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La questione omerica

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LA QUESTIONE OMERICA

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Figura: ritratto convenzionale di Omero, copia romana (II sec. d.C.) di un originale greco (II sec. a.C.), conservata al
Museo del Louvre di Parigi.

Si ripercorrono in questa scheda le tappe storiche essenziali della questione omerica, ossia dei
problemi relativi alla genesi e alla trasmissione dei poemi omerici:

L’ANTICHITÀ

Riguardo ai poemi omerici esistevano dibattiti e dispute già nell’antichità. A partire dal V secolo
a.C. si sviluppò l’esegesi allegorica di Omero, allo scopo di spiegare i passi che secondo
un’interpretazione letterale risultavano assurdi o inappropriati. Le diverse congetture sulle
contraddizioni presenti nei poemi, invece, opposero le due scuole degli ἐνστατικοί e dei λυτικοί,
rispettivamente gli “obiettori” e i “difensori” di Omero.
La tradizione vulgata, secondo la quale l’Iliade e l’Odissea sono opera di un poeta chiamato
Omero1, deriva da Aristotele ed è stata continuata dai filologi alessandrini. Risale invece a Xenone
ed Ellanico (III sec. a.C.), i cosiddetti χωρίζοντες (“separatori”), la teoria per cui i poemi sono stati
scritti da due poeti diversi. Questa ipotesi fu ripresa, anche se in un modo diverso, dall’anonimo
autore del trattato Del Sublime, secondo il quale Omero avrebbe scritto l’Iliade in gioventù e
l’Odissea durante la vecchiaia. La teoria dei “separatori” è avvalorata dalle differenze nelle civiltà2
rappresentate dai poemi e nella tecnica narrativa. Per esempio, la struttura dell’Odissea è più
raffinata, perché la narrazione non procede in modo lineare, ma è presente un lungo flashback – il

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Di Omero gli antichi non avevano notizie precise. Secondo la tradizione, egli era un cantore cieco che vagava da una
città all’altra per recitare i propri poemi. Non sappiamo dove nacque, ma è probabile che fosse originario delle colonie
greche dell’Asia Minore, dove fiorì la prima cultura letteraria greca.
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Per esempio, nell’Iliade il potere monarchico è saldo, nell’Odissea invece rischia di disgregarsi per il contrasto con
l’aristocrazia.
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racconto che Odisseo fa delle proprie avventure quando è ospitato alla reggia dei Feaci. Inoltre,
nell’Odissea le similitudini sono molto meno numerose (39 contro 182) e ampie, ma più coerenti
con lo sviluppo tematico del racconto, contribuendo a un andamento omogeneo e unitario della
narrazione.

La posizione dei “separatori” è oggi condivisa dalla scuola neo–unitaria. Abbandonato il rigoroso
unitarismo dei loro predecessori, questi studiosi sostengono due individualità poetiche diverse,
usando il nome di Omero per l’Iliade e chiamando il secondo autore “il poeta dell’Odissea” o
Deuteromero. I neo–unitari insistono da un lato sulle differenze tematiche, compositive, linguistiche
e stilistiche tra le due opere, dall’altro sulle differenze di mentalità e di comportamento umano3.

IL MEDIOEVO

Dopo la fase antica del dibattito, i poemi omerici entrano nel cono d’ombra del Medioevo bizantino.
In Occidente la conoscenza del greco si perde e il ricordo dei poemi omerici è mantenuto vivo da un
compendio latino (“Omero latino”). La riscoperta del testo greco avviene solo nel Rinascimento,
con l’arrivo in Occidente dei dotti bizantini.

L’ETÀ MODERNA

Il primo studioso a impostare la questione su basi scientifiche, inaugurando la fase moderna della
questione omerica, è stato F. A. Wolf con i suoi Prolegomena ad Homerum (1795). Le idee dello
studioso possono essere riassunte così: in principio esistevano brevi canti separati, di età e autori
diversi, che i rapsodi conoscevano a memoria e cantavano durante le feste. Tali canti sarebbero stati
raccolti in una redazione scritta all’epoca di Pisistrato, nell’Atene del VI secolo.
Per molti secoli la questione omerica è stata legata alla disputa tra due correnti, quella degli unitari e
quella degli analitici o pluralisti. In breve, secondo i primi i poemi omerici sono il frutto di un poeta
unico e di un progetto organico e “creativo”. Secondo gli analitici, invece, l’unità è solo il punto
d’inizio o il punto d’arrivo di un lungo processo compositivo che avrebbe coinvolto tempi e poeti
diversi: si spiegherebbero in questo modo le numerose contraddizioni presenti nei poemi 4.
All’interno della corrente analitica si distinguono diverse posizioni, qui sommariamente riassunte:

