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  • Daniele Manacorda (Roma 1949) has been full-professor of Methodologies and Techniques in Archaeology at the Universit... moreedit
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A proposito di archeologia preventiva: una riflessione di cornice Some considerations regards to archaeological risk assessment Abstract Il contributo propone una riflessione sul valore civile e sociale dell'archeologia nei confronti... more
A proposito di archeologia preventiva: una riflessione di cornice Some considerations regards to archaeological risk assessment Abstract Il contributo propone una riflessione sul valore civile e sociale dell'archeologia nei confronti delle rapide trasformazioni-fisiche e culturali-che attraversa-no il mondo contemporaneo. La storia della tutela del patrimonio testimonia relazioni diverse tra archeologia e società, e l'esigenza di una maggiore consape-volezza della storia costituisce forse la maggiore emergenza per le generazioni future, affinché le comunità possano continuare a garantire la conservazione e il godimento pubblico dei siti archeologici. L'archeologia preventiva media fra due esigenze che legittimamente si fronteggiano-progettazione e tutela-spesso determinando scelte e selezioni analoghe a quelle imposte dallo stesso scavo archeologico, che è smontaggio analitico e ricostruzione argomentata. In tale direzione il dialogo interdisciplinare e il coinvolgimento degli arche-ologi nella prefigurazione delle trasformazioni territoriali sono tasselli fonda-mentali. L'auspicio è che l'enorme quantità di dati che l'archeologia preventiva sta producendo possa tradursi in qualità di conoscenze che possano garantire un contributo fattivo al miglioramento degli insediamenti contemporanei. This contribution offers some reflections on the social and civil values of archaeology with regards to the rapid physical and cultural transformations in the contemporary world. The story of the conservation of the archaeological patri-mony testifies differing relationships between archaeology and society, and an emerging theme is the need for a greater understanding of the past and the continuing possibility for future generations to enjoy the conservation and access to archaeological sites. Archaelogical evaluation necessarily mediates between two demands-conservation and planning-often requiring choices similar to that of the archaeological excavation, methodical deconstruction and well thought out reconstruction. The interdisciplinary approach with the participation of archaeologists in the prevision of territorial changes is fundamental. The hope is that the enormous quantity of data that the archaeological risk assessment is producing can give a qualitative improvement to the planning of contemporary settlements. La gestione dell'aspetto archeologico nella progettazione ed esecuzione delle piccole e grandi infrastrutture come, più in generale, nella pianificazione ter-ritoriale e paesaggistica è un tema che ormai non si limita a prese di posizione di principio, ma si misura con la quotidianità dei lavori sul campo e con i pro-blemi specifici che ogni situazione comporta, pur nel quadro di una prospetti-va condivisa. In queste pagine non entreremo nel merito delle procedure, che sia le norme del Codice degli Appalti, sia la pratica delle esperienze recenti e in atto, hanno sottoposto al vaglio di una sperimentazione ormai rilevante 1. Preferiamo piuttosto soffermarci su alcune considerazioni di fondo (o forse Daniele Manacorda, già professore ordina-rio di Metodologia della ricerca archeologica presso le Università di Siena e Roma Tre. Si è a lungo occupato, fra l'altro, dei rappor-ti fra archeologia e società contemporanea. Attualmente è membro dei Consigli di am-ministrazione del Parco archeologico del Colosseo e della SABAP di Roma; è inoltre componente della Commissione scientifica delle Scuderie del Quirinale.
