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Fight the Power (Public Enemy)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Fight the Power
singolo discografico
Screenshot tratto dal videoclip
ArtistaPublic Enemy
Pubblicazione1989
Durata5:23 (soundtrack version)
4:42 (album version)
Album di provenienzaDo the Right Thing: Original Motion Picture Soundtrack
Fear of a Black Planet
Genere[1]Golden age hip hop
Political hip hop
East Coast hip hop
Hardcore hip hop
EtichettaMotown Records
Def Jam
ProduttoreThe Bomb Squad
RegistrazioneGreen St. Recording, New York
NoteB-side: Fight the Power (Flavor Flav Meets Spike Lee)
Public Enemy - cronologia
Singolo successivo
(1990)

Fight the Power è un brano musicale del gruppo rap Public Enemy, incluso nella colonna sonora del film Fa' la cosa giusta del 1989 e pubblicato come singolo lo stesso anno dalla Motown Records (lato B: Fight the Power (Flavor Flav Meets Spike Lee)). Nel 1990, una versione modificata venne inclusa nel terzo album del gruppo, Fear of a Black Planet.

Nel 2021 la rivista Rolling Stone l'ha inserita al secondo posto nella lista delle 500 migliori canzoni di tutti i tempi, seconda solo alla versione di Aretha Franklin di Respect.[2][3][4]

(EN)

«Most of my heroes don't appear on no stamps»

(IT)

«La maggior parte dei miei eroi non sta sui francobolli»

Fight the Power ("Combatti il potere") è considerata il testamento politico della band, e il loro singolo di maggior successo. Recentemente, Fight the Power si è classificata al primo posto della classifica VH1's 100 Greatest Hip-Hop's Songs, a dimostrazione dell'impatto della canzone.[5] All'epoca della pubblicazione, il singolo raggiunse la posizione numero 1 nella classifica Hot Rap Singles e la numero 20 nella Hot R&B Singles.

Una versione alternativa del brano è presente nel disco compilation Chuck D Presents: Louder than a Bomb, con un assolo di sassofono da parte di Branford Marsalis.

A proposito della canzone Brian Hardgroove, il bassista del gruppo, disse: «Le forze dell'ordine sono necessarie. Come specie umana non ci siamo evoluti abbastanza da poterne fare a meno. Fight the Power non parla di combattere l'autorità, non è affatto così. Parla piuttosto di combattere l'abuso di potere da parte dell'autorità».[6]

Nel 2004 il brano è stato classificato alla posizione numero 322 della "lista delle 500 migliori canzoni di sempre" redatta dalla rivista Rolling Stone.

Nel 1988, poco tempo dopo la pubblicazione del loro secondo album It Takes a Nation of Millions to Hold Us Back, i Public Enemy si stavano preparando per la seconda parte europea del Run's House Tour insieme ai Run–D.M.C. Prima di imbarcarsi nel tour, il regista Spike Lee approcciò i Public Enemy con la proposta di incidere una canzone per uno dei suoi film.[7] Lee, che stava dirigendo Fa' la cosa giusta, voleva usare il pezzo come leitmotif del film, che parla delle tensioni razziali nel quartiere di Brooklyn a New York.[8] Egli raccontò della sua decisione nel corso di un'intervista successiva concessa alla rivista Time: «Volevo che il pezzo fosse provocatorio, volevo che fosse arrabbiato, volevo che fosse molto ritmico. Ho pensato subito ai Public Enemy».[9] In una riunione a Lower Manhattan, Lee disse a Chuck D, al produttore Hank Shocklee del The Bomb Squad e al produttore esecutivo Bill Stephney, di avere bisogno di una "canzone inno" per il film.[10]

Mentre si trovava in Italia in tour, Chuck D scrisse la maggior parte del testo della canzone.[10] Circa l'ispirazione egli raccontò: «Volevo avere più o meno lo stesso tema dell'originale Fight the Power degli Isley Brothers e riempirlo con una sorta di visione modernista di cosa il nostro ambiente era in quel particolare momento».[10]

