Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                

Occhi Sul Mondo

Scarica in formato pdf o txt
Scarica in formato pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 58

Occhi sul mondo

Hoepli, Milano
I l r e p o r tag e : c o s a v u o l d i r e ? ®

C o m e s i i m p o s ta ? C o m e s i a p p r o c c i a ?
(n on s olo da pa rte d el lo sp oso e dell a sposa )

Sulle tracce
dei grandi
esploratori italiani

a cura di Michele Dalla Palma


www.nital.it ®
SOMMARIO

Prefazione:
• out of the bubble

Capitolo 1:
• Le grandi montagne sulla Via della Seta
• SULLE TRACCE DI IPPOLITO DESIDERI TRA LE VALLI DELL’HIMALAYA
• SILK ROUTE, LA VIA DELLA SETA TRA LEGGENDA E REALTÀ
• K2, LA MONTAGNA DEL SOGNO
• GLI UOMINI DELLE GRANDI MONTAGNE

Capitolo 2:
• UOMINI E ORIZZONTI SULLA VIA DELL’INCENSO
• LE SUGGESTIONI D’ORIENTE DI NICCOLO’ DE CONTI
• LA VIA DELL’INCENSO
• GLI UOMINI DEL DESERTO
• OMAN - LE SABBIE DEL SULTANO
• YEMEN - ARABIA FELIX, LA TERRA DELLE MILLE E UNA NOTTE
In questo lavoro – un volume fotografico di grande formato che propone una rassegna
Capitolo 3: di immagini provenienti da trent’anni di “vagabondaggi” in molti paesi del mondo –
• MARCO POLO SULLA VIA DELLE SPEZIE l’autore imprigiona la sua “anima” visiva, quella che da sempre cerca di esprimere con le
• DAL GOLFO DEL SIAM ALLE MAGIE DELL’INDIA
• LA VIA DELLE SPEZIE
immagini, ma ancor più, storie di personaggi che, ben prima dell’avvento delle scienze
• LAOS, DOVE IL RISO CRESCE CANTANDO e della tecnologia, la Storia l’hanno scritta, con le intuizioni della fantasia e il coraggio di
• MYANMAR, LA TERRA SOSPESA andare verso l’ignoto.
• CAMBOGIA NEL REGNO DEI KHMER
• RAJASTHAN, I COLORI DELL’ANIMA Ammalati di esterofilia, immaginiamo i grandi esploratori e avventurieri provenire dal
mondo anglosassone o americano, invece molte delle scoperte geografiche “epocali”
Capitolo 4:
• L’AFRICA DEGLI ITALIANI portano la firma di italiani più o meno sconosciuti che per primi hanno tracciato itinerari
• ALLA SCOPERTA DI UN CONTINENTE SCONOSCIUTO seguiti poi da altri per allargare le frontiere del “conosciuto”.
• ERITREA, NOSTALGIE D’AFRICA
• DANCALIA, LA TERRA DEL DIAVOLO Da Marco Polo a Ippolito Desideri, religioso che nei primi anni del 1700 percorse le
• ETIOPIA, SULLE TRACCE DELL’ARCA valli himalayane e del Karakorum arrivando a Lhasa; da Niccolò de Conti, mercante
• VALLE DELL’OMO, UN VIAGGIO NEL TEMPO di Chioggia che nel 1300 viaggiò per trent’anni verso mondi sconosciuti, fino alle isole
Capitolo 5: più sperdute dell’Indonesia, tracciando le rotte che poi saranno fondamentali ai grandi
• AL FIN DEL MUNDO navigatori – da Vasco de Gama a Magellano – per aprire le grandi vie commerciali
• NAVIGATORI ITALIANI VERSO LE TERRE AUSTRALI marittime che faranno uscire il mondo dal Medioevo, a Alberto Maria De Agostini, che
• ARGENTINA, CIELI DEL SUD all’inizio del XX secolo svelò le ultime macchie bianche sul mappamondo, quelle terre
• PATAGONIA, KOSTEN AIKE,IL “LUOGO DEL VENTO”
• TIERRA DEL FUEGO, DOVE IL MONDO FINISCE australi del continente americano ancora avvolte dalla suggestione dell’ignoto. E che
dire degli esploratori sabaudi, che a metà dell’800, in pieno Romanticismo, lasciarono
una giovane nazione in divenire, l’Italia, per inseguire fantasie nelle inesplorate regioni
d’Africa?
Tutti i diritti sono riservati.
Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta A distanza di secoli, in molte di queste aree geografiche ai margini della “civiltà” si
senza l’autorizzazione scritta dell’autore e dell’editore (Nital S.p.A.) possono ancora intuire, a saper guardare, le suggestioni e le emozioni raccontate
con qualsiasi mezzo di riproduzione, meccanico o elettronico.
Nomi e marchi citati nel testo sono generalmente depositati o registrati Progettazione e impaginazione da questi uomini d’avventura; emozioni che, attraverso le immagini e brevi appunti di
dalle rispettive aziende. Advision srl Verona. | www.ad-vision.it viaggio dell’autore, questo libro vuole raccontare.
3• ®

Pre fa z i one :

out of the bubble


P R E FA Z I O N E : O U T O F T H E B U B B L E 4• ®

Prospettive, movimenti, luci, rumori, ritmi, consuetudini, odori di una qualsiasi delle senza più energia, si rifiutavano di stringere ancora. Ho imparato ad ascoltare il respiro
nostre città, in un qualsiasi angolo del mondo “civilizzato”, definito anche “occidentale”, del vento, la voce della notte e dei boschi accarezzati dalla neve.
costituiscono un insieme di schemi e scenografie che riconosciamo, riusciamo a
Ho capito l’insensatezza di sfidare rocce, temporali, la valanga o la corrente di un
decifrare e codificare in tempo reale, perché appartengono ai nostri pensieri e alle
fiume... ma anche il credere di poter condizionare le stagioni, forzare la Natura rubando
nostre certezze.
spazi al mare, costruire città nei letti dei fiumi o sulle falde dei vulcani.
Divinità e feticci della nostra quotidianità attirano, abbagliano e rassicurano dalle
Illusorio delirio di onnipotenza, inutile tentativo di sconfiggere con l’apparenza il tempo,
vetrine luccicanti dei megastore, dei centri commerciali, delle “shopping street”,
i “mostri” e le angosce che perseguitano l’uomo. Straordinario concentrato di sogni e
rappresentazioni di un “benessere” condizionato da immagini e modelli imposti da un
fantasie rinchiuso in un corpo troppo fragile ed effimero.
“obbligo” a consumare che caratterizza, sostiene e delimita la nostra realtà.
Ma il fascino delle montagne, pur straordinario, ha presto lasciato spazio nei pensieri
Ci siamo circondati di una gigantesca muraglia di prodotti di ogni tipo, sostenendoli con
proprio gli uomini, con le loro infinite contraddizioni, che sono spesso divenuti
ideologie di modernità e progresso senza fine, arrivando a concepire il mondo come
protagonisti delle mie curiosità capaci di spingermi in angoli lontani del mondo alla
“virtuale”.
ricerca delle radici profonde della vita.
Un’immensa bolla che alimenta, mantiene e protegge la nostra civiltà. Che abbiamo
E altri uomini, in grado di imprigionare nelle parole emozioni, suggestioni e fantasie,
creduto impermeabile a qualsiasi altro modo di intendere la vita.
hanno scatenato le mie fantasie: i viaggiatori e gli esploratori del passato.
Ma crepe sempre più evidenti incrinano questo scudo, apparentemente invincibile, a
Spesso, ripercorrendo sentieri e itinerari, visitando luoghi descritti dentro racconti
difesa della nostra realtà dalle altre infinite realtà del resto del mondo.
redatti anche secoli prima, ho riconosciuto scorci, dettagli, particolari, suggestioni e
Lentamente ma inesorabilmente, sono penetrati nella nostra illusoriamente perfetta atmosfere. Ancora identici, intatti, vivi come li avevano visti e percepiti occhi e pensieri
quotidianità virus culturali provenienti da mondi alieni. Alcuni, grazie a straordinarie e di questi antesignani dell’Avventura.
sconosciute alchimie, appartenenti a epoche primordiali.
Kypling, Stevenson, Jack London, ma anche personaggi meno conosciuti, scoperti
Virus capaci di contaminare l’immaginario e la fantasia. tra le pagine di polverosi diari di viaggio, sono “colpevoli” del mio bisogno di voltare le
spalle alle certezze per andare alla scoperta del Mondo. Quello che esplode al di fuori
Basta, allora, prendere un aereo, fantastica macchina del tempo e dello spazio, per
della “bolla” protettiva della nostra quotidianità.
ritrovarsi in altre realtà, capaci si scompigliare le nostre sicurezze preconfezionate.
E spesso mi riconosco, nel sorriso di un bimbo, negli occhi di una donna, nelle rughe di
Per me, uomo di montagna, cacciare sogni tra rocce e ghiaccio delle grandi montagne
un vecchio, o nell’immobile verità di un orizzonte.
è stata la giustificazione più facile. Poche cose in uno zaino e la voglia di inseguire una
nuova avventura, alla ricerca di conferme, nel mondo reale, di storie già vissute nella Allora scoppia nei pensieri il desiderio di impossessarmi di quell’attimo, farlo mio, per
fantasia. sempre, congelandolo in un’immagine… perché la memoria e i ricordi sono troppo
spesso bugie.
Ho scoperto la vertigine di conquistare lo spazio, un centimetro alla volta, sulle pareti
strapiombanti delle Dolomiti, accarezzando le rughe della roccia fin quando le dita,
5• ®

Capitolo 1:
• Le grandi montagne sulla Via della Seta

• SULLE TRACCE DI IPPOLITO DESIDERI


TRA LE VALLI DELL’HIMALAYA

• SILK ROUTE, LA VIA DELLA SETA


TRA LEGGENDA E REALTÀ

• K2, LA MONTAGNA DEL SOGNO

• GLI UOMINI DELLE GRANDI MONTAGNE


C apitolo 1 6• ®

Le grandi montagne sulla Via della Seta


Le mie avventure sulle immense pareti dell’Himalaya e del Karakorum, dove ho inseguito scritti del gesuita fanno supporre che, al seguito della principessa, lo stesso Desideri
fantasie che si perdevano nel cielo, per poi scoprire, una volta arrivato sulle cime, che possa aver partecipato alla grande khora, la circoambulazione della Montagna Sacra.
mille altre fantasie popolavano l’orizzonte, hanno seguito il filo di altri uomini che, molto
All’inizio del ‘700 Lhasa era la splendida capitale abbellita dal V Dalai Lama: il Potala,
prima di me, quelle avventure avevano cercato.
appena ultimato, troneggiava sulla Collina Rossa, i padiglioni dorati dei templi
Ma molto più delle imprese dei grandi scalatori, la mia immaginazione è stata colpita abbagliavano i pellegrini che giungevano da tutto il Tibet, dalla Mongolia, dalla Cina,
dalle storie di un modesto sacerdote, scoperte sulle pagine di un vecchio libro. dal Nepal e attorno alla città erano stati costruiti monasteri che ospitavano decine di
migliaia di monaci. Gli scritti di Desideri si rivelano utilissimi non solo per comprendere
Partito da Pistoia nei primi anni del 1700, Ippolito Desideri fu tra i primi occidentali a
le vicende di quel travagliato periodo storico, ma anche le conseguenze di quegli eventi,
vivere quel mondo di magia e incredibili contrasti degli uomini che vivevano ai piedi dei
che rimangono purtroppo di drammatica attualità.
Giganti di Pietra.
Nel 1717, mentre era impegnato a studiare la lingua tibetana nell’università di Sera, il
Seguendo le sue tracce, tra valli e rocce dell’Himalaya e del Karakorum,
Tibet venne invaso dalle armate di un’altra tribù mongola, quella degli Zungari. Accolti
tre secoli dopo, ho conosciuto e vissuto molte delle sue esperienze.
all’inizio come liberatori, gli Zungari si rivelarono in realtà spietati occupanti, dediti alla
violenza e al saccheggio. Nel giro di tre anni la situazione trovò il suo epilogo nell’intervento
SULLE TRACCE DI IPPOLITO DESIDERI dell’esercito cinese, inviato dall’imperatore Kanxi, che sbaragliò definitivamente gli
TRA LE VALLI DELL’HIMALAYA Zungari. Desideri ci ha lasciato una testimonianza illuminante su quegli eventi, scrivendo
parole che oggi non possono che risuonare come una sinistra profezia:
Un Gesuita sul tetto del mondo
Ippolito Desideri, nato a Pistoia il 21 dicembre del 1684, era entrato nella Compagnia
di Gesù poco più che quindicenne. Completato il rigoroso percorso formativo e presi i
voti, salpò da Genova alla volta di Lisbona, porto di partenza per le Indie, nell’ottobre del
1712. All’inizio del XVIII secolo, raggiungere l’India per mare esponeva i viaggiatori alle
insidie dei pirati e li consegnava ai capricci dei venti. La nave che trasportava il gesuita
sfuggì ai primi, ma arrivò quasi a toccare le coste del Brasile, prima di raggiungere il
Capo di Buona Speranza. Doppiato quell’estremo lembo d’Africa e risalita la costa fino
ai possedimenti portoghesi del Mozambico, salpò finalmente per l’India, dove attraccò
a Goa nel settembre del 1713. Da qui Desideri si spostò a Delhi, capitale dell’impero
Moghul che, dopo due secoli di fulgore, ormai evidenziava le crepe che di lì a poco ne
avrebbero decretato l’ineluttabile rovina.
Tibet
Lasciata Leh, capitale del Ladakh, nella tarda estate del 1715, non sarebbe mai
giunto a Lhasa se non si fosse aggregato a un drappello di soldati mongoli, guidato
dall’aristocratica vedova del loro ex comandante, la principessa Cashàl, che si prodigò
in tutti i modi per ridurre le pene del lungo viaggio. E’ assai probabile che Desideri sia
stato il primo europeo a vedere il sacro monte Kailash e il lago Manasarovar, che già
allora richiamavano schiere di pellegrini da gran parte dell’Asia. Le date riportate negli
C apitolo 1 7• ®

SILK ROUTE, LA VIA DELLA SETA TRA LEGGENDA E REALTA’


Via della Seta... illusione esotica fatta di fantastici scenari, colori, profumi e atmosfere Nel 1961 i genieri dell’esercito cinese iniziarono la costruzione di una delle più imponenti
che ognuno ha reinventato nella propria memoria. Abbiamo letto tutti, da bambini, opere mai realizzate dall’uomo: la Karakorum Highway, una strada percorribile anche
le avventure di Marco Polo, straordinario viaggiatore partito dalle calli di Venezia, sei da grossi camion che, inaugurata nel 1978, “tagliando” letteralmente almeno 500
secoli fa, per raggiungere la corte misteriosa degli imperatori della Cina. Le abbiamo chilometri di montagne collega Kashgar, avamposto cinese ai bordi occidentali del
ingigantite, trasfigurate con l’immaginazione, trasformandole in leggenda. Ma la Via della deserto di Taklamakan, alla città di Havelian, ai piedi degli ultimi risalti himalayani
Seta esiste. Straordinaria, infinita arteria che supera elementi naturali apparentemente una novantina di chilometri a nord di Islamabad. Il tracciato è stato realizzato quasi
insuperabili. Montagne immense e fiumi furiosi. completamente “strappandolo” al cuore di pietra dell’Himalaya con quantitativi
impossibili da quantificare di esplosivo per violare la roccia. Molto meno esperti dei
La Via della Seta, da duemila anni, è il cordone ombelicale che unisce L’Occidente
cinesi nell’uso della dinamite, i pakistani lasciarono sul campo un numero pesante di
al continente asiatico. Raro esempio di come, a volte, la fantasia e la realtà possono
vittime: per realizzare 130 chilometri di percorso, dei circa 10.000 operai locali ben
compenetrarsi e confondersi, sfumando i contorni di ciò che è vero con le invenzioni
812 non tornarono a casa! La differenza con i cinesi è impressionante: questi ultimi
della fantasia.
costruirono i mille chilometri “impossibili” nel cuore delle vallate montane, ma su 20.000
persone impiegate contarono alla fine solo 82 vittime.
Dalla Via della Seta alla Karakorum Highway Anche se è percorsa giornalmente da migliaia di camion e fuoristrada (le auto, da queste
Ancora oggi il tracciato della Via della Seta è mantenuto e utilizzato dalle popolazioni parti, sono autentiche rarità) non si deve pensare a una via di comunicazione come
dei villaggi che si affacciano, da angusti terrazzi sabbiosi e anse dei fiumi, sulla valle che siamo abituati a frequentare alle nostre latitudini: la Karakorum Highway, che spesso
penetra verso nord la catena himalayana. non consente spazio sufficiente a due mezzi costringendo i guidatori a spericolate
manovre, è un’infinita teoria di curve senza parapetti sospese nel vuoto di scarpate
Nel frattempo, mezzo secolo fa, dal caos seguito all’abbandono anglosassone impressionanti. Dal basso, i ruggiti del fiume sembrano uscire da fauci spalancate in
del subcontinente indiano nasceva il Pakistan. Le regioni del nordovest, a grande attesa di prede. Le montagne offese si vendicano vomitando quotidianamente enormi
maggioranza islamica, ottennero una difficile e travagliata indipendenza. Ancora oggi quantità di pietre e ghiaia sulla sede stradale, e il viaggio diventa un infinito zigzag tra i
India e Pakistan sono in regime di guerra per la definizione dei confini nella provincia massi che ingombrano l’asfalto sconnesso. Ogni pioggia interrompe vari tratti di strada,
del Kashmir, pretesa da entrambi i governi, anche se, dopo aver rischiato nel 2002 che spesso rimangono impraticabili per giorni. Nonostante i disagi, però, un’avventura
addirittura un conflitto nucleare, le notizie attuali sembrano indirizzare le speranze verso sulla Karakorum Highway offre un imperdibile ed entusiasmante viaggio nella storia e
una prossima soluzione positiva concordata. nella natura di una delle regioni più selvagge e interessanti del pianeta, per ammirarne i
Nei primi anni sessanta la giovane politica pakistana aveva ricevuto l’appoggio della suoi aspetti più plateali e affascinanti.
Cina maoista, ostile all’India, che vedeva nelle posizioni di Islamabad un utile alleato.
Naturalmente, per un dannato destino che da sempre caratterizza la “ragione” degli
stati totalitari, politica e armi rappresentano un binomio indissolubile. Come gli antichi
missionari buddisti duemila anni prima, anche i gerarchi cinesi si accorsero che
il corridoio di collegamento più semplice per trasferire armi pesanti da Pechino alla
neonata nazione pakistana passava dal Khunjerab Pass.
Il “dettaglio” di circa 800 chilometri di territori scoscesi e impervi da superare sembrava
non rappresentare alcun problema per i visionari progettisti di Mao Tze Tung.
C apitolo 1 9• ®

