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Ungaretti

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UNGARETTI

uno de los dos monumentos de la poesía italiana , es una de las partes centrales y uno de
los mas grandes del novecento . su padre era un albañil y venía de una familia digamos
humilde , estudiaron sobre los géneros
Giuseppe Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d'Egitto dove il padre, di origine
lucchese, si era trasferito con la moglie, per lavorare come sterratore al canale di Suez. Gli
anni dell'infanzia sono fondamentali nella formazione del futuro poeta, a contatto con una
serie di ambienti e suggestioni che troveremo poi nella sua opera.Ungaretti conosce una
varia umanità di transfughi da tutta Europa, accomunati dall'amore per l'arte e dalle idee
politiche vicine all'anarchia. Contemporaneamente affina la sua formazione letteraria,
studiando soprattutto i testi di Baudelaire, Mallarmé 'e d'Annunzio, nel quadro di una cultura
bilingue (italiana e francese), alimentata dalla vorace lettura di due importanti ri-viste: la
fiorentina "La Voce" e la parigina "Mercu-re de France".

lo scoppio della seconda guerra mondiale lo costringe a sprimere una volta la sua esistenza
, decide di tornare in patria per arruolarsi volontario come soldato semplice , di questo fa una
prima raccolta che si chiama : il porto sepolto

IL PORTO SEPOLTO

Questa breve poesia porta il titolo della prima e omonima raccolta di Ungaretti, pubblicata a
Udine nel 1916. La poesia, assieme alle altre del Porto sepolto, confluirà poi nella Allegria di
naufragi del 1919 e poi nelle successive edizioni della raccolta, diventando una dele più note
della poesia ungarettiana. Il titolo del componimento è fondamentale per comprendere il
senso della poetica ungarettiana: il porto è infatti simbolo del viaggio introspettivo del poeta
alla ricerca del mistero dell’essere umano.

Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde

Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto

Il “porto sepolto” di Ungaretti è quindi un'immagine carica di simbolismo, in cui il dato reale
si fa tramite per comunicare una verità più remota ed universale. L'aggettivo porta infatti con
sé l'idea di un mondo sottostante e precedente: da un lato, esso allude ad un porto di età
tolemaica nella città di Alessandria, antecedente alla fondazione da parte di Alessandro
Magno che colpisce la fantasia del poeta; dall’altro “sepolto” è simbolo di un mistero che ha
in sé “un inesauribile segreto”, paragonabile a quello dell’animo umano, su cui il giovane
Ungaretti riflette e si interroga mentre è nelle trincee della Prima guerra mondiale.
A questo mistero si collega anche una specifica funzione del poeta e della poesia, che
Ungaretti chiarisce nei primi tre versi del Porto sepolto: i versi devono riportare alla luce e
poi disperdere - cioè, diffondere tra gli uomini - ciò che il poeta ha scoperto nel fondo del
porto. La poesia e l'attività del poeta sono il compimento dell'illuminazione iniziale che ha
permesso la scoperta del mistero stesso. La narrazione poetica e la parola rappresentano,
agli occhi dell'autore e di tutta una tradizione letteraria, un mezzo di conoscenza di se stessi
e di comunicazione e fratellanza con gli altri, qualcosa attraverso cui indagare l'ignoto che
vive dentro ciascuno di noi. si traduce per Ungaretti nell’intima esigenza di comunicare e
condividere la “fraternità degli uomini nella sofferenza”

Dal punto di vista metrico, Il porto sepolto è emblematico della produzione poetica
ungarettiana: la lirica è composta da versi liberi e molti brevi, inframmezzati da pause
frequenti. La protagonista assoluta è la parola “nuda” e la punteggiatura è del tutto assente.

parafrasi :

Come in molte altre poesie del Porto sepolto e poi dell’Allegria di naufragi, il testo è
preceduto dall’indicazione di data e luogo di composizione, quasi che le poesie debbano
comporre un diario lirico dell’esperienza di guerra.

2 Vi: il pronome allude proprio al “porto sepolto”, a quel mondo misterioso dove solo il poeta
può giungere.

3 Dietro questa operazione c’è una concezione magico-orfica del ruolo della poesia, che è
intesa come il disvelamento di un segreto che solo l’ispirazione poetica può penetrare. Al
tempo stesso, c’è nel termine anche la percezione che qualcosa della scoperta poetica va
irrimediabilmente perso, come se si trattasse di una “illuminazione” simbolista (si pensi alla
lirica Mattina).

