Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
Scuola di Studi Umanistici e della Formazione Corso di Laurea in Filologia, letteratura e storia dell’antichità Il martirio femminile nel cristianesimo antico Relatrice Isabella Gagliardi Correlatrice Giulia Lovison Laureanda Martina Landini Tozzi Anno Accademico 2021/2022 ti ti tti tt A tu e le mie Maestre e a tu i miei Maestri, passa , presen , futuri. Indice Introduzione 3 1. Il mar rio nel cris anesimo an co 1.1. Cenni storiogra ci 7 1.2. Origini, storia e signi ca 1.2.1. Mar re e mar rio 8 1.2.2. Cris ani e impero romano 11 1.2.3. Le mar ri cris ane: un’introduzione 17 1.3. Tra ebraismo e cris anesimo 20 1.4. Confronto con il mondo greco-romano 25 1.5. In uenza e esemplarità del mar re 31 1.6. Gli acta martyrum come genere le erario 34 2. Le donne nel cris anesimo delle origini 2.1. Figure femminili nell’An co Testamento 36 2.2. Ai tempi di Gesù e Paolo di Tarso 40 2.3. Ruoli e possibilità 2.3.1. Verginità e vedovanza 48 2.3.2. La ques one del diaconato femminile 52 2.3.3. Profetesse e mar ri 57 2.3.4. Pellegrine in Terra Santa 60 2.4. Femminile e pensatori cris ani: alcune considerazioni 62 2.5. Donne e movimen dissiden 66 ti tt ti ti ti ti ti fi ti ti ti ti ti ti ti fi ti ti ti ti ti fl 1 3. Le mar ri cris ane 3.1. Descrizione delle mar ri: cara eris che ricorren 3.1.1. Il topos della mulier virilis nella cultura classica 70 3.1.2. Virilizzazione e cas tà 72 3.1.3. Oltre i vincoli sociali e familiari 80 3.2. La madre del Secondo libro dei Maccabei: l’arche po della mar re? 83 3.3. Casi esemplari 3.3.1. Acta Pauli et Theclae 89 3.3.2. Passio Perpetuae et Felicita s 93 3.3.3. Passio Anastasiae 100 Conclusione 104 Indice delle fon 106 Bibliogra a 111 ti ti ti ti tt ti ti ti ti ti ti fi 2 Introduzione In questo studio ho cercato di approfondire il fenomeno del martirio femminile dei primi secoli del cristianesimo integrando la prospettiva degli imprescindibili studi tradizionali sul tema con quella più recente della storia di genere, volta a sottolineare l’importanza del punto di vista dal quale le storie delle martiri sono state raccontate. A tramandarle in scritti noti come acta martyrum, infatti, sono state perlopiù mani maschili che inevitabilmente hanno proiettato nella narrazione idee e ideali di un tempo in cui è semplicemente anacronistico parlare di femminismo, emancipazione femminile e parità di genere. Una testimonianza come la Passio Perpetuae et Felicitatis costituisce in questo panorama un prezioso unicum poiché contiene il diario di prigionia redatto personalmente dalla martire Perpetua e, non a caso, presenta elementi di assoluta originalità estranei a tutti gli altri testi. Nella costruzione letteraria delle figure delle martiri, come vedremo, ricorrono diversi topoi che attingono alla tradizione biblica ebraica ma anche al patrimonio culturale greco e latino inseriti in resoconti che, spesso, fondono dati storici reali a elementi meravigliosamente fittizi, riflesso della profonda devozione delle comunità nei confronti dei confratelli e delle consorelle uccisi. I martiri - che sono tali non solo in quanto uomini e donne che hanno scelto di andare incontro a morte violenta pur di non rinnegare la fede, ma in quanto come tali sono stati narrati e tramandati alla memoria - hanno avuto un ruolo importante nella costruzione identitaria del movimento cristiano delle origini: si può dire che abbiano svolto i ruoli di “eroi fondatori” e “eroine fondatrici” per i seguaci di una nuova religione alla ricerca di elementi di distinzione rispetto alle radici ebraiche e di un proprio spazio in un mondo brulicante di dei, quelli del pantheon grecoromano. 3 Negli scritti martirologici le martiri possiedono caratteristiche e sono capaci di azioni straordinarie, evidenziate e celebrate ampiamente dagli autori degli acta martyrum, ma non bisogna dimenticare, appunto, il carattere di eccezionalità di queste figure che, in realtà, poco ci dicono della reale condizione delle donne nei primi secoli del cristianesimo. Il ruolo delle donne nella nascente società cristiana merita in ogni caso di essere investigato sia oltre che in relazione al fenomeno del martirio, in quanto presenta comunque importanti elementi di novità nel panorama delle società antiche. Se si riesce a andare oltre a certe considerazioni dei Padri della Chiesa che ai nostri occhi appaiono sicuramente misogine - come quella di Tertulliano nell’incipit del De Cultu Feminarum, in cui definisce la donna diaboli ianua - troveremo la massiccia adesione femminile al primo movimento cristiano, le numerose donne di IV e V secolo che intrattenevano scambi intellettuali con insigni uomini di fede, vedove e vergini che dedicavano la vita al servizio della comunità, celebrate martiri e sante ma anche pericolosissime “eretiche” che rivendicavano i diritti a profetizzare e battezzare, come le montaniste Massimilla e Priscilla. Nel quadro generale che ho tentato di delineare nel corso di questo lavoro non mancheranno di certo elementi contraddittori, come contraddittoria è la natura della forza che anima le martiri stesse, descritte spesso come di fragile aspetto ma sorrette da animo “virile”. Per Clementina Mazzucco è proprio “nell’esperienza della testimonianza di fede resa fino alla morte […] che la donna, in questi primi secoli, si guadagna incontestabilmente un posto di rilievo nella società cristiana”1, ma allo stesso tempo, come nota Elizabeth Castelli, che anche le donne potessero partecipare a questa forma estrema di auto-sacrificio è un po’ una “vittoria di Pirro” nel percorso della lotta per la parità di genere.2 1 Mazzucco, 1989, p. 95. 2 Castelli, 2004, p. 67. 4 Nelle parole della martire Seconda interrogata dal proconsole Saturnino si racchiudono tutta la potenza, il fascino e le possibilità di discussione che queste storie conservano ancora a distanza di secoli: “quod sum, ipsud volo esse”, “quello che sono voglio essere”3. 3 Acta Martyrum Scilitanorum, 9. 5 Nota alle citazioni di testi antichi Le edizioni e le traduzioni utilizzate per le citazioni di testi antichi sono indicate nella sezione finale Indice delle fonti. 6 1. Il martirio nel cristianesimo antico 1.1. Cenni storiografici Fondamentali per la riflessione storiografica sui primi martiri cristiani e sui testi che raccontano le loro vicende, noti come acta martyrum, sono stati il lavoro del gesuita belga Hippolyte Delehaye (1859-1941) e della Société des Bollandistes, della quale fece parte dal 1901.1 La ricerca agiografica dei Bollandisti si sviluppò a partire dal Seicento con i primi due volumi degli Acta Sanctorum, pubblicati nel 1643, mentre per le opere di Delehaye si possono citare a Les origines du culte des martyrs (1912) e Les passions des martyrs et les genres littéraires (1921).2 Nel 1965 esce il volume di Frend Martyrdom and persecution in the Early Church, che si occupa diffusamente del problema della cristianità nell’impero romano e delle persecuzioni. Anche Glenn Bowersock in Martyrdom and Rome (1995) approfondisce il contesto storico in cui si sviluppò il fenomeno del martirio cristiano, avanzando inoltre un confronto con il mondo greco-romano e la tradizione ebraica. Una prospettiva di storia genere sulle prime martiri donne si trova nel lavoro del 2004 di Elizabeth Castelli dal titolo Martyrdom and Memory: Early Christian Culture Making. Per l’edizione critica dei testi degli acta martyrum c’è l’edizione Oxford curata da Herbert Musurillo, The Acts of the Christian Martyrs del 1972. Una selezione di testi accompagnati da traduzione italiana si trova invece nel volume curato da Bastiaensen per Lorenzo Valla uscito nel 2014, Atti e passioni dei martiri. 1 Ryckmans, 1943, pp. 418-437. 2 Ibid. 7 1.2. Origini, storia e significati Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo […] (Ebr. 10, 5-7) 1.2.1. Martire e martirio La parola italiana “martire” viene dal greco antico μάρτυς (lat. tardo martyr), letteralmente “testimone”, e martirio da μαρτύριον/μαρτυρία (lat. tardo martyrium), “testimonianza”.3 Questi termini furono utilizzati sin dai primi secoli del cristianesimo per definire l’atto di quei martiri/testimoni cristiani che, rifiutando di sacrificare e giurare nel nome degli dei e dell’imperatore, testimoniarono la propria fede di fronte ai tribunali romani anche a costo di perdere la vita. Legato al contesto giuridico ellenistico-romano del II e III secolo d.C., il concetto di “martirio” conserva un’ambivalenza che lo rimanda da un lato al significato della testimonianza processuale, dall’altro alla disponibilità del martire/testimone a morire per la fede.4 Alla base di questi lemmi c’è probabilmente la radice smer, che ha fare con il campo semantico del ricordo e della memoria: il radicale sarebbe lo stesso alla base, per esempio, del verbo sanscrito smarati, “ricordarsi”.5 Questa ipotesi di ricostruzione dell’origine è collegata da Maria Grazia Recupero a una considerazione importante, cioè che i martiri sono tali anche per il lavoro di memoria e ricordo che la comunità ha sviluppato intorno a loro.6 martire e martirio in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. [https://www.treccani.it/vocabolario/martire/, https://www.treccani.it/vocabolario/martirio/] 3 4 Esposito, 2007, p. 82. μάρτυς in Chantraine, P. 1968. Dictionnaire étymologique de la langue grecque, Parigi: Éditions Klincksieck, pp. 668-669. [https://archive.org/details/Dictionnaire-Etymologique-Grec/page/n1/ mode/2up] 5 6 Recupero, 2010, p. 47. 8 In At. 22, 19-20, nelle parole che Paolo di Tarso rivolge a Dio sulla via di Damasco, il termine μάρτυς ha un senso analogo, apparentemente, a quello che gli diamo oggi, cioè di persona che accetta di soffrire e addirittura farsi uccidere pur di non ritrattare la fede: κἀγὼ εἶπον· Κύριε, αὐτοὶ ἐπίστανται ὅτι ἐγὼ ἤμην φυλακίζων καὶ δέρων κατὰ τὰς συναγωγὰς τοὺς πιστεύοντας ἐπὶ σέ· καὶ ὅτε ἐξεχύννετο τὸ αἷμα Στεφάνου τοῦ μάρτυρός σου, καὶ αὐτὸς ἤμην ἐφεστὼς καὶ συνευδοκῶν καὶ φυλάσσων τὰ ἱμάτια τῶν ἀναιρούντων αὐτόν. E io dissi: "Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nelle sinagoghe quelli che credevano in te; e quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anche io ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano”. Anche nell’Apocalisse il lemma ricorre diverse volte con significato simile (Ap. 2, 23; 17, 6; 6, 9).7 Tuttavia per Bowersock la parola μάρτυς - nell’accezione più specifica di persona che, in una situazione di estrema ostilità, preferisce morire in modo violento piuttosto che piegarsi a un’autorità8 - si trova per la prima volta solo nel II secolo d.C., nel Martyrium Polycarpi.9 Per l’autore di Martyrdom and Rome, infatti, μάρτυς nel Nuovo Testamento significherebbe in primo luogo “testimone” della sofferenza e della resurrezione di Gesù, senza implicare l’arrivare a farsi uccidere in nome di questo.10 7 Lemelin, 2022, p. 8. 8 Van Henten, 1997, p. 7. 9 Bowersock, 1995, p. 13. 10 Ivi, p. 14. 9 Marco Rizzi, invece, sostiene che addirittura fino alla fine del III secolo il martirio non coincidesse necessariamente con la messa a morte e che esso indicasse solo la presa di posizione pubblica a favore del cristianesimo nel preciso contesto del tribunale romano (che poteva avere come esito la morte, ma non solo11): l’identificazione con lo spargimento di sangue sarebbe frutto di un’operazione successiva di retrospezione teologica-ideologica.12 L’elaborazione di una teoria della sofferenza basata sull’interpretazione della morte di Cristo come sacrificio espiatorio e l’inserimento di profezie su future persecuzioni nel Nuovo Testamento potrebbero essere visti, suggerisce Elizabeth Castelli in Martyrdom and Memory - Early Christian Culture Making, come dinamiche generate in atto dai primi cristiani, socialmente ai margini e non ancora distintisi dall’ebraismo, di costruire e delineare la loro identità.13 “Morendo come muore Gesù e per le sue stesse ragioni, i martiri moltiplicano le rivelazioni della violenza fondatrice”14: testimoniando la verità sulla sofferenza ma anche il mistero della salvezza, essi ricoprono un ruolo di consolidamento etico-politico della religione cristiana costituito sia dalla dottrina che dall’esperienza.15 Rizzi, 2004, p. 4 porta a esempio il caso di Vettio Epagato negli Atti dei martiri di Lione. Il personaggio, socialmente in vista, si espresse a favore dei cristiani durante il processo e, interrogato dal governatore, confessò la sua identità cristiana, ma alla fine del testo non figura nell’elenco di quanti furono uccisi al termine della persecuzione. A pp. 6-7, inoltre, Rizzi si rifà a quanto dice Clemente Alessandrino nel IV libro degli Stromata (7, 52, 3), cioè che le punizioni potevano essere, oltre alla morte, la privazione dei diritti, l’esilio e la confisca dei beni. 11 12 Ivi, pp. 2-3. 13 Castelli, 2004, pp. 35-36. 14 Girard, 1996, p. 227. 15 Recupero, 2010, p. 49. 10 1.2.2. Cristiani e impero romano Come ricorda Brown ne Il sacro e l'autorità: la cristianizzazione del mondo romano antico il cristianesimo non si affermò in maniera univoca nel periodo relativamente breve che va dalla conversione di Costantino (312) a quella di Teodosio II (450) decretando “la fine del paganesimo” e di conseguenza “il trionfo del monoteismo”, secondo l’interpretazione tramandata dalla brillante generazione di storici, predicatori e polemisti di V secolo: per gli interpreti cristiani la fine del paganesimo si affermò con la venuta di Cristo sulla terra, conferendo natura ultraterrena a un effettivo scontro - sempre secondo il punto di vista cristiano - tra mondo cristiano e mondo pagano.16 Sempre in quest’ottica, i martiri, i “servitori”17 di Cristo, diventano eroi capaci di sopraffare i demoni.18 Dagli Atti degli Apostoli si può intuire che le donne fossero coinvolte sin dai primi episodi di persecuzione, ai tempi di Paolo di Tarso (prima metà del I secolo d.C.): Ὁ δὲ Σαῦλος ἔτι ἐμπνέων ἀπειλῆς καὶ φόνου εἰς τοὺς μαθητὰς τοῦ κυρίου, προσελθὼν τῷ ἀρχιερεῖ ᾐτήσατο παρ’ αὐτοῦ ἐπιστολὰς εἰς Δαμασκὸν πρὸς τὰς συναγωγάς, ὅπως ἐάν τινας εὕρῃ τῆς ὁδοῦ ὄντας, ἄνδρας τε καὶ γυναῖκας, δεδεμένους ἀγάγῃ εἰς Ἰερουσαλήμ. Saulo, spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a questa Via.19 16 Brown, 2006, pp. 4-5. 17 Ivi, p. 4. 18 Brown, 2006, p. 83. 19 At. 9, 2; vd. anche 8, 3; 22, 4. 11 Nell’approccio al fenomeno del martirio femminile dei primi secoli del cristianesimo bisogna sempre tenere a mente che la storia delle persecuzioni, attestata sia da fonti “pagane” greco-romane che (più ampiamente) cristiane20, non è affatto di semplice lettura: Read through Christian lenses, the story of Christian encounters with their Roman others is a cosmic battle narrative in which the opposition embodied by the Roman authorities takes on demonic auras and resonances. Read through Roman lenses, this same story is often an incidental account of a minor set of skirmishes with unruly subjects or, indeed, a story that does not even merit being recorded.21 La storia degli antichi cristiani, comunque, non coincise con una continua persecuzione. Addirittura all’interno di uno stesso principato le politiche nei loro confronti possono risultare estremamente mutevoli tanto che, più che l’atteggiamento degli imperatori, si dovrebbe indagare quello dei vari governatori di provincia, che possedevano nella loro azione ampi margini di discrezionalità.22 Imperatori e governatori locali iniziarono a interessarsi al fenomeno cristiano quando esso assunse dimensioni tali da minacciare l’ordine pubblico, anche se, per Rinaldi, i cristiani non furono perseguitati per “motivi politici”, almeno non nel senso in cui lo si può intendere oggi: ai seguaci di Cristo era generalmente estraneo il proposito di scardinare l’ordinamento imperiale, ma bisogna considerare che nella mentalità dell’epoca non esisteva una separazione netta tra il fattore politico e quello religioso - la religio fungeva da importante collante sociale - così che il rifiuto cristiano di partecipare ai riti pubblici veniva interpretato come un tirarsi fuori dalla collettività dell’impero potenzialmente minaccioso per il legame protettivo che univa Roma agli dei.23 Tra le fonti storiche cristiane più importanti ci sono il Chronicon, l’Historia Ecclesiastica e il De martyribus Palestinae di Eusebio di Cesarea. Per quelle pagane, oltre a informazioni sparse in vari autori come Svetonio e Cassio Dione, si possono citare la corrispondenza di Plinio il Giovane con Traiano (Ep. 10, 96-97) e Tacito per i disordini sotto Nerone (Ann. 15, 44). 20 21 Castelli, 2004, p. 36. 22 Rinaldi, 2020, p. 367. 23 Ivi, 367-368. 