K2, LA MONTAGNA DEL SOGNO


...Emirates/ Checked Baggage... da ore il mio sguardo è incollato sulla fascia fluorescente
del bidone che cammina un metro davanti al naso. Panciuto scrigno di plastica blu,
unico mezzo per “salvare” il proprio bagaglio sui sentieri dell’Himalaya, il mio drum
viaggia sulla schiena di Ashraf, che dalle tre di questa mattina macina chilometri sulla
morena centrale del Baltoro Glacier. Rimanergli attaccato, subendo il ritmo forsennato
del portatore baltì, è l’unico modo per non perdermi in questo deserto senza fine di
pietre e acqua fossile. Nel calore soffocante del primo pomeriggio ci accompagnano
i boati sordi del ghiacciaio che scivola verso valle; rocce enormi, in bilico su irreali
architetture di cristallo effimero, a tratti precipitano modificando i profili della morena e i
miei pensieri, che ritornano alla realtà dal limbo dove li ho costretti nel tentativo, inutile,
di esorcizzare la fatica.
Ogni tanto, un istante prima che il respiro si inceppi nella gola inaridita dalla polvere e
dalla quota, Ashraf si ferma. Si appoggia di schiena ad una pietra, alleviando il peso del
basto dalle spalle.
“Rest”. Parola magica. Sibilo tagliente come gli sguardi del mio compagno, che
escono a fatica dalle fessure degli occhi. Significa che ho una manciata di secondi
per riprendere fiato. Poi di nuovo una processione di passi tra pietre instabili e rivoli
d’acqua, persi nell’immensità di questo fiume di ghiaccio lungo ottanta chilometri, nel
cuore più selvaggio e magnifico del Karakorum.
Sulla cresta dell’ennesima onda di ghiaia intuisco lo spallone erboso sul fianco sinistro
della morena, che annuncia il campo; rallento impercettibilmente il passo e l’attimo
successivo Ashraf è già sparito tra le dune di ciottoli colorati, inghiottito col suo ritmo
indiavolato da una nuvola di polvere finissima e opprimente. Ma ormai non mi perdo più!
Quante rughe isteriche di sabbia e ghiaccio dovrò invece superare ancora prima di
dare respiro e tregua ai miei piedi, davanti a una tazza di thè bollente? La mia mente,
offuscata da fantasmi di calore e stanchezza, si fa carico di nascondermi la verità.
C apitolo 1 10 • ®

GLI UOMINI DELLE GRANDI MONTAGNE


Nei miei vagabondaggi lungo sperdute valli dell’Himalaya, del Karakorum, del Tibet,
all’ombra dei giganti di pietra e ghiaccio ho percepito minuti, ore, giorni, rallentare, per
adeguarsi ai ritmi di quell’universo infinitamente più grande delle nostre ambizioni.
Cercando di nascondere la mia diversità, ho spiato donne coccolare per ore i loro
cuccioli, vecchi raccontare a un pubblico di bambini distesi nella polvere storie di dei,
montagne e antichi eroi, tramandate di bocca in bocca da tempi lontani, perchè non
vadano perdute le radici e le ragioni di ogni vita.
C apitolo 1 11 • ®

Joule Joule. Non solo saluto.


Ancor prima esclamazione di gioia di persone che sanno sorridere. Anche con gli occhi,
taglienti come fessure scolpite su visi bruciati dall’aria tersa e secca e dei quattromila
metri.
A Leh, tra campi gialli di lino ho trovato alloggio presso una famiglia che abita una casetta
dal caratteristico tetto piatto. Non piove quasi mai, a nord delle grandi montagne, e la
copertura orizzontale è uno dei luoghi più utilizzati delle abitazioni.
La padrona di casa, una grassa tibetana già nonna, mi ha “adottato” e si fa in quattro
per prevenire ogni mia necessità. Ha un solo difetto: come apro bocca per dire qualcosa
scoppia in fragorose risate. Irrefrenabili.
Eppure è così facile capirsi, quando si desidera capire. La sera, nell’unica grande stanza
a pian terreno, ceniamo tutti insieme, e Ti-Sei, il capofamiglia, mi racconta le sue storie.
Non comprendo le parole, ma il linguaggio degli sguardi e dei gesti è un fantastico e
inequivocabile vocabolario universale.
Mentre sorseggiamo una tazza di tchai, miscela liquida di thè, burro e sale, un cupo
rumore si insinua nella pacata atmosfera familiare appena rischiarata dai riverberi tremuli
delle candele.
Il suono profondo di un tamburo. Ti-Sei mi fa un cenno col dito verso l’alto.
Sul tetto c’è un piccolo tempietto buddista. Nella penombra mossa da piccoli lumi ad
olio si delinea la tunica amaranto di un monaco, mentre narici e pensieri accettano
l’invasione penetrante dei fumi d’incenso. Una nenia gutturale, che sembra arrivare da
distanze infinite, accompagna il ritmo del tamburo, e fa vibrare stomaco e polmoni.
Momenti di quotidianità diventano un tempo immobile, fuori dal tempo e fermo nello
spazio. Incidono ogni dettaglio, ogni sfumatura nella memoria.
Osservo la notte fermarsi, ipnotizzata da quell’armonia che miscela con formule
ancestrali e misteriose suoni, gesti e odori.
Anche il vento, che per tutto il giorno ha giocato con la polvere sottile dell’altipiano, si
riposa sulle cime degli alberi.
Esistono, pochi e sempre più rari, momenti in cui la magia diventa realtà.
Questo è uno di loro.
(Una notte di maggio sul tetto di Ti-Sei a Leh,1985)
13 • ®

Capitolo 2:
• UOMINI E ORIZZONTI SULLA VIA DELL’INCENSO

• LE SUGGESTIONI D’ORIENTE DI NICCOLO’ DE CONTI

• LA VIA DELL’INCENSO

• GLI UOMINI DEL DESERTO

• OMAN - LE SABBIE DEL SULTANO

• YEMEN - ARABIA FELIX, LA TERRA DELLE MILLE


E UNA NOTTE
C apitolo 2 14 • ®

UOMINI E ORIZZONTI SULLA VIA DELL’INCENSO LE SUGGESTIONI D’ORIENTE DI NICCOLO’ DE CONTI


Altri paesaggi, “orizzontali” e spesso senza fine né confini, quelli che mi hanno affascinato, Un nome, nel pantheon dei grandi esploratori, quasi incapace di suscitare interesse,
e a volte sconcertato, nei miei vagabondaggi tra deserti, foreste, e avventure dentro com’è destino di tanti “Grandi” che hanno lasciato un segno indelebile nella nostra
e fuori dalla realtà. Inseguendo fantasie materializzate nei racconti di Emilio Salgari, storia senza avere in cambio la “fama” eterna. Ma è solo apparenza… se si sfoglia
Rudyard Kypling, Robert Louis Stevenson: avventurieri e corsari, misteriosi uomini blu con un po’ di attenzione la “storia” vera, e il divenire di eventi che ha permesso agli
padroni delle infinite sabbie sahariane, Sandokan e le sue invincibili Tigri della Malesia… uomini di spostare sempre più avanti i confini della conoscenza, scopriremo che questo
mercante di Chioggia è il padre di tutti gli esploratori dell’era moderna.
Poi, un giorno, spiando storie tra un libri e atlanti, mi sono imbattuto in un nome, talmente
anonimo da suscitare curiosità semplicemente per il suo essere lì: Niccolò de Conti. In un’epoca, il tardo Medioevo, in cui gli orizzonti e le conoscenze degli uomini raramente
superavano il confine dell’ultima casa del proprio villaggio, Niccolò viaggiò per trent’anni
Leggendo le sue storie, molte fantasie si sono trasformate in realtà. Immaginando
dal vicino al lontano Oriente, raggiungendo luoghi dove ancora oggi, nell’era della
questo mercante veneziano, settecento anni fa, affrontare percorsi ignoti, diventare
tecnologia, non è facile arrivare.
musulmano per sopravvivere in paesi lontani e ostili, tracciare mappe e carte che
avrebbero spalancato le porte di nuovi mondi ai grandi navigatori del Rinascimento, Da Damasco alle sabbie infinite dell’Empty Quarter
scoprire civiltà sconosciute all’Occidente, è nato il desiderio di rivivere, a distanza di sette
Le prime notizie del nostro personaggio, nato a Chioggia nel 1395, arrivano da Damasco,
secoli, le sue emozioni dalle sabbie del Sahara alle ipnotiche atmosfere dell’Oriente.
da dove prese il via il suo viaggio che lo porterà fino alle più lontane isole dell’Indonesia.
Nel 1414 Niccolò parla già correttamente la lingua moresca, e si aggrega ad una
carovana di mercanti arabi coi quali, superato il deserto della Siria – un vasto territorio
compreso tra la capitale del regno siriano e il fiume Eufrate – attraversa la Mesopotamia
e fa tappa a Bagdad.
Navigando lungo i corsi dell’Eufrate e del Tigri raggiunge poi Bassora e la foce dello
Shatt al-Arab, costeggiando poi tutto il Golfo Persico fino allo stretto di Hormutz e
quindi approda sulle coste del califfato dell’Oman, che allora comprendeva anche tutti
i territori dell’attuale Yemen.
Suggestioni e magie dell’India
È la “scoperta” dell’India, dei suoi profumi, delle sue spezie, del suo caos di civiltà e
culture a lasciare un segno indelebile nella vita di Niccolò, che proprio in questo infinito
paese trova l’anima gemella che, divenuta sua moglie, lo seguirà nei vagabondaggi fino
alle isole di Giava e Sumatra e gli darà quattro figli.
In India il mercante veneziano si impadronisce dei segreti di questa variegata umanità
e soggiornerà a lungo nel subcontinente spostandosi da una regione all’altra, da Delhi
a Calcutta, risalendo il Gange e poi seguendo le coste del Malabar fino a Madras e
poi a Malapur, alla ricerca delle tracce del culto di San Tommaso, molto vivo in questa
regione.
C apitolo 2 15 • ®

Borneo, l’ultimo orizzonte


I racconti dell’avventuroso veneziano seguono una indelebile traccia verso oriente:
imperdibili le descrizioni dell’isola di Giava, il racconto di quasi un anno di permanenza sul
Borneo, di cui racconta le meraviglie ambientali e faunistiche, la ferocia dei suoi abitanti,
le pratiche di cannibalismo, e quindi la scoperta delle Molucche e di Celebes, dove
trova le preziose noci moscate. Queste isole segnano il punto più orientale raggiunto
dal veneziano, che da quel momento riprende a ritroso il viaggio che lo riporterà verso
l’Europa. Ma la strada è ancora lunga.
Di nuovo il subcontinente indiano, questa volta navigando lungo la costa est fino a
Calcutta, all’epoca uno degli empori più ricchi e frequentati delle Indie Orientali.
Con la prua della nave rivolta verso il Mar Rosso, Niccolò De Conti si ferma a Socotra, e
poi di nuovo in mare fino ad Aden. Ci vuole ancora un mese, risalendo il Mar Rosso, per
toccare terra a Gedda, e poi altri due di difficile navigazione per raggiungere un approdo
sulla penisola del Sinai.
Questo “sconosciuto” viaggiatore veneziano può a pieno titolo affiancarsi ai più grandi
esploratori del Medioevo, Marco Polo e Ibn Battùtah, non solo per l’ampiezza e
l’eccezionalità del suo itinerario, ma anche per le sue notevoli capacità di osservazione
e per la sostanziale esattezza delle notizie che ci seppe trasmettere; fu probabilmente
il primo europeo ad andare e tornare dall’Estremo Oriente dopo i Polo, e i suoi precisi
e dettagliati racconti hanno influenzato la corretta comprensione geografica dell’intera
area dell’Oceano Indiano per tutto il 15° secolo.
Sembra che lo stesso Cristoforo Colombo sia stato influenzato dai racconti del
veneziano, e proprio la ricerca di una via verso occidente per raggiungere Giava e
Sumatra, mirabilmente raccontate e localizzate da Niccolò De Conti, abbia permesso al
grande navigatore la scoperta del continente americano. Altrettanto certa la conoscenza
dei racconti e descrizioni geografiche del Siam di De Conti da parte di Antonio Pigafetta,
capitano e pilota di una delle navi di Magellano, che ha viaggiato in tutto il mondo nella
prima metà del 1500.
C apitolo 2 16 • ®

LA VIA DELL’INCENSO
Forse ancor più esotica e ricca di suggestioni della Via della Seta, la tratta carovaniera si compiace specchiandosi la rinnovata ricchezza, si trasformano improvvisamente in
che collegava le coste occidentali dell’India all’estremità della penisola arabica, gli attuali vicoli impercorribili, animati da poveri giochi di bambini vestiti soltanto di infantile voglia
territori dell’Oman e dello Yemen, e quindi i porti greci e italiani, ha eccitato la fantasia di vivere. Lo sfarzo esagerato di marmi, cristalli e acciaio dei nuovi palazzi del potere e
dei viaggiatori fin dall’epoca imperiale romana. del business, pur lontano dall’opulenza della Beirut dei primi anni ‘70, convive con gli
edifici corrosi dalla furia incontrollata di una guerra tribale, travestita da conflitto religioso.
Nelle città meridionali della penisola araba venivano raccolte le essenze pregiate
Ancora oggi inutili testimoni scheletriti, nonostante siano ormai passati più di due lustri,
provenienti da Oriente – sandalo, muschio, bambù, canfora, bdellio, balsamo, mirra
di un odio totale che per diciassette anni ha costretto tutti contro tutti.
– e spezie come il pepe, la noce moscata, i chiodi di garofano, oltre a cereali, riso e
zucchero di canna. Montagne di immondizia e detriti, nel cuore della città, fanno da sfondo a colonne di
limousine in parcheggio. La “green line”, che tagliava in due il centro urbano dividendo
Proprio le coste aride dell’Oman e dello Yemen erano il luogo ideale per la crescita della
quartieri cristiani e musulmani, è ancora un confine invisibile ma invalicabile tra universi
Boswellia sacra, da cui si ricavavano i preziosi grani di incenso che poi profumavano le
che forse non si capiranno mai, a dispetto delle vetrine dove si esalta il consumismo
corti imperiali romane e in seguito chiese e edifici sacri e profani.
più sfrenato. Uguali a quelle di mille altre città, che non riescono però a nascondere
Carovane composte da migliaia di uomini e cammelli sfidavano l’Empty Quarter, il malessere mentre cova e alimenta la tensione nei vicoli dove la povertà convive
il terribile deserto che copre gran parte della penisola araba, oppure, attraversato con le distruzioni di anonime cannonate che hanno ridotto interi quartieri in deserti.
lo stretto braccio di mare che separa la costa yemenita dal Sudan, affrontavano le Contrasto tragicomico con lo zelo di troppi poliziotti che impediscono a chiunque, per
immensità sahariane, e per lunghi mesi percorrevano la Via dell’Incenso che dopo 2400 motivi troppo oscuri da capire, di fotografare Place d’Etoile, artefatto gioiello urbanistico
chilometri e alcune tappe in luoghi leggendari come Petra, uno dei più importanti snodi circondato di nulla.
commerciali dell’antichità, arrivava sulle coste del Mediterraneo, a Beirut, Tiro, Sidone,
Non mi è piaciuto, questo gigantesco e caotico villaggio mediorientale travestito
ma anche nei porti d’Egitto, Giordania, Siria, per poi raggiungere, molto più facilmente,
artificialmente da metropoli del terzo millennio, che si mette in mostra con civetteria
i mercati occidentali di Atene e Roma.
hollywoodiana nelle passeggiate in riva la mare ma nasconde ancora nel suo ventre gli
I tracciati principali della Via dell’Incenso erano due: il più diretto, chiamato la “Strada orrori di campi profughi simili a gironi infernali dove non esiste legge, ed espone con lo
del Mar Rosso”, ha favorito la diffusione delle idee e delle conoscenze dell’Islam e stesso charme le insegne dell’opulenza e dell’inutile affiancate alle bandiere nere degli
l’affermazione economica e politica della città di Mecca, da cui il credo musulmano si Hezbollah.
diffuse in tutto il mondo antico.
Solo con l’avvento della circumnavigazione dell’Africa, nel XVI° secolo, queste pericolose
carovaniere che sfidavano il nulla del deserto vennero abbandonate.
Beirut, paradosso del mondo
È il teatro dell’assurdo, questo luogo indefinibile rappresentazione di ogni paradosso
umano. Dove le cittadelle del potere e del lusso si fondono in un unicum inscindibile
con la devastazione di quartieri consumati dall’odio e il degrado fatiscente dei campi
profughi.
Senza alcuna linea di demarcazione.
I grandi spazi dei boulevard dove, nonostante l’intasamento di automezzi sgangherati,
C apitolo 2 17 • ®

