Broadening Horizons 4 - A Conference of young researchers working in the Ancient Near East, Egypt and Central Asia, University of Torino, October 2011. edited by Giorgio Affanni, Cristina Baccarin, Laura Cordera, Angelo Di Michele and Katia Gavagnin. BAR S2698 2015. ISBN 9781407313474.
The three archaeological missions led by Professor P. Fiorina between 1987 and 1989 in Nimrud, fo... more The three archaeological missions led by Professor P. Fiorina between 1987 and 1989 in Nimrud, for the Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l'Asia, focused the attention on the topographical survey of the lower city and on the excavation of selected areas of Fort Shalmaneser and some portions of the external and internal city walls.
In Fort Shalmaneser's rooms SW 36 and 37 large amounts of ivory and metal objects were found together with lots of glass paste cast inlays. The glass inlays were blue, green, turquoise and yellow. Some raw matter was also found. Although these small objects could be interpreted for filling and refining ivory plaques, the large variety of typologies and their compatibility suggest that these small elements weren't merely meant to complete some figurative schemes on existing decorated objects, but could be combined in order to create large polychrome patterns and schemes in which glass paste was the main feature. It is possible to think about large surfaces belonging to panels or furnitures. Other kinds of vitreous paste objects were found in the soundings of the external and internal city walls, like seals and beads.
Shell and stone objects came both from Fort Shalmaneser rooms and the other soundings. Shell artifacts mainly consisted in inlay plaques, beads and a considerable quantity of semi-worked or unworked specimens; some of the typologies among inlay plaques are identical in shape to other ones made out of vitreous paste. Stone artifacts are mainly made out of alabaster, limestone or marble; they include beads and inlays, some stamp or cylinder seals (some unfinished) and an interesting lot of incomplete alabaster-gypsum carved elements.
La fortezza di Rofalco ha restituito un piccolo numero di evidenze relative a sigilli a stampo co... more La fortezza di Rofalco ha restituito un piccolo numero di evidenze relative a sigilli a stampo configurati a scarabeo: una testimonianza diretta, costituita da un esemplare frammentario in corniola, e tre indirette che consistono in due impressioni sulla sommità di altrettanti pesi da telaio e una serie di stampigliature sulla tesa dell’orlo di un dolio di medie dimensioni. Gli scarabei comparvero in Etruria tra il IX e l’VIII secolo a.C. sotto forma di importazioni realizzate in vari materiali e prodotte in area siro-fenicia, a Cipro e a Rodi. Si trattava perlopiù di Aegyptiaca d’imitazione, con formule incomprensibili per i recettori etruschi, impiegati con funzione amuletica e apotropaica. Un buon numero di esemplari proviene da sepolture villanoviane appartenenti a gruppi elitari. Essi testimoniano la crescente rete di scambi che l’Etruria intraprese con la Grecia e il Levante, che ebbe il suo apice relativo a beni di lusso tra la fine dell’VIII secolo e il VII secolo a.C. Questi piccoli manufatti erano solitamente incastonati e poi inseriti in pendenti di metallo prezioso. Dall’età orientalizzante gli orafi e gli incisori etruschi iniziarono ad imitare ed interpretare i sigilli a scarabeo localmente, con dirette committenze da parte di esponenti dei ceti più elevati. Dalla metà del VI secolo a.C. incisori greco-orientali si insediarono in Etruria meridionale, e già dai primi decenni del V secolo tra le gemme ivi realizzate si imposero come modello prediletto dalle élite cittadine gli scarabei in corniola. È in questo contesto che si inseriscono gli esemplari di Rofalco: sebbene il materiale in cui erano realizzati sia noto solo per l’esemplare rinvenuto, su cui è raffigurata una sfinge maschile in atteggiamento di attacco, anche gli altri tre esempi di cui conosciamo solo le impressioni su reperti ceramici presentano caratteristiche iconografiche ben riscontrabili nei secoli V e IV. Sui due pesi da telaio sopra citati sono visibili rispettivamente una figura umana stante (forse un Eracle) e un toro azzannato da un leone, mentre sull’orlo del dolio è stata ripetutamente impressa l’immagine di un quadrupede, anch’esso in posizione di attacco. Risulta piuttosto insolito l’utilizzo di sigilli per forme ceramiche di grandi dimensioni. I ritrovamenti all’interno della fortezza non sono concentrati in un unico settore ma riguardano quattro differenti aree, segno che, come molte altre classi di special finds, anche questo genere di oggetti (afferente alla sfera degli oggetti di lusso e a quella del sacro-profilattico) era presente a Rofalco in pressoché ogni genere di contesto.
