Damiano Bondi (1985) is professor of Contemporary Philosophy at the Theological Faculty of Florence, and research coordinator at the Fondazione Centro Studi Campostrini of Verona; he is member of the Council Board of Italian Association of Philosophy of Religion - AIFR (www.aifr.it), which is associated with the European Society for Philosophy of Religion; he is also member of the Editorial Board of the Editor Project for Academia (academia.edu). He studied the French personalism of the XXth Century, in particular the thought of Denis de Rougemont, on which he has published the first monograph in Italian (La Persona e l’Occidente, Milan: Mimesis, 2014). In the last two years, he switched his interest to the links between philosophy, ecology and religion: on this topic he recently published a book entitled Fine del mondo o fine dell’uomo? Saggio su ecologia e religione (Verona: Campostrini, 2015). In the theological context, he is concerned himself with the concept of “person” in Christology and Trinitarian theology. He translated two books of Slavoj Žižek in italian, The Monstrosity of Christ and Paul’s New Moment (La mostruosità di Cristo and San Paolo Reloaded. Sul futuro del cristianesimo, Massa: Transeuropa, 2010 and 2012)
Edizioni Centro Studi Campostrini, Verona 2015
L’ecologia, oggi, è sicuramente uno dei temi più d... more Edizioni Centro Studi Campostrini, Verona 2015 L’ecologia, oggi, è sicuramente uno dei temi più dibattuti a livello socio-politico. L’approfondimento filosofico sui fondamenti dell’etica ambientale, tuttavia, non è altrettanto sviluppato: eppure l’ambientalismo, nella sua valenza etica, mostra caratteri del tutto peculiari nell’odierno contesto culturale. Si tratta infatti, sovente, del ripresentarsi di un’etica del dovere più che del diritto, della rinuncia più che della richiesta, della conservazione più che del cambiamento. In questo volume si cerca di inserirsi in tali questioni, rinvenendo in particolare, attraverso gli strumenti della riflessione filosofica, certi elementi religiosi presenti in alcune dottrine ambientaliste contemporanee. I termini della relazione tra religione e ecologia saranno poi ribaltati, e si tratterà di vedere come il rapporto uomo-natura sia pensato e pensabile nel solco della tradizione cristiana. Infine, tutti questi apporti convergeranno nella definizione di una meta-etica ecologica, ovvero nell’individuazione di alcune condizioni di possibilità per il costituirsi di un’ecologia normativa: tra tali condizioni, quella più importante riguarda lo statuto ontologico dell’essere umano rispetto agli altri esseri viventi e all’ecosistema.
Questo volume, che nasce come tesi di dottorato, si configura come la prima monografia filosofica... more Questo volume, che nasce come tesi di dottorato, si configura come la prima monografia filosofica italiana su Denis de Rougemont (1906-1985). L’obiettivo dichiarato è quello di colmare un gap. Precondizione necessaria, dunque, è quella di evidenziare che un gap effettivamente c’è: un concavo giustifica un convesso che lo colmi.
Il primo capitolo, in quest’ottica, è volto ad affermare l’importanza della figura e dell’opera di Denis de Rougemont, filosofo svizzero-francese che in Italia è conosciuto quasi esclusivamente come autore di un’opera fondamentale sul fenomeno erotico, L’Amour et l’Occident (1939). Può stupire, perciò, imbattersi in una sua statua nei Palazzi europei di Strasburgo: egli è ivi celebrato come uno dei Padri fondatori dell’Unione Europea. In effetti, ad un’analisi appena più approfondita, si scopre che Rougemont fu relatore della Commissione culturale del Congresso dell’Aia nel 1948, e addirittura presidente della prima Tavola Rotonda del Consiglio d’Europa, nel 1952. Più arduo è stabilire un possibile comune denominatore tra questi due orientamenti del suo pensiero, l’erotico e il politico. Damiano Bondi lo trova nella filosofia della persona, fondamento saldo e perenne di tutta la successiva costruzione teoretica del filosofo di Neuchâtel.
Il secondo capitolo della tesi, perciò, colloca Denis de Rougemont in quel complesso labirinto di correnti e ascendenze che fu il movimento personalista francese tra le due guerre. Ne emerge una figura centrale per comprendere la portata storica del personalismo: accanto ai più noti Mounier e Maritain, legati alla rivista Esprit, Rougemont cercò di fungere da mediatore tra le diverse anime del movimento e al contempo di cercare una propria “via” preferenziale. È tenendo conto di queste due tendenze che vanno interpretate le collaborazioni rougemontiane a diverse riviste del tempo (soprattutto L’Ordre Nouveau, ma anche la stessa Esprit e Hic et Nunc, di cui Rougemont era fondatore), e la pubblicazione di due tra le opere principali sui fondamenti filosofici del personalismo tout-court, ovvero Politique de la Personne (1934) e Penser avec les mains (1936).
Il terzo capitolo si concentra invece sul proprium del pensiero di Rougemont, cercando di individuare una “coerenza interna” tra i suoi scritti apparentemente disarmonici. Il percorso si sviluppa a partire dalla concezione rougemontiana della persona come realtà dialettica, tesa tra la datità individuale e la vocazione trascendente, che ne determina il collocamento nella società in senso “comunionale”: ogni persona è portatrice di un compito che essa sola può svolgere nella comunità, perciò si richiede che la politica ponga l’esercizio della libertà del singolo come bene primario rispetto alla pubblica utilità. Da ciò discende, in Rougemont, da una parte la critica ai collettivismi totalitari a lui contemporanei, come anche all’individualismo atomizzante quale si veniva a prefigurare nell’Europa occidentale sulla scia del modello americano, dall’altra l’individuazione del federalismo come quel sistema politico capace di coniugare in un equilibrio pur sempre precario le due esigenze dell’autonomia e dell’unione. La causa europeista, così, si sposa con quella federalista, in una visione riformatrice per cui si sarebbe imposto il superamento dello Stato-Nazione – nato per la guerra e caduto con essa, troppo grande per permettere un’autentica partecipazione democratica e troppo piccolo per difendersi da solo – in vista di una Unione Europea di macro-regioni a geometria variabile. Modello storicamente minoritario e perdente, e tuttavia ancora oggi discusso, nella misura in cui l’attuale architettura politica europea sta rivelando le proprie crepe.
Nel quarto capitolo, invece, si discute uno dei temi fondamentali del pensiero rougemontiano, l’amore. Il tema è tanto più problematico e degno di approfondimento quanto più
esso si discosta, almeno per come è trattato in L’Amour et l’Occident, da quella “coerenza interna” che invece segna il resto della produzione del filosofo di Neuchâtel. L’eccessivo dualismo con cui vengono presentati Eros e Agape nel volume del 1939, infatti, mal si sposa con la concezione dialettica dell’homo europeus che viene altrove sviluppata. A motivo di ciò, concorrono non solo fattori teoretici, ma anche biografici, di cui Bondi rende conto con una dovizia di particolari forse spietata, e tuttavia necessaria al fine di scandagliare a fondo una questione che per sua stessa natura travalica i limiti della stretta argomentazione razionale. Così, scoprendo le vicissitudini tormentate che accompagnarono Rougemont attraverso la tempesta del conflitto mondiale, emergono anche i nodi cruciali di un problema esistenziale e filosofico che doveva ancora essere risolto. L’approdo biografico di tale “deriva” è rappresentato dalla seconda moglie di Rougemont, quello filosofico dalle riflessioni che egli condensò soprattutto in Les Mythes de l’Amour (1967).
Il quinto capitolo è consacrato al tema dell’Occidente e alla sua storia millenaria e peculiare. Tra mito dell’origine e utopia escatologica, la cultura europea si è sempre protesa verso l’altro, perpetuamente insoddisfatta di sé e desiderosa di conoscenza e progresso, perfino nelle sue forme più invasive e violente. Il cristianesimo ha immesso in questa forma di civiltà, secondo Rougemont, la visione desacralizzata della natura e al contempo la credenza nella realtà della materia, favorendo così lo sviluppo tecno-scientifico. D’altra parte, attraverso i dogmi cristologici e trinitari, si è venuta a creare una concezione dell’uomo e delle sue relazioni in un senso ancora una volta drammatico, agonico, dialettico, tale per cui l’Europa diviene la patria delle antinomie inseparabili, e la persona il perno di questa dimensione letteralmente cruciale dell’esistenza. Lo stesso impegno ecologista degli ultimi anni della vita di Rougemont acquista il suo senso pieno se collocato in questa peculiare cornice antropologica.
Il sesto capitolo presenta infine la grande opera incompiuta e inedita di Rougemont, La Morale du But, che rappresenta il sottofondo di tutto l’itinerario intellettuale del filosofo. Damiano Bondi, beneficiando del permesso degli eredi di visionare i manoscritti e i dattiloscritti dell’opera (conservati presso il Fonds Rougemont di Neuchâtel), ne discute il contenuto e cerca di dimostrare come essa, nel suo farsi, si sia rivelata intimamente incoerente, incapace di pervenire agli obiettivi che il suo autore di era prefisso scrivendola, e perciò sia rimasta inedita. Nel tentativo, pure fallito, di delineare una nuova dottrina morale fondata sul concetto teleologico di vocazione personale, risiede un ulteriore elemento di interesse e originalità del pensiero e della figura di Denis de Rougemont. L’Appendice ribadisce l’importanza e l’attualità di questo filosofo indagandone i rapporti (concreti e ideali) con uno dei maggiori pensatori del nostro tempo, René Girard.