12 Inoltre, le prime comunità cristiane non erano ancora chiaramente distinte né distinguibili dagli ebrei, almeno in un primo tempo anche dal punto di vista romano.24 Come si apprende, per esempio, dalle Antichità giudaiche e dalla Guerra giudaica dello storico di I secolo d.C. Flavio Giuseppe, le correnti in cui erano divisi gli ebrei erano spesso in contrasto tra loro e nel corso degli anni ciò aveva creato non pochi problemi alla stabilità del potere imperiale, così che il sentimento anti-giudaico si riversava anche sui cristiani.25 Il movimento cristiano teoricamente riconosceva la legittimità del potere di Roma26, ma i cristiani rimanevano comunque un corpo difficile da integrare. Il loro messaggio era ecumenico - privo del carattere “nazionale” dell’ebraismo - e non ammetteva diversi principi cardine dell’autorità imperiale: non partecipavano ai riti sacrificali e al culto dell’imperatore, non frequentavano le terme e gli spettacoli, potevano fare obiezione di coscienza al servizio di leva.27 Si può dire che l’atteggiamento di Roma verso le comunità fu per lungo periodo improntato alla prudenza28, ma tra la popolazione si sviluppò comunque una difficile da misurare ma crescente cristianofobia. Le accuse a loro rivolte erano in parte simili a quelle rivolte verso gli ebrei: delitti contro la morale, cannibalismo legato al rito dell’eucaristia, ateismo e blasfemia.29 Rinaldi puntualizza che, avvicinandosi allo studio dei giudizi formulati dai pagani in merito alla religione cristiana, bisogna liberarsi del diffuso preconcetto che costoro non avrebbero avuto adeguate informazioni su ciò di cui parlavano: questo può essere vero per certe dicerie popolari, ma certamente non per le Vd. per es. Dio Cass. Hist. rom. 67, 14, in cui si dice che molti che avevano adottato usanze giudaiche vennero condannati, riferendosi però a cristiani. 24 25 Cecconi, 2018, pp. 310-311. Secondo il celebre detto di Gesù “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Mc. 12, 15-17) o la concezione del potere terreno di Paolo di Tarso come ordine voluto da Dio (Ep. Rom. 13, 1-7). 26 27 Cecconi, 2018, p. 315. Emblematica di questo atteggiamento è la risposta di Traiano nell’Ep. 10, 97 dell’epistolario di Plinio il Giovane in cui l’imperatore si esprime contro le denunce anonime e la repressione d’ufficio dei cristiani. 28 29 Cecconi, 2018, p. 316. 13 pagine di alcuni intellettuali come Celso, Porfirio e Giuliano, che sorprendono per la loro puntualità.30 Agli osservatori pagani era chiaro lo stretto legame tra cristianesimo e ebraismo; così che i giudizi negativi nei confronti degli ebrei diffusissimi nel mondo ellenistico romano - investirono di riflesso, come già accennato, anche i cristiani, carenti oltretutto del requisito posseduto dall’ebraismo dell’antichità che, nel mondo antico, portava con sé un’aura di venerabilità mentre il nuovo appariva sospetto, se non addirittura pericoloso.31 Già nel 64 d.C. Nerone, approfittando dell’ostilità della plebe urbana nei loro confronti, accusò i cristiani dell’incendio di Roma. La sua persecuzione fu comunque di carattere locale e finalizzata a trovare un capro espiatorio per la calamità.32 Al regno di Antonino Pio potrebbe risalire il martirio del vescovo di Smirne Policarpo33, mentre a Marco Aurelio risale il grave episodio di Lione del 177, del quale pare che l’imperatore fosse informato ma si mostrò incapace di impedire che il gruppo di cristiani fosse esposto nei giochi gladiatori per ordine degli amministratori provinciali, spinti dalla pressione popolare e dei ceti elevati locali.34 Alcuni attribuiscono a Settimio Severo un editto contro il proselitismo cristiano del 202 mentre altri, sulla scia di quanto sostiene Tertulliano (A Scapula 4, 5-6), lo dipingono come un protettore del cristianesimo.35 La storia delle persecuzioni conosce poi varie fasi: ci furono repressioni sotto Decio (249-251), Valeriano (257-259) - dal quale furono promulgati due editti mirati principalmente a colpire i vertici delle chiese - e la “grande persecuzione” di Diocleziano, iniziata nel 303. 30 Rinaldi, 2020, p. 25. 31 Ivi, pp. 25-26. 32 Rinaldi, 2020, p. 368. 33 Da alcuni datato al 155, da altri al 168 o, meno attendibilmente, al 177. 34 Cecconi, 2018, p. 317. 35 Ivi, p. 318. 14 Dieci anni più tardi, nel 313, Costantino e Licinio diverranno gli interpreti della tolleranza verso la nuova religione con l’Editto di Milano, poi nel 380 Teodosio I, con l’Editto di Tessalonica, proclamerà il cristianesimo religione imperiale ufficiale.36 Inoltre c’è anche da considerare con Simon Claude Mimouni che quello che noi, a posteriori, identifichiamo con il primo cristianesimo non fosse in realtà un’entità religiosa scissa dall’ebraismo e che fosse allo stesso tempo in concorrenza con le sue correnti confessionali interne delineatesi dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme del 70 d.C., quelle del giudaismo rabbinico e sinagogale.37 Anche la definizione di “giudeo-cristianesimo" appare inadatta a descrivere questa fase di nascita e definizione della nuova religione, in quanto “presuppone che esistano due realtà religiose considerate autonome: il cristianesimo e il giudaismo”38, ma quando e in quali termini esse si possono considerare distinte? Di cristianesimo come entità autonoma probabilmente non si può parlare prima del II secolo39, mentre a livello più concettuale Adriana Destro e Mauro Pesce propongono la seguente riflessione: Riteniamo che si dia un nuovo sistema religioso quando per aderirvi non è considerata condizione necessaria l'essere ebrei; quando le sue concezioni si presentano come effetto di una rivelazione diretta di Dio e con accentuati caratteri di diversità rispetto alla rivelazione precedente; quando la prassi rituale è diversa ed autonoma. Riteniamo, invece, che una nuova formazione sia semplicemente un movimento interno all'ebraismo quando il gruppo che lo costituisce continua ad essere composto da soli ebrei; quando le concezioni nuove consistono in reinterpretazioni della tradizione data e la sua prassi rituale non è indipendente.40 36 Formisano, 2008, pp. 11-12. Mimouni, 2015, p. 19 e 29. Il giudaismo sinagogale è una corrente sia di lingua e cultura aramaica che greca con una forte vocazione mistica riscontrabile, per esempio, nella produzione letteraria di Filone d’Alessandria. 37 38 Pesce, 2003, p. 6. Ivi, p. 14. I pareri sulla “data di inizio” sono discussi. Se inoltre con “cristianesimo” si vuole intendere una realtà istituzionale, dogmatica, etica e liturgica organizzata, essa è probabilmente individuabile solo alla fine del II secolo, vd. sempre Pesce, 2003, p. 7. 39 40 Pesce, 2003, pp. 11-12. 15 In ogni caso, la presenza dei martiri riveste grande importanza nella creazione dell’identità cristiana: per Te r t u l l i a n o “plures efficimur quotiens metimur a vobis; semen est sanguis Christianorum”, “sorgiamo più numerosi quanto più veniamo da voi falciati: il sangue dei Cristiani è il seme [della Chiesa]”41. Anche se, come vedremo più avanti, il concetto di martirio non è estraneo e anzi, affonda le sue radici, proprio nella tradizione ebraica dell’Antico Testamento. Il cristianesimo nasce in un mondo estremamente composito sia dal punto di vista religioso che culturale e in quest’ottica il fenomeno del martirio può essere interpretato come un atto fondativo al centro del quale sta il sacrificio che - nel senso letterale di sacrum facere - rende sacro e delimita lo spazio.42 Tramite l’imitato Christi, l’identificazione con Cristo, “il martire subisce il meccanismo sacrificale e conferisce un senso inedito al patimento e al sacrificio, come annullamento di sé e comune rinascita allo stesso tempo”43. 41 Tert. Apol. 50, 13. 42 Recupero, 2010, p. 10. 43 Ibid. 16 1.2.3. Le martiri cristiane: un’introduzione Per Clementina Mazzucco è proprio tramite l’estrema testimonianza di fede del martirio che la donna si guadagna un posto di rilievo nella nascente società cristiana.44 Tuttavia, come nota Castelli “that women, too, could offer themselves in the most extreme and unalterable form of self-sacrifice […] is a faint and, indeed, Pyrrhic victory in the struggle for gender equality”45. Inoltre, negli scritti martirologici le donne vengono spesso esaltate per la loro “virilità”, categoria che, scissa dal genere biologico, viene usata per esprimere un ideale di forza e virtù, dando per scontata un’inferiorità che solo il miracolo della fede può ribaltare.46 Anche se con il cristianesimo le donne troveranno sicuramente nuovi spazi d’azione e possibilità, aspetti che verranno approfonditi nel secondo capitolo, le figure di martiri-eroine e la loro esaltazione letteraria non rispecchiano un’effettiva (o almeno, generalizzata e inequivocabile) emancipazione o maggior considerazione sul piano della vita quotidiana.47 Dal punto di vista storico, a parte i casi che si perdono nella leggenda della seguace di Paolo Tecla e del martirio della moglie di Pietro48, il primo caso di donna sottoposta a persecuzioni per aver confessato la fede cristiana sarebbe quello di Flavia Domitilla, nobile romana esiliata a Ponza sotto Domiziano (95 d.C. ca.)49. Per il II secolo, negli Atti di Giustino, troviamo una donna di nome Carito nel gruppo dei sei discepoli del santo decapitati a Roma intorno al 166-167 d.C. Eusebio riporta poi il resoconto della cd. Lettera delle comunità di Lione e Vienne50 che racconta un episodio di martirio del 177 d.C. in cui spicca la figura della schiava Blandina. 44 Mazzucco, 1989, p. 95. 45 Castelli, 2004, p. 67. 46 Consolino, 1992, p. 102. 47 Ibid. 48 Clem. Al. Strom. 7, 11, 63, 3; Eus. Hist. eccl. 3, 30, 2. 49 Dio Cass. St. rom. 67, 14, 1-2; Eus. Hist. eccl. 3, 18, 4; Hier. Ep. 108, 7. 50 Eus. Hist. eccl. 5, 1, 25-26. 17 Sempre da Eusebio, sappiamo che insieme al vescovo Carpo c’era Agatonice51: secondo l’Historia Ecclesiastica l’episodio si colloca al tempo di Marco Aurelio mentre il testo latino del Martirio di Carpo, Papilio e Agatonice lo attribuisce a Decio, a metà III secolo ca. Datazione oscillante tra la metà del II e la metà del III secolo anche per il Martirio di Pionio dove compare la schiava Sabina, anche se questa figura femminile pare essere un’aggiunta successiva.52 Il suo legame con Pionio anticipa lo stretto rapporto con uomini di chiesa che caratterizzerà varie protagoniste delle cosiddette passioni romane.53 Agli inizi del III secolo risale l’importante testo della Passio Perpetuae et Felicitatis, che contiene il diario personale di Perpetua redatto durante la prigionia prima di essere condannata ad bestias nell’anfiteatro di Cartagine, il 7 marzo del 203 d.C. Tanti i nomi femminili tra le vittime della persecuzione di Decio (249-250 d.C.) sempre in Eusebio, come Quinta54, lapidata, e l’anziana Apollonia55, condannata al rogo. Alla persecuzione di Decio e a quella di Valeriano (257 d.C.) si attribuiscono anche le numerose martiri lodate dal vescovo Cipriano nelle Epistole56. Della seconda metà del III secolo sono la Passione di Montano e Lucio, dove è narrata la visione avuta di Quartillosia57 prima di essere uccisa, e la Passione di Mariano e Giacomo, in cui le giovani Tertullia e Antonia58 seguono nel martirio il vescovo Agapio. 51 Eus. Hist. eccl. 6, 15, 48. 52 Consolino, 1992, p. 104. Ibid. Per “passioni romane” si intende un gruppo di testi letterari di tematica martirologica redatti nel loro nucleo più antico nel V secolo d.C., perciò non utilizzabili come fonte delle persecuzioni. Le protagoniste femminili delle passioni romane sono caratterizzate dall’esaltazione della castità, vd. Consolino, 1984, pp. 83-86. 53 54 Eus. Hist. eccl. 6, 41, 4. 55 Eus. Hist. eccl. 6, 41, 7. Vd. per es. Cypr. Ep. 6, 3, 1 in cui Cipriano loda le martiri; 21, 4, 2 dove sono citate otto donne; 22, 2, 2 per Fortunata, Credula, Erede e Giulia. 56 57 Passio SS. Montani et Luci, 8. 58 Passio SS. Mariani et Iacobi, 11, 1-2. 18 Nella persecuzione di Diocleziano (iniziata nel 303 d.C.) per Eusebio vennero uccisi numerosi cristiani tra i quali molte donne, ricordate nei libri VII-VIII dell’Historia Ecclesiastica e nel De martyribus Palestinae. A inizio IV secolo si colloca l’episodio della nobile Domnina e delle sue due figlie vergini Bernice e Prosdoce, che, essendo state catturate dai soldati, si annegano in un fiume davanti alla prospettiva della prostituzione e dell’idolatria: esse sono presentate dalle fonti come martiri e ampiamente celebrate.59 Certamente, per riprendere Castelli, il fatto che le donne abbiano partecipato insieme agli uomini al fenomeno del martirio è un po’ una “vittoria di Pirro” nel percorso dell’emancipazione femminile, ma è altresì innegabile che ciò abbia avuto delle conseguenze importanti a livello di storia di genere, nella percezione della donna da parte delle fonti maschili e nello sviluppo dell’autocoscienza femminile stessa. La martire Seconda, interrogata dal proconsole Saturnino, risponde “quod sum, ipsud volo esse”, “quello che sono voglio essere”60, e quest’affermazione si basa su una forte consapevolezza di poter esprimere in modo libero e autonomo la propria volontà di scelta, religiosa e di vita, anche al cospetto di un uomo che rappresenta l’autorità.61 Nel pensiero classico la perfezione spirituale spetta agli uomini, mentre la donna è per sua natura caratterizzata da debolezza: l’imbecillitas feminea è considerata una condizione ancora più precaria della generale imbecillitas humana.62 Con lo Stoicismo si fa avanti l’idea che con lo studio della filosofia la donna possa acquisire forza, raggiungere l’atarassia e rifiutare ciò che è muliebre et puerile, diventando una mulier virilis.63 Questa concezione verrà recepita anche dai Padri della Chiesa e, come si è già accennato, la “virilità” sarà una caratteristica centrale nella descrizione delle prime martiri cristiane. 59 Eus. Hist. eccl. 8, 12, 3-4. 60 Acta Martyrum Scilitanorum, 9. 61 Mazzucco, 1989, p. 106. 62 Franchi, 2021, p. 191. 63 Ibid. 19 1.3. Tra ebraismo e cristianesimo Le opinioni degli storici sulle origini della martirologia cristiana si rifanno, solitamente, a due posizioni contrapposte: Frend in Martyrdom and Persecution in the Early Church la considera un proseguimento di quella ebraica, mentre per Glen Bowerstock, autore di Martyrdom and Rome, il martirio cristiano sarebbe un prodotto della cultura romana e sarebbero stati gli ebrei a averlo “preso in prestito”.64 Tuttavia entrambe le posizioni, se essenzializzate, si basano sul medesimo assunto, cioè che il cristianesimo dei primi secoli e l’ebraismo fossero effettivamente due entità separate e che quindi il rapporto di influenza possa essere ricondotto a uno schema unidirezionale. Per Daniel Boyarin, invece, “the making of martyrdom” sarebbe parte integrante “of the very process of the making of Judaism and Christianity as distinct entities”, in un processo sincretistico di influsso reciproco.65 L’idea della testimonianza di fede attraverso la sofferenza è sicuramente rintracciabile nell’Antico Testamento, andando a caratterizzare diverse figure di profeti come Abacuc, Ezechiele e Geremia: The early history of the Jews, as preserved in traditions enshrined in the earlier books of the Old Testament, told of a long struggle against odds, and an even greater one to maintain religious cohesion. The Jew had learnt from the early prophets to scorn the religions of his neighbours, even if these for the time being appeared to be more successful in winning earthly rewards than himself.66 Le più antiche storie definibili propriamente di martirio67 sono contenute nel Secondo libro dei Maccabei (2 Mac.), datato al 125 a.C. ca., che racconta 64 Boyarin, 1998, p. 577. 65 Ivi, p. 581. 66 Frend, 1967, pp. 31-32. La parola μάρτυς, “testimone” in greco antico, non è presente nel testo, ma il comportamento dei personaggi e la loro esaltazione rispondono appieno a quelle che saranno le caratteristiche fondamentali della figura del martire nella letteratura martirologica successiva, vd. Lemelin, 2022, p. 3. 67 20 l’esecuzione ordinata dal re Antioco IV di un gruppo di ebrei composto dal vecchio scriba Eleazaro, una madre e i suoi sette figli che si erano rifiutati di mangiare carni sacrificali.68 Nel 235 d.C. Origine cita ampiamente 2 Mac. nella sua Exhortatio ad martvrium: i cristiani attingono sicuramente a piene mani dal repertorio ebraico, ma per Van Henten il legame tra la martirologia cristiana con quella ebraica è comunque meglio spiegabile con un rapporto di analogia, per condivisione dello stesso ambiente culturale e di situazioni storico-sociali simili, più che con quello di derivazione diretta.69 L’aspetto della continuità emerge quindi sicuramente dall’analisi di alcuni testi, ma se ci si fermasse a questo potrebbe sfuggire, per esempio, la vicinanza del culto dei martiri cristiani a quello degli eroi fondatori del mondo classico: non solo una linea diretta con il mondo ebraico, quindi, ma connessioni anche con quello “pagano”.70 Considerata la complessità della rete di connessioni e influenze reciproche tra i vari gruppi, si torni a riflettere sulla divisione non ancora certa tra quelli che noi a posteriori chiamiamo i primi cristiani e gli ebrei. Frend ha ipotizzato che i martiri di Lione del 177 d.C., la vicenda dei quali è riportata da Eusebio71, dovevano essere soliti mangiare carne kosher72: καὶ Βιβλίδα δέ, μίαν τῶν ἠρνημένων ἤδη δοκῶν ὁ διάβολος καταπεπωκέναι, θελήσας δὲ καὶ διὰ βλασφημίας κατακρῖναι, ἦγεν ἐπὶ κόλασιν, ἀναγκάζων εἰπεῖν τὰ ἄθεα περὶ ἡμῶν, ὡς εὔθραυστον ἤδη καὶ ἄνανδρον· ἣ δὲ ἐν τῆι στρεβλώσει ἀνένηψεν καὶ ὡς ἂν εἰπεῖν ἐκ βαθέος ὕπνου ἀνεγρηγόρησεν, ὑπομνησθεῖσα διὰ τῆς προσκαίρου τιμωρίας τὴν αἰώνιον ἐν γεέννηι κόλασιν, καὶ ἐξ ἐναντίας ἀντεῖπεν τοῖς βλασφήμοις, φήσασα «πῶς ἂν παιδία φάγοιεν οἱ τοιοῦτοι, οἷς μηδὲ ἀλόγων ζώιων αἷμα φαγεῖν ἐξόν;» καὶ ἀπὸ τοῦδε Χριστιανὴν ἑαυτὴν ὡμολόγει καὶ τῶι κλήρωι τῶν μαρτύρων προσετέθη. 68 Van Henten - Avemarie, 2006, p. 31. 69 Van Henten, 1995, pp. 303-304. 70 Ibid. 71 Eus. Hist. eccl. 5, 1. 72 Frend, 1967, p. 18. 