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ARtIColo oRIgInAle 166

ARTICOLO ORIGINALE Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia 2016;42:166-173 Orthopaedic Algodystrophy Syndrome in Italy (OASI). Risultati da un’indagine coinvolgente 289 ortopedici Orthopaedic Algodystrophy Syndrome in Italy (OASI). Results from a survey involving 289 orthopaedic surgeons Umberto Tarantino1 (foto) Giovanni Iolascon2 Luca Neri3 Andrea Piccioli4 Giuseppe Sessa5 Paolo Cherubino6 1 Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia, Università Tor Vergata, Fondazione Policlinico Tor Vergata; 2 Dipartimento di Specialità MedicoChirurgiche ed Odontoiatriche, Seconda Università degli Studi di Napoli; 3 Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano; 4 Centro Oncologico di Palazzo Baleani, Azienda Policlinico Umberto I, Roma; 5 Clinica Ortopedica, Università di Catania; 6 Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita, Università dell’Insubria, Varese Indirizzo per la corrispondenza: Umberto Tarantino Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia, Università di Roma “Tor Vergata”, Fondazione Policlinico “Tor Vergata” viale Oxford, 81 00133 Roma E-mail: umberto.tarantino@uniroma2.it 166 Riassunto Introduzione. Nonostante la sindrome algodistrofica rappresenti un’evenienza rara nella popolazione generale, nel 4-7% può complicare l’evoluzione di un intervento chirurgico/frattura di un arto. L’obiettivo principale del presente studio è valutare l’orientamento diagnostico-terapeutico della sindrome algodistrofica da parte dei chirurghi ortopedici. Materiali e metodi. I dati sono stati ottenuti tramite la somministrazione di un questionario appositamente designato, composto da 23 item a risposta multipla. Risultati. 289 chirurghi ortopedici hanno partecipato allo studio. La maggior parte dei partecipanti non si avvale di alcun criterio diagnostico, ma si basa principalmente sulla propria esperienza clinica. Le classi farmacologiche più comunemente utilizzate sono risultate i bisfosfonati (93%), seguiti dai FANS (43%). Conclusioni. Il mancato utilizzo dei criteri diagnostici proposti in letteratura può portare, considerando anche l’incidenza non frequente di questa patologia, a possibili errori o ritardi nella diagnosi definitiva. In accordo con quanto suggerito dai più recenti studi i bisfosfonati, ed in particolare il neridronato, rappresentano i farmaci di prima scelta. Parole chiave: algodistrofia, complex regional pain syndrome, bisfosfonati, trattamento, diagnosi, neridronato Summary Introduction. Despite algodystrophy represents a rare occurrence in the general population, in 4-7% of cases can complicate the surgery/fracture of a limb. The main objective of this study is to assess diagnostic and therapeutic practice patterns toward algodystrophy syndromes by orthopedic surgeons. Materials and methods. The data were obtained through the administration of a specially designated 23-items questionnaire. Results. 289 orthopedic surgeons participated in the study. Most of them do not use any diagnostic criteria, but only rely for the diagnosis on their clinical experience. The most commonly used drugs were bisphosphonates (93%), followed by NSAIDs (43%). Conclusions. The lack of knowledge of validated diagnostic criteria proposed in literature can lead to possible errors or delay in the diagnosis of algodystrophy. In accordance with the recommendations from the most recent studies bisphosphonates represent the first choice drugs. Key words: