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Fabio Fognini

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Fabio Fognini (2014)

Fabio Fognini (1987 – vivente), tennista italiano.

Citazioni di Fabio Fognini

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Citazioni in ordine temporale.

  • [Sull'«incapacità di controllare le emozioni, le aspettative e la tensione sul campo»] È il mio lavoro, e quando sono in campo, voglio farlo al meglio e molte volte non capisco che in determinate situazioni devo giocare con quello che ho. Se domani ho cinque, devo giocare con cinque e non posso pretendere sette. Questo è quello che mi è sempre costato in tutta la mia carriera, mi ha portato a un livello alto ma non tanto come magari avrei potuto fare. È il mio limite.[1]
  • Molti dicono "devi imparare da Rafa [Nadal], devi imparare da Roger [Federer]", ma come fai? Di Rafa ce n'è uno, di Roger ce n'è uno.[1]
  • [Nel 2022] Devo essere onesto, il futuro che si presenta per questo sport [il tennis] non mi piace. Sarà che faccio parte di una generazione più vecchia, ma ormai vedi solo ragazzi che tirano "bombe" di servizio e di diritto. Non mi diverte. Quando smetterò di giocare, non lo guarderò in televisione e non comprerò un biglietto per vedere uno spettacolo simile. Non credo ne valga la pena.[2]

Intervista di Gaia Piccardi, corriere.it, 12 settembre 2020.

  • [«Fabio, quante volte?»] Quante volte cosa? [«Quante volte ha frantumato la racchetta per terra?»] Mai abbastanza.
  • Quando perdo la calma la bocca comincia a muoversi da sola [...]
  • [...] quando appenderò la racchetta al chiodo potrò dire di essere stato Fabio Fognini sotto tutti i punti di vista. Gli errori fanno parte della crescita: non me ne vanto, non ne vado fiero. E quando ho sbagliato ne ho sempre pagate le conseguenze. Mai avuto sconti in vita mia.
  • [«Per vincere devi per forza essere egoista?»] Sì ma per un tempo limitato. Mi spiego: quando io gioco contro di te non siamo amici, ma se poi vogliamo andare a bere una birra, io ci sto. Quello che succede in campo, finisce lì. Ecco perché dopo ogni multa o incidente di percorso sono sempre ripartito.
  • Non so neanche io perché mi succedono certe cose. [...] è come se in campo a volte Fabio smettesse di esistere e al suo posto arrivasse all'improvviso un altro tizio totalmente fuori controllo. Un nemico che mi porto dentro e che a volte non riesco a trattenere.
  • [«Fognini con un'altra testa avrebbe vinto molto di più [...]: verità o stereotipo?»] È tutta la vita che me lo sento ripetere, mi sono anche stufato. A me va bene così: sono entrato nei top-10 del ranking restando fedele a me stesso. Diventare come mi vogliono gli altri mi farebbe stare male.
  • [«Nessun rimpianto di non aver fatto il calciatore, magari dell'Inter, come sognava suo padre?»] Vicino a casa nostra, ad Arma, vivevano i Dellacasa: lui era il massaggiatore ufficiale dell'Inter ed era cliente al ferramenta di mio papà, che è anche un buon amico di Altobelli, tanto che nell'82 l'aveva invitato a seguire la Nazionale in Spagna per i Mondiali. Tutti i miei idoli di bambino sono calciatori: Materazzi il ribelle, Zamorano il guerriero. Con mio padre andavamo alla Pinetina a vedere gli allenamenti. Ma quando a 13 anni mi sono trovato davanti al bivio, non ho esitato: nel tennis sei solo, tuo il merito, tua la colpa. Non ci sono giustificazioni. È così che funziona.
  • Che, vi piaccia o no, siamo tutti un po' Fognini. Rassegnatevi.

Andrea Lamperti e Nicola Zapparoli, ultimouomo.com, 8 aprile 2023.