21 Per quel che riguarda Biblide, una di coloro che av vano abiurato, il demonio riteneva di averla oramai divorata, ma, poiché volle che fosse condannata anche per blasfemia, la fece condurre al supplizio per indurla a dire empietà contro di noi, in quanto ormai fragile e paurosa. Ma nel mezzo delle torture, la donna tornò in sé sé e si svegliò, per così dire, da un sonno profondo e quella pena temporanea le fece ricordare il castigo eterno della Geenna e, rivolta a quei bestemmiatori, disse: "Come potrebbero mangiare dei bambini costoro ai qu li non è lecito neppure cibarsi del sangue di animali senza m tivo?". Dopo di che si confessò cristiana e fu aggiunta al n mero dei martiri.73 Anche nel resoconto del martirio di Pionio sorprende l’enfasi sul fatto che il giorno dell’esecuzione fosse il sabato quando, specifica il redattore, i condannati pregavano e assumevano il pane sacro con l’acqua.74 Anche il martirio di Policarpo, sul quale buona parte del racconto di quello di Pionio è modellato, ricorre di sabato.75 Un altro esempio dell’osservanza di costumi ebraici tra i cristiani, al di fuori dell’ambito del martirio e addirittura tardoantico, può essere quello fornito da Susanna Elm in Virgins of God: The Making of Asceticism in Late Antiquity: in un brano dell’Historia Lausiaca è descritta un’asceta donna egiziana del IV secolo d.C. che mangia solo di sabato e domenica per dedicarsi nel resto dei giorni alla preghiera.76 La donna evidentemente rispettava una doppia osservanza, quella ebraica di Sabbath e quella cristiana del giorno di riposo del Signore, la domenica. Una figura centrale nello sviluppo della martirologia ebraica è quella di Rabbi Akiva, nato nel 50 d.C. ca. e martirizzato dai romani nel 132 d.C. ca. nel contesto della ribellione di Bar Kokhba, che anche il rabbino riteneva essere il Messia promesso.77 73 Eus. Hist. eccl. 5, 1, 25-26. 74 Boyarin, 1998, p. 583. 75 Ibid. 76 Elm, 1994, p. 315. Akiba Ben Joseph, a c. di L. Ginzberg, in JewishEnciclopedia.com. [https:// www.jewishencyclopedia.com/articles/1033-akiba-ben-joseph] 77 o­ e­ u­ a­ 22 La storia della sua morte presente nel Talmud Palestinese di IV secolo78 riflette gli importanti sviluppi nella percezione del fenomeno del martirio avvenuti in questo frangente di tempo. Di innovativo rispetto alla concezione precedente c’è la consapevolezza, da parte dello stesso martire, dell’atto come adempimento estremo dell’amore per Dio.79 Per Herr in 2 Mac. l’esaltazione del gruppo di ebrei messi a morte da Antioco IV si avvicinerebbe addirittura di più al modello della noble death classica che a quello elaborato successivamente sia dai cristiani che dai rabbini, nel quale i martiri vivono il morire, appunto, come atto d’amore nei confronti del Signore.80 Se per Frend “there is no doubt that if one considers martyrdom in terms of witness to God's mighty works, and the martyr as His agent, Christians looked back almost exclusively to Jewish prototypes”81, Herr attribuisce ai rabbini di fine III-inizio IV secolo d.C. una rielaborazione della storia e della tradizione precedente in chiave martiriologica: They [i rabbini] evinced a martyr-consciousness which discovered archetypes in a long succession of victims who were regarded as having given their lives to sanctify God’s Name. These heroes who began with Abraham, included Hananiah, Mishael and Azariah, as well as the mother and her seven sons, down to the people of their own times […]82 Così come, in particolare, ritiene che nei trecento anni intercorsi tra i decreti antiebraici di Antioco IV a quelli di Adriano durante ribellione di Bar Kokhba del 132-135 d.C. il fenomeno del martirio non avesse particolare rilevanza nel contesto israelitico.83 78 Boyarin, 1998, p. 607. 79 Ivi, pp. 607-608. 80 Herr, 1972, p. 104. 81 Frend, 1967, p. 67. 82 Herr, 1972, p. 125. 83 Ivi, p. 103. 23 In questo breve excursus sul rapporto tra ebraismo e cristianesimo delle origini in relazione al fenomeno del martirio si è voluto presentare da un punto di vista generale la questione che, se non altro, emerge nella sua complessità in un periodo in cui le due religioni non erano nemmeno ancora tali, nel senso che i confini di distinzione tra un credo e l’altro si stavano pian piano definendo. Come suggeriscono alcune ipotesi di ricostruzione a cui si è accennato è possibile che le figure dei martiri, anche di quelli definiti così a posteriori, abbiano giocato un ruolo in questo processo di formazione identitaria sia da un lato che dall’altro, gli ebrei alla ricerca dei loro “eroi fondatori” alla fine del periodo del Secondo Tempio e i cristiani dei propri. Da parte cristiana c’è anche da considerare la forza dell’idea del martirio come imitatio Christi, come risposta alle persecuzioni sull’esempio della “persecuzione per eccellenza, in quanto ha avuto per vittima nientemeno che la divinità stessa, incarnata in Gesù Cristo”84. 84 Corsini, 2002, p. 165. 24 1.4. Confronto con il mondo greco-romano Il sacro è tutto quel che domina l’uomo con tanto maggior sicurezza quanto più l’uomo si crede capace di dominarlo. Quindi, tra l’altro, ma secondariamente, il sacro sono le tempeste, gli incendi di foreste, le epidemie che decimano una popolazione. Ma è anche e soprattutto, pur se in maniera più velata, la violenza degli uomini stessi, la violenza posta come esterna all’uomo e confusa ormai con tutte le altre forze che gravano sull’uomo dal di fuori. È la violenza che costituisce il vero cuore e l’anima segreta del sacro.85 Ne La violenza e il sacro René Girard vede il sacrificio cruento, oltre che con il fine di allontanare eventi negativi, come modo di “purificare” la violenza dissipandola su vittime che non possono essere vendicate. Il loro sangue sparso sporca e pulisce allo stesso tempo, rende impuri e purifica, può spingere alla follia ma può anche far rinascere: non riuscendo a penetrare il segreto di tale dualità, gli uomini ricorrono al rito, che distingue la “buona” dalla “cattiva” violenza.86 In Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo Girard sostiene che il sacrificio di Gesù vada a scardinare l’ordine sacrificale in quanto la narrazione evangelica afferma senza ambiguità l’innocenza della vittima: già nell’Antico Testamento ci sono figure di vittime innocenti, come Abele, ma la Passione svelerebbe senza alcun filtro mitico “le cose nascoste sin dalla fondazione del mondo” (Mt. 13, 35), cioè la verità sulla violenza e la fondazione dell’ordine del mondo su di essa. 85 Girard, 1980, pp. 52-53. 86 Ivi, pp. 60-61. 25 Per un’analisi della relazione tra sacrificio pagano e cristiano Recupero propone la via della “sopravvivenza per transizione”87: Il cristianesimo ripresenta […] il carattere primordiale dell’istituzione sacrificale, segno memoriale della violenza impressa in ogni essere umano su cui opera la rivelazione evangelica, trasformando l’equilibrio arcaico tra mito e rito, un equilibrio temporaneo, imperfetto perché fondato sulla violenza arbitraria. A questi sacrifici imperfetti si oppone il sacrificio di Gesù Cristo […] non un capro espiatorio, ma il capro espiatorio perfetto, pienamente umano e pienamente divino.88 Allo stesso modo, l’eroe mitico classico è spesso annientato, è vittima, perché per tracotanza (ὕβρις) si spinge all’imitazione (μίμησις) di una divinità trovandosi in competizione con essa, aspirando senza successo alla divinizzazione. Anche per il martire cristiano c’è l’imitato Christi, ma per la comunione (κοινωνία) con Gesù stesso, che annulla quella distanza insormontabile tra le divinità classiche e gli uomini, non c’è invidia né conflitto e è tramite l’intervento esterno della gratia di Dio che diviene santo.89 Vernant in particolare osserva che il sacrificio greco, più che stabilire un rapporto tra uomini e dei, tende a fondare con la distribuzione delle parti della vittima (ossa con grasso agli dei, carni commestibili agli uomini), un netta distinzione tra gli umani mangiatori di carni e le divinità, che in realtà si cibano di nettare e ambrosia e al massimo annusano compiaciuti il fumo delle ossa bruciate.90 Nel sacrificio greco alla sfera divina spettano le ossa perché resistenti e durature mentre in quello biblico-ebraico spetta il sangue91 in quanto emblema della vita: in entrambi i casi si offre la parte ritenuta più nobile, il fulcro stesso della vittima.92 87 Recupero, 2010, p. 17. 88 Ivi, p. 23. 89 Recupero, 2010, pp. 26-27. 90 Grottanelli, 1988, pp. 23-24. Nella Bibbia, così come nella macellazione kosher che si conserva ancora oggi, ogni uccisione sacrificale implica il totale dissanguamento dell’animale. 91 92Grottanelli 1988, p. 126. 26 Da un punto di vista più storico è necessario notare la lontananza del concetto di sacrificio cristiano da quello specificamente romano, che era integrato con e alla base di un preciso ordine politico e sociale.93 Per Castelli i cristiani si sarebbero comunque serviti del linguaggio del sacrificio pagano per descrivere l’esperienza delle persecuzioni: rifiutandosi di sacrificare all’imperatore e agli dei, rifiutando quindi il ruolo di chi compie il sacrificio, nella letteratura martirologica i martiri prenderebbero il posto della vittima.94 In generale, il cristianesimo nasce in e si intreccia inevitabilmente con “un universo brulicante di esseri divini”95 e In quell’universo i cristiani - cioè il potere di Cristo e dei suoi servitori, i martiri - erano giunti per restarvi; ma essi appaiono in una prospettiva alla quale i nostri occhi moderni fanno fatica ad adattarsi: sono collocati in un antico paesaggio spirituale di tipo precristiano.96 Guy Stroumsa condensa nella formula della “fine del sacrificio” le mutazioni religiose che investono la tarda antichità: The rise of Scriptures as the very backbone of religious movements transformed attitudes toward religious stories, or myths. It stands to reason that a similar transformation of the ritual should be discerned, as all religions hinge upon the two functions of myth-making (or myth-telling) and ritual action. To a new conception of historia sacra should correspond a new kind of religious praxis. I suggested above that from a heuristic viewpoint the traditional distinction of polytheistic versus monotheistic religions is not always particularly useful. Indeed, in the ancient world both polytheists and monotheists offered blood sacrifices to the divinity or divinities; in their view, such sacrifices represented the very acme of religious life. 97 93 Castelli, 2004, p. 51. 94 Ibid. 95 Brown, 1996, p. 4. 96 Ibid. 97 Stroumsa, 2010, p. 140. 27 Il primo cristianesimo si presentava in un certo senso come una religione sacrificale, ma di un tipo nuovo, in cui il rituale centrale era chiamato anamnēsis, una ri-attualizzazione - o addirittura ri-attivazione - del sacrificio di Gesù: era una religione senza templi, in cui lo stesso sacrificio veniva offerto perennemente, quotidianamente.98 In quest’ottica i martiri non offrono sacrificio, sono il sacrificio, e dalla divinità non ci si aspetta nessuna ricompensa immediata: il martirio cristiano riflette un cambiamento radicale nella concezione sacrificale, una rottura fondamentale nella natura stessa della religione.99 Per quanto riguarda gli acta martyrum come prodotto letterario c’è un’ipotesi molto accreditata agli inizi del Novecento, sostenuta per esempio da Geffcken100, che li connette agli exitus virorum illustrium romani, tanto che si arrivò a definire questi ultimi, per parallelo, acta martyrum paganorum. Per Bastiaensen questa posizione è insostenibile in quanto gli exitus virorum illustrium erano, come testimonia Plinio il Giovane101, laudationes funebres destinate a onorare le vittime delle crudeltà degli imperatori.102 Il loro carattere eminentemente politico doveva interessare poco i cristiani: i resoconti delle persecuzioni comprendono anche un’opposizione a delle richieste imperiali, ma ciò è probabilmente secondario rispetto alla finalità di conservare e tramandare la memoria dei fratelli e delle sorelle che avevano dato estrema testimonianza di fede. Inoltre, non si trattava di resoconti scritti sotto l'influenza immediata degli avvenimenti, cosa che di regola accadeva per gli acta cristiani, ma di elaborazioni posteriori, caratterizzate da una fine ricerca retorica e letteraria.103 C’è da tenere presente che, in ogni caso, sia il mondo giudaico che quello cristiano erano soggetti in generale agli influssi della cultura e ellenistica, riscontrabili in diversi esempi: 98 Stroumsa, 2010, p. 142. 99 Ibid. 100 Geffcken, 1910, p. 486 e ss. 101 Plin. Ep. 8, 12. 102 Bastiaensen, 2014, p. 12. 103 Ibid. 28 Le nozioni d'immortalità e d'incorruttibilità riferite alla vita presso Dio, apporto ellenistico all'interno del libro della Sapienza, si ritrovano nei testi giudeo-cristiani (4 Macc. 7, 3; Eusebio, Historia Ecclesiastica V 1, 42); la percezione della morte quale atto eroico, l'idea di resistenza nella prova, lo sprezzo delle torture (2 Macc. 7, 5-21; 4 Macc. 17, 16; Martyrium Polycarpi 2, 2) hanno risonanze stoiche; la descrizione dettagliata delle torture (4 Macc. ed Eusebio, Historia Ecclesiastica V, passim) attinge a una retorica barocca, che gli autori ellenistici contemporanei prediligevano.104 Anche il topos della donna virile, frequentissimo nella descrizione delle martiri cristiane, è allo stesso modo presente nella letteratura greco-romana (e giudaica) precedente.105 Donne caratterizzate virilmente sono la Clitemnestra dell’Agamennone di Eschilo (vv. 10-11), l’Elettra di Sofocle (vv. 982-983), così come l’Antigone di Euripide, che anche secondo l’etimologia del suo nome è contro (ἀντί) alla donna (γυνή) o alla generazione (γόνος). Nel momento in cui Antigone è virile, per giunta, è Creonte a non esserlo più, come il re Antigono IV di fronte alla madre dei sette fratelli in 2 Mac. (vv. 84-85).106 L’idea della mulier virilis è, inoltre, sistematizzata dagli Stoici con la teoria della trasformazione degli infirmi nel loro opposto attraverso la virtù: una donna virtuosa diventa un uomo così come un bambino può essere saggio come un vecchio.107 In generale il pensiero classico - in modo particolare quello platonico mediato spesso dallo stoicismo - ha influenzato in maniera importante il pensiero cristiano gnostico, con la concezione del raggiungimento della salvezza attraverso il sapere (gnosis), una salvezza dipendente dalla trasformazione del soggetto mediante la sua divinizzazione (theiosis), cioè il compimento della sua natura profonda.108 104 Bastiaensen, 2014, p. 18. 105 Lemelin, 2022, p. 221. 106 Ivi, p. 222. 107 Franchi, 2021, pp. 191-192. 108 Stroumsa, 2006, p. 19. 29 Gli autori patristici, invece, sono più vicini a una concezione derivata dalla Bibbia della santità, che si realizza attraverso la praxis piuttosto che attraverso la theoria: il santo deve trasformarsi in uno sforzo costante per cambiare la sua natura colpevole in quanto legata al peccato originale, cercando di identificarsi con Gesù Cristo. L’imitatio Christi è difatti in origine la cifra del martire, come poi lo sarà del monaco.109 In questa sezione si è tentato di confrontare il fenomeno del martirio cristiano con la cultura “pagana” da diversi punti di vista, da quello storico-antropologico a quello letterario: come sempre, tra la prospettiva della continuità e quella della rottura, c’è la complessità di un reale fatto di innumerevoli interazioni e scambi, che per alcuni aspetti presentano potenziali legami mentre per altri punti di distacco. 109 Stroumsa, 2006, p. 19. 30 1.5. Influenza e esemplarità del martire Quando un membro della Chiesa subiva il martirio la comunità si radunava sul luogo dell’esecuzione o della sepoltura per celebrare il sacrificio di Cristo, che si riteneva continuare in quello del suo martire. Come sottolinea Lazzati, i martiri avevano un posto rilevante nella liturgia della Parola: i vescovi inserivano nei loro sermoni sezioni celebrative che comprendevano anche la lettura del rapporto del processo e dell’esecuzione.110 Nelle riunioni liturgiche, inoltre, accanto ai Libri Sacri si leggevano anche gli acta martyrum.111 La stessa Passio Perpetuae et Felicitatis giunge a noi in una redazione di un compilatore esplicitamente destinata alla lettura davanti a un uditorio: Et nos itaque quod audivimus et contrectavimus, annuntiamus et vobis, fratres et filio- li, uti et vos qui interfuistis rememoremini gloriae Domini, et qui nunc cognoscitis per auditum communionem habeatis cum sanctis martyribus, et per illos cum Domino nostro Ieso Christo, cui est claritas et honor in saecula saeculorum. Amen. E ciò che noi abbiamo udito e toccato con mano lo annunciamo dunque anche a voi, fratelli e figli, affinché voi, che foste presenti, vi ricordiate della gloria del Signore e voi, che apprendete adesso udendo, siate in comunione con i santi martiri e attraverso di essi con il Signore nostro Gesù Cristo, che ha gloria e onore nei secoli dei secoli. Amen.112 La lettura degli acta, tuttavia, non era una pratica accolta ovunque all’unanimità e senza resistenze. Il Concilio di Ippona del 393 a.C. la autorizza a fianco di quella degli scritti biblici e tale precisazione sembra presupporre proprio l’incertezza che gravitava attorno a tale pratica. La Chiesa di Roma si rifiuterà per secoli di consentire nella chiesa episcopale la recitazione liturgica degli atti e per le Chiese Orientali l’esistenza di questo costume rimane addirittura incerta.113 110 Lazzati, 1956, p. 13 e ss. 111 Ivi, p. 20 e ss. Passio Perpetuae et Felicitatis 1, 6. Il corsivo è dell’ed. di Formisano, 2008 a indicare la ripresa di un’epistola giovannea (Ep. Io. 1, 1-3). 112 113 Bastiaensen, 2014, pp. 21-22. 