algodystrophy, complex regional pain syndrome, bisphosphonates, treatment, diagnosis, neridronate Orthopaedic Algodystrophy Syndrome in Italy (OASI) ARTICOLO ORIGINALE Introduzione Con il termine sindrome algodistrofica viene definito un disturbo caratterizzato da dolore persistente a localizzazione regionale (non riferibile al territorio di innervazione di un singolo ramo nervoso o ad un dermatomero), solitamente associato ad altri segni e sintomi di natura sensitiva, motoria, vasomotoria e trofica 1. Il dolore è tipicamente sproporzionato, per estensione temporale ed intensità, a quanto atteso dopo l’evento scatenante, rappresentato solitamente dalla frattura/ chirurgia di un arto o da un trauma minore (distorsione/contusione) 1-3. È possibile che in una piccola percentuale di casi (3-11%) l’esordio possa essere spontaneo 4 5. In letteratura sono stati utilizzati numerosi sinonimi del termine sindrome algodistrofica, dei quali i più comuni sono: complex regional pain syndrome (CRPS), distrofia simpatica riflessa, morbo di Sudeck, algoneurodistrofia, causalgia. Il tasso d’incidenza varia dal 5,5 al 26,2 per 100.000 persone/anno, con un rischio nel sesso femminile maggiore di 3,4-4,0 volte rispetto agli uomini 6 7. La patogenesi è ancora oggetto di studio, ma sembra coinvolgere diversi meccanismi che possono essere sinteticamente raggruppati nei seguenti tre principali: 1. meccanismo afferente, collegato all’evento flogistico e rappresentato dal rilascio locale di neuropeptidi e citochine pro infiammatorie, che determinano l’aumento della sensibilità nocicettiva, l’edema e l’aumento della temperatura locale 9; 2. meccanismo efferente, legato all’attività del sistema nervoso simpatico con aumentata sensibilità dei vasi sanguigni alle catecolamine, responsabile della vasocostrizione a livello arteriolare e vasodilatazione a livello venulare 8; 3. meccanismo centrale, comune alle varie forme di dolore cronico, caratterizzato da una riorganizzazione plastica del sistema nervoso centrale (sia del midollo spinale che del cervello) 10. La diagnosi di algodistrofia è essenzialmente basata su criteri clinici 1. Non esistono test laboratoristici o indagini strumentali specifiche che ne accertino la diagnosi; tuttavia questi possono essere utili per escludere possibili diagnosi differenziali 11. Numerosi criteri diagnostici sono stati proposti tra cui quelli di Veldman 4, di Atkins 15 e quelli proposti dall’International Association for the Study of Pain (IASP, Orlando 1993 e Budapest 2003) 12 14 16 (Tab. I). Questi ultimi rappresentano i criteri diagnostici più comunemente utilizzati per la CRPS. L’obiettivo principale del presente studio è di valutare l’orientamento diagnostico-terapeutico per la sindrome algodistrofica da parte dei chirurghi ortopedici tramite un’inchiesta online offerta sul sito web della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) ai suoi membri. Tabella I. Criteri clinici di Budapest per la diagnosi di sindrome algodistrofica 16. 1. Dolore continuo sproporzionato rispetto all’evento scatenante 2. Il paziente deve riferire almeno un sintomo in tre delle quattro categorie seguenti: a. Sensoriali: iperalgesia e/o allodinia b. Vasomotorie: alterazioni/asimmetria del colorito e/o temperatura cutanea c. Sudomotorie/edema: alterazioni/asimmetria della sudorazione e/o gonfiore d. Motorie/trofiche: debolezza, tremore, distonia, riduzione dell’articolarità, alterazioni/asimmetria del trofismo di unghie, pelle e/o capelli 3. All’esame obiettivo deve essere presente almeno un