4 questa poesia: dopo il momento dell’illuminazione dei primi tre versi, gli ultimi quattro
affrontano il problema della perdita della rivelazione. Ungaretti, cui resta un “nulla | di
inesauribile segreto”, sottolinea così che ogni discesa nel “porto sepolto” non è mai definitiva
e che il mistero dell’animo umano può essere attinto solo per fugaci apparizioni.

I FIUMI

I fiumi è una della poesie più celebri della raccolta L'allegria di Ungaretti. In questo
componimento il poeta sembra riassumere i temi della raccolta: la fusione con il paesaggio, il
senso della memoria, del ripercorrere la memoria filogenetica, ricapitolando la propria
esistenza e origine. Attraverso le immagini di quattro diversi fiumi Ungaretti ripercorre la sua
storia personale e famigliare: il Serchio, il Nilo, la Senna e infine l'Isonzo, dove la fanteria
italiana venne lanciata all'assalto per dodici volte dal generale Cadorna. La tragedia della
Prima Guerra Mondiale, tema centrale del Porto sepolto e de L'allegria, sembra essere lo
scenario teatrale della vicenda esistenziale del poeta. Ungaretti resiste come un "albero
mutilato", unico sopravvissuto di un paesaggio desolato e distrutto. In questa poesia non
vengono celebrati i sommersi, ma il poeta celebra se stesso, raccontando la sua biografia.

I fiumi quindi si presenta come un'autobiografia scandita dalle immagini dei quattro fiumi,
che sono un'immagine di continuità, e preannunciano la ricostruzione nella continuità della
natura e della storia.

È forse la poesia più celebre e più riassuntiva de Il porto sepolto e de L’Allegria. È un vero
riassunto, nel senso che è come se ricapitolare i temi del libro che poi resteranno i temi di
Ungaretti, il quale cambierà radicalmente la sua cifra espressiva e musicale. Dal punto di
vista tematico, invece, i sensi profondi della sua poesia restano questi: il senso di una fusione
con il paesaggio, il senso della memoria, il senso del ripercorrere una memoria addirittura
filogenetica, cioè che risale il fiume delle generazioni, ricapitolando la memoria della propria
esistenza, addirittura nel fiume del paesaggio da cui provenivano i suoi genitori: il Cerchio
della gente campagnola di Toscana; poi naturalmente il Nilo d’Egitto, Alessandria dove
Ungaretti nasce: è la città del delta del Nilo; la Senna di Parigi: il torbido, il malessere
esistenziale in cui Ungaretti è cresciuto e ha conosciuto la sua vocazione letteraria; infine
l’Isonzo: il fiume tragico, il fiume di sangue del Carso, il fiume su cui per dodici terribili
battaglie i fanti italiani furono lanciati all’assalto del sadico generale Cadorna contro le
mitragliatrici austriache.

Il compito del poeta per Ungaretti è di scrivere una bella biografia e i fiumi, nella loro brevità
che è tipica anche della poesia di Ungaretti, sono una vera e propria autobiografia scandita
attraverso le immagini dei fiumi. L’immagine del fiume è un’immagine topica della
tradizione letteraria, in particolare romantica, ancora una volta simbolista che Ungaretti
sicuramente conosceva, ma è anche un’immagine naturale di continuità.

métrica :

Questa poesia appartiene a “L’Allegria” e si compone di quindici strofe di vario numero di


versi di diversa lunghezza, senza rima.
La lirica si apre e si chiude con la descrizione di un paesaggio notturno collocato, dal punto di
vista temporale, nel presente.
La prima strofa contiene tre elementi paesaggistici: l’albero mutilato, la dolina carsica e la
luna. L’aggettivo mutilato umanizza l’albero e lo riconduce ai corpi di tanti uomini colpiti
dalle granate. Le doline sono cavità tipiche del terreno carsico, dove si rifugiavano i soldati
nella prima guerra mondiale, usandole come trincee. In una di esse si trova appunto il poeta.
In questa dolina c’è una tristezza solitaria di un circo senza spettatori, quando le luci festose
si sono spente e le cose rivelano il loro aspetto. Nelle urne, vasi di cristallo, vengono
conservate le reliquie, i resti, ricordi dei santi e dei martiri, e le cose preziose in genere. Come
una reliquia si sente il poeta nelle dolci acque dell’Isonzo che, scorrendo, lo lisciava come se
fosse una pietra del suo greto. Dopo essersi alzato, il poeta cammina adagio, faticosamente
come un acrobata, cioè un ginnasta del circo a causa del fondo pieno di sassi. Dopo aver fatto
il bagno, raggiunge gli abiti impregnati di sudiciume fisico e morale della guerra e si siede
accanto come un arabo al sole.

