsterdam (1888) e il
Symphony Hall di Boston.
Tutte queste sale vantano un buon tempo di ri-
verberazione, la diffusione e il decadimento
morbido: il bel suono sembra dovuto alla com-
binazione fra volumi, proporzioni e riflessio-
ni laterali.
Theophil Ritter von Hansen, Grosser Musikvereinsaal,
Vienna, 1870

Symphony Hall, Boston, 1900 Concertgebouw, Amsterdam, 1888


Delle tre sale vediamo anche uno spaccato.

84
Vienna, il Grosser Musikvereinsaal

Amsterdam, il Concertgebouw

Boston, Symphony Hall

85
Hans Scharoun, Berlin Philharmonie, Berlino, 1963

Fra le sale più recenti merita una citazione la Berlin Phil-


harmonie (1963) nella quale 2.218 posti sono stati sistemati
in settori separati, graduati in altezza l’uno rispetto
all’altro.

Questa tecnica, denominata “vigneto a


terrazze” permette di ottenere, entro
un ampio volume riverberante di
24.500 m³, il giusto tempo di river-
berazione di circa 2 sec alle medie
frequenze e di fornire a tutti gli
ascoltatori le decisive prime rifles-
sioni forti, da cui dipende la chia-
rezza del suono.
La forma a “scatola da scarpe” e il
metodo del “vigneto a terrazze” sono
stati applicati a molte sale. Il pro-
blema di oggi è che troppo spesso le
sale sono concepita per più utilizzi
che non possono essere soddisfatti.
Lo spazio ottimale per la musica sin-
fonica è quello che accoglie da 1400 a 1700 ascoltatori. In
queste condizioni è più facile sistemare il pubblico in un vo-
lume relativamente ristretto, di circa 9 m³ a persona, con
tutti i posti a sedere collocati a una ragionevole distanza
dal palcoscenico e con adeguate riflessioni laterali.

La moderna scienza del design acustico


Una nuova sala musicale deve rispondere a diverse esigenze,
non solo oggettive. Non si richiede infatti unicamente una
buona visibilità e una corretta rispondenza acustica, ma anche
la creazione di un ambiente che possa mettere lo spettatore

86
nelle condizioni di emozionarsi e di sentirsi partecipe al
fatto interpretativo.

L’acustica dell’ambiente nel quale si fa musica influenza il


risultato auditivo sia per il pubblico, sia per i musicisti.
Una sala molta asciutta per l’eccessivo assorbimento è musi-
calmente povera, mentre la chiarezza (ad esempio del parlato)
può essere buona. Al contrario in un ambiente molto riverbe-
rante come una cattedrale, la chiarezza è decisamente compro-
messa. Occorre ricordare che una buona acustica consente non
solo al pubblico di ascoltare nelle migliori condizioni, ma
anche ai musicisti di sentirsi fra di loro. Nel caso
dell’opera la situazione è ancora più complessa perché mentre
per gli strumenti va bene una certa riverberazione, per la vo-
ce sarebbe meglio un ambiente più secco. Questo spiega perché
difficilmente un teatro va bene per l’opera e per la musica
sinfonica.

