- Professore associato, abilitato a ordinario, di storia dell'arte moderna e contemporanea presso l'Università degli St... moreProfessore associato, abilitato a ordinario, di storia dell'arte moderna e contemporanea presso l'Università degli Studi "Suor Orsola Benincasa". Nato a Napoli il 25 novembre del 1966, ha compiuto a Firenze gli studi con Carlo Del Bravo e Mina Gregori, laureandosi, nel giugno del '91, con la Gregori, Ferdinando Bologna correlatore; nel 1987 ha preso parte a un riordino della fototeca Longhi. A Napoli, svolto un dottorato con la Sricchia Santoro, ha lavorato con Bologna a partire dal 1990, collaborando alla mostra su "Battistello e il primo naturalismo a Napoli" (1991) e sviluppando su 'Paragone', sul 'Bollettino d'Arte' e su 'Prospettiva' tracce del catalogo di quella mostra. Ha una formazione di pretto conoscitore longhiano che ha integrato con incursioni nella storia della critica (risale al 2001 un libro su Longhi e la modernità), e nella pittura novecentesca italiana e francese (del 2003 un volume su Balthus; del 2008, una mostra su Anna Salvatore e il neorealismo; del 2009 un'esposizione su questioni di futurismo a Napoli), nonché nella museografia e nella storia delle esposizioni (due libri sulla mostra del 1938 sui tre secoli della pittura napoletana e su quella del 1964 sulla natura morta). Ha lavorato su aspetti della grafica e della pittura del '500 (da Battista Franco al Granello fino a Teodoro d'Errico, Imperato, Valeriano e Pulzone, Azzolino e al siciliano Pietro D'Asaro). Le ricerche sei e settecentesche sono invece confluite in un volume su Battistello (2000), passando per una raccolta di saggi (la "Strategia dell'attenzione" del 2007) e per un volumetto su Salvator Rosa (2009). Sulla figura di Battistello è tornato in una mostra, curata nel 2019 presso la Pinacoteca Sabauda di Torino. E sul Caracciolo ha curato una mostra apertasi a Capodimonte il 9 giugno 2022. Gli affondi su Giordano sono documentati in un saggio sulla rivista 'Kronos' (2005), in almeno due contributi su Giordano negli anni 1660, e nel catalogo di una mostra monografica sul pittore, da lui curata, apertasi al Petit Palais di Parigi il 12 novembre del 2019. Una redazione diversa dell'esposizione su Giordano, da lui curata con Patrizia Piscitello, si è aperta a Capodimonte l'8 ottobre 2020. Quanto al pieno '6oo e al '7oo, si è occupato soprattutto di Stanzione, di Pacecco de Rosa, di Onofrio Palumbo, di Marullo, di Farelli, di Traversi, del genovese Maja, di Solimena e di De Mura con interventi sulle riviste 'Confronto', 'Kronos' e 'Paragone'. Del viterbese Domenico Corvi ha scoperto un dipinto cruciale nelle raccolte del Pio Monte. Per l'800 ha incentrato il lavoro soprattutto sui paesisti stranieri a Napoli (al 2004 risale una mostra monografica su Pitloo curata insieme a Marina Causa e un libretto su Pitloo e Raffaello Causa); ma si è occupato anche di Francesco Hayez e Domenico Morelli in relazione al melodramma verdiano e alla pittura 'come suggerimento del teatro', nonché di problemi di malasorte della scultura meridionale ottocentesca e di primo '9oo. Quanto all'arte napoletana presente, si è occupato di Gian Potito De Sanctis, di Christian Leperino, di Jodice, di Pedicini, di Angelo Antolino e di Camillo Ripaldi, su cui ha organizzato una mostra nel 2003. ha scritto inoltre su Salvatore Emblema (2022). Nel 2019 ha curato, a Capodimonte, un'esposizione del maestro di Anversa Jan Fabre. Dentro un progetto di lavoro, in progress, sulla critica d'arte a Napoli nel corso del '9oo, specie di matrice longhiana, ha pubblicato saggi su Bologna, su Causa, su Marina Causa, su Previtali e sulla Gregori. E' supervisore delle collezioni seicentesche di Capodimonte (dal 2018) e, dal 