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Per esempio, sono diverse le qualità eroiche valorizzate nei due poemi: il coraggio e la forza nell’Iliade, la prudenza e
l’astuzia nell’Odissea; nell’Odissea, inoltre, appaiono concetti religiosi e morali nuovi rispetto all’Iliade: Zeus è un dio
più giusto e l’uomo è più responsabile delle proprie azioni.
4
Per esempio, nel libro V dell’Iliade (v. 576) si incontra Pilemene, un troiano ucciso da Menelao, mentre nel libro XIII
(v. 658) lo stesso personaggio è vivo e piange la morte del figlio; nel libro XXIV Iride promette a Priamo l’aiuto di
Ermes, ma il successivo colloquio con la moglie e l’incontro con il dio si svolgono come se il re non avesse ricevuto il
messaggio della dea. Alcune incongruenze possono essere spiegate come distrazioni di un unico autore o invocando
l’”irrazionalità” della poesia, ma è difficile rendere conto di estesi passi diversi per ispirazione, gusti, toni e concetti,
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- “teoria dell’allargamento o del nucleo primitivo” (cfr. i lavori di G. Hermann sull’Iliade): in


principio sarebbe esistito un nucleo tematico originario (la cosiddetta Urilias, sull’ira di Achille5),
poi ampliato;
- “teoria dei canti” (cfr. i lavori di K. Lachmann sull’Iliade): in principio sarebbero esistiti dei canti
indipendenti (16 + 2), poi riuniti;
- “teoria della compilazione” (cfr i lavori di A. Kirchoff sull’Odissea): in principio sarebbero
esistiti dei piccoli poemi indipendenti (la Telemachia, i viaggi, il ritorno di Odisseo), poi riuniti da
un anonimo rielaboratore. Questo approccio fu ripreso e perfezionato da U. Von Wilamowitz.
Le posizioni degli studiosi inoltre divergono sulle modalità con cui i canti sarebbero stati raccolti,
oscillando tra il progetto consapevole e l’aggregazione spontanea e fortuita.

Per molto tempo le teorie degli analitici hanno prevalso sulle posizioni della scuola unitaria.
Quest’ultima ha ripreso vigore nel Novecento grazie agli studi di W. Schadewaldt. Il ricercatore ha
messo in evidenza la rete di rimandi e di anticipazioni dell’Iliade, per cui ogni episodio non ha
valore solo per se stesso, ma anche nel suo rapporto con l’intera vicenda. In questo modo,
l’evidenza drammatica degli avvenimenti risulta estesa oltre la dimensione immediata del loro
svolgimento.

LA TEORIA ORALE DI MILMAN PARRY

Alla questione omerica è stato dato nuovo e fondamentale impulso dai lavori di M. Parry, autore
della “teoria orale”. La ricerca dello studioso americano ha come oggetto la dizione epica e, al suo
interno, l’uso dell’epiteto.
Dal punto di vista della dizione, i poemi omerici costituiscono un sistema unitario che può essere
indagato in una prospettiva sincronica. Parry introduce il concetto di “formula”, ossia
“un’espressione o un gruppo di parole usati regolarmente nelle stesse sedi metriche per esprimere
un’idea essenziale”. L’analisi della coppia nome–epiteto conduce Parry alle seguenti conclusioni:
– l’epiteto è fisso e la sua scelta dipende dalla posizione che il nome occupa all’interno del verso;
– l’epiteto è ornamentale–superfluo, cioè il poeta e l’uditorio sono indifferenti al suo significato:
questo spiegherebbe l’impiego “illogico” di alcuni epiteti all’interno dei poemi. L’epiteto