31 Con le dovute precisazioni, attraverso le celebrazioni che si tenevano in occasione dell’anniversario del martirio, comunque, le testimonianze hanno continuato a perpetrare nel tempo il loro valore esemplare.114 Portando l’attenzione sulle donne martiri, le fonti riconoscono il loro ruolo di edificazione e evangelizzazione, con effetti anche al di fuori della comunità.115 Cipriano afferma che il coraggio delle martiri è d’esempio per le altre donne e gli apologisti ne traggono spunto per dimostrare la forza della fede cristiana, tale da rendere inflessibili davanti alle torture “timide donne e deboli fanciulle”, come le definisce Lattanzio.116 La martire Potamiena, riferisce Eusebio, diventa addirittura d’ispirazione per la conversione di altri, nel caso specifico di un soldato romano di nome Basilide: ὃ μὲν ἀνεῖργεν ἀποσοβῶν τοὺς ἐνυβρίζοντας, πλεῖστον ἔλεον καὶ φιλανθρωπίαν εἰς αὐτὴν ἐνδεικνύμενος, ἣ δὲ τῆς περὶ αὐτὴν συμπαθείας ἀποδεξαμένη τὸν ἄνδρα θαρρεῖν παρακελεύεται: ἐξαιτήσεσθαι γὰρ αὐτὸν ἀπελθοῦσαν παρὰ τοῦ ἑαυτῆς κυρίου καὶ οὐκ εἰς μακρὸν τῶν εἰς αὐτὴν πεπραγμένων τὴν ἀμοιβὴν ἀποτίσειν αὐτῷ. ταῦτα εἰποῦσαν γενναίως τὴν ἔξοδον ὑποστῆναι […] οὐ μακρὸν δὲ χρόνον διαλιπὼν ὁ Βασιλείδης ὅρκον διά τινα αἰτίαν πρὸς τῶν συστρατιωτῶν αἰτηθείς, μὴ ἐξεῖναι αὐτῷ τὸ παράπαν ὀμνύναι διεβεβαιοῦτο: Χριστιανὸν γὰρ ὑπάρχειν καὶ τοῦτο ἐμφανῶς ὁμολογεῖν. Dato che la folla tentava di importuna la e di insultarla con parole disdicevoli, egli [Basilide] trattenne con m nacce e respinse coloro che la insultavano, mostrando per lei grandissima pietà ed umanità. La donna, apprezzando la co passione di lui nei suoi confronti, esortava l'uomo ad essere c raggioso, poiché, una volta ritornata presso il suo Signore, avrebbe pregato per lui e gli avrebbe presto reso quanto egli aveva fatto per lei. Dopo aver detto queste cose, ella andò nobilmente incontro alla morte […] Trascorso non molto tempo, Basilide, ai compagni d'arme che per un qualche mot vo gli chiedevano di prestare giuramento, dichiarò che non gli era assolutamente consentito giurare: diceva, infatti, di essere cristiano e lo confessava apertamente.117 114 Lazzati, 1956, pp. 13-14. 115 Mazzucco, 1989, pp. 112-113. 116 Ibid. Per Cipriano si rimanda a Ep. 6, 1, 3 e per Lattanzio a Div. Inst. 5, 13, 14-15. 117 Eus. Hist. eccl. 6, 5, 3-5. i­ m­ r­ o­ i­ δ̓ 32 Nel Tardo-antico e nel Medioevo l’influenza del martire si legherà sempre più anche a un altro fenomeno, quello del culto delle reliquie. Inizialmente ciò si sarebbe scontrato con le autorità romane, che evitavano di consegnare i corpi per evitare disordini: in quest’ottica si spiega anche l’ordine di Diocleziano di rimuovere i resti dalle tombe e gettarli in mare.118 Successivamente, tramanda Eusebio119, anche Massimino Daia vietò ai cristiani di riunirsi presso i cimiteri. 118 Recupero, 2010, p. 188. 119 Eus. Hist. eccl. 9, 2. 33 1.6. Gli acta martyrum come genere letterario Si può dire con Elizabeth Lemelin che la “martyrologie met au monde le martyr”: il martire infatti esiste solo grazie alla testimonianza che ne è stata fatta.120 Questi testi possiedono, inoltre, un valore propagandistico rispetto al quale la veridicità storica passa decisamente in secondo piano. Se il martirio è una “propaganda” portata avanti dal potere imperiale per reprimere certi comportamenti, la letteratura martirologica è una risposta a quest’ultima per incoraggiare a persistere nella resistenza. Importante è anche la costruzione retorica della narrazione, tutta mirata a rovesciare quello che sembra un evidente dato di fatto, cioè che è chi viene ucciso a perdere: nella narrazione della sua morte è il martire a risultare trionfante e in vista di una gloria più alta di quella terrena.121 Quelli denominati come acta martyrum, gli atti dei martiri, sono scritti tramandati dall’antichità cristiana che contengono resoconti di processi e esecuzioni inflitti ai cristiani per la loro fede. Il termine acta non va inteso in senso tecnico, cioè di procedimento verbale di una sessione giudiziaria, anche se ciò non toglie che dei documenti ufficiali possano essere stati utilizzati.122 L’uso di questo nome non risulta improprio in quanto fuori dal gergo burocratico designa azioni coraggiose123 e anche perché il confronto con il giudice terreno rappresenta uno dei punti chiave di questi scritti.124 Essi vengono chiamati anche passiones, termine in uso sin dalla latinità cristiana antica: lo si trova, per esempio, in quel canone del Concilio d'Ippona del 393 d.C. che stabilisce che in chiesa, a fianco delle scritture canoniche, si possono leggere le passiones martyrum.125 120 Lemelin, 2022, p. 10. 121 Ivi, pp. 11-12. 122 Bastiaensen, 2014, p. 9. In questa accezione può essere considerato sinonimo di gesta, anch’esso utilizzato per i resoconti martirologici. 123 124 Bastiaensen, 2014, p. 9. 125 Ivi, pp. 9-10. 34 Gli studiosi di agiografia si rifanno generalmente alla classica distinzione fatta da Hippolyte Delehaye in Les passions des martyrs et les genres littéraires fra passioni storiche e epiche. Le passioni storiche si basano sulla testimonianza di chi assistette al martirio o potè accedere agli atti processuali e, di solito, i dettagli e le notizie sulla vita privata dei condannati sono molto contenute, talvolta addirittura assenti. Le passioni epiche sono state invece redatte diverso tempo dopo le persecuzioni e presentano informazioni sui protagonisti tanto ricche quanto fittizie, sfociando nel romanzesco. Presentano spesso, inoltre, una retorica che va a ricercare nella condotta dei martiri la conferma a un sistema di valori basato sull’ascesi e la continenza. Problemi di credibilità storica si pongono in ogni caso anche per le cd. passioni storiche, che non sono mai la nuda trascrizione degli atti processuali e non raramente presentano tracce di rimaneggiamenti e aggiunte posteriori.126 Le interpolazioni risalgono spesso a una fase intermedia tra acta con valore storico e passioni epiche vere e proprie, testimoniata anche dai Padri del IV secolo che utilizzavano l’esempio dei martiri per dare più autorevolezza ai loro insegnamenti morali.127 La critica agiografica cattolica dal diciassettesimo secolo in poi128 ha ristretto sempre più il numero di atti ritenuti degni di fiducia. Per stabilirlo ci si rifà soprattutto a motivi di critica interna: se contengono dati storici inaccettabili (grossolani errori di cronologia, caricature non plausibili di imperatori persecutori, presenza massiccia di elementi soprannaturali) sono soggetti al dubbio. Si parte dal contenuto poiché il confronto con altre fonti risulta in molti casi molto difficoltoso.129 126 Consolino, 1992, pp. 95-96. 127 Ibid. Cominciando con il benedettino Thierry Ruinart, autore della raccolta Acta primorum martyrum sincera et selecta del 1689. 128 129 Bastiaensen, 2014, p. 24. 35 2. Le donne nel cristianesimo delle origini 2.1. Figure femminili nell’Antico Testamento Prima di apprestarsi a esaminare la condizione delle donne nel primo cristianesimo dal punto di vista storico, può essere utile gettare uno sguardo anche sulla loro rappresentazione nell’Antico Testamento: Uno degli aspetti che si impongono all'attenzione, quando si studiano le figure femminili della Bibbia, soprattutto nei libri che costituiscono i primi due blocchi della Bibbia ebraica (Pentateuco e Profeti anteriori) e negli unici due "rotoli" che portano un nome di donna (Rut ed Ester), è il loro emergere in primo piano in particolari situazioni di "crisi" e il loro singolare modo di porsi in rapporto con il "sacro" - in senso lato - e con tutto un complesso di norme e di comportamenti comunemente messi in atto per proteggersi dai suoi aspetti distruttivi.1 Avanzinelli nota che le donne bibliche spesso dimostrano la capacità di situarsi sul difficoltoso confine che separa dimensioni antitetiche come il sacro dal profano, l'impuro dal puro, la vita dalla morte e ritene che la religiosità femminile in epoca biblica si esprimesse specialmente in concomitanza dei riti di passaggio, fra cui soprattutto i rituali di parto e di nascita (e parallelamente quelli legati alla morte).2 Nelle saghe familiari dei genitori d’Israele (Gen. 12-38) i racconti non ruotano soltanto attorno ai patriarchi, ma ci sono anche figure di “madri fondatrici” che contribuiscono attivamente alla storia del popolo eletto.3 Sara, moglie di Abramo, fa cacciare Agar e suo figlio Ismaele nel deserto di Bersabea così da rovesciare il diritto di primogenitura a favore di suo figlio Isacco: Dio non contesta la sua azione e la sua figura gioca un ruolo essenziale nella linea della storia biblica.4 1 Avanzinelli, 2005, p. 22. 2 Ibid. 3 Valerio, 2014, p. 40 e ss. 4 Gen. 21, 9-14. 36 Inoltre, Abramo la seppellisce a Ebron, nella terra di Canaan, acquistando il primo appezzamento che costituirà una sorta di “diritto di cittadinanza”5 nella terra promessa.6 Agar, poi, da schiava e madre sostitutiva reietta diventa per volere divino fondatrice di “una grande nazione”7. E è a Rebecca, non al marito Isacco, alle quale Dio rivela il destino dei due figli Esaù e Giacobbe8, e è sempre lei a ingannare l’anziano marito affinché l’eredità vada al suo prediletto, il secondogenito Giacobbe.9 Anche Tamar, nuora di Giuda, dopo la morte dei due mariti, utilizza uno stratagemma per non ritrovarsi senza erede e riacquistare un posto all’interno della società patriarcale: fingendosi una prostituta si incontra con Giuda, che non la riconosce, e rimane incinta, dando origine alla discendenza di Davide.10 Sarà inoltre lei, insieme alla straniera Rut, alla prostituita Raab e alla concubina di Davide Betsabea, a figurare nella genealogia di Gesù: si può dire, con Adriana Valerio, che sono quattro donne decisamente “fuori dagli schemi”11. Per quanto riguarda le donne bibliche è necessario, inoltre, sovvertire certi stereotipi che presentano il femminile come qualcosa di “mite”: ci sono infatti esempi importanti di donne capaci di estrema violenza, verbale e materiale.12 Emblematica sotto questo punto di vista è la vicenda di Atalià, figlia di Acab e di Gezabele e madre di Acazià, re di Giuda, la quale è descritta in balia di una violenza omicida contro gli eredi della stirpe regale di Giuda dopo l’uccisione di suo figlio.13 5 Valerio, 2014, p. 43. 6 Gen. 23, 2. 7 Gen. 21, 18. 8 Gen. 25, 23. 9 Gen. 27, 1 e ss. 10 Gen. 38, 14 e ss. 11 Valerio, 2014, p. 48. 12 Avanzinelli, 2005, p. 24. 13 2Re 11, 1. 37 Poi c’è Giuditta, la cui vicenda è narrata nell’omonimo libro, donna dotata di fine intelligenza e coraggio: ella si presenta dal generale assiro Oloferne fingendo di voler tradire la sua gente, lo fa invaghire di lei con il suo aspetto avvenente e la sua dialettica e una sera, fattolo ubriacare, gli mozza la testa.14 La figura di Giuditta è interessante anche perché si muove su un terreno estremamente ambiguo: da una una parte la sua astuzia suscita l’ammirazione del suo popolo, dall’altra siamo in presenza del topos della malia femminile pericolosissima per l’uomo che ricorre più volte nello stesso testo sacro.15 Anche Ester - la regina che salva il suo popolo dal re persiano a rischio della sua stessa vita, alla storia della quale risale eziologicamente la festa ebraica di Purim pretende un secondo giorno per dare sfogo all'odio innescato dalla minaccia di sterminio.16 Per Avanzinelli, poi, ci sono casi in cui le donne bibliche fungono da schermo a una violenza in cui interviene una componente sacrale - forze distruttive evocate a volte da una maledizione, altre dal versamento del sangue o dalla violazione di un tabù - facendosene carico e provando a trasformarle.17 A questo proposito si può menzionare il ruolo di mediatrice di Abigail tra Davide e suo marito Nabal, che si rifiuta di recare omaggi al futuro re.18 La reazione di Davide all’oltraggio è immediata e violenta, arma un esercito di quattrocento uomini e si dirige verso i possedimenti di Nabal deciso a fare una strage. Abigail allora prepara ricchi doni e si getta ai piedi di Davide addossandosi una colpa non sua e prega affinché Dio non lo faccia vivere con la “maledizione” di aver versato del sangue che poteva essere risparmiato: 14 Gdt. 13, 6-8. 15 Valerio, 2014, p. 95. 16 Est. 9, 13. 17 Avanzinelli, 2005, p. 26. 18 1Sam. 25, 10-11. 38 καὶ ἔσται ὅτι ποιήσει κύριος τῷ κυρίῳ μου πάντα ὅσα ἐλάλησεν ἀγαθὰ ἐπὶ σέ καὶ ἐντελεῖταί σοι κύριος εἰς ἡγούμενον ἐπὶ Ισραηλ καὶ οὐκ ἔσται σοι τοῦτο βδελυγμὸς καὶ σκάνδαλον τῷ κυρίῳ μου ἐκχέαι αἷμα ἀθῷον δωρεὰν καὶ σῶσαι χεῖρα κυρίου μου αὐτῷ καὶ ἀγαθώσει κύριος τῷ κυρίῳ μου καὶ μνησθήσῃ τῆς δούλης σου ἀγαθῶσαι αὐτῇ. Certo, quando il Signore ti avrà concesso tutto il bene che ha detto a tuo riguardo e ti avrà costituito capo d’Israele, non sia d'inciampo o di rimorso al mio signore l'aver versato invano il sangue e l'essersi il mio signore fatto giustizia da se stesso.19 Davide si ravvede immediatamente benedicendo la donna, “liberato dalla maledizione che le parole di Abigail hanno saputo trasformare in benedizione”.20 Infine, è proprio nell’Antico Testamento che Elizabeth Castelli in À l'origine des femmes martyres trova una possibile figura archetipica alla base del martirio femminile, la madre del Secondo libro dei Maccabei che il re Seleuco IV fa uccidere perché si rifiuta di agire contro la sua fede, figura che verrà approfondita nel capitolo terzo. 19 1Sam. 25, 30-31. 20 Avanzinelli, 2005, p. 33. 39 2.2. Ai tempi di Gesù e Paolo di Tarso Fondamentale per affrontare la tematica del martirio femminile nei primi secoli del cristianesimo è inquadrare la situazione giuridico-sociale delle donne al suo interno. Per Clementina Mazzucco “restano in gran parte da scoprire le tracce di un’autentica storia femminile cristiana”21. La documentazione a nostra disposizione permette infatti un approccio perlopiù indiretto: si tratta di fonti letterarie di mano quasi esclusivamente maschile, spesso basate su topoi e più prescrittive - cioè volte a delineare un ideale etico-morale astratto - che descrittive dell’effettiva realtà quotidiana. Una comprensione profonda della condizione della donna nella nascente comunità cristiana richiede inoltre il riuscire a guardare oltre le affermazioni ai nostri occhi sicuramente misogine e antifemministe dei Padri della Chiesa, che oltretutto sono spesso in contrasto con le effettive esperienze di vita vissuta: molte sono le presenze femminili accanto a illustri esponenti cristiani, attestate per esempio, come nel caso di Girolamo, da fitte corrispondenze epistolari.22 Di primaria importanza per evitare il rischio di cadere in stereotipi e anacronismi è perciò la selezione delle fonti e il loro inquadramento storico-sociale.23 I modelli interpretativi a cui si ricorre per spiegare il ruolo delle donne nel primo cristianesimo sono solitamente due: il primo sottolinea la discontinuità tra l’importanza delle donne nel movimento di Gesù e il loro ruolo ridimensionato nelle prime chiese specialmente dal III secolo d.C., il secondo invece tende alla continuità, a ricercare le tracce di un coinvolgimento attivo anche dove i testi sembrano negarlo.24 21 Mazzucco, 1989, p. 9. 22 Ivi, pp. 7-9. Gallo, 1984, pp. 9-14, per una metodologia di approccio generale alla storia di genere nell’antichità. 23 24 Destro - Pesce, 2011, p. 1. 40 Destro e Pesce, pur allineandosi al modello della discontinuità, pensano che questi due schemi non vadano necessariamente contrapposti e trovano le radici di questo cambiamento nella svolta tra la forma sociale del movimento di Gesù e i sistemi che si sono sviluppati successivamente. Le fonti su Gesù sono un complesso di tradizioni orale e scritte spesso rispondenti a esigenze identitarie e apologetiche per coloro che ne seguivano gli insegnamenti.25 In ordine cronologico le prime testimonianze sono le lettere di Paolo, scritte tra il 50 e il 58 del I secolo, seguono poi le ricostruzioni operate tra II e IV secolo dalla letteratura cristiana definita - a seconda del valore normativo che le è stato riconosciuto “canonica” (comprendente i Vangeli sinottici, cioè quelli di Marco, del 70 ca., Matteo e Luca dell’80-85 e il Vangelo di Giovanni di fine I secolo) o “apocrifa”.26 La forma sociale promossa da Gesù può essere definita come una forma sociale “interstiziale”, cioè non ufficiale e istituzionalizzata, volontaria e temporanea, fortemente dipendente dalla sua presenza fisica: per questo dopo la sua morte, con l’organizzazione dei seguaci nelle varie ekklesiai, provocano dei forti cambiamenti con l’istituzionalizzazione dei ruoli, che ovviamente coinvolgono anche le donne.27 La chiamata da parte di Gesù comporta un’uscita dall’oikos sia in senso fisico, i discepoli e le discepole spesso lo seguivano nella vita itinerante, che figurato: Δοκεῖτε ὅτι εἰρήνην παρεγενόμην δοῦναι ἐν τῇ γῇ; οὐχί, λέγω ὑμῖν, ἀλλ’ ἢ διαμερισμόν. ἔσονται γὰρ ἀπὸ τοῦ νῦν πέντε ἐν ἑνὶ οἴκῳ⸃ διαμεμερισμένοι, τρεῖς ἐπὶ δυσὶν καὶ δύο ἐπὶ τρισίν, διαμερισθήσονται πατὴρ ἐπὶ υἱῷ καὶ υἱὸς ἐπὶ πατρί, μήτηρ ἐπὶ θυγατέρα καὶ θυγάτηρ ἐπὶ τὴν μητέρα, πενθερὰ ἐπὶ τὴν νύμφην αὐτῆς καὶ νύμφη ἐπὶ τὴν πενθεράν. 25 Valerio, 2018, p. 23. 26 Ivi, p. 24. 27 Destro - Pesce, 2011, p. 2. 