segno in almeno due delle categorie sopra riportate 4. I segni e sintomi non devono essere meglio giustificati da una possibile diagnosi alternativa Materiali e metodi Per valutare l’orientamento diagnostico-terapeutico dei chirurghi ortopedici italiani è stato redatto un questionario autosomministrato e pubblicato sul sito web della SIOT. I chirurghi ortopedici hanno partecipato allo studio OASI (Orthopaedic Algodystrophy Syndrome in Italy) accedendo alla pagina protetta del sito web della SIOT tramite le loro credenziali istituzionali. Il questionario era composto da 23 item a risposta multipla: le prime 8 domande erano mirate a valutare il livello di esperienza del chirurgo ortopedico in tale ambito e le caratteristiche demografiche della casistica osservata nel corso della pratica clinica; i successivi 10 item erano volti a valutare l’utilizzo dei principali criteri diagnostici, l’adozione di esami strumentali e radiologici per la diagnosi, le tempistiche mediamente impiegate per arrivare alla diagnosi definitiva e l’eventuale coinvolgimento di altri specialisti nel processo diagnostico; infine, gli ultimi 5 item valutavano il pattern di prescrizione dei trattamenti farmacologici e non farmacologici. Ai medici partecipanti veniva inoltre richiesto di fornire una autovalutazione del proprio grado di conoscenza della patologia assegnando un punteggio da 1 (= per nulla), a 5 (= moltissimo). I chirurghi ortopedici sono stati classificati come “esperti” per lo scopo delle successive analisi se hanno assegnato il punteggio 5 a questa domanda. Analisi statistica Abbiamo riportato medie e deviazioni standard oppure frequenze assolute e relative per le risposte fornite al questionario. Inoltre abbiamo confrontato le risposte fornite 167 U. Tarantino et al. ARTICOLO ORIGINALE dai partecipanti “esperti” con la restante parte del campione tramite χ2 oppure Wilcoxon test per variabili categoriche o continue rispettivamente. Una p < 0,05 è stata considerata statisticamente significativa. Risultati Duecentoottantanove chirurghi ortopedici hanno partecipato allo studio. Tra i partecipanti, 42 hanno dichiarato di ritenersi molto bene informati in merito alla diagnosi e al trattamento dell’algodistrofia, mentre gli altri 247 medici si sono dichiarati per nulla, poco, sufficientemente, o abbastanza informati. In Tabella II sono riportati i risultati relativi alle caratteristiche demografiche della casistica osservata dagli specialisti, la tempistica media per arrivare alla diagnosi definitiva, i sintomi riferiti dalla maggior parte dei pazienti, mentre in Tabella III è riportato il processo diagnostico adottato per la definizione della sindrome algodistrofica. In particolare, l’età media della casistica osservata dai clinici è risultata di 53 anni con una maggiore prevalenza della patologia nel sesso femminile. Il tempo medio per la diagnosi definitiva è di circa 5 settimane, leggermente minore per coloro definiti “esperti” rispetto ai “non esperti” (4,4 vs 5,0 settimane). La maggior parte dei chirurghi ortopedici non si avvale di alcun criterio diagnostico, ma si basa principalmente sulla propria esperienza clinica; infatti i criteri di Budapest sono utilizzati solo nel 12% e 17% rispettivamente dai chirurghi classificati come “esperti” e “non esperti”. Gli esami diagnostici più frequentemente utilizzati sono risultati essere nel 75% dei casi la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), seguita dalla radiografia standard nel 70%, gli esami di laboratorio nel 25% e la scintigrafia