GLI UOMINI DEL DESERTO


Il richiamo dell’infinito Per diecimila anni questi territori sono stati abitati da nuclei sociali organizzati che
hanno lasciato la loro storia raccontata per sempre sulle pietre. Autentici capolavori,
“È una sensazione unica, che non ha nulla a che fare con la malinconia, perchè la
resi immortali dal clima del deserto. Non riesco a controllare l’emozione davanti alla
malinconia presuppone la memoria, mentre in questo paesaggio completamente
maestria di ignoti artisti che, quando ancora nelle mie valli alpine i primi cacciatori
minerale persino la memoria scompare e non resta altro che il battito del cuore e il
vivevano come trogloditi nelle caverne, affrescavano le pietre arenarie di quest’angolo
respiro a tenere compagnia…” racconta Paul Bowles nel suo Thè nel deserto.
sperduto di mondo con magnifiche rappresentazioni di vita. Concretizzate in suggestive
Come una malattia letale, che non lascia scampo, il deserto entra nell’anima. Immenso, immagini di persone e animali: giraffe, rinoceronti, elefanti, uccelli, scene di caccia e di
supera qualsiasi difesa della logica e del pensiero. Attraversare infinite distese di vita sociale realizzate con l’ocra rossa e poi impreziosite scalpellandole e bugnandole
sabbia e pietre per bisogno d’avventura ha ben poco valore, al di là della gratificazione con la selce.
personale, che quasi mai si riesce a godere nel momento dell’azione dentro un mondo
Prima di lasciare questo mondo della magia, l’Acacus mi regala un ultimo, sbalorditivo
ostile, prepotente e pericoloso. La natura allo stato brado spesso si fa beffe della nostra
capolavoro. Un gigantesco arco di pietra si erge come trionfale porta d’ingresso a un
presunta invulnerabilità tecnologica; soltanto una volta tornati a casa, comodamente
universo parallelo dove protagonisti sono i veri padroni del mondo: il tempo, il ritmo
adagiati nella poltrona preferita, la memoria rilascia quelle essenze che colorano di un
delle stagioni scandito dal vento, la creatività della sabbia sulla pietra. Noi, presuntuosi
fascino irresistibile i ricordi. E costringono, inevitabilmente, a partire di nuovo. A caccia
effimeri esseri viventi, soltanto spettatori.
di altre suggestioni.
Attraversare deserti non serve a nulla. Come a nulla serve salire montagne. Combattendo
battaglie impari con gli umori del mondo e le nostre paure. Allora perchè tanti, e molti
sacrificando ben più di un sogno svanito, da sempre continuano a sfidare la fortuna
provando se stessi in imprese spesso oltre il limite della propria fisicità, e soprattutto,
inutili?
Forse solo perchè rincorrere nel mondo reale obiettivi immaginati e costruiti con
l’immaginazione riesce ad avvicinare e far convivere meglio le nostre fantasie con la
quotidianità.
Gli antichi artisti dell’Acacus
Straordinarie costruzioni di roccia nera emergono, quasi per incanto, dall’oceano
colorato e vivo della sabbia sahariana. È l’Acacus, estremo lembo sudoccidentale
del territorio libico, al confine con il Tassili algerino a ovest e, con una linea di confine
approssimativa e incerta, con il Niger a sud. Una delle meraviglie del deserto, che si
concede ai pochi disposti a percorrere giorni di sabbie senza fine per arrivare nel cuore
di uno dei posti più magici del pianeta. È normale, dentro questo dedalo di montagne
che paiono disegnate da un artista bizzarro e inconcludente, immaginare mondi alieni,
sconosciuti all’uomo. E invece tra queste rocce, nascosti da volte enormi, o in piccoli
antri inaccessibili dove solo esperti arrampicatori sanno arrivare, si possono scoprire
molte tra le più belle testimonianze pittoriche della preistoria.
C apitolo 2 18 • ®

OMAN - LE SABBIE DEL SULTANO


Non riesco mai a rinunciare a farmi catturare dal fascino ipnotico dell’alba che si insinua potabile ed elettricità.
luminosa tra le dune. Con immense pennellate, il giorno avanza lentamente sulla
Nulla a che vedere con le ostentate ricchezze dei vicini emirati, ma un paese moderno
sabbia, trasformando le sfumature omogenee della notte in contrasti colorati. Nella
che tende a valorizzare le proprie tradizioni e un importante patrimonio storico e
luce cristallina, lucidata da una brezza leggera e salmastra che penetra il deserto prima
naturalistico. Il sultanato di Oman è oggi uno degli stati più ecologici del mondo arabo,
che i vapori di calore confondano l’orizzonte, osservo una scena irreale: un minuscolo
che impegna molte risorse nel restauro dei monumenti e obbliga studenti e impiegati
fennec, la volpe delle sabbie dalle grandi orecchie puntute, è impegnato a dissotterrare
statali ad indossare la dishashah, una lunga tunica bianca che costituisce l’abito
un grosso pesce... nel deserto?
tradizionale. Tutti i poteri sono concentrati nelle mani del sultano, ma se questi sono i
Il deserto della penisola arabica, chiamato Empty Quarter, “la parte vuota”, Rub al Khali risultati a nessuno verrà certo in mente di rimpiangere le nostre democrazie.
nella lingua locale, è una delle più vaste distese di sabbia del pianeta, dove persistono
condizioni climatiche se possibile ancora più estreme rispetto al Sahara. Forse è questo
il motivo per cui le grandi dune di sabbia dorata, insensibili al microclima costiero,
arrivano a tuffarsi senza ostacoli dentro l’Oceano Indiano.
Mare e deserto, un contrasto impossibile da raccontare. Che esprime negli eccessi
più eclatanti la forza e la creatività della natura. Una sfida irrinunciabile per gli amanti
dell’avventura.
All’alba sulla costa dell’Oman, 2005
Modernità e tradizione
Percorrere questo antico paese, indissolubilmente legato al deserto e al mare,
rappresenta un viaggio unico nell’autentica cultura musulmana. Solamente da pochi
anni questo affascinante paese islamico si è aperto al turismo occidentale: fino al 1970
regnava infatti un sultano non certo illuminato, che aveva fatto chiudere tutte le scuole
convinto che l’istruzione fosse causa di corruzione; all’epoca nel paese esistevano solo
9 chilometri di strada asfaltata e un solo ospedale, gestito da missionari stranieri, e
vigeva un perenne coprifuoco. Per uscire di sera occorreva uno speciale lasciapassare
e un lume a petrolio, perché di notte anche la capitale veniva inghiottita dal buio.
In quell’anno prese il potere con un colpo di stato incruento il giovane figlio Quabus
bin Said, colto e illuminato, e in soli tre decenni le cose sono decisamente cambiate. Il
petrolio, di cui anche l’Oman, come tutti gli stati della penisola araba, possiede buoni
giacimenti, ha sicuramente contribuito a sollevare l’economia, ma poiché si tratta di
riserve limitate viene estratto con parsimonia. Il progresso ha ben altre radici, che
affondano nella saggezza e nel buon senso. Si è cercato di sviluppare altre risorse
permanenti, come la pesca, l’agricoltura, l’allevamento, la piccola industria, l’artigianato
e i servizi, evitando di creare immense fortune per pochi bensì una borghesia con un
benessere e una cultura diffusi. Anche negli angoli più remoti oggi arrivano acqua
C apitolo 2 19 • ®

YEMEN - ARABIA FELIX, LA TERRA DELLE MILLE E UNA NOTTE


Sana’à mi accoglie all’imbrunire. Anche l’erotismo si amalgama, componente essenziale, nell’arcobaleno di odori, fumi,
luci e respiri di questo universo antico che nasconde il mistero e la magia dell’Oriente
E come per l’abbraccio di un’amante sconosciuta, mi travolge lasciandomi senza fiato.
più fantastico.
Tra gli angusti vicoli sciabolati da fendenti di luce calda del tramonto scivolano, veloci,
Celato dietro finestre sghimbesce, tonde, quadrate, a cuspide, nessuna uguale,
silenziosi, turbinii di veli scuri che profumano d’incenso e sudore. Odore di femmina.
nessuna allineata, che decorano pareti di fango biondo arrampicate nell’oscurità della
Intrigante. Ipnotico per l’ondeggiare lento e ritmato di passi nascosti. Impossibile
notte. Vetri colorati e pannelli di alabastro, cornici di calce bianca e sontuosi ornamenti
resistere al pensiero di immaginare quale perversa sensualità si nasconda sotto le
azzurri, piccoli spioncini e ampie trifore, sembrano canditi e decorazioni zuccherine di
corazze impenetrabili dei burka.
un’immensa e scoordinata costruzione di marzapane.
Che intuisco però facilmente, spiando nella confusione e tra i colori del suk, il grande
Non si descrive Sana’a, si assorbe, si gusta nelle sue mille sfumature apparentemente
mercato dove comprare ogni cosa. Senza pudori, fantasmi neri e privi di forme,
disarmoniche, che realizzano un insieme unico e irripetibile.
osservano, toccano, valutano capi di abbigliamento intimo che farebbero arrossire la
più smaliziata entraîneuse parigina. Contrasto che rende ancora più intollerabile, a occhi Muri di fango e canne si appoggiano disordinatamente tra loro creando una confusione
stranieri, la prigione di tessuto nero che rinchiude queste figure. Incapaci di assomigliare di altezze che si evolvono in minareti; nessuna linea dritta, ma sequenze misteriose
a persone. Risolini sommessi, nell’apparente indifferenza del proprietario del negozio, di disegni geometrici incomprensibili, sono un magnifico, ardito insulto a qualsiasi
sottolineano l’apprezzamento per reggiseni, babydoll, sottovesti e coulottes dai colori scienza architettonica. Primato della fantasia sulle certezze della matematica, che molti
pirotecnici, leopardati, goffamente impreziositi da pizzi voluttuosi, paillettes e lamè. affermano essere nata proprio qui, all’alba della conoscenza.
Uno dei capolavori dell’Umanità, senza dubbio. Di un’Umanità aperta al mondo, anche
se vecchio di migliaia d’anni, visto che questa terra è una delle culle dov’è cresciuta e
si è sviluppata la civiltà come la conosciamo.
Nel Souk di Sana’à, inverno 2006
Il terminale del mondo antico
Lo Yemen, uno dei paesi più affascinanti del mondo arabo, è oggi preda del
fondamentalismo islamico capace di offuscare la millenaria tolleranza di questo popolo
di pastori e montanari che hanno costruito, tra rocce e sabbia, i loro “grattacieli” di
fango in grado di suscitare emozioni e suggestioni indimenticabili. Questa antichissima
cultura, oggi in balia della contrapposizione tra illusorie e arroganti certezze che
vedono fronteggiarsi Oriente e Occidente, rischia di disgregarsi come tante altre civiltà
rurali in tutto il pianeta, spazzate via dalle false illusioni, ma soprattutto dalle stridenti
contraddizioni, della “globalizzazione”.
Da qui partiva, migliaia di anni fa, la pista carovaniera che portava verso Occidente.
Perché qui arrivavano, capolinea di viaggi e pensieri, merci provenienti dalle più remote
regioni dell’Est.
Punto di congiunzione tra le civiltà del Mediterraneo e i misteri d’Oriente.
C apitolo 2 20 • ®

Dall’India, dalla Cina, dal Sudest asiatico arrivavano tesori e magie capaci di conquistare
i Greci e poi la Roma imperiale: essenze e spezie ricche, tutte, di straordinario fascino
esotico. E poi seta e pietre preziose, oro e argento, ma anche riso, cereali, zucchero di
canna.
Da Sana’a, la “Strada del Mar Rosso” dopo aver costeggiato l’intera penisola arabica e
fatto tappa alla Mecca, raggiungeva il “Mare Nostrum” a Gaza, in Palestina, spingendosi
poi verso la penisola del Sinai fino alle coste egiziane.
Ma fu l’incenso la merce più pregiata dei commerci antichi: uno dei lussi più esclusivi,
ambiti e costosi dell’antichità, riservato al culto degli dei e al piacere dei ricchi.
Ancora oggi, seguendo un’antica tradizione, le donne yemenite sono solite profumare
le loro parti intime accovacciandosi nude sopra un foro nel terreno dentro il quale
bruciano pezzi d’incenso; impregnano anche i vestiti dello stesso aroma, appendendoli
sopra un braciere e lasciando che il fumo profumato diventi irresistibile trappola olfattiva
che segue ed esalta, sensuale ed esotica scia, corpi informi schiavizzati da un muro
invalicabile di violenze culturali.

Yemen oggi
Ho vissuto con questi uomini. Trovandoli, tra gli arabi, i più cordiali e sinceri. Fieramente
attaccati alle loro tradizioni, ma sempre disponibili a “condividerle” con lo straniero.
Non ho mai percepito, anche nei villaggi più lontani dalla “civiltà”, alcuna inquietudine
o timore.
Stride ancor più, allora, l’attuale situazione che in pochi anni, a causa dell’infiltrazione dai
paesi limitrofi di gruppi terroristici fondamentalisti islamici, è degenerata trasformando,
per l’opinione pubblica mondiale, lo Yemen in un paese pericoloso, da evitare.
Negli occhi e nel cuore, insensibile a ogni estremismo, resta l’innamoramento per uno
dei paesi più affascinanti del pianeta.
22 • ®

Capitolo 3:
• MARCO POLO SULLA VIA DELLE SPEZIE

• DAL GOLFO DEL SIAM ALLE MAGIE DELL’INDIA

• LA VIA DELLE SPEZIE

• LAOS, DOVE IL RISO CRESCE CANTANDO

• MYANMAR, LA TERRA SOSPESA

• CAMBOGIA NEL REGNO DEI KHMER

• RAJASTHAN, I COLORI DELL’ANIMA


C apitolo 3 23 • ®

MARCO POLO SULLA VIA DELLE SPEZIE


Tutti conoscono le avventure di Marco Polo, che nel XIII° secolo arrivò in luoghi preziose, spezie, sete e vestiti principeschi che i tre sfoggiarono nel corso di una festa
dell’estremo Oriente dove nessun occidentale era mai giunto, nè sarebbe riuscito ad a cui avevano invitato gli esponenti dell’aristocrazia veneziana, convinsero tutti che si
arrivare per altri lunghi secoli. L’avventura del più grande viaggiatore di tutti i tempi è trattava proprio dei Polo: Matteo, Niccolò e il figlio Marco, che aveva lasciato Venezia
conosciuta universalmente per i racconti sulla Cina, ma il mercante veneziano non si adolescente, a soli 17 anni, e ora si presentava come un uomo carico di esperienze
fermò ai fasti e misteri della “Città Proibita”, proseguendo alla scoperta di luoghi che sconosciute a qualsiasi altro essere umano della sua epoca.
solo dopo secoli furono raggiunti dalle rotte marittime verso Oriente.
Il ritorno per mare
La vita di Marco Polo è per antonomasia la sceneggiatura di un film intenso di emozioni,
Dopo oltre quindici anni vissuti a corte come dignitari e aver conosciuto molti degli
ma, se possibile, la realtà supera la fantasia. Nel tempo ci sono stati alcuni, soprattutto
affascinanti aspetti e misteri della civiltà cinese, i tre veneziani sentono di dover tornare
nell’800, epoca di grandi spedizioni ed “eroi”, che hanno messo in dubbio i suoi viaggi,
a casa. Marco ha servito fedelmente Kubilai Khan che in segno di riconoscenza, ma
poiché pareva impossibile che, seicento anni prima, qualcuno avesse potuto realizzare
anche nel tentativo di trattenerli ancora presso di se, li copre di doni e ricchezze come
quelle imprese.
non se ne erano ancora mai viste in Occidente.
Oggi molte prove scientifiche, storiche, astronomiche dimostrano che le narrazioni
Ma l’imperatore chiede a Marco di assolvere a un ultimo incarico: nel viaggio di ritorno
di paesi fantastici, lontani e misteriosi, raccolte da Rustichello da Pisa in un carcere
verso l’Europa dovrà accompagnare sua figlia, la principessa Cocachin, dal Re di
genovese dalla bocca di un compagno di cella un po’ bizzarro, corrispondono in gran
Persia che l’ha chiesta in sposa. Dalla costa cinese, con i Polo e la figlia dell’imperatore
parte a fatti documentabili.
partiranno 14 grandi navi per trasportare dote, dignitari e invitati alle nozze imperiali.
Ma se tutti conoscono i racconti sull’impero del Catai, l’attuale Cina, pochi sanno che
Attraversato il Mar della Cina meridionale, un lungo e pericoloso viaggio attende i
il viaggio di ritorno di Marco Polo avvenne via mare e toccò i più importanti paesi del
naviganti, che faranno fermate in Borneo, a Giava e Sumatra dove per cinque mesi
Golfo del Siam, Thailandia, Birmania, Laos, Cambogia, e poi le coste occidentali del
aspetteranno i venti monsonici, poi nel Golfo del Siam, dove Marco descrive molte isole
subcontinente indiano, tracciando una rotta che duecento anni dopo avrebbe preso il
e la sosta a Phuket sul litorale thailandese per rifornirsi di cibo e acqua, quindi a Ceylon
nome di Via delle Spezie.
e sulla costa indiana occidentale, prima di arrivare nel Golfo Persico dove la flotta reale
In questi luoghi, durante i mei vagabondaggi, ho cercato di ritrovare le tracce dei sbarcò la principessa, il suo seguito e i tre veneziani.
racconti del grande veneziano.
Alla corte del Re di Persia Marco, Niccolò e Matteo Polo furono accolti con gli onori
riservati ai sovrani, e ricevettero altri preziosi regali che arricchiranno il loro bagaglio e
lasceranno sbalorditi nobili e mercanti una volta rientrati a casa.
DAL GOLFO DEL SIAM ALLE MAGIE DELL’INDIA
Attraversata la penisola arabica via terra e raggiunto finalmente il Mar Nero, a bordo di
Quando, nel 1295, tre improbabili personaggi abbigliati con costumi mai visti, ma una nave solcano il Mediterraneo ritornando a Venezia, nella primavera del 1295.
inequivocabilmente orientaleggianti, arrivarono a Venezia, neppure i familiari riuscirono
a riconoscerli, e nessuno credette si trattasse dei Polo, due fratelli e il figlio di uno di
questi, partiti venticinque anni prima verso un indefinito “Lontano Oriente” e di cui più
nulla si era saputo.
Tra l’altro, i personaggi in questione parlando tra loro intercalavano solo qualche parola
di veneziano in un linguaggio altrimenti incomprensibile… era mandarino cinese, la
lingua degli imperatori del Catai, alla cui corte gli avventurosi mercanti lagunari avevano
vissuto per 17 lunghi anni. Solo le incredibili ricchezze in gioielli, manufatti, pietre
C apitolo 3 25 • ®