41 Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D'ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera.28 Questo passo di Luca esprime sia il conflitto familiare e generazionale comportato dalla scelta di seguire la predicazione di Gesù che la possibilità di un discepolato femminile.29 Nel Vangelo di Matteo, scritto probabilmente nell’ultimo quarto del I secolo d.C., si parla solo del discepolo maschio: “i nemici dell'uomo - ἂνθρωπος - saranno quelli della sua casa” (Mt 10, 36), variazione che potrebbe riflettere il ruolo sempre meno attivo delle donne all’interno di comunità ormai gerarchicamente istituzionalizzate.30 Come Destro e Pesce concludono: Questi processi sono determinati dal fatto che le norme del vivere quotidiano su cui si regge sia l’oikos sia l’assemblea pubblica vengono ad avere un peso determinante. Cessata la presenza trasformatrice di Gesù nell’oikos, si consolida una forma sociale prima inesistente, l’ekklesia, che non può non assumere alcuni comportamenti “istituzionali” della cultura del tempo (riunioni formalizzate, tempi stabiliti, compiti e riti, direttive ed apparati cultuali, gerarchie sociali, onore pubblico maschile). L’oikos, non essendo più esposto agli effetti sconvolgenti di una leadership interstiziale, ripristina le eterne logiche della domesticità che rimettono in funzione la differenza gerarchica.31 Tra le figure femminili più importanti al seguito di Gesù c’era Maria di Magdala o Maddalena.32 Di lei parlano tutti e quattro gli evangelisti e diversi scritti apocrifi, faceva parte del gruppo itinerante che accompagna Gesù dall’inizio della sua missione, era presente alla crocifissione e alla sepoltura di Gesù il quale, una 28 Lc. 12, 51-53. 29 Destro - Pesce, 2011, p. 5. 30 Ibid. 31 Destro - Pesce, 2011, p. 13-14. 32 Valerio, 2018, p. 40. 42 volta risorto, la designa come prima annunciatrice della Pasqua del Signore.33 Nelle comunità gnostiche e montaniste, poi, la sua figura acquisì centrale importanza: nel Vangelo secondo Maria, nella Pistis Sophia e nel Vangelo di Filippo Maria Maddalena è il simbolo della conoscenza superiore, la gnosis.34 Altre discepole erano Maria e Marta di Betania, due sorelle che, pur non appartenendo al gruppo itinerante, aveva un posto di rilievo tra le seguaci: Luca ricorda Maria come discepola alla scuola di Gesù mentre Marta come donna della diaconia.35 Sicuramente da inquadrare e riportare alle norme socio-culturali del tempo, le donne continuano comunque a rivestire un ruolo importante nella diffusione del movimento cristiano. Oltre ai casi straordinari e eclatanti delle martiri, ci sono anche molte altre donne che operano con un’azione più terrena, diffusa e sottile, come testimonia Clemente Alessandrino: Πέτρος μὲν γὰρ καὶ Φίλιππος ἐπαιδοποιήσαντο, Φίλιππος δὲ καὶ τὰς θυγατέρας ἀνδράσιν ἐξέδωκεν, καὶ ὅ γε Παῦλος οὐκ ὀκνεῖ ἔν τινι ἐπιστολῇ τὴν αὑτοῦ προσαγορεύειν σύζυγον, ἣν οὐ περιεκόμιζεν διὰ 3.6.53.2 τὸ τῆς ὑπηρεσίας εὐσταλές. λέγει οὖν ἔν τινι ἐπιστολῇ· οὐκ ἔχομεν ἐξουσίαν ἀδελφὴν γυναῖκα περιάγειν, ὡς καὶ οἱ λοιποὶ ἀπόστολοι; ἀλλ' οὗτοι μὲν οἰκείως τῇ διακονίᾳ, ἀπερισπάστως τῷ κηρύγματι προσανέχοντες, οὐχ ὡς γαμετάς, ἀλλ' ὡς ἀδελφὰς περιῆγον τὰς γυναῖκας συνδιακόνους ἐσομένας πρὸς τὰς οἰκουροὺς γυναῖκας, δι' ὧν καὶ εἰς τὴν γυναικωνῖτιν ἀδιαβλήτως παρεισεδύετο ἡ τοῦ κυρίου διδασκαλία. Pietro e Filippo ebbero figli, Filippo anzi diede a marito le figlie. Paolo poi non si perita di nominare in una epistola la propria compagna, che non portava con sé per essere a suo agio nel suo ministero. E dice in un'altra lettera: “Non abbiamo noi il diritto di condurre con noi una donna, sorella [di fede], come gli altri apostoli?”. Ma questi, come si conveniva al loro ministero, attendendo alla predicazione “senza distrazioni”, portavano con sé le donne non come spose, ma come sorelle, che avrebbero dovuto aiutare nei servigi le 33 Mc. 15, 40 e ss. 34 Valerio, 2018, p. 40. 35 Lc. 10, 38-42. 43 donne di casa: attraverso di esse la dottrina del Signore poteva penetrare anche nel gineceo, senza dar luogo a calunnie.36 In età apostolica sono attestate donne profetesse con ruoli di preghiera e catechesi.37 Rimanendo con Paolo di Tarso, importante e discussa per la comprensione del ruolo delle donne nel primo cristianesimo è la Prima Lettera ai Corinzi: θέλω δὲ ὑμᾶς εἰδέναι ὅτι παντὸς ἀνδρὸς ἡ κεφαλὴ ὁ Χριστός ἐστιν, κεφαλὴ δὲ γυναικὸς ὁ ἀνήρ, κεφαλὴ δὲ τοῦ Χριστοῦ ὁ θεός. πᾶς ἀνὴρ προσευχόμενος ἢ προφητεύων κατὰ κεφαλῆς ἔχων καταισχύνει τὴν κεφαλὴν αὐτοῦ· πᾶσα δὲ γυνὴ προσευχομένη ἢ προφητεύουσα ἀκατακαλύπτῳ τῇ κεφαλῇ καταισχύνει τὴν κεφαλὴν αὐτῆς, ἓν γάρ ἐστιν καὶ τὸ αὐτὸ τῇ ἐξυρημένῃ. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, manca di riguardo al proprio capo perché è come se fosse rasata.38 In questo passo si ammette la possibilità per le donne di profetizzare e pregare a patto che abbiano il capo coperto, in una posizione di subordinazione all’elemento maschile in accordo con i costumi e la mentalità del tempo. Ma dopo si precisa: πλὴν οὔτε ⸂γυνὴ χωρὶς ἀνδρὸς οὔτε ἀνὴρ χωρὶς γυναικὸς⸃ ἐν κυρίῳ· ὥσπερ γὰρ ἡ γυνὴ ἐκ τοῦ ἀνδρός, οὕτως καὶ ὁ ἀνὴρ διὰ τῆς γυναικός· τὰ δὲ πάντα ἐκ τοῦ θεοῦ. Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna. Come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio.39 36 Clem. Al. Strom. 3, 6, 53, 1-4. 37 Aulisa, 2000, p. 229. 38 1Cor. 11, 3-5. 391Cor. 11, 11-12. 44 Ancora, successivamente si legge: Αἱ γυναῖκες ἐν ταῖς ἐκκλησίαις σιγάτωσαν, οὐ γὰρ ἐπιτρέπεται αὐταῖς λαλεῖν· ἀλλὰ ὑποτασσέσθωσαν, καθὼς καὶ ὁ νόμος λέγει. εἰ δέ τι μαθεῖν θέλουσιν, ἐν οἴκῳ τοὺς ἰδίους ἄνδρας ἐπερωτάτωσαν, αἰσχρὸν γάρ ἐστιν γυναικὶ λαλεῖν ἐν ἐκκλησίᾳ. Le donne nelle assemblee tacciano, perché non loro permesso di parlare, stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea.40 Si è pensato che quest’ultima parte, a prima vista in contraddizione con la precedente accettazione della profezia femminile da parte di Paolo, fosse un’aggiunta posteriore non paolina.41 In ogni caso il passo potrebbe testimoniare “un’evoluzione del primo cristianesimo legata all’opposizione ekklesia-oikos”42: nell’assemblea viene vietato alle donne di intervenire non perché considerate indegne, lo stesso Paolo non discute la liceità della profezia femminile, ma per una questione di onorabilità pubblica. Dopo la particolare e circoscritta esperienza legata alla predicazione di Gesù gli antichi modelli di subordinazione uomo-donna sia nello spazio pubblico delle comunità che in quello privato delle famiglie tornano in vigore, i conflitti familiari e generazionali causati dal discepolato di cui parla Luca si spengono. Da “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna”, scrive ancora Paolo nella Lettera ai Galati43. Con il quadro che sin qui si è cercato di tracciare emerge una situazione sicuramente complessa e tesa tra poli in apparenza opposti. 40 1Cor. 14, 34-35. 41 Destro - Pesce, 2001, p. 11. 42 Ibid. 43 Gal. 3, 28. è 45 Il movimento cristiano nato all’interno del giudaismo è sicuramente promotore di un messaggio universale, indirizzato all’essere umano in generale indipendentemente dal sesso biologico, e al suo interno ci si può imbattere sin dalle origini in una miriade di straordinarie figure femminili sia mitiche che storiche o a metà tra le due categorie, come le martiri. Da non trascurare è anche il fatto che quello che sappiamo su di loro è tramandato da un punto di vista maschile e non sono loro stesse a raccontarcelo, se non in qualche fortunato caso come la Passione di Perpetua e Felicita. Martiri, sante, profetesse e eroine bibliche sono sicuramente figure fuori dal comune tanto che, talvolta, ciò che si narra di loro si colloca a metà tra la realtà e il mito, ma anche lettere private e fonti papiracee restituiscono un quadro meno stereotipato e unidimensionale della donna cristiana dei primi secoli, certamente più vivace di quello che traspare dagli scritti dei Padri della Chiesa, spesso più normativi che descrittivi e basati su motivi topici.44 Nei primi secoli del movimento cristiano il coinvolgimento e l’influenza della componente femminile sono stati fenomeni peculiari e importanti, anche a livello quantitativo. Molti scritti della prima letteratura cristiana si rivolgono sia ai fratelli che alle sorelle: le donne sono partecipi della cultura.45 Ciò non è totalmente una novità nel panorama antico, nel mondo romano l’educazione era aperta anche alle donne che istruivano i figli almeno fino ai sette anni d’età. Ma la donna colta suscitava sempre un certo sospetto e era tenuta a non dar sfoggio della propria conoscenza fuori dall’ambito privato.46 Invece in ambito cristiano Taziano (120-180 d.C. ca.) si vanta della presenza di “donne che filosofeggiano” e di “donne sapienti”.47 44 Mazzucco, 1989, pp. 30-31. 45 Ivi, pp. 6-10. 46 Novembri, 2005, p. 188. 47 Ivi, p. 193. 46 Con queste considerazioni siamo già oltre la prima fase del movimento cristiano, e come nota Novembri le cose, anche in relazione al fenomeno del martirio, iniziano a mutare: Proprio allora, in parallelo con questo processo di slittamento semantico e di creazione del nuovo paradigma di santità, connotata come vita di perfezione, di ascesi, di preghiera e di continenza, fu elaborato anche un nuovo progetto pedagogico, specificamente rivolto alle donne, da parte dei Padri. Dopo la fine delle persecuzioni, chiusa la fase del “cristianesimo eroico”, andarono creandosi nuovi modelli di santità, diversi da quello del martire, ma per certi aspetti assimilabili ad esso: la vergine e il monaco conducevano una vita di continua lotta contro la tentazione e il peccato, un martirio quotidiano e incruento, ma non per questo meno arduo da affrontare. Fu allora che per la prima volta si creò un progetto educativo rivolto in maniera mirata alle donne: una vera e propria pedagogia della verginità.48 In conclusione, riguardo alla partecipazione femminile al primo movimento cristiano, possiamo ipotizzare che ci sia stato un passaggio da una fase iniziale più libera e multiforme a successive restrizioni e regole più rigide.49 Ciò potrebbe essere confermato dalla presenza delle chiese domestiche, diffusissime alle origini e spesso gestite da donne, e dalle molte donne menzionate da Paolo che dovevano essere impegnate in attività missionarie e evangelizzatrici simili a quelle dello stesso apostolo.50 48 Novembri, 2005, p. 193. 49 Mazzucco, 1989, p. 71. 50 Ivi, pp. 71-72. 47 2.3. Ruoli e possibilità 2.3.1. Verginità e vedovanza Sebbene la verginità, insieme alla vedovanza, fosse ritenuta di grande prestigio già nelle prime comunità cristiane, è solo nel IV secolo che si arriva alla sistematica elaborazione di norme che regolano l’ideale ascetico femminile.51 Non a caso nelle passiones romane, il cui nucleo più antico risale probabilmente al V secolo, la castità delle protagoniste è celebrata e enfatizzata al pari della fermezza nell’affrontare il martirio. L’ideale del sine cruore martyrium della vita ascetica si sviluppò, infatti, con la fine delle persecuzioni: quando c’era la morte cruenta, il modo più estremo e impattante di dare testimonianza della propria fede, la verginità delle martiri non veniva messa così in risalto.52 Esemplare è in questo caso la Passio Perpetuae et Felicitatis, risalente al 203 d.C. ca., dove la martire Perpetua ha un figlio e Felicita dà alla luce un neonato poco prima di venire uccisa nell’arena. Nella Storia Ecclesiastica di Eusebio (IV secolo) martirio e castità appaiono strettamente legati. L’autore equipara addirittura le martiri per la fede alle donne che, pur di difendere la loro verginità, si sono fatte uccidere53: αἱ αὖ γυναῖκες οὐχ ἧττον τῶν ἀνδρῶν ὑπὸ τῆς τοῦ θείου λόγου διδασκαλίας ἠρρενωμέν αι, αἳ μὲν τοὺς αὐτοὺς τοῖς ἀνδράσιν ἀγῶνας ὑποστᾶσαι ἴσα τῆς ἀρετῆς ἀπηνέγκαντο βρα βεῖα, αἳ δὲ ἐπὶ φθορὰν ἑλκόμεναι θᾶττον τὴν ψυχὴν θανάτῳ ἢ τὸ σῶμα τῇ φθορᾷ παραδε δώκασιν. Anche le donne, spinte dall'insegnamento della parola di Dio, non furono da meno degli uomini. Alcune furono so toposte alle medesime lotte degli uomini e riportarono identici premi per il loro valore; altre, trascinate alla prostituzione, diedero piuttosto l'anima alla morte che il corpo alla corruzione.54 51 Consolino, 1984, p. 84. 52 Ivi, p. 85. 53 Noce, 2015, p. 90. 54 Eus. Hist. eccl. 8, 14, 14. t­ δ̓ 48 Nella sua opera Eusebio non si sofferma a descrivere il ruolo delle donne nella chiesa (a eccezione delle eretiche, ma nel loro caso i dettagli sono funzionali a fornire materiale di critica), la sua attenzione è catalizzata da donne dalle caratteristiche ascetiche, martiri incluse.55 Queste figure in realtà trascendono la categoria del femminile, nella mentalità antica un gradino più in basso rispetto a quella maschile.56 Carla Noce sottolinea come esse, dando prova di estremo coraggio, elevino il loro status e diventino pari all’uomo: le martiri alle quali Eusebio dedica maggior spazio sono coloro che, per fragilità del corpo e umiltà di condizione sociale, gli permettono di sviluppare a dismisura il paradosso tra esteriorità e interiorità, debolezza corporea e forza dell’animo, femminilità fisica e maschilità spirituale.57 Oltre all’idea di castità raccontata dalle fonti e in relazione al martirio è comunque importate notare come questa condizione, come scelta di vita o in seguito a vedovanza, apra effettivamente alle donne cristiane nuove possibilità di orientare la propria esistenza, innovative sia rispetto al giudaismo che al mondo classico. Già Paolo nella Prima lettera a Timoteo fa alcune osservazioni sulle vedove di Efeso: Χήρας τίμα τὰς ὄντως χήρας. εἰ δέ τις χήρα τέκνα ἢ ἔκγονα ἔχει, μανθανέτωσαν πρῶτον τὸν ἴδιον οἶκον εὐσεβεῖν καὶ ἀμοιβὰς ἀποδιδόναι τοῖς προγόνοις, τοῦτο γάρ ἐστιν ἀπόδεκτον ἐνώπιον τοῦ θεοῦ. ἡ δὲ ὄντως χήρα καὶ μεμονωμένη ἤλπικεν ἐπὶ θεὸν καὶ προσμένει ταῖς δεήσεσιν καὶ ταῖς προσευχαῖς νυκτὸς καὶ ἡμέρας […] Χήρα καταλεγέσθω μὴ ἔλαττον ἐτῶν ἑξήκοντα γεγονυῖα, ἑνὸς ἀνδρὸς γυνή, ἐν ἔργοις καλοῖς μαρτυρουμένη, εἰ ἐτεκνοτρόφησεν, εἰ ἐξενοδόχησεν, εἰ ἁγίων πόδας ἔνιψεν, εἰ θλιβομένοις ἐπήρκεσεν, εἰ παντὶ ἔργῳ ἀγαθῷ ἐπηκολούθησεν. νεωτέρας δὲ χήρας παραιτοῦ· ὅταν γὰρ καταστρηνιάσωσιν τοῦ Χριστοῦ, γαμεῖν θέλουσιν, ἔχουσαι κρίμα ὅτι τὴν πρώτην πίστιν ἠθέτησαν. 55 Noce, 2015, p. 105. 56 Parks - Sheinfeld - Warren, 2022, pp. 10-12. 57 Noce, 2015, p. 106. 49 Onora le vedove, quelle che sono veramente vedove; ma se una vedova ha figli o nipoti, essi imparino prima ad adempiere i loro doveri verso quelli della propria famiglia e a contraccambiare i loro genitori: questa infatti è cosa gradita a Dio. Colei che è veramente vedova ed è rimasta sola, ha messo la speranza in Dio e si consacra all'orazione e alla preghiera giorno e notte […] Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant'anni, sia moglie di un solo uomo, sia conosciuta per le sue opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l'ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene. Le vedove più giovani non accettarle, perché, quando vogliono sposarsi di nuovo, abbandonano Cristo e si attirano così un giudizio di condanna, perché infedeli al loro primo impegno. Tra II e III secolo le vedove sono all’interno della comunità ecclesiale una categoria riconosciuta in maniera ufficiale, l’Ordo viduarum: elette dal vescovo, avevano dei seggi riservati durante la celebrazione eucaristica e vivevano probabilmente in comunità a carico della chiesa. Esse erano tenute alla preghiera e al digiuno, le loro orazioni valevano come strumento di intercessione e dovevano svolgere anche funzioni di insegnamento e compiti caritativi, oltre a essere un punto di riferimento per le altre cristiane in cerca di aiuto e consiglio.58 Zorzi precisa che nel I millennio ordinatio/ordinare significava incaricare qualcuno per un servizio o una funzione nella comunità - cioè entrare in una categoria all’interno del popolo di Dio, appunto gli ordines - e spesso è sinonimo di consecrare, benedire: ciò non coincide con l’odierno concetto teologico di ordinazione che implica il potere del conferimento dei sacramenti.59 Le vergini avevano un ideale di vita molto simile a quella delle vedove (sembra che alcune fossero addirittura associate a loro60), perlopiù rimanevano nella famiglie di origine ma si hanno anche testimonianze di vita comunitaria risalenti a fine III secolo61 58 Mazzucco, 1989, pp. 51 e ss. 59 Zorzi, 2012, p. 34. 60 Tert. De virg. vel. 9, 2-3. 61 Mazzucco, 1989, pp. 51 e ss. 50 La verginità e l'ascetismo, sebbene probabilmente non istituzionalizzati completamente se non molto tempo dopo, facevano parte della pratica cristiana fin dalle origini. L'evidenza dell'ascetismo femminile diventa un po' meno frammentaria con l'ascesa del monachesimo, le cui origini sono tradizionalmente collocate nel 307 con la fondazione da parte di Pacomio di una comunità cenobitica di monaci in Egitto.62 La tradizione63 conserva la storia della sorella di Pacomio, Maria, che si recò a visitare il fratello nel suo monastero nel deserto. Egli si rifiutò di vederla ma si offrì di costruirle una capanna all'esterno in modo che potesse seguire la vita ascetica. Maria divenne così il capo di uno dei due monasteri femminili che rimasero, insieme a nove monasteri maschili, dopo la morte di Pacomio: le monache di questi primi conventi seguivano una rigida forma di ascetismo che differiva da quella dei monaci pacomiani solo per l'abbigliamento.64 Prima della formazione di tali comunità, come già accennato, era comune che le vergini continuassero a vivere con i genitori o in piccoli gruppi non totalmente isolati dal mondo. Infine, c’erano anche le virgines subintroductae, che vivevano insieme a uomini anch’essi votati alla castità: la pratica venne messa in discussione e condannata sia dai Padri della Chiesa che dal Concilio di Antiochia del 268.65 62 Castelli, 1986, p. 78. 63 Pall. Hist. laus. 33. 64 Castelli, 1986, p. 78-79. 65 Ivi, p. 80. 