Ogni sorgente complessa può essere scomposta in un insieme di


sorgenti elementari. Ogni sorgente semplice genera un’onda so-
nora che si propaga nell’aria. Il livello del suono (pressione
sonora) decresce con l’aumentare della distanza, si attenua
nell’aria, viene riflesso, assorbito, diffratto, diffuso, con-
centrato dall’involucro della sala e dal suo contenuto. La si-
tuazione può apparire complessa perché evidentemente interven-
gono molte variabili che possono portare a risultanze diffe-
renti.
Per semplificare le cose, i fisici hanno immaginato che il
suono viaggia in modo simile alla luce. In condizioni normali,
dunque, esso segue un percorso rettilineo e viene incurvato o
assorbito dagli ostacoli. Si parla di un’ombra acustica come
si parla di un’ombra ottica. La natura di quest’ombra dipende
dalla natura dell’ostacolo, ma anche dalla frequenza della
lunghezza d’onda: quest’ultima è data dal rapporto fra la ve-
locità del suono nell’aria (340 millisecondi circa) e la fre-
quenza. Questo dato è importante perché la curvatura dell’onda
dipende dalle dimensioni dell’ostacolo rispetto alla lunghezza
d’onda. Un suono con una elevata lunghezza d’onda (bassa fre-
quenza o grave) supererà senza problemi un piccolo ostacolo.
Verrà invece riflesso e diffratto da un ostacolo avente dimen-
sioni pari alla metà della lunghezza d’onda o superiori ad es-
sa.
Un suono che incontra un ostacolo ne viene almeno in parte as-
sorbito. Il livello di assorbimento dipende dalla natura del
materiale e dal tipo di costruzione. L’assorbimento è anche in
relazione con le frequenze: stoffe e sedili imbottiti assorbo-
no le note acute, mentre un sottile pannello di legno assorbe
quelle basse. Materiali densi e duri riflettono invece
l’energia sonora. Nel caso di un’onda piana, l’angolo di ri-

87
flessione è uguale all’angolo di incidenza. La forma
dell’ostacolo, naturalmente, influenza il risultato: un ri-
flettore concavo con un grande raggio di curvatura concentrerà
il suono. Ciò significa che in un determinato ambiente potran-
no essere zone ad altra concentrazione sonora ed altre a den-
sità più rarefatta.
Una superficie convessa tende invece a diffondere l’energia
acustica che la colpisce.
In un ambiente dove siano presenti materiali duri e manchino
quelli assorbenti, l’energia sonora rimbalza avanti e indietro
per lungo tempo finchè non è assorbita dall’aria: in questo
caso l’energia acustica si trasforma in energia termica. In
realtà si tratta di un aumento di temperatura minimo in quanto
l’energia acustica è di per sé bassissima.
La forma dell’ambiente e la tipologia dei suoi elementi deco-
rativi influiscono sul modo in cui evolve il campo sonoro. Se
vi sono pareti dure parallele si danno origine a onde stazio-
narie. Se le pareti parallele sono molo lontane posso non ori-
ginarsi anche effetti d’eco. Superfici curve, invece, possono
generare, come si è detto, una concentrazione del suono che
può avere effetti negativi.
Uno dei parametri più usati per controllare l’acustica è il
tempo di riverberazione: quello cioè che un suono impiega per
diminuire di 60 decibel. Il livello di pressione sonora è u-
guale a venti volte il logaritmo di base 10 del rapporto fra
la pressione sonora alla sorgente e la pressione di riferimen-
to pari a 2 x 105 N/m².
Esso si esprime in decibel (dB).
Le altre variabili in uso sono strettamente correlate alle
principali, ossia: tempo di decadimento precoce, chiarezza,
intelligibilità, volume ed energia laterale o il suo equiva-
lente, la correlazione incrociata interaurale.
L’introduzione nella fase conclusiva del Novecento di computer
sempre più raffinati e potenti ha consentito ai costruttori di
migliorare in fase progettuale l’analisi del comportamento del
suono.

Gregotti Associati International, Teatro degli Arcimboldi, Milano, 2002;


ricostruzione al computer dell’interno degli Arcimboldi

88
Il modello tridimensionale computerizzato di un ambiente nel
quale a ogni componente siano attribuite specifiche caratteri-
stiche acustiche, fornisce una rappresentazione grafica della
distribuzione del suono e può inoltre produrre un modello acu-
stico di ciò che sarà effettivamente la sala una volta co-
struita.