come l’ambasceria di Odisseo, Diomede e Fenice presso Achille nell’Iliade e la Telemachia nell’Odissea. D’altro canto,
come rileva lo studioso B. Gentili, il problema dell’unità poetica non deve essere impostato secondo i criteri
compositivi moderni, ma tenendo conto della “tecnica di tipo associativo e antologico che permetteva di riutilizzare testi
già pronti, appartenenti al repertorio tradizionale o composti dal poeta stesso per altre analoghe occasioni”. Come si
vede, dunque, la questione è molto complessa.
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In effetti l’ira di Achille determina l’impianto selettivo dell’Iliade. Da questo piano compositivo dipende, come
avevano già notato Aristotele e l’anonimo Sul sublime, il carattere drammatico del poema, basato su uno schema di
opposizioni che prefigurano il senso della tragedia. L’Odissea invece ha un’impostazione più narrativa e continuativa,
secondo un piano che fa di questo poema l’archetipo remoto del romanzo.
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ornamentale inoltre contribuisce a creare nell’uditorio una “distanza epica”, che fa apparire il
mondo rappresentato in una dimensione eroica e diversa da quella attuale;
– l’epiteto è tradizionale, cioè è il prodotto di una tradizione di poeti e non la creazione di un
singolo.
Negli studi successivi Parry riconduce la formularità e la tradizionalità della dizione omerica al suo
carattere orale. La conferma all’oralità di Omero è cercata per via comparativa, nello studio delle
tradizioni epiche viventi, in particolare quella serba. Dal confronto risultano analogie sul piano
formale e tematico, in particolare nell’uso della formula e di una lingua artificiale, composta da
elementi dialettali diversi e da elementi arcaici e moderni. In una cultura orale, il canto è
improvvisato sulla base del patrimonio di formule appreso dal cantore6. In questo contesto,
composizione, performance e trasmissione non sono fasi separate, ma costituiscono un unico
momento. La poesia non è fissata una volta per tutte, ma ricreata a ogni esibizione sia nel rispetto
della tradizione, sia su impulso dell’individualità del cantore e delle richieste dell’uditorio – si parla
di sapere “fluido”, cioè trasmesso in una forma non rigidamente definita.
Dopo Parry il concetto di formula è stato ripreso e modificato da altri ricercatori. In particolare, J.B.
Hainsworth ha sostenuto la flessibilità della formula, proponendo la definizione seguente: “gruppo
di parole ripetute, senza la necessità della fissità metrica”. Secondo lo studioso, le formule si
spostano nel verso, si modificano, si dividono o si espandono a seconda delle necessità espressive e
delle esigenze metriche. In altre parole, il cantore ha la libertà di “ricreare conservando”, secondo il
principio della “variazione nell’identico”. A.B. Lord invece ha esteso il concetto di formula,
allargandolo a schemi compositivi più lunghi – motivi e scene tipiche come la vestizione dell’eroe,
l’assemblea, il catalogo delle navi, eccetera, che a loro volta possono essere combinati in ulteriori
sequenze narrative: per esempio, l’aristia, ossia la celebrazione del valore dell’eroe, comprende la
vestizione delle armi, una serie di scontri minori, il ferimento dell’eroe, salvato dall’intervento di un
dio, infine il grande duello con un avversario di pari rango, la sua uccisione e la mischia intorno al
cadavere.

In conclusione: le ricerche di Parry dimostrano l’unità dei poemi dal punto di vista della dizione –
l’autore o gli autori rispettano fedelmente la tradizione di una dizione aedica. In questo senso,
abbiamo la garanzia che entrambi i poemi sono completamente arcaici. I limiti della teoria orale
invece risiedono nel fatto che non può dare risposte ad alcuni interrogativi fondamentali. In
particolare, la teoria di Parry non risolve il problema di come si è passati dall’oralità alla redazione
scritta, da un tipo di poesia basato sull’”improvvisazione” a un’opera complessa e organica come i
poemi omerici. In altre parole, come si è arrivati alla forma in cui li conosciamo noi?

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Sulle modalità dell’apprendimento di tale patrimonio gli studiosi sono divisi: si parla di memorizing, remembering o
riflesso inconscio.
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LA QUESTIONE OMERICA OGGI