ossea nel 19% dei casi. Nessuna differenza statisticamente significativa è stata osservata confrontando l’approccio diagnostico adottato da “esperti” e “non esperti” (Tab. III). Riguardo alle opzioni terapeutiche il 95% dei chirurghi ortopedici preferisce il trattamento farmacologico rispetto al trattamento fisioterapico e psicoterapico. Le classi farmacologiche più comunemente utilizzate sono risultate essere i bisfosfonati (93%), seguiti dai FANS (43%), oppioidi deboli (30%), analgesici deboli (26%), antidepressivi (14%), oppioidi forti (12%), anticonvulsivanti (11%), corticosteroidi (7%), vitamina D3 (5%), calcio carbonato (2%), vasodilatatori (1%), ansiolitici (1%), calcitonina (1%). Nessuna differenza significativa è stata osservata confrontando l’approccio terapeutico tra “esperti” e “non esperti”, eccetto che per la prescrizione di vitamina D3 e di farmaci vasodilatatori (Tab. IV). Discussione Nonostante la sindrome algodistrofica rappresenti un’evenienza rara nella popolazione generale, nel 4-7% può complicare l’evoluzione di un intervento chirurgico o di una lesione traumatica di un arto 17 18. Una diagnosi ed Tabella II. Caratteristiche della casistica valutata dagli ortopedici partecipanti all’inchiesta. Non esperti (N = 247) Esperti (N = 42) media ± DS o n (%) P N. di pazienti affetti da algodistrofia visitati nei 6 mesi precedenti 14,2 ± 32,2 32,1 ± 69,9 < 0,01 Età media 53,4 ± 8,5 53,9 ± 7,5 0,34 Uomini 39,5 ± 25,9 37,1 ± 21,1 0,11 % di casi in cui è stato lei a porre diagnosi di algodistrofia 85,0 ± 24,4 88,7 ± 16,0 0,35 Tempo impiegato mediamente per porre diagnosi di algodistrofia (settimane) 5,0 ± 4,8 4,4 ± 6,4 0,51 N° di ipotesi diagnostiche scartate prima di formulare la diagnosi di algodistrofia 3,0 ± 2,8 4,3 ± 7,6 0,27 Allodinia 71 (28,7) 14 (33,3) 0,55 Aumentata sensibilità cutanea al caldo/freddo 27 (10,9) 1 (2,4) 0,08 Cute rossa, calda e secca 14 (5,7) 4 (9,5) 0,34 Sintomi riportati dalla maggior parte dei pazienti N (%) Cute bluastra e sudata 25 (10,1) 7 (16,7) 0,21 Dolore urente 138 (55,9) 21 (50,0) 0,48 Edema/gonfiore 200 (81,0) 33 (78,6) 0,72 168 Orthopaedic Algodystrophy Syndrome in Italy (OASI) ARTICOLO ORIGINALE Tabella III. Procedure diagnostiche adottate dagli ortopedici intervistati. Non esperti (N = 247) Esperti (N = 42) media ± DS o n (%) Criteri diagnostici utilizzati N (%) Budapest 0,83 40 (17,0) 5 (12,2) Atkins 9 (3,7) 3 (7,3) Veldman 3 (1,2) 0 Nessun criterio (la sola esperienza clinica) P 173 (71,8) 30 (73,2) Esami strumentali 4 (1,7) 1 (2,4) Quadro clinico 9 (3,7) 2 (4,9) Anamnesi 3 (1,2) 0 Esami di laboratorio 64 (25,9) 7 (16,7) 0,20 RMN 184 (74,5) 32 (76,2) 0,81 Radiografia 182 (73,7) 29 (69,0) 0,53 18 (7,3) 2 (4,8) 0,55 7 (2,8) 2 (4,8) 0,51 48 (18,0) 6 (21,7) 0,43 Esami diagnostici utilizzati N (%) TC Ecografia Scintigrafia Ossea un approccio terapeutico adeguati e tempestivi aumentano le probabilità di ottenere un outcome favorevole 19, mentre una diagnosi errata ed un trattamento qualitativamente e temporalmente non idoneo possono portare alla cronicizzazione del dolore e della disabilità 11. Dal presente studio si evince che la maggioranza dei chirurghi ortopedici coinvolti, sia quelli classificati come “esperti” sia quelli classificati come “non esperti”, non si avvale ai fini diagnostici dei criteri standardizzati (Budapest, Atkins, Veldman) proposti in letteratura, bensì si basa principalmente sulla propria esperienza clinica (Tab. III). A tale atteggiamento possono conseguire, considerando anche l’incidenza non frequente di