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IL TEMPIO A DOPPIA CELLA Francesca Romana Plebani Il tempio a doppia cella, di recente scoperta, si trova presso il margine settentrionale della Piana di Chiavano, precisamente a SE del monumentale tempio già noto a Villa San Silvestro. Scavato a partire dal 2007, mostra un assetto planimetrico costituito da un pronao e due celle contigue, quasi quadrate e di uguali dimensioni (m 4,20 x 4,50). Inserito all’interno di un complesso edilizio, costituito da un portico ed altre strutture, in asse nord-sud, l’edificio si affaccia direttamente sulla valle e in direzione delle campagne circostanti, quasi posto al centro di un punto di vista preferenziale, mostrando una stretta interdipendenza con l’ambiente naturale circostante. A conferma di ciò è il suo asse di orientamento N-S, diverso da quello del grande tempio. Le dimensioni del tempio non risultano eccezionali: il podio misura m 14,10 x 10,80, con il pronao (m 8,80 x 6,80) ad occuparne circa i 2/3. I muri, in opera quadrata, dallo spessore di m 1 per i lati lunghi, cm 90 per i lati brevi, e cm 60 per il tramezzo che divide le due celle, sono costituiti da blocchetti più o meno regolari in pietra calcarea legati da malta di discreta qualità. L’alzato conservato è di circa cm 50-70, a seconda dei lati. Allo stato attuale delle indagini non è stato possibile stabilire se le due celle, di cui si conservano solo tracce della preparazione pavimentale, fossero accessibili attraverso il pronao, tramite una sola scalinata frontale1. Anche il pronao mostra solo due livelli sovrapposti di preparazione di pavimentazione in scaglie di pietre locali allettate in terra battuta. La totale assenza in prossimità della fronte di qualsiasi traccia di colonne (in laterizio o litiche) lascia aperta l’ipotesi che l’edificio si presentasse come un tempio chiuso sui fianchi, dai muri laterali prolungati2. I dati di scavo sembrerebbero corroborare tale supposizione. Infatti, la direzione dei crolli che insistono lungo il perimetro esterno ai lati lunghi del podio e l’abbondanza di intonaco lascerebbero pensare alla presenza di muri prolungati almeno fino al limite sud del podio stesso. In proposito non sfugga il confronto con la prima fase del tempio sul colle di S. Pietro ad Alba Fucens3: la prima fase di tale edificio mostra, infatti, un tempio di m 12,86 x 15,83 (che si eleva su di un podio di m 14,50 x 17,30), per il quale è stata ipotizzata tra le ante la presenza o di una sola colonna assiale, o di due colonne poste in corrispondenza degli ingressi alle celle. Considerate le precedenti osservazioni fatte per il tempio di Villa San Silvestro e viste le dimensioni simili che si riscontrano tra questo e la prima fase del tempio di S. Pietro, l’assetto del tempio di Alba Fucens potrebbe effettivamente costituire un valido modello di riferimento. Anche nel nostro caso si potrebbe supporre che l’edificio non solo risultasse con il pronao chiuso da muri, ma che le colonne fossero ridotte al solo numero di due. La cospicua presenza di intonaco bianco, di buona qualità e con spessa preparazione, rinvenuto in grossi frammenti, alcuni dei quali presentano una risega tipica dello stile “strutturale”, negli strati di crollo lungo il perimetro esterno dei muri lascia supporre che esternamente il tempio presentasse una decorazione in I stile. 1. Foto aerea generale dell’area del tempio a doppia cella: situazione 2008 (M. Chiappini). 