Lo scavo dell’Area A di Pani Loriga ha restituito numerosi frammenti fittili di fornetti per la c... more Lo scavo dell’Area A di Pani Loriga ha restituito numerosi frammenti fittili di fornetti per la cottura del pane, detti tannur o tabouna.
La fortunata sequenza stratigrafica includeva alzati di considerevole altezza e materiali archeologici quali ceramica tornita e non, anfore, instrumenta e altri manufatti databili tra VI e IV secolo a.C.
I forni sono in impasto grezzo rosso-bruno, ricco di inclusi di varia natura, cotto sommariamente o durante l’uso. I frammenti rinvenuti hanno curvatura poco accentuata, con la superficie concava lisciata e quella convessa grezza, spesso costellata da digitazioni; lo spessore delle pareti si attesta tra 3 e 6,5 cm.
La scarsità di frammenti diagnostici (orli, giunture, …) non impedisce di ascrivere gli esemplari ritrovati alle tipologie note nel coevo mondo punico, ossia forni composti da pannelli a incastro. Notevole il rinvenimento di un piede d’appoggio.
Nonostante le esigue tracce di bruciato, la concentrazione in spazi esterni sembra confermare la funzione di forno da cottura.
Broadening Horizons 4 - A Conference of young researchers working in the Ancient Near East, Egypt and Central Asia, University of Torino, October 2011. edited by Giorgio Affanni, Cristina Baccarin, Laura Cordera, Angelo Di Michele and Katia Gavagnin. BAR S2698 2015. ISBN 9781407313474.
The three archaeological missions led by Professor P. Fiorina between 1987 and 1989 in Nimrud, fo... more The three archaeological missions led by Professor P. Fiorina between 1987 and 1989 in Nimrud, for the Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l'Asia, focused the attention on the topographical survey of the lower city and on the excavation of selected areas of Fort Shalmaneser and some portions of the external and internal city walls.
In Fort Shalmaneser's rooms SW 36 and 37 large amounts of ivory and metal objects were found together with lots of glass paste cast inlays. The glass inlays were blue, green, turquoise and yellow. Some raw matter was also found. Although these small objects could be interpreted for filling and refining ivory plaques, the large variety of typologies and their compatibility suggest that these small elements weren't merely meant to complete some figurative schemes on existing decorated objects, but could be combined in order to create large polychrome patterns and schemes in which glass paste was the main feature. It is possible to think about large surfaces belonging to panels or furnitures. Other kinds of vitreous paste objects were found in the soundings of the external and internal city walls, like seals and beads.
Shell and stone objects came both from Fort Shalmaneser rooms and the other soundings. Shell artifacts mainly consisted in inlay plaques, beads and a considerable quantity of semi-worked or unworked specimens; some of the typologies among inlay plaques are identical in shape to other ones made out of vitreous paste. Stone artifacts are mainly made out of alabaster, limestone or marble; they include beads and inlays, some stamp or cylinder seals (some unfinished) and an interesting lot of incomplete alabaster-gypsum carved elements.
