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Lorenzo De' Medici

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Galileo,

lo scienziato contro la Chiesa

Le sue osservazioni astronomiche compiute grazie al telescopio


rivoluzionarono la concezione dell’universo, sconfessando le Sacre
scritture, ma la reazione dell’Inquisizione non si fece attendere…

Galileo (Pisa 1564-Arcetri 1642) fu fisico,


astronomo, matematico, filosofo. Un uomo dai
molteplici Galileo Galilei, figura dal poliedrico
talenti, godette di notevole prestigio e
autorevolezza per gran parte della propria vita. Fu
uno scienziato militante, consapevole della
necessità di riformare il metodo d’indagine e
studio, basandolo sull’osservazione e
l’esperimento opponenedosi alla tradizione
accademica fondata sul principio di autorità (ipse
dixit “lui stesso l’ha detto”). Fin dai primi anni
della giovinezza, Galileo si dedicò alla
meccanica, disciplina che studia il moto e
l’equilibrio dei corpi, tornata prepotentemente in
auge alla fine del XVI secolo. Durante i suoi anni a
Pisa, prima come studente e poi come professore
di matematica presso l’ateneo della città, si accostò
in modo nuovo a questioni antiche, dimostrando il
principio che la velocità di caduta dei gravi non è in
relazione con il loro peso. Eppure già allora iniziò a sollevare polemiche. Così, nel 1592,
all’età di 28 anni, si trasferì all’Università di Padova, dove avrebbe trovato un ambiente
particolarmente stimolante, ideale per portare avanti le proprie ricerche, nel 1592 il Senato
di Venezia approvò la nomina di Galileo all’Università di Padova con 149 voti favorevoli e 8
contrari.
In ogni caso, fu solo nel 1610 che lo studioso assurse a fama e rinomanza internazionale, in
seguito alla pubblicazione del Sidereus Nuncius, un “annuncio astronomico” con cui
proclamava le clamorosi scoperte da lui compiute scrutando il cielo con un telescopio. Si
trattava di un’opera rivoluzionaria che confermava la teoria eliocentrica di Copernico e
sanciva il decisivo superamento dell’antica visione aristotelico-tolemaica del cosmo. Con le
sue osservazioni scardinò il modello geocentrico dell’universo, una concezione rimasta
immutata per quasi venti secoli in quanto legate, per di più, intimamente legata
all’interpretazione delle Sacre scritture e delle dottrine cristiane.
Il Telescopio
Quando nell’estate del 1609 Galileo seppe che
alcuni occhialai olandesi avevano realizzato un
congegno ottico «per mezzo del quale gli oggetti,
benché situati lontano dall’occhio di chi
guardava, apparivano distintamente, come
fossero vicini», intuì subito l’importanza
dell’invenzione e cercò di perfezionarla.
Nell’autunno avrebbe rivolto il nuovo dispositivo
verso il cielo, trasformandolo da semplice
curiosità ottica a strumento di inestimabile valore
per l’osservazione astronomica.
Benché secondo alcuni storici il primo a puntare
un telescopio sulla luna sarebbe stato il
matematico e astronomo inglese Thomas
Harriot, nell’agosto del 1609, è certo che fu
Galileo a sfruttarne appieno le potenzialità
scientifiche. Dopo una serie di esperimenti, egli arrivò a fabbricare «uno strumento
eccellente, così che gli oggetti con esso osservati apparivano circa mille volte maggiori e più
di trenta volte più vicini di quanto apparissero alla visione naturale». Grazie al suo aiuto, gli
astri conosciuti svelarono caratteristiche inattese e nuovi corpi celesti si aggiunsero a quelli
del vecchio cosmo tolemaico.

