Ofelia: differenze tra le versioni
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Versione delle 23:37, 10 gen 2010
Ofelia (Ophelia, in lingua inglese) è uno dei principali personaggi femminili della tragedia Amleto (The Tragical History of Hamlet, Prince of Denmark, in lingua originale), composta tra il 1600 ed il 1602 dal drammaturgo britannico William Shakespeare.
Caratteristiche del personaggio
Figlia del consigliere di corte di Danimarca Polonio e sorella di Laerte, giovane cavaliere, è una giovane ragazza aristocratica ma non appartenente alla stirpe reale: la residenza alla corte di Elsinore le è permessa, però, per la carica ricoperta da Polonio. Il ruolo che Ofelia ha nella tragedia è quello della vittima degli eventi: delusa da un amore per Amleto che crede non puro, veritiero e disinteressato (Amleto rinnegherà i sentimenti per lei per non coinvolgerla nelle meschine trame dello zio Claudio, usurpatore del trono di Danimarca) e divenuta folle per l'assassinio del padre ad opera dello stesso Amleto, terminerà la sua esistenza affogando in un corso d'acqua, scatenando l'odio e la vendetta da parte del fratello Laerte, che tenterà di uccidere Amleto.
Ofelia nella tragedia
Ofelia è mira delle profferte amorose di Amleto, ed il suo primo ingresso in scena, durante la terza scena del primo atto, avviene nel corso dei preparativi per la partenza di Laerte per la Francia, durante i quali il fratello consiglia la giovane di non cedere alle lusinghe d'amore del principe, che ritiene non disinteressate: anche Polonio la redarguisce, strappandole la promessa di evitare di intrattenersi troppo con lo spasimante.
Messo in moto da Amleto il meccanismo che scatena gli eventi tragici della vicenda a seguito dell'apparizione del fantasma del padre, Ofelia viene costretta da Polonio a consegnargli le lettere d'amore ricevute dal principe, tramite le quali potrà provare ai reali danesi la pazzia, creduta d'amore, del giovane nei confronti della donna. Ofelia, combattuta e spaventata dal comportamento di Amleto, cede infine agli ordini del padre, che si esibisce in una sgangherata conversazione con i monarchi sui presunti motivi della follia del principe. Dopo di ciò, viene convinta dagli astanti ad intrattenersi in una conversazione con lui, in modo tale da poter udire, nascosti, i vagheggiamenti d'amore dell'uomo. In quell'occasione gli restituisce le lettere d'amore ricevute e riceve il primo colpo che la spinge verso la nevrosi, modificando di fatto le successive apparizioni del personaggio: Amleto, per impedirle che i loschi inganni nei quali l'ingenua fanciulla si trova invischiata le siano di nocumento o per mantenere inalterato il suo ruolo di uomo uscito fuori di senno o, ancora, dichiarando il suo disgusto per il sesso femminile dopo il sospetto uxoricidio della madre[1], dichiara di non averla mai amata, la offende e lascia la scena.
Ofelia, abbandonata e distrutta dalla rivelazione, si libera dallo stritolamento che subisce tra i doveri di obbedienza al padre e l'amore che sperava sincero da parte di Amleto e sviscera le proprie emozioni in un monologo[2]:
«O, what a noble mind is here o'erthrown!
The courtier's, soldier's, scholar's, eye, tongue, sword;
The expectancy and rose of the fair state,
The glass of fashion and the mould of form,
The observed of all observers, quite, quite down!
And I, of ladies most deject and wretched,
That suck'd the honey of his music vows,
Now see that noble and most sovereign reason,
Like sweet bells jangled, out of tune and harsh;
That unmatch'd form and feature of blown youth
Blasted with ecstasy: O, woe is me,
To have seen what I have seen, see what I see!»
«Oh, qual nobile mente è qui sconvolta!
Occhio di cortigiano,
lingua di dotto, spada di soldato;
la speranza e la rosa del giardino
del nostro regno, specchio della moda,
modello d'eleganza,
ammirazione del genere umano,
tutto, e per tutto, in lui così svanito!...
Ed io, la più infelice e derelitta
delle donne, ch'ho assaporato il miele
degli armoniosi voti del suo cuore,
debbo mirare adesso, desolata,
questo sublime, nobile intelletto
risuonare d'un suono fesso, stridulo,
come una bella campana stonata;
l'ineguagliata sua forma, e l'aspetto
fiorente di bellezza giovanile
guaste da questa specie di delirio!...
Me misera, che ho visto quel che ho visto,
e vedo quel che seguito a vedere!»