Principi di design
Da tutti i principi esposti deriva che l’acustica di un tea-
tro dipende da molti fattori e che un progetto architettonico
deve tener presente alcuni parametri fondamentali. Elementi
essenziali sono: l’equilibrio tra i materiali diffrangenti e i
materiali assorbenti e l’assenza di difetti acustici come gli
echi e la concentrazione del suono.
La variabile più importante è il volume, perché da questo di-
pende la riverberazione come dimostrò alla fine dell’Ottocento
Sabine che sostenne a ragione due fattori: 1) il tempo di ri-
verberazione è direttamente proporzionale al volume di un am-
biente
2) il tempo di riverberazione è inversamente proporzionale al-
la quantità di assorbimento dell’ambiente stesso.
Il volume dell’ambiente deve naturalmente essere adeguato alle
dimensioni del pubblico e agli usi cui viene edibita la sala.
• La parola esige tempi brevi di riverberazione perché al-
trimenti viene compromessa la intelligibilità: lo spazio
deve dunque essere contenuto e assorbente.
• La musica sinfonica richiede un ampio volume riverberan-
te, con scarso assorbimento e grande diffusione, ma senza
echi, né onde stazionarie o concentrazioni sonore.
Una sala da concerto capace di circa 2000 posti dovrebbe avere
un volume di circa 18.000 m³, cioè 9 m³a persona, mentre il
tempo di riverberazione dovrebbe stare intorno ai 2 sec.
La forma è la seconda variabile fondamentale. In teoria tutti
i posti a sedere dovrebbero essere vicini al palcoscenico.
Nelle grandi sale da concerto per ottenere una sufficiente so-
norità è raccomandabile non superare una distanza massima di
33 m fra l’ultima fila di posti e la posizione del primo vio-
lino. Inoltre è consigliabile che ogni spettatore abbia rela-
tivamente vicino a sé una superficie laterale che rifletta il
suono originario.
Il Goldener Saal del Musikverein di Vienna è a pianta rettan-
golare (forma “a scatola da scarpe”) con una larghezza di 20
m. Un altro esempio è la sala della Philharmonie di Berlino:
pur essendo un ambiente notevolmente vasto, ogni settore di
posti è circondato da pareti riflettentri che creano per cia-
scuno di essi riflessioni laterali. Altre soluzioni possibili
sono date dall’inserimento di pareti, palchi, mezzanini, set-
tori sfasati.

89
Una particolare attenzione deve essere inoltre posta nella
progettazione del palcoscenico, del proscenio e della fossa
orchestrale. E’ infatti fondamentale che i musicisti si “sen-
tano”. La buca orchestrale deve essere concepita in modo che
il suono venga distribuito fra i musicisti e proiettato verso
il pubblico e verso il palcoscenico, dove i cantanti hanno la
necessità assoluta di sentire lo strumentale bene.
L’Opera Batille, con i suoi 2700 posti e la eccessiva larghez-
za, non ha riflessioni laterali; se a questo si aggiunge
l’altezza eccessiva del soffitto e l’eccessiva capacità di as-
sorbimento del proscenio, si capisce la pessima acustica che
caratterizza questo sia pur rilevante teatro.
Ulteriore elemento importante è favorire la diffusione del
suono, il che è possibile sfruttando la posizione e la forma
delle decorazioni e degli abbellimenti architettonici.
Infine, la scelta dei materiali. In un teatro sono pochi, in
realtà gli elementi assorbenti. Le poltrone sono funzionali
quando sono in grado di assorbire il suono nella stessa misu-
ra, sia che siano vuote, sia che siano occupate dal pubblico.
Il pavimento e il palcoscenico dovrebbero essere normalmente
dei tavolati di vero legno, poggianti su travetti con una
spessa ma smorzata intercapedine sottostante.
Spesso oggi si costruiscono pavimenti in cemento il che crea
non pochi problemi acustici. Le pareti, il soffitto e le gal-
lerie dovrebbero essere molto diffusivi; le dimensioni degli
elementi diffusivi dovrebbero superare di molto la metà della
lunghezza d’onda delle note più gravi. Fa eccezione la parete
di fondo che può essere messa nelle condizioni di assorbire
l’intera estensione musicale.
Quando in un teatro d’opera, l’orchestra sale sul palcoscenico
per un concerto sinfonico, l’equilibrio acustico è del tutto
alterato. In questo caso è necessario ricostruire sul palco-
scenico l’effetto della buca e in genere si provvede con una
sorta di conchiglia acustica, una “falsa parete” che avvolge
interamente l’orchestra e che ha lo scopo di convogliare il
suono verso il pubblico, consentendo altresì ai musicisti di
sentirsi.