2011, si occupa di promuovere la conoscenza della Cappella del Tesoro di San Gennaro con una serie di volumi (l'ultimo nel 2018). Su incarico del direttore di Capodimonte sta riallestendo, dal novembre 2020, le sale sei e settecentesche del secondo piano (inauguratesi il 31 marzo '22), e quella della Farnese al primo, in collaborazione con Patrizia Piscitello e Alessandra Rullo. Sta curando, su incarico di Massimo Osanna, il riallestimento del Museo della Basilicata in Palazzo Lanfranchi a Matera (2022-2023). Fa parte, inoltre, dal maggio 2019, del Comitato Scientifico del Pio Monte della Misericordia. Dal 2022 è nel comitato scientifico della Fondazione Amedeo Modigliani. E' nel vetting della Biennale dell'Antiquariato di Firenze di Palazzo Corsini dal 2019. Fa parte del comitato scientifico delle riviste 'Studi di storia dell'arte' (Todi) e 'Confronto'. Negli anni 1980 e nei primi anni '90 ha scritto per 'Napoli Oggi', 'Il Giornale di Napoli' e 'Il Mattino'; collaborando con la 'Nazione' di Firenze e il 'Resto del Carlino' di Bologna; suoi articoli sono apparsi sul 'Giornale dell'Arte' (con cui collabora tuttora), 'Segno Cinema', 'Art Dossier', 'Bell'Italia', la 'Gazzetta Antiquaria', la 'Repubblica', il 'Corriere del Mezzogiorno' e la rivista dell'Enciclopedia Italiana'. E' appassionato di civiltà musicale afro-americana.edit
Su alcuni dei quadri più belli della nostra vita sono venute a posarsi le mosche. Nel ritratto di certosino del quattrocentesco Petrus Christus un esemplare corre sul bordo della tavola. Come dire: dentro e fuori il dipinto. Mosche... more
Su alcuni dei quadri più belli della nostra vita sono venute a posarsi le mosche. Nel ritratto di certosino del quattrocentesco Petrus Christus un esemplare corre sul bordo della tavola. Come dire: dentro e fuori il dipinto. Mosche domestiche, dalle ombre rigorosamente portate, zampettano sui parapetti delle Madonne venete di Carlo Crivelli e una indugia poco sopra il capezzolo del Cristo di Giovanni Santi, il babbo di Raffaello. Mosche svolazzano nel teschio su tavola di Maurizio Bottoni come se, nel 2001, fosse quello il vero e unico labirinto di Fontanellato; mosche intrudono le nature morte seicentesche e, nel 1970, finiranno per posarsi sulle labbra di Yoko Ono, non ancora vedova Lennon. Stanche della micrografia fiamminga, cresceranno a dismisura. Nel film di David Cronenberg del 1986 uno scienziato capace di tele trasportarsi si trasforma in una mosca maxi king.
Difficile dire quanti da noi passeranno l'estate al segno di Misericordia di Benito Pérez Galdós: duecentocinquanta pagine senza un attimo di tregua, figurativamente densissime e che oggi vorremmo tirare dalla nostra parte come lezione... more
Difficile dire quanti da noi passeranno l'estate al segno di Misericordia di Benito Pérez Galdós: duecentocinquanta pagine senza un attimo di tregua, figurativamente densissime e che oggi vorremmo tirare dalla nostra parte come lezione sulla pittura spagnola. Difficile dirlo. Ma temo saranno in pochi a sporcarsi le ferie con questo urticante episodio di caravaggismo moderno che mescola, nel 1896, notizie fresche degli straccioni di Ignacio Zuloaga (1870-1945) e dei santi e mostri di Ribera e Goya giusto quando Picasso, adolescente talentuoso come altri, è già Picasso e non è ancora Picasso. Che, dal canto suo, non avrebbe mai avuto il coraggio di trascinare a Parigi, nei bassifondi stilizzatissimi di Toulouse-Lautrec, i pezzenti di Misericordia. Autentici professionisti dell'accattonaggio compaiono, dalle prime pagine, mentre si distribuiscono in chiesa contendendosi, per anzianità e prestigio, i posti migliori dove arriverà l'obolo. Lo storpio, il cieco, un vecchio che «doveva avere il corpo di bronzo, e alcool o mercurio