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ARCHEOLOGIA.-Umanesimo e scienze. Un triangolo virtuoso. L'archeologia del contem-poraneo. L'archeologia dei paesaggi rurali e ur-bani. La fragilità del patrimonio. A chi appar-tiene il passato? L'archeologia pubblica. Una propensione... more
ARCHEOLOGIA.-Umanesimo e scienze. Un triangolo virtuoso. L'archeologia del contem-poraneo. L'archeologia dei paesaggi rurali e ur-bani. La fragilità del patrimonio. A chi appar-tiene il passato? L'archeologia pubblica. Una propensione metodologica. Bibliografia L'archeologia, in Italia e non solo, ha conosciuto un cambiamento radicale di paradigma a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo. Ha consolidato il suo carattere di scienza storica, progressivamente emancipatasi dalla tradizione antiquaria e dalla con-fusa identificazione con la storia dell'arte antica; si è aperta definitivamente all'apporto paritario delle scienze esatte e naturali per la descrizione e interpre-tazione dei contesti; ha preso piena coscienza della centralità del metodo stratigrafico nel suo approccio al sottosuolo, alle architetture e ai paesaggi rurali e urbani; si è aperta a una visione olistica della ricerca e del suo ruolo nella società. Umanesimo e scienze.-L'archeologia che il 20° sec. ci lascia in eredità si presenta pertanto come una disciplina di salda matrice umanistica, ma fortemente intrisa dei presupposti e delle procedure del metodo scientifico, che aiuta a superare la reticenza dei reperti: formula ipotesi interpretative, propone descrizioni e modelli e sottomette a verifica le soluzioni proposte, in modo che altri ricercatori possano valutare la fon-datezza delle premesse e la validità delle conclusioni. Per questo motivo si basa sulla condivisione di un ri-gore metodologico nella costruzione dei dati e quindi sulla fiducia circa la possibilità di attingere a un livello accettabile di generalizzazioni, purché siano basate sul-l'analisi di campioni adeguati. Ma tiene conto del fatto che anche le più aggiornate metodologie non sono mai neutrali e che i fattori soggettivi, che influenzano l'in-terpretazione dei dati archeologici, per la loro carica di creatività, stimolano positivamente la ricerca e danno spazio alla libera convivenza di una pluralità di punti di vista. L'archeologia non pretende infatti di svelare verità, ma cerca argomentazioni plausibili; non si mi-sura con leggi universali inapplicabili all'uomo, ma con il contesto, inteso come quella situazione in cui uno o più oggetti o le tracce di una o più azioni si pre-sentano all'interno di un sistema coerente in un rap-porto reciproco nello spazio e nel tempo sulla base di relazioni di carattere funzionale. Un triangolo virtuoso.-Lo spalancamento dei territori dell'archeologia è stato reso possibile dal fatto che è divenuto pienamente operante un approccio me-todologico, intuito all'inizio del 19° sec., basato su di un triangolo virtuoso di indagini stratigrafiche, tipo-logiche e tecnologiche, che supportano la ricostru-zione dei modi di vita delle comunità umane e la loro evoluzione nel tempo. Le prime consentono di porre i dati in un sistema controllato di relazioni spazio-temporali; le seconde permettono l'elaborazione di corpora di classi documentarie di manufatti organiz-zati per forme e funzioni, utilizzabili come fonti utili per la comprensione dei contesti; le terze permettono di definire la qualità delle materie utilizzate e le tec-nologie delle loro trasformazioni e dei loro usi. Questa condivisione metodologica ha contribuito a tenere saldamente unite le tante diverse archeologie, applicate a singoli ambiti cronologici o geografici, che hanno definitivamente travalicato ogni limite di spa-zio e di tempo. L'estensione dei compiti dell'indagine archeologica a tutto il tempo storico e all'intero pia-neta affonda le sue basi nella progressiva scoperta delle remote origini dell'uomo, nell'espansione coloniale e commerciale con l'emergere delle civiltà sepolte un tempo ignorate e ora apparse sul palcoscenico della storia e infine nell'esplosione del concetto stesso di do-cumento storico. Continuando a esprimere il deside-rio di conoscenza e riflessione sul passato dell'uma-nità espresso dall'etimologia del suo nome, l'archeologia contemporanea ha superato definitivamente la sua ori-ginaria identificazione con lo studio del mondo antico inteso come luogo privilegiato del passato (v. antico). In Italia e non solo questa nuova prospettiva ha visto così l'impetuosa crescita dell'archeologia medievale e, in generale, di quelle che vengono definite archeologie postclassiche. Se dunque prima dell'alba del 20° sec. uno studente di archeologia all'inizio dei corsi avrebbe appreso che l'oggetto del suo studio sarebbero stati «i prodotti delle arti figurative in tutta la loro ampiezza» (E. Loewy, Sullo studio dell'archeologia, 1891, p. 4), il travaglio epistemologico