Le multisale
Negli ultimi decenni si sono sempre più affermate le multisa-
le, spazi destinati a diversi generi di intrattenimento, dalla
musica, al cinema, alle conferenze, alla prosa. Queste sale
presentano problemi acustici non facilmente risolvibili.
Funzionano sale da concerto da 600 posti: il tempo di riverbe-
razione non è eccessivo e questo consente un impiego anche nel
parlato in maniera abbastanza corretta.
In sale fino a 1200 posti il problema è ancora abbastanza ri-
solvibile se volume, forma e superfici riflettenti e diffusive
sono adeguate.

90
Il discorso è praticamente impossibile per sale dalla capienza
superiore ai 2000 spettatori. Difficilmente risolubile per sa-
le inferiori ai 2000 posti.
Un tentativo consiste nel costruire volumi tra loro collegabi-
li che prolunghino il tempo di riverberazione mediante
l’apertura di pesanti porte. A volte si installano dispositivi
di amplificazione elettroacustica per creare artificialmente
la riverberazione necessaria. Tali strumentazioni, utili nel
caso di sale destinate a produzioni musicali moderne, compor-
tano problemi nel caso di produzioni musicali tradizionali in
quanto portano a una “modifica” timbrica del suono.
In altri casi si è tentato con elementi mobili che servono sul
momento ad apportare opportune modifiche. Ma anche questo si-
stema raramente funziona.

L’isolamento dal rumore e dalle vibrazioni


Se è importante una buona diffusione del suono nelle sale, è
altrettanto importante garantire un certo grado di silenzio.
La gamma delle dinamiche sonore è estremamente ampia, si va
oggi da fortissimi incredibili a pianissimi quasi inudibili.
Rumori determinati da apparecchiature interne o derivanti
dall’esterno debbono dunque essere ridotti al minimo per non
turbare un corretto ascolto, soprattutto quando è in corso una
registrazione con i nuovi sistemi digitali. Il problema si po-
ne soprattutto oggi nelle città caotiche. Per questo motivo la
sala musicale deve all’interno dell’edificio essere protetta
in maniera attenta dall’esterno. Così ad esempio per impedire
la propagazione delle vibrazioni provenienti da autocarri,
tram, treni o ferrovie metropolitane, le sale debbono essere
posti in sospensione su di un sistema elastico che filtri le
vibrazioni indesiderate: dagli studi derivati dalla realizza-
zione dei pannelli di protezione degli impianti nucleari dai
terremoti, si sono costruiti pertanto imbottiture elastiche o
ammortizzatori a molla in grado di sostenere decine di mi-
gliaia di tonnellate. Tutte le attrezzature interne (ventila-
zione, riscaldamento, condizionamento dell’aria, macchinari,
impianti elettrici ecc.) debbono essere progettate e installa-
te in modo da non produrre rumori molesti. Infine le sale mu-
sicali all’interno dell’edificio debbono essere rigorosamente
isolate da uffici, laboratori, sale prove ecc.