My aim in this paper is to carry out a philosophical reflection based on the state-of-the-art of ... more My aim in this paper is to carry out a philosophical reflection based on the state-of-the-art of the literature about cultured meat, in order to show how im- portant is to envisage and deal with the actual questions at stake. Therefore, in the first section I will present the main historical information about in vitro meat; in the second section I will discuss the linguistic-ontological question of whether it can be defined as “meat” or not; and in the third and last section I will relate and discuss the main ethical stances in the ongoing debate.
«Annali del Centro Studi Filosofici di Gallarate», 2021
My aim is to update the classical definition of “person” provided by Boe- thius to the present ph... more My aim is to update the classical definition of “person” provided by Boe- thius to the present philosophical and cultural framework, while preserving something of its original sense. That is why I propose (a) to put in brackets the two metaphysical categories of “substance” and “nature”, (b) to focus on the two characteristics of “individual” and “rational”, (c) to replace the latter with the notions of “freedom”, “uniqueness” and “integrality”.
The aim of this paper is to argue that: ressentiment can be seen as a positive force in the build... more The aim of this paper is to argue that: ressentiment can be seen as a positive force in the building of Western ethics, at least as important as scapegoat processes; victimism can be interpreted as a particular form of ressentiment, strictly linked to the Christian doctrine. In order to support these arguments, we will develop an original reflection based on a critical discussion and comparison between the thoughts on ressentiment of Friedrich Nietzsche, Max Scheler, and René Girard.
«In our world the most advantageous position is almost always that of the victim. Everyone tries to occupy it, frequently without any real justification. But this possibility, used and abused by us all, we owe to the Bible.»
Following this stance of Girard, the aim of this paper is to argue that:
• ressentiment can be seen as a positive force in the building of Western ethics, at least as important as scapegoat processes.
• victimism can be interpreted as a particular form of ressentiment, strictly linked to the Christian doctrine.
In order to support these arguments, we will develop an original reflection based on a critical discussion and comparison between the thoughts on resentment of Friedrich Nietzsche, Max Scheler, and René Girard. The assumptions of Girard’s fundamental theories of mimetism and the scapegoat process will be taken for granted.
Il Pontefice che porta il nome del santo patrono degli ecologisti [1] ha emblematicamente dedicat... more Il Pontefice che porta il nome del santo patrono degli ecologisti [1] ha emblematicamente dedicato la sua prima autentica enciclica – eccettuata la Lumen Fidei scritta a quattro mani con il suo predecessore – alla pressante questione ambientale, presentandola con un titolo eminentemente francescano. Al di la dei proclami mediatici che, sulla scia di una rinnovata “ermeneutica della rottura”, scorgono nella Laudato Si’ un punto di svolta radicale rispetto ai documenti magisteriali precedenti, essa si presenta piuttosto come il punto culminante di una riflessione decennale della Chiesa Cattolica sull’ecologia: gia Giovanni Paolo II, ma soprattutto Benedetto XVI (non a caso i due autori piu citati nel documento di Francesco) avevano infatti dedicato numerose pagine al tema [2] , cosi come le Conferenze Episcopali di diversi Paesi della Terra, che Francesco si perita di ricordare [3] . [1] Il 29 novembre 1979 Giovanni Paolo II ha proclamato san Francesco d’Assisi «patrono dei cultori de...
In this paper we combine a philosophical theoretical analysis with human movement science empiric... more In this paper we combine a philosophical theoretical analysis with human movement science empirical studies, in order to provide a better understanding of the possible links between free play and creativity. We deal in particular with some dialectical dynamics inherent to free play: the relation between rules and freedom, spontaneity which often leads to imitation, the presence of a purpose as a necessary element to makes novelty creative, innovation as an essential part of adaptive processes. We remark the topic into a developmental perspective including the role of play tutoring. We advocate an interdisciplinary criticism for approaching the paradigm of free play and creativity. Our aim is to show that free play in itself does not always and necessarily imply creativity, but can easily foster it in the presence of certain specific conditions.
The Gaia hypothesis was formulated for the first time in 1979 by the British biologist James Love... more The Gaia hypothesis was formulated for the first time in 1979 by the British biologist James Lovelock. According to this conception, the Earth should be seen as a macro-organism whose purpose is to keep constant the basic ecological conditions that are necessary for the presence of life on the planet's surface. However, often with the support of Lovelock himself, this scientific hypothesis has gone beyond its limits, transforming itself into a sort of anti-humanistic pseudo-religion. The Earth becomes a kind of divinity (Gaia) with a purposive will. This process of “personification” is quite paradoxical: Nature acquires features that are denied,…
In this article we aim at exploring the concept of “sustainable development”, for what concerns i... more In this article we aim at exploring the concept of “sustainable development”, for what concerns its connections with health in general and with food-related health in particular. We will take an interdisciplinary perspective pooling together philosophy and law, first describing the ethical issues at stake, then exploring law-related aspects and, finally, summarizing the main results that we hope will be useful for the current academic debate and, why not, for actual life practices.
“Naturale” è il contenuto noematico di quel particolare vissuto che si presenta secondo i caratte... more “Naturale” è il contenuto noematico di quel particolare vissuto che si presenta secondo i caratteri dell’esistenza di qualcosa che, per la sua esistenza in quanto tale cosa, non dipende dalla volontà o dall’intervento dell’essere umano, che pure ne fa esperienza»1. Parafrasando Schopenhauer, potremmo intendere il concetto generale di “natura” come “rappresentazione del mondo della non-volontà”. Rispetto a questa concezione, vorrei cercare in questa sede di inten- dere specularmente la realtà virtuale come il sogno quasi pienamente re- alizzato di una realtà non-materiale, interamente formale, e interamen- te determinata dall’uomo: il mondo come volontà e rappresentazione.
Storicamente, il personalismo nasce negli anni Trenta del secolo scorso come un movimento politic... more Storicamente, il personalismo nasce negli anni Trenta del secolo scorso come un movimento politico, di "filosofia politica", e solo in seguito si dota di tutto un suo spessore storico, teoretico, teologico. La persona si delineava dunque inizialmente, all'inizio del secolo scorso, in senso negativo: essa emer-geva come una questione "sul far del proprio crepuscolo", si rivelava come realtà da preservare e pro-muovere proprio quando, da un lato, i totalitarismi emergenti minacciavano di dissolverla in seno a col-lettivismi di diversi colori, e dall'altro, l'individualismo borghese rivelava la propria insufficienza nel con-ferirle un senso esistenzialmente accettabile. Il "personalismo" fu anzitutto il presentimento e poi la presa di coscienza di un problema, necessaria condizione per individuare qualsivoglia soluzione. Certo, il secondo conflitto mondiale sembrò decretare, insieme alla dispersione dei suoi principali in-tellettuali 2 , anche il fallimento del personalismo tout-court: sembravano piuttosto inverarsi quelle che i personalisti consideravano le false necessità di una Storia fatalizzata, divinizzata, contro i cui illusori de-creti assoluti essi rivendicavano l'importanza della responsabilità personale e sociale. E tuttavia, nell'immediato dopoguerra, ci fu una sorta di ritorno di fiamma del personalismo, una sua riscoperta feconda: l'apporto della riflessione personalista fu infatti assolutamente decisivo per la costru-zione dell'Unione Europea-i personalisti sono sempre stati, fin dalla loro origine, insieme convinti fede-ralisti e convinti europeisti, sotto il senso dell'antinazionalismo 3-per i lavori dell'assemblea Costituente 1 D. de Rougemont, L'invention de la Personne, dattiloscritto originale di una delle conferenze che Rougemont tenne, in inglese, a Bloo-mington (Indiana) nel 1969, in occasione del Paul Tillich Award, col titolo generale di The Person and the City (Fonds Rougemont). 2 inserisci citazione 3 È sorprendente che i termini "persona" e "Europa", che insieme potrebbero essere presi come emblema dell'intero pensiero rougemon-tiano, richiamino entrambi, nella loro radice etimologica, il lemma greco ops, che significa proprio "occhio", "sguardo" e, per estensione, "volto". Prósopon, corrispondente greco del latino persona, deriva da pro-ops, "davanti agli occhi", ed è utilizzato già da Aristotele per indicare il "volto", o meglio «la parte sotto la calotta cranica» (Aristotele, Hist. an. I,8: 491 b 9, cit. in A. Milano, Persona in teologia, Edizioni Dehoniane, Roma 1996 (19841), p. 53.); Europa invece deriva dall'aggettivo eurus ("largo", "ampio") più ops, e significa dunque "sguardo ampio". Omero utilizza il termine come appellativo di Zeus ("che vede lontano"), ma Europa è anche il nome di una delle figlie di Agenore nel mito di Cadmo, e vuole indicare probabilmente una fanciulla dagli occhi larghi, dal volto ampio e bello. (Su questo tema, cfr. M. Nédoncelle, Prósopon et persona dans l'antiquité classique. Essai de bilan linguistique, in «RSR», n. 22, 1948, pp. 277-299; cfr. anche lo stesso Rouge-mont, VSE, pp. 485-506). 19 italiana 4 , e per quelli del Concilio Vaticano II 5 , informando infine la contemporanea dottrina sociale della Chiesa e persino un certo rinnovamento della teologia trinitaria 6. La persona era veramente "ritornata" in campo, anzi in molti campi (politico, civile, legislativo, reli-gioso, economico), tanto che Ricoeur così poteva sentenziare in un suo famosissimo articolo del 1983: «muore il personalismo, ritorna la persona. […] Se la persona ritorna, ciò accade perché essa resta il miglior candidato per sostenere le lotte giuridiche, politiche, economiche e sociali evocate da altri […] Rispetto a "coscienza", "soggetto", "io", la persona appare un concetto sopravvissuto e ritornato a nuova vita» 7. Il personalismo storico, in quanto movimento intellettuale, sarebbe stato sconfitto, per debolezze in-terne («non è stato così competitivo da vincere la battaglia del concetto») e per vicissitudini esterne («è stato superato dalla moda degli strutturalismi»); ma la "persona" in quanto esistenza più che concetto, la "persona" che quel personalismo si sforzava di salvaguardare e promuovere come il perno di ogni strut-tura sociale, morale e politica, è sopravvissuta, anzi gode di ottima salute rispetto ad altri concetti-chiave della filosofia moderna ormai desueti-per cui, «muoia [pure] il personalismo, [purché] ritorni la per-sona». Questo in sintesi il pensiero di Ricoeur, per il quale potremmo quasi dire che il personalismo era morto proprio perché si era compiuto, aveva portato a termine il proprio compito storico: riportare in auge la persona come «centro di un'attitudine». Tuttavia, oggi, dopo quaranta anni, mi pare si possano scorgere alcuni sintomi tali da far pensare ad un'inversione di tendenza, così che forse dovremmo nuovamente capovolgere i termini della formula-zione ricoeuriana. La "persona" sta nuovamente male, non è in punto di morte ma non se la passa benis-simo; e forse è il caso di far ritornare un po' di personalismo, ispirato al suo precursore storico ma capace di interfacciarsi con i problemi attuali. Proverò dunque a tracciare per sommi capi i "disturbi" della persona nella contemporaneità: i suoi malanni. E a individuare non tanto delle cure, ma delle piste di ricerca (come una vera ricerca medica) per trovarle.
