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Il grande caldo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il grande caldo
Dorothy Green e Glenn Ford in una scena del film
Titolo originaleThe Big Heat
Lingua originaleinglese
Paese di produzioneStati Uniti d'America
Anno1953
Durata90 min
Dati tecniciB/N
rapporto: 1,37:1
Generenoir, poliziesco
RegiaFritz Lang
SoggettoWilliam P. McGivern (romanzo omonimo)
SceneggiaturaSydney Boehm
ProduttoreRobert Arthur
Casa di produzioneColumbia Pictures
Distribuzione in italianoColumbia
FotografiaCharles Lang
MontaggioCharles Nelson
MusicheHenry Vars (non accreditato), Mischa Bakaleinikoff (direttore musicale)
ScenografiaRobert Peterson, William Kiernan
CostumiJean Louis
TruccoClay Campbell
Interpreti e personaggi
Doppiatori italiani

Il grande caldo (The Big Heat) è un film del 1953 diretto da Fritz Lang.

L'espressione The Big Heat, il titolo originale del film, non indica solo un'estate torrida: nel gergo della malavita americana, è l'elevarsi del livello di guardia della polizia nei confronti della criminalità[1].

Indagando sul suicidio di un collega, nonostante le pressioni dei superiori affinché non se ne occupi, il sergente Dave Bannion scopre una fitta rete criminale che avvolge nelle maglie della corruzione gran parte della città.

Chiave della vicenda è la vedova del collega suicida, Bertha, la quale è in possesso di un diario del defunto ove sono esposte le prove della collusione fra la malavita, alcuni personaggi della politica e parte della stessa polizia: la scaltrezza della donna sta nell'aver combinato le cose in modo tale che, in caso di suo decesso, queste carte finiscano in mano ai giornalisti, il che le consente di ricattare il boss della mala, che si nasconde dietro un'aura di rispettabilità, Lagana.

Addentrarsi nell'indagine costerà a Bannion la vita della moglie, uccisa da una bomba piazzata nella sua auto e destinata a lui.

Sospeso dalla polizia, Bannion decide di farsi giustizia da solo, aiutato da Debbie Marsh, la donna di Vince Stone, capo degli scagnozzi del boss Lagana, sfigurata in volto dal caffè bollente gettatole in faccia dal violento amante.

Sarà proprio Debbie a risolvere la situazione uccidendo Bertha ed innescando così l'inarrestabile sequenza di eventi che porterà all'incriminazione di Lagana, dei suoi corrotti funzionari ed al reintegro di Dave Bannion nella polizia.

Realizzato dalla Columbia in un momento di crisi dell'industria cinematografica, il film ebbe una gestazione brevissima e un'altrettanto rapida realizzazione: i diritti furono acquistati il 12 gennaio 1953 e il 20 febbraio fu reso noto il nome del regista, Fritz Lang. Pochi giorni dopo si definì anche il cast, ossia Glenn Ford, Lee Marvin, Jocelyn Brando e Gloria Grahame.

Il grande caldo è tratto dall'omonimo romanzo, uscito a puntate sul Saturday Evening Post nel 1952 e scritto da William P. McGivern[2], "il cantore principale dell'angosciata epopea del poliziotto del dopoguerra", ma "il materiale è puro Lang adattato ai tempi nuovi".[3].

Le riprese ebbero luogo fra il 14 marzo e il 15 aprile 1953.[4]

La censura statunitense assegnò al film una X e, mentre il pubblico rimase sconcertato per la violenza usata oltre le convenzioni fino ad allora accettate nel cinema, la critica recensì il film in maniera molto positiva. Il critico Bosley Crowther del New York Times lodò l'interpretazione di Glenn Ford.[5] Variety descrisse la regia di Lang come "intensa" e "potente".[6]

Oggi, Il grande caldo è considerato un classico del cinema noir, spesso citato tra i migliori film del genere.[7]

Lang e Chandler, Dave e Marlowe

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«Il debito evidente nei confronti del cinema poliziesco che si richiama ai libri di Raymond Chandler - primo fra tutti The Big Sleep, Il grande sonno, realizzato nel 1946 da Howard Hawks con la coppia Humphrey Bogart-Lauren Bacall - viene saldato dal regista proprio restando fedele a se stesso. Dave Bannion è un uomo onesto nella città corrotta, duro abbastanza da sfidare il crimine organizzato [...] Tuttavia non è Marlowe: fa parte di una struttura pubblica (la polizia), ha una famiglia, evita osservazioni retoriche e melanconiche sul significato dell'esistenza. Non è un eroe da romanzo [...]