Quegli stessi astri, adorati come divinità da antiche civiltà quali sumeri, assiri ed egizi, e
ritenuti dai tempi di Aristotele perfettamente sferici e levigati, apparivano diversi agli occhi
di Galileo. Lo scienziato appurò che la superficie lunare era segnata in realtà da avvallamenti
e montuosità; il nostro satellite si mostrava dunque per questo aspetto simile alla Terra. Si
accorse, inoltre, che Venere presentava fasi come la Luna e ne dedusse perciò che entrambi
gli oggetti celesti fossero illuminati dal Sole. Si meravigliò poi scorgendo gli anelli di Saturno,
che per via della limitata potenza del suo telescopio gli apparivano come strane
protuberanze («orecchie») ai lati del pianeta. In più, rilevò che attorno a Giove ruotavano
ben quattro satelliti, scoperta che metteva decisamente in crisi la teoria geocentrica, secondo
cui ogni corpo celeste orbitava intorno alla Terra. Lo studioso poté constatare, infine, che le
stelle erano infinitamente più numerose di quanto fino allora si fosse pensato.
«Così infinitamente rendo grazie a Dio che si sia compiaciuto di far me solo primo
osservatore di cosa ammiranda e tenuta a tutti i secoli occulta».
Così, il 30 gennaio 1610, Galileo annunciava la scoperta dei satelliti di Giove, i primi corpi
celesti a essere aggiunti al sistema solare dai tempi delle osservazioni degli antichi Greci.
Galileo pubblicò i risultati delle sue osservazioni nel Sidereus Nuncius e una copia dell’opera
giunse fino alla corte imperiale di Praga. Qui ottenne l’approvazione dei più noti astronomi
del tempo: non solo da parte di Keplero, massimo esponente della teoria copernicana, ma
persino di Cristoforo Clavio, potente esponente della Compagnia di Gesù.
Apostolo della scienza moderna
Accanto al successo ed all’ammirazione, il Sidereus
Nuncius suscitò però feroci polemiche e le
straordinarie scoperte che vi erano descritte furono
da molti attribuite ai difetti delle lenti utilizzate dallo
scienziato. Del resto, esse aprivano prospettive
interamente nuove poiché accettare le rivelazioni di
Galileo significava abbracciare l’ipotesi di Copernico,
che per primo aveva posto il Sole immobile al centro
dell’universo e la Terra e tutti gli altri pianeti in
rotazione intorno all’astro. In realtà, gli studiosi
dell’epoca non erano tutti sostenitori intransigenti
della teoria geocentrica tradizionale, formulata
dall’astronomo alessandrino Claudio Tolomeo nel II
secolo d.C. e accreditata come vera dalla Chiesa
cattolica. Molti astronomi gesuiti propendevano per
il compromesso astronomico proposto dal danese
Tycho Brahe, autore di un sistema planetario che
mediava tra Tolomeo e Copernico: intorno alla Terra,
immobile e centrale, ruotano solo la Luna e il Sole, gli
altri cinque pianeti seguono orbite circolari intorno
al Sole. Così, inizialmente i gesuiti dimostrarono
grande e sincero interesse per le teorie di Galileo, in
quanto non si erano posti il problema delle conseguenze teologiche delle sue asserzioni
scientifiche. Egli difendeva con vigore la validità della posizione copernicana senza vedervi
alcuna contraddizione con la fede cattolica.
Poco dopo la pubblicazione del suo libro, lo scienziato lasciò Padova e si recò a
Firenze, presso la corte del granduca di Toscana Cosimo II, che lo nominò suo matematico
e filosofo. Quando visitò Roma nella primavera del 1611 per presentare il telescopio, fu
accolto benevolmente sia da papa Paolo V e dai gesuiti del Collegio Romano, sia dai membri
dell’Accademia dei Lincei, la più antica accademia scientifica del mondo, di cui entrò a far
parte. Egli confidava nei buoni rapporti che lo legavano a influenti prelati quali i cardinali