VEGLIA
Questa poesia di Giuseppe Ungaretti fa parte della sezione intitolata Il porto sepolto
all'interno della raccolta L'allegria nell'edizione del 1931. La data in cui il poeta l'ha
composta ci indica immediatamente che anch'essa fa parte delle “poesie di guerra” che
Ungaretti scrisse mentre si trovava soldato al fronte in occasione della prima guerra
mondiale. In questi brevi versi scopriamo tutta l'intensità di quel sentimento di allegria che
l'uomo prova nel momento in cui sfugge la morte e che dà il titolo all'intera opera. Sdraiato
accanto a un commilitone morto il poeta avverte più forte che mai la presenza della morte
nella vita umana, ma reagisce scrivendo “lettere piene d'amore” e celebrando il proprio
attaccamento alla vita.
Metro: versi liberi, intessuti di richiami fonici e da ricorrenti rime o assonanze non regolate.
Evidente anche l’insistenza su alcuni suoni forti e duri, come quello della della dentale - t - o
della - r - (“intera nottata”, v.1; “buttato”, v. 2; “massacrato”, v. 4; “penetrata”, v. 10;
“attaccato”, v. 16).

parafrasi :

L’indicazione in calce al componimento di data e luogo di stesura di ogni pezzo del Porto
sepolto rende la raccolta ungarettiana una sorta di diario lirico della guerra, in cui trasporre, a
brandelli e per immagini strappate alla massacrante vita del fronte, tutto l’orrore del conflitto
e tutto l’attaccamento alla vita che ne consegue.
2 massacrato: l’uso costante di participi passati dà forma alla struttura sintattica del testo,
secondo una tecnica (applicata anche in altre poesie quali Fratelli e Sono una creatura) che
Ungaretti recupera dal Futurismo marinettiano.
3 I frequenti “a capo” che isolano le parole rendono la lettura del testo frammentata e tragica,
isolando i termini-chiave della poesia: “massacrato” (v. 4), “digrignata” (v. 6), “penetrata” (v.
10), tutti participi passati che indicano il passaggio analogico dall’orrore della guerra alla
riflessione intima del poeta (“nel mio silenzio”, v. 11).
4 la congestione: emerge qui l’attenta ricerca ungarettiana sul lessico (e sui connessi effetti
ritmico-sonori), per comunicare tutta la drammaticità della guerra: “buttato” (v. 2),
“massacrato” (v. 4), “digrignata” (v. 6), “congestione” (v. 8).
5 lettere: queste lettere sono metaforicamente indirizzate a tutta l’umanità, con la quale il
poeta, proprio in un momento di estrema difficoltà, riscopre un profondo senso di fratellanza.
6 La poesia ungarettiana, soprattutto quella della fase del Porto sepolto, si gioca anche su
studiati effetti grafici; in questo caso lo spazio bianco che isola i tre versi finali contribuisce a
sottolinearne meglio il messaggio, che suona quasi come una sentenza assoluta: anche
nell’orrore della guerra, non viene meno l’amore (e l’attaccamento) a ciò che resta della vita.

SOLDATI
è inclusa nella raccolta Allegria di naufragi (1919), per poi ritornare anche nelle edizioni
della Allegria (nella sezione Girovago). Questa poesia è formata da un'unica e pregnante
similitudine, che equipara i soldati alle foglie autunnali, simboleggiando la precarietà
dell’esistenza umana durante la guerra.

ritroviamo alcune caratteristiche fondamentali della poetica e della poesia ungarettiana.