I problemi dibattuti dagli studiosi odierni si addensano essenzialmente intorno a due nuclei:

a) il rapporto tra tradizione e innovazione e il diverso peso attribuito ai due elementi: quanto e come
sono diversi i poemi omerici dalla tradizione? A questo proposito, è stato osservato che il problema
dell’originalità di Omero rispetto al patrimonio tradizionale condiviso non riguarda tanto le scelte a
livello di macrotesto (il segmento narrativo selezionato dal continuum della saga), ma le forme
dell’espressione e il riuso più o meno personalizzato delle formule7. A seconda di quanto spostiamo
l’ago della bilancia, infatti, risultano un’idea “debole” e un’idea “forte” di autore. Da un lato, i
poemi omerici possono essere considerati come la “registrazione” di un prodotto del patrimonio
aedico collettivo (idea “debole”). Dall’altro, alcuni studiosi insistono sugli aspetti riconducibili
all’intervento individuale di un “autore” (idea “forte”). In questo caso, Omero avrebbe creato
qualcosa di diverso e di nuovo usando i mezzi forniti dalla tradizione – contenuti, forme, modalità
compositive. In particolare, secondo la scuola neo–analitica, che ha come oggetto lo studio delle
“fonti” di Omero, il poeta avrebbe non solo ricreato motivi e situazioni tradizionali, ma si sarebbe
ispirato, per la concezione e la struttura dell’Iliade, a dei precisi modelli. Il limite di questo
approccio è che le “fonti” in questione sono interamente ricostruite o scarsamente conosciute;

b) il ruolo della scrittura e il passaggio da un cultura orale a una scritta. Rispetto a questo problema
si distinguono due orientamenti di fondo:
– il testo sarebbe stato fissato molto presto, all’atto della composizione, per “dettatura” del poeta. In
seguito, avrebbe subito alterazioni di vario genere, ma sempre di dettaglio;
– secondo un modello evolutivo, a una fase orale con considerevoli fluttuazioni avrebbe fatto
seguito la fissazione dei poemi nel VI secolo a.C. L’esigenza di un testo scritto sarebbe legata al
passaggio dalla figura dell’aedo (compositore) a quella del rapsodo (esecutore di canti) e alla
recitazione dei poemi omerici durante le feste Panatenee.

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Al rapporto tra tradizione e intervento individuale del poeta sembra rimandare la metafora del sarto presente nelle
fonti antiche: per esempio, in Pindaro il rapsodo (rhapsōidós) è “colui che cuce insieme i canti” (da rháptein, “cucire” e
aoidē, “canto”) e gli Omeridi sono i “cantori delle parole cucite” (Nemee, 2, 1–3), mentre in un frammento attribuito a
Esiodo (357 M.–W.) si legge che “A Delo allora per la prima volta io e Omero, cantori, celebravamo, cucendo il canto
in nuovi inni, Apollo dall’aurea spada, generato da Leto”. Il poeta–aedo sarebbe dunque un abile artigiano, capace di
creare e modellare a partire dagli elementi in suo possesso. Da questo punto di vista, la sua attività non è limitata alla
memorizzazione e trasmissione del patrimonio aedico collettivo, ma consiste nella rimemorazione, che ammette la
possibilità di variare il materiale tradizionale.
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I DATI ARCHEOLOGICI

Un contributo importante alla questione omerica è stato offerto dall’indagine archeologica. Prima
delle scoperte di Schliemann (1870), infatti, i poemi omerici erano generalmente considerati come
una fantasia dei poeti priva di consistenza storica. Grazie agli scavi eseguiti in Asia Minore e a
ulteriori ricerche è stato quindi possibile confermare la relativa storicità dei fatti narrati nei poemi.
In particolare, sono state ricostruite le caratteristiche della civiltà micenea, alla quale risale il nucleo
storico della leggenda. L’ultimo apporto a tale ricostruzione è stato offerto dalla scoperta da parte
dell’archeologo A. Evans delle tavolette in Lineare B, la scrittura di tipo sillabico che ha preceduto
l’introduzione dell’alfabeto in Grecia.
In generale, si ritiene che la civiltà micenea fosse più ricca e complessa di quella raffigurata nei
poemi. Gli effetti di riduzione e di contaminazione sarebbero dovuti a un processo compositivo
caratterizzato da diverse fasi. I più antichi precedenti dei poemi appartengono verosimilmente a
un’epoca contigua alla micenea e ne conservano la memoria, ma nei secoli successivi il patrimonio
epico ha subito una progressiva rielaborazione. Infine, vi è il problema delle differenze culturali tra
i due poemi, che sono state spiegate, come abbiamo visto, attribuendo la composizione a due autori
diversi, di cui uno posteriore all’altro. Secondo un’altra ipotesi, la differenza storica appartiene già
agli archetipi remoti dei poemi e si è conservata durante le fasi della loro elaborazione – non
presupponendo, quindi, due autori diversi. In generale, nell’Iliade è riflesso un momento storico
precedente, in cui la regalità micenea è ancora stabile, mentre nell’Odissea questo ordine entra in
crisi, come è testimoniato dalla rivolta aristocratica dei Proci.

