Nadia Terranova
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Nadia Terranova (1978 – vivente), scrittrice italiana.
Citazioni di Nadia Terranova
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- Non c'è una grande differenza tra libri per grandi e libri per bambini. Le uniche possono essere: la lunghezza, per i bambini si tende ad essere più brevi, e il finale, in genere per loro, si tiene un finale più aperto e di speranza. Il libro per bambini è come una catarsi, ad un certo punto cappuccetto rosso deve uscire dal bosco. Non mancano nei miei libri per bambini temi forti come la malattia, la morte, le perdite, la sensazione di inadeguatezza. Però, per raccontarli a loro, si utilizzano dei simboli piuttosto che la narrazione in maniera cruda.[1]
- [«A cosa ci servono, i premi letterari?»] Servono comunque a dare la conferma a uno scrittore di star facendo bene, di essere sulla strada giusta. Servono, e sono serviti per me anche economicamente, perché mi hanno consentito di lasciare definitivamente lavori che facevo prima e non mi piacevano, e di crearmi una base solida da cui partire per la scrittura.[2]
- [Sul Festival di Sanremo 2020] Non potevamo perderci per niente al mondo lo spettacolo d'arte varia di un Sanremo inattrezzato come certi maschi alle prese con i femminismi, un festival che per non scontentare nessuno le tenta tutte: il monologo sulla violenza, il sermone sulla bellezza, le stecche dell'uomo che piange perché si sente inadeguato a interpretare una donna, il tentativo maldestro di fare del "passo indietro" un tormentone, le artiste unite dalla sorellanza, l'evocazione comico-medianica di una delle donne più potenti della tv, le gaffe di quello che si è iscritto alla laurea breve per acquisire il lessico corretto in una settimana e se ne esce con cose tipo "l'artista femminile", l'effetto soporifero di quell'altro che per cinque minuti ha avuto un momento di gloria perché una volta aveva insultato le ragazze in una canzonetta, il permesso prima di presentare qualcuna come bella e sempre precisando: e intelligente, le pacche sulla spalla fra maschi "eh ma non si può più dire niente", i baci tra maschi per significare che invece loro sono aperti, la tanto intensa lettura della Bibbia laddove un tempo era tutto uno sparigliante inno alla patonza. Insomma, il caos, l'imbarazzo, il disagio.[3]
Intervista di Nicola Mirenzi, huffingtonpost.it, 2 giugno 2019.
- I miei genitori erano separati, comunicavano solo tramite lettere. E io avevo la sensazione che mia madre, quando le dettavo i messaggi che volevo inviare a mio padre, non le riportasse fedelmente. Così, grazie a mia nonna, che era una maestra, imparai pian piano a scrivergliele per conto mio. Ogni settimana, pensavo alla cosa che volevo dirgli e, poi, mi davo da fare per trovare le parole giuste per sedurlo, oppure divertirlo, stupirlo, conquistarlo. Facevo di tutto per catturare la sua attenzione. A volte inventavo delle storie che non avevo davvero vissuto. Non ero bugiarda. [...] Prendevo il materiale autobiografico che avevo e lo plasmavo in funzione della storia che volevo raccontare. L'ho fatto fino agli undici anni, quando mio padre è morto.
- A me di raccontare la realtà in presa diretta non mi importa niente, non sento nessun dovere di testimoniare nient'altro che il mio mondo interiore. La mia visione del mondo. La letteratura non deve raccontare i fatti. Racconta ciò che, dei fatti, un articolo di giornale non può riportare, in un'intervista non si può dire, in un saggio è inutile prendere in considerazione.
- [Sull'interesse per il Luteranesimo] Io non ero affascinata dal contenuto dei testi, ero rapita dalla meccanica con la quale un'innocua stampa su un foglio di carta è riuscita a scatenare una rivoluzione, trasformando una delle tante eresie del cristianesimo in una religione capace di contendere la parola sacra alla Chiesa cattolica. Un'intuizione geniale, basata sul fatto che le persone potevano finalmente leggere la traduzione della Bibbia e si passavano dei libelli di mano in mano. La disintermediazione e la viralità, diremmo oggi.
- I social divulgano solo un sentimento: l'indignazione. [...] È l'impulso che meno mi appartiene e più mi interessa, inafferrabile come è. Ogni giorno, ci sono centinaia di cose al mondo per cui varrebbe la pena incazzarsi e nessuno è ancora riuscito a capire perché i social scelgano, sistematicamente, la cosa più cretina. E, quando la scelta cade su una cosa giusta, la mobilitazione collettiva fa leva sulle ragioni sbagliate. È una legge dei social. Uno spettacolo strepitoso, che fa spavento. [«Perché?»] Perché l'indignazione social segue la dinamica della folla manzoniana, è capace di tutto, per i più futili motivi. Addita una persona per una leggerezza, una sbavatura, una smorfia, oppure un malinteso. E non c'è niente con cui, chi è messo alla gogna, può difendersi. Osservare questo movimento è come spiare, periodicamente, l'inferno.