La fortezza di Rofalco ha restituito un piccolo numero di evidenze relative a sigilli a stampo co... more La fortezza di Rofalco ha restituito un piccolo numero di evidenze relative a sigilli a stampo configurati a scarabeo: una testimonianza diretta, costituita da un esemplare frammentario in corniola, e tre indirette che consistono in due impressioni sulla sommità di altrettanti pesi da telaio e una serie di stampigliature sulla tesa dell’orlo di un dolio di medie dimensioni. Gli scarabei comparvero in Etruria tra il IX e l’VIII secolo a.C. sotto forma di importazioni realizzate in vari materiali e prodotte in area siro-fenicia, a Cipro e a Rodi. Si trattava perlopiù di Aegyptiaca d’imitazione, con formule incomprensibili per i recettori etruschi, impiegati con funzione amuletica e apotropaica. Un buon numero di esemplari proviene da sepolture villanoviane appartenenti a gruppi elitari. Essi testimoniano la crescente rete di scambi che l’Etruria intraprese con la Grecia e il Levante, che ebbe il suo apice relativo a beni di lusso tra la fine dell’VIII secolo e il VII secolo a.C. Questi piccoli manufatti erano solitamente incastonati e poi inseriti in pendenti di metallo prezioso. Dall’età orientalizzante gli orafi e gli incisori etruschi iniziarono ad imitare ed interpretare i sigilli a scarabeo localmente, con dirette committenze da parte di esponenti dei ceti più elevati. Dalla metà del VI secolo a.C. incisori greco-orientali si insediarono in Etruria meridionale, e già dai primi decenni del V secolo tra le gemme ivi realizzate si imposero come modello prediletto dalle élite cittadine gli scarabei in corniola. È in questo contesto che si inseriscono gli esemplari di Rofalco: sebbene il materiale in cui erano realizzati sia noto solo per l’esemplare rinvenuto, su cui è raffigurata una sfinge maschile in atteggiamento di attacco, anche gli altri tre esempi di cui conosciamo solo le impressioni su reperti ceramici presentano caratteristiche iconografiche ben riscontrabili nei secoli V e IV. Sui due pesi da telaio sopra citati sono visibili rispettivamente una figura umana stante (forse un Eracle) e un toro azzannato da un leone, mentre sull’orlo del dolio è stata ripetutamente impressa l’immagine di un quadrupede, anch’esso in posizione di attacco. Risulta piuttosto insolito l’utilizzo di sigilli per forme ceramiche di grandi dimensioni. I ritrovamenti all’interno della fortezza non sono concentrati in un unico settore ma riguardano quattro differenti aree, segno che, come molte altre classi di special finds, anche questo genere di oggetti (afferente alla sfera degli oggetti di lusso e a quella del sacro-profilattico) era presente a Rofalco in pressoché ogni genere di contesto.
Lo scavo dell’Area A di Pani Loriga ha restituito numerosi frammenti fittili di fornetti per la c... more Lo scavo dell’Area A di Pani Loriga ha restituito numerosi frammenti fittili di fornetti per la cottura del pane, detti tannur o tabouna.
La fortunata sequenza stratigrafica includeva alzati di considerevole altezza e materiali archeologici quali ceramica tornita e non, anfore, instrumenta e altri manufatti databili tra VI e IV secolo a.C.
I forni sono in impasto grezzo rosso-bruno, ricco di inclusi di varia natura, cotto sommariamente o durante l’uso. I frammenti rinvenuti hanno curvatura poco accentuata, con la superficie concava lisciata e quella convessa grezza, spesso costellata da digitazioni; lo spessore delle pareti si attesta tra 3 e 6,5 cm.
La scarsità di frammenti diagnostici (orli, giunture, …) non impedisce di ascrivere gli esemplari ritrovati alle tipologie note nel coevo mondo punico, ossia forni composti da pannelli a incastro. Notevole il rinvenimento di un piede d’appoggio.
Nonostante le esigue tracce di bruciato, la concentrazione in spazi esterni sembra confermare la funzione di forno da cottura.
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Papers by Lorenzo Somma
In Fort Shalmaneser's rooms SW 36 and 37 large amounts of ivory and metal objects were found together with lots of glass paste cast inlays. The glass inlays were blue, green, turquoise and yellow. Some raw matter was also found. Although these small objects could be interpreted for filling and refining ivory plaques, the large variety of typologies and their compatibility suggest that these small elements weren't merely meant to complete some figurative schemes on existing decorated objects, but could be combined in order to create large polychrome patterns and schemes in which glass paste was the main feature. It is possible to think about large surfaces belonging to panels or furnitures. Other kinds of vitreous paste objects were found in the soundings of the external and internal city walls, like seals and beads.