91
APPENDICE II
Articoli da Tuttoscienze
Giuseppe Righini, Prima della prima acustica, 30 ottobre 1996

[…] Il concetto di “risposta sonora” di un ambiente può essere


compreso ricorrendo al modello di propagazione del suono me-
diante raggi sonori, cui si attribuisce un comportamento si-
mile a quello dei raggi luminosi. Alcuni dei raggi emessi dal-
la sorgente, considerata puntiforme, raggiungeranno diretta-
mente l’ascoltatore, altri dopo essere stati riflessi da una
delle superfici che confinano con lo spazio occupato dalla
sorgente e dall’ascoltatore, altri dopo aver subito due ri-
flessioni tra coppie di superfici, altri ancora dopo più ri-
flessioni. L’intensità dei raggi riflessi dipende dalla rego-
larità delle superfici riflettenti e dal loro potere assorben-
te. Nel nostro caso bisogna tener conto della velocità del
suono, un milione di volte più piccola di quella della luce,
per cui i raggi riflessi arrivano all’ascoltatore con un certo
ritardo rispetto al raggio diretto, proporzionale al tragitto
percorso.
L’andamento dell’energia sonora nel tempo, determinato dal
susseguirsi dei contributi energetici dei raggi riflessi nel
punto di ascolto, costituisce la risposta acustica della sala
che non è univoca, ma dipende dalla relativa posizione della
sorgente e del punto di ascolto. Le riflessioni giocano un
ruolo diverso per l’ascoltatore e l’esecutore. Sull’area occu-
pata dal pubblico è importante che le riflessioni più energi-
che giungano frontalmente e lateralmente entro 10 centesimi di
secondo dall’arrivo del suono diretto: esse contribuiscono in-
fatti a rinforzare il suono, a dare la sensazione di un più
intimo rapporto con gli esecutori, neutralizzando l’effetto
della distanza che separa l’ascoltatore da essi; inoltre con-
feriscono alla sorgente sonora una spazialità maggiore di
quella sottesa dall’angolo di vista.
Se il soffitto è troppo alto o le pareti laterali troppo di-
stanti, il numero di queste riflessioni si riduce: tenendo
conto che il suono percorre 3,5 metri in un centesimo di se-
condo si può vedere che allora solo le superfici vicine agli
esecutori, cioè il boccascena e la parte antistante del sof-
fitto e delle pareti laterali sono in grado di produrre ri-
flessioni così precoci. La scelta di una appropriata geometria
e di appropriati materiali – devono essere molto rigidi – per
queste superfici ha una importanza fondamentale per il conse-
guimento di una buona risposta acustica ambientale. I raggi
riflessi che giungono negli istanti successivi, con qualche
decimo di secondo di ritardo, hanno subito in genere più di
una riflessione e se hanno energia appropriata, minore di

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quelli più precoci, contribuiscono favorevolmente alla rispo-
sta sonora procurando amalgama e sostegno ai suoni dei vari
strumenti.
A ridurre naturalmente l’energia di queste riflessioni provve-
de l’effetto fonoassorbente del pubblico eventualmente corro-
borato dall’aggiunta di materiali oppositi, come moquette,
velluto, intonaco acustico. Quando il ritardo supera il mezzo
secondo, il raggio sonoro ha subito ormai numerose riflessioni
perdendo a ogni impatto parte della sua energia iniziale e
della identità della sorgente. Il magma di queste riflessioni
produce l’effetto di riverberazione che induce il senso di
spaziosità dell’ambiente e che conferisce calore al suono ag-
giungendogli una coda sonora.
Per una buona prestazione gli esecutori hanno una esigenza
fondamentale: sentire se stessi e sentirsi l’un l’altro. Ciò
vale sia per i professori d’orchestra nella fossa, sia per i
cantanti sul palco. La qualità dell’ascolto da parte del pro-
fessore d’orchestra è del tutto diversa da quella dello spet-
tatore: egli sente soprattutto il suono del proprio strumento
che sovrasta, ma talvolta ne è sovrastato, quello degli altri
esecutori; nel suo posto di lavoro la dinamica sonora risulta
aspra, con istantanee variazioni di livello anche tra valori
estremi e la percezione del timbro dei vari strumenti falsata
per l’effetto del mascheramento reciproco.
Ogni esecutore conosce bene il proprio mestiere e le possibi-
lità del proprio strumento e la propria esecuzione non ha bi-
sogno di un ascolto molto fedele. Però ha bisogno di poter co-
municare con gli altri esecutori nella fossa e sul palcosceni-
co e di avere un riscontro dell’assieme. Ciò è reso possibile
dalle riflessioni prodotte dal boccascena e dagli specchi acu-
stici disposti a lato e sopra la fossa. Sono riflessioni di-
screte in numero ma molto energiche che pervengono ai musici-
sti con pochi centesimi di ritardo.
Per quanto riguarda il cantante sul palcoscenico., bisogna ag-
giungere che, a differenza degli orchestrali, riceve un ritor-
no del suono della propria voce dalla sala e ciò lo porta au-
tomaticamente a regolare l’apparato fonatorio in base
all’impressione ricevuta. Questa flessibilità gli consente di
sopperire ai difetti dell’acustica, ma talvolta a prezzo di
grandi sforzi.
L’obbiettivo della progettazione acustica è quello di realiz-
zare le migliori condizioni per un buon ascolto da parte degli
spettatori e per la migliore prestazione da parte di tutti gli
esecutori. Per raggiungere questo scopo si interviene anzitut-
to sulla forma della sala e quindi sul suo allestimento, ge-
stendo in modo opportuno la scelta dei materiali delle pareti,
del soffitto, del pavimento (comprese le poltrone) ed even-
tualmente sugli elementi di decoro e sugli accessori tecnolo-
gici. […]