Innanzitutto, c’è il senso della tragedia esistenziale del primo conflitto mondiale: i versi sono
scritti in trincea presso il bosco di Courton, vicino a Reims. A questo sentimento si associa
l’estrema brevità del testo, che sembra quasi una fulminante scoperta della condizione
assurda in cui versano i “soldati”, a cui si può facilmente sostituire il termine “uomini”.
Soldati infatti può essere letta anche come una riflessione, breve ma assai incisiva,
sull'assurdità dell'intera condizione umana e sulla sua intrinseca finitudine, che non può in
alcun modo sfuggire al dolore e alla morte.

La similitudine di Soldati isola nei due versi centrali le essenziali coordinate


spazio-temporali (“d’autunno | sugli alberi”), mentre colloca nell’ultimo verso il termine di
paragone (“le foglie”), con un uso strategico dell’enjambement per scandire il discorso.
Il paragone tra esseri umani e foglie ha del resto una ricca tradizione letteraria, che arrichisce
i quattro versi di Soldati di echi e rimandi intertestuali che vanno dalla Bibbia all’Iliade
omerica, dal sesto libro dell’Eneide 1 di Virgilio fino ad un passo dell’Inferno dantesco,
quando, nel terzo canto, Dante descrive come le anime dannate salgano sulla barca del
nocchiero Caronte 2.

Si sta come 3
d'autunno
sugli alberi
le foglie

1 Virgilio, Eneide, VI, vv. 309-312: “quam multa in silvis autumni frigore primo | lapsa
cadunt folia aut ad terram gurgite ab alto | quam multae glomerantur aves, ubi frigidus annus |
trans pontum fugat et terris immittit apricis”; traduzione: “quante foglie, al primo freddo
d’autunno, cadono scosse nei boschi o quanti uccelli dal profondo mare si affollano sulla
terra quando la stagione fredda li fa fuggire attraverso l’oceano e li fam migrare nelle regioni
calde”.
2 Dante, Inferno, III, vv. 109-117: “Caron dimonio, con occhi di bragia | loro accennando,
tutte le raccoglie; | batte col remo qualunque s'adagia. || Come d’autunno si levan le foglie |
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo | vede a la terra tutte le sue spoglie, || similemente il
mal seme d’Adamo | gittansi di quel lito ad una ad una, | per cenni come augel per suo
richiamo”.
3 Nella prima versione del testo - come sappiamo, Ungaretti lavora incessantemente per
rielaborare i propri testi nelle diverse edizioni dell’Allegria - il “come” si trovava al v. 2.

SONO UNA CREATURA


Questa poesia è strettamente collegata all’esperienza della prima guerra mondiale vissuta da
Ungaretti.
Il poeta paragona il suo pianto ad una pietra del monte San Michele e usa aggettivi che
esprimono il senso dell’indifferenza nei confronti della morte attraverso una climax
discendente (fredda, dura, prosciugata, refrattaria, totalmente disanimata).
Ungaretti è talmente abituato ad un’immagine tanto pessimista e toccata con mano, che non
riesce neppure a provare dolore. Il suo pianto è perciò un sentimento interiore, segreto, senza
lacrime, duro proprio come la pietra carsica.

E' qui presente, inoltre, il tema della memoria, della memoria degli scomparsi e dei sommersi
dalla guerra o, come per l'amico Moammed Sceab, dalla crisi identitaria. La poesia si
conclude con quello che il poeta indica come proverbio "la morte si sconta vivendo".
Espediente tipico della poesia di Ungaretti, i proverbi ricorrono in diversi componimenti, ma
sempre oscuri ed ermetici. In questo caso sembra riferirsi al rimpianto e al senso di colpa dei
vivi nei confronti dei morti: la colpa di essere rimasti in vita al posto dei sommersi che non ce
l'hanno fatta.

métrica :
Sono una creatura presenta uno schema metrico molto libero, con quattordici versi suddivisi
in un’ottava e due terzine, con totale assenze di rime. Tra le prime due strofe c'è un
enjambement.
In tutta la poesia sono presenti solamente tre forme verbali: due al presente, per dare un’idea
di semplicità ed universalità del racconto, e una al gerundio.
I periodi sono distinguibili solo grazie alla divisione tramite i versi. La punteggiatura,
tipicamente ermetica, è totalmente assente.
Sono presenti sia nomi concreti (pietra) che astratti (morte, vita) messi a paragone fra di loro.
La poesia è caratterizzata da un grande numero di aggettivi messi in risalto da una climax
ascendente, di cui l’ultimo termine è ancor meglio evidenziata dall’avverbio totalmente.