51 2.3.2. La questione del diaconato femminile Ma nelle comunità cristiane più antiche qual era l’effettivo grado di partecipazione delle donne ai ministeri ecclesiali? Nell’epistola di Plinio il Giovane a Traiano del 109 d.C., la prima fonte latina in cui sono nominati i cristiani, compaiono due “diaconesse”66: Quibus peractis morem sibi discedendi fuisse rursusque coeundi ad capiendum cibum, promiscuumque tamen et innoxium: quod ipsum facere desisse post edictum meum, quo secundum mandata tua hetaerias esse vetueram. Quo magis necessarium credidi, ex duabus ancillis, quae ministrae dicebantur, quid esset veri et per tormenta quaerere. Sed nihil aliud inveni quam superstitionem pravam, immodicam. Dopo aver compiuto tali cerimonie, abitualmente se ne andavano per poi riunirsi di nuovo per prendere del cibo, ordinario, comunque, e innocente: una pratica a ogni modo abbandonata dopo il mio editto con il quale, secondo le tue istruzioni, avevo proibito le associazioni politiche. Tutto questo mi indusse a ritenere ancora più necessario di sottoporre a interrogatorio, anche mediante la tortura, due schiave, chiamate diaconesse, per scoprire che vi fosse di vero: non sono riuscito a trovare altro che una perversa e sfrenata superstizione.67 Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani scrive: Συνίστημι δὲ ὑμῖν Φοίβην τὴν ἀδελφὴν ἡμῶν, οὖσαν καὶ διάκονον τῆς ἐκκλησίας τῆς ἐν Κεγχρεαῖς, ἵνα αὐτὴν προσδέξησθε⸃ ἐν κυρίῳ ἀξίως τῶν ἁγίων, καὶ παραστῆτε αὐτῇ ἐν ᾧ ἂν ὑμῶν χρῄζῃ πράγματι, καὶ γὰρ αὐτὴ προστάτις πολλῶν ἐγενήθη καὶ ἐμοῦ αὐτοῦ. Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio della Chiesa di Cencre: accoglietela nel Signore, come si addice ai santi, e assistetela in qualunque cosa possa avere bisogno di voi; anch’essa infatti infatti ha protetto molti, e anche me stesso.68 Nel testo latino c’è il termine ministrae, verosimilmente traduzione del greco διάκονος, vd. Sorci, 1992, p. 332. 66 67 Plin. Ep. 10, 96, 7-8. La sottolineatura è mia. 68 Rm. 16, 1-2. Anche qui la sottolineatura è mia. 52 La perifrasi “che è al servizio” nell’edizione della Bibbia CEI 200869 traduce il sostantivo greco διάκονος, invariabile al maschile e al femminile. Per chiarire questa definizione bisogna tenere conto che fino al III secolo non esisteva una vera e propria teologia sacramentale: il diaconato femminile delle origini non era un ministero propriamente istituzionalizzato ma si può supporre che il termine comprenda qualcosa di più che un generico aiuto, doveva trattarsi di un ruolo definito e riconosciuto all’interno della comunità.70 Le diaconesse dovevano assistere le donne durante il battesimo (infatti si ipotizza che l’introduzione dell’uso di battezzare i neonati invece che gli adulti indebolì la loro posizione) e impartire alle neofite i fondamenti della fede.71 Rispetto al mondo ebraico, dove la partecipazione delle donne avveniva sicuramente in ambiti più circoscritti, si sottolinea spesso la novità della partecipazione femminile nel primo movimento cristiano: è altresì attestato che le donne ebree svolgevano nelle sinagoghe delle mansioni pratiche come la preparazione del pane per lo Shabbat e l’accensione delle candele per le funzioni, intonavano poi i lamenti funebri e si occupavano delle abluzioni dei defunti.72 Inoltre, sono state rinvenute delle epigrafi giudaiche greche e latine che vedono associati a personaggi femminili importanti titoli di ambito sinagogale. Bernadette Brooten nel lavoro del 1982 Women Leaders in the Ancient Synagogue ha studiato 19 epigrafi dal 27 a.C. ai primi del VI secolo d.C. che contengono titoli come archisynagōgissa, presbyterissa, mētēr synagōgēs, hiereia/hierissa. In passato si pensava che questi titoli non si riferissero effettivamente a funzioni svolte dalle donne a cui le iscrizioni fanno riferimento ma che fossero solo onorifici mutati, per esempio dai ruoli ricoperti dai loro mariti.73 Da notare che anche Girolamo rende il passaggio con la perifrasi quae est in ministerio Ecclesiae. 69 70 Martino Piccolino, 2010, p. 615. 71 Ivi, p. 620. 72 Martino Piccolino, p. 616. 73 Brooten, 1982, p. 1. 53 Dallo studio epigrafico Brooten è giunta alla conclusione che The view that the titles in question were honorific is based less on evidence from the inscriptions themselves or from other ancient sources than on current presuppositions concerning the nature of ancient Judaism. Seen in the larger context of women's participation in the life of the ancient synagogue there is no reason nor to take the titles as functional nor to assume that women heads or elders of synagogues had radically different functions than men heads or elders of synagogues. Of the functions outlined for each title, there are none which women could not have carried out. If women donated money and even large sums of it, surely they were capable of collecting and administering synagogue funds, or is it nor is it impossible to imagine Jewish women sitting on councils of elders or teaching or arranging for the religious service. Even women carrying out judicial functions is not impossible in a tradition which reveres one of its women prophets (Deborah) as a judge. This is not to say that the women of these inscriptions night not have been exceptions. Indeed they probably were. It is an exception today for women to hold positions of religious leadership. The point is not whether these women were exceptions or not, nor even whether they faced opposition or not - today’s women rabbis, ministers and priests certainly do - but whether their titles were merely titles or whether they implied actual functions just as for the men.74 Per fare un breve accenno anche al mondo “pagano”, si può notare come in età imperiale si diffusero prima nelle provincie poi anche a Roma culti di derivazione orientale specificamente femminili, cioè dove i sacerdozi e la partecipazione ai riti erano riservati alle sole donne.75 Notizie certe di un diaconato femminile organizzato si hanno in ogni caso solo per l’Oriente grazie alla Didascalia Apostolorum (DA), problematico scritto ascrivibile alla prima metà del III secolo d.C.76 74 Brooten, 1982, p. 149. 75 Martino Piccolino, 2010, p. 617. 76 Mazzucco, 1989, p. 85. 54 L’opera anonima di genere canonico-liturgico raccoglie indicazioni indirizzate a una comunità formata da uomini, donne, bambini, vescovi, diaconi, diaconesse, laici, vedove, orfani, forestieri e contiene norme in difesa dell'integrità di fede e della comunità, con riguardo all'etica sociale e morale, alla dottrina e alla pastorale.77 Il testo è stato composto in greco, ma a parte un breve frammento sulle vedove nel capitolo 15, l’originale non è pervenuto. Integralmente l’opera è giunta solo in siriaco e c’è anche una frammentaria traduzione latina, che attualmente rappresenta il testimone più antico esistente.78 Delle diaconesse la Didascalia parla nel capitolo 16, che riporta consigli al vescovo su come scegliere i suoi aiutanti, diaconi e diaconesse, e i loro rispettivi compiti. Essi devono provenire dal popolo: un uomo per essere d'aiuto nell’amministrazione, una donna per il ministero delle donne. Sono inoltre elencate quattro ragioni per la presenza di una diaconessa: perché ci sono case dove non è opportuno che entri un uomo durante il battesimo, quando una donna si immerge nell’acqua, per l'unzione dell’olio, quando una donna esce dall’acqua.79 Si può notare che l’utilità della figura diaconessa fosse strettamente legata anche a motivi di costume sociale come, per esempio, evitare che un uomo entrasse nel gineceo.80 Anche gli osservatori e i critici pagani rilevano come dato negativo la presenza di donne tra i convertiti al cristianesimo. Celso, vissuto nel II secolo d.C., nel Discorso veritiero attacca Maria Maddalena, la profetessa cristiana per eccellenza, definendola un’invasata81 e dice che abboccano alla propaganda cristiana donne ignoranti82 che ricercano il senso dell’esistenza nelle botteghe degli artigiani.83 77 Ragucci, 2013, p. 2. 78 Ibid. DA, 16, 3.12, 1-4. Per il testo della DA si fa rifermento a quello riportato da Ragucci, 2013, pp. 196-197. 79 80 Mazzucco, 1989, p. 87. 81 Or. Cel. 2, 55. 82 Or. Cel. 3, 55. 83 Rinaldi, 1995, pp. 100-101. 55 Gli editti di Licinio promulgati dopo il 320 d.C. , riportati da Eusebio84, vietarono alle donne di riunirsi per il culto insieme agli uomini e, per quanto riguarda l’insegnamento, le classi miste con maschi e femmine. Probabilmente l’imperatore non ignorava l’importanza amministrativa delle donne nelle comunità cristiane, in modo particolare di quelle facoltose: il loro sostegno finanziario era infatti indispensabile per sostenere le iniziative dei vescovi.85 84 Eus. V. Const. 1, 53, 1. 85 Rinaldi 1995, p. 103. 56 2.3.3. Profetesse e martiri Dopo aver analizzato la dimensione della verginità e il problema del diaconato femminile nel cristianesimo delle origini, giungiamo alle profetesse e martiri, tenendo conto con Aulisa che la dimensione profetica non costituisce un elemento accessorio, ma un aspetto intrinseco al martirio: essa è concessa alla martire direttamente da Dio, viene da Dio e rende manifesto il volere di Dio.86 Agli inizi del movimento cristiano è infatti attestata la morte violenta dei profeti, in linea con la concezione del giudaismo più antico, secondo la quale i profeti erano destinati a rimanere inascoltati e a essere uccisi87: καὶ ἤλλαξαν καὶ ἀπέστησαν ἀπὸ σοῦ καὶ ἔρριψαν τὸν νόμον σου ὀπίσω σώματος αὐτῶν καὶ τοὺς προφήτας σου ἀπέκτειναν οἳ διεμαρτύραντο ἐν αὐτοῖς ἐπιστρέψαι αὐτοὺς πρὸς σέ καὶ ἐποίησαν παροργισμοὺς μεγάλους. Ma poi [gli Israeliti] hanno disobbedito, si sono ribellati contro di te, si sono gettati la tua legge dietro le spalle, hanno ucciso i tuoi profeti, che li ammonivano per farli tornare a te, e ti hanno insultato gravemente.88 I membri delle prime comunità cristiane associavano la morte violenta degli antichi profeti con quella di Gesù che perciò veniva implicitamente considerato anche l’ultimo dei grandi profeti.89 Come nota Elena Giannarelli se è “Cristo profeta, il martire incarna l’imitazione di Cristo (imitatio Christi) e quindi ha carisma profetico”.90 86 Aulisa, 2000, p. 249. 87 Ivi, p. 233. 88 2Esdr. 16, 29 per il testo greco e Ne. 9, 26 per la traduzione. 89 Aulisa, 2000, p. 233. 90 Giannarelli, 1995, p. 88 57 Nelle zone in cui il cristianesimo fu più influenzato dal giudaismo si pensava che i profeti cristiani dovessero andare incontro a un destino di sofferenza, pensiero che traspare da passi neotestamentari come Μακάριοί ἐστε ὅταν ὀνειδίσωσιν ὑμᾶς καὶ διώξωσιν καὶ εἴπωσιν πᾶν ⸀πονηρὸν καθ’ ὑμῶν ψευδόμενοι ἕνεκεν ἐμοῦ. Χαίρετε καὶ ἀγαλλιᾶσθε, ὅτι ὁ μισθὸς ὑμῶν πολὺς ἐν τοῖς οὐρανοῖς· οὕτως γὰρ ἐδίωξαν τοὺς προφήτας τοὺς πρὸ ὑμῶν. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.91 Nel Nuovo Testamento troviamo inoltre la profetessa Anna92, nella descrizione della quale la profezia femminile è per la prima volta collegata all’astinenza sessuale93, e negli Atti degli apostoli le quattro figlie profetesse dell’evangelista Filippo.94 Luca descrive Anna come una vedova che dedica la propria esistenza alla preghiera non allontanandosi mai dal Tempio: l’evangelista non riporta, tuttavia, oracoli o parole che possano dare un’idea del suo stato di ispirazione.95 In generale, i martiri si distinguono per prerogative profetiche in particolare a partire dalla seconda metà del II secolo d.C.96 Nel Martirio di Carpo di III secolo d.C. è riportata la visione della gloria divina di Agatonice, avuta dalla donna mentre assiste all’esecuzione di Carpo.97 Il redattore della Passio Perpetuae et Felicitatis del 203 d.C. ca. - testo di centrale importanza del quale si parlerà più diffusamente nel prossimo capitolo, che contiene un nucleo molto probabilmente scritto da Perpetua stessa - ritiene la 91 Mt. 5, 11-12. 92 Lc. 2, 36-38. 93 Aulisa, 2000, pp. 230-231. 94 At. 21, 9. 95 Valerio, 2007, p. 170. 96 Giannarelli, 1995, p. 88. 97 Aulisa, 2000, p. 236. 58 donna degna delle visioni proprio in vista della sua futura morte in nome della fede.98 Le visioni di Perpetua, oltre che prefigurare la sua stessa morte, sono incentrate sui tre sacramenti dell’iniziazione cristiana (l’eucarestia, il battesimo e l’unzione postbattesimale), che simboleggiano le tappe fondamentali sulla via della perfezione della fede.99 La martire si dimostra anche consapevole di aver avuto delle rivelazioni e le auto-interpreta, conscia che la loro importanza non è solo personale ma collettiva, per tutta la comunità.100 Effettivamente il redattore le considera prove dell’azione delle Spirito Santo e dell’adempimento della promessa di Gioele 2, 28-29, seconda la quale Dio verso la fine dei tempi avrebbe concesso più largamente il dono della profezia ai suoi figli e alle sue figlie.101 Altri esempi di martiri-profetesse possono essere Potamiena, che annuncia a un soldato romano la conversione e il martirio scaturiti dal suo stesso esempio102, e Marciana di Cesarea di Mauritania, che prevede l’incendio della casa dell’archisynagogus Budario, avendo i giudei istigato la sua condanna.103 In relazione alle “eroine” cristiane, martiri e sante, c’è infine sempre da considerare lo stacco tra il loro effettivo vissuto e la presentazione che ne fanno i Padri, così come l’aspetto propagandistico molto vistoso e pressante rispetto al movimento ascetico in generale.104 98 Aulisa, 2000, p. 236. 99 Mazzucco, 1989, p. 132. 100 Ivi, p. 133. 101 Aulisa, 2000, p. 236. 102 Eus., Hist. eccl. 6, 5, 3-7. 103 Aulisa, 2000, p. 237. 104 Ivi, p. 374-375. 59 2.3.4. Pellegrine in Terra Santa Infine, quando dal IV secolo con la svolta costantiniana i pellegrinaggi in Terra Santa ebbero un grande impulso105, anche molte donne ne presero parte. Eusebio di Cesarea nella Vita Constantini106 ricorda il primo viaggio ad loca sancta di una donna, Elena, la madre di Costantino. Elena visitò e rese la dovuta venerazione ai luoghi legati alla vita di Cristo e si dedicò alla ricerca di reliquie: il suo pellegrinaggio è legato anche alle molteplici tradizioni relative alla Inventio Crucis.107 Viaggi di devozione in Terra Santa intrapresero insieme a Girolamo diverse le donne a lui legate, come Paola, che aveva raggiunto l’Oriente con la figlia Eustochio e altre vergini per conoscere la Palestina e visitare agli anacoreti egiziani. La donna aveva lasciato Roma, la sua posizione sociale elevata e i figli ancora in tenera età per intraprendere il viaggio.108 Interessante è anche la vicenda di Melania Seniore, nipote di Antonio Marcellino, console nel 341 d.C., che a ventidue anni, rimasta vedova e morti due dei suoi tre figli, decise di dedicarsi alla preghiera e alla penitenza. Nel 372 partì da Roma e si recò a Alessandria, visitò i padri del deserto e si trasferì in Palestina, dove fondò un monastero sul Monte degli Ulivi che ospitava cinquanta vergini.109 La nipote di Melania Seniore, Melania Iuniore, della quale abbiamo informazioni grazie a una Vita datata al V secolo attribuita al suo discepolo Geronzio110, dopo aver trascorso un periodo di sette anni in Africa con la madre Albina, mossa dal desiderio di visitare i luoghi santi, raggiunse Gerusalemme via mare, passando per Alessandria per svolgere un pellegrinaggio in Egitto e visitare i monaci di Nitria.111 105 Giannarelli, 2000, p. 21. 106 Eus. V. Const. 3, 42-46 107 Aulisa, 2020, p. 12. 108 Ivi, p. 99. 109 Giardina, 1994, p. 259. 110 Il testo è pervenuto in una redazione greca e una latina. 111 Aulisa, 2020, p. 99. 60 Nella Vita si dice che essi la accolsero al pari di un uomo112, secondo la concezione a cui si è accennato più volte per la descrizione delle martiri per cui la perfezione spirituale veniva associata a un ideale di mascolinità. Nel 1884 Gamurrini rinvenne il Codex Aretinus VI.3 contenente un Diario di viaggio in Terra Santa redatto da una pellegrina di IV secolo, in seguito identificata con una domina proveniente dall’Occidente di nome Egeria, indirizzato a altre donne.113 L’autrice doveva essere di status sociale elevato, in quanto disponeva di una scorta di soldati imperiali al seguito e le autorità politiche dimostravano riguardi eccezionali nei suoi confronti.114 Lo scritto costituisce una vera e propria epistola indirizzata a delle “sorelle” lontane per raccontare le impressioni del pellegrinaggio una volta giunta a Costantinopoli115, tappa finale dell’itinerario che dev’essersi svolto, basandosi su elementi interni, tra il 381 e il 383 d.C.116 L’opera costituisce un prezioso unicum in quanto degli altri pellegrinaggi femminili tardoantichi si dispone solo di testimonianze di autori uomini.117 112 Vita Melan. 39. 113 Giannarelli, 2000, pp. 28-32. 114 Ivi, p. 40. 115 Diario, 23, 10. 116 Giannarelli, 2000, pp. 44-46. 117 Ivi, p. 30. 61 2.4. Femminile e pensatori cristiani: alcune considerazioni Per Mattioli il discorso dei pensatori cristiani sulle donne contiene una sorta di paradosso poiché da un lato vi si intravede la portata del cristianesimo che, almeno sul piano spirituale, può portare a considerare la parità fra i sessi, ma dall’altro porta avanti la concezione dell’infirmitas femminile tipica della mentalità antica.118 Una delle questioni più dibattute è quella dell’imago Dei che dipende dall’esegesi del racconto della creazione dell’essere umano (Gen. 1-3), dall’interpretazione del quale si ammette o meno che la donna possa essere, come l’uomo, immagine di Dio.119 Non bisogna nemmeno dimenticare che il pensiero aristotelico sulla generazione influenzò molto la riflessione cristiana. Per lo Stagirita la donna, più umida e fredda dell’uomo, offre la materia (il sangue mestruale) per il concepimento, mentre l’uomo fornisce l'agente del processo di trasformazione (lo sperma, considerato il prodotto più raffinato dei processi metabolici). Un punto decisivo della visione di Aristotele è la non necessità per il maschio di apportare massa corporea (la poca materia dello sperma si disperde tutta nel processo di trasformazione): egli offre li principio del movimento, la causa efficiente, formale e finale.120 Questa visione androcentrica del processo di generazione agevolò i pensatori cristiani nel tentativo di avvicinarsi al mistero dell’incarnazione.121 Tertulliano nel De carne Christi descrive la meccanica del concepimento di Cristo in termini fortemente aristotelici: Maria è descritta come la materia, la caro, mentre il semen viri nel caso di Gesù Cristo è sostituito dal semen Dei che apporta vivificazione, organizzazione formale e razionalizzazione.122 118 Mattioli, 1987, p. 236. 