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Sandro Cappelletto, I luoghi della musica, l9 ottobre 1996

[…] La maggior parte delle sale odierne nasce nell’Ottocento


per soddisfare le sonorità trascendentali di Franz Liszt, del-
la grande orchestra romantica e delle sue esuberanze sonore,
gradite a un pubblico non più contenibile, per numero e per
ceto sociale, nei saloni dei palazzi nobiliari.
La musica “da camera” deve la sua stessa definizione al luogo
in cui veniva eseguita: sale piccole, musica per pochi stru-
mentisti e per pochi spettatori, spesso molto competenti, per
un piacere più intimo. Una derivazione della “musica reserva-
ta” che si faceva nei palazzi rinascimentali, per una cerchia
di principi, artisti, intellettuali. Ridotta nelle dimensioni,
l’orchestra del melodramma barocco consentiva il protagonismo
delle voci.
Alle origini del teatro d’opera, la platea ove oggi curiosa-
mente si paga il prezzo più alto era il luogo meno considera-
to, privo perfino delle poltrone. Il palcoscenico era rialzato
perché il canto doveva raggiungere soprattutto i diversi ordi-
ni dei palchi, dove sedeva il pubblico nobile. Separati l’uno
dall’altro, come tante stanzette, i palchi garantivano, com-
plice la semioscurità, discrezione e riservatezza. La stessa
disposizione della sala a “a ferro di cavallo” nata in Italia
perché in Italia è nato il melodramma, si rivela funzionale a
questa fruizione.
La rivoluzione drammaturgica di Wagner, la sua concezione del
teatro lirico come “opera d’arte totale”, porterà a nascondere
l’orchestra, sistemandola nel “golfo mistico” a vantaggio del-
la concentrazione sull’aspetto visivo dello spettacolo.
La sala resterà completamente al buio, l’esecuzione sarà in-
terrotta dagli applausi soltanto alla fine degli atti.
Nel nostro secolo raramente la nuova musica ha potuto appro-
fittare di sale adeguate. Il primato del repertorio tradizio-
nale – che occupa l’80 per cento della programmazione – pena-
lizza la ricezione di composizioni pensate per luoghi diversi.
Spicca come un’eccezione l’esempio del Poeme Eletcronique di
Edgar Varese, pensato per il Padiglione Philips progettato da
Le Corbusier con la collaborazione di Iannis Xenakis per
l’Esposizione Universale di Bruxelles nel 1958.
Il pubblico camminava lungo il percorso scandito dalla musica
nello spazio del padiglione, poteva scegliere quale suono se-
guire.
Più recente la realizzazione dell’espace de projection nelle
sale dell’Ircam di Parigi, dove per la prima volta una sala
musicale non è concepita in maniera statica: le sue mura, lo
spazio riservato al pubblico, la disposizione degli strumenti
diventano parametri mobili, docili alle richieste del composi-
tore. […]

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Sandro Cappelletto, L’architettura per la musica, 9 ottobre
1996