SAN MARTINO DEL CARSO

La poesia San Martino del Carso va considerata all'interno dell'esperienza della prima guerra
mondiale, che è stata primaria fonte di ispirazione per Ungaretti, tanto da costituire uno dei
principali filoni tematici della sua poesia. La prima versione di questo componimento risale
infatti al 1916, e il testo compare quindi nella raccoltaIl porto sepolto che è il nucleo genetico
della Allegria di naufragi del 1919.

In questa lirica il poeta sceglie nuovamente di esprimere tutta la disperazione e l'orrore


dell'esperienza al fronte attraverso un confronto tra l'uomo e la natura, mettendo in relazione
la propria tragedia, scandita dalla morte di compagni e amici, alla desolazione di un paese
devastato dai combattimenti, che è appunto San Martino del Carso.

La poesia può essere divisa in due momenti: il primo, coincidente con le due quartine iniziali
(vv. 1-8) costituisce la pars destruens della poesia ungarettiana. L’anafora dell’espressione
“non è rimasto” serve a sottolineare la distruzione fisica ed esistenziale della guerra, che non
lascia che miseri resti sia delle “case” (v. 1) che degli amici (vv. 5-6: “Di tanti | che mi
corrispondevano”) del poeta. A questo momento - com’è tipico del vitalismo della poetica di
Ungaretti nell’Allegria - risponde però il movimento dei due distici conclusivi (vv. 9-12): si
tratta di uno scatto di umanità, attraverso cui Ungaretti riafferma, attraverso la metafora del
“cuore-paese”, che alla violenza della guerra si contrappone sempre il ricordo (le croci nel
“cuore” al v. 9) di chi non c’è più. L’effetto finale della revisione della poesia (che
nell’edizione originale era di venti versi contro i dodici della versione definitiva) è quello di
rendere più essenziale ed icastico il testo, laddove la prima versione di San Martino del Carso
rappresentava la scena di devastazione in maniera più analitica e realistica, universalizzando
il dolore del poeta.

lo que luego le preguntan por su obra el dice que es una biografia que la primera se centra
en la experiences belica y luego se centra mas en lo personal , hace un intenso labor de
describir las cosas belicas .

VALLONCELLO DI CIMA QUATTRO

"Valloncello di Cima Quattro" come un riferimento alla poesia di Giuseppe Ungaretti intitolata

"Veglia", in cui appare il verso "Valloncello di Cima Quattro", una delle immagini evocative

della sua opera. Questa poesia è stata scritta durante la Prima Guerra Mondiale e riflette le

esperienze e le emozioni dei soldati sul campo di battaglia.

L'analisi di "Valloncello di Cima Quattro" in questa poesia potrebbe includere:

1. Connotazioni geografiche e storiche: "Cima Quattro" potrebbe fare riferimento a una


località specifica o a una posizione geografica sul fronte italiano durante la guerra.
"Valloncello" suggerisce un luogo di dimensioni ridotte, forse un luogo appartato o
nascosto. Queste connotazioni geografiche si intrecciano con l'esperienza della
guerra e la percezione dei soldati sul campo di battaglia.
2. Simbolismo della guerra: "Veglia" è piena di immagini e simbolismo legati alla guerra,
alla solitudine e alla sofferenza umana. "Valloncello di Cima Quattro" potrebbe
rappresentare uno degli innumerevoli luoghi di conflitto e morte durante la guerra,
connotando la desolazione e la tragedia che i soldati hanno vissuto.
3. Isolamento e disperazione: La descrizione di un "valloncello" in una regione
montuosa come Cima Quattro potrebbe suggerire un senso di isolamento e
alienazione. Questo potrebbe riflettere l'esperienza dei soldati che si trovavano in
luoghi remoti e pericolosi, circondati dalla morte e dalla distruzione.
4. Connessione con la natura: Nonostante la devastazione della guerra, Ungaretti
spesso incorporava elementi della natura nelle sue poesie. Il contrasto tra la bellezza
della natura e l'orrore della guerra potrebbe essere presente anche in questa
immagine di "Valloncello di Cima Quattro", aggiungendo un ulteriore strato di
significato alla poesia.
In generale, "Valloncello di Cima Quattro" è una delle molte immagini potenti presenti nella

poesia di Ungaretti, che contribuisce alla sua rappresentazione della guerra e della

condizione umana.

