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This article looks at some of the medieval comments of the 13th and 14th centuries (Albert the Great, Thomas Aquinas, Gerald Odo, John Buridan) at the book IV of Nicomachean Ethics where Aristotle discusses three virtues (affabilitas,... more
This article looks at some of the medieval comments of the 13th and 14th centuries (Albert the Great, Thomas Aquinas, Gerald Odo, John Buridan) at the book IV of Nicomachean Ethics where Aristotle discusses three virtues (affabilitas, veritas, eutrapelia), which govern the exchange of words and actions. The analysis of the texts shows how the Aristotelian ethics of the social word, based on the nature of man and able to identify specific virtues and specific vices for each of the social functions of words (transmitting ideas, manifesting and sharing opinions, giving pleasure and confidence, consoling , praising or reproaching, entertaining), have been for medieval commentators an opportunity to reflect on the role of language within the more general social exchange. In the final part, the article also questions the interweav-ing of the tradition of Aristotelian comments and medieval literature on the good use of the word. Introduzione Nel quarto libro dell'Etica a Nicomaco Aristotele analizza tre virtù che governano lo scambio (la communicatio della traduzione grossatestiana) di parole, cose, azioni tra colo-ro che vivono insieme. La prima virtù, che agisce nei col-loqui, nella convivenza e nello scambio di parole e di cose (in colloquiis autem et convivere et sermonibus et rebus communicare, 1126b11), è una virtù senza nome che as-somiglia all'amicizia perché insegna a trattare tutti coloro con cui si hanno dei rapporti sociali come se fossero ami-ci cercando di procurare loro piacere e non causare dolore anche se verso costoro non si prova nessun particolare affetto; si oppongono a questa virtù, che consiste dunque nell'essere piacevoli con gli altri, scegliendo di volta in volta a seconda degli interlocutori i modi opportuni, due vizi che consistono nell'essere o sempre e troppo compia-centi o sempre e troppo fastidiosi e litigiosi. La seconda virtù, anch'essa innominata, interviene in sermonibus et operationibus et fictione (1127a20) e insegna a parlare e ad agire in modo veritiero; altra cosa rispetto al dovere della verità che vale negli atti di parola che riguardano la giustizia, per esempio le confessioni nei tribunali, questa virtù consiste nel mostrarsi come si è e nei discorsi e nei comportamenti, in sermone et in vita (1127b2); due sono i vizi che le si oppongono per eccesso e per difetto: la iat-tanza, tipica di chi si attribuisce meriti che non ha o am-plifica quelli che ha e l'ironia tipica di chi nega o sottova-luta qualità che possiede. La terza virtù, chiamata eutra-pelia, insegna a procurare il necessario riposo e diverti-mento facendo in modo che ci sia una collocutio quaedam consona e insegnando qualia oportet dicere et ut similiter autem et audire (1127b34-1128a1); il tutto senza cadere, per eccesso, nel vizio di coloro che vo-gliono far ridere sempre e comunque piuttosto che dire parole divertenti, decorose e non offensive, o nel vizio di coloro che, per difetto, non dicono mai niente di ridicolo e si irritano con quanti lo fanno mostrandosi così rustici e duri nei con-fronti del prossimo. Tutte e tre le virtù, come riassume lo stesso Aristotele, riguardano lo scambio di parole e di a-zioni: Sunt autem omnes circa sermonum quorumdam et operum communicationem (1128b5-9); una vigila sulla verità nei rapporti sociali, le altre due sul piacere che de-riva dalle diverse attività della vita comune e dal gioco. Queste pagine dell'Etica Nicomachea, qui rapida-mente riassunte a partire dalla traduzione grossatestiana dell'opera, hanno una tradizione medievale che compren-de in primo luogo i commenti al testo aristotelico e poi alcune opere che ne riprendono l'insegnamento, in parti-colare trattati di genere speculare rivolti a principi e go-vernanti. Questo lavoro si rivolge a questa tradizione, li-mitandosi però solo ad alcuni commenti del XIII e del XIV secolo, quelli di Alberto Magno e Tommaso d'Aquino per il XIII secolo e quelli del maestro di teolo-gia francescano Gerardo Odone e del maestro delle arti parigino Giovanni Buridano per il XIV 1 : un corpus di testi circoscritto ma spero comunque sufficiente per capire come i commentatori medievali di Aristotele abbiano ri-flettuto sulla connessione tra socialità e linguaggio. Quanto all'ambito di applicazione delle tre virtù, il brano dell'Etica Nicomachea qui riassunto conferma quanto Irène Rosier ha recentemente sottolineato 2 , e cioè che la communicatio aristotelica, diversamente dalla no-stra « comunicazione », non significa solo scambio di parole ma più generalmente scambio sociale di parole, cose, azioni e competenze; tuttavia quei passi mostrano anche che, per lo meno in questo caso, la dimensione linguistica di quello scambio è in primo piano: per una buona metà almeno gli insegnamenti di quelle tre virtù riguardano in-fatti, oltre alle operationes (azioni), i sermones che gli uomini dicono e ascoltano nella loro vita sociale e i collo-quia cui partecipano. Vale quindi la pena di vedere se nei commenti me-dievali l'analisi di quelle tre virtù sia stata accompagnata
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