103 2. Ipotesi di ricostruzione della pianta del tempio a doppia cella. In alto, le colonne del portico alle spalle del tempio (F.R. Plebani, M. Carbutto). zione del tempio principale4. Tali esemplari rientrano in un tipo genericamente molto diffuso tra IV e I sec. a.C. in contesti prima d’influenza etrusca, poi centro-italici5, L’elemento singolare nel caso di Villa San Silvestro è costituito dal motivo decorativo della cornice inferiore, che sembra essere un unicum. Infatti il bordo, dal profilo ondulato, presenta un’alternanza di patere e rosette incorniciate da doppie volute che non trova confronti puntuali. Gli antepagmenta rinvenuti, databili al primo quarto del I sec. a.C., dovevano con tutta probabilità presentare un coronamento superiore costituito da sime strigilate con bordi in rilievo6, di cui è stato rinvenuto qualche frammento. Analogo agli esemplari di Luni e Cosa7 è l’unico frammento relativo alla fascia centrale di una cornice di rivestimento, decorato da rosette a quattro petali. In generale, sulla scorta dei confronti, lo stile del sistema decorativo e la sua sintassi rimanda a modelli datati per lo più tra il II e I sec. a.C., diffusi in ambito centro-italico e laziale. Entro questo ambito cronologico, è probabile che vada inquadrato anche il frammento di chioma di capelli in terracotta, sebbene il confronto stilistico8 rimandi a produzioni etrusco-italiche di fine IV-III sec. a.C. Gli scavi hanno mostrato che il tempio, come tutto il complesso circostante, ha avuto due fasi edilizie. Lo stato attuale delle ricerche non permette, però, di collocare cronologicamente con esattezza la prima fase, che dovrebbe però datarsi all’interno del II sec. a.C., con una seconda fase probabilmente posteriore agli inizi del I sec. a.C., corrispondente alla ricostruzione testimoniata in tutta l’area in seguito al terremoto del 98 a.C. In questa occasione, come evidenziato dallo scavo, venne in parte interrato il podio come conseguenza dell’innalzamento di quota in tutta l’area. Infatti, le indagini archeologiche riguardanti il postico del tempio hanno dato Gli scavi e le ricognizioni hanno inoltre portato al recupero di terrecotte architettoniche frammentarie (sime, lastre, antepagmenta) pertinenti ad un sistema decorativo di rivestimento pressoché completo. Documentata da pochi pezzi superstiti, prevalentemente rinvenuti lungo il perimetro esterno del settore orientale dell’edificio, la decorazione architettonica del tempio doveva consistere in un sistema costituito da lastre di coronamento decorate con meandri e rosette a quattro petali inquadrate entro pannelli quadrangolari, lastre di rivestimento di architrave con girali e palmette contrapposte e disposte obliquamente, antepagmenta con palmette entro banda continua e sima strigilata. La maggior parte dei frammenti rinvenuti è relativa al pannello centrale delle lastre con il motivo a palmette contrapposte e girali, dello stesso tipo attestato per la decora104 3. La preparazione pavimentale conservata nel pronao del tempio (foto UniPG). prova dell’esistenza di due fasi edilizie relative al colonnato settentrionale del portico, in stretta relazione con il vicino muro del tempio. In seguito ad un probabile abbandono delle strutture del tempio, avvenuto ipoteticamente nel corso del I sec. d.C. (non si rinvengono, se non sporadici, materiali posteriori a questa data), è possibile affermare che l’area sia stata in primo luogo sottoposta ad una graduale azione di saccheggio, come mostra l’asportazione, per ciò che riguarda il tempio, di alcuni blocchi angolari e della pavimentazione. Inoltre, una serie di dati rivela come l’edificio sia stato solo successivamente, e a distanza di molto tempo rioccupato; i materiali recuperati (ceramica e monete), infatti, mostrano una sorta di balzo cronologico, che dal I sec. d.C. giunge all’incirca alla fine del III - inizio IV sec. d.C., come se il sito non fosse stato per circa due secoli frequentato costantemente. Due le fasi di insediamento tardo sicuramente documentate dalla presenza di buche di palo, relative a due diversi momenti di occupazione. Il primo di questi sembrerebbe avvenuto quando già la pavimentazione dell’ambulacro esterno al tempio, compreso tra lo stesso e il colonnato del portico, era stata spoliata. Infatti le indagini relative al settore meridionale, compreso tra il muro O del tempio ed il portico, mostrano