Il detective privato chandleriano aggira le alte pareti del destino filosofando da esistenzialista e si rompe la testa solo quando non ha scelta; il sergente langhiano invece è un ariete, un cupo montone infuriato.»

Temi langhiani

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  • La doppia natura dell'uomo

Nella descrizione del protagonista Dave Bannion, Fritz Lang riprende un soggetto ricorrente nei suoi film americani[8], ossia quello di un americano qualunque, pacifico e socialmente inquadrato, che "per reagire a un'ingiustizia sconvolgente si isola dal mondo e affonda nell'odio, nella violenza e nella vendetta".[9] Qui vi si aggiunge l'aggravante che a trasformarsi in un giustiziere è un poliziotto, un uomo delle istituzioni e non della folla.

La duplicità della natura umana è rappresentata da Lang da una metafora visiva di grande intensità: il volto bellissimo di Gloria Grahame per metà sfigurato dall'ustione provocata dal caffè bollente lanciatole addosso dall'amante violento e geloso. Viene in mente anche la faccia di Emma Robey coperta dal foulard in Dietro la porta chiusa e il viso di Alice Reed, per metà velato dall'ombra, in La donna del ritratto.

  • Il Male

A rappresentare il Male nel film sono in particolare il sadico e violento Vince Stone (interpretato da un allucinato Lee Marvin), che rappresenta la violenza bruta, e il più sottile Mike Lagana (Alexander Scourby), che dietro una facciata rispettabile nasconde un abisso di malvagità senza fine.

Tecnica cinematografica

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Lotte Eisner così descrive la prima scena del film:

«Su una scrivania vediamo una pistola in primo piano. Una mano entra nell'inquadratura, poi un braccio. La mano prende la pistola e la macchina da presa arretra su una vista da dietro con l'arma alzata. Uno sparo, la testa e le braccia dell'uomo ricadono sulla scrivania. Panoramica su una grossa busta indirizzata al procuratore della repubblica, e accanto ad essa, il distintivo di un sergente della polizia.»

L'efficacia di questa scena fu anche dovuta alla censura statunitense, che non consentiva la ripresa di un suicidio. Racconta ironicamente lo stesso Lang che aveva ricevuto una lettera dal suo produttore Robert Arthur, in data 10 aprile 1953, che gli chiedeva di rispettare il Breen Office, di non mostrare gli omicidi e farli avvenire fuori campo. Ciò lo costrinse a escogitare soluzioni di suggestiva intensità.

Riconoscimenti

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Nel 2011 è stato scelto per essere conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.[10]

Manifesti e locandine

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In Italia i manifesti e le locandine del film furono realizzati dal pittore cartellonista Anselmo Ballester.

  1. ^ Dizionario dei film 1998, a cura di Paolo Mereghetti, p. 857.
  2. ^ McGivern sceneggiò diversi film e alcune puntate della serie televisiva Kojak.
  3. ^ Renato Venturelli, L'età del noir, p. 392.
  4. ^ Giovanna Asselle in Ciak, anno X, n° 4, aprile 1994.
  5. ^ Bosley Crowther, The Big Heat (1953), su nytimes.com, 15 ottobre 1953. URL consultato il 21 dicembre 2014.
  6. ^ (EN) Review: "The Big Heat", su variety.com, 31 dicembre 1952. URL consultato il 21 dicembre 2014.
  7. ^ Roger Ebert, The Big Heat, su rogerebert.com, 6 giugno 2004. URL consultato il 21 dicembre 2014.
  8. ^ In Furia del 1936, nel personaggio di Joe Wheeler, in Rancho Notorious del 1952, nel personaggio di Vern Haskell
  9. ^ Renato Venturelli, L'età del noir, p. 391.
  10. ^ (EN) 2011 National Film Registry More Than a Box of Chocolates, su loc.gov, Library of Congress, 28 dicembre 2011. URL consultato il 21 dicembre 2014.

Altri progetti

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Collegamenti esterni

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Controllo di autoritàVIAF (EN316752245 · LCCN (ENn92066739 · GND (DE4662788-1 · BNF (FRcb12265764d (data) · J9U (ENHE987007966280405171
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