questa patologia, errori o ritardi nella diagnosi definitiva. Gli esami diagnostici più comunemente utilizzati dai chirurghi ortopedici coinvolti nello studio sono risultati la RMN, l’esame radiografico standard e la scintigrafia. Il reperto radiografico tipico è rappresentato da un’osteoporosi distrettuale riscontrabile solitamente solo negli stadi avanzati della malattia. La radiografia standard non rappresenta tuttavia un test sensibile ed i tipici segni di atrofia subcondrale, identificabili solo in caso di riduzione di almeno il 30% della massa ossea 20, appaiono solitamente dopo 3-6 settimane dall’esordio della malattia. La scintigrafia ossea al contrario è positiva già nei primi giorni dall’esordio di malattia. In fase florida, mostra un’intensa captazione del tracciante osteotropo (un bisfosfona- to marcato), tuttavia pur essendo molto sensibile questa metodica è poco specifica ai fini diagnostici. La RMN è divenuta in questi anni la tecnica diagnostica di riferimento nell’inquadramento di tutte le sindromi caratterizzate da edema midollare, soprattutto quando il quadro radiologico tradizionale sia negativo. Rispetto alla scintigrafia, è in grado di localizzare con maggior appropriatezza l’edema e di quantificarne l’estensione 20. Attualmente numerosi trattamenti sia farmacologici che fisioterapici sono stati proposti allo scopo di trattare il dolore e migliorare l’outcome funzionale (Tab. V). Tuttavia il numero limitato di studi randomizzati e controllati (RCT), l’eterogeneità dei trattamenti proposti ed i limiti metodologici in termini di omogeneità e numerosità del campione valutato non permettono di poter arrivare a conclusioni definitive riguardo la maggior parte di questi approcci 3. I corticosteroidi sono stati proposti per ridurre la componente infiammatoria tipica della fase acuta della malattia. Dosaggi giornalieri pari a 30-40 mg di prednisone per 2 settimane, seguiti da una sospensione graduale, si sono dimostrati efficaci nel miglioramento dei sintomi in fase acuta 21 40. Alcuni farmaci psicotropi, come ad esempio gli anticonvulsivanti sono stati proposti per il trattamento del dolore neuropatico, tuttavia l’unico studio che ha valutato l’utilizzo del gabapentin nella sindrome algodistrofica ha mostrato risultati di dubbia efficacia 41. La somministra- 169 U. Tarantino et al. ARTICOLO ORIGINALE Tabella IV. Opzioni terapeutiche e classi farmacologiche più comunemente utilizzate. Non esperti (N = 247) Esperti (N = 42) N (%) P Trattamento normalmente suggerito per l’algodistrofia Trattamento farmacologico 220 (96,1) 35 (89,7) 0,09 Fisioterapia 199 (86,9) 38 (97,4) 0,06 Psicoterapia 21 (9,2) 4 (10,3) 0,83 Ossigenoterapia iperbarica 5 (2,2) 0 0,35 Magnetoterapia 4 (1,7) 1 (2,6) 0,73 FANS 92 (41,8) 17 (48,6) 0,45 Analgesici deboli (Paracetamolo) 58 (26,4) 8 (22,9) 0,66 Oppioidi deboli (Tramadolo) 65 (29,6) 11 (31,4) 0,82 Oppiodi forti 29 (13,2) 2 (5,7) 0,21 Corticosteroidi 17 (7,7) 1 (2,9) 0,30 Bifosfonati 204 (92,7) 34 (97,1) 0,33 Antidepressivi 30 (13,6) 6 (17,1) 0,58 Anticonvulsivanti (Gabapentin, Pregabalin) 27 (12,3) 2 (5,7) 0,26 Vit. D3 8 (3,6) 5 (14,3) < 0,01 Calcio Carbonato 3 (1,4) 1 (2,9) 0,51 Calcitonina 2 (0,9) 0 0,57 Vasodilatatori 1 (0,4) 2 (5,7) <0,01 Ansiolitici 1 (0,4) 1 (2,9) 0,13 Farmaci utilizzati più frequentemente per l’algodistrofia Tabella V. Trattamenti farmacologici e non farmacologici riportati in letteratura per la sindrome algodistrofica. Trattamento Corticosteroidi Orali Bifosfonati Calcitonina N-acetilcisteina Ketamina ev Immunoglobuline