Il duro colpo viene mal parato da Ofelia, il cui smarrimento ha inizio. Nella successiva scena riappare per presenziare all'allestimento dello spettacolo teatrale degli attori giunti ad Elsinore: l'atteggiamento nei confronti di Amleto tende a sottolinearne l'impudenza (Amleto farcisce di metafore sessuali alcune battute) ma non impedisce ad Ofelia di non contravvenire alle consuetudini ed alle buone maniere, permettendo al principe di poggiare il capo sulle sue ginocchia come era uso fare all'epoca nel corso delle rappresentazioni curtensi. Sempre Ofelia sarà la prima ad accorgersi, oltre al conscio Amleto, del turbamento di Claudio di fronte alla rappresentazione che rivive l'omicidio perpetrato ai danni del re suo fratello, chiamato anch'egli Amleto. Questo accorgimento, il subitaneo riconoscimento dello spavento di Claudio, sottolinea marcatamente l'ingenuità e la purezza della donna, che ha per prima coscienza della situazione: non è disattenzione verso la rappresentazione, quella che porta Ofelia ad osservare Claudio ed esclamare "Il re si è alzato" ("The King rises"), poiché poco prima aveva asserito di voler prestare attenzione al dramma.
Accade che Amleto, nel corso di una conversazione con la madre Gertrude, scopra ed uccida Polonio, nascostosi dietro un arazzo per ascoltare, non visto, il dialogo tra i due. Non è rappresentato in scena il momento in cui la giovane viene a conoscenza della morte del padre: la quinta scena del quarto atto la presenta come impazzita, che chiede udienza a Gertrude mentre canta canzoni, inframezzate da contenuti a volte poco sensati[4], che alludono al tradimento d'amore subito ed alla perdita del padre, giacente ormai sottoterra. Il suo stato è sotto gli occhi della corte ma anche del fratello Laerte, tornato dalla Francia alla notizia della morte del padre. Ofelia distribuisce agli astanti delle erbe e dei fiori, simboli attraverso i quali la giovane si esprime, ed esce di scena per l'ultima volta intonando un ultimo, disperato e lamentoso canto nel quale commemora Polonio e si strugge per il suo impossibile ritorno.
La morte di Ofelia, che avviene per disgrazia ed imperizia della stessa, oramai incapace di ragionare assennatamente, non viene mostrata in scena ma viene resa nota al pubblico per bocca di Gertrude in una celebre battuta:
«GERTRUDE: One woe doth tread upon another's heel,
So fast they follow; your sister's drown'd, Laertes.
LAERTE: Drown'd! O, where?
GERTRUDE: There is a willow grows aslant a brook,
That shows his hoar leaves in the glassy stream;
There with fantastic garlands did she come
Of crow-flowers, nettles, daisies, and long purples
That liberal shepherds give a grosser name,
But our cold maids do dead men's fingers call them:
There, on the pendent boughs her coronet weeds
Clambering to hang, an envious sliver broke;
When down her weedy trophies and herself
Fell in the weeping brook. Her clothes spread wide;
And, mermaid-like, awhile they bore her up:
Which time she chanted snatches of old tunes;
As one incapable of her own distress,
Or like a creature native and indued
Unto that element: but long it could not be
Till that her garments, heavy with their drink,
Pull'd the poor wretch from her melodious lay
To muddy death.»
«GERTRUDE: Una disgrazia incalza alle calcagna
un'altra, tanto presto si succedono.
Laerte, tua sorella s'è annegata.
LAERTE: Annegata! Ah, dove?
GERTRUDE: C'è un salice che cresce di traverso
ad un ruscello e specchia le sue foglie
nella vitrea corrente; qui ella venne,
il capo adorno di strane ghirlande
di ranuncoli, ortiche, margherite
e di quei lunghi fiori color porpora
che i licenziosi poeti bucolici
designano con più corrivo nome
ma che le nostre ritrose fanciulle
chiaman "dita di morto"; ella lassù,
mentre si arrampicava per appendere
l'erboree sue ghirlande ai rami penduli,
un ramo, invidioso, s'è spezzato
e gli erbosi trofei ed ella stessa
sono caduti nel piangente fiume.
Le sue vesti, gonfiandosi sull'acqua,
l'han sostenuta per un poco a galla,
nel mentre ch'ella, come una sirena,
cantava spunti d'antiche canzoni,
come incosciente della sua sciagura
o come una creatura d'altro regno
e familiare con quell'elemento.
Ma non per molto, perché le sue vesti
appesantite dall'acqua assorbita,
trascinaron la misera dal letto
del suo canto ad una fangosa morte.»