Registrazione e produzione

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Branford Marsalis (fotografato nel 2011) suonò un assolo di sassofono nella versione del pezzo per la colonna sonora di Fa' la cosa giusta

The Bomb Squad, il team produttivo dei Public Enemy, costruì la musica di Fight the Power, attraverso looping, layering, e trasfigurando numerosi campionamenti.[11] La traccia include solamente due strumenti: il sassofono, suonato da Branford Marsalis, e lo scratching fornito da Terminator X, il DJ del gruppo.[12]

In contrasto alla scuola di pensiero di Marsalis, membri dei Bomb Squad come Hank Shocklee volevano evitare la chiarezza melodica e la coerenza armonica a favore di uno stato d'animo specifico nella composizione. Shocklee gli spiegò che la loro abilità musicale dipendeva da strumenti diversi, esercitati in un mezzo diverso, ed era ispirata da priorità culturali diverse dal "virtuosismo" apprezzato nel jazz e nella musica classica.[13]

Come per altre canzoni dei Public Enemy, The Bomb Squad aggiunse svariati campioni nella traccia, utilizzandoli per completare il testo e l'atmosfera di Fight the Power.[14] I suoni percussivi sono stati posizionati prima o dietro il beat, per creare una sensazione di facilità o tensione.[14] Particolari elementi, come l'assolo di Marsalis, sono stati rielaborati da Shocklee in modo che significhino qualcosa di diverso dalla coerenza armonica.[14] Riguardo alla produzione della canzone, il musicologo Robert Walser, scrisse che l'assolo "è stato accuratamente rielaborato in qualcosa che Marsalis non avrebbe mai pensato di suonare, perché gli obiettivi e le premesse di Schocklee sono diversi dai suoi".[14]

Il 24 agosto 2014, Chuck D postò una fotografia su Twitter di una musicassetta proveniente dallo studio Green St. Recording di New York. L'etichetta sul nastro è marchiata con il logo dello studio e un titolo scritto a mano suggerisce che questo studio sia stato utilizzato per la registrazione della canzone.

Campionamenti usati nel brano

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La canzone include vari campionamenti di James Brown (qui fotografato nel 1973)

Il testo di Fight the Power è una retorica rivoluzionaria che chiama a combattere i "poteri forti".[8] I versi sono consegnati da Chuck D, che rappa in tono conflittuale e impenitente.[15] David Stubbs di The Quietus scrive che la canzone "brilla e ribolle di tutta la rabbia controllata e incendiaria e l'intento rivoluzionario dei Public Enemy è al suo apice. È ambientato nell'immediato futuro, una condizione di insurrezione permanentemente e imminente".[16]

Fight the Power si apre con Chuck D che esclama: «1989!».[16] Il testo è declamato dal punto di vista di un afroamericano, che nel primo verso chiama a raccolta tutti i "fratelli e sorelle" promettendo di "divertirli mentre canta e dare loro quello che occorre".[15] Egli chiarisce inoltre la piattaforma ideologica del suo gruppo come artisti musicali: «Now that you've realized the pride's arrived / We've got to pump the stuff to make us tough / From the heart / It's a start, a work of art / To revolutionize» ("Ora che avete capito l'apice è arrivato / Dobbiamo ingrandire la cosa per rafforzarci / Sinceramente / È un inizio, un'opera d'arte / per rivoluzionare").[17] Nell'affrontare la questione del razzismo, i testi respingono la nozione liberale dell'uguaglianza razziale e la dinamica di trascendere le proprie circostanze per quanto riguarda la propria comunità: «People, people we are the same / No, we're not the same / 'Cause we don't know the game» ("Gente, gente siamo tutti uguali / No, non siamo uguali / Perché non conosciamo il gioco").[15] Chuck D prosegue chiamando all'attivismo politico le persone e auspicando l'organizzazione intelligente all'interno della comunità afroamericana. Nella strofa, egli si referisce al suo pubblico con il termine "miei amati", un'allusione alla visione di Martin Luther King Jr. di una "comunità amorevole".[17]