1. In The Idea of the Holy (1917), Rudolf Otto identifies the numen as the non-rational core of e... more 1. In The Idea of the Holy (1917), Rudolf Otto identifies the numen as the non-rational core of every religious phenomenon. According to him, there is a universal human yearning for transcendence/radical alterity, which is at least partially filled by the experience of the nu- minous – this experience can be found in every historical religion, from the ancient ones to the perfect Christian Revelation. Otto’s ‘Hegelian’ system could be taken as a theoretical response to religious diversity, alternative for instance to John Hick’s one. 2. Otto does not mention the process of secularization. Today, his main point is inadmissible in itself, if not transformed. Given the secularisation, one of the two: either it is not true that there is a universal human yearning for radical transcendence/otherness, or this yearning can be found not only in the pos- itive historical religions, but also in extra-‘religious’ phenomena. 3. Our proposal aims to prove the second hypothesis. Numenology is the philosophical research of sacred/numinous features within various social, political, economic, anthropological, cultural phenomena. This approach moves from a recalibration of Otto’s and Max Scheler’s stances, through the critique of the per se existence of the objective pole of the experience of the Holy. 4. In this sense, the problem of religious diversity itself is reformulated: the yarning for transcendence is universal and therefore potentially pluralistic, and ‘religion’ is the name of a historical/social way to rationalize it. Final- ly, the open epistemological question is whether there can be any criterion for determining the truth (or even the reasonableness) of a specific numinous phenomenon, or not.
The aim of this paper is to provide a hermeneutics of the role of religious question in our conte... more The aim of this paper is to provide a hermeneutics of the role of religious question in our contemporary social context, on the basis of Pascal’s reflections on the phenomenon of divertissement. Starting from a proper contextualization of this theme within the whole of Pascal’s thought, the paper moves to an application of the theoretical-existential core of Pascal’s idea to the present situation of Western society, underlying how the dialectics between the “hunting” and the “prey” (i.e. the desire and its satisfaction) can be useful to better understand the current double movement of virtualization and institutionalization of desire.
come l’uscita dall’epoca delle
guerre di religione è avvenuta mediante l’imporsi di un valore
“de... more come l’uscita dall’epoca delle guerre di religione è avvenuta mediante l’imporsi di un valore “debole” e trasversale, quello della tolleranza, così l’uscita dalle guerre di quelle “nuove religioni” che sono state i totalitarismi (guerre che hanno forse rappresentato l’ultimo grande impatto del continente europeo sul mondo intero) è avvenuta mediante l’imporsi di una Istituzione neutrale e liberale, che dimettesse il conflitto rischiando però di stemperare fino allo sfinimento la ricchezza delle diversità culturali del continente: l’Unione Europea.
I fondamenti dell’etica in prospettiva interculturale. M. Pagano - L. Ghisleri (eds.)., 2017
Qual è la ragion d’essere dello Stato? Quale la ragione per la quale esiste? Per quale ragione gl... more Qual è la ragion d’essere dello Stato? Quale la ragione per la quale esiste? Per quale ragione gli uomini hanno bisogno di organizzarsi, di creare delle istituzioni, che regolino il loro vivere comune e a cui tutti debbano sottostare? Le risposte filosoficamente più plausibili mi sembrano quelle che muovono dal riconoscimento, nell’essere umano, di un’ipertrofica struttura di desiderio tanto creativa quanto potenzialmente violenta, e al contempo di una dotazione fisiologica precaria, tale da spingerlo a elaborare strategie tecnico-razionali per trascendere i propri limiti naturali.
Mounier. Persona e comunità. (eds. G. d'Acunto, A. Meccariello), 2018
Parigi, 1934. Marcel Moré entra nello studio di Mounier per proporgli un articolo di stampo marxi... more Parigi, 1934. Marcel Moré entra nello studio di Mounier per proporgli un articolo di stampo marxista. La risposta di Mounier, che rifiuta l’articolo, rimarrà celebre: «Qui siamo tutti proudhoniani». Cosa intendeva dire Mounier? Perché l’anarchico ateo dell’Ottocento piaceva tanto al personalista cattolico del Novecento, e alla sua cerchia “ecumenica” di intellettuali?
Inhabiting our home. Ecology as ethics of the space, and two distortions
– The contribution moves... more Inhabiting our home. Ecology as ethics of the space, and two distortions – The contribution moves from a brief history of the term “ecology”, which is today an ethical stance more than a biological discipline. More specifically, “ecology” defines a kind of “ethics of the space”, in which the actions of human beings are considered from the perspective of their potential environmental consequences. So, the space has to be seen as an house we inhabit: a home we have to properly menage. If this is true, there are two “spatial distortions” in the contemporary ecological debate: the deep ecology, which considers the material world as an epiphenomenon of a pure formal Relation; and the Gaia theory, which looks at the Earth as a kind of Divinity.
The current scientific and epistemological debate surrounding the living
being shows an increasin... more The current scientific and epistemological debate surrounding the living being shows an increasing use of metaphors as a means of theoretical elaboration. Compared with the classical linear modeling approaches, the metaphorical explanatory models seem to show a greater intelligibility of the self-organizing process, proper to biological systems1. In this paper we would try to argue for the explanatory power of metaphors as a tool of knowledge (scientific knowledge in particular). We aim to discuss and assess that metaphors are not mere means to simplify or outright promote theories too sensational for media outlets to pass up; their power of inquiry is basically “poietic”, as it expands our theoretical approach, and is even able to open new perspectives, mostly unexpected.
Edizioni Centro Studi Campostrini, Verona 2015
L’ecologia, oggi, è sicuramente uno dei temi più d... more Edizioni Centro Studi Campostrini, Verona 2015 L’ecologia, oggi, è sicuramente uno dei temi più dibattuti a livello socio-politico. L’approfondimento filosofico sui fondamenti dell’etica ambientale, tuttavia, non è altrettanto sviluppato: eppure l’ambientalismo, nella sua valenza etica, mostra caratteri del tutto peculiari nell’odierno contesto culturale. Si tratta infatti, sovente, del ripresentarsi di un’etica del dovere più che del diritto, della rinuncia più che della richiesta, della conservazione più che del cambiamento. In questo volume si cerca di inserirsi in tali questioni, rinvenendo in particolare, attraverso gli strumenti della riflessione filosofica, certi elementi religiosi presenti in alcune dottrine ambientaliste contemporanee. I termini della relazione tra religione e ecologia saranno poi ribaltati, e si tratterà di vedere come il rapporto uomo-natura sia pensato e pensabile nel solco della tradizione cristiana. Infine, tutti questi apporti convergeranno nella definizione di una meta-etica ecologica, ovvero nell’individuazione di alcune condizioni di possibilità per il costituirsi di un’ecologia normativa: tra tali condizioni, quella più importante riguarda lo statuto ontologico dell’essere umano rispetto agli altri esseri viventi e all’ecosistema.
Questo volume, che nasce come tesi di dottorato, si configura come la prima monografia filosofica... more Questo volume, che nasce come tesi di dottorato, si configura come la prima monografia filosofica italiana su Denis de Rougemont (1906-1985). L’obiettivo dichiarato è quello di colmare un gap. Precondizione necessaria, dunque, è quella di evidenziare che un gap effettivamente c’è: un concavo giustifica un convesso che lo colmi.