al posto del sangue». E diverse donne (una con «la faccia lunghissima come se gliela stirassero a macchina ogni giorno, schiacciandole le guance…, con gli occhi sporgenti, spaventati, senza né luce né espressione…il naso adunco, sgraziato; a grande distanza dal naso le labbra sottilissime, e infine la mascella lunga e ossuta…come un cavallo vecchio»). Galdós sapeva di allinearsi dentro una filiera di cantori della miseria. Per chi sia sceso alle stazioni salienti del siglo de oro il rinvio è all'apparizione del dottor Cabra in avvio del Briccone di Quevedo, scritto quando Caravaggio sbarcava a Napoli la prima volta. Ma l'omaggio è privo dell'accumulazione caricata di quel capolavoro seicentesco. Come se, a distanza di quasi tre secoli, non si potesse dar luogo che a un Barocco disciplinato e senza gioie. I poveri sono poveri. Stracciati e insani di corpo e di mente. Potranno, al limite, abbozzare un sorriso per farsi compatire (come il mendicante di Ribera al Louvre dal piede equino e i denti marci che, a figura intera, ci sollecita in latino: «Fammi l'elemosina per grazia di Dio»). Ma alla fine dell'800 il soccorso alle metafore e alle immagini ingegnose non basta a redimere: né loro né il lettore. Non sapremmo soppesare la fortuna italiana anche recente di uno scrittore sbrigato come capofila del realismo spagnolo ottocentesco per quanto abbia retto lo sforzo sino al 1920 (come molti maestri che costringiamo a forza in un secolo, sebbene morissero con uno o tutti e due in piedi in quello nuovo da Gemito a Degas). Uscito nel decennio dei Viceré di De Roberto, della Bocca del Lupo di Remigio Zena, del Paese di Cuccagna della Serao e di Senilità di Svevo, Misericordia di Pérez Galdós, epopea al rovescio di autentici virtuosi dell'elemosina viene solitamente presentato con la scorta di
Chissà che il culmine della fortuna del pittore savonese Cesare Tallone, scomparso a Milano nel 1919, non stia nell'aver servito da copertina all'edizione Mondadori di Amore e ginnastica (1892) di Edmondo De Amicis. Come un Degas in salsa... more
Chissà che il culmine della fortuna del pittore savonese Cesare Tallone, scomparso a Milano nel 1919, non stia nell'aver servito da copertina all'edizione Mondadori di Amore e ginnastica (1892) di Edmondo De Amicis. Come un Degas in salsa sabauda l'«Alessandro Pirovano» della pinacoteca di Brera è la copertina perfetta per le pagine di quest'altro ligure fattosi per tempo torinese. Lo schermidore baffuto di Tallone non sfigurerebbe in una vicenda frizzantina di insegnanti di ginnastica, amiche zitelle, presidi, zii maturi che dispensano strategie di corteggiamento a nipoti trentenni che ne dimostrano cinquanta. Si muovono dentro appartamenti bene di Torino o all'ombra di pianerottoli buoni a incontri casuali, ovviamente fugaci. Si discetta di ginnastica da insegnare nelle scuole (come già si faceva nella Germania guglielmina), tra mille riserve e qualche timore (la «ginnastica sforma il bel sesso»), per quanto già Parini avesse avvertito: «che non può un'alma ardita | se in forte membra ha vita?»! Chi abbia amato La Stanza del Vescovo, il Cappotto di Astrakan o il Pretore di Cuvio sa da dove è partito Piero Chiara. Intanto Amore e Ginnastica era piaciuto a un terzo ligure come Calvino, deciso a scortare il lettore dell'edizione Einaudi del 1971 (in copertina il saltatore in alto di Muybridge). Due anni dopo quelle pagine origineranno un film di Luigi Filippo d'Amico con Senta Berger, Lino Capolicchio e Adriana Asti (mai più così in parte nessuno dei tre). E in questo garbatissimo lavoro del 1973 (cui il costumista Giancarlo Bartolini Salimbeni si preoccupò di dare vesti, luci e mobili giusti) fa capolino il generale Antonino Faà di Bruno, dal viso irrefutabilmente