Il Milione
Marco non può certo fermarsi, il suo temperamento irrequieto lo porta su una nave che Questo canale commerciale fu aperto usando spesso la forza militare e la maggior
nel 1998, al largo dell’isola di Kurzola sulla costa dalmata, verrà catturata dai genovesi, dotazione di armi evolute degli europei, e rappresenta il punto di partenza dell’espansione
in guerra con la repubblica lagunare. coloniale nel mondo.
Trascorrerà oltre un anno in un carcere genovese, e avrà come compagno di cella Le navi portoghesi, presto seguite da olandesi, francesi e inglesi, costruirono sulle coste
un abile scrittore, Rustichello da Pisa. Nei lunghi giorni della prigionia Marco racconta africane, indiane e siamesi gli avamposti che poi diverranno fulcro della penetrazione
all’amico le sue avventure e questo le trascrive in lingua d’oïl col titolo “Le divisament occidentale in tutta l’Africa e Asia.
dou monde” – la descrizione del mondo. Copie di questo manoscritto sono ancora
Oltre il Capo di Buona Speranza, l’isola di Reunion e le Mauritius, poi Mombasa sulla
esistenti e si trovano a Parigi e Berna.
costa orientale del Kenya erano il trampolino per l’attraversamento dell’Oceano Indiano
Nonostante siamo nel 1300 e la stampa di Gutenberg nascerà solo due secoli dopo, verso le città di Goa, Calicut e Cochin sulla costa del Malabar – l’attuale Kerala. Ceylon
il libro di Marco Polo conosce un successo universale, viene presto tradotto in tutte era un punto strategico per affrontare il Golfo del Bengala, le coste del Siam e inoltrarsi
le lingue occidentali e lo avranno tra le mani sovrani e grandi navigatori, esploratori, nello Stretto di Malacca e poi nel Mar della Sonda fino alle grandi e piccole terre emerse
scienziati e letterati. “The Travels of Marco Polo” diventerà in italiano Il Milione, ed è la dell’Indonesia.
più importante descrizione dell’Eurasia del XIII° secolo. Marco Polo per tutto il resto
A guardare una mappa, ad eccezione della circumnavigazione africana, la Rotta delle
della vita si dedicherà alla divulgazione del suo capolavoro; muore quasi settantenne a
Spezie si sovrappone all’itinerario percorso da Marco Polo per rientrare in Europa dopo
Venezia nel gennaio del 1324.
la lunga permanenza cinese.
Esistono volumi di questo libro in latino, in veneto, in portoghese, in toscano, in spagnolo.
Vista la grande diffusione del libro Il Milione in quell’epoca, difficile pensare che Vasco
In un’epoca in cui la riproduzione dei libri è fatta da trascrittori, passando da una mano
de Gama, il grande navigatore portoghese a cui si deve la realizzazione della prima
all’altra il libro si riempì di interpretazioni e narrazioni favolistiche e fantastiche sempre
traversata oceanica verso le Isole delle Spezie nel 1498, non si sia ispirato ai racconti e
più eclatanti e irreali, che finirono per snaturarne l’essenza di saggio descrittivo del
descrizioni geografiche dell’esploratore veneziano.
mondo orientale; solo dal 1700, in epoca illuministica, si rivalutò il manoscritto originale,
fortunatamente ancora esistente, ridando al Milione il posto che merita nella storia delle
esplorazioni.
Marco Polo viene considerato il più grande viaggiatore ed esploratore di tutti i tempi, e
unico occidentale, insieme a Matteo Ricci che tre secoli dopo ripercorrerà il viaggio del
veneziano, a trovare un posto nella storiografia ufficiale della Cina.

LA VIA DELLE SPEZIE


La rotta navale definita con questo nome fu, tra il XV° e XVI° secolo, la più ricca via
di commercio tra l’Europa e l’Oriente; partiva dai porti oceanici del Portogallo per
raggiungere, dopo la circumnavigazione dell’Africa, le coste occidentali dell’India,
Ceylon, il Golfo del Bengala e poi le coste di Thailandia, Birmania, Vietnam, quindi le
grandi isole dell’arcipelago indonesiano fino alle Molucche, chiamate appunto le Isole
delle Spezie.
C apitolo 3 26 • ®

Sudest asiatico oggi, un mondo in bilico


Straordinario mosaico di culture ed etnie, il Sudest Asiatico, formato da quella che i del regime, si stima che abbia eliminato almeno due milioni di persone innocenti, ma
colonialisti francesi e inglesi chiamarono prima Siam e poi Indocina, e oggi comprende l’olocausto potrebbe essere anche maggiore poichè non esiste alcun dato ufficiale
i territori di Thailandia, Laos, Birmania, Cambogia, Vietnam, è probabilmente una delle e oggi si cerca di cancellare, dalla memoria e nella quotidianità, qualsiasi ricordo di
ultime aree sul pianeta dove il tempo sembra scorrere ancora coi ritmi della Natura. quell’abominio.
E in particolare, col flusso lento e costante dei grandi fiumi che lo impreziosiscono, il La Birmania, senza toccare gli eccessi negativi dei paesi confinanti, è da 45 anni
Mekong tra tutti, capace di scandire, con il crescere e ritirarsi determinato dai monsoni, soffocata da un regime militare che ha annullato gran parte dei diritti civili e sociali della
la vita delle popolazioni che dall’acqua traggono tutto il necessario per vivere. popolazione, ed esercita un opprimente controllo sulle persone sfruttando una delle armi
Percorrendo le piste sterrate tra foreste e risaie in sella a una bicicletta o trasportati più subdole e pericolose inventate dall’uomo: la delazione e le spie. Ho visitato varie
da un volonteroso driver di tuctuc, gli improbabili “taxi” che costituiscono la base volte questo magnifico paese e ho sempre “subito” la paura di chiunque a esprimere un
irrinunciabile della mobilità in questi paesi, si percepiscono atmosfere antiche altrove qualsiasi pensiero, timoroso che ogni persona possa essere quella che lo denuncerà
ormai scomparse, e il respiro dell’Oriente più autentico emoziona e rapisce i pensieri ai militari, per una parola o un’idea ritenuta non favorevole al regime, con conseguente
anche al più disincantato dei viaggiatori. deportazione in “campi di lavoro” da cui difficilmente si torna…

Eppure quelli che appaiono luoghi intrisi di magia, dove i templi nella giungla si E anche la Thailandia, passata immune attraverso l’ultimo mezzo secolo di guerra, negli
confondono con le atmosfere e i profumi d’incenso dei monasteri buddisti e tutto ultimi anni patisce una forte instabilità che già più volte, recentemente, è sfociata in
sembra immobile e immutabile, hanno vissuto orrori difficili da immaginare. Su queste scontri tra diverse fazioni della popolazione.
terre rimbalzano ancora gli echi di guerre tragiche, che hanno lasciato devastazioni Eppure questo universo autarchico e rurale rimane ancora straordinariamente
incancellabili nell’anima delle persone prima ancora che su terreni resi sterili da affascinante, nei sorrisi e nella disponibilità delle persone, nei colori della Natura, nelle
montagne di ordigni esplosivi, gas velenosi e strumenti di distruzione di cui l’umanità atmosfere dei luoghi di culto, nella placida immobilità della vita lungo i grandi fiumi,
tutta, prima o poi, dovrà rispondere. apparentemente uguale a quella che probabilmente avvicinò, nei suoi vagabondaggi
Il Vietnam ha vissuto un’epopea bellica che non ha paragoni con nessun altro conflitto otto secoli fa, anche Marco Polo…
dell’era moderna, in cui vennero utilizzate spaventose armi come il napalm e il famigerato Invece è un mondo antico e fragile in precario equilibrio, che rischia di sparire nell’oblio
“agente orange”, un defoliante a base di diossina che ha distrutto la maggior parte da un momento all’altro, spazzato via dall’invasione incontrollata della “modernità” e
della vegetazione della regione e ha paralizzato per lunghi anni lo sviluppo agricolo, dagli ondeggiamenti di politiche oligarchiche e violente capaci di cancellare, senza
indispensabile alla sopravvivenza di queste popolazioni. coscienza e rimorsi, migliaia di anni di storia.
Con due milioni di tonnellate di bombe – più di quante ne caddero complessivamente
su Germania e Giappone durante la seconda guerra mondiale - sganciate dagli aerei
americani sul paese dal 1964 al 1973, il Laos detiene il triste primato di essere il territorio
più bombardato del pianeta; il 30% rimasero inesplose e dalla fine della guerra a oggi
sono costate la vita a oltre 12.000 persone. Nonostante l’opera di bonifica, a 33 anni
dalla fine dei combattimenti in Laos ogni anno muoiono decine di bambini, donne e
uomini per le esplosioni accidentali di bombe disseminate sul territorio.
La Cambogia, appena sfiorata dal conflitto che aveva insanguinato l’area, nella metà
degli anni ’70 visse l’orrore dei Khmer rossi, una dittatura sanguinaria che durante i “3
anni, 8 mesi e 20 giorni” (con questi numeri oggi i cambogiani ricordano quel periodo)
C apitolo 3 28 • ®

LAOS, DOVE IL RISO CRESCE CANTANDO


Ascoltare il canto del riso che cresce... Questo, secondo leggende che si perdono nella all’altro di questo magnifico pianeta, nuove strade non servono per “portare civiltà” nei
memoria, sanno fare gli uomini di questa terra segnata indissolubilmente dall’energia luoghi “selvaggi”, diventano invece insanabili ferite che provocano devastanti emorragie
del Mekong. E osservando certi orizzonti confusi di mille sfumature verdi, sembra di di uomini e culture, destinate a disperdersi velocemente nell’amalgama nefasto
sentirli, gli steli del cereale, accarezzare l’acqua. delle periferie urbane di paesi incapaci di mediare tra la propria storia e i miraggi del
“benessere”.
A differenza di altre regioni dell’area, dal Bangladesh all’Indonesia, che soffrono
cronicamente di carenze alimentari sempre più accentuate, destinate a divenire nei Le strade, una volta collegati i terminali del “progresso” a quelli dei “mondi da
prossimi anni una vera e propria emergenza, i territori del Laos, della Birmania e della emancipare”, servono quasi sempre agli abitanti di questi per andarsene, scappare
Cambogia possono considerarsi tra i più ricchi e produttivi del pianeta, arrivando a tagliando le radici millenarie che li legano a luoghi e tradizioni uniche e irripetibili per
realizzare, in stagioni equilibrate tra temperature e precipitazioni monsoniche, anche tre inseguire, senza mai raggiungerle, le chimere ingannevoli di modelli da cui verranno
raccolti all’anno. quasi sempre, inesorabilmente, rifiutati.
Ma quell’atmosfera che rende unico il Laos, e diverso da qualsiasi altro paese, è la È accaduto sulle Alpi nella prima metà del secolo scorso, e poi come un virus inarrestabile
percezione di una tranquillità diffusa che coinvolge in un unico, appena percettibile ha contagiato ogni regione del pianeta, senza alcuna distinzione tra nord e sud.
concerto, uomini, ambienti naturali, storia e tradizioni. Inesorabilmente, il tempo rallenta,
Anche il nord del Laos sta subendo questo subdolo assalto fatto di strisce d’asfalto,
fino a sembrare, a tratti, immobile.
che in poco tempo annienteranno millenni di civiltà rurale.
Immobile sulle distese di riso appena animate dall’alito dei venti che scendono dalle
colline, immobile sui riflessi d’oro e d’argento dell’acqua, immobile sulle espressioni
degli anziani scolpite nella corteccia, immobile nei gesti lenti e misurati di mestieri
tramandati da infinite generazioni di uomini che non hanno alcuna smania di “progredire”,
inseguendo modelli privi di senso e significato in un mondo dove terra e acqua sono gli
unici, e fondamentali, componenti di un equilibrio apparentemente indistruttibile.

Strade che portano lontano


Eppure questa apparente “perfezione” è insidiata, come accade in molte altre aree
marginali della Terra, dalla frenesia di altri uomini di “mettere in rete” anche i più lontani
e remoti luoghi.
In un delirio irrefrenabile di “crescita” che nessuno è in grado di sapere dove possa
portare, ma, soprattutto, “cosa” possa portare.
Ecco che anche qui, allora, da qualche anno tracce sempre più ardite, tratturi che
diventano piste, piste che diventano strade, sfregiano e assediano foreste, colline,
vallate finora rimaste immuni dall’assalto di motori e rumori.
Strisce d’asfalto penetrano, sempre più in profondità, nel labirinto compatto della
natura. Da sempre, l’ho imparato in oltre trent’anni di vagabondaggi da un luogo
C apitolo 3

Sulle tracce del colonnello Kurz


Una lama d’argento che incide senza violenza il verde compatto, immobile della foresta.
Così mi appare la linea d’acqua del Mekong mentre scivolo verso Luang Prabang,
antica e suggestiva capitale del regno di Lang Xang, il primo grande stato laotiano, a
bordo di una piccola lancia. Di quelle coperte dalla caratteristica intelaiatura a “botte”,
tante volte osservate nei film di guerra e avventure che raccontano di questi luoghi…
Nella scenografica solitudine di questo palcoscenico, irreale per quanto è perfettamente
selvatico, e pare costruito per un film hollywoodiano, mi sorprendo a percepire in
modo amplificato ogni singolo rumore, gli schiocchi dei grandi alberi che si asciugano
dall’umidità della notte, i salti delle scimmie che, passando di ramo in ramo, infrangono
muri di foglie, gli spruzzi d’acqua sollevati dal lungo albero del motore che sfiora appena
il pelo dell’acqua.
E la presenza, inquietante, di occhi nascosti.
A tratti villaggi di capanne, nascosti tra la fitta muraglia della vegetazione ripariale, si
materializzano nel palcoscenico di una Natura incontenibile, e il ronzio dell’elica che mi
spinge verso sud attira dal nulla, sulle sponde molli e limacciose, bambini vestiti solo
della forza di popoli non ancora contaminati dalle epidemie occidentali che infestano di
jeans, magliette e cellulari altre regioni limitrofe.
Questi scenari, gli odori, i rumori, i tagli di luce improvvisi, capaci come sciabole affilate
di squarciare la foresta che avvolge il fiume con una muraglia impenetrabile, rendono
fin troppo facile farsi coinvolgere dalle mille suggestioni che fanno percepire, viva e
insidiosa, la presenza misteriosa del leggendario protagonista di quel capolavoro del
cinema di guerra che è Apocalipse Now, perversa esaltazione della follia umana.
Tragicamente uguale a se stessa in ogni epoca e luogo.
Il Laos, e in particolare la sua parte più settentrionale, rimane ancora, grazie alla carenza
di strade, comunicazioni e tecnologie, un luogo selvaggio e fiero, ostile a tutti coloro che
cercano facili “avventure” sottolineate dall’aria condizionata e buffet anonimi di hotel
tutti uguali.
Questo angolo d’Oriente è ancora quello di Kurz, repulsivo nella sua esuberanza,
capace di spaventare ma soprattutto di affascinare...
Lungo il Mekong, ottobre 2008
C apitolo 3 30 • ®