119 Mattioli, 1992, p. 17 e ss. 120 Prinzivalli, 1992, p. 81. 121 Ivi, pp. 85. 122 Tert. De carn. Christ. 19. 62 In Tertulliano si nota una contraddizione tra il disprezzo misogino retoricamente amplificato nelle opere morali e la valorizzazione della donna in quanto partecipe - sia nell’anima che nel corpo fisico - della creazione e della redenzione divina nelle opere teologiche.123 Nell’esordio del De culto feminarum le donne paiono escluse dall’imago Dei poiché assimilate a Eva, responsabile della prima caduta: In doloribus et anxietatibus paris, mulier, et ad virum tuum conversio tua, et alle dominato tui: et Evam te esse nescis? Vivit sententia Dei super sexum istum in hoc saeculo: vivat et reatus necesse est. “Tu, donna, partorisci tra dolori angosciosi, la tua tensione è per il tuo uomo ed egli è tuo padrone” (Gen. 3, 16): e non sai di essere Eva? In questo mondo è ancora operante la sentenza divina contro codesto tuo sesso: è necessario che duri anche la condizione di accusata.124 Per Cipriano è tramite la scelta della verginità che la donna può conservare l’immagine divina: Servate, virgines, servate quod esse coepistis. Servate quod eritis. Magna vos merces habet, praemium grande virtutis, munus maximum castitatis. […] Nec maritus dominus, dominus vester et caput Christus est ad instar et vicem masculi, sors vobis et condicio communis est. Vergini, conservate, ve lo ripeto, conservate quello che siete. Conservate quello che sarete. Vi attendono una grande ricompensa, un importante premio per la vostra virtù ed un grandissimo voto per la vostra castità. […] Non avete un marito che vi domini, perché il vostro signore e capo è Cristo: Lui fa in certo qual modo le veci dell’uomo. Partecipate al suo destino e al suo stato.125 123 Moretti, 2013, p. 138. 124 Tert. Cult. fem. 1, 1, 1-2. 125 Cypr. Hab. virg. 22. 63 É soprattutto fra III e IV secolo che si diffonde la convinzione dell’aequalitas spirituale del genere femminile rispetto a quello maschile, perlopiù sulla scia di Origene, che si rifà a una concezione dualista dell’imago Dei da identificare con l’anima priva di sesso basata sulla dottrina della “doppia creazione” Filone126.127 Ambrogio di Milano, vissuto nella seconda metà del IV secolo, nel De paradiso128 associa la femina con il sensus e il vir con la mens: sexus prodit qui prius potuerit errare, “il sesso manifesta chi potè peccare per primo”129. Nella stessa opera, tuttavia, sostiene che la grazia dipende non dalla nascita ma dalla virtus in quanto unam in viro et muliebre corporis esse naturam, unum fontem generis humani, “una sola e nell’uomo e nella donna è la fonte da cui proviene il genere umano”130. Ma è soprattutto nelle opere sulla verginità - indirizzate specialmente alle donne, prima fra tutte l’Exhortatio virginitatis - che all’elemento femminile si riconoscono le maggiori possibilità in termini di virtù attraverso una stretta disciplina.131 Nei suoi trattati Ambrogio presenta quali modelli da imitare personaggi dell’Antico Testamento (Anna, Susanna, Giuditta, Maria sorella di Mosé), la Madonna e alcune martiri: la realtà contemporanea non sembra essere stata per lui così ricca di esempi come sarà per Girolamo.132 Nella vicenda biografica di Girolamo, infatti, le donne ebbero rilevante importanza. Negli anni romani lo circondava un circolo femminile - che in parte lo seguì anche in Terra Santa - all’interno del quale molti dei suoi scritti furono ideati, commissionati e studiati.133 La dottrina della “doppia creazione” di Filone si basa sull’esegesi di Gen 1, 26-27 e 2, 7 e asserisce che nel primo passo ci si riferisca all’uomo interiore, creato a immagine di Dio, mentre nel secondo - dove Dio plasma l’uomo con la polvere - al corpo, vd. Simonetti, 1962, pp. 370-381. 126 127 Moretti, 2013, p. 145. 128 Opera esegetica su Gen. 2, 8 - 3, 19 che procede con la metodologia dell’allegoria filoniana. 129 Ambr. Parad. 12, 56. 130 Ambr. Parad. 10, 46-48. 131 Savon, 2003, p. 276. 132 Consolino, 1986, p. 277. 133 Moretti, 2013, p. 162. 64 Consolino sottolinea che Il suo epistolario in particolare - per il grande numero delle corrispondenti non meno che per i molti ritratti di sante donne in esso contenuti - costituisce una testimonianza di prim'ordine (e la più ricca di cui disponiamo) sulla pratica dell'ascesi da parte di quell'aristocrazia femminile che tanta importanza ebbe nella conversione delle più prestigiose famiglie romane al cristianesimo.134 Tra le discepole più illustri di Girolamo si ricordano Marcella135 e Paola136 con la figlia Eustochio, donne provenienti dall’alta aristocrazia romana che furono appassionate studiose e sostenitrici con i loro beni di opere monastiche e di carità.137 Nelle opere di Girolamo si realizza un particolare intreccio tra Scrittura e vita: nei ritratti muliebri, a volte, è la Scrittura a guidare la descrizione della realtà, mentre altre è la realtà a influenzare l’interpretazione della Scrittura. 138 In conclusione, sulla scia di Moretti, si può notare che Quelle contraddizioni, in ragione delle quali non tutte le affermazioni (anche all’interno del medesimo autore) si lasciano ricondurre a una visione omogenea, siano dovute al fatto che mentalità e cultura dominante sono spesso contraddette dall’esperienza del rapporto con donne storiche, cui una certa aequalitas - per così dire - non può essere negata: si pensi, appunto, alla sposa di Tertulliano; a Marcellina, sorella di Ambrogio; alle donne che accompagnano l’esistenza di Girolamo.139 134 Consolino, 1986, p. 279. 135 A Marcella sono indirizzate le lettere 23-29, 32, 34, 37-38, 40-44, 46, 59, 97. Le notizie sulla vita e la famiglia di Paola provengono principalmente dall’epistolario di Girolamo, dalle lettere 22, 30, 31, 33, 38, 39, 66, 107 e, in particolare, 108, dove si racconta dell’itinerario di Paola da Roma in Terra Santa. 136 137 Valerio 2018, p. 48. 138 Moretti, 2013, p. 172. 139 Ivi, p. 173. 65 2.5. Donne e movimenti dissidenti Ecco cosa riferisce delle donne considerate eretiche Tertulliano nel De praescriptione hereticorum: Ipsae mulieres haereticae, quam procaces! quae audeant docere, contendere, exorcismos agere, curationes repromittere, fortasse an et tingere. [6] Ordinationes eorum temerariae, leues, inconstantes. Nunc neophytos conlocant, nunc saeculo obstrictos, nunc apostatas nostros ut gloria eos obligent quia ueritate non possunt. Nusquam facilius proficitur quam in castris rebellium ubi ipsum esse illic promereri est. Itaque alius hodie episcopus, cras alius; hodie diaconus qui cras lector; hodie presbyter qui cras laicus. Nam et laicis sacerdotalia munera iniungunt. E la sfacciataggine, l'impudenza a cui giungono le donne eretiche, è poi straordinaria: esse hanno bene l'ardire d'insegnare, di discutere, di compiere esorcismi, di promettere guarigioni, e ci manca poco che non giungano anche a battezzare. Le ordinazioni loro rivestono il carattere della più assoluta leggerezza, senza un fondamento, senza serietà alcuna e non possono, quindi, avere stabilità; sono capaci d'innalzare, ora, dei giovanissimi senza esperienza e dottrina, ora, uomini che hanno troppo ben salde relazioni col mondo, talvolta anche degli apostati nostri, e tentano, dal momento che in nome della verità non lo potrebbero fare, di tenerseli vincolati, favorendo in loro l'ambizione. In nessun campo si verificano progressi tali come si avvertono nel campo degli eretici; basta esser di loro e il continuo progredire viene da sé: oggi uno è vescovo, domani sarà vescovo un altro; oggi uno è diacono, domani eccotelo lettore; oggi sacerdote? domani costui lo troveremo laico; poiché anche i laici, presso di loro, adempiono a funzioni sacerdotali.140 La presenza femminile è effettivamente molto diffusa nei movimenti dissidenti delle origini, anche se per una valutazione obiettiva bisogna tener conto dell’esagerazione polemica delle fonti eterodosse per screditare e ridicolizzare gli avversari in quanto, appunto, maestri di donne.141 140 Tert. Praescr. haer. 41, 5-8. 141 Mazzucco, 1989, p. 16. 66 C’è anche chi, come Thraede142, ha ipotizzato che molte notizie sulla formazione cristiana di donne non eretiche possano essere scomparse per la violenta reazione ai casi di eretiche impegnate e colte. Elena era compagna e collaboratrice di Simon Mago, contemporaneo dell’apostolo Pietro. Εusebio nell’Historia Ecclesiastica definisce Simone “capo assoluto di ogni eresia” e dice che i suoi seguaci fingevano di seguire la filosofia dei cristiani ma in realtà peccavano di superstizione idolatrica, poiché adoravano le immagini di Simone e di Elena: πάσης μὲν οὖν ἀρχηγὸν αἱρέσεως πρῶτον γενέσθαι τὸν Σίμωνα παρειλήφαμεν: ἐξ οὗ καὶ εἰς δεῦρο οἱ τὴν κα αὐτὸν μετιόντες αἵρεσιν τὴν σώφρονα καὶ διὰ καθαρότητα βίου παρὰ τοῖς πᾶσιν βεβοημένην Χριστιανῶν φιλοσοφίαν ὑποκρινόμενοι, ἧς μὲν ἔδοξαν ἀπαλλάττεσθαι περὶ τὰ εἴδωλα δεισιδαιμονίας οὐδὲν ἧττον αὖθις ἐπιλαμβάνονται, καταπίπτοντες ἐπὶ γραφὰς καὶ εἰκόνας αὐτοῦ τε τοῦ Σίμωνος καὶ τῆς σὺν αὐτῷ δηλωθείσης Ἑλένης θυμιάμασίν τε καὶ θυσίαις καὶ σπονδαῖς τούτους θρῃσκεύειν ἐγχειροῦντες. Abbiamo imparato da lui che capo assoluto di ogni eresia è Simone; da costui fino ai nostri giorni coloro che a bracciano la sua dottrina fingono di seguire la filosofia dei cr stiani, nota universalmente per saggezza e purezza di vita; ma non per questo non perseverano nella loro superstizione idol trica, cui in apparenza hanno rinunciato, inginocchiandosi di fronte ai libri e alle immagini dello stesso Simone e della già nominata Elena, sua compagna, che ancora continuano ad adorare con incensi, sacrifici e libagioni.143 Il marcionita Apelle ideò il suo pensiero eretico ispirato da una vergine invasata, Filumena144, a proposito della quale Tertulliano afferma che la sua ispirazione provenisse dal demonio.145 142 Thraede, 1972, p. 236. 143 Eus. Hist. eccl. 2, 13, 6. 144 Aulisa, 2000, p. 239. 145 Tert. Praescr. haer. 30, 6. i­ a­ b­ τ̓ 67 Per quanto riguarda gli gnostici, quando volevano conferire autorità ai segreti di cui si consideravano custodi, rimandavano spesso a figure femminili: possedevano scritti intitolati Le grandi questioni di Maria e Le piccole questioni di Maria in cui si diceva che Gesù avesse rivelato a lei i suoi insegnamenti, i Naasseni sostenevano che la loro dottrina risalisse a Giacomo, fratello del Signore, e di averla ricevuta tramite una certa Mariamne, i Nicolaiti leggevano un’opera attribuita a Nor(i)a, presunta moglie di Noè, e i Carpocraziani si rifacevano a Salomè.146 Nei movimenti dissidenti un posto di rilievo hanno sicuramente le donne legate a Montano, Massimilla e Priscilla, che si definivano la “nuova profezia” rifacendosi alla tradizione profetica femminile dell’Antico e del Nuovo Testamento.147 Nel loro caso di profetismo si può parlare anche di episodi di violenza estatica, nei quali viene riconosciuto l’influsso della regione Frigia, dove erano già ampiamente presenti manifestazioni cultuali estreme come il culto orgiastico di Cibele.148 Oltre a impiegare l’Apocalisse di Giovanni i montanisti si sentivano appartenenti alla tradizione di Ammia, profetessa di Filadelfia operante nella prima metà del II secolo.149 Pare che né Montano né i suoi più fedeli seguaci scrissero trattati o, se lo fecero, nessuno di essi è giunto a noi, mentre degli oracoli sono stati conservati sotto forma di citazioni da alcuni scrittori protocristiani.150 Nel montanismo il martirio aveva molta importanza per la credenza secondo cui erano soprattutto i martiri risorti nella carne che dovevano diventare cittadini del regno di Dio.151 Un oracolo montanista rivolto esclusivamente alle donne contrappone alla morte naturale o a quella di parto il martirio, concepito come libera scelta del proprio destino: 146 Mazzucco, 1989, p. 17. 147 Aulisa, 2000, p. 240. 148 Frend, 1984, p. 521-537. 149 Aune, 1996, p. 574. 150 Ibid. 151 Tabbernee, 1985, pp. 33 e ss. 68 “Non desiderare di morire nel letto, nel dare alla luce bambini o a causa di febbri, ma tra i tormenti del martirio, perché sia glorificato quegli che ha sofferto per voi”152.153 152 Aune, 1996, p. 575, oracolo 9. 153 Aulisa, 2000, p. 245, nota 114. 69 3. Le martiri cristiane 3.1. Descrizione delle martiri: caratteristiche ricorrenti 3.1.1. Il topos della mulier virilis nella cultura classica Tradizionalmente, nel pensiero classico, la perfezione umana spetta agli uomini, mentre la donna, per sua natura, è caratterizzata da debolezza. Con lo Stoicismo, nonostante si continui a mantenere la distinzione tra i due sessi dal punto di vista sociale, si prospetta la necessità di un’educazione uguale sia per gli uomini sia per le donne. Attraverso lo studio della filosofia, la donna può acquisire forza e capacità di sopportazione del male fisico, raggiungere l’atarassia e diventare una mulier virilis.1 Partendo dall’affermazione paolina dell’uguaglianza di tutti gli esseri in Cristo2 e dall’esaltazione della verginità come elemento che eleva l’individuo a una dimensione superiore a quella umana, si presentò ai teologi cristiani la necessità di rendere dottrinalmente possibile una teoria della parità tra i sessi, in quanto la donna poteva superare la sua condizione considerata di naturale svantaggio tramite la pratica ascetica.3 In questa prospettiva il cristianesimo trovò un punto di riferimento importante, appunto, nella filosofia stoica. Seneca, per esempio, considera la filosofia un mezzo per liberarsi dalla sofferenza e, per la donna, anche per elevarsi dal suo stato di inferiorità che l’autore latino definisce muliebri impotentia.4 Così si rivolge, durante il suo esilio in Corsica, alla madre Elvia: Itaque illo te duco, quo omnibus, qui fortunam fugiunt, confugiendum est, ad liberalia studia. Illa sanabunt vulnus tuum, illa omnem tristitiam tibi evellent. […] Illae consolabuntur, illae delectabunt, illae si bona fide in animum tuum intraverint, 1 Franchi, 2009, p. 273. 2 Gal. 3, 28. 3 Giannarelli, 1980, p. 14. 4 Sen. Ad Helv. 14, 2. 70 numquam amplius intrabit dolor, numquam sollicitudo, numquam adflictationis irritae supervacua vexatio. Così io ti conduco là dove si rifugiano tutti quelli che vogliono evitare la cattiva sorte, negli studi liberali: essi guariranno le tue ferite e scacceranno da te ogni tristezza. […] Ti renderanno sicura, ti daranno conforto e diletto; se, francamente, darai un posto ad esse nell'animo tuo, non vi entrerà più il dolore, né l'angoscia, né l'inutile tormento di una vana afflizione.5 Ricorrente sempre in Seneca è il motivo della mulier virilis, la donna che, contrapponendosi positivamente ai comportamenti più diffusi nelle altre, supera quelle che erano considerate le caratteristiche tipiche del suo sesso.6 Manning nota inoltre che Seneca attribuisce l’aggettivo muliebris a soggetti e azioni che considera moralmente negativi mentre virilis a quelli che approva.7 Si nota comunque uno slittamento di significato dal concetto di mulier virilis da Seneca e ai Padri della Chiesa, anche se con altri interessanti punti di contatto tra il motivo stoico della sopportazione del dolore e le vite delle sante: [In Seneca] il concetto non può chiaramente avere dimensione soteriologia e pertanto resta ancorato alla tematica morale ed in particolare al motivo della ἀπάθεια e della misura del dolore, che sarà poi caratteristico delle vite delle sante, quando, di fronte alla sventura, queste reagiranno non soltanto non abbandonandosi a manifestazioni eccessive di dolore, ma glorificando Dio.8 5 Sen. Ad Helv. 17, 3-5. 6 Cfr. Sen. Ad. Helv. 16, 1; 16, 3; 16, 5. 7 Manning, 1973, p. 171 e 337 8 Giannarelli, 1980, p. 18. 