Roberto Bellarmino e Maffeo Barberini, colto e raffinato umanista, interessato alle nuove
idee scientifiche che si andavano diffondendo nell’Italia del XVII secolo. Presto però il clima
intorno a lui sarebbe cambiato.
Tra il 1610 e il 1630, Galileo avrebbe continuato a perlustrare il cielo con il suo telescopio.
Quasi contemporaneamente all’astronomo e teologo olandese David Fabricius e al gesuita
tedesco Christoph Scheiner scoprì le macchie solari, che mettevano in crisi la concezione del
Sole come astro perfetto e immutabile. Nel 1616 divulgò un’altra opera, “Discorso sul flusso
e riflusso del mare”, in cui esaminava le teorie tolemaica e copernicana alla luce del
fenomeno delle maree, e nel 1619 diede alle stampe il Discorso sulle comete, teso a confutare
le tesi del gesuita Orazio Grassi in tema astronomico.
Il primo ammonimento
Nel frattempo Galileo andava sostenendo sempre
più apertamente le proprie idee copernicane e nel
dicembre 1615 inviò una lunga lettera alla
granduchessa di Toscana Cristina di Lorena. Si
tratta del suo pensiero più approfondito sui rapporti
tra scienza e Sacre scritture. Ciò gli valse un primo
scontro con l’Inquisizione. Nel febbraio 1616 una
commissione di undici teologi esaminò i suoi scritti
e «stolta e assurda in filosofia e formalmente
eretica» la proposizione secondo cui il Sole è il
centro immobile del mondo, e altrettanto «erronea
rispetto alla fede» la tesi del moto terrestre. Poco
dopo Galileo fu convocato dal cardinale Bellarmino,
che gli impose con formale ammonizione di
astenersi dal professare la dottrina copernicana. Le
nuove scoperte di Galileo mettevano in crisi la
tradizionale visione del mondo. Tuttavia, quando
nel 1623 il cardinale Maffeo Barberini, vecchio
amico e ammiratore dello scienziato, salì al soglio
pontificio con il nome di Urbano VIII, Galileo si sentì di nuovo al sicuro. Così pubblicò Il
saggiatore, in cui delineava una difesa del proprio operato e l’apologia della ricerca
scientifica, e nel 1632 si azzardò a dare alle stampe la sua opera più celebre: il Dialogo sopra
i due massimi sistemi del mondo.
L’ultima battaglia
Scritto sotto forma di dialogo fra tre personaggi, il Dialogo non difendeva direttamente il
programma copernicano. Naturalmente, ciò che
emerge con maggiore chiarezza nel trattato è la
dimostrazione dell’inconsistenza scientifica
dell’impostazione aristotelica. Galileo però aveva
commesso un errore illudendosi che la Curia
romana e lo stesso papa avrebbero potuto tollerare
un simile attacco al sapere tradizionale.
A pochi mesi dalla pubblicazione l’opera venne
sequestrata e Galileo, richiamato a Roma, fu
sottoposto a processo dal Tribunale del
Sant’Uffizio. Giudicato reo di aver trasgredito agli
ordini della Chiesa, il 22 giugno 1633 fu costretto a
pronunciare una pubblica abiura inginocchiato davanti ai cardinali inquisitori. Il padre della
scienza moderna avrebbe trascorso gli ultimi anni di vita confinato nella sua villa di
Arcetri, dove malgrado le difficili condizioni di salute non abbandonò mai gli amati studi.

Bibliografia: storicang.it
Foto: Un Galileo è ritratto da Justus Sustermans nel 1636, tre anni dopo la sua condanna da
parte dell’Inquisizione. National Maritime Museum, Londra/ Scala, Firenze.
Foto: Il telescopio di Galileo: Scala, Firenze.
Foto: Galileo Galilei spiega le sue nuove teorie all’Università di Padova. Dipinto di Felix
Parra, 1873. Museo Nacional de Arte. Città del Messico. Scala, Firenze.
Foto: di Matteo Carassale L’Osservatorio Astronomico di Padova.
Foto: Frontespizio del 'Sidereus Nuncius' di Galileo. 1610. Bibliothèque Nationale, Parigi/
Bridgeman

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