  • Io scivolo anche sul cemento e tutto questo scivolare e ripartire, scivolare e ripartire, gli appoggi... le articolazioni ne risentono. Sono sempre stato uno che a livello fisico deve stare in una certa maniera, quando è in campo. Non sono alto un metro e novanta, non posso scendere in campo non al meglio e cavarmela col servizio e la potenza. Stare bene fisicamente è fondamentale per me [...]
  • L'ho sempre detto, anche se può suonare male: spero che mio figlio non giochi a tennis. Perché so quello che ho fatto io, i sacrifici che ha fatto mio papà... non che io non sia disposto a farli per i miei figli, ci mancherebbe, però allo stesso tempo è dura, perché se vuoi provare ad eccellere, nel nostro sport ci devi mettere tanta dedizione. Magari è un aggettivo che può sembrare forte: "duro" è svegliarsi alle 4 del mattino e andare a lavorare. La nostra è una vita molto bella, ma ci sono mille difficoltà. Stare da soli, lontano da casa e dagli amici, i viaggi, la stanchezza, il fuso orario: ci sono tantissimi momenti che gli appassionati non vedono. Lo sanno quelli che ci stanno vicino, chi ci segue, quanto sia duro. E a queste cose ti devi abituare già da quando sei piccolo. [...] questa è una vita dura. Allo stesso tempo so che siamo molto fortunati. Io, alla fine, nella vita ho fatto di uno sport un lavoro, e riuscire a guadagnarsi da vivere in questo modo non è da tutti ed è un privilegio.
  • Sono consapevole che non posso piacere a tutti. Ma la cosa più importante, l'ho sempre detto e lo ripeto, è che il giorno in cui Fabio Fognini chiuderà la carriera, magari avrà qualche recriminazione, sì, ma ne uscirà a testa alta. Per la splendida carriera che ha avuto, e perché non è mai cambiato. [«A cosa ti riferisci?»] Sono sempre rimasto me stesso, a prescindere dai risultati, dalla popolarità, dalle notizie, da tutto quello che avevo intorno. E di questo sono orgoglioso, perché secondo me è importante. Penso che puoi essere Valentino Rossi, il numero uno al Mondo sulle moto, oppure Michael Jordan, Tiger Woods... ma se queste cose ti cambiano, mi scadi un po' come persona. Fare dei nomi non sarebbe giusto, ma penso che molti miei colleghi siano cambiati col successo, ed è una cosa molto triste.
  • Anni fa, ad esempio, io non ero pronto a capire i tifosi. [«Il pubblico degli Internazionali di Roma, per esempio?»] Sì, e quello di Roma è un pubblico particolare, che probabilmente il Fabio Fognini del tempo non era pronto ad accogliere, a metterselo sulle spalle e portarlo con sé. Con Roma, soprattutto da giovane, ho avuto un rapporto di amore-odio. Io sono sempre stato uno a cui piace giocare nei grandi stadi, con giocatori forti, con il tifo. Mi ha sempre gasato. Il pubblico di Roma poi è uno dei più belli in assoluto. I tifosi che parlano la tua lingua, ti conoscono, vogliono il meglio di te... giocare a Roma non ha prezzo. D'altra parte, però, tutto questo ti può anche giocare contro. Possono ucciderti. Sei talmente teso e vuoi talmente fare bene, che puoi fare fatica, ed è una cosa che mi è successa in passato. E non capivo perché loro non mi supportassero quando ero in difficoltà, quando ne avevo realmente bisogno. Questo amore-odio c'è stato per parecchio tempo. Poi, credo che ci siamo capiti e soprattutto che mi abbiano capito. Allo stesso tempo, probabilmente anche io ho imparato ad accettare che il pubblico avesse delle aspettative, quasi delle pretese, nei miei confronti. Io sono sempre stato uno molto irascibile, che ci mette grande passione, e questa cosa è venuta fuori soprattutto quando le cose andavano male. Mi frustravo, mi incavolavo, spaccavo una racchetta, bisticciavo con qualcuno... Ma non c'è un giusto o uno sbagliato, ognuno ha le sue maniere di esternare e di soffrire nel non riuscire.
  • Negli anni ho capito che nel tennis la componente psicologica è forse quella principale. C'è un enorme carico di tensione, e se si vuole eccellere, la mente fa tanto e soprattutto la mente mente, quindi devi allenarla. Come se fosse un muscolo, devi trovare la maniera. In passato pochi hanno allenato la mente come avrebbero potuto, ma secondo me è una cosa importante e oggi ci si lavora maggiormente. Io ho seguito sempre di più un certo tipo di allenamento mentale, se lo si può chiamare così, anche per l'esigenza di uscire da certe situazioni. [«Ti va di parlarne?»] Mi ricordo che un anno ero a Parigi, e una notte mi alzai quasi piangendo, vicino a Flavia [Pennetta]. Pensavo di morire. Stavo sudando, tachicardia, il braccio sinistro non lo sentivo, ho pensato "aiuto, mi sta venendo un infarto". E invece no, era un attacco di panico. Il giorno dopo sono entrato in campo e non sapevo che pesci prendere, non sapevo dove andare, non riuscivo a respirare bene. Questi attacchi di panico vanno gestiti, ci si deve lavorare, abituando la mente con degli esercizi ed essendo consapevoli che cose del genere possono succedere. All'inizio mi sono spaventato. Ma non come giocatore di tennis [...], come persona. Ho pensato: io così non voglio stare. Perché non si tratta di soffrire in campo, lottare, dare il meglio di me stesso, correre, vincere le partite: quella è una sofferenza che sono disposto a provare. Ma fuori dal campo non voglio soffrire in questa maniera.

Note

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  1. a b Dall'intervista di Diletta Leotta a Goal Deejay One to One, Sky Sport; citato in Luigi Gatto, Fabio Fognini: "Molte volte non capisco che devo giocare con quello che ho", tennisworlditalia.com, 16 novembre 2017.
  2. Citato in Fabio Fognini: "Il tennis di oggi non mi piace", tiscali.it, 11 febbraio 2022.

Voci correlate

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Altri progetti

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