Il primo capitolo, in quest’ottica, è volto ad affermare l’importanza della figura e dell’opera di Denis de Rougemont, filosofo svizzero-francese che in Italia è conosciuto quasi esclusivamente come autore di un’opera fondamentale sul fenomeno erotico, L’Amour et l’Occident (1939). Può stupire, perciò, imbattersi in una sua statua nei Palazzi europei di Strasburgo: egli è ivi celebrato come uno dei Padri fondatori dell’Unione Europea. In effetti, ad un’analisi appena più approfondita, si scopre che Rougemont fu relatore della Commissione culturale del Congresso dell’Aia nel 1948, e addirittura presidente della prima Tavola Rotonda del Consiglio d’Europa, nel 1952. Più arduo è stabilire un possibile comune denominatore tra questi due orientamenti del suo pensiero, l’erotico e il politico. Damiano Bondi lo trova nella filosofia della persona, fondamento saldo e perenne di tutta la successiva costruzione teoretica del filosofo di Neuchâtel.
Il secondo capitolo della tesi, perciò, colloca Denis de Rougemont in quel complesso labirinto di correnti e ascendenze che fu il movimento personalista francese tra le due guerre. Ne emerge una figura centrale per comprendere la portata storica del personalismo: accanto ai più noti Mounier e Maritain, legati alla rivista Esprit, Rougemont cercò di fungere da mediatore tra le diverse anime del movimento e al contempo di cercare una propria “via” preferenziale. È tenendo conto di queste due tendenze che vanno interpretate le collaborazioni rougemontiane a diverse riviste del tempo (soprattutto L’Ordre Nouveau, ma anche la stessa Esprit e Hic et Nunc, di cui Rougemont era fondatore), e la pubblicazione di due tra le opere principali sui fondamenti filosofici del personalismo tout-court, ovvero Politique de la Personne (1934) e Penser avec les mains (1936).
Il terzo capitolo si concentra invece sul proprium del pensiero di Rougemont, cercando di individuare una “coerenza interna” tra i suoi scritti apparentemente disarmonici. Il percorso si sviluppa a partire dalla concezione rougemontiana della persona come realtà dialettica, tesa tra la datità individuale e la vocazione trascendente, che ne determina il collocamento nella società in senso “comunionale”: ogni persona è portatrice di un compito che essa sola può svolgere nella comunità, perciò si richiede che la politica ponga l’esercizio della libertà del singolo come bene primario rispetto alla pubblica utilità. Da ciò discende, in Rougemont, da una parte la critica ai collettivismi totalitari a lui contemporanei, come anche all’individualismo atomizzante quale si veniva a prefigurare nell’Europa occidentale sulla scia del modello americano, dall’altra l’individuazione del federalismo come quel sistema politico capace di coniugare in un equilibrio pur sempre precario le due esigenze dell’autonomia e dell’unione. La causa europeista, così, si sposa con quella federalista, in una visione riformatrice per cui si sarebbe imposto il superamento dello Stato-Nazione – nato per la guerra e caduto con essa, troppo grande per permettere un’autentica partecipazione democratica e troppo piccolo per difendersi da solo – in vista di una Unione Europea di macro-regioni a geometria variabile. Modello storicamente minoritario e perdente, e tuttavia ancora oggi discusso, nella misura in cui l’attuale architettura politica europea sta rivelando le proprie crepe.
Nel quarto capitolo, invece, si discute uno dei temi fondamentali del pensiero rougemontiano, l’amore. Il tema è tanto più problematico e degno di approfondimento quanto più
esso si discosta, almeno per come è trattato in L’Amour et l’Occident, da quella “coerenza interna” che invece segna il resto della produzione del filosofo di Neuchâtel. L’eccessivo dualismo con cui vengono presentati Eros e Agape nel volume del 1939, infatti, mal si sposa con la concezione dialettica dell’homo europeus che viene altrove sviluppata. A motivo di ciò, concorrono non solo fattori teoretici, ma anche biografici, di cui Bondi rende conto con una dovizia di particolari forse spietata, e tuttavia necessaria al fine di scandagliare a fondo una questione che per sua stessa natura travalica i limiti della stretta argomentazione razionale. Così, scoprendo le vicissitudini tormentate che accompagnarono Rougemont attraverso la tempesta del conflitto mondiale, emergono anche i nodi cruciali di un problema esistenziale e filosofico che doveva ancora essere risolto. L’approdo biografico di tale “deriva” è rappresentato dalla seconda moglie di Rougemont, quello filosofico dalle riflessioni che egli condensò soprattutto in Les Mythes de l’Amour (1967).
Il quinto capitolo è consacrato al tema dell’Occidente e alla sua storia millenaria e peculiare. Tra mito dell’origine e utopia escatologica, la cultura europea si è sempre protesa verso l’altro, perpetuamente insoddisfatta di sé e desiderosa di conoscenza e progresso, perfino nelle sue forme più invasive e violente. Il cristianesimo ha immesso in questa forma di civiltà, secondo Rougemont, la visione desacralizzata della natura e al contempo la credenza nella realtà della materia, favorendo così lo sviluppo tecno-scientifico. D’altra parte, attraverso i dogmi cristologici e trinitari, si è venuta a creare una concezione dell’uomo e delle sue relazioni in un senso ancora una volta drammatico, agonico, dialettico, tale per cui l’Europa diviene la patria delle antinomie inseparabili, e la persona il perno di questa dimensione letteralmente cruciale dell’esistenza. Lo stesso impegno ecologista degli ultimi anni della vita di Rougemont acquista il suo senso pieno se collocato in questa peculiare cornice antropologica.
Il sesto capitolo presenta infine la grande opera incompiuta e inedita di Rougemont, La Morale du But, che rappresenta il sottofondo di tutto l’itinerario intellettuale del filosofo. Damiano Bondi, beneficiando del permesso degli eredi di visionare i manoscritti e i dattiloscritti dell’opera (conservati presso il Fonds Rougemont di Neuchâtel), ne discute il contenuto e cerca di dimostrare come essa, nel suo farsi, si sia rivelata intimamente incoerente, incapace di pervenire agli obiettivi che il suo autore di era prefisso scrivendola, e perciò sia rimasta inedita. Nel tentativo, pure fallito, di delineare una nuova dottrina morale fondata sul concetto teleologico di vocazione personale, risiede un ulteriore elemento di interesse e originalità del pensiero e della figura di Denis de Rougemont. L’Appendice ribadisce l’importanza e l’attualità di questo filosofo indagandone i rapporti (concreti e ideali) con uno dei maggiori pensatori del nostro tempo, René Girard.
My aim in this paper is to carry out a philosophical reflection based on the state-of-the-art of ... more My aim in this paper is to carry out a philosophical reflection based on the state-of-the-art of the literature about cultured meat, in order to show how im- portant is to envisage and deal with the actual questions at stake. Therefore, in the first section I will present the main historical information about in vitro meat; in the second section I will discuss the linguistic-ontological question of whether it can be defined as “meat” or not; and in the third and last section I will relate and discuss the main ethical stances in the ongoing debate.
«Annali del Centro Studi Filosofici di Gallarate», 2021
My aim is to update the classical definition of “person” provided by Boe- thius to the present ph... more My aim is to update the classical definition of “person” provided by Boe- thius to the present philosophical and cultural framework, while preserving something of its original sense. That is why I propose (a) to put in brackets the two metaphysical categories of “substance” and “nature”, (b) to focus on the two characteristics of “individual” and “rational”, (c) to replace the latter with the notions of “freedom”, “uniqueness” and “integrality”.
The aim of this paper is to argue that: ressentiment can be seen as a positive force in the build... more The aim of this paper is to argue that: ressentiment can be seen as a positive force in the building of Western ethics, at least as important as scapegoat processes; victimism can be interpreted as a particular form of ressentiment, strictly linked to the Christian doctrine. In order to support these arguments, we will develop an original reflection based on a critical discussion and comparison between the thoughts on ressentiment of Friedrich Nietzsche, Max Scheler, and René Girard.
«In our world the most advantageous position is almost always that of the victim. Everyone tries to occupy it, frequently without any real justification. But this possibility, used and abused by us all, we owe to the Bible.»
Following this stance of Girard, the aim of this paper is to argue that:
• ressentiment can be seen as a positive force in the building of Western ethics, at least as important as scapegoat processes.
• victimism can be interpreted as a particular form of ressentiment, strictly linked to the Christian doctrine.
In order to support these arguments, we will develop an original reflection based on a critical discussion and comparison between the thoughts on resentment of Friedrich Nietzsche, Max Scheler, and René Girard. The assumptions of Girard’s fundamental theories of mimetism and the scapegoat process will be taken for granted.
Il Pontefice che porta il nome del santo patrono degli ecologisti [1] ha emblematicamente dedicat... more Il Pontefice che porta il nome del santo patrono degli ecologisti [1] ha emblematicamente dedicato la sua prima autentica enciclica – eccettuata la Lumen Fidei scritta a quattro mani con il suo predecessore – alla pressante questione ambientale, presentandola con un titolo eminentemente francescano. Al di la dei proclami mediatici che, sulla scia di una rinnovata “ermeneutica della rottura”, scorgono nella Laudato Si’ un punto di svolta radicale rispetto ai documenti magisteriali precedenti, essa si presenta piuttosto come il punto culminante di una riflessione decennale della Chiesa Cattolica sull’ecologia: gia Giovanni Paolo II, ma soprattutto Benedetto XVI (non a caso i due autori piu citati nel documento di Francesco) avevano infatti dedicato numerose pagine al tema [2] , cosi come le Conferenze Episcopali di diversi Paesi della Terra, che Francesco si perita di ricordare [3] . [1] Il 29 novembre 1979 Giovanni Paolo II ha proclamato san Francesco d’Assisi «patrono dei cultori de...
