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Questione bizantina

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
L'Impero Bizantino nell'anno 650. Come si nota dalla cartina, tutte le province meridionali erano già perse e occupate dagli arabi

Questione bizantina è un'espressione idiomatica della lingua italiana, usata per indicare una discussione inutile e sterile, che può anche risultare pericolosa in un frangente in cui occorre prendere decisioni rapidamente. Con lo stesso significato è usato il sostantivo bizantinismo[1]; l'uso si estende anche alle complicazioni procedurali della burocrazia, con riferimento al complesso cerimoniale della corte bizantina[1].

L'espressione è nata nel periodo immediatamente successivo all'assedio di Costantinopoli nel 674.[senza fonte] La città fu assediata dagli arabi dopo che questi avevano precedentemente conquistato Siria, Palestina ed Egitto, in un'avanzata inarrestabile durata dal 634 al 642. Prima dell'assedio, inoltre, i maomettani avevano saccheggiato l'Anatolia in diverse occasioni, con incursioni fulminee e sostanzialmente senza incontrare resistenza. Tuttavia, in quel frangente, a Costantinopoli la guerra con gli arabi non era il tema principale a tenere banco. Erano infatti celebri all'epoca le discussioni teologiche che si tenevano nei palazzi dell'Impero Romano d'Oriente su questioni marginali della liturgia e della religione. I teologi di Bisanzio, ad esempio, si chiedevano se Gesù, alla destra di Dio, fosse seduto o in piedi, o se nell'ostia consacrata il Salvatore fosse in corpo o in spirito.

Da allora si parlò di "questioni bizantine", per indicare appunto discussioni futili fatte mentre ci si dovrebbe occupare di problemi contingenti.[senza fonte]

  • Salvatore Di Rosa, Perché si dice, Club degli Editori, 1980.

Voci correlate

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