umbertino e che, nell'archetto di un triennio, saltava dal set felliniano di «Amarcord» (pure del '73) al «Secondo tragico Fantozzi». Tra libro e film si naviga sapientemente tra il dire e il non dire, tra il vedo (pochissimo) e il non vedo; ma sarebbero bastati due o tre anni, oltre a un netto calo di pretese, perché l'amore, e anche la ginnastica, da De Amicis compressi più che compresi, esplodessero, in tutti e con tutti i sensi, nel filone scollacciato (si dice ancora così?) del nostro cinema. Tra dottoresse, soldatesse, liceali e assistenti sociali, quei film, che da alcuni anni stiamo rivedendo in ragione e razione di pillole quotidiane sui social, sono il canto e il discanto del decennio delle stragi. Quanto all'insegnante di ginnastica, diverrà un topos di un regista non privo di guizzi, Nando Cicero, l'uomo di «Ultimo tango a Zagarol» (uscito nel 1973). Spalle e caratteristi dalle inflessioni diverse come Enzo Cannavale, Renzo Montagnani, Mario Carotenuto, Lino Banfi e Gianfranco d'Angelo dirigono il coro degli allupati perenni capitanato, come tutti sappiamo, da Alvaro Vitali. Sulle ovvie derive del romanzo di De Amicis, D'Amico aveva visto giusto. Trasposto in epoca fascista Amore e Ginnastica è un preludio di «Amarcord»;
Schede di Sebastiano del Piombo, Rosso Fiorentino, Scipione Pulzone, Louis Finson, Artemisia Gentileschi, Pietro Novelli, Mattia Preti, Battistello Caracciolo in "Capodimonte da Reggia a Museo. Cinque secoli di capolavori da Masaccio a Andy Warhol", catalogo della mostra, Reggia di Venaria 2024.more
si è cimentato nell'ardua opera di raccontare l'artista come non se l'avessimo mai visto, con accostamenti nuovi e brillanti
Un album da riempire. Procida tra cartoline e copertine Bell'Italia In this essay I tried to reexamine , analyzing some ancient and modern paintings, the iconographic history of Procida starting from the second half of the 18th century.... more
Un album da riempire. Procida tra cartoline e copertine Bell'Italia In this essay I tried to reexamine , analyzing some ancient and modern paintings, the iconographic history of Procida starting from the second half of the 18th century. The theme is still little known and deserves to be investigated in a systematic way.
Viaggi inconsueti dentro, sotto e di lato alla storia dell'arte attraverso le «robes de chambre», intrapresi da Arabella Cifani e Stefano Causa
Da Zucchero ai Carracci: natura ed espressione nel blues bologneseemiliano Nel giugno 1989 Adelmo Fornaciari, in arte Zucchero, nativo di Roncocesi, sette chilometri da Reggio, pubblica «Oro incenso & birra», piaccia o meno uno dei dischi... more
Da Zucchero ai Carracci: natura ed espressione nel blues bologneseemiliano Nel giugno 1989 Adelmo Fornaciari, in arte Zucchero, nativo di Roncocesi, sette chilometri da Reggio, pubblica «Oro incenso & birra», piaccia o meno uno dei dischi fondamentali della scena italiana di fine secolo. Si tratta di un titolo irriverente come impone quel sano spirito blues che, dagli Stati americani del Sud alla provincia di Reggio, sa di sangue, sudore e lacrime, natura ed espressione (e qui al gusto di gnocchi fritti). «Immacolata concezione» di Jusepe de Ribera (1635) Mettici che il titolo è una paronomasia. Accostare parole dal suono simile ma di significato diverso. Se ne dilettava Ennio Flaiano, che non sono in molti a leggere per intero essendosi adattato come pochi alla riduzione aforistica della cultura in rete. E dopo di lui? Maestri di malapropismi sono Totò e quel suo garbato divulgatore siculo che si chiama Nino Frassica: «Occorre tagliare la testa al topo, è successa una cosa di una certa gravidanza, qui lo dico e qui lo annego…». Quanto ai Magi sappiamo bene cosa portassero. Ma qui di birra ne