Perfino Luchino Visconti dovette rassegnarsi. Inutile chieder-


le di spostarsi, di avanzare o arretrare rispettando le indi-
cazioni del regista. Quella, un po’ indietro sulla destra, era
esattamente la posizione che Maria Callas, diva consapevole,
voleva difendere sul palcoscenico della Scala. Sentiva e sape-
va che partendo da quel punto preciso la sua voce poteva me-
glio raggiungere il pubblico, correre nello spazio del teatro
nel modo più omogeneo ed efficace.
Sapeva e sentiva come ogni cantante e strumentista, che lo
spazi in cui il suono vive e circola prima di scomparire de-
termina la sua fruibilità, è una variabile fondamentale per
realizzare le intenzioni della musica.
Una consapevolezza arcaica, evidente osservando la disposizio-
ne di un coro: quella forma a emiciclo già sfruttata dai greci
nella costruzione degli anfiteatri, raccolta come un’abside,
immutata da millenni, consente la migliore diffusione della
parola e del canto.
Il rapporto tra la musica e i luoghi che la contengono, le mo-
dificazioni che ha conosciuto, le possibilità di controllo e
manipolazione offerte oggi dall’elettronica, sono stati gli
argomenti discussi in Ascoltare lo spazio, un convegno promos-
so dal Centro Ricerche Musicali di Roma in collaborazione con
l’Istituto Goethe.
Il secolo che ha imparato a registrare e riprodurre i suoni,
creando la possibilità della memoria sonora e la relativa in-
dustria, non si è altrettanto preoccupato delle condizioni
concrete in cui avviene la produzione e il consumo di musica.
Se nelle sale di incisione la tecnologia può modificare e go-
vernare molti dei parametri fondamentali del suono – intensi-
tà, risonanza, tempo di riverbero, rapporti ed equilibri tra
le diverse sezioni orchestrali, perfino l’intonazione – la
fruizione nelle sale da concerto è ancora inadeguata rispetto
alle conoscenze scientifiche disponibili.
“Oggi una sala musicale deve potersi adattare a funzioni di-
verse e la sua molteplicità d’uso è una sfida meravigliosa,
perché genera nuovi problemi di natura strutturale, acustica e
concettuale, e di drammaturgia virtuale”, riflette Luciano Be-
rio, ribadendo la dimensione comunque teatrale del suono,
confermata dalla “legge della prima onda”: il primo manife-
starsi al nostro orecchio dell’onda del suono determina la
percezione del suo valore semantico.
Pericolo, allarme, attesa, eccitazione, felicità: uno strappo
cupo delle corde del contrabbasso segnala un messaggio diverso
da quello promesso dalla luminosità di una tromba. Ogni suono
è un personaggio, il suo teatro è la sala da musica, che può
premiare o punire le sue volontà.

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Dipende da come arriva. A qual punto un luogo acusticamente
inadatto possa penalizzare l’ascolto, è raccontato
nell’opuscolo pubblicato dal Teatro Regio in occasione
dell’avvio del suo “restauro acustico”, espressione per la
prima volta impiegata da un Ente lirico italiano,m segno di
una consapevolezza finalmente raggiunta. Quelle pagine costi-
tuiscono una radiografia fatta da tutti i possibili punti di
ascolto: l’orchestrale, il direttore, il cantante, lo spetta-
tore, il critico.
“L’acustica attuale del Regio, ha un andamento irregolare,
tende a togliere spessore e dinamica alle voci e
all’orchestra, pone problemi di assieme di ardua soluzione”,
scrive Claudio Abbado.
Ancora più drastico, Riccardo Chailly, direttore del Concer-
tgebouw di Amsterdam: “La prima Sinfonia di Mahler richiede un
buon tempo di riverbero perché il suono possa espandersi nella
sala e perché sia possibile un gioco di dinamiche: a Torino i
problemi sono stati enormi”.
“La Boheme del centenario è stata una grandissima fatica per-
ché, come si dice in gergo, la mia voce non aveva ritorno. Non
avevo la minima idea di come risuonasse nella sala ed ero por-
tato a forzare continuamente, l’ultima cosa che un cantante
deve fare”, protesta Luciano Pavarotti. […]

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