buche di palo scavate direttamente nello strato di malta bianca, residuo della preparazione per l’allettamento di lastre pavimentali litiche. Il muro O e la fronte mostrano degli scassi e corsive tamponature da mettere in relazione con le buche stesse riscontrate lungo il perimetro murario. Di queste, quelle relative alla prima fase tardo-antica sembrano restituire la parziale planimetria di una struttura, realizzata in materiale deperibile, che andava ad addossarsi al settore meridionale del muro O dell’edificio templare; ciò spiegherebbe, inoltre, perché solo in questo settore il crollo del muro e del suo rivestimento in intona- co bianco insista al di sopra dei livelli tardoantichi. Qualora l’ipotesi cogliesse nel segno, si avrebbe la conferma che all’epoca della prima occupazione tarda gli alzati dell’edificio templare fossero ancora, almeno in parte, conservati. L’area di rispetto davanti all’edificio di culto risulta, inoltre, utilizzata a scopo funerario, come attestano le sepolture (orientate ovest-est e nord-ovest/sud-est), prive di corredo e dunque di difficile determinazione cronologica, ricavate negli strati di distruzione addossati al muro della fronte. La presenza delle tombe ha, comunque, fatto ipotizzare che in età tardo-antica il tempio a doppia cella fosse stato trasformato in una chiesa. La struttura a doppia cella rende il piccolo tempio di Villa San Silvestro particolare sia in relazione al tipo architettonico che dal punto di vista cultuale. Poche risultano, infatti, essere le attestazioni di templi a duplice cella nell’Italia romana. Un ex-voto fittile da Velletri, datato al VI-V sec. a.C.9 mostra un edificio sicuramente templare il cui interno è caratterizzato da due piccoli vani contigui. Il modellino, di ambito culturale etrusco, sembra ricondurre la tipologia architettonica della doppia cella a modelli edilizi elabo105 4. Il lato posteriore del tempio durante lo scavo del 2008: è visibile anche la parte di alzato del podio interrata in seguito alla ricostruzione post 99 a.C. (foto UniPG). rati in ambiente etrusco-italici, piuttosto che romani10 Infatti, l’assoluta mancanza a Roma di templi con la soluzione planimetrica gemina della cella (forse per motivi di natura religiosa), il numero esiguo di casi noti e la testimonianza offerta dall’ex voto veliterno lascerebbero davvero presumere che tale pianta sia un elaborato peculiare dell’ambiente etrusco-italico. Esattamente, tale genere di impianto ricorre nella compagine territoriale delle zone centro-italiche11. Anche se, in realtà, non mancano attestazioni di modelli architettonici a doppia cella anche a Pompei presso il Foro Triangolare12 e per il mondo greco d’Italia (esempi rilevanti sono il tempio B del santuario urbano di Metaponto13 e la cosiddetta Basilica di Paestum, dove la cella risulta divisa longitudinalmente da una fila di colonne14), in cui le suddette strutture si distinguono, però, dal modello qui esaminato per la diversa disposizione planimetrica di pronao e celle. Oltre l’ipotesi del tempio di Montorio al Vomano15, edifici sacri a duplice cella sono attestati con sicurezza in ambito romano solo nel bacino del Fucino, presso il Lucus Angitiae 16 e ad Alba Fucens17, ed inoltre presso la villa dell’Auditorium di Roma18 e ad Ostia19. Come si può osservare è l’area geografica del Sannio che restituisce più numerose testimonianze di templi con tale assetto planimetrico. Infatti dei sei siti che presentano strutture templari a doppia cella, ben quattro sono dislocati nella Regio IV augustea, Sabina et Samnium, compreso Villa San Silvestro. I complessi sacri di Montorio al Vomano, Anxa, Alba Fucens e Villa San Silvestro risultano collocati in punti strategici sia sotto il profilo fisico che sotto quello della viabilità, posta in corrispondenza di importanti snodi viari. La loro ubicazione è in stretta relazione con l’ambiente naturale circostante, spesso caratterizzato dalla