Shell and stone objects came both from Fort Shalmaneser rooms and the other soundings. Shell artifacts mainly consisted in inlay plaques, beads and a considerable quantity of semi-worked or unworked specimens; some of the typologies among inlay plaques are identical in shape to other ones made out of vitreous paste. Stone artifacts are mainly made out of alabaster, limestone or marble; they include beads and inlays, some stamp or cylinder seals (some unfinished) and an interesting lot of incomplete alabaster-gypsum carved elements.
Posters by Lorenzo Somma
Gli scarabei comparvero in Etruria tra il IX e l’VIII secolo a.C. sotto forma di importazioni realizzate in vari materiali e prodotte in area siro-fenicia, a Cipro e a Rodi. Si trattava perlopiù di Aegyptiaca d’imitazione, con formule incomprensibili per i recettori etruschi, impiegati con funzione amuletica e apotropaica. Un buon numero di esemplari proviene da sepolture villanoviane appartenenti a gruppi elitari. Essi testimoniano la crescente rete di scambi che l’Etruria intraprese con la Grecia e il Levante, che ebbe il suo apice relativo a beni di lusso tra la fine dell’VIII secolo e il VII secolo a.C.
Questi piccoli manufatti erano solitamente incastonati e poi inseriti in pendenti di metallo prezioso. Dall’età orientalizzante gli orafi e gli incisori etruschi iniziarono ad imitare ed interpretare i sigilli a scarabeo localmente, con dirette committenze da parte di esponenti dei ceti più elevati. Dalla metà del VI secolo a.C. incisori greco-orientali si insediarono in Etruria meridionale, e già dai primi decenni del V secolo tra le gemme ivi realizzate si imposero come modello prediletto dalle élite cittadine gli scarabei in corniola.
È in questo contesto che si inseriscono gli esemplari di Rofalco: sebbene il materiale in cui erano realizzati sia noto solo per l’esemplare rinvenuto, su cui è raffigurata una sfinge maschile in atteggiamento di attacco, anche gli altri tre esempi di cui conosciamo solo le impressioni su reperti ceramici presentano caratteristiche iconografiche ben riscontrabili nei secoli V e IV. Sui due pesi da telaio sopra citati sono visibili rispettivamente una figura umana stante (forse un Eracle) e un toro azzannato da un leone, mentre sull’orlo del dolio è stata ripetutamente impressa l’immagine di un quadrupede, anch’esso in posizione di attacco. Risulta piuttosto insolito l’utilizzo di sigilli per forme ceramiche di grandi dimensioni. I ritrovamenti all’interno della fortezza non sono concentrati in un unico settore ma riguardano quattro differenti aree, segno che, come molte altre classi di special finds, anche questo genere di oggetti (afferente alla sfera degli oggetti di lusso e a quella del sacro-profilattico) era presente a Rofalco in pressoché ogni genere di contesto.
La fortunata sequenza stratigrafica includeva alzati di considerevole altezza e materiali archeologici quali ceramica tornita e non, anfore, instrumenta e altri manufatti databili tra VI e IV secolo a.C.
I forni sono in impasto grezzo rosso-bruno, ricco di inclusi di varia natura, cotto sommariamente o durante l’uso. I frammenti rinvenuti hanno curvatura poco accentuata, con la superficie concava lisciata e quella convessa grezza, spesso costellata da digitazioni; lo spessore delle pareti si attesta tra 3 e 6,5 cm.
La scarsità di frammenti diagnostici (orli, giunture, …) non impedisce di ascrivere gli esemplari ritrovati alle tipologie note nel coevo mondo punico, ossia forni composti da pannelli a incastro. Notevole il rinvenimento di un piede d’appoggio.
Nonostante le esigue tracce di bruciato, la concentrazione in spazi esterni sembra confermare la funzione di forno da cottura.