I campioni incorporati nel brano derivano dalla cultura afroamericana, tratti da artisti neri che sono figure importanti nello sviluppo della musica nera della fine del XX secolo.[18] Gli elementi vocali caratteristici di questo sono varie esortazioni comuni nella musica afroamericana e durante le funzioni religiose in chiesa, incluse frasi come «Let me hear you say», «Come on and get down» e «Brothers and sisters», ma anche i "grugniti" tipici di James Brown e le esclamazioni elaborate elettronicamente di Afrika Bambaataa, tratte dalla sua canzone Planet Rock del 1982.[18] I campioni sono rafforzati da allusioni testuali a tale musica, citate da Chuck D nei suoi testi, tra cui «sound of the funky drummer» (Funky Drummer di James Brown e Clyde Stubblefield), «I know you got soul» (Bobby Byrd), «freedom or death» (Stetsasonic), «people, people» (Funky President di Brown) e «I'm black and I'm proud» (Say It Loud - I'm Black and I'm Proud ancora di Brown).[18] Il titolo stesso della traccia è un rimando all'omonima canzone degli Isley Brothers.[18]

La strofa su "Elvis"

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Una delle strofe più celebri del testo, ed anche una di quelle che ha creato più scalpore è quella che accusa Elvis Presley (e anche John Wayne, altro mito americano) di essere stato un razzista:

(EN)

«Elvis was a hero to most,
But he never meant shit to me you see.
Straight up racist that sucker was,
Simple and plain.
Motherfuck him and John Wayne,
Cause I'm Black and I'm proud!»

(IT)

«Elvis era un eroe per molti,
Ma non ha mai significato un cazzo per me.
Era uno stronzo razzista,
Puro e semplice.
Fanculo lui e John Wayne,
Perché sono nero e ne sono fiero!»

La persistenza di tale atteggiamento è stata alimentata dal risentimento per il fatto che Presley, il cui linguaggio musicale e visivo deriva da fonti africane in America, ha riscosso il successo e il riconoscimento culturale e commerciale in gran parte negato ai suoi contemporanei neri. A tutt'oggi, la nozione che Presley ha "rubato" la musica dei neri per edulcorarla e ricavarne profitto, trova ancora dei seguaci.[19][20]

Chuck D fu ispirato a scrivere la strofa dall'ascolto del brano Blowfly Rapp (1980) dell'artista proto-rap Clarence "Blowfly" Reid, nel quale Reid ingaggia una "battaglia di insulti" con un fittizio membro del Ku Klux Klan che proferisce nei suoi confronti degli insulti razzisti simili attaccando il pugile Muhammad Ali.[21]

Successivamente, lo stesso Chuck D chiarì l'associazione da lui fatta tra Elvis Presley e razzismo. In un'intervista concessa a Newsday in occasione del 25º anniversario della morte di Presley, Chuck D riconobbe che Elvis era tenuto in alta considerazione dai musicisti neri, e che lo stesso Presley ammirava i musicisti afroamericani. Chuck D chiarì che l'obiettivo della "strofa su Elvis" era la cultura dei bianchi che esaltava Elvis come "Re del rock and roll" senza riconoscere i meriti degli artisti neri venuti prima di lui.[22][23]

Il riferimento a John Wayne è dovuto ai suoi controversi punti di vista personali in fatto di politica, incluse le dichiarazioni razziste fatte dall'attore nell'intervista rilasciata nel 1971 alla rivista Playboy, dove Wayne dichiarò: «Credo nella supremazia dei bianchi finché i neri non saranno educati ad essere responsabili. Non credo nel dare autorità e posizioni di leadership e comando a persone irresponsabili».[24]