Valloncello di cima quattro: indicazione militare, sono posti che trovavano questi personaggi

nella guerra.

Diventa poeta perché è un ragazzino durante l’epoca della guerra. È un personaggio diverso

perché la sua poesia è vitalista per il futuro, ha un’altra visione del mondo, grazie alla

partecipazione nella guerra che lo rafforza.

MONTALE
Montale es un poeta mu importante del novecento italiano , tiene una producción bastante
extensa .1996 y nace en genova donde nace tambien otro grande escritor que es italo
calvino . Montale tiene una vida y adolescente , el no ira a la escuela y se formara da
autodidacta , sus estudios principales son musicales , estudió canto . Su carrera musical se
interrumpe de abrupt no conduce solo estudios musicales sino tambien de filosofia , su
bibliotec esta llena de libros de filosofia al final no diventa ni musicista , ni filolologo sino
poeta , su poesía fue estudiada porque al ser cantante su poesia era muy musical y tenia
bastante melodía y ritmo como las canciones . El tambien como los expresionista esta entre
do guerra mundiales . 1925 ossi di seppia que es de montale y cambia radicalmente el
curso de la poesía italiano . Se toma la molestia de superar al resto . La bufera e alto 1957
diventa una gran alegoría de la segunda guerra mundial y tiene todo qe ver con que paso
ahi dentro 1978 satura 1975 se gana un nobel Ossi di sepia ; la obra que mas rapido hace
porque el comenzó a escribirla en el 23, mete este objeto insignificante pero a la vez que
perdura , es como una declaración filosófica de lo que perdura y quiere hacer referencia a
las víctimas de la guerra , tiene rimas aspire e chocce ( que son asperas y chocan )
la casa dei doganieri

OSSI DI SAPPIA

Ossi di seppia è la prima raccolta di Eugenio Montale. L’opera vede una prima pubblicazione
nel 1925 per mano dell’amico editore Gobetti, ed è successivamente rieditata nel 1928 con
l’aggiunta di alcune poesie, che non mitigano il tono esistenzialista e filosoficamente
"negativo" della prima edizione. Il titolo scelto dal poeta è espressione del sentimento di
emarginazione ed aridità nel rapporto con la realtà che caratterizza la prima parte della sua
opera poetica. Il rapporto dell’uomo con la natura non è più simbiotico; Montale rifiuta la
tradizione a lui antecedente (quella di discendenza romantico-decadente, e ben rappresentata
da Gabriele D'Annunzio) della fusione tra l'io poetico e il mondo naturale, così che il
paesaggio ligure diventa nudo e desolato come un osso di seppia. Il sole è una presenza
costante che secca tutto ciò che raggiunge coi suoi raggi, e l'aspro paesaggio naturale ed
animale che l'occhio del poeta descrive è un trasparente simbolo di un suo profondo ed
inestirpabile disagio esistenziale.

Ossi di seppia esprime l’impossibilità quasi filosofica da parte di Montale di scrivere di


argomenti e valori ‘alti’, e la conseguente rinuncia alla prospettiva di diventare un poeta vate,
come D’Annunzio prima di lui. Non si riesce più ad utilizzare la poesia per spiegare
realmente la vita e il rapporto dell’uomo con la natura: la realtà stessa appare incomprensibile
e inesprimibile, ed il poeta non può che mettere in evidenza questa percezione negativa del
suo stare al mondo, scegliendo volutamente un paesaggio aspro e scabro, e un linguaggio
poetico che si modella su questa profonda inquietudine personale. Solo di tanto in tanto
intravediamo qualche guizzo di speranza, in cui sembra che, per un breve momento, l’uomo
possa scoprire la verità ultima che si cela dietro le apparenze del mondo. Questi toni
pessimistici e il connesso "male di vivere" montaliano si riflettono nello stile prevalente delle
poesie di Ossi di seppia, scritte all'insegna di un linguaggio antilirico e quotidiano, che
privilegia un lessico non aulico, una sintassi tendenzialmente prosastica resa vivida da
un'accurata ricerca fonico-simbolica sui termini prevalentemente usati. Il recupero e la
profonda rielaborazione formale e contenutistica della tradizione letteraria italiana fanno sì
che la prima raccolta montaliana - come dimostrano emblematicamente alcuni testi, tra cui I
limoni, Non chiederci la parola, Meriggiare pallido e assorto - sia un punto fermo tra i più
noti e penetranti della nostra poesia novecentesca.