Drafts by Lorenzo Somma
Books by Lorenzo Somma
In Fort Shalmaneser's rooms SW 36 and 37 large amounts of ivory and metal objects were found together with lots of glass paste cast inlays. The glass inlays were blue, green, turquoise and yellow. Some raw matter was also found. Although these small objects could be interpreted for filling and refining ivory plaques, the large variety of typologies and their compatibility suggest that these small elements weren't merely meant to complete some figurative schemes on existing decorated objects, but could be combined in order to create large polychrome patterns and schemes in which glass paste was the main feature. It is possible to think about large surfaces belonging to panels or furnitures. Other kinds of vitreous paste objects were found in the soundings of the external and internal city walls, like seals and beads.
Shell and stone objects came both from Fort Shalmaneser rooms and the other soundings. Shell artifacts mainly consisted in inlay plaques, beads and a considerable quantity of semi-worked or unworked specimens; some of the typologies among inlay plaques are identical in shape to other ones made out of vitreous paste. Stone artifacts are mainly made out of alabaster, limestone or marble; they include beads and inlays, some stamp or cylinder seals (some unfinished) and an interesting lot of incomplete alabaster-gypsum carved elements.
Gli scarabei comparvero in Etruria tra il IX e l’VIII secolo a.C. sotto forma di importazioni realizzate in vari materiali e prodotte in area siro-fenicia, a Cipro e a Rodi. Si trattava perlopiù di Aegyptiaca d’imitazione, con formule incomprensibili per i recettori etruschi, impiegati con funzione amuletica e apotropaica. Un buon numero di esemplari proviene da sepolture villanoviane appartenenti a gruppi elitari. Essi testimoniano la crescente rete di scambi che l’Etruria intraprese con la Grecia e il Levante, che ebbe il suo apice relativo a beni di lusso tra la fine dell’VIII secolo e il VII secolo a.C.
Questi piccoli manufatti erano solitamente incastonati e poi inseriti in pendenti di metallo prezioso. Dall’età orientalizzante gli orafi e gli incisori etruschi iniziarono ad imitare ed interpretare i sigilli a scarabeo localmente, con dirette committenze da parte di esponenti dei ceti più elevati. Dalla metà del VI secolo a.C. incisori greco-orientali si insediarono in Etruria meridionale, e già dai primi decenni del V secolo tra le gemme ivi realizzate si imposero come modello prediletto dalle élite cittadine gli scarabei in corniola.
È in questo contesto che si inseriscono gli esemplari di Rofalco: sebbene il materiale in cui erano realizzati sia noto solo per l’esemplare rinvenuto, su cui è raffigurata una sfinge maschile in atteggiamento di attacco, anche gli altri tre esempi di cui conosciamo solo le impressioni su reperti ceramici presentano caratteristiche iconografiche ben riscontrabili nei secoli V e IV. Sui due pesi da telaio sopra citati sono visibili rispettivamente una figura umana stante (forse un Eracle) e un toro azzannato da un leone, mentre sull’orlo del dolio è stata ripetutamente impressa l’immagine di un quadrupede, anch’esso in posizione di attacco. Risulta piuttosto insolito l’utilizzo di sigilli per forme ceramiche di grandi dimensioni. I ritrovamenti all’interno della fortezza non sono concentrati in un unico settore ma riguardano quattro differenti aree, segno che, come molte altre classi di special finds, anche questo genere di oggetti (afferente alla sfera degli oggetti di lusso e a quella del sacro-profilattico) era presente a Rofalco in pressoché ogni genere di contesto.
La fortunata sequenza stratigrafica includeva alzati di considerevole altezza e materiali archeologici quali ceramica tornita e non, anfore, instrumenta e altri manufatti databili tra VI e IV secolo a.C.
I forni sono in impasto grezzo rosso-bruno, ricco di inclusi di varia natura, cotto sommariamente o durante l’uso. I frammenti rinvenuti hanno curvatura poco accentuata, con la superficie concava lisciata e quella convessa grezza, spesso costellata da digitazioni; lo spessore delle pareti si attesta tra 3 e 6,5 cm.
La scarsità di frammenti diagnostici (orli, giunture, …) non impedisce di ascrivere gli esemplari ritrovati alle tipologie note nel coevo mondo punico, ossia forni composti da pannelli a incastro. Notevole il rinvenimento di un piede d’appoggio.
Nonostante le esigue tracce di bruciato, la concentrazione in spazi esterni sembra confermare la funzione di forno da cottura.