Video musicale

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Il regista Spike Lee nel 1999

Spike Lee produsse e diresse due video musicali per la canzone. Il primo contiene varie scene tratte dal film Fa' la cosa giusta.[25] Nel secondo video, Lee usa centinaia di comparse per simulare disordini razziali a Brooklyn.[26] Le comparse portano cartelli con sopra le effigi di Paul Robeson, Malcolm X, Marcus Garvey, Chuck Berry, Sugar Ray Robinson, Angela Davis, Muhammad Ali e Martin Luther King. Il video fu girato a Brooklyn il 22 aprile 1989.[27] Il biografo dei Public Enemy Russell Myrie scrisse che il video "ha [portato] in vita accuratamente [...] l'emozione e la rabbia di una manifestazione politica".[28]

Tawana Brawley fa un cameo nel video. La Brawley era salita alla ribalta dei notiziari nel 1987 quando, all'età di 15 anni, accusò diversi agenti di polizia di averla violentata. Le accuse furono archiviate in tribunale, in quanto gli esami medici non rilevarono alcun segno di violenza e la ragazza fu invece incriminata per falsa testimonianza.

Riferimenti in altri media

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Fight the Power è inclusa nella colonna sonora del film di Spike Lee Fa' la cosa giusta (Do the Right Thing). Il brano si ascolta sui titoli di testa mentre Tina, il personaggio interpretato da Rosie Perez, danza sulle note della canzone.[29][30] Inoltre, estratti della canzone sono presenti nelle scene che coinvolgono il personaggio di "Radio Raheem", che gira per il quartiere con una grossa radio suonando ad alto volume Fight the Power come simbolo della consapevolezza nera.[31]

Fight the Power è stata inclusa anche nei titoli di testa del documentario Style Wars della PBS circa l'utilizzo dei graffiti nelle città da parte dei giovani come forma artistica di resistenza sociale.[32]

Nel 1989 Fight the Power fu suonata per le strade di Overtown, Miami per festeggiare il verdetto di colpevolezza dell'agente di polizia William Lozano, che sparando a un automobilista nero aveva causato due vittime e una rivolta di tre giorni a Miami che contribuì ad acuire le tensioni tra afroamericani e ispanici.[33] Quello stesso anno, la canzone fu suonata durante i disordini di Virginia Beach tra forze di polizia e afroamericani. Secondo un testimone, i disordini cominciarono dopo che la folla era stata aizzata dal testo della canzone che risuonava da un furgone nero parcheggiato nei pressi.[34]

Fight the Power è stata inserita anche nelle colonne sonore dei film Jarhead (2005), Piovono polpette (2009) e Star Trek Beyond (2016).

Fight the Power è stata fatta oggetto di cover dai Barenaked Ladies nel 1991, e dai Korn con il rapper Xzibit nel disco della colonna sonora del film xXx 2: The Next Level. Nel 2011 la band mathcore The Dillinger Escape Plan reinterpretò la canzone insieme a Chuck D nell'album Homefront: Songs for the Resistance; colonna sonora del videogioco Homefront. [35]