In this paper we combine a philosophical theoretical analysis with human movement science empiric... more In this paper we combine a philosophical theoretical analysis with human movement science empirical studies, in order to provide a better understanding of the possible links between free play and creativity. We deal in particular with some dialectical dynamics inherent to free play: the relation between rules and freedom, spontaneity which often leads to imitation, the presence of a purpose as a necessary element to makes novelty creative, innovation as an essential part of adaptive processes. We remark the topic into a developmental perspective including the role of play tutoring. We advocate an interdisciplinary criticism for approaching the paradigm of free play and creativity. Our aim is to show that free play in itself does not always and necessarily imply creativity, but can easily foster it in the presence of certain specific conditions.
The Gaia hypothesis was formulated for the first time in 1979 by the British biologist James Love... more The Gaia hypothesis was formulated for the first time in 1979 by the British biologist James Lovelock. According to this conception, the Earth should be seen as a macro-organism whose purpose is to keep constant the basic ecological conditions that are necessary for the presence of life on the planet's surface. However, often with the support of Lovelock himself, this scientific hypothesis has gone beyond its limits, transforming itself into a sort of anti-humanistic pseudo-religion. The Earth becomes a kind of divinity (Gaia) with a purposive will. This process of “personification” is quite paradoxical: Nature acquires features that are denied,…
In this article we aim at exploring the concept of “sustainable development”, for what concerns i... more In this article we aim at exploring the concept of “sustainable development”, for what concerns its connections with health in general and with food-related health in particular. We will take an interdisciplinary perspective pooling together philosophy and law, first describing the ethical issues at stake, then exploring law-related aspects and, finally, summarizing the main results that we hope will be useful for the current academic debate and, why not, for actual life practices.
“Naturale” è il contenuto noematico di quel particolare vissuto che si presenta secondo i caratte... more “Naturale” è il contenuto noematico di quel particolare vissuto che si presenta secondo i caratteri dell’esistenza di qualcosa che, per la sua esistenza in quanto tale cosa, non dipende dalla volontà o dall’intervento dell’essere umano, che pure ne fa esperienza»1. Parafrasando Schopenhauer, potremmo intendere il concetto generale di “natura” come “rappresentazione del mondo della non-volontà”. Rispetto a questa concezione, vorrei cercare in questa sede di inten- dere specularmente la realtà virtuale come il sogno quasi pienamente re- alizzato di una realtà non-materiale, interamente formale, e interamen- te determinata dall’uomo: il mondo come volontà e rappresentazione.
Storicamente, il personalismo nasce negli anni Trenta del secolo scorso come un movimento politic... more Storicamente, il personalismo nasce negli anni Trenta del secolo scorso come un movimento politico, di "filosofia politica", e solo in seguito si dota di tutto un suo spessore storico, teoretico, teologico. La persona si delineava dunque inizialmente, all'inizio del secolo scorso, in senso negativo: essa emer-geva come una questione "sul far del proprio crepuscolo", si rivelava come realtà da preservare e pro-muovere proprio quando, da un lato, i totalitarismi emergenti minacciavano di dissolverla in seno a col-lettivismi di diversi colori, e dall'altro, l'individualismo borghese rivelava la propria insufficienza nel con-ferirle un senso esistenzialmente accettabile. Il "personalismo" fu anzitutto il presentimento e poi la presa di coscienza di un problema, necessaria condizione per individuare qualsivoglia soluzione. Certo, il secondo conflitto mondiale sembrò decretare, insieme alla dispersione dei suoi principali in-tellettuali 2 , anche il fallimento del personalismo tout-court: sembravano piuttosto inverarsi quelle che i personalisti consideravano le false necessità di una Storia fatalizzata, divinizzata, contro i cui illusori de-creti assoluti essi rivendicavano l'importanza della responsabilità personale e sociale. E tuttavia, nell'immediato dopoguerra, ci fu una sorta di ritorno di fiamma del personalismo, una sua riscoperta feconda: l'apporto della riflessione personalista fu infatti assolutamente decisivo per la costru-zione dell'Unione Europea-i personalisti sono sempre stati, fin dalla loro origine, insieme convinti fede-ralisti e convinti europeisti, sotto il senso dell'antinazionalismo 3-per i lavori dell'assemblea Costituente 1 D. de Rougemont, L'invention de la Personne, dattiloscritto originale di una delle conferenze che Rougemont tenne, in inglese, a Bloo-mington (Indiana) nel 1969, in occasione del Paul Tillich Award, col titolo generale di The Person and the City (Fonds Rougemont). 2 inserisci citazione 3 È sorprendente che i termini "persona" e "Europa", che insieme potrebbero essere presi come emblema dell'intero pensiero rougemon-tiano, richiamino entrambi, nella loro radice etimologica, il lemma greco ops, che significa proprio "occhio", "sguardo" e, per estensione, "volto". Prósopon, corrispondente greco del latino persona, deriva da pro-ops, "davanti agli occhi", ed è utilizzato già da Aristotele per indicare il "volto", o meglio «la parte sotto la calotta cranica» (Aristotele, Hist. an. I,8: 491 b 9, cit. in A. Milano, Persona in teologia, Edizioni Dehoniane, Roma 1996 (19841), p. 53.); Europa invece deriva dall'aggettivo eurus ("largo", "ampio") più ops, e significa dunque "sguardo ampio". Omero utilizza il termine come appellativo di Zeus ("che vede lontano"), ma Europa è anche il nome di una delle figlie di Agenore nel mito di Cadmo, e vuole indicare probabilmente una fanciulla dagli occhi larghi, dal volto ampio e bello. (Su questo tema, cfr. M. Nédoncelle, Prósopon et persona dans l'antiquité classique. Essai de bilan linguistique, in «RSR», n. 22, 1948, pp. 277-299; cfr. anche lo stesso Rouge-mont, VSE, pp. 485-506). 19 italiana 4 , e per quelli del Concilio Vaticano II 5 , informando infine la contemporanea dottrina sociale della Chiesa e persino un certo rinnovamento della teologia trinitaria 6. La persona era veramente "ritornata" in campo, anzi in molti campi (politico, civile, legislativo, reli-gioso, economico), tanto che Ricoeur così poteva sentenziare in un suo famosissimo articolo del 1983: «muore il personalismo, ritorna la persona. […] Se la persona ritorna, ciò accade perché essa resta il miglior candidato per sostenere le lotte giuridiche, politiche, economiche e sociali evocate da altri […] Rispetto a "coscienza", "soggetto", "io", la persona appare un concetto sopravvissuto e ritornato a nuova vita» 7. Il personalismo storico, in quanto movimento intellettuale, sarebbe stato sconfitto, per debolezze in-terne («non è stato così competitivo da vincere la battaglia del concetto») e per vicissitudini esterne («è stato superato dalla moda degli strutturalismi»); ma la "persona" in quanto esistenza più che concetto, la "persona" che quel personalismo si sforzava di salvaguardare e promuovere come il perno di ogni strut-tura sociale, morale e politica, è sopravvissuta, anzi gode di ottima salute rispetto ad altri concetti-chiave della filosofia moderna ormai desueti-per cui, «muoia [pure] il personalismo, [purché] ritorni la per-sona». Questo in sintesi il pensiero di Ricoeur, per il quale potremmo quasi dire che il personalismo era morto proprio perché si era compiuto, aveva portato a termine il proprio compito storico: riportare in auge la persona come «centro di un'attitudine». Tuttavia, oggi, dopo quaranta anni, mi pare si possano scorgere alcuni sintomi tali da far pensare ad un'inversione di tendenza, così che forse dovremmo nuovamente capovolgere i termini della formula-zione ricoeuriana. La "persona" sta nuovamente male, non è in punto di morte ma non se la passa benis-simo; e forse è il caso di far ritornare un po' di personalismo, ispirato al suo precursore storico ma capace di interfacciarsi con i problemi attuali. Proverò dunque a tracciare per sommi capi i "disturbi" della persona nella contemporaneità: i suoi malanni. E a individuare non tanto delle cure, ma delle piste di ricerca (come una vera ricerca medica) per trovarle.
1. In The Idea of the Holy (1917), Rudolf Otto identifies the numen as the non-rational core of e... more 1. In The Idea of the Holy (1917), Rudolf Otto identifies the numen as the non-rational core of every religious phenomenon. According to him, there is a universal human yearning for transcendence/radical alterity, which is at least partially filled by the experience of the nu- minous – this experience can be found in every historical religion, from the ancient ones to the perfect Christian Revelation. Otto’s ‘Hegelian’ system could be taken as a theoretical response to religious diversity, alternative for instance to John Hick’s one. 2. Otto does not mention the process of secularization. Today, his main point is inadmissible in itself, if not transformed. Given the secularisation, one of the two: either it is not true that there is a universal human yearning for radical transcendence/otherness, or this yearning can be found not only in the pos- itive historical religions, but also in extra-‘religious’ phenomena. 3. Our proposal aims to prove the second hypothesis. Numenology is the philosophical research of sacred/numinous features within various social, political, economic, anthropological, cultural phenomena. This approach moves from a recalibration of Otto’s and Max Scheler’s stances, through the critique of the per se existence of the objective pole of the experience of the Holy. 4. In this sense, the problem of religious diversity itself is reformulated: the yarning for transcendence is universal and therefore potentially pluralistic, and ‘religion’ is the name of a historical/social way to rationalize it. Final- ly, the open epistemological question is whether there can be any criterion for determining the truth (or even the reasonableness) of a specific numinous phenomenon, or not.