del Novecento descrive ormai la di-sciplina in termini assai più ampi, come una forma di conoscenza che si occupa delle società del passato e delle relazioni che queste hanno avuto tra di loro e con l'ambiente, a partire dai loro resti materiali mobili e immobili, tracce dirette e coeve di un processo di pro-duzione, scambio, uso e scarto. Da questo interesse verso la totalità delle tracce (archeologia globale) ha tratto origine una maggiore attenzione anche verso il loro inquadramento ecolo-gico e il contesto naturale nel quale si sviluppano le attività umane con le conseguenti capacità di adatta-mento e di trasformazione dell'ambiente (v. ambiente) in relazione al clima, alla morfologia del territorio, alla qualità dei terreni e delle loro risorse (archeologia ambientale). Agendo su di un piano di parità nei confronti del-l'approccio storico tradizionale, l'archeologia con-temporanea può formulare ricostruzioni storiche glo-bali, fondate su solide analisi di singoli contesti inquadrati nella lunga durata del divenire (v. storia). I dati della topografia storica e della storia istituzio-nale, delle forme economiche che regolano i processi sociali di produzione, accumulazione e distribuzione della ricchezza, delle tracce del pensiero filosofico o religioso, nonché la lettura antropologica del rapporto 78 ARCHEOLOGIA
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Daniele Manacorda Un museo vivo può esistere? C'è! Il patrimonio culturale è il frutto della conti-nuità o della discontinuità? È ciò che resta o ciò che abbiamo voluto che restasse, accettando o favorendo che assumesse una funzione... more
Daniele Manacorda Un museo vivo può esistere? C'è! Il patrimonio culturale è il frutto della conti-nuità o della discontinuità? È ciò che resta o ciò che abbiamo voluto che restasse, accettando o favorendo che assumesse una funzione diversa da quella originaria? Sono domande sensate? Presu-mo di sì, anche se si tratta di quel tipo di interroga-tivi che ha per definizione una risposta plurima, o plurale, cioè orientata dal punto di vista dal quale osserviamo il problema. Continuità e discontinu-ità sono comunque funzioni del tempo, che è, in-sieme con l'uomo e la natura, il vero protagonista della storia del patrimonio. Il tempo è la macchina del cambiamento, il luogo dentro il quale si mani-festa e al tempo stesso l'energia che lo promuove. Queste semplici riflessioni sorgono dalla lettura di una asserzione del sociologo americano Richard Sennett, che scrive: "Il tempo comincia a dare una determinata personalità ai luoghi quando questi non sono usati nel modo per cui erano stati conce-piti" 1. E infatti, mi sentirei di dire che uno dei mo-tivi del fascino così palese e al tempo stesso miste-rioso dei luoghi della storia, di quelli ben conservati come di quelli ridotti in rovine, sta proprio nella loro capacità di disporre di una serie di veli, quasi di sipari, che, rimossi ad uno ad uno, ci suggeriscono le tante vicende che si sono susseguite sul palcosce-nico della storia in tempi via via diversi in quello stesso luogo. Questa profondità del tempo, che opera negli spazi, produce quella sovrapposizione e compresenza di funzioni, che dà ai luoghi del pa-trimonio quel qualcosa in più che ce li fa scoprire, amare, preservare. Che ce ne fa piangere la perdita. La scomparsa dell'uso originario e la comparsa di altri usi sembrano in effetti quasi una condi-zione necessaria perché i luoghi acquistino quella "personalità" che li ammanta di fascino. Ma non è sempre così; non è necessariamente sempre così. Qualche novità interessante giunge in questo sen-so dalla Cina, che, come sappiamo, sta vivendo, dopo una fase in cui ha prevalso la logica della rapida modernizzazione, una stagione caratteriz-zata da un interesse crescente per il patrimonio culturale, e quindi per i musei, i parchi, i luoghi della cultura. Qualche novità che ci invita a con-tinuare a riflettere. In Cina, mi par di capire 2 , un palpabile entusiasmo ed una voglia di fare si espri-mono non solo per una finalità di incremento del turismo interno e internazionale, ma anche e forse soprattutto per una maggiore consapevolezza del valore della memoria storica, e di quel patrimonio culturale millenario, che ne rappresenta l'eredità. Nella grande provincia del Sichuan, nota in tutto il mondo come la patria dei panda, la rete dei musei archeologici, dotati di servizi efficienti e caratteriz-zati da una grande cura degli allestimenti e del con-testo paesaggistico nei quali sono collocati, si è par-ticolarmente estesa nell'ultimo ventennio. Alcuni di questi, come il Chengdu Museum e quelli allestiti presso le aree archeologiche di Sanxindui e di Jin-sha, accolgono reperti a dir poco straordinari, che il
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Timbres en grec sur les amphores du Salento : une vue d'ensemble • Daniele Manacorda L'épigraphie des amphores républicaines en Italie comprend aussi-comme on le sait-un certain nombre d'inscriptions en langue grecque, attestées tant sur... more