presenza di laghi o sorgenti; infatti a contraddistinguere tali santuari è il rapporto che si viene ad instaurare tra il luogo di culto ed il territorio. Situazioni piuttosto diverse da un punto di vista concettuale sono il tempietto della Villa dell’Auditorium di Roma e il santuario dei Dioscuri20 ad Ostia (Regio I augustea). Nel primo caso l’edificio templare è, sì, orientato a livello planimetrico in direzione delle campagne contermini (stabilendo così un legame con il territorio circostante), ma resta comunque inserito nel settore residenziale, dunque privato, della villa. Il tempio di Ostia è l’unico, invece, di tutti gli edifici qui considerati ad essere datato alla prima età 106 imperiale21, e dunque si colloca in un ambito distante sia dal punto di vista cronologico che culturale rispetto alle altre attestazioni. In questo caso, sembrerebbe evidente il recupero di un modello edilizio precedente che si caratterizza per l’assetto planimetrico funzionale ad esprimere il valore complementare di due divinità. Considerata la natura dei Dioscuri, entità gemelle ed inscindibili22, ben si comprenderebbe “l’importazione” di un tipo architettonico, ovviamente elaborato in un altro contesto culturale, adeguato ad esprimere l’essenza di tale coppia divina. In generale, l’arco cronologico entro cui si colloca la fondazione di questa serie di edifici sacri va dal III al I sec. a. C. Il modello architettonico non pare essere appannaggio di un culto esclusivo, infatti, la struttura templare così costituita sembra essere impiegata per più tipologie di diadi (coppie di divinità omologhe femminili quali Cerere-Venere a lucus Angitiae, divinità gemelle come ApolloDiana ad Alba Fucens e i Dioscuri ad Ostia, e coppie di divinità maschili e femminili come Ercole-Venere a Montorio al Vomano) che, pur avendo in comune la complementarità di funzioni, nascono non solo da differenti approcci alla figura divina23, ma anche da apporti culturali eterogenei (modelli greci, contatti con il mondo etrusco, rapporti con Cuma, processo di romanizzazione). L’idea della duplicità, indicata dalla presenza di vani reduplicati ed equivalenti, richiama immediatamente alla memoria templi gemelli, come quelli del Foro Boario e di Pyrgi, ispirati a modelli greco-orientali. La differenza, però, che sembrerebbe delinearsi, confrontando i templi a doppia cella con i complessi sacri dotati di due edifici di culto, risiede proprio nel modo in cui si esprime materialmente il rapporto tra divinità ed articolazione degli spazi. Infatti, mentre santuari con templi doppi sembrerebbero focalizzare l’attenzione, anche visiva (un tempio per ciascuna divinità), sulle singole valenze delle figure divine, l’assetto planimetrico della doppia cella sembrerebbe invece porre in primo piano l’idea di complementarità che intercorre tra i due membri della diade. Tale aspetto si riflette nella realtà, infatti, nell’assetto planimetrico duplice di un solo edificio templare. Per ciò che attiene l’identificazione delle divinità venerate, i dati attuali in nostro possesso non permettono di avanzare alcuna ipotesi identificativa certa. Nonostante la totale mancanza di attestazioni epigrafiche ed elementi connotanti in maniera specifica il culto, infatti, è comunque possibile porre l’accento su alcune questioni. La vocazione agricola della piana e il confronto con il panorama generale del mondo cultuale italico, lascerebbero ipotizzare anche per il caso di Villa San Silvestro la presenza di una diade24, forse femminile, specificatamente preposta a quest’ambito. Anche in questo caso degno di attenzione risulta il confronto con le zone del Sannio, nello specifico con la città di Anxa, dove almeno una delle divinità venerate nel tempio a doppia cella è certamente Venere25, e dove inoltre sono attestati sacerdozi di tradizione italica dedicati alla venerazione congiunta di Cerere e Venere26. Degno di nota, inoltre, è anche il caso della