Marco Orazio Pulvillo
Marco Orazio Pulvillo | |
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Console della Repubblica romana | |
Nome originale | Marcus Horatius Pulvillus |
Gens | Horatia |
Consolato | 509 a.C. 507 a.C. |
Marco Orazio Pulvillo (in latino Marcus Horatius Pulvillus; fl. VI secolo a.C.) è stato un politico e militare romano del VI secolo a.C. Due volte console, era un discendente di Publio Orazio, quello dei tre fratelli Orazi che era sopravvissuto allo scontro con i Curiazi, e zio di Orazio Coclite[1].
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Pulvillo, secondo Dionigi di Alicarnasso, ebbe un ruolo importante nella cacciata dei Tarquini e, secondo tutte le fonti, fu uno dei consoli eletti nel primo anno della repubblica (509 a.C.).
La maggior parte degli autori antichi affermano che Orazio Pulvillo fu eletto per sostituire Spurio Lucrezio Tricipitino che aveva sostituito Bruto ma che era morto, a causa dell'età, pochi giorni dopo la nomina[2].
Alcuni degli annalisti tuttavia affermano che Orazio fu il successore immediato di Bruto (Livio, II 8), mentre Polibio (III, 22) indica Bruto ed Orazio come primi consoli assieme. Un'altra differenza tra Dionigi e Livio si ritrova su un altro punto. Secondo Dionigi (V, 21) Orazio fu console una seconda volta assieme a Publio Valerio Publicola, nel terzo anno della Repubblica, (507 a.C.), mentre secondo Livio (II, 15), il collega di Publicola quell'anno fu Publio Lucrezio e non cita un secondo consolato di Orazio Pulvillo. La versione di Dionigi è suffragata da Tacito (Historiae, III, 72), che cita un secondo consolato di Orazio.
Il nome di Orazio Pulvillo è legato alla dedica del Tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio che, secondo Dionigi e Tacito, fu consacrato da Orazio nel suo secondo consolato.
La tradizione dice che era stato deciso a sorte che Orazio dovesse avere questo onore: mentre era sul punto di pronunciare le solenni parole di dedica, Marco Valerio Voluso Massimo, fratello dell'altro console Valerio Publicola, gli si avvicinò portandogli la falsa notizia che suo figlio era morto, sperando che Orazio esprimesse qualche tipo di lamento, che avrebbe interrotto la cerimonia e lasciato l'onore della consacrazione a Publicola. Ma Orazio non si fece disturbare da notizie funeste e si limitò ad ordinare di portare fuori il cadavere e proseguì nella consacrazione.
«[...] tenenti consuli foedum inter precationem deum nuntium incutiunt, mortuum eius filium esse, funestaque familia dedicare eum templum non posse. Non crediderit factum an tantum animo roboris fuerit, nec traditur certum nec interpretatio est facilis. Nihil aliud ad eum nuntium a proposito aversus quam ut cadaver efferri iuberet, tenens postem precationem peragit et dedicat templum»
«[...] mentre il console appoggiato allo stipite rivolgeva le sue preghiere agli dei, gli diedero la funesta notizia che il figlio era morto, egli non poteva consacrare il tempio mentre le avversità colpivano la sua famiglia[3]. Che non abbia creduto al fatto o che abbia mostrato grande forza d'animo, non ci è stato tramandato per certo né tale interpretazione risulta semplice. Senza lasciarsi distogliere dalla notizia, a parte per dare ordine di sepoltura del cadavere, mantenendo la mano sullo stipite, completò le preghiere e consacrò il tempio»
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Libro V, 23.
- ^ Livio, Ab Urbe condita libri, Libro II, 8; Dionigi, Antichità romane, Libro V, 19; Plutarco, Publicola 12.
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«La consacrazione di un tempio era cerimonia di competenza di consoli e magistrati coadiuvati dal pontefice massimo, il quale però non aveva parte attiva nel rito. L'officiante veniva eletto dal popolo (Livio, II, 27, 5, IV, 29, 7 e Cicerone Ad Atticum IV, 2, 3) e non tirato a sorte come invece sostiene Livio che inserisce questo particolare per abbellire letterariamente il racconto. Quanto poi al problema della presunta impurità di Orazio – che secondo altre fonti ottenne l'incarico solo in virtù di irregolarità commesse durante il voto – egli non risultava funestus in quanto il lutto che lo avrebbe reso tale venne annunciato solo a cerimonia iniziata.»
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Fonti primarie
- Cicerone: Pro domo sua, 54
- Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Libro V.
- Tito Livio, Ab Urbe condita libri, Libro II.
- Plutarco, Vite parallele, Solone e Publicola 12, 14
- Polibio: Storie, III 22
- Publio Cornelio Tacito: Historiae: III, 72
- Fonti secondarie
- William Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, vol. III, Little, Brown, and Company, Boston, 1867.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Marco Orazio Pulvillo
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Marco Orazio nel Dizionario di biografia e mitologia greco-romana di William Smith
- Antichità romane, Libri IV - VII
- (LA) Ab Urbe condita libri, Libro II, su thelatinlibrary.com.