MYANMAR, LA TERRA SOSPESA


La percezione di un paese “immobile”, ancorato a culture e tradizioni secolari che
affondano le radici in un mondo ovunque ormai scomparso.
La mancanza di qualsiasi riferimento ai simboli, feticci e “divinità” della nostra società
occidentale, che siamo ormai abituati a riconoscere in qualsiasi angolo di mondo.
Un’assenza che destabilizza, in chi vi si è affidato senza riserve, le certezze di conoscere
e detenere le “chiavi” del vivere.
Queste le prime sensazioni, aspre, spigolose, che prova chiunque arrivi per la prima
volta in questo paese lontano - a prescindere dalle ore di volo necessarie per arrivarci -
dal “futuro” della nostra quotidianità.
Sensazioni che, invece di svanire, si amplificano man mano che ci si addentra nei
paesaggi e nelle tradizioni della Birmania, oggi rinominata Myanmar. Sono tornato più
volte in questo paese dove, nell’apparente serenità delle campagne esuberanti di vita,
sembra di andare indietro nel tempo per scoprire le autentiche radici di un mondo rurale
e contadino di cui probabilmente c’è ancora traccia anche nel nostro Dna, a dispetto di
due secoli di industrializzazione.
Una nazione in controtendenza rispetto a tutti i parametri che si registrano altrove,
con un’economia fortemente improntata sull’agricoltura; la Birmania è l’unico paese
del pianeta dove si registra un progressivo esodo dalle grandi città verso le aeree rurali,
molto più “ricche” grazie a un complesso di fattori ambientali e geografici che rendono
questa terra altamente produttiva.
In realtà, la fuga verso i territori agricoli è anche una conseguenza del regime oppressivo
dei militari al potere, molto più pesante e condizionante nelle città piuttosto che nelle
campagne.
Immutabile sembra essere anche l’innata cordialità di un popolo leggendario per la
sua gentilezza; riverbera nei sorrisi e negli sguardi di persone che, nonostante le molte
difficili prove che hanno dovuto sopportare nell’ultimo mezzo secolo, nulla hanno perso
della propria predisposizione alla cortesia. Favorita da un’atmosfera ferma nel tempo e
nello spazio, dove ogni attimo, ogni gesto, ogni suono, ogni pensiero pare rallentare,
per sincronizzarsi armonicamente con un mondo in equilibrio tra uomini e natura.
C apitolo 3 31 • ®

Luci e ombre nel paese dell’armonia Lago Inle, un mondo sospeso


Senza dimenticare il volto di una terra martoriata da decenni di tirannia politica, né Dai mercati affollati alla quiete del lago Inle: ultima indimenticabile immagine del paese
ignorando i suoi terribili “primati”, quale primo produttore di metanfetamine al mondo, delle mille pagode. Racchiuso fra le colline Shan, è il regno degli Inthar, i “figli del
primo per bambini soldato e per la presenza di lavoro forzato, secondo per produzione lago”. Pescatori e agricoltori, vivono su caratteristiche palafitte costruite sull’acqua e si
di oppio, è però necessario volgere lo sguardo anche oltre tutto questo, senza spostano su piccole imbarcazioni di legno: lavorano negli orti galleggianti fatti di limo ed
dimenticare, ma con la capacità di svelare l’altro volto del Myanmar. erba, e lanciano le loro piccole reti nell’incantato, quasi irreale silenzio del lago, interrotto
solo dal debole e armonioso rumore dei remi che sfiorano l’acqua.
Un volto privo della povertà e della miseria che caratterizzano altri stati ritenuti
più “democratici”, un paese che silenziosamente, rispettando ritmi lenti, si sta A caratterizzare questa suggestiva coreografia lacustre, è proprio l’insolito modo di
riappropriando della sua libertà a piccoli passi, a suo modo, forse comprensibile solo da remare degli Intha: stando in piedi a poppa, in modo da individuare i pesci e orientarsi
chi ne fa realmente parte, affondando, giorno dopo giorno, le proprie mani nella terra, fra il dedalo di canali, rimangono in equilibrio sulla gamba sinistra, muovendo abilmente
e percorrendo, sapendoli riconoscere, i sentieri della libertà e quelli della costrizione. il remo con la destra.
Qui non c’è libertà di stampa, vige ancora la censura, la rete internet è gestita dallo Anche i loro mercati nascono sull’acqua: le donne si scambiano ortaggi, fiori e quant’altro
stato, l’invio e la ricezione di mail è vietata o strettamente controllata dal Governo, da un’imbarcazione all’altra; sempre dalle loro canoe offrono oggetti di artigianato e
i militari hanno chiuso gli internet point. Quelle che per noi sono libertà scontate, in souvenir.
Myanmar restano divieti insuperabili.
Dopo il tramonto tutto diviene ancora più silenzioso. Le stelle e la luna, riflesse nel lago,
Ma prima di giudicare un popolo per le sue costrizioni, chiediamoci anche quali sono le uniche luci della notte.
costrizioni, rinunce, compromessi si celano dietro le nostre apparenti libertà.
Questi i volti del Myanmar, dai quali i turisti occidentali restano timidamente lontano.
Noi, spettatori occidentali, possiamo solo guardare, con rispetto, le mille contraddizioni
Questa la libertà celata dietro la feroce dittatura.
di questa terra e lasciarci avvolgere dalla sua millenaria bellezza. Così facendo, privi
di giudizio e pregiudizio, sarà possibile raggiungere il cuore del Myanmar e della sua Questa la vita oltre la costrizione.
stupefacente popolazione.
I l r e p o r tag e : c o s a v u o l d i r e ? 32 • ®

C o m e s i i m p o s ta ? C o m e s i a p p r o c c i a ?
(n on s olo da pa rte d el lo sp oso e dell a sposa )
CAMBOGIA NEL REGNO DEI KHMER
Uscite da un romanzo d’avventure, le facce di pietra dei budda di Angkor raccontano
storie di grandezza infinita. Un mondo ancora in gran parte sconosciuto che ammiriamo
superficialmente, soffocati dal clima torrido di questa foresta.
Osservo la perfezione ideale di queste cattedrali, architetture visionarie che alcuni
sostengono simboleggiassero la cosmogonia dei sovrani Khmer. Civiltà scomparsa coi
suoi segreti.
Un branco di bufali si rincorre nell’acqua bassa della risaia, e il rumore del liquido
sconvolto dai grossi animali e l’unico segno vitale in un mondo sospeso nel tempo e
nello spazio. Avvolto dall’umidità che domina questa atmosfera e alimenta i giganteschi
ficus capaci di stritolare, ma a volte avvinghiandosi come tentacoli alla pietra anche di
mantenere integre, le follie creative che hanno realizzato opere grandiose.
Avrò tempo per pensare. Adesso è solo tempo di lasciarsi suggestionare dalla fantasia.
Tra i volti di pietra del Bhodisattva di Angkor Thom, agosto 2011
La dimora degli dei senza tempo
Se i templi di Angkor Wat e Angkor Thom, nella loro grandiosità e maestosità espressiva,
rappresentano la perfetta unione di devozione spirituale ed estro creativo degli imperatori
universali Khmer, è avventurarsi alla scoperta degli altri numerosi templi disseminati tra
la giungla che permette di svelare l’anima più nascosta del grande impero.
Attraversando la campagna cambogiana costellata da sterminate risaie, è possibile
raggiungere il Banteay Srei, una vera e propria galleria d’arte incisa su una rara arenaria
rosa e consacrata a Shiva; i templi di Rolues, i più antichi di tutto il regno khmer; e le
rovine del Beng Mealea, ancora completamente imprigionate tra la giungla.
Tempio dopo tempio, è possibile avventurarsi, non solo fisicamente, ma anche con
le emozioni e i pensieri, tra i meandri dell’impero più straordinario della storia umana,
dove forza della natura e creatività dell’uomo hanno generato le suggestioni di questa
straordinaria dimora degli dei senza tempo.
I villaggi galleggianti
Se i templi del misterioso regno di Angkor rappresentano il cuore e l’anima di questo
paese, quella più suggestiva ed enigmatica, per scoprire il volto più autentico dei
suoi abitanti, è necessario avventurarsi tra i sentieri della Cambogia rurale, dove la
quotidianità è scandita da ritmi lenti e le campagne sono costellate da risaie e palme da
zucchero, piccoli templi e villaggi sospesi in un tempo indefinito.
C apitolo 3 33 • ®

Perdersi, nello scivolare silenzioso di una piroga, tra i mille canali di uno dei tanti villaggi Ci sono emozioni che non si possono comprare. Si afferrano nel momento in cui
galleggianti che costellano i grandi fiumi cambogiani, è un’avventura nell’avventura, che accadono e rimangono impresse, per sempre, nella memoria.
permette di aprire porte sconosciute della fantasia.
Come questo tramonto, avvolto dall’odore di pioggia del monsone e fumi di pesce fritto.
Autentiche “città” di negozi e botteghe, bar e magazzini, ritrovi di preghiera e luoghi Momento intriso di magia, mentre il giorno si scioglie nell’indefinito del buio confondendo
di incontro, ondeggiano, ospitate su barche di ogni misura, sulle acque limacciose, e ammorbidendo ogni profilo. Adesso reso drammatico dal colore plumbeo di nuvole
seguendo i flussi stagionali: vicino alle rive nei periodi monsonici, si spostano verso il cariche d’acqua che sembrano abbracciare, infradiciandola, la campagna cambogiana.
centro dei fiumi e del grande lago Tonle, il più esteso bacino della regione meridionale
Nel bicchiere di birra su cui scivolano goccioline di ghiaccio, straordinario contrasto
asiatica, quando le acque, nella stagione secca, defluiscono verso l’oceano.
con l’afa soffocante dell’aria ferma, si riverberano colori cangianti, effimere sfumature
Il tempo si ferma, immobile, in epoche indefinite, mentre si annusano odori e atmosfere d’arcobaleno di mille luci colorate si rincorrono nelle rughe liquide delle pozzanghere,
sconosciute, cariche di un’umanità abbarbicata a gesti e riti altrove dimenticati, che, frenesia di vita che esplode, festosa, nella torrida sera agostana di Siem Rap.
insieme alla magia profonda e penetrante dei misteri di Angkor, redne la Cambogia uno
Affacciato da una vecchia terrazza coloniale sulla piacevolmente caotica strada dei
dei luoghi più affascinanti e carichi di emozioni del pianeta.
locali alla moda, rivivo suggestioni, che non potranno più tornare, già assorbite nel
leggendario quartiere francese di New Orleans, prima che la furia del Mississipi lo
confinasse nella memoria.
E mi stupisco nell’osservare, all’esatto estremo del mondo, quella malizia estetica,
tutta francese, di ringhiere in ferro che l’umido tropicale ha arrugginito, decorazione di
terrazze che incorniciano questo bazar turistico nel cuore del regno di Angkor.
Per nulla diverso da un qualsiasi happy hours di Rimini, Miami, Taormina o New York.
Ma è solo una bolla di luci e modernità nell’immobile universo di uno dei paesi più
affascinanti del Sudest asiatico.
Uno qualsiasi delle decine di tuctuc, colorati mototaxi parcheggiati ovunque alla rinfusa
in questo piccolo caos metropolitano, in pochi minuti, può trasportarmi indietro nella
memoria, favorita dall’assoluto del buio che avvolge i confini di una delle più splendide
storie della civiltà umana, quella che racconta le straordinarie vicende dell’impero Khmer.
sera di pioggia a Siem Rap, agosto 2011
C apitolo 3 34 • ®
C apitolo 3 35 • ®

RAJASTHAN, I COLORI DELL’ANIMA


Seguo esili, rarefatte scie di fumo salire dal bastoncino d’incenso e perdersi nell’aria tra religione con una forma di adorazione del fuoco, forse addirittura monoteista, le cui
volte di marmo bianco intarsiate di mille profili. Insuperabile capolavoro di pietra, questo tracce oggi sono ancora presenti nei Veda, le antiche scritture della civiltà indiana.
tempio che emerge dal deserto, esaltazione di una abilità artistica grandiosa.
Quando questa forma di fede cominciò a decadere, fu sostituita dalla mitologia dei
Sorrido rassegnato al pensiero che la mia cultura occidentale pretenda di detenere Purana, che da allora è il credo degli Indu. Ondate tardive di immigrazione hanno
il monopolio del bello e dell’arte. Questo luogo non è secondo a nessuna meraviglia importato, infine, la religione islamica, che oggi rappresenta un settimo della popolazione
creata dagli uomini. totale del Rajasthan.
Forse, invece, tanti capolavori che crediamo primi, unici, derivano e si motivano da altre La più grande dinastia imperiale in India fiorì dal 1526 al 1707; il suo fondatore fu Babur,
unicità. Perse nel mondo, ma presenti nei pensieri e nei ricordi ancestrali di chi crea detto il Conquistatore, discendente del grande condottiero mongolo Tamerlano.
bellezza. Scacciato dalle sue terre, Babur decise di invadere l’India per creare un altro regno, che
costruì partendo dal Rajasthan e arrivando a estendere il suo potere dall’Afghanistan
Osservo, contrasto violento di colore nell’assoluto candido della scena, una bambina
al Bengala, favorendo le migrazioni turche in India, e accrescendo così il peso della
vestita d’arancio seguire il filo di una preghiera.
religione islamica in questo paese.
Offerte di riso e monete propiziano riti sconosciuti; donne si avvicinano alla statua di
Adinath, depongono un dono e si soffermano a chiedere che venga esaudito il loro
desiderio.
Danzatrici millenarie emergono dalla pietra lucida delle architravi e sembrano osservare,
inesorabilmente immobili, umanità varia scivolare da una sala all’altra, silenziosa nella
nudità dei piedi che sfiorano il marmo freddo. 1444 colonne, ognuna che racconta
diverse storie di fiori e divinità, animali reali e mitologici e simboli misteriosi, sostengono
e impreziosiscono le 29 sale della sacra struttura.
Il tempio jainista è immacolato, l’igene è parte integrante di questo credo.
Il bramino, con aria sorniona, intrattiene dei turisti inglesi incuriositi dalle statue della
porta centrale che riproducono atti erotici tratti dal Kamasutra.
“Un tempo i bambini venivano lasciati a giocare qui sotto perché imparassero da soli”
sentenzia.
Qualcuno, nel gruppo dei turisti, ride.
Tempio di Ranakpur, luglio 2005
Storia di un universo dalle mille vite
Gli antichi colonizzatori del Rajasthan con ogni probabilità furono i comuni antenati di Goti,
Unni e Sassoni, che conquistarono successivamente anche l’Europa. Originariamente
furono i Sudras i primi invasori di lingua Scythian, e dopo di loro fu il turno di alcune
popolazioni di lingua sanscrita, parenti degli antichi persiani, che importarono una
C apitolo 3 36 • ®

Il Rajasthan rimase comunque sempre “cuore e anima” dell’impero Mogul, che raggiunse Le caste, mondo immobile che sta per scoppiare
il culmine con il terzo imperatore, Akbar, “il Grande”, il quale completò l’espansione
Fortissime sono anche le spaccature e gli attriti tra appartenenti a caste diverse. Anche
islamica sottomettendo il Gujarat e i principi indu Rajputi, ammessi nell’apparato
in occidente esiste un sistema di “caste sociali” nel quale l’abito (che insieme ai feticci
amministrativo Moghul come esattori delle tasse. Akbar fondò la nuova capitale
della nostra realtà identifica lo “status”) costituisce un elemento importante. Però in
di Fathepur Sikri e cercò di creare una nuova religione sincretistica tra l’Induismo e
gran parte dell’India rurale la casta determina non solo quello che si deve indossare,
l’Islamismo. L’impero si dissolse con Aurangzeb, sanguinario e fanatico, che dedicò gli
ma dove e come si deve vivere, quale mestiere si può fare e con chi ci si può sposare.
ultimi anni del suo regno ad una lotta incessante contro i principi indù Maratti, regnanti
Anche di che colore si può dipingere la propria abitazione.
nell’India meridionale.
E’ riconosciuto che il sistema delle caste ha permesso di tenere insieme delle comunità
I Moghul sono rimasti famosi per lo sfarzo della loro corte imperiale, per lo splendore
così vaste e stabilito un sistema di ordine e disciplina tramite il quale si è potuto
delle loro capitali, Delhi e Agra, per i capolavori architettonici e i loro stupendi monumenti,
governare questo immenso paese, i commerci sono fioriti, i poveri sono stati mantenuti
primo fra tutti il Taj Mahal, costruito dall’imperatore Shah Jahan, chiamato “l’imperatore
e si sono sviluppate le arti. Ciò che caratterizza il modello delle caste indiano è la
del Mondo” e padre di Aurangzeb, come tomba per sè e per la propria sposa, la
sua rigidità, e l’importanza che esso riveste nella filosofia di vita indù. Se questo ai nostri
bellissima imperatrice Mumtaz Mahal.
occhi può sembrare restrittivo, è invece all’interno percepito come rassicurante. Dietro
Mai amore fu così grande ai tempi dell’impero: Arjuman Banu Begam, questo il suo l’apparente caos della vita indiana c’è una rigida rete di tremila caste e sottocaste.
vero nome, fu sempre la preferita tra le oltre 3000 concubine dell’harem, meritandosi Tutti conoscono il proprio ruolo e i comportamenti ritenuti accettabili; se ognuno si
l’appellativo di Mumtaz Mahal, “il gioiello del palazzo”. comporterà bene in questa vita potrà sperare di reincarnarsi in un bramino o in un
illuminato nella prossima, sfuggendo al ciclo eterno di sofferenza e rinascita. Ecco allora
che per gli indù spostarsi dal sistema delle caste significa minare le fondamenta della
società, sfidare il ciclo cosmico della natura.
37 • ®

Capitolo 4:
• L’AFRICA DEGLI ITALIANI

• ALLA SCOPERTA DI UN CONTINENTE SCONOSCIUTO

• ERITREA, NOSTALGIE D’AFRICA

• DANCALIA, LA TERRA DEL DIAVOLO

• ETIOPIA, SULLE TRACCE DELL’ARCA

• VALLE DELL’OMO, UN VIAGGIO NEL TEMPO


I l r e p o r tag e : c o s a v u o l d i r e ? 38 • ®

C o m e s i i m p o s ta ? C o m e s i a p p r o c c i a ?
(n on s olo da pa rte d el lo sp oso e dell a sposa )
C apitolo 4 39 • ®