The aim of this paper is to provide a hermeneutics of the role of religious question in our conte... more The aim of this paper is to provide a hermeneutics of the role of religious question in our contemporary social context, on the basis of Pascal’s reflections on the phenomenon of divertissement. Starting from a proper contextualization of this theme within the whole of Pascal’s thought, the paper moves to an application of the theoretical-existential core of Pascal’s idea to the present situation of Western society, underlying how the dialectics between the “hunting” and the “prey” (i.e. the desire and its satisfaction) can be useful to better understand the current double movement of virtualization and institutionalization of desire.
come l’uscita dall’epoca delle
guerre di religione è avvenuta mediante l’imporsi di un valore
“de... more come l’uscita dall’epoca delle guerre di religione è avvenuta mediante l’imporsi di un valore “debole” e trasversale, quello della tolleranza, così l’uscita dalle guerre di quelle “nuove religioni” che sono state i totalitarismi (guerre che hanno forse rappresentato l’ultimo grande impatto del continente europeo sul mondo intero) è avvenuta mediante l’imporsi di una Istituzione neutrale e liberale, che dimettesse il conflitto rischiando però di stemperare fino allo sfinimento la ricchezza delle diversità culturali del continente: l’Unione Europea.
I fondamenti dell’etica in prospettiva interculturale. M. Pagano - L. Ghisleri (eds.)., 2017
Qual è la ragion d’essere dello Stato? Quale la ragione per la quale esiste? Per quale ragione gl... more Qual è la ragion d’essere dello Stato? Quale la ragione per la quale esiste? Per quale ragione gli uomini hanno bisogno di organizzarsi, di creare delle istituzioni, che regolino il loro vivere comune e a cui tutti debbano sottostare? Le risposte filosoficamente più plausibili mi sembrano quelle che muovono dal riconoscimento, nell’essere umano, di un’ipertrofica struttura di desiderio tanto creativa quanto potenzialmente violenta, e al contempo di una dotazione fisiologica precaria, tale da spingerlo a elaborare strategie tecnico-razionali per trascendere i propri limiti naturali.
Mounier. Persona e comunità. (eds. G. d'Acunto, A. Meccariello), 2018
Parigi, 1934. Marcel Moré entra nello studio di Mounier per proporgli un articolo di stampo marxi... more Parigi, 1934. Marcel Moré entra nello studio di Mounier per proporgli un articolo di stampo marxista. La risposta di Mounier, che rifiuta l’articolo, rimarrà celebre: «Qui siamo tutti proudhoniani». Cosa intendeva dire Mounier? Perché l’anarchico ateo dell’Ottocento piaceva tanto al personalista cattolico del Novecento, e alla sua cerchia “ecumenica” di intellettuali?
Inhabiting our home. Ecology as ethics of the space, and two distortions
– The contribution moves... more Inhabiting our home. Ecology as ethics of the space, and two distortions – The contribution moves from a brief history of the term “ecology”, which is today an ethical stance more than a biological discipline. More specifically, “ecology” defines a kind of “ethics of the space”, in which the actions of human beings are considered from the perspective of their potential environmental consequences. So, the space has to be seen as an house we inhabit: a home we have to properly menage. If this is true, there are two “spatial distortions” in the contemporary ecological debate: the deep ecology, which considers the material world as an epiphenomenon of a pure formal Relation; and the Gaia theory, which looks at the Earth as a kind of Divinity.
The current scientific and epistemological debate surrounding the living
being shows an increasin... more The current scientific and epistemological debate surrounding the living being shows an increasing use of metaphors as a means of theoretical elaboration. Compared with the classical linear modeling approaches, the metaphorical explanatory models seem to show a greater intelligibility of the self-organizing process, proper to biological systems1. In this paper we would try to argue for the explanatory power of metaphors as a tool of knowledge (scientific knowledge in particular). We aim to discuss and assess that metaphors are not mere means to simplify or outright promote theories too sensational for media outlets to pass up; their power of inquiry is basically “poietic”, as it expands our theoretical approach, and is even able to open new perspectives, mostly unexpected.
Lo scopo di questo mio contributo è quello di mostrare che
il concetto di “persona” è un concetto... more Lo scopo di questo mio contributo è quello di mostrare che il concetto di “persona” è un concetto intimamente dialettico, in cui si cerca di ravvisare un equilibrio sempre precario, una tensione feconda tra due poli che se presi singolarmente, e eretti a “cifra dell’umano”, conducono inevitabilmente a patologici estremismi dalle nefande conseguenze non tanto astrattamente filosofiche, quanto concretamente politiche, economiche e psicologiche: possiamo chiamare questi due poli individualismo e collettivismo, liberismo e socialismo, solipsismo e massificazione, oppure più semplicemente solitudine e moltitudine. La “persona” è pensata come la cura da queste simmetriche patologie mediante la cosciente somministrazione dell’altro agente, che se unito in un composto con il suo opposto diventa, da patogeno, generatore di piena umanità. Per raggiungere questo scopo prenderò le mosse dal personalismo storico, ovvero dal movimento parigino del secolo scorso, poi ripercorrerò brevemente le tappe principali del concetto di persona nella sua elaborazione filosofica e teologica in Occidente, e infine tornerò al passato prossimo e al presente stato dell’Europa.
La rappresentazione che l’essere umano si fa dell’ambiente in cui vive, e che influisce nel modo ... more La rappresentazione che l’essere umano si fa dell’ambiente in cui vive, e che influisce nel modo in cui “ci” e “lo” vive, è tanto mutevole quanto la storia. Il “mondo naturale”, a seconda delle epoche e delle latitudini, può essere visto come un servo inerte o come un tiranno, come un nemico da combattere o come un compagno d’avventure, come inospitale o come accogliente; la “terra” può assumere il volto benigno di una madre o quello malevolo di una matrigna, può cullare l’umanità nelle sue valli o punirla con gli strali infuocati dei suoi monti. Tremendum et fascinans, il nostro habitat partecipa dell’ambivalenza propria del sacro, di ciò che non si lascia ingabbiare dalla prometeica volontà di comprensione, controllo e utilizzo da parte dell’uomo; di ciò che appare come soverchiante, finanche sublime, rispetto alla nostra limitata piccolezza.
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L’ecologia, oggi, è sicuramente uno dei temi più dibattuti a livello socio-politico. L’approfondimento filosofico sui fondamenti dell’etica ambientale, tuttavia, non è altrettanto sviluppato: eppure l’ambientalismo, nella sua valenza etica, mostra caratteri del tutto peculiari nell’odierno contesto culturale. Si tratta infatti, sovente, del ripresentarsi di un’etica del dovere più che del diritto, della rinuncia più che della richiesta, della conservazione più che del cambiamento.
In questo volume si cerca di inserirsi in tali questioni, rinvenendo in particolare, attraverso gli strumenti della riflessione filosofica, certi elementi religiosi presenti in alcune dottrine ambientaliste contemporanee. I termini della relazione tra religione e ecologia saranno poi ribaltati, e si tratterà di vedere come il rapporto uomo-natura sia pensato e pensabile nel solco della tradizione cristiana. Infine, tutti questi apporti convergeranno nella definizione di una meta-etica ecologica, ovvero nell’individuazione di alcune condizioni di possibilità per il costituirsi di un’ecologia normativa: tra tali condizioni, quella più importante riguarda lo statuto ontologico dell’essere umano rispetto agli altri esseri viventi e all’ecosistema.
Il primo capitolo, in quest’ottica, è volto ad affermare l’importanza della figura e dell’opera di Denis de Rougemont, filosofo svizzero-francese che in Italia è conosciuto quasi esclusivamente come autore di un’opera fondamentale sul fenomeno erotico, L’Amour et l’Occident (1939). Può stupire, perciò, imbattersi in una sua statua nei Palazzi europei di Strasburgo: egli è ivi celebrato come uno dei Padri fondatori dell’Unione Europea. In effetti, ad un’analisi appena più approfondita, si scopre che Rougemont fu relatore della Commissione culturale del Congresso dell’Aia nel 1948, e addirittura presidente della prima Tavola Rotonda del Consiglio d’Europa, nel 1952. Più arduo è stabilire un possibile comune denominatore tra questi due orientamenti del suo pensiero, l’erotico e il politico. Damiano Bondi lo trova nella filosofia della persona, fondamento saldo e perenne di tutta la successiva costruzione teoretica del filosofo di Neuchâtel.
Il secondo capitolo della tesi, perciò, colloca Denis de Rougemont in quel complesso labirinto di correnti e ascendenze che fu il movimento personalista francese tra le due guerre. Ne emerge una figura centrale per comprendere la portata storica del personalismo: accanto ai più noti Mounier e Maritain, legati alla rivista Esprit, Rougemont cercò di fungere da mediatore tra le diverse anime del movimento e al contempo di cercare una propria “via” preferenziale. È tenendo conto di queste due tendenze che vanno interpretate le collaborazioni rougemontiane a diverse riviste del tempo (soprattutto L’Ordre Nouveau, ma anche la stessa Esprit e Hic et Nunc, di cui Rougemont era fondatore), e la pubblicazione di due tra le opere principali sui fondamenti filosofici del personalismo tout-court, ovvero Politique de la Personne (1934) e Penser avec les mains (1936).