ev Tadalafil Baclofene intratecale Vitamina C (scopo preventivo) Anticonvulsivanti (gabapentin) Antidepressivi Oppiacei Blocchi del simpatico (pregangliare, gangliare o periferica) Stimolazione midollare Fisioterapia e terapia occupazionale RCT: studi randomizzati e controllati 170 Evidenza clinica da RCT Efficaci 3 21 Efficaci 3,22 23 24 25 26 Efficace 22 Efficace 3 Efficace 3 22 27 28 Efficaci 29 Efficace 30 Efficace 31 Efficace 3 32-35 Equivoca 36 Non valutati Non efficaci 37 Non efficaci 3 22 Efficace 38 39 Efficace 3 22 ARTICOLO ORIGINALE zione di vitamina C (almeno 500 mg/die per 50 giorni) si è dimostrata efficace nel ridurre l’incidenza di sindrome algodistrofica dopo frattura di Colles e trattamenti chirurgici di piede/caviglia 32 33-35. Le tre review più recenti sul trattamento dell’algodistrofia concordano nell’attribuire ai bisfosfonati le maggiori evidenze di efficacia, e quindi il ruolo di trattamento di prima scelta 3 41 42. Essi interferiscono con diversi meccanismi patogenetici coinvolti nelle sindromi algodistrofiche, pur tuttavia alcuni di questi meccanismi d’azione rimangono ipotetici. Infatti, se è ben chiarita la loro attività sul rimodellamento osseo attraverso l’inibizione dell’attività osteoclastica 43, rimangono probabili, ma ancora non sufficientemente provate, le attività di modulazione della produzione di citochine pro- o antinfiammatorie 44, l’inibizione della dissoluzione dei cristalli di idrossiapatite indotta dall’acidosi locale 43, e l’interferenza con l’attività macrofagica 45, che sarebbe a sua volta coinvolta nell’espressione di NGF correlata all’infiammazione neurogenica 46. Numerosi RCT sono stati condotti negli ultimi 30 anni, a partire dallo studio condotto da Adami et al. nel 1997 47 per valutare l’efficacia dei bisfosfonati nella sindrome algodistrofica. L’alendronato è stato utilizzato sia per via endovenosa 47 sia per via orale ad alto dosaggio (40 mg/die per 8 settimane) 26 ed ha dimostrato di essere in grado di migliorare la sintomatologia dolorosa, il gonfiore/edema ed il deficit funzionale. Risultati analoghi sono stati ottenuti con pamidronato 25 e ibandronato 48. Varenna et al. hanno valutato l’efficacia del clodronato per via ev al dosaggio di 300 mg/die per 10 gg consecutivi in 32 pazienti con sindrome algodistrofica, ottenendo una significativa riduzione del dolore e della valutazione globale da parte del paziente 24. Tuttavia questi studi presentavano importanti limiti metodologici che rendono difficoltosa l’interpretazione dei risultati. Nell’ambito della famiglia dei bisfosfonati la molecola che recentemente ha offerto le più convincenti dimostrazioni d’efficacia è rappresentata dal neridronato, valutato recentemente in un RCT multicentrico in doppio cieco coinvolgente 82 pazienti con sindrome algodistrofica 23. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere neridornato o placebo. Il protocollo di somministrazione prevedeva l’infusione endovenosa lenta (in almeno 2 ore) di 100 mg nell’arco di 10 giorni per un totale di 400 mg di farmaco, somministrato al I, IV, VII e X giorno. Entro i primi 20 giorni dall’inizio del trattamento la VAS del dolore si è ridotta in entrambi i gruppi, ma maggiormente nel gruppo trattato con neridronato; nei successivi 20 giorni si è osservata un’ulteriore significativa riduzione del dolore solo nei pazienti che erano stati trattati con neridronato e significativi miglioramenti sono stati osservati anche riguardo il dolore al movimento, l’edema dei tessuti molli e la qualità di