POSTCOLONIALISMO ITALIANO

Il postcolonialismo italiano nella poesia è un campo vasto e complesso che riflette sulle
conseguenze della colonizzazione italiana e sulle questioni di identità, memoria e potere. La
colonizzazione italiana ha avuto luogo principalmente in Africa, in particolare in Etiopia,
Libia e Somalia, e ha lasciato un'impronta duratura nella cultura e nella società italiana.
Le opere poetiche postcoloniali italiane spesso esplorano le esperienze dei colonizzati e dei
colonizzatori, cercando di dare voce ai margini e di sfidare le narrazioni dominanti sulla
colonizzazione. Questa poesia può essere caratterizzata da una sensibilità interculturale, che
cerca di comprendere e rappresentare le molteplici prospettive coinvolte nel processo
coloniale.
Alcuni poeti italiani postcoloniali importanti includono:
1. Franco Loi: La sua poesia spesso riflette sulle esperienze della migrazione e
dell'identità culturale, con particolare attenzione alle questioni della diaspora italiana e
delle comunità migranti.
2. Alda Merini: Sebbene non sia spesso considerata una poetessa postcoloniale nel senso
tradizionale, la sua opera spesso esplora le esperienze marginalizzate e emarginate,
offrendo una prospettiva unica sulla società italiana contemporanea.
3. Vittorio Sereni: Il suo lavoro riflette sulle esperienze della guerra e della
colonizzazione, esplorando le tensioni tra il desiderio di libertà e la realtà della
dominazione politica.
4. Pier Paolo Pasolini: Anche se è meglio conosciuto come regista e scrittore, Pasolini ha
anche scritto poesie che affrontano le questioni della colonizzazione e dell'identità
italiana.
5. Mariangela Gualtieri: Poetessa contemporanea, il cui lavoro esplora spesso temi di
memoria, identità e marginalità, riflettendo sulle complesse eredità della storia
coloniale italiana.
In generale, la poesia postcoloniale italiana offre un'opportunità unica di esplorare le
molteplici sfaccettature della storia coloniale italiana e le sue conseguenze durature sulla
cultura e sulla società contemporanea.

Vittorio Sereni è stato uno dei poeti più significativi e influenti del Novecento italiano. Nato
nel 1913 a Luino, in provincia di Varese, e morto nel 1983 a Firenze, Sereni è noto per la sua
poesia di grande profondità emotiva e riflessiva, che spesso esplora temi come la ricerca del
significato, la memoria, la storia e l'identità.
Una delle opere più celebri di Sereni è "Gli strumenti umani" (1949), la sua prima raccolta
poetica, che è stata accolta con grande apprezzamento critico. In questa raccolta, Sereni
esplora le esperienze e le ansie della generazione che ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale,
riflettendo sul senso di disorientamento e sulla ricerca di un nuovo equilibrio nella società
post-bellica.
Un altro lavoro importante è "Il male minore" (1963), una raccolta di poesie che affronta temi
politici e sociali, tra cui la guerra, la violenza e l'alienazione. In quest'opera, Sereni esprime la
sua visione critica della società contemporanea e riflette sulle conseguenze della modernità e
del progresso.
Tra le altre opere significative di Sereni ci sono "La frontiera" (1976), in cui esplora il tema
dell'identità nazionale e della storia italiana, e "Lettere da Capri" (1953), una raccolta di
poesie ispirate alla sua esperienza di esilio sull'isola di Capri durante il periodo fascista.
Oltre alla poesia, Sereni è stato anche un importante critico letterario, traduttore e giornalista.
Ha contribuito significativamente alla cultura italiana del XX secolo attraverso il suo
impegno intellettuale e la sua produzione letteraria, che continua ad essere studiata e
apprezzata ancora oggi.

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