Il terzo capitolo si concentra invece sul proprium del pensiero di Rougemont, cercando di individuare una “coerenza interna” tra i suoi scritti apparentemente disarmonici. Il percorso si sviluppa a partire dalla concezione rougemontiana della persona come realtà dialettica, tesa tra la datità individuale e la vocazione trascendente, che ne determina il collocamento nella società in senso “comunionale”: ogni persona è portatrice di un compito che essa sola può svolgere nella comunità, perciò si richiede che la politica ponga l’esercizio della libertà del singolo come bene primario rispetto alla pubblica utilità. Da ciò discende, in Rougemont, da una parte la critica ai collettivismi totalitari a lui contemporanei, come anche all’individualismo atomizzante quale si veniva a prefigurare nell’Europa occidentale sulla scia del modello americano, dall’altra l’individuazione del federalismo come quel sistema politico capace di coniugare in un equilibrio pur sempre precario le due esigenze dell’autonomia e dell’unione. La causa europeista, così, si sposa con quella federalista, in una visione riformatrice per cui si sarebbe imposto il superamento dello Stato-Nazione – nato per la guerra e caduto con essa, troppo grande per permettere un’autentica partecipazione democratica e troppo piccolo per difendersi da solo – in vista di una Unione Europea di macro-regioni a geometria variabile. Modello storicamente minoritario e perdente, e tuttavia ancora oggi discusso, nella misura in cui l’attuale architettura politica europea sta rivelando le proprie crepe.
Nel quarto capitolo, invece, si discute uno dei temi fondamentali del pensiero rougemontiano, l’amore. Il tema è tanto più problematico e degno di approfondimento quanto più
esso si discosta, almeno per come è trattato in L’Amour et l’Occident, da quella “coerenza interna” che invece segna il resto della produzione del filosofo di Neuchâtel. L’eccessivo dualismo con cui vengono presentati Eros e Agape nel volume del 1939, infatti, mal si sposa con la concezione dialettica dell’homo europeus che viene altrove sviluppata. A motivo di ciò, concorrono non solo fattori teoretici, ma anche biografici, di cui Bondi rende conto con una dovizia di particolari forse spietata, e tuttavia necessaria al fine di scandagliare a fondo una questione che per sua stessa natura travalica i limiti della stretta argomentazione razionale. Così, scoprendo le vicissitudini tormentate che accompagnarono Rougemont attraverso la tempesta del conflitto mondiale, emergono anche i nodi cruciali di un problema esistenziale e filosofico che doveva ancora essere risolto. L’approdo biografico di tale “deriva” è rappresentato dalla seconda moglie di Rougemont, quello filosofico dalle riflessioni che egli condensò soprattutto in Les Mythes de l’Amour (1967).
Il quinto capitolo è consacrato al tema dell’Occidente e alla sua storia millenaria e peculiare. Tra mito dell’origine e utopia escatologica, la cultura europea si è sempre protesa verso l’altro, perpetuamente insoddisfatta di sé e desiderosa di conoscenza e progresso, perfino nelle sue forme più invasive e violente. Il cristianesimo ha immesso in questa forma di civiltà, secondo Rougemont, la visione desacralizzata della natura e al contempo la credenza nella realtà della materia, favorendo così lo sviluppo tecno-scientifico. D’altra parte, attraverso i dogmi cristologici e trinitari, si è venuta a creare una concezione dell’uomo e delle sue relazioni in un senso ancora una volta drammatico, agonico, dialettico, tale per cui l’Europa diviene la patria delle antinomie inseparabili, e la persona il perno di questa dimensione letteralmente cruciale dell’esistenza. Lo stesso impegno ecologista degli ultimi anni della vita di Rougemont acquista il suo senso pieno se collocato in questa peculiare cornice antropologica.
Il sesto capitolo presenta infine la grande opera incompiuta e inedita di Rougemont, La Morale du But, che rappresenta il sottofondo di tutto l’itinerario intellettuale del filosofo. Damiano Bondi, beneficiando del permesso degli eredi di visionare i manoscritti e i dattiloscritti dell’opera (conservati presso il Fonds Rougemont di Neuchâtel), ne discute il contenuto e cerca di dimostrare come essa, nel suo farsi, si sia rivelata intimamente incoerente, incapace di pervenire agli obiettivi che il suo autore di era prefisso scrivendola, e perciò sia rimasta inedita. Nel tentativo, pure fallito, di delineare una nuova dottrina morale fondata sul concetto teleologico di vocazione personale, risiede un ulteriore elemento di interesse e originalità del pensiero e della figura di Denis de Rougemont. L’Appendice ribadisce l’importanza e l’attualità di questo filosofo indagandone i rapporti (concreti e ideali) con uno dei maggiori pensatori del nostro tempo, René Girard.
«In our world the most advantageous position is almost always that of the victim. Everyone tries to occupy it, frequently without any real justification. But this possibility, used and abused by us all, we owe to the Bible.»
Following this stance of Girard, the aim of this paper is to argue that:
• ressentiment can be seen as a positive force in the building of Western ethics, at least as important as scapegoat processes.
• victimism can be interpreted as a particular form of ressentiment, strictly linked to the Christian doctrine.
In order to support these arguments, we will develop an original reflection based on a critical discussion and comparison between the thoughts on resentment of Friedrich Nietzsche, Max Scheler, and René Girard. The assumptions of Girard’s fundamental theories of mimetism and the scapegoat process will be taken for granted.
Rispetto a questa concezione, vorrei cercare in questa sede di inten- dere specularmente la realtà virtuale come il sogno quasi pienamente re- alizzato di una realtà non-materiale, interamente formale, e interamen- te determinata dall’uomo: il mondo come volontà e rappresentazione.
guerre di religione è avvenuta mediante l’imporsi di un valore
“debole” e trasversale, quello della tolleranza, così l’uscita
dalle guerre di quelle “nuove religioni” che sono state i totalitarismi
(guerre che hanno forse rappresentato l’ultimo grande
impatto del continente europeo sul mondo intero) è avvenuta
mediante l’imporsi di una Istituzione neutrale e liberale, che
dimettesse il conflitto rischiando però di stemperare fino allo
sfinimento la ricchezza delle diversità culturali del continente: l’Unione Europea.
proudhoniani».
Cosa intendeva dire Mounier? Perché l’anarchico ateo dell’Ottocento piaceva tanto al personalista
cattolico del Novecento, e alla sua cerchia “ecumenica” di intellettuali?
– The contribution moves from a brief history of the term
“ecology”, which is today an ethical stance more than a biological discipline.
More specifically, “ecology” defines a kind of “ethics of the
space”, in which the actions of human beings are considered from the
perspective of their potential environmental consequences. So, the space
has to be seen as an house we inhabit: a home we have to properly
menage. If this is true, there are two “spatial distortions” in the contemporary
ecological debate: the deep ecology, which considers the material
world as an epiphenomenon of a pure formal Relation; and the
Gaia theory, which looks at the Earth as a kind of Divinity.
being shows an increasing use of metaphors as a means of theoretical
elaboration. Compared with the classical linear modeling approaches, the
metaphorical explanatory models seem to show a greater intelligibility of
the self-organizing process, proper to biological systems1.
In this paper we would try to argue for the explanatory power of
metaphors as a tool of knowledge (scientific knowledge in particular). We
aim to discuss and assess that metaphors are not mere means to simplify or
outright promote theories too sensational for media outlets to pass up; their
power of inquiry is basically “poietic”, as it expands our theoretical
approach, and is even able to open new perspectives, mostly unexpected.
L’ecologia, oggi, è sicuramente uno dei temi più dibattuti a livello socio-politico. L’approfondimento filosofico sui fondamenti dell’etica ambientale, tuttavia, non è altrettanto sviluppato: eppure l’ambientalismo, nella sua valenza etica, mostra caratteri del tutto peculiari nell’odierno contesto culturale. Si tratta infatti, sovente, del ripresentarsi di un’etica del dovere più che del diritto, della rinuncia più che della richiesta, della conservazione più che del cambiamento.
In questo volume si cerca di inserirsi in tali questioni, rinvenendo in particolare, attraverso gli strumenti della riflessione filosofica, certi elementi religiosi presenti in alcune dottrine ambientaliste contemporanee. I termini della relazione tra religione e ecologia saranno poi ribaltati, e si tratterà di vedere come il rapporto uomo-natura sia pensato e pensabile nel solco della tradizione cristiana. Infine, tutti questi apporti convergeranno nella definizione di una meta-etica ecologica, ovvero nell’individuazione di alcune condizioni di possibilità per il costituirsi di un’ecologia normativa: tra tali condizioni, quella più importante riguarda lo statuto ontologico dell’essere umano rispetto agli altri esseri viventi e all’ecosistema.
Il primo capitolo, in quest’ottica, è volto ad affermare l’importanza della figura e dell’opera di Denis de Rougemont, filosofo svizzero-francese che in Italia è conosciuto quasi esclusivamente come autore di un’opera fondamentale sul fenomeno erotico, L’Amour et l’Occident (1939). Può stupire, perciò, imbattersi in una sua statua nei Palazzi europei di Strasburgo: egli è ivi celebrato come uno dei Padri fondatori dell’Unione Europea. In effetti, ad un’analisi appena più approfondita, si scopre che Rougemont fu relatore della Commissione culturale del Congresso dell’Aia nel 1948, e addirittura presidente della prima Tavola Rotonda del Consiglio d’Europa, nel 1952. Più arduo è stabilire un possibile comune denominatore tra questi due orientamenti del suo pensiero, l’erotico e il politico. Damiano Bondi lo trova nella filosofia della persona, fondamento saldo e perenne di tutta la successiva costruzione teoretica del filosofo di Neuchâtel.
