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Marco Orazio Pulvillo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Marco Orazio Pulvillo
Console della Repubblica romana
Nome originaleMarcus Horatius Pulvillus
GensHoratia
Consolato509 a.C.
507 a.C.

Marco Orazio Pulvillo (in latino Marcus Horatius Pulvillus; fl. VI secolo a.C.) è stato un politico e militare romano del VI secolo a.C. Due volte console, era un discendente di Publio Orazio, quello dei tre fratelli Orazi che era sopravvissuto allo scontro con i Curiazi, e zio di Orazio Coclite[1].

Pulvillo, secondo Dionigi di Alicarnasso, ebbe un ruolo importante nella cacciata dei Tarquini e, secondo tutte le fonti, fu uno dei consoli eletti nel primo anno della repubblica (509 a.C.).

La maggior parte degli autori antichi affermano che Orazio Pulvillo fu eletto per sostituire Spurio Lucrezio Tricipitino che aveva sostituito Bruto ma che era morto, a causa dell'età, pochi giorni dopo la nomina[2].

Ricostruzione del tempio di Giove Ottimo Massimo

Alcuni degli annalisti tuttavia affermano che Orazio fu il successore immediato di Bruto (Livio, II 8), mentre Polibio (III, 22) indica Bruto ed Orazio come primi consoli assieme. Un'altra differenza tra Dionigi e Livio si ritrova su un altro punto. Secondo Dionigi (V, 21) Orazio fu console una seconda volta assieme a Publio Valerio Publicola, nel terzo anno della Repubblica, (507 a.C.), mentre secondo Livio (II, 15), il collega di Publicola quell'anno fu Publio Lucrezio e non cita un secondo consolato di Orazio Pulvillo. La versione di Dionigi è suffragata da Tacito (Historiae, III, 72), che cita un secondo consolato di Orazio.

Il nome di Orazio Pulvillo è legato alla dedica del Tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio che, secondo Dionigi e Tacito, fu consacrato da Orazio nel suo secondo consolato.

La tradizione dice che era stato deciso a sorte che Orazio dovesse avere questo onore: mentre era sul punto di pronunciare le solenni parole di dedica, Marco Valerio Voluso Massimo, fratello dell'altro console Valerio Publicola, gli si avvicinò portandogli la falsa notizia che suo figlio era morto, sperando che Orazio esprimesse qualche tipo di lamento, che avrebbe interrotto la cerimonia e lasciato l'onore della consacrazione a Publicola. Ma Orazio non si fece disturbare da notizie funeste e si limitò ad ordinare di portare fuori il cadavere e proseguì nella consacrazione.

(LA)

«[...] tenenti consuli foedum inter precationem deum nuntium incutiunt, mortuum eius filium esse, funestaque familia dedicare eum templum non posse. Non crediderit factum an tantum animo roboris fuerit, nec traditur certum nec interpretatio est facilis. Nihil aliud ad eum nuntium a proposito aversus quam ut cadaver efferri iuberet, tenens postem precationem peragit et dedicat templum»

(IT)

«[...] mentre il console appoggiato allo stipite rivolgeva le sue preghiere agli dei, gli diedero la funesta notizia che il figlio era morto, egli non poteva consacrare il tempio mentre le avversità colpivano la sua famiglia[3]. Che non abbia creduto al fatto o che abbia mostrato grande forza d'animo, non ci è stato tramandato per certo né tale interpretazione risulta semplice. Senza lasciarsi distogliere dalla notizia, a parte per dare ordine di sepoltura del cadavere, mantenendo la mano sullo stipite, completò le preghiere e consacrò il tempio»

  1. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Libro V, 23.
  2. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, Libro II, 8; Dionigi, Antichità romane, Libro V, 19; Plutarco, Publicola 12.
  3. ^

    «La consacrazione di un tempio era cerimonia di competenza di consoli e magistrati coadiuvati dal pontefice massimo, il quale però non aveva parte attiva nel rito. L'officiante veniva eletto dal popolo (Livio, II, 27, 5, IV, 29, 7 e Cicerone Ad Atticum IV, 2, 3) e non tirato a sorte come invece sostiene Livio che inserisce questo particolare per abbellire letterariamente il racconto. Quanto poi al problema della presunta impurità di Orazio – che secondo altre fonti ottenne l'incarico solo in virtù di irregolarità commesse durante il voto – egli non risultava funestus in quanto il lutto che lo avrebbe reso tale venne annunciato solo a cerimonia iniziata.»

Fonti primarie
Fonti secondarie
  • William Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, vol. III, Little, Brown, and Company, Boston, 1867.

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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Predecessore Fasti consulares Successore
--- 509 a.C.
Lucio Giunio Bruto[1]
con Lucio Tarquinio Collatino[2]
Tito Lucrezio Tricipitino I
e
Publio Valerio Publicola II
I
Tito Lucrezio Tricipitino I
e
Publio Valerio Publicola II
507 a.C.
con Publio Valerio Publicola III
Spurio Larcio I
e
Tito Erminio Aquilino
II

  1. ^ suffecti Spurio Lucrezio Tricipitino e Marco Orazio Pulvillo I
  2. ^ suffectus Publio Valerio Publicola I