Intervista di Ombretta Grasso, lasicilia.it, 21 agosto 2022.
- [Sullo Stretto di Messina] È il luogo dei miei tre romanzi, ma anche di altri scritti. E’ per me una fucina di storie, di miti, di invenzione, di ricordi. Un grande luogo dell’immaginazione. Se lo Stretto diventa il luogo letterario d’elezione bisogna affondare dentro la sua storia che è fatta di distruzioni ricorrenti fino ad arrivare a quella più grande del 1908. Scrivere è stato un corpo a corpo con la storia della città. Mi sono documentata moltissimo, ho letto saggi, testimonianze, cronache degli inviati dell’epoca. Ho letto molto su usi e costumi del tempo per ambientare le mie due storie parallele.
- Vivere in un’altra città ha fatto sì che potessi guardare la Sicilia con il giusto distacco, nella lontananza è possibile una mediazione letteraria. La Sicilia è ricca di storie, di luoghi che forse hanno bisogno che la loro identità venga riconosciuta. Messina è tra questi. Perché ha una forte identità ma è stata spazzata via dal continuo ripetere che tutto è andato via col terremoto, che tutto è stato distrutto, che è una città che non ha più nulla. Invece qualcosa c’è, fosse anche “il terremoto”. Allora, proviamo a dirlo.
- Credo che una delle possibilità di cambiamento che ha l’uomo passi attraverso la cultura, letteratura, la narrazione delle storie, il racconto di ciò che avviene. Messina, e la Sicilia, hanno bisogno di essere narrate fuori dagli stereotipi, non semplicemente come luoghi da cartolina, ma con più onestà, con più verità.
- [«La Sicilia cos'è per lei?»] Un continente. Mi piacerebbe dire che è casa, ma non vorrei che sembrasse che vengo in Sicilia per riposarmi, è anche spinoso come continente. È contemporaneamente il luogo per me più familiare e il mio estero, mi sorprende continuamente.
- [A proposito del Ponte sullo Stretto di Messina] Sono completamente, totalmente, contraria. Lo Stretto è la cosa più bella che nessuno potrà mai togliere a Messina e Reggio Calabria, lo Stretto è il nostro patrimonio. Il Ponte avrebbe due catastrofiche conseguenze, la prima continuate a considerare Messina una città di passaggio, perché con il ponte attraversi e le poche possibilità di fermarsi diventano zero e poi deturperebbe completamente il paesaggio e la possibilità di usufruire delle spiagge bellissime che ci sono. E poi, dopo anni di studi non è mai stato limpido il progetto sulla sua realizzazione. Lo lascerei tra i fantasmi dello Stretto.
- [«Un autore determinante nel suo percorso?»] Vittorini, l’incontro con “Conversazione in Sicilia” è stato fondamentale. Ho scritto la prefazione dell’ultima edizione di Bompiani, per me è il libro che ha fatto la differenza. Il libro archetipico del ritorno in Sicilia, forse il libro di noi tutti che siamo un po’ ulissidi. Partiamo ma teniamo sempre la Sicilia nel cuore.
Gli anni al contrario
[modifica]- Aurora e Giovanni avevano deciso che si sarebbe chiamata Mara. Come la ragazza di Bube, aveva detto Aurora. Come Margherita Cagol, aveva aggiunto Giovanni.
- Dicevamo famiglia: io pensavo a costruire e tu a circoscrivere; dicevamo politica: io ero entusiasta e tu diffidente. Io combattevo, tu ti rifugiavi. Se non ci fosse stata Mara ci saremmo persi subito, ma almeno non avremmo continuato a incolparci per le nostre solitudini.
- Dalle finestre si vedevano la Calabria e lo Stretto poco prima che sfoci in mare aperto, quel mulino di correnti dove lo Ionio sta per incontrare il Tirreno rendendo Messina la città dei due mari.
- Giovanni utilizzò un permesso breve per andare in Emilia a un concerto di Pierangelo Bertoli, che era stato marxista-leninista come lui. In quella regione Giovanni aveva i suoi ricordi più importanti, da Gipo al Convegno di Bologna. Bertoli si dichiarava ancora marxista-leninista, e in cuor suo anche Giovanni.
Note
[modifica]- ↑ Dall'intervista di Serena Granata, Nadia Terranova: "I miei anni al contrario, premi e successo grazie al passaparola", bergamonews.it, 23 marzo 2017.
- ↑ Dall'intervista di Anna Mallamo, Il Premio Strega e la conquista della finale, la messinese Nadia Terranova: "Il mio libro è lo Stretto", gazzettadelsud.it, 15 giugno 2019.
- ↑ Da Il Festival è Achille Lauro con un Sanremo intorno, linkiesta.it, 8 febbraio 2020.
Bilbliografia
[modifica]- Nadia Terranova, Gli anni al contrario, Einaudi, 2015.
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