L’AFRICA DEGLI ITALIANI


Ammalati da sempre di esterofilia, noi italiani siamo capaci di farci suggestionare dalle Dal 1857 il grande missionario-esploratore Daniele Comboni esplorò i territori del Golfan
avventure dei grandi personaggi dell’esplorazione, basta che siano inglesi, norvegesi, e del Kardofan, fino ai Monti Nuba, realizzando anche la cartografia di queste regioni.
americani, francesi… ben pochi sanno, invece, che, a prescindere dalle leggende di
La base di partenza di queste spedizioni era Khartoum, che si sviluppò proprio grazie
Stanley e Clark, l’esplorazione del centro Africa, nella seconda metà del XIX° secolo,
alla piccola comunità “bianca” che si occupava di anime da evangelizzare, ma anche
vide protagonisti nostri compatrioti.
di commercio, edilizia, traffici vari e dell’esplorazione degli immensi territori che si
Non per caso il mondo ci invidia un personaggio come Emilio Salgari, secondo solo a stendevano nel bacino occidentale del grande fiume.
Jules Verne nell’immaginare mondi che solo molto tempo dopo sarebbero stati svelati.
Nel 1856 – due anni prima della spedizione dell’inglese Speke che viene considerato lo
Ma per inventare e costruire le sue avventure letterarie, lo scrittore veneto/piemontese –
scopritore del Lago Vittoria da cui nasce il Nilo – Carlo Piaggia superò le immense paludi
che mai viaggiò al di fuori della pianura padana - dovette necessariamente attingere ai
di Gondokoro e Rejaf, poi, “sponsorizzato” dal conte Orazio Antinori, tra i fondatori
racconti di personaggi quali Franzoj (conosciuto nel 1885), Bòttego, Gessi e molti altri
della Società Geografica Italiana, nel 1860 raggiunse Bahr el-Ghazal e tre anni dopo
che, nella seconda metà dell’800, lasciarono le turbolenze sociopolitiche in cui si stava
continuò l’esplorazione avventurandosi nel territorio dei temibili Niam Niam, sospettati
creando la nazione Italia per affrontare l’incognito e i misteri di un continente ancora
di cannibalismo. Lo ritroviamo nel 1878 in una spedizione ai Grandi Laghi di cui faceva
tutto da scoprire.
parte anche Romolo Gessi.
Sono quegli stessi racconti che mi hanno spinto ad ammalarmi, ultimo di tanti, del
L’esplorazione dell’immensa regione tra il Sudan meridionale e i Grandi Laghi ebbe
leggendario e incurabile Mal d’Africa.
come protagonisti altri italiani: Paolo Magretti e Guglielmo Godio visitarono le regioni
di Taka, Ghedareff e Galabat, Andrea Fraccaroli nel 1880 il Darfur e Kardofan, Visconti
Terzi l’Alta Nubia, Giacomo Messadaglia esplorò il Darfur in modo sistematico, ma fra
ALLA SCOPERTA DI UN CONTINENTE SCONOSCIUTO tutti i protagonisti di quell’epoca emerge la figura di Gessi, che diventerà una leggenda
Tra il 1840 e il 1860, gli italiani sono gli unici europei a viaggiare sistematicamente nelle per le sue battaglie contro schiavisti e negrieri.
regioni del Centroafrica, innanzitutto con l’obiettivo di evengelizzare popolazioni tribali Per la cronaca, anche la più grande impresa umana del XIX° secolo, avvenuta in quegli
che, all’epoca, ma in qualche caso ancora oggi, vivono ancora fermi nel Neolitico. anni, l’apertura del Canale di Suez, che cambiò per sempre la storia delle comunicazioni
Nel 1844 Giovanni Miani, affascinato dalle antiche storie d’Egitto, si propose di scoprire navali con l’Oriente - oltre che con le coste occidentali dell’Africa aprendo la strada alle
le sorgenti del Grande Fiume, che ancora si perdevano nella leggenda, e riuscì a risalire imprese coloniali inglesi in quell’area, - è merito dell’ingegnere trentino Luigi Negrelli…
il Nilo Bianco fino a Gondokoro, oltre le terribili e malsane paludi del Bhar el-Ghazal, ma questa è un’altra storia!
proseguendo in territori inesplorati fino al tratto del Nilo che scorre dal lago Alberto.
Morì stroncato dalle febbri malariche in un successivo tentativo di penetrare ancora più
a fondo nel cuore delle foreste tropicali di quell’area.
Nel 1842 erano intanto arrivati nell’attuale Sudan i primi missionari italiani inviati dal
papa Gregorio XVI; i religiosi si spinsero in territori sconosciuti, inaugurando l’epopea
delle “esplorazioni evangeliche” italiane, entrando in contatto con le popolazioni Dinka,
Shilluk e Bari.
Nel 1854 padre Giovanni Beltrame risale il Nilo Azzurro, e quattro anni dopo arriva
anch’egli a Gondokoro.
C apitolo 4 40 • ®

Il Garibaldi d’Africa
La storia mondiale ha tramandato le imprese leggendarie di Gordon “Pascià”, l’eroe avrebbero pagato un prezzo altissimo per scoprire che tracciare una pista nel territorio
britannico e ultimo governatore inglese di Karthoum, ma pochi sanno che, nelle lotte probabilmente più ostile del pianeta non era così semplice… Già nel 1881 una spedizione
contro la schiavutù in Africa, ebbe al suo fianco Romolo Gessi. Affamato d’avventura, composta da 12 uomini guidati da Giuseppe Maria Giulietti era stata sterminata dai feroci
questo romagnolo di Ravenna aveva conosciuto Charles George Gordon nel 1954 in guerrieri Afar, unici esseri umani in grado di sopravvivere nell’inferno della Dancalia. Tre
Crimea, dove entrambi combattevano nella guerra contro gli ottomani, poi nel 1859 si anni dopo sarà Gustavo Bianchi, insieme a Cesare Diana e Gherardo Monari, a tentare
era arruolato con Garibaldi che combatteva gli austroungarici in Trentino. di trovare una via commerciale che da Assab, attraverso la Dancalia porti nell’interno
Nominato nel 1873 governatore del Sudan, Gordon chiede l’aiuto del vecchio amico dell’Etiopia, ma anche questo gruppo viene trucidato dalle tribù locali.
italiano nella sua guerra contro il traffico degli schiavi, che aveva assunto proporzioni Dopo un lungo periodo di oblio, si dovrà arrivare al 1928 perché altri italiani – Ludovico
spaventose: oltre quattrocentomila neri razziati e venduti dai mercanti di schiavi. Quelli Nesbitt, Tullio Pastori e Giuseppe Rosina – con 15 indigeni e 25 cammelli riescano
che cercavano di resistere venivano massacrati a migliaia, i villaggi bruciati, antiche tribù nell’impresa di attraversare finalmente la Dancalia, con un memorabile viaggio di oltre
disperse e sterminate; il terrore e la desolazione regnavano lungo il Nilo. 1300 chilometri da sud a nord. L’anno successivo sarà Raimondo Franchetti a tracciare
Romolo Gessi lascia tutto e raggiunge l’amico a Khartoum, e per conto di Gordon invece la rotta est ovest, durante la quale riuscirà a trovare, nei pressi del lago Afdera, i
esplorerà il sistema idrografico del Nilo Bianco; nel 1878 sarà il primo occidentale, resti della spedizione Giulietti, massacrata dagli Afar mezzo secolo prima.
insieme a Carlo Piaggia, ad ammirare il massiccio innevato del Ruwenzori, come verrà Durante la dominazione fascista del Corno d’Africa, visionari ingegneri arrivarono
battezzato solo dodici anni dopo, nel 1888, da Stanley che ne rivendicò la scoperta, a ipotizzare la creazione di un canale che avrebbe dovuto riempire nuovamente la
disconoscendo l’opera degli esploratori italiani. depressione dancala con le acque del Mar Rosso, per collegare l’Etiopia al mare…
Sempre nel 1878, Gessi si spinge fino al lago Tana, al confine del selvaggio e inesplorato ancora oggi le spedizioni che hanno attraversato integralmente la Dancalia si contano
territorio dei Galla, per poi guidare una spedizione militare nel Bahr el-Ghazal contro sulle dita delle mani, e la rivista National Geografic ha definito questa regione “il posto
il potente schiavista Sulemain Ziber. Con un’armata irregolare, marciò verso sud in più crudele sulla faccia della Terra”.
territori devastati e villaggi razziati dalle orde dello schiavista, che alla fine raggiunse e
sbaragliò lasciando sul campo oltre quattromila nemici morti.
La notizia della sconfitta del negriero si propagò tra i villaggi lungo il Nilo, dall’Etiopia fino
alla regione dei Grandi Laghi, e Romolo Gessi divenne il Garibaldi d’Africa, una figura
leggendaria, ancora raccontata nelle storie come l’eroe mitico che spezzò le catene del
popolo nero.

L’epopea della Dancalia


L’esplorazione della depressione dancala, parte terminale del Great Rift verso l’Oceano
Indiano, oggi contesa tra Etiopia ed Eritrea, è un affare tutto italiano. Nell’ultimo ventennio
dell’800 nel Corno d’Africa si andava formando, nella regione chiamata Abissinia – che
comprende gli attuali stati di Eritrea, Etiopia e Somalia – l’illusione coloniale italiana.
Sulla carta, la linea della Dancalia era il percorso più breve per collegare il terminale
marittimo di Massawa con gli altipiani etiopici e la capitale Adis Abeba. Gli esploratori
I l r e p o r tag e : c o s a v u o l d i r e ? 41 • ®

C o m e s i i m p o s ta ? C o m e s i a p p r o c c i a ?
(n on s olo da pa rte d el lo sp oso e dell a sposa )
C apitolo 4 42 • ®

ERITREA, NOSTALGIE D’AFRICA


Irreale, lo sbuffo di fumo compatto, acre e denso sprigiona energia sul ferro arrugginito. decantazione delle proprie creazioni a gruppetti di donne curiose e colorate, spesso mi
sento chiamare “italiano? Come va?” da qualche vecchio volto eritreo incorniciato da
Uno spruzzo violento e improvviso di solida schiuma grigia sulla paglia riarsa dei prati
solenni barbe candide.
settembrini. Nella cabina del malconcio mastodonte d’acciaio, residuo di epoche
lontane, un uomo nero come il carbone getta carbone a palate nella fiamma viva della Parlando con la gente, seduto ad osservare il tramonto nelle caffetterie che caratterizzano
caldaia. L’odore di olio bruciato si confonde con l’aspra essenza del ferro che striscia il viale principale di Asmara, o nelle atmosfere mediterranee dei bar sotto i portici a
sul ferro, nelle atmosfere umide della bruma che accarezza l’altipiano. Massawa, mi sembra di intuire che noi italiani siamo riusciti, almeno qui in Eritrea, a
lasciare un ricordo positivo in quanti hanno vissuto la dominazione coloniale dei primi
Osservo la sgangherata locomotiva Ansaldo 442.54 - classe 1938 - sfidare il tempo e
decenni del ‘900. Perché gli italiani, più che soldati, erano contadini, operai, e hanno
lo spazio nel tentativo di trascinare un improbabile convoglio di vagoni in legno antico
ricreato anche qui alcuni dei tanti, piccoli “miracoli” che hanno sempre distinto i nostri
su binari inventati nell’epoca delle grandi sfide di fine Ottocento.
emigranti.
Il mostro d’acciaio e fumo che stride avanzando lento, rubando centimetro su
E molti eritrei ancora li ricordano, gli italiani. Con una punta di malinconia.
centimetro alla gravità, mi riporta negli occhi immagini sfumate. Dove solo un ricordo
è nitido, presente: i treni a vapore.
Il nonno mi portava spesso alla Stazione, dove arrivavano le vecchie locomotive nere
dall’enorme camino sbuffante. Per lui, nato nel tempo dei calessi e delle lanterne a
petrolio, probabilmente erano, insieme ad aerei, automobili, telefoni e altre diavolerie,
la rappresentazione fisica del concetto di Futuro. Quando, lente, con un urlo profondo
si mettevano in moto, parevano compiere uno sforzo titanico per liberarsi da invisibili
catene. Una dimostrazione di forza bruta. Ai miei occhi di bambino uno spettacolo
entusiasmante. Mi divertivo a dare al fumo, denso e bianchissimo, forme concrete.
Stavamo appoggiati per ore alle palizzate di cemento che delimitavano i binari. Senza
parlare.
Adesso sono su quel treno. Che corre dal XXI° secolo verso il passato…
Sulla ferrovia Asmara-Massaua, settembre 2006
Malinconico angolo d’Italia
Cinema Impero, Caffè del Corso, Albergo Torino, Grand Hotel Italia… le trovi ad ogni
angolo di strada, le tracce della nostra improbabile avventura coloniale! Confuse tra
odori, colori e atmosfere dell’Africa più autentica che esplode, multietnica, nei mercati
ingombri di frutta tropicale, cereali sconosciuti e straccetti cinesi a pochi soldi. Spesso
ancora troppi per la misera economia domestica di un popolo devastato dalla guerra.
Capace di riciclare, per necessità, qualsiasi cosa: un carro armato, un bidone di petrolio,
vecchi chiodi e binari ferroviari, nel caos di mille botteghe del bazar diventano badili,
carriole, secchi, coperchi, coltelli, forchette e utensili di ogni tipo. Mentre cammino in
questa babele di designer improvvisati, che si destreggiano tra un colpo di maglio e la
C apitolo 4 43 • ®

Dahlak, perle sconosciute


Leggenda per navigatori e marinai, le Dahlak sono gioielli buttati a casaccio nell’acqua
smeraldo del Mar Rosso meridionale. Con oltre tremila specie viventi diverse, un
quinto delle quali endemiche ed esclusive di queste acque, tra cui 350 diversi tipi di
corallo, rappresentano uno degli ecosistemi più variegati del pianeta, superato solo
dall’Amazzonia. I grandi “sacerdoti” degli oceani, da Costeau a Quilici, definiscono
questo come il mare più bello del mondo.
Le barriere coralline di questa zona, ambite da ogni appassionato di subacquea,
rappresentano uno straordinario ecomuseo vivente. In questo contesto, l’arcipelago
delle Dahlak, 209 tra isole, atolli e semplici scogli, rappresenta un unicum che è riuscito
finora a conservarsi pressochè intatto, nonostante alcune devastazioni causate dal
periodo bellico, durante il quale alcune delle isole principali sono state usate come basi
militari.
Quasi assente la presenza umana, se si esclude qualche famiglia di etnia Afar presente in
quattro isole; le altre sono pezzi di deserto lanciati come briciole nel mare, caratterizzati
da banchi di madrepore. Sulla superficie piatta nessuna vegetazione, soltanto qualche
lucertola e milioni di nidi di uccelli. Straordinaria, invece, la vita appena sotto il pelo
dell’acqua: un’eccezionale confusione di oltre mille varietà di pesci sui bassi fondali
dove spiccano enormi ventagli di coralli, gorgonie ed enormi tridacne giganti, le più
grandi tra le conchiglie, confuse tra praterie subacquee di sargassi.
È in una di queste isole, dove ho deciso di passare la notte, all’addiaccio nel caldo
autunno tropicale, che vivo un’esperienza straordinaria: nel buio della notte, il mare si
accende come un’immensa lampada al neon, a causa della bioluminescenza provocata
da miliardi di microrganismi planctonici. Accarezzato dall’aria finalmente fresca, dopo
una giornata torrida, rimango per ore a giocare con le cascate di luce dell’acqua che mi
scivola tra le mani, nel più straordinario acquario naturale del mondo.
C apitolo 4 44 • ®