Il secondo capitolo della tesi, perciò, colloca Denis de Rougemont in quel complesso labirinto di correnti e ascendenze che fu il movimento personalista francese tra le due guerre. Ne emerge una figura centrale per comprendere la portata storica del personalismo: accanto ai più noti Mounier e Maritain, legati alla rivista Esprit, Rougemont cercò di fungere da mediatore tra le diverse anime del movimento e al contempo di cercare una propria “via” preferenziale. È tenendo conto di queste due tendenze che vanno interpretate le collaborazioni rougemontiane a diverse riviste del tempo (soprattutto L’Ordre Nouveau, ma anche la stessa Esprit e Hic et Nunc, di cui Rougemont era fondatore), e la pubblicazione di due tra le opere principali sui fondamenti filosofici del personalismo tout-court, ovvero Politique de la Personne (1934) e Penser avec les mains (1936).
Il terzo capitolo si concentra invece sul proprium del pensiero di Rougemont, cercando di individuare una “coerenza interna” tra i suoi scritti apparentemente disarmonici. Il percorso si sviluppa a partire dalla concezione rougemontiana della persona come realtà dialettica, tesa tra la datità individuale e la vocazione trascendente, che ne determina il collocamento nella società in senso “comunionale”: ogni persona è portatrice di un compito che essa sola può svolgere nella comunità, perciò si richiede che la politica ponga l’esercizio della libertà del singolo come bene primario rispetto alla pubblica utilità. Da ciò discende, in Rougemont, da una parte la critica ai collettivismi totalitari a lui contemporanei, come anche all’individualismo atomizzante quale si veniva a prefigurare nell’Europa occidentale sulla scia del modello americano, dall’altra l’individuazione del federalismo come quel sistema politico capace di coniugare in un equilibrio pur sempre precario le due esigenze dell’autonomia e dell’unione. La causa europeista, così, si sposa con quella federalista, in una visione riformatrice per cui si sarebbe imposto il superamento dello Stato-Nazione – nato per la guerra e caduto con essa, troppo grande per permettere un’autentica partecipazione democratica e troppo piccolo per difendersi da solo – in vista di una Unione Europea di macro-regioni a geometria variabile. Modello storicamente minoritario e perdente, e tuttavia ancora oggi discusso, nella misura in cui l’attuale architettura politica europea sta rivelando le proprie crepe.
Nel quarto capitolo, invece, si discute uno dei temi fondamentali del pensiero rougemontiano, l’amore. Il tema è tanto più problematico e degno di approfondimento quanto più
esso si discosta, almeno per come è trattato in L’Amour et l’Occident, da quella “coerenza interna” che invece segna il resto della produzione del filosofo di Neuchâtel. L’eccessivo dualismo con cui vengono presentati Eros e Agape nel volume del 1939, infatti, mal si sposa con la concezione dialettica dell’homo europeus che viene altrove sviluppata. A motivo di ciò, concorrono non solo fattori teoretici, ma anche biografici, di cui Bondi rende conto con una dovizia di particolari forse spietata, e tuttavia necessaria al fine di scandagliare a fondo una questione che per sua stessa natura travalica i limiti della stretta argomentazione razionale. Così, scoprendo le vicissitudini tormentate che accompagnarono Rougemont attraverso la tempesta del conflitto mondiale, emergono anche i nodi cruciali di un problema esistenziale e filosofico che doveva ancora essere risolto. L’approdo biografico di tale “deriva” è rappresentato dalla seconda moglie di Rougemont, quello filosofico dalle riflessioni che egli condensò soprattutto in Les Mythes de l’Amour (1967).
Il quinto capitolo è consacrato al tema dell’Occidente e alla sua storia millenaria e peculiare. Tra mito dell’origine e utopia escatologica, la cultura europea si è sempre protesa verso l’altro, perpetuamente insoddisfatta di sé e desiderosa di conoscenza e progresso, perfino nelle sue forme più invasive e violente. Il cristianesimo ha immesso in questa forma di civiltà, secondo Rougemont, la visione desacralizzata della natura e al contempo la credenza nella realtà della materia, favorendo così lo sviluppo tecno-scientifico. D’altra parte, attraverso i dogmi cristologici e trinitari, si è venuta a creare una concezione dell’uomo e delle sue relazioni in un senso ancora una volta drammatico, agonico, dialettico, tale per cui l’Europa diviene la patria delle antinomie inseparabili, e la persona il perno di questa dimensione letteralmente cruciale dell’esistenza. Lo stesso impegno ecologista degli ultimi anni della vita di Rougemont acquista il suo senso pieno se collocato in questa peculiare cornice antropologica.
Il sesto capitolo presenta infine la grande opera incompiuta e inedita di Rougemont, La Morale du But, che rappresenta il sottofondo di tutto l’itinerario intellettuale del filosofo. Damiano Bondi, beneficiando del permesso degli eredi di visionare i manoscritti e i dattiloscritti dell’opera (conservati presso il Fonds Rougemont di Neuchâtel), ne discute il contenuto e cerca di dimostrare come essa, nel suo farsi, si sia rivelata intimamente incoerente, incapace di pervenire agli obiettivi che il suo autore di era prefisso scrivendola, e perciò sia rimasta inedita. Nel tentativo, pure fallito, di delineare una nuova dottrina morale fondata sul concetto teleologico di vocazione personale, risiede un ulteriore elemento di interesse e originalità del pensiero e della figura di Denis de Rougemont. L’Appendice ribadisce l’importanza e l’attualità di questo filosofo indagandone i rapporti (concreti e ideali) con uno dei maggiori pensatori del nostro tempo, René Girard.
«In our world the most advantageous position is almost always that of the victim. Everyone tries to occupy it, frequently without any real justification. But this possibility, used and abused by us all, we owe to the Bible.»
Following this stance of Girard, the aim of this paper is to argue that:
• ressentiment can be seen as a positive force in the building of Western ethics, at least as important as scapegoat processes.
• victimism can be interpreted as a particular form of ressentiment, strictly linked to the Christian doctrine.
In order to support these arguments, we will develop an original reflection based on a critical discussion and comparison between the thoughts on resentment of Friedrich Nietzsche, Max Scheler, and René Girard. The assumptions of Girard’s fundamental theories of mimetism and the scapegoat process will be taken for granted.
Rispetto a questa concezione, vorrei cercare in questa sede di inten- dere specularmente la realtà virtuale come il sogno quasi pienamente re- alizzato di una realtà non-materiale, interamente formale, e interamen- te determinata dall’uomo: il mondo come volontà e rappresentazione.
guerre di religione è avvenuta mediante l’imporsi di un valore
“debole” e trasversale, quello della tolleranza, così l’uscita
dalle guerre di quelle “nuove religioni” che sono state i totalitarismi
(guerre che hanno forse rappresentato l’ultimo grande
impatto del continente europeo sul mondo intero) è avvenuta
mediante l’imporsi di una Istituzione neutrale e liberale, che
dimettesse il conflitto rischiando però di stemperare fino allo
sfinimento la ricchezza delle diversità culturali del continente: l’Unione Europea.
proudhoniani».
Cosa intendeva dire Mounier? Perché l’anarchico ateo dell’Ottocento piaceva tanto al personalista
cattolico del Novecento, e alla sua cerchia “ecumenica” di intellettuali?
– The contribution moves from a brief history of the term
“ecology”, which is today an ethical stance more than a biological discipline.
More specifically, “ecology” defines a kind of “ethics of the
space”, in which the actions of human beings are considered from the
perspective of their potential environmental consequences. So, the space
has to be seen as an house we inhabit: a home we have to properly
menage. If this is true, there are two “spatial distortions” in the contemporary
ecological debate: the deep ecology, which considers the material
world as an epiphenomenon of a pure formal Relation; and the
Gaia theory, which looks at the Earth as a kind of Divinity.
being shows an increasing use of metaphors as a means of theoretical
elaboration. Compared with the classical linear modeling approaches, the
metaphorical explanatory models seem to show a greater intelligibility of
the self-organizing process, proper to biological systems1.
In this paper we would try to argue for the explanatory power of
metaphors as a tool of knowledge (scientific knowledge in particular). We
aim to discuss and assess that metaphors are not mere means to simplify or
outright promote theories too sensational for media outlets to pass up; their
power of inquiry is basically “poietic”, as it expands our theoretical
approach, and is even able to open new perspectives, mostly unexpected.
il concetto di “persona” è un concetto intimamente dialettico,
in cui si cerca di ravvisare un equilibrio sempre precario, una
tensione feconda tra due poli che se presi singolarmente, e
eretti a “cifra dell’umano”, conducono inevitabilmente a patologici
estremismi dalle nefande conseguenze non tanto astrattamente
filosofiche, quanto concretamente politiche, economiche
e psicologiche: possiamo chiamare questi due poli individualismo
e collettivismo, liberismo e socialismo, solipsismo e
massificazione, oppure più semplicemente solitudine e moltitudine.
La “persona” è pensata come la cura da queste simmetriche
patologie mediante la cosciente somministrazione dell’altro
agente, che se unito in un composto con il suo opposto
diventa, da patogeno, generatore di piena umanità.
Per raggiungere questo scopo prenderò le mosse dal personalismo
storico, ovvero dal movimento parigino del secolo
scorso, poi ripercorrerò brevemente le tappe principali del
concetto di persona nella sua elaborazione filosofica e teologica
in Occidente, e infine tornerò al passato prossimo e al presente
stato dell’Europa.