vita. Orthopaedic Algodystrophy Syndrome in Italy (OASI) Questo studio si differenzia dagli altri RCT precedentemente riportati per i seguenti fattori: 1. l’elevata numerosità del campione; 2. le caratteristiche demografiche dei pazienti trattati risultate comparabili con quelle riportate in un vasto studio epidemiologico sulla sindrome algodistrofica 7, rendendo quindi generalizzabili i risultati ottenuti; 3. i pazienti sono stati tutti reclutati in uno stadio precoce di malattia, diversamente dagli altri RCT nei quali il campione presentava una malattia di lunga durata. Quest’ultimo punto è particolarmente rilevante poiché l’utilizzo dei bisfosfonati nella sindrome algodistrofica trova indicazione soprattutto nelle fasi precoci di questa patologia, quando alla scintigrafia trifasica è rilevabile un’intensa captazione del tracciante osteotropo (un bisfosfonato marcato) 49. Il neridronato rappresenta, quindi, il trattamento farmacologico di prima scelta per la sindrome algodistrofica in fase acuta ed è l’unica molecola che ha ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) da parte di AIFA per il trattamento di questa patologia 50. Conclusioni Oggi in Italia la diagnosi di algodistrofia viene effettuata dagli ortopedici, esperti e non esperti, sulla base dell’osservazione clinica e diagnostico strumentale. I criteri standardizzati (Budapest, Atkins, Veldman) vengono utilizzati solo a conferma di un indirizzo terapeutico già in atto. Tuttavia considerando questi aspetti, l’impatto di questa patologia è spesso sottostimato, soprattutto per le forme successive ad interventi di chirurgia ortopedica maggiore, comportando effetti su una mancata o ritardata diagnosi. Diventa pertanto urgente produrre delle linee guida basate sull’evidenza, suggerite, a questo proposito, da diversi specialisti quali ortopedici, reumatologi e fisiatri, che siano in grado di fornire raccomandazioni con un indirizzo più clinico e meno algologico. La convergenza di tali aspetti, sia clinici che algologici, certamente consentirà di effettuare una diagnosi più certa includendo anche le forme di algodistrofia che oggi, non rientrando nei criteri di diagnostici standardizzati, sfuggono al trattamento, esitando in outcome clinici sfavorevoli, con aumento dei costi sociali ed economici di tale patologia. Le opzioni terapeutiche più comunemente consigliate sono state il trattamento farmacologico (nel 95% dei casi) ed il trattamento fisioterapico (nell’88% dei casi). Tra i numerosi trattamenti farmacologici disponibili per la sindrome algodistrofica, in accordo con quanto suggerito dai più recenti studi presenti in letteratura i bisfosfonati, ed in particolare il neridronato, rappresentano la classe farmacologica di prima scelta. 171 U. Tarantino et al. ARTICOLO ORIGINALE Bibliografia 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 Harden RN, Oaklander AL, Burton AW, et al. Complex regional pain syndrome: practical diagnostic and treatment guidelines. 4th edition. Pain Med 2013;14:180-229. Goebel A. Complex regional pain syndrome in adults. Rheumatology (Oxford) 2011;50:1739-50. Perez RS, Zollinger PE, Dijkstra PU, et al. Evidence based guidelines for complex regional pain syndrome type 1. BMC Neurol 2010;10:20. Veldman PH, Reynen HM, Arntz IE, et al. Signs and symptoms of reflex sympathetic dystrophy: prospective study of 829 patients. Lancet 1993;342:1012-6. de Rooij AM, Perez RS, Huygen FJ, et al. Spontaneous onset of complex regional pain syndrome. 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