La questione omerica non è giunta e verosimilmente non giungerà a una soluzione definitiva, ma ha
contribuito in modo decisivo allo sviluppo della filologia classica e del suo metodo. Inoltre, per
poter comprendere e interpretare i poemi omerici, bisogna continuare ad “avvalerci di qualsiasi
strumento in grado di fornire conoscenze sui modi della sua composizione e trasmissione, sulla
civiltà che l’ha prodotto e che vi si rispecchia, assumendo il testo come punto di partenza e insieme
di approdo dell’indagine” (A. Sestili).

I poemi del “Ciclo”

Gli episodi di Femio e Demodoco nell’Odissea testimoniano l’esistenza di una produzione


rapsodica contemporanea ai precedenti dell’epos omerico, nella quale trovano espressione episodi
della vicenda troiana non narrati nell’Iliade. Questo materiale fu in seguito organizzato in una serie
di poemi che estendevano la dimensione storica dell’Iliade, coprendo l’intera guerra troiana, i suoi
antefatti e le sue conseguenze. All’inizio, questi poemi furono generalmente attribuiti allo stesso

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Omero sotto il titolo di Ciclo, ma Aristotele e in seguito i filologi alessandrini li considerarono


spurii sulla base di una valutazione qualitativa8.
Dei poemi del Ciclo rimane un centinaio di versi pervenuti per tradizione indiretta. Tuttavia, grazie
a un’epitome confluita nella Biblioteca del bizantino Fozio (IX sec. d.C.), ci è possibile recuperare
in linea generale i contenuti dei poemi, che rispondevano a un progetto documentario di ampio
respiro, non limitato alla saga troiana. L’importanza di questi poemi dalla modesta qualità artistica
risiede nel fatto che “fecondarono” i generi della lirica corale e della tragedia, fornendo una quantità
di temi alla letteratura greca classica9:

Titolo Argomento
Teogonia La genealogia degli dei a partire dall’unione di Gea e Urano.
Titanomachia Vicende della guerra tra Zeus e gli dei della generazione precedente (Crono e i Titani).
Edipodia Vicende di Edipo, vittoria sulla Sfinge e matrimonio incestuoso con la madre.
Tebaide Storia di Eteocle e Polinice, figli di Edipo: spedizione dei Sette principi contro Tebe, guidata da
Polinice, lotta dinastica tra i due fratelli e uccisione reciproca.
Epigoni Spedizione dei figli dei Sette, che si conclude con la conquista della città di Tebe.
Canti ciprii Antecedenti dell’Iliade: decisione di Zeus di far scoppiare la guerra, giudizio di Paride, ratto di
Elena, preparativi della spedizione achea, sacrificio di Ifigenia.
Etiopide Lotta di Achille contro Pentesilea, regina delle Amazzoni, e contro Memnone, sovrano degli
Etiopi; morte di Achille per mano di Paride; contesa delle armi di Achille tra Aiace e Odisseo.
Piccola Iliade Episodio della follia di Aiace, causata dalla delusione per il giudizio sulle armi di Achille
(attribuite a Odisseo); ultime fasi della guerra fino alla costruzione del cavallo di legno.
Distruzione di Ilio Introduzione del cavallo nella città di Troia dopo la fine atroce di Laocoonte, conquista della
(Ilíou Pérsis) città, incendi e stragi.
Nostoi Vicende dei reduci da Troia (eccetto Odisseo).
Telegonia Telegono, figlio di Odisseo e Circe, sbarca a Itaca alla ricerca del padre, uccidendolo senza
riconoscerlo. In seguito, egli sposa Penelope, mentre Telemaco si unisce in matrimonio a Circe.
Presa di Ecália Guerra di Eracle contro il re della città, Eurito, padre di Iole, di cui l’eroe si è innamorato.
Canti Naupatti Impresa degli Argonauti.
Canti Corinzi

8
L’attribuzione a Omero è probabilmente dettata da una generica e ingenua consapevolezza della comune origine
rapsodica di questi canti e dei poemi omerici.
9
Per esempio, dalla Presa di Ecália deriva l’argomento delle Trachinie di Sofocle, mentre dai Canti Naupatti e dai
Canti Corinzi è attinta la materia delle Argonautiche di Apollonio Rodio.
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