DANCALIA, LA TERRA DEL DIAVOLO


Esistono luoghi, sul nostro pianeta, lontani dalla realtà più dell’idea di luoghi persi nello degli spettacoli più grandiosi e potenti che il fuoco, elemento primigenio della vita, svela
spazio. ai pochi capaci di giungere dove l’uomo non può vivere: nella “bocca del diavolo”, come
gli Afar chiamano il grande cratere dell’Erta Ale.
La Dancalia è sicuramente uno di questi!
Abbiamo dovuto contrattare per un giorno interno questa esperienza, con il capovillaggio
Un grande triangolo deserto compreso fra il Mar Rosso e gli altopiani etiopico e somalo,
del clan locale, che ritiene di avere la proprietà di questo territorio. Poco prima di
imboccatura della grande spaccatura africana conosciuta come Great Rift Valley, che si
noi era arrivata una spedizione di francesi; con l’arroganza che contraddistingue i
estende fino alla Tanzania e al Mozambico.
transalpini, avevano sbandierato un permesso ministeriale con tanto di firme e timbri,
La parte settentrionale di questa fossa tettonica, corrispondente alla Dancalia, in epoche che li autorizzava a passare. Il capo, con assoluto distacco, indifferente al fatto che ci
remote era probabilmente un braccio del Mar Rosso, poi dalla terra si è alzata una vogliono cinque giorni di deserto massacrante per arrivare fin lì, carezzando il calcio
serie di rilievi vulcanici che l’hanno separata dal mare e l’acqua evaporata ha lasciato del suo kalashnikov – ogni Afar adulto possiede questo simbolo di virilità, sempre
depositi di sale di centinaia di metri di spessore, mescolati, in un caos primordiale, a rigorosamente carico – li aveva apostrofati dicendo “dite al signore di Abeba che vi ha
banchi senza fine di lave nere. Si sono formate depressioni che, nei pressi del lago Assal firmato il permesso di passare sulla mia terra di venire qui a dirmelo di persona…” e i
a Gibuti, raggiungono i -153 metri sotto il livello del mare. La quota media di tutta la francesi avevano dovuto tornare da dove erano venuti.
Dancalia è invece -116.
Questa terra bruciata dal sole, con colate di lave taglienti e baluardi basaltici, deserti
Afar, i guerrieri del nulla
sabbiosi e distese di sale, è uno dei luoghi più inaccessibili ed inospitali della Terra, per
le alte temperature, la mancanza d’acqua e il terreno impervio e ostile. Non piove mai, e In questo luogo apparentemente alieno alla vita, da sempre vivono gli Afar, un popolo di
le acque dei pochi torrenti che scendono dall’altopiano si perdono nel deserto assorbite guerrieri che ha scelto come patria il territorio più inospitale del pianeta.
dalle sabbie o evaporate.
Con l’istinto dell’animale selvatico, la saggezza dell’eremita e la resistenza di chi deve
Dall’altipiano scendono anche le correnti d’aria che, precipitando nella depressione, si lottare quotidianamente per la sopravvivenza, si sono adattati a questo “inferno”
scaldano acquistando velocità e il fondovalle è sempre spazzato da un vento torrido, riconoscendolo come loro patria. A pochi giorni di cammino da qui, l’altipiano, di cui
sempre superiore ai 50° gradi, che rende impossibile qualsiasi idea di vita. si intravedono sull’orizzonte occidentale i risalti rocciosi, offre pascoli, acqua,
un’agricoltura ricca e varia, milioni di capi di bestiame, poiché, a dispetto delle ricorrenti
Ma è anche il luogo dove, chi ha il senso della follia, può vivere un’avventura autentica,
siccità, l’altipiano etiopico è uno dei terreni più fertili del pianeta e ospita una quantità
cruda, senza mediazioni. Esattamente come l’hanno vissuta i primi esploratori cent’anni
incredibile di bovini.
fa.
Ho cercato di capire i motivi di questi uomini che, invece, lottano quotidianamente col
destino per continuare a vivere dove la vita sembra impossibile.
Erta Ale, il vulcano vivo
Non ho trovato ragioni.
Al centro del deserto della Dancalia s’innalza una catena di vulcani attivi che testimoniano,
Allora ho chiesto. La risposta è di quelle che non concedono repliche: “la nostra terra
in superficie, gli sconvolgimenti che nel cuore della Terra vengono creati dagli scontri
è qui”.
tra le placche continentali. In questo punto della crosta terrestre si modifica, ogni
giorno, l’assetto geologico del pianeta, anche se i tempi dell’uomo sono infinitesimali
per poter capire la vita reale delle forze naturali. Bisogna arrivare fin qui, dopo giorni di
avventura e fatiche su un terreno ostile e insidioso di sabbie e lave, per ammirare uno
C apitolo 4 45 • ®

Dallol, un viaggio fuori dal tempo


La piana di Dallol, a poche decine di chilometri dal cono vulcanico dell’Erta Ale, è un
frammento di mondo alieno caduto sulla Terra. Qui le stratificazioni di sale si spingono
fino a mille metri sotto la superficie, e da queste emergono fenomeni eruttivi unici, in
grado di creare una scenografia che nessun film di fantascienza potrebbe uguagliare:
pinnacoli e torri, frutto di infinite stratificazioni saline che si possono contare una per
una, si elevano da vallette, crepacci e voragini. Sembra di penetrare in un mondo di
cristallo, fatto di echi e riverberi che si amplificano su ogni superficie.
Le esalazioni che fuoriescono da ogni fessura mi ricordano che qui la vita non esiste e
non può esistere; posso soltanto passare in questa scenografia e riempirmi gli occhi
dello spettacolo più insolito che si possa immaginare.
Poco lontano, una moltitudine di uomini usciti da un tempo remoto ripete un rito
ancestrale che non ha paragoni nella mia memoria.
In un “ordine” irreale, file composte di lavoranti sollevano e spaccano la crosta salina
sulla superficie del paleolago ormai fossile, altri trasformano la materia informe in
tavolette, usando asce neolitiche, altri ancora soggiogano una teoria infinita di cammelli
che si perdono nel nulla, li caricano di 15/20 tavole di sale – ognuna pesa 20 chili – e
iniziano un viaggio nel deserto che in 5/6 giorni li porterà sui mercati di Axum e Makallè
dove venderanno il prezioso elemento sui mercati locali.
C apitolo 4 46 • ®

ETIOPIA, SULLE TRACCE DELL’ARCA


Il regno di Axum, corrispondente più o meno all’attuale Etiopia, fu uno dei più Proseguendo verso sud, si incontrano orizzonti di colline disegnate dalle piantagioni
grandi imperi dell’Africa antica, ed è stata la prima nazione umana ad abbracciare il di caffè, che da questa terra si è diffuso in tutto il mondo. Qui si susseguono i villaggi
Cristianesimo, ben prima della conversione dell’Imperatore Costantino a Roma. dell’etnia Guraghe, divisa in sette clan, disseminati nella regione degli Oromo, il maggior
gruppo etnico dell’Etiopia, fino alle capanne dipinte dei Baykes, il clan dei maghi
E secondo un’antica tradizione, contenuta nel testo sacro etiope Kebra Nagast (il Libro
dell’etnia Benci, ancora legata a tradizioni animiste e antichi riti magici.
della Gloria dei Re), l’Arca data da Dio a Mosè sarebbe stata donata da Re Salomone a
Menelik I, il figlio avuto dalla regina di Saba, leggendaria fondatrice della nazione etiope, Da qui, abbandonando ogni contatto e possibilità di comunicazione con la nostra civiltà,
anche se secondo un’altra versione, il sovrano avrebbe donato a Menelik una copia la nostra spedizione si è inoltrata nella remota valle del Kibish, dove vivono, isolate, le
dell’Arca, ma questi la scambiò di nascosto con l’originale. popolazioni di guerrieri Surma.
I preti copti sono certi dell’esistenza dell’Arca dell’Alleanza tra le montagne del Tigrai, e I Surma, guerrieri neolitici
molti indizi portano a Lalibela, straordinario capolavoro realizzato dal visionario sovrano
D’improvviso tutto cambia. Uomini e paesaggio. La sensazione, tangibile, è di entrare
etiope di cui il luogo porta il nome.
in una dimensione spazio temporale sospesa nel tempo, di essere proiettati in un’era
Difficile, osservando questa cittadella sacra realizzata nella pietra, fino a pochi anni primitiva, dove credenze, riti e tradizioni scandiscono il ritmo delle giornate e di intere
fa inaccessibile, persa tra i monti dell’altipiano etiopico a cinquecento chilometri da esistenze.
Addis Abeba e altrettanti da Makallè, non credere ai miracoli se si vuole dar credito alla
I Surma vivono allo stato primordiale, in un mondo che in ogni sua manifestazione
leggenda che vuole questo luogo costruito in soli 24 anni, nel XII secolo. Qui i cristiani
si è fermato a millenni fa. Lasciate le jeep al campo tendato montato in una piccola
d’Africa, che non avevano alcun legame col mondo mediterraneo, decisero di ricostruire
radura fra la savana e gli altipiani erbosi, ci incamminiamo nella valle selvaggia fino a
Gerusalemme, ormai caduta in mano musulmana, scavando colline, svuotando la
raggiungere le rive del Magalogne, il fiume sacro per questo popolo.
roccia delle montagne, aprendo tunnel, gallerie, e innalzando, nel ventre della terra,
undici cattedrali di pietra unite da un labirinto sotterraneo di passaggi e canyon artificiali. Sbucando tra i cespugli o dondolando dai rami degli alberi, appaiono al nostro passaggio
gruppi di bambini, nudi, completamente dipinti di giallo intenso, da sembrare perfetti
extraterrestri.
VALLE DELL’OMO, UN VIAGGIO NEL TEMPO Siamo noi, però, l’elemento estraneo a questo mondo, perfetto nella sua archetipa
armonia.
Verso l’anima del mondo Corrono agili fra la savana, i piccoli Surma, in simbiosi perfetta con la natura che li
Da Addis Abeba la strada che porta fino a Jimma, la capitale del caffè, vede il paesaggio avvolge e con il loro microcosmo fatto di miti, superstizioni, credenze e regole che
circostante cambiare chilometro dopo chilometro, lasciando alle spalle ogni traccia di si perdono nella memoria dell’uomo. Nelle acque del Magalone i Surma manifestano
“occidentalizzazione”, e avvicinandosi sempre più al cuore autentico dell’Etiopia. il culto narcisistico della bellezza fisica, dipingendo i loro corpi con polveri ricavate
grattando pietre colorate che affiorano dalla vegetazione. Ogni gesto fa parte di un
Prima di abbandonare ogni contatto con la dimensione spazio temporale a noi nota,
rituale che si ripete, inalterato nel tempo, da infinite generazioni.
è possibile vivere le suggestive atmosfere dei tradizionali mercati all’aperto, luogo di
incontro e commercio di etnie diverse. A Weliso, una moltitudine di colori e odori si I giovani, si rasano reciprocamente i capelli, con rudimentali coltelli, creando disegni
mescolano tra il brulichio della gente che si ritrova al mercato del sabato. Gli sguardi ornamentali; le donne, a gruppetti, osservano lo scorrere della vita dai grandi sassi
un po’ curiosi e un po’ stupiti, specie di donne e bambini, mostrano quanto sia ancora appoggiati sul letto del fiume, mostrando con disinvoltura i piattelli labiali e le scarificazioni
inusuale per loro vedere uomini bianchi apparire, da una strada polverosa, nella loro sui loro corpi armoniosi.
quotidianità.
C apitolo 4 47 • ®

La vita lungo l’Omo River


A bordo di improbabili imbarcazioni scendiamo sulle acque insidiose dell’Omo, popolate
da consiostenti colonie di coccodrilli, fino al punto più a sud del nostro viaggio, dove
troviamo i villaggi Karo e Hammer.
I Karo vivono in caratteristici villaggi di capanne di paglia; sono ridotti a poche centinaia
di individui e la loro millenaria cultura è a rischio di estinzione. Come i Surma, hanno il
culto della bellezza fisica, esaltata dalle scarificazioni e dalle decorazioni pittoriche che
realizzano utilizzando colorazioni vegetali e minerali. I loro corpi e i loro volti divengono
splendide tele da pitturare, espressione di una grande creatività artistica.
Una calotta di ricci realizzata con fango, burro e grasso sui quali viene spruzzata della
polvere rossa e il chiodo labiale, che le donne sono solite muovere in continuazione con
la lingua, sono gli elementi distintivi dell’etnia Hamer.
Nei territori di questa etnia, rispettata e ammirata da tutte le altre popolazioni per la
bellezza e sensualità delle loro donne, viviamo atmosfere e suggestioni di antiche
tradizioni tribali.
Le donne indossano pelli di capra abbellite con numerose perline colorate e tante
piccole conchiglie del Mar Rosso, usate, per secoli, come denaro.
Anche la fattezza di queste pelli denota un profondo senso estetico e la loro grande
sensualità nel portarle con grazia e armonia.
Gli Hammer hanno particolari ritualità legate al matrimonio. I fidanzamenti vengono
combinati dalle due rispettive famiglie dopo che il pretendente ha superato lo “zillai”,
il salto del toro, un rito di iniziazione che sancisce il passaggio dall’adolescenza all’età
adulta.
Le ragazze non devono arrivare vergini al matrimonio: questo rappresenterebbe un
grande disonore, indicando che nessun uomo le ha volute perché poco attraenti.
I l r e p o r tag e : c o s a v u o l d i r e ? 48 • ®

C o m e s i i m p o s ta ? C o m e s i a p p r o c c i a ?
(n on s olo da pa rte d el lo sp oso e dell a sposa )
49 • ®

Capitolo 5:
• AL FIN DEL MUNDO

• NAVIGATORI ITALIANI VERSO LE TERRE AUSTRALI

• ARGENTINA, CIELI DEL SUD

• PATAGONIA, KOSTEN AIKE,IL “LUOGO DEL VENTO”

• TIERRA DEL FUEGO, DOVE IL MONDO FINISCE


C apitolo 5 50 • ®

AL FIN DEL MUNDO


El fin del Mundo, luogo reale dove il mondo finisce. sempre chiamato lo “Stretto di Magellano”.
“El fin del Mundo” un concetto che ha agitato le mie fantasie di bambino famelico di Leon Pancaldo, che nel frattempo era diventato uno dei migliori capitani della sua
storie da vivere come protagonista. Desiderio che non mi ha mai lasciato. epoca, navigò in tutti i mari del mondo e nel 1536 gli venne affidata dagli spagnoli la
direzione di una spedizione commerciale diretta in Perù, dove però non arrivò mai. Morì
Ci sono posti che si possono raggiungere, altri che bisogna accontentarsi di immaginare.
in circostanze ignote sul Rio de la Plata nel 1540.
Ma anche le illusioni possono diventare realtà. La Patagonia e la Tierra del Fuego hanno
rappresentato, nelle mie fantasie di adolescente a caccia di avventure, una frontiera tra Ma nel giro del mondo compiuto da Ferdinando Magellano tra il 1519 e il 1522 c’era un
il possibile e l’immaginario. altro italiano, che divenne il cronista ufficiale di quella incredibile impresa: era il veneto
Antonio Pigafetta (Vicenza 1492/1534). È a lui che si deve il dettagliato resoconto
La “colpa” di questa irrazionale passione è scaturita dalle pagine di un vecchio libro,
“Relazione del primo viaggio intorno al Mondo” ritenuto uno dei più preziosi documenti
I miei viaggi nella Terra del Fuoco, trovato tra gli scaffali del nonno. Raccontava di un
sulle grandi scoperte geografiche del Cinquecento. Anch’egli, come Pancaldo, si
personaggio straordinario che, ai primi del secolo scorso, abbandonò la tranquilla vita
trovava sulla Trinidad insieme a Magellano, di cui divenne l’attendente, e dopo la morte
di un collegio piemontese per andare verso l’ignoto. Probabilmente, cent’anni prima di
dell’ammiraglio negli scntri con gli indigeni avvenuti sulle isole Molucche, assunse di
me, seguendo la stessa chimera che accomuna tutti i sognatori.
fatto la guida della spedizione riuscendo a riportare a Siviglia uomini e navi superstiti.
Si chiamava Alberto Maria De Agostini.
Bisogna aspettare tre secoli per trovare altre notizie sull’estremo sud del continente
americano, e

NAVIGATORI ITALIANI VERSO LE TERRE AUSTRALI Conoscere quello che fu chiamato il “Marco Polo del Brasile”: ancora una volta un italiano,
il lombardo Gaetano Osculati (San Giorgio al Lambro, 28 ottobre 1808 – Milano, 14
L’estremo sud del mondo ha sempre affascinato esploratori e navigatori, a partire da Marzo 1894), esploratore, cartografo e botanico italiano, grande conoscitore ed
Sebastiano Caboto (Venezia 1484 – Londra 1557), navigatore veneziano al servizio esploratore delle Americhe. A partire dal 1834 attraversò tutta l’Amazzonia e superò le
del Re d’Inghilterra di Carlo VIII e poi dello spagnoli Ferdinando II e Carlo V, da cui tempeste di Capo Horn. La sua più importante e ardita impresa resta quella che lo vede
ottenne il titolo di Capitano Generale della Spagna. Dal 1512 al 1557, anno della sua partire dall’Ecuador e raggiungere le coste dell’Oceano Pacifico fino alla scoperta del Rio
morte a Londra metre preparava una spedizione navale per andare alla scoperta del Napo. Il viaggio prosegue poi lungo il Rio delle Amazzoni sino all’Oceano Atlantico. Da
leggendario “passaggio a nordovest” viaggiò in tutti i mari del mondo, dedicandosi in questo viaggio (1846-1848) porterà in Italia una mole impressionante di notizie e raccolte
particolare al Sudamerica. di reperti etnografici ed entomologici che hanno rifornito molti musei italiani. Durante la
Nel 1526 risalì il Rio de la Plata, pensando di aver raggiunto il favoloso regno di Birù permanenza con gli indigeni, scoprì che alcune piante medicinali e officinali, come la
(così era chiamato il Perù). Rimase in quell’area per diversi anni, esplorando fiumi e Cinchona, allontanano la malaria, riportando queste notizie all’ambiente scientifico.
raccogliendo materiale naturalistico e scientifico sulla regione.
Coetaneo di Caboto fu Leon Pancaldo (Savona 1482 – Rio de la Plata 1540), che
partecipò al primo viaggio di circumnavigazione dell’intero pianeta compiuta da
Ferdinando Magellano sulla nave ammiraglia Trinidad, di cui era il nocchiero. Nel 1519
la spedizione raggiunse la baia dove oggi sorge Rio de Janeiro e si fermò all’imbocco
del Rio de la Plata per passare l’inverno. In autunno le navi di Magellano raggiunsero
la Tierra del Fuego, e con un’impresa oltre i limiti della navigazione di quell’epoca
riuscirono a forzare il passaggio verso l’Oceano Pacifico attraverso quello che sarà per
C apitolo 4 51 • ®

L’avventura di un salesiano nel “Fin del Mundo”


Alberto Maria, che verrà ricordato come “Don Patagonia”, arriva in quelle terre
dimenticate da dio nel 1910, e per quasi mezzo secolo affiancherà la sua attività
pastorale a un’intensa serie di viaggi esplorativi in Patagonia meridionale e in Tierra del
Fuego, partendo dalla base logistica di Punta Arenas, avamposto cileno sulla costa
settentrionale dello Stretto di Magellano.
Nel 1913 scopre il fiordo che oggi porta il suo nome, nel 1915 sbarca a Capo Horn, poi
naviga nelle acque che circondano l’immenso massiccio del Balmaceda, tra ghiacciai
e icebergs, tra il 1928 e ’29 esplora in modo dettagliato lo Stretto di Magellano, i
fiordi Falcòn e Eyre, e compie numerose escursioni nella zona delle Torri del Paine.
Per un decennio, fino al 1940, esplora la Cordillera Patagonica e i suoi ghiacciai, che
compongono lo sconosciuto e immenso Hielo Continental, è poi la remota regione del
Monte San Lorenzo, seconda vetta patagonica dopo il Fitz Roy.
C apitolo 5 52 • ®