presenza del doppio culto di Ercole e Venere, venerati probabilmente insieme, come mostrano le testimonianze epigrafiche, presso il tempio di Montorio al Vomano27. Se si accetta l’ipotesi di attribuzione del tempio principale di Villa San Silvestro ad Ercole, questo parallelo risulta ancor più calzante. Nel caso del tempio a doppia cella di Villa San Silvestro, unica attestazione materiale significativa in relazione al culto è un frammento di braccio con parte della mano conservata, da ricondursi probabilmente ad una statuetta votiva femminile in terracotta. Interessante risulta l’oggetto trattenuto nella mano, il quale sembrerebbe essere l’estremità inferiore di una fiaccola, attributo che ricorre spesso nell’iconografia di Demetra e Cerere28. 107 1 Si confronti Tempio B di Anxa, che prevedeva due scalinate separate per accedere alle celle: Campanelli 2004, p. 25. 2 Si confronti con il tempietto votivo veliterno (Staccioli 1968, tav. XXXVIII, n. 32). 3 Mertens 1969, p. 18. 4 Bendinelli 1938, p. 154, fig. 13; Andrén 1940, p. 322. Si veda anche il contributo di Simonetta Stopponi in questo stesso volume. 5 Forte 1988; Strazzulla 2006. 6 Modelli di antepagmenta provenienti da Cosa presentano cornici superiori, decorate da sime strigilate con bordi in rilievo (Richardson 1993, pp. 165-166). 7 Andrén 1940, p. 294, tav. 95, n. 341; Richardson 1960, p. 290, fig. 55. 8 Comella 1993, pp. 98-105; Iaculli 1994, pp. 161-164. 9 Staccioli 1968, pp. 41-43, tav. XXXVIII; Staccioli 1989-90, pp. 8992. 10 Campanelli 2004, p. 28. 11 Cairoli 2001, pp. 258-261. 12 È interessante notare, che a Pompei, zona di influenza etrusca, si ritrovi proprio un tempio etruscoitalico (De Waele 2001, p. 64) con disposizione planimetrica di 7 x 11 colonne (il cui numero dispari delle colonne della fronte lascia pensare alla divisione in due celle), dedicato ad Athena/Minerva ed Herakle (Maiuri 1949, pp. 123-127; Pesando 1997, p. 51). 13 De Iuliis 2001, p. 141, fig. 28, con bibliografia precedente. 14 Staccioli 1989-90, p. 95. 15 Guidobaldi 1995. 16 C. Letta, Campanelli 2001, pp. 145-146. 17 Mertens 1969; Coarelli, La Regina 1984, p. 77. 18 D’Alessio, Di Giuseppe 2006, pp. 211-224. 19 Heinzelmann, Martin 2002, pp. 5-19. 20 CIL XIV 376. Heinzelmann, Martin 2002, pp. 16-19. 21 Il tempio è attribuito all’età di Tiberio o Claudio (Pavolini 2006, p. 131). 22 Si ricorda in proposito una variante mitografica, che ricorda Polluce, figlio di Zeus, dunque immortale e Castore, figlio di Tindaro, di destino mortale (Pind. nem. 10.55-80; Apollod. 3.10.6-7). È interessante notare che quando Polluce ascese al cielo e rifiutò l’immortalità a meno che non potesse condividerla con Castore, Zeus concesse che trascorressero a turno un giorno nel cielo ed un giorno sotto terra a Terapne 108 (Lucian. dial. deor. 26). Questa variante del mito mette in luce la natura “diversa” e complementare dei gemelli, a cui non a caso segue l’alternanza tra la dimensione supera ed infera. 23 Come spiegato dalla Champeaux (Champeaux 1982, pp. 168-174), esistono due tipologie di coppie divine: un tipo di diade nasce dal raddoppiamento di una divinità primitiva unica che si scinde in due esseri gemelli, e dunque la stessa divinità può essere percepita nello stesso contesto, tanto come un essere unico, che nella sua forma duplice (Fortune di Anzio, Némesis di Smirne e Thasos); l’altra, che trova molte attestazioni nelle religioni italiche, è costituita da una coppia funzionale, caratterizzata dal principio femminile e maschile dello stesso aspetto. 24 Champeaux 1982, pp. 169-174. 25 Campanelli 2004, p. 23. 26 Campanelli 2004, p. 28. 27 Guidobaldi 1995, pp. 249-253. 28 L. Beschi, in LIMC IV/1 (1988), pp. 850-854, 892 e in LIMC IV/2 (1988), p. 563, n. 23; p. 564, nn. 27 e 29; p. 570, nn. 84, 98, 102, 103, 107; p. 595, n. 423; S. De Angeli, in LIMC IV/1 (1988), pp. 896-898 e in LIMC IV/2 (1988), p. 601, nn. 48, 60-61; p. 608, nn. 156b-157.