Timbres en grec sur les amphores du Salento : une vue d'ensemble • Daniele Manacorda L'épigraphie des amphores républicaines en Italie comprend aussi-comme on le sait-un certain nombre d'inscriptions en langue grecque, attestées tant sur le versant tyrrhénien que sur le versant adriatique de la péninsule. La région où la présence de productions estampillées en langue grecque est la plus significative est naturellement l'actuelle région des Pouilles qui, au temps d'Auguste, fut consti-tuée en Regio II Apulia et Calabria. La partie méri-dionale de la région, la Calabria (aujourd'hui le Salento), est celle qui est la plus riche en attesta-tions. Le phénomène ne surprend pas dès lors qu'on le met en regard de la proximité géographique de la région-et en particulier de sa péninsule méri-dionale-avec la côte grecque et le monde hellé-nique en général. Ce phénomène, toutefois, n'a jamais été considéré dans son ensemble, même si n'ont fait défaut ni le recensement et le catalogage des timbres 1 , ni l'étude systématique des centres spécialisés de production, comme celui d'Apani, au nord de Brindes, qui a fourni les meilleures infor-mations pour une vision globale du phénomène 2 et qui a fait l'objet du travail de grande ampleur de Paola Palazzo 3 , que je remercie pour avoir mis à ma disposition les données de sa recherche, quand elle était encore inédite. Le timbrage en grec se révèle particulièrement inté-ressant si on le met en regard des aspects typolo-giques des productions sur lesquelles il apparaît et, en conséquence, des aspects chronologiques égale-ment. Les timbres en langue et en alphabet grecs ne figurent en fait que sur quelques formes d'amphores, et en particulier sur deux types répandus entre le III e et le I er s. av. J.-C. : les productions conven-tionnellement qualifiées de « gréco-italiques » et de « brindisiennes ». S'agissant des « gréco-italiques », il faut distinguer le matériel des zones tyrrhénienne ou sicilienne 4 de celui qui est sûrement ou probablement d'origine adriatique 5 , dont l'existence a été démontrée par les recherches des vingt dernières années, lesquelles ont mis également en lumière ses caractéristiques morphologiques. S'agissant des productions dites « brindisiennes », elles ont fait l'objet d'études approfondies-identifications et fouilles-qui ont pris en compte les plus grands centres de production (Apani, Giancola, Marmorelle, La Rosa, San Cataldo 6), et qui permettent de faire aujourd'hui quelques considéra-tions d'ordre général qui s'appuient sur des connais-sances plus analytiques. Le phénomène du timbrage en langue grecque des amphores de la zone italique est ainsi posé en termes plus clairs chronologique-ment et donc mieux interprétables historiquement. Sur la foi des données dont on dispose actuelle-ment, en provenance de l'ouest et de l'est méditer-ranéens, on situe la date du début de la production d'amphores brindisiennes dans la seconde moitié du II e s. av. J.-C., époque à laquelle elles apparaissent dans quelques contextes funéraires de la Daunie 7. Au Levant, ces amphores sont habituelles dans le contexte du dernier tiers du II e s. 8
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Daniele Manacorda intervista a cura Anna Laura Palazzo e Tiziana Casaburi D1. Tra archeologia e urbanistica Nella varietà delle soluzioni che sono state prospettate fino ad oggi per l"Area Archeologica Centrale di Roma, uno dei temi... more
Daniele Manacorda intervista a cura Anna Laura Palazzo e Tiziana Casaburi D1. Tra archeologia e urbanistica Nella varietà delle soluzioni che sono state prospettate fino ad oggi per l"Area Archeologica Centrale di Roma, uno dei temi decisivi e più controversi riguarda il senso primario da attribuire a questo grande spazio composito dall"immenso valore simbolico, storico e culturale e al tempo stesso ricco di straordinarie valenze di animazione urbana e di attrazione turistica. Nella visione al futuro dell"area dei Fori e del suo immediato intorno urbano, sono da confermare le condizioni attuali? Oppure si devono privilegiare gli obiettivi della conoscenza archeologica e conseguentemente un uso condizionato delle nuove aree di scavo, destinate poi a diventare un parco archeologico recintato e sorvegliato? O ancora devono essere mantenute e migliorate le funzioni di attrazione urbana, lasciando lo spazio a disposizione delle molteplici popolazioni che lo affollano nei diversi tempi e lo usano come uno dei luoghi dove la città incontra gli strati più profondi della sua lunga storia? È possibile insomma conciliare archeologia e urbanistica? A quali condizioni? Le domande ruotano attorno a un nodo che si è presentato sin da quando i bersaglieri hanno aperto la breccia di Porta Pia circa un secolo e mezzo fa. Il fatto