ARGENTINA, CIELI DEL SUD


Terre di frontiera Vivere nel verde
L’immaginario comune identifica l’Argentina con le pampas sconfinate del sud, ingiallite Il colore che tutto avvolge, in un delirio di sfumature incapace da decifrare per gli occhi.
dal vento perenne e gelido, proveniente dallo Hielo Continental, che spazza le pianure
Lontani dalla “civiltà” di Resistencia, persi nell’infinito della pianura si trovano nuclei di
schiantandosi sulle verticalità perfette delle montagne patagoniche. E ancora più a sud,
gauchos che vivono con le stesse modalità dei primi esploratori di queste terre.
nelle suggestioni subantartiche della Tierra del Fuego e dei suoi canali, ingombri di
ghiacciai, che portano verso le solitudini australi. “Ho provato a vivere, per un po’ di tempo, in città” mi racconta Pilar mentre sotto
un magnifico albero che offre un’impagabile riparo dal sole feroce del mezzogiorno
Nella realtà, questo immenso paese si spinge, verso nord, a lambire l’universo
sorseggia l’immancabile “mate”, la bevanda tradizionale che si gusta in uno speciale
amazzonico, creando un territorio subtropicale di foreste e lagune. Spesso impenetrabili.
contenitore.
Un paesaggio di bellezza primordiale, dove la storia dell’uomo occupa l’ultimo secondo
Solitamente è una coppa ricavata da una piccola zucca, che sta nel palmo della mano.
di vita. Qui i “bianchi”, che non sempre pacificamente si sono mescolati e confusi con gli
Le erbe che costituiscono la miscela del “mate” vengono “caricate”, come in una pipa,
indios autoctoni, sono arrivati da meno di 150 anni, colonizzando territori dove la Natura
sul fondo del contenitore e poi si versa l’acqua, succhiando la tisana che si ricava con
era, e in gran parte ancora è, assoluta padrona e protagonista.
una cannuccia d’argento. Un rito che scandisce ogni momento della giornata.
La tazza del “mate” e la bottiglia d’acqua per alimentarla fanno parte del corredo di ogni
Impenetrable, un mondo d’acqua argentino doc, più delle scarpe e della biancheria intima!
Un territorio di frontiera circondato da acquitrini a perdita d’occhio, distese senza “Sono strani, quelli di città – continua la donna – pieni di problemi, sempre “nerviosos”.
fine di vegetazione intricata e immensi corsi d’acqua, come il Rio Paraguay che fa da
Io sono nata qui, a pochi chilometri da questa estancia, e non vorrei vivere da
confine con l’omonima nazione, e le linee liquide dei rios Paraná, Uruguay Bermejo e
nessun’altra parte…”
Pilcomayo. Un mondo dove ancora oggi i tempi e i ritmi della vita sono definiti dal sole
e dalla pioggia.
La mia meta una zona straordinaria e poco conosciuta, che si presenta tutta nel suo Tutto intorno, praterie delimitate da alberi scuri, rese vive dalle schiene dei bovini che
nome: El Impenetrable! pascolano bradi, e il galoppo ritmico e preciso dei gauchos che si spostano seguendo
misteriose linee immaginarie e raggruppano gli animali su distanze a cui il mio occhi non
“Lascia stare, siamo isolati, irraggiungibili. Ci sono più di settanta chilometri di strada
è abituato, rappresentano una quotidianità sempre uguale a se stessa.
sott’acqua a causa delle recenti piogge…” sono le parole che, dall’altro capo del
telefono, pronuncia il responsabile dei ranger che controllano la seconda più estesa Stanno rientrando, e li aspetta il piacevole rito dell’asado, il capretto messo a grigliare
zona umida al mondo dopo il Pantanal sul fuoco di legna. Cuocerà senza fretta, per ore, mentre i racconti del giorno e della
vita sono sempre gli stessi.
brasiliano.
Perché qui, il segreto, è vivere l’oggi e non aspettare cambiamenti…
E le strade, qui, non sono le highway asfaltate che costituiscono gli standard a cui
siamo abituati, ma impegnative piste sterrate, spesso incise nella terra nera, dove
poche gocce d’acqua trasformano il suolo in una trappola insuperabile.
I l r e p o r tag e : c o s a v u o l d i r e ? 53 • ®

C o m e s i i m p o s ta ? C o m e s i a p p r o c c i a ?
(n on s olo da pa rte d el lo sp oso e dell a sposa )
C apitolo 5 55 • ®

PATAGONIA, KOSTEN AIKE,IL “LUOGO DEL VENTO”


Suono esotico, Kosten Aike. Bisbiglio carico della magia che noi uomini del terzo El Chalten, ultima frontiera
millennio abbiamo dimenticato.
La “Montagna che fuma”, Chalten nella lingua Tehuelche, spinge il suo pennacchio di
Intrinseca al mondo della natura e degli Indios che per millenni hanno condiviso l’infinito nuvole alto nel cielo. A guardarla da lontano, la magnifica silhouette del Fitz Roy pare
delle distese patagoniche con il vento. Dandogli nome e dignità. proprio uno straordinario e possente cono vulcanico.
Il vento. Padrone assoluto di queste terre ai confini del mondo, manipola l’orizzonte Immaginando di vederlo per la prima volta stagliato lontano sull’orizzonte, è facile
che svanisce come nel gioco di prestigio di un abile mago. Improvvisi, fendenti di luce cadere nel tranello che ingannò anche il pragmatico Francisco Pascasio Moreno, cui
lacerano la coperta scura e indistinta del cielo regalando, per un attimo, profondità e si deve - negli ultimi trent’anni del XVIII° secolo - la scoperta geografica di gran parte
colori irreali a un film in bianconero. In un istante di immobilità, i profili schiacciati del della Patagonia australe, e l’attribuzione al colosso granitico del nome Fitz Roy in onore
mondo a due dimensioni ritornano reali. Poi di nuovo raffiche rabbiose frullano insieme del grande navigatore inglese.
nuvole e terra. Montagne e orizzonte.
Fu Carlos M. Moyano, nel 1884, ad accorgersi dell’errore svelando la natura granitica
Kosten Aike. Il “luogo del vento” nelle leggende degli indios. Scomparsi per sempre. delle montagne di questa zona; tuttavia per molti anni ancora il Fitz Roy venne confuso
Inutile presenza, quella umana, nel palcoscenico della natura patagonica, dove si con un vulcano in perenne eruzione, a causa delle nuvole che, portate dall’impetuoso
contendono gli spazi infiniti solo gli istinti primordiali della Terra. Ma non è stato il vento vento patagonico, si sfilacciano sulle sue imponenti pareti creando giochi di fumo
e le bufere di questo angolo sperduto di mondo dove si scontrano le forze brutali del intenso che sembrano sprigionarsi dalla sua cima.
cosmo a cancellarli.
Sicuramente il paese più “giovane” del mondo, sorto ufficialmente solo nel 1986, oggi
Una volta ancora, l’avidità dell’uomo bianco di “possedere” ogni angolo di pianeta, anche El Chalten è un piccolo agglomerato di case ai piedi delle montagne più desiderate dai
i più inutili alle proprie ingordigie, in meno di un secolo ha decretato l’annientamento di sogni impossibili degli alpinisti!
uomini che avevano imparato a capire gli umori e le collere dei venti.
C apitolo 5 56 • ®

TIERRA DEL FUEGO, DOVE IL MONDO FINISCE


Verso Sud
Mi imbarco un pomeriggio di metà marzo. A poche decine di metri dai moli la carcassa
spiaggiata del Saint Cristopher e i relitti sommersi nella baia di Ushuaia raccontano storie
perdute contro le tempeste del canale di Beagle, ma la Mare Australis, la nave che mi
porterà verso il mio sogno, è superba. Varata di fresco, un vero gioiello di tecnologia. È
uno dei primi viaggi, aperti alle persone “normali”, che promette, qualora le condizioni
del mare lo consentano, uno sbarco a Capo Horn. Oltre c’è solo l’Antartide, poi il
mondo si rovescia. Ma quel punto perso nel nulla non è solo un luogo geografico, è
l’essenza stessa dell’idea di avventura.
Ottenuto dal comandante il permesso di rimanere in sala comando, passerò lunghe
ore appollaiato sullo sgabello, scrutando l’infinito o cercando di scoprire i segreti
delle carte nautiche. Perdendomi in un gioco infantile che non sono mai riuscito ad
abbandonare: inventare storie diventandone protagonista. Nel buio assoluto della notte
polare interrotto solo dalle luminescenze degli strumenti di bordo e dal lampeggiare, a
tratti, di qualche strumento, complice l’atmosfera ovattata della cabina, che appanna i
rumori e la realtà, divento Achab all’inseguimento del mostro bianco. Un attimo dopo
Nemo nella sua avventura sotto le calotte artiche. Il capitano Fitz Roy, e poi ancora un
anonimo esploratore polare perso nell’immensità dei ghiacci antartici.
Ushuaia, marzo 2003
L’Avenida de los Glaciares
La nave scivola silenziosa in questo mondo alieno. Mare e notte si fondono in un
unico inchiostro inpenetrabile, interrotto da enormi colate di cristallo. Verticali. Viale dei
Ghiacciai l’hanno battezzato i naviganti. Può succedere che per giorni infiniti nuvole
basse e la nebbia umida delle latitudini australi siano padrone di questi luoghi. Ma
non questa notte, limpida e stellata, che esalta il contrasto tra il buio del mondo e la
trasparenza luminosa dei ghiacci. Uno scenario oltre la portata di qualsiasi parola. Nella
scena incerta che precede il giorno, una tavololozza dai colori plumbei screziata di viola
e arancio che diventa sempre più brillante, la nave si scuote dal torpore del sonno e
vibra nella frenesia dell’azione, interrompendo in modo brusco e violento l’immobilità
del luogo: i gommoni rossi sono già in acqua, e come formiche diligenti cinquanta
sagome umane sformate nelle goffe tute impermeabili giallosole appesantite dai gilet
di salvataggio fluorescenti sciamano in fila indiana sulle minuscole imbarcazioni. È lo
sbarco. Uno dei tanti che vivremo.
C apitolo 5 57 • ®

Natura padrona
Italia, Garibaldi, Marinelli, Spegazzini... i nomi di questi luoghi suonano tutti stranamente Lo sbarco alla Bahía Ainsworth è stato il più emozionante: a pochi passi da noi una
familiari. La spiegazione è semplice: l’esplorazione sistematica di queste terre, nei primi colonia di leoni marini è impegnata nelle attività quotidiane. Incuranti dei ronzii delle
decenni del ‘900, si deve a padre Alberto De Agostini. Proprio quello degli atlanti che macchine da presa che rubano voraci fotogrammi di realtà, gli animali si godono come
ognuno di noi ha su qualche scaffale a casa. Esploratore prima ancora che missionario, gitanti l’inaspettata giornata di sole. Un maschio enorme spalanca la bocca emettendo,
camminò tra questi ghiacci per molti anni della sua vita, rimanendone inesorabilmente nella bruma frigida della mattina, una nuvola di vapore. Alcuni giovani si accapigliano
affascinato. nell’acqua bassa imparando l’arte della lotta. Ripetendo gesti e danze scritte nei codici
Un appassionato di scenografie naturali può restare senza parole e senza pensieri, genetici. Osservando i movimenti lenti di questi pachidermi del mare, così goffi nelle
scoprendo ad ogni nuovo sbarco situazioni solo immaginate. Ci siamo inoltrati, attenti a loro escursioni in terraferma, anche il tempo sembra rallentare. Ma l’emozione più
non muovere il più piccolo rametto, in una foresta primaria. Forse mai calpestata prima. devastante per noi umani, miscela di panorami indescrivibili e vite autonome, è la libertà
Dove il muschio e ritmi delle stagioni rinnovano, corrompendola e ricreandola, la magia assoluta di questo universo nel quale siamo solo comparse temporanee. Possiamo
della vita. Nell’autunno incipiente le sfumature della lenga, una varietà di faggio dalle solo guardare, senza sforzarci di capire un mondo che non ci appartiene.
foglie minuscole, unica pianta di alto fusto che sopravvive a queste latitudini, esibiscono Ubriaco di suggestioni, ormai aspetto solo di scoprire, davanti a me, solo il vuoto
tutte le varianti del giallo e del rosso. dell’oceano antartico.
La grande nave, piccolo puntino nell’immensità della natura australe, si inoltra
lentamente in fiordi chiusi da grandi cascate di ghiaccio che scivolano verticali dai
Dove il mondo finisce
plateau sommitali con dislivelli di centinaia di metri. A tratti blocchi grandi come grattacieli
si staccano dalle pareti precipitando in mare con boati spaventosi, sollevando onde Capo Horn. Chiave del tesoro dei sogni. Parola d’ordine per l’Avventura. Rampa di
rapide e impressionanti. Estremamente pericolose anche per un’imbarcazione come la lancio della fantasia. Un sibilo che ha agitato i miei pensieri di bambino famelico di storie
nostra. Rimaniamo a distanza di sicurezza, ma comunque l’urto è sempre violento e fa da vivere come protagonista. Capo Horn. Un sogno che non mi ha mai lasciato.
impennare la prua verso il cielo.
Adesso la prua della nave puntata verso l’ignoto dell’oceano è reale. Le rabbiose
Le pareti libere dai ghiacci sono occupate da una vegetazione impenetrabile, ma la ondulazioni di un elemento liquido primordiale che quando è calmo vomita tempesta
sottile fascia di rocce tra l’acqua e la foresta è la casa di molte varietà di animali. Foche, sono realtà. Nel punto dove le correnti sottomarine e tutti i venti delle due facce
pinguini, cormorani, charancos, rapaci autoctoni di queste latitudini; a Islote Tucker del mondo si assalgono, in un’inutile titanica lotta dove nessun elemento potrà mai
anche un condor osserva il nostro passaggio, appollaiato sul tronco scheletrito di una prevalere, dovrebbe esserci Capo Horn. È realtà o solo leggenda?
lenga.
Isla Cabo de Hornos. Minuscola brughiera orizzontale. Anonima e bruttina. Spazzata
Un’alba ci sorprende già appostati, sull’Isla Magdalena, a osservare il risveglio di una da un vento feroce che a tratti impedisce di rimanere in piedi. Uno dei posti dove le
grande colonia di pinguini magellanici. Durante l’estate sono più di 120.000 mila, ma leggende diventano realtà. Perchè questa è la Fine del Mondo.
a quest’epoca i giovani e le femmine sono già partiti per svernare molto più a nord.
Rimangono i maschi, gli ultimi a lasciare il luogo dove dalla notte dei tempi questi animali
vengono a riprodursi. Tra qualche giorno qui regnerà il silenzio assoluto, adesso è una
babele di chiacchiere stridule. La luce calda e radente del sole dipinge di sfumature
panna e beige i buffi volatili, che si muovono a battaglioni ordinati eseguendo comandi
misteriosi. Tutti a destra, tutti a sinistra, tutti in attesa del proprio turno per la discesa
al mare. A tratti mi fissano, reclinando la testa di lato, con una domanda curiosa negli
occhi: chi sei?
C apitolo 5 58 • ®

Il guardiano del faro


È qui da quasi un anno, Hector. Sta per finire il suo periodo di prigionia forzata. Capo
Horn, puntino nel nulla, è presidiato dall’esercito cileno che mantiene in funzione il faro,
unica testimonianza della presenza umana nel raggio di migliaia di chilometri. Offrirsi
volontari per questa missione aliena fa guadagnare qualche soldo in più e forse una
avanzamento nella carriera. Ma non è alla portata di tutti. Bisogna avere un senso
particolare della realtà, per vivere un anno sul faro del Fin del Mundo.
“Alcuni giorni non si riesce neppure a raggiungere la baracca del generatore, a dieci
metri da qui. La bufera ti schianta a terra. A volte ci arrivo strisciando, ma spesso
rinuncio ad accenderlo. Tanto non succede mai nulla!”
È qui con Ingrid, la sua compagna. Concessione e deroga alle severe leggi militari
per i reclusi di Capo Horn. Hanno entrambi lo sguardo stralunato di chi è abituato a
parlare solo col vento. Unico legame col mondo dei vivi la lunga antenna radio, sfida alle
raffiche micidiali che dagli emisferi est e ovest vengono a litigare qui.
“La nave con i rifornimenti passa ogni due mesi, ma spesso non riesce ad attraccare. Il
mare a volte è furioso per settimane.”
Sa poco del mondo, Hector, e forse non gliene importa neppure molto. Parla con brevi
frasi nervose; le comunicazioni con gli uomini, che vivono migliaia di chilometri a nord,
sono solo di servizio.
Penso alla privazione e al mio immaginare i sogni di un carcerato. Immagino una serata
al bar, davanti a una birra. Ascoltando voci intorno. Un cinema, una gita in automobile.
Passeggiare senza avere il limite finito di un minuscolo scoglio perso nel nulla.
“Cosa ti manca, più di tutto?”
“La frutta. Un piatto di verdura fresca.”
Ci guarda mentre tra l’erba grassa ci allontaniamo dalla sua realtà. Un cenno con la
mano.
Noi stiamo tornando alla nostra.

Potrebbero piacerti anche