Il momento più drammatico e rappresentativo del personaggio di Ofelia è rappresentato quindi dalla sua morte, che lo spettatore non vede in scena: l'assenza diviene quindi presenza del momento drammatico.[5]
Celebri interpretazioni teatrali
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Ofelia nell'arte
Il personaggio di Ofelia ha ispirato numerose opere pittoriche e musicali, le quali hanno sempre sottolineato il carattere tragico del personaggio, che da sottomesso ed ingenuo simbolo di castità e purezza subisce, per il corso degli eventi ed indipendentemente dalla sua volontà, un cambiamento radicale che lo portano ad esiti fatali. Sebbene non rappresentata in scena, è proprio la tragica e romantica morte della ragazza che ha trovato maggiore riscontro nel lavoro degli artisti.
Nel corso del XIX secolo, durante il quale si effettua una rivalutazione critica sulle opere di William Shakespeare, numerosi dipinti hanno come protagonista Ofelia, come si può vedere ad esempio nelle opere di John Everett Millais, Jules Joseph Lefebvre, John William Waterhouse, George Frederic Watts.
Ophélia, film del 1963 di Claude Chabrol, è basato sull'Amleto scespiriano ma prende il nome dell'unico personaggio che non si lascia trascinare nella follia del protagonista Yvan, convinto di rivivere la tragedia del principe danese.
La canzone Via della povertà di Fabrizio De André del 1974 accenna ad Ofelia in modo paradossale e dissacrante, illustrandone la morte interiore nel momento in cui la giovinezza le viene spezzata fino alla romantica morte, ma dipingendola come donna mai amata da nessuno ("zitella"), al contrario di ciò che avviene nella tragedia. Appare del resto nell'originale inglese Desolation Row di Bob Dylan del 1965.
Il cantautore Francesco Guccini le ha dedicato una canzone dal titolo Ophelia contenuta nell'album Due anni dopo del 1970. La canzone, com'è accaduto con molte altre opere dell'artista emiliano, è stata interpretata anche dalla band I Nomadi.
La canzone di Lou Reed "Goodnight Ladies", del 1972 dall'album Transformer, utilizza una battuta dalla follia di Ofelia (Atto 4, Scena 5) come coro.
La canzone Ophelia, dall'album Sitting Targets di Peter Hammill tratta anch'essa del personaggio dell'Amleto.
Ofelia viene tramutata in Lofelia nel celebre riadattamento di Giovanni Testori, L'Ambleto.
L'artista Emilie Autumn ha interpretato il personaggio di Ofelia per poter trasmettere il suo dolore, ha anche coniato una parola che vuol esprimere, per così dire, il dolore "ofelico". Opheliac è il titolo della canzone ispirata al personaggio shakespeariano.
Ad Ofelia è anche dedicata una poesia del poeta francese Arthur Rimbaud.
Nell'anime e manga Claymore vi è una guerriera, la No. 4: Ophelia dell'Onda, la quale ha una storia simile alla Ofelia dell'Amleto.
Ofelia nella scienza
Ad Ofelia è dedicato il nome dell'omonimo satellite di Urano: anche un asteroide della fascia principale, il 171 Ophelia, porta il suo nome.
Note
- ^ Shakespeare Our Contemporary
- ^ Un'importante annotazione riguarda il ruolo dei monologhi nel testo scespiriano: il celebre monologo di Amleto, "Essere o non essere", che il personaggio declama nel momento in cui entra in scena prima dell'incontro con la giovane, non è recitato da un attore da solo come convenzionalmente capita nel corso dei monologhi, ma questi è spiato da Polonio, Claudio e forse la stessa Ofelia. Anche il monologo della donna, successivo al loro incontro, è ascoltato dal padre e dal re. Di fatto ciò notifica un ampliamento delle potenzialità drammaturgiche della convenzione scenica del monologo.
- ^ Amleto, traduzione a cura di Goffredo Raponi
- ^ Una strofe recita, a tal proposito, "They bore him barefaced on the bier; Hey non nonny, nonny, hey nonny;" ("Nella bara a volto nudo l'han disteso..."). La seconda parte, non letteralmente traducibile in lingua italiana, è una specie di nenia o intercalare, presente anche in una canzone di Molto rumore per nulla cantata per bocca di Baldassarre ma con significato ironico, gioioso.
- ^ Un lontano parallelo può essere fatto con il saggio di Peter Brook Lo spazio vuoto - precedentemente noto in Italia con il titolo Il teatro e il suo spazio - nel quale si ravvisa nel vuoto non la vacuità ma la presenza. Il riferimento del testo, però, non ha collegamento alcuno con la tragedia scespiriana.
Voci correlate
Altri progetti
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