è che al persistere delle domande cambiano invece continuamente le carte in tavola, cioè le condizioni socioeconomiche della vita urbana, le categorie di interpretazione della realtà, e ovviamente il rapporto del presente con il passato. La prima cosa da considerare mi pare dunque riguardi il fatto che, quali che siano le risposte che oggi proviamo a darci, è bene avere la consapevolezza che sono risposte destinate a modularsi continuamente, ad adeguarsi al fluire del tempo e delle condizioni umane. Detto questo, alla domanda finale: "E" possibile conciliare archeologia e urbanistica?", la risposta non può essere che affermativa. L"archeologia studia il passato attraverso le sue tracce materiali perché ci sia di aiuto alla vita del presente e alla programmazione del futuro e l"urbanistica cerca di adeguare le forme della condizione urbana al miglior godimento possibile della qualità della vita. La contraddizione nasce, come in ogni campo del sapere e dell"agire umano, se uno degli occhiali viene considerato l"unico modo di osservare la realtà. Nel concreto, non si può pensare che un"area complessa e vasta come l"AAC possa essere gestita in modo omogeneo in tutti i suoi aspetti e comparti. La scelta prevalente deve andare a mio avviso nella direzione della gestione di un "parco urbano" intimamente integrato nella vita quotidiana e aperto ai molteplici usi degli spazi che essa può comportare. E" del tutto evidente che alcune aree, anche significative, debbano essere soggette a maggiori controlli e restrizioni, anche recintate, purché a questo regime faccia riscontro non solo una adeguata apertura agli usi pubblici, ma anche un"ottima manutenzione. Questo oggi è più garantito in alcune aree a gestione statale (come il Foro Romano o il Palatino) che non a gestione comunale (abbandono del Parco dell"Oppio, gestione sciatta del Ludus Magnus, cronica fatiscenza dell"Antiquarium Comunale e via dicendo). Quanto alla conoscenza archeologica, è bene che questa non si interrompa mai: si tratta di fare in modo (e ciò è possibile), che i cantieri della conoscenza non si tramutino in Fort Apache privi di qualsiasi trasparenza, come è avvenuto nei lunghi anni delle indagini connesse alla Metro C. La conoscenza può andare di pari passo con la vita purché si disponga anche lei, senza eccessi, sul palcoscenico della città. D2. Del possibile Progetto urbano Nonostante il conflitto ancora irrisolto delle visioni e i numerosi fallimenti progettuali finora incontrati, non c"è dubbio che sia diventato ormai urgente dotarsi di un Progetto urbano credibile e alla scala giusta, per indirizzare in modo coerente i diversi interventi che a vario titolo investono l"Area Archeologica Centrale. Ma la forma tradizionale del Progetto urbano, come disegno compiuto di un assetto fisico-funzionale a medio-lungo termine, appare ormai del tutto inadeguata a guidare le trasformazioni future. C"è piuttosto da immaginare una convincente visione per l"avvenire dell"Area; e poi l"avvio di un processo di progettazione aperto, finalizzato al conseguimento della visione prefigurata: in pratica una combinazione flessibile ed evolutiva di interventi multiscalari, traguardati in funzione della visione assunta. La visione dovrebbe essere condivisa quanto più possibile dalla città, dalle istituzioni e dall"opinione pubblica internazionale, e alimentata operativamente dalle ingenti risorse attivabili in presenza di un progetto ben costruito e affidabile. Quali dovranno essere i temi più rilevanti del nuovo Progetto urbano per l"Area archeologica centrale di Roma, quale la sua
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L'articolo che Daniele Manacorda ha dedicato allo scavo della terramara di Pilastri nella sua rubrica mensile "Il mestiere dell'archeologo"
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Un nuovo libro che consente di entrare in contatto con i molteplici filoni di ricerca sviluppatisi negli ultimi decenni attraverso la riflessione di un grande maestro della metodologia della ricerca archeologica, Daniele Manacorda. 130... more
Un nuovo libro che consente di entrare in contatto con i molteplici filoni di ricerca sviluppatisi negli ultimi decenni attraverso la riflessione di un grande maestro della metodologia della ricerca archeologica, Daniele Manacorda. 130 contributi, dal 1973 al 2020, editi e inediti, che passano in rassegna “I libri degli altri”. Le osservazioni dell’Autore, nate in occasione di recensioni o presentazioni di studi altrui, stimolano da sempre il dibattito e il confronto su storia, archeologia e politica dei beni culturali e, nell’occasione di questa pubblicazione, testimoniano il “variare e il maturare, ora lento ora impetuoso, della nostra disciplina, così come interpretata da tanti diversi ricercatori, nei suoi temi, nei suoi metodi e nelle sue stesse finalità“.
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