  1. ^ Stephen Thomas Erlewine, Fear of a Black Planet > Overview, su allmusic.com, Allmusic.com. URL consultato il 28 settembre 2010.
  2. ^ Rolling Stone aggiorna la top 500 delle canzoni più belle di sempre. Ecco le sorprese, su Il Giorno, 1632037079382. URL consultato il 19 settembre 2021.
  3. ^ Rolling Stone choc, Aretha ora supera Bob Dylan. Aggiornata dopo 17 anni storica top 500 delle canzoni più belle, su lastampa.it, 18 settembre 2021. URL consultato il 19 settembre 2021.
  4. ^ Aretha sorpassa Dylan: è 'Respect' la canzone più bella di tutti i tempi, su la Repubblica, 18 settembre 2021. URL consultato il 19 settembre 2021.
  5. ^ 100 Greatest Hip Hop Songs Archiviato il 24 dicembre 2012 in Internet Archive.
  6. ^ Public Enemy website, su publicenemy.com (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2010).
  7. ^ Myrie (2008), p. 121.
  8. ^ a b Peter Watrous, RECORDINGS; Public Enemy Makes Waves - and Compelling Music, in The New York Times, New York, The New York Times Company, 22 aprile 1990. URL consultato il 7 giugno 2012.
  9. ^ Janice C. Simpson, Music: Yo! Rap Gets on the Map, in Time, vol. 135, New York, Time Inc., 5 febbraio 1990, p. 60. URL consultato il 7 giugno 2018.
  10. ^ a b c Myrie (2008), p. 122.
  11. ^ Katz, p. 160
  12. ^ Darren Mueller, Listening Session with Branford Marsalis, su marsalismusic.com, Marsalis Music, 16 gennaio 2012. URL consultato il 16 marzo 2012.
  13. ^ Walser et al. Austin & Willard (1998), 297.
  14. ^ a b c d Walser, p. 297
  15. ^ a b c Warrell, Laura K. (3 giugno 2002). Fight the Power. Salon. Salon Media Group
  16. ^ a b David Stubbs, 20 Years On: Remembering Public Enemy's Fear Of A Black Planet, su thequietus.com, The Quietus, 12 aprile 2010. URL consultato il 29 maggio 2012.
  17. ^ a b Friskics-Warren (2006), p. 183.
  18. ^ a b c d Katz (2004), p. 163.
  19. ^ Myrie, 2009, pag. 123–24
  20. ^ Pilgrim, David, Question of the Month: Elvis Presley and Racism, su ferris.edu, Jim Crow Museum at Feris State University, marzo 2006. URL consultato il 28 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 6 gennaio 2012).
  21. ^ Myrie, p. 123
  22. ^ Chuck Hails the King, in The Age, 13 agosto 2002. URL consultato l'8 maggio 2014.
  23. ^ Ed Masley, Elvis may have been the king, but was he first, in Pittsburgh Post-Gazette, 4 luglio 2004. URL consultato l'8 maggio 2014.
  24. ^ Myrie, p. 124
  25. ^ Aaron Barlow, Star Power: The Impact of Branded Celebrity [2 volumes]: The Impact of Branded Celebrity [2 volumes], ABC-CLIO, 11 agosto 2014, ISBN 978-0-313-39618-2. Ospitato su Google Books.
  26. ^ Chang, Jeff, Can't Stop Won't Stop: A History of the Hip-Hop Generation, New York, Picador, 2005, pp. 279–280, 286, ISBN 0-312-42579-1.
  27. ^ Myrie (2008), p. 125.
  28. ^ Myrie (2008), p. 169.
  29. ^ The San Francisco Jung Institute Library Journal, vol. 9, Virginia Allan Detloff Library of the C.G. Jung Institute, 1989, p. 85.
  30. ^ Nordic Association for American Studies, American Studies in Scandinavia, 21–22, Universitetsforlaget, 1989, p. 110.
  31. ^ (FR) Les Nerfs a Fleur de Peau, in Afrique, 57–65, Groupe Jeune Afrique, 1989, p. 6.
  32. ^ Tony Silver, Kase 2, Eric Haze e Spank, Style Wars, 1º gennaio 2000. URL consultato il 14 dicembre 2016.
  33. ^ Newsweek, vol. 114, 19–27, The Washington Post Company, p. 136.
  34. ^ Roy H. Campbell, Why Virginia Beach Happened, in The Philadelphia Inquirer, 10 settembre 1989. URL consultato il 1º settembre 2013.
  35. ^ An Album Of Metal Covers For My E-mail Address? DEAL! - Metal Injection, su metalinjection.net, 22 marzo 2011.

Collegamenti esterni

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