71 3.1.2. Virilizzazione e castità Et aspicio populum ingentem adtonitum; et quia sciebam me ad bestias damnatam esse, mirabar quod non mitterentur mihi bestiae. Et exivit quidam contra me Aegyptius foedus specie cum adiutoribus suis, pugnaturus mecum. Veniunt et ad me adolescentes decori, adiutores et fautores mei. Et expoliata sum, et facta sum masculus. E vedo una grande folla tutta intenta; e poiché sapevo che ero stata condannata a combattere con le belve, ero stupita del fatto che esse non mi venissero ancora lanciate contro. E si fece avanti per combattere con me un egiziano d’aspetto orribile in compagnia dei suoi aiutanti. Dalla mia parte in qualità di aiutanti e sostenitori vengono dei bei ragazzi. Venni fatta spogliare e divenni maschio.9 Perpetua, nella sua quarta e ultima visione, oltre alla prefigurazione del combattimento con le belve che dovrà affrontare nell’anfiteatro di Cartagine, combatte contro un egiziano che rappresenta il male: “allora mi ridestai e compresi che ero destinata a combattere non con le belve, ma contro il demonio; sapevo tuttavia che mia era la vittoria” (10, 14). Prima di iniziare a combattere, Perpetua si trasforma in un uomo. La metamorfosi del corpo femminile in maschile è un tema molto comune nella descrizione delle martiri e nella letteratura cristiana antica, come emerge, per esempio, dal Vangelo copto di Tommaso (Vang. Tom.)10: 9 Passio Perpetuae et Felicitatis, 10, 5-7. Il Vang. Tom. è un testo conosciuto dal 1945-46 con la scoperta dei codici di Nag Hammadi. Il codice in cui è contenuto è datato al IV sec. ma lo scritto si data al 90-120 d.C. ca. Non risponde al genere dei Vangeli canonici né a quello degli apocrifi, si presenta come una raccolta di detti introdotti tutti allo stesso modo con la formula “Gesù disse”. Si configura come uno scritto esoterico contenente parole di Gesù che non devono essere svelate ai profani perché non sono alla portata di tutti. L’autore del testo possiede una visione gnostica e si può ipotizzare che per i detti abbia attinto a fonti di natura e età diverse: una parte fu composta o elaborata dall’autore stesso e riflette il suo ambiente, un'altra proviene da un antico fondo tradizionale comune, probabilmente, anche ai sinottici. Vd. Moraldi, 2004, pp. 81-87. 10 72 Simone Pietro disse loro: “Maria deve andar via da noi! Perché le donne non sono degne della Vita!”. Gesù disse: “Ecco, io la guiderò in modo da farne un maschio, affinché lei diventi uno spirito vivo uguale a noi maschi; poiché ogni femmina che si fa maschio entrerà nel regno dei cieli”.11 In questo passo lo “spirito vivo” è legato alla mascolinità, Maria è accettata nel gruppo religioso non in quanto donna ma dopo esser stata trasformata e ricategorizzata come uomo. Tuttavia la mascolinità, qui espressamente dichiarata come pre-requisito per la vita spirituale, non pare essere intesa come una qualità esclusivamente definita dal sesso biologico di una persona o per forza corrispondente a esso.12 Parks, Sheinfeld e Warren sostengono che “ancient Mediterranean femininity and masculine were as much about behaviour as about biology”13 e che ci si riferisse a un one-gender model, costituito da uno spectrum della mascolinità. Secondo questa visione, in cima allo spettro si troverebbe l’ideale dell’uomo forte o virtuoso, mentre in fondo il suo negativo, identificato con la femminilità: al suo interno possono esservi collocati indipendentemente dal loro sesso biologico sia individui maschi che femmine.14 11 Vang. Tom., 114. 12 Blossom, 2010, p. 344-335. 13 Parks - Sheinfeld - Warren, 2022, pp. 11-12. 14 Ibid. 73 Ciò emerge con estrema chiarezza dall’episodio della madre ebrea e del re Antioco IV nel capitolo 7 del Secondo libro dei Maccabei, approfondito recentemente anche in questi termini da Elizabeth Lemelin.15 Nel suo studio si ipotizza che la figura della madre sia all’origine della figura delle donne martiri: in merito alla mulier virilis, Lemelin nota che quando una donna si virilizza dall’altra parte spesso un uomo si effemmina, così che anche i rapporti di potere risultano potenzialmente invertiti.16 In 2 Mac. 7 si racconta l’uccisione ordinata da Antioco IV Epifane (al trono nel 175-164 a.C.) di sette fratelli ebrei e della loro madre, che si erano rifiutati di mangiare carni sacrificali proibite. Dopo che i suoi figli sono stati uccisi, la madre ha un confronto diretto con il re, durante il quale la donna possiede θῆλυν λογισμὸν ἄρσενι θυμῶι διεγείρασα (2 Mac. 7, 21) , cioè “pensieri/propositi femminili animati da una rabbia virile/umana”17 e Antioco, progressivamente, si effemmina e disumanizza. Anche negli incontri di Perpetua con il padre è possibile riscontrare qualcosa di simile, Perpetua va incontro a un processo di mascolinizzazione mentre il padre perde delle caratteristiche considerate virili.18 Inizialmente il padre cerca di dissuaderla con fermezza dalla fede cristiana19, poi si prostra a lei e non la chiama più filia ma domina (5, 5), infine si strappa addirittura la barba per la disperazione (9, 2), perdendo fisicamente un attributo della propria mascolinità.20 15 Lemelin, 2022. 16 Ivi, p. 226. La doppia traduzione di ἄρσενι con “virile/umana” è una proposta di Lemelin, 2022, p. 48, che sostiene che l’espressione meriti più attenzione in quanto potrebbe non solo indicare una contrapposizione tra uomo e donna ma anche una messa in discussione della virilità tradizionale, essendo Antioco IV preda di una collera disumana. 17 18 Formisano, 2008, pp. 50-52. […] me pater verbis evertere cupiret et deicere, “mio padre cercava con i suoi discorsi di farmi recedere dal mio proposito e insisteva per farmi cedere” (III, 1-3), evertere si può tradurre con “rovesciare” e deicere con “buttar giù”, entrambi i verbi esprimono un’azione forte, quasi violenta. 19 20 Formisano, 2008, p. 52. 74 Un altro caso emblematico è quello di Blandina, della quale sappiamo grazie all’epistola del martyrium Lugdunensium riportata per ampie porzioni da Eusebio nell’Historia Ecclesiastica, che racconta la persecuzione anticristiana che colpì la chiesa di Lione nel 177-78 d.C.21 La schiava Blandina, di fisicità visibilmente molto fragile, è sottoposta a terribili supplizi ma i torturatori non riescono a provocarne la morte. Quando viene appesa a un tessuto e esposta alle belve la forma del suo corpo ricordava quella di Gesù in croce e di lei si dice che καὶ μηδενὸς ἁψαμένου τότε τῶν θηρίων αὐτῆς, καθαιρεθεῖσα ἀπὸ τοῦ ξύλου ἀνελήφθη πάλιν εἰς τὴν εἱρκτήν, εἰς ἄλλον ἀγῶνα τηρουμένη, ἵνα διὰ πλειόνων γυμνασμάτων νικήσασα, τῷ μὲν σκολιῷ ὄφει ἀπαραίτητον ποιήσῃ τὴν καταδίκην, προτρέψηται δὲ τοὺς ἀδελφος, ἡ μικρὰ καὶ ἀσθενὴς καὶ εὐκαταφρόνητος μέγαν καὶ ἀκαταγώνιστον ἀθλητὴν Χριστὸν ἐνδεδυμένη, διὰ πολλῶν κλήρων ἐκβιάσασα τὸν ἀντικείμενον καὶ δἰ ἀγῶνος τὸν τῆς ἀφθαρσίας στεψαμένη στέφανον. Quel giorno ella non fu toccata da alcuna belva e, t rata giù dal palo, fu condotta nuovamente in prigione, destin ta ad un altro combattimento, affinché, passata vittoriosa attr verso numerose vittorie, da un lato rendesse inevitabile la co danna dell'infido serpente, dall'altro esortasse i fratelli, ella, piccola, debole, insignificante. Rivestita di Cristo grande e i vincibile atleta, aveva sconfitto a più riprese l'avversario e av va riportato nella lotta la corona dell'immortalità.22 Blandina è anche significativamente paragonata alla madre del Secondo libro dei Maccabei, poiché, oltre alla fermezza con cui affronta la morte, diventa il punto di riferimento principale per i suoi compagni di prigionia: ἡ δὲ μακαρία Βλανδῖνα πάντων ἐσχάτη, καθάπερ μήτηρ εὐγενὴς παρορμήσασα τὰ τέκνα καὶ νικηφόρους προπέμψασα πρὸς τὸν βασιλέα, ἀναμετρουμένη καὶ αὐτὴ πάντα τὰ τῶν παίδων ἀγωνίσματα ἔσπευδεν πρὸς αὐτούς, χαίρουσα καὶ ἀγαλλιωμένη ἐπὶ τῇ ἐξόδῳ, ὡς εἰς νυμφικὸν δεῖπνον κεκλημένη, ἀλλὰ μὴ πρὸς θηρία βεβλημένη. 21 Consolino, 1992, p. 97. 22 Eus. Hist. eccl. 5, 1, 42. e­ n­ i­ a­ n­ a­ 75 Ultima di tutti restò la beata Blandina; come una nobile madre che aveva incoraggiato i figli e li aveva mandati vittoriosi davanti al re, dopo aver ripercorso anche lei tutti i combattimenti dei figli, si affrettava a raggiungerli, lieta ed esultante della dipartita, come se fosse stata invitata al banchetto nuziale e non gettata alle belve.23 Come nota Consolino Blandina, in quanto donna e socialmente subalterna, avrebbe potuto rappresentare l’incarnazione perfetta di Gal 2, 27-28, secondo cui tra chi vive in Cristo non c’è né libero né schiavo, né femmina né maschio.24 Ma il redattore della lettera non interpreta così la sua figura, anzi, si serve della condizione di inferiorità della martire per dimostrare come anche un essere “che appare agli uomini vile, laido e spregevole è nel giudizio di Dio degno di gloria grande in misura dell’amore per lui”25. Nella vicenda di Blandina c’è, ancora, conferma del fatto che “debolezza” e “virilità” fossero valori misurati indipendentemente dal sesso biologico: gli apostati sono tutti descritti come ignobili e “non virili”, uomini o donne che fossero.26 Sia nel caso di Perpetua che in quello di Blandina c’è da notare come “i resoconti che esaltano la ‘virilità’ di queste athletae Christi danno per scontata una inferiorità di natura che soltanto il miracolo della fede, con l'aiuto divino, permette di ribaltare”27 e come questi casi eccezionali non dimostrino un’effettiva considerazione delle donne sul piano della vita quotidiana. Anche negli Atti di Paolo e Tecla - testo datato al 160 d.C. ca. redatto da un presbitero dell’Asia Minore che narra la romanzesca vicenda della protomartire di Iconio - possiamo rilevare come Tecla si spogli progressivamente degli attributi esteriori della femminilità: rinuncia ai gioielli grazie ai quali, corrompendo i carcerieri, visita Paolo, poi si taglia i capelli e infine si traveste interamente da uomo per partire alla ricerca dell’apostolo.28 23 Eus. Hist. eccl. 5, 1, 55. 24 Consolino, 1992, p. 101-102. 25 Eus. Hist. eccl. 5, 1, 17. 26 Mazzucco, 1989, p. 106. 27 Consolino, 1992, p. 102. 28 Mazzucco, 1989, p. 19. 76 Nella Passio Anastasiae, scritto dalla datazione incerta29 ascrivibile tra le “passioni epiche”30, si sottolinea che la nobilis et delicatissimi corporis femina per dedizione e fermezza nella fede viriliter agebat, si comportava in modo virile.31 Estremamente romanzeschi sono anche gli acta della martire Eugenia, redatti probabilmente verso la metà del V sec.32, dove l’eroina, convertendosi al cristianesimo, si rasa il capo e indossa vesti maschili. Quando il vescovo Eleno la battezza le permette di conservare il travestimento, simbolo della sua virilità nella fede. Successivamente Eugenia, sempre sotto le sembianze di un uomo, viene ammessa in un monastero del quale diventa abate e dove opera diversi prodigi.33 Interessante è vedere come le immagini di trasformazione della donna in uomo associate al perfezionamento spirituale non interessino solo il mondo grecoromano mediterraneo e cristiano: è nota la loro grande diffusione dal Papiro del Louvre 3079, dove Iside “si fa maschio, pur essendo una donna”, alle Scritture buddiste cinesi Lingpao che risalgono al V secolo a.C., dove il Bodhisattva dice: “Quando diventerò Buddha, giuro di far sì che nella mia terra non vi siano né donne né fanciulle. Quelle che vorranno nascere nella mia terra dovranno prima diventare maschi”. Qualcosa di simile si ritrova anche nell’Islam. La donna per arrivare pienamente a Dio si maschilizza, con una trasformazione irreversibile. Tadhkirat alAuliya, figura capitale nella agiografia islamica, a chi gli domandava come mai considerasse nel genere maschile una donna, cioè Rabe’a al-Adawiya – una mistica musulmana sufi dell’VIII sec. –, rispondeva che la maschilità, secondo il Profeta, non è materia di forma ma di “intenzione”. Se una donna diventa uomo sul sentiero di Dio, essa è un uomo e nessuno più può definirla donna.34 La datazione tradizionale è fine V-inizio VI sec. ma si pensa anche alla metà del V o addirittura alla fine del IV, per un approfondimento sulle diverse ipotesi vd. Moretti, 2006, pp. 24-37. 29 30 Moretti, 2006, p. 11. 31 Passio Anastasiae, 8. 32 Consolino, 1984, p. 104. 33 Ibid. 34 Hoxha, 2019, pp. 4-5. 77 Se la virilizzazione delle martiri è basata sull’imitatio Christi, la castità, anch’essa centrale in molte storie di martirio femminile, è legata all’imitatio Mariae.35 Come accennato nel capitolo precedente, è verso il IV sec. che l’ideale della verginità inizia a essere sistematicamente esaltato e associato all’idea del sine cruore martyrium, essendo ormai finite le persecuzioni.36 Tra le martiri dell’ultima persecuzione troviamo comunque una prevalenza di vergini e continenti e un gran numero di violenze a sfondo sessuale: si può ipotizzare che i persecutori prendessero di mira una categoria sempre più prestigiosa e influente all’interno delle comunità, quella, appunto, delle vergini.37 Gli Atti dei martiri Shmona e Gurya, di ambito siriaco e databili alla prima metà del IV sec., testimoniano che le “Figlie del Parto”, donne votate alla castità al servizio del sacerdote o vescovo locale che vivevano in comunità o in famiglia, furono uno dei bersagli principali della persecuzione di Diocleziano.38 Sono vergini Agape, Irene e Chione processate a Tessalonica nel 304 d.C. così come molte altre figure femminili presenti nelle Passioni africane.39 Quando si guarda a queste fonti non bisogna dimenticare che l’enfasi retorica delle fonti cristiane sul tema della castità, esaltato anche tramite l’esempio delle martiri, è altissima.40 Per esempio, Cipriano dice che le vergini sono “la parte più illustre del gregge di Cristo”41. Nel Simposio di Metodio di Olimpo, dialogo sulla verginità di III sec., la continenza è vista come strumento privilegiato di riscatto e elevazione spirituale.42 La protagonista dell’opera è la martire Tecla, della quale l’autore sottolinea la forza fisica dimostrata nel martirio, la vasta cultura e le attribuisce la consapevolezza della necessità per le vergini di assumere “animo virile” per non cedere alle 35 Consolino, 1984, p. 108. 36 Ivi, pp. 84-85. 37 Noce, 2015, p. 105. 38 Ashbrook Harvey, 2005, p. 126. 39 Ibid. 40 Noce, 2015, p. 106. 41 Cypr. Hab. virg. 3. 42 Mazzucco, 1989, p. 48. 78 tentazioni del male e riuscire a combatterle.43 Per Metodio tale virilità caratterizza tutti i cristiani in quanto deriva dall’assimilazione spirituale a Cristo avvenuta durante il battesimo e portata avanti con una salda fede, rinunciando alle passioni “effemminate”.44 In tutto il dialogo traspare l’idea che le differenze tra i credenti non dipendano dal sesso ma dalla forza nel perseguire l’ideale di perfezione spirituale, infatti Metodio interpreta allegoricamente Gen 2, 18 in cui si parla della donna come di un “aiuto” dato all’uomo: il passo si riferirebbe piuttosto ai seguaci di Cristo capaci di portare e guidare gli altri sulla via della fede e della virtù, che sono il suo vero “aiuto” e l’essenza della Chiesa.45 Eusebio porta l’esaltazione della castità fino alla giustificazione del suicidio con l’intento di preservarla e annovera tra le martiri le donne che hanno così agito, Girolamo porterà avanti questa concezione adattandola al nuovo ideale del monachesimo femminile e Agostino, invece, la avverserà con forza, ritenendo che a un atto subito senza il consenso della volontà non si debba attribuire colpa.46 Un caso di “martirio per la purezza” è quello della vergine Potamiena, riferitoci sia da Eusebio47 che da Palladio nella Storia Lausiaca48.49 Palladio colloca l’episodio al tempo della persecuzione di Massimiano del 303-305 d.C. e narra che la bella Potamiena, pur di difendere la sua verginità, si sarebbe fatta calare nella pece bollente. Nella letteratura agiografica e martiriologica le descrizioni della violenza sulle vergini sono spesso caratterizzate da un’attenzione morbosa per i loro corpi, dall’accento sulla sadica eccitazione del carnefice e dall’attenzione maniacale per i particolari dei supplizi: si può supporre che tali elementi siano psicologicamente riconducibili all’identità maschile degli autori di questi scritti.50 43 Met. Simp. 8, 12-13. 44 Met. Simp. 8, 7-9. 45 Mazzucco, 1989, p. 50. 46 Noce, 2015, p. 106. 47 Eus. Hist. eccl. 6, 5, 1-4. 48 Pall. Hist. laus., 3, 1-4. 49 Devoti, 1992, p. 205. 50 Ivi, pp. 106-107. 79 3.1.3. Oltre i vincoli sociali e familiari Chi ama il padre o la madre o la moglie o i figli o i fratelli o i genitori più di me, non è degno di me. (Mt. 10, 37) Così si dice che Ireneo, vescovo di Sirmio martirizzato nel 304 d.C., rispose al giudice che gli domandava se avesse moglie e genitori.51 Origene nell’Esortazione al martirio dice che coloro che riescono a lasciarsi alle spalle la famiglia per andare incontro al martirio potrebbero essere definiti “padri dei padri”, cioè di Abramo e dei patriarchi, poiché non essendosi fatti fermare nemmeno dai figli devono essere sicuramente padri di padri, non di infanti.52 Il martirio produrrebbe per Origene una forma superiore di paternità e l’immagine è resa ancora più forte dalla prospettiva di poter diventare padre addirittura di Abramo, essendo lui stesso disposto a sacrificare suo figlio per Dio.53 Castelli a proposito di questo passo nota come gli autori cristiani non escludessero le donne dall’ipotesi del martirio, ma come la loro effettiva partecipazione storica al fenomeno non abbia comunque smosso l’universo metaforico della sua teorizzazione.54 Nelle passiones delle martiri il tema del distacco dai familiari, soprattutto delle madri dai figli, è comunque molto ricorrente. Agatonice, quando la folla la implora di avere pietà della sua prole, dice che essi hanno Dio che ha già pietà di loro, in quanto provvede a tutto.55 Anche di Dionisia si racconta che avesse molti figli, che tuttavia non amava più del Signore.56 51 Passione di Ireneo, 4, 5-8. 52 Or. Exhort. mart. 14. 53 Castelli, 2004, p. 66. 54 Ibid. 55 Martyrium Polycarpi, 6, 2-3. 56 Eus. Hist. eccl. 6, 41, 18. 80 Perpetua e Felicita sono entrambe madri, la prima ha un figlioletto mentre la seconda partorisce in carcere. Felicita prega insieme ai compagni per concludere in anticipo la gestazione che ritarderebbe l’esecuzione della condanna e, dopo un parto laborioso, la figlia viene affidata a un’altra donna cristiana: Et cum pro naturali difficultate octavi mensis in partu laborans doleret, ait illi quidam ex ministris cataractariorum: «Quae sic modo doles, quid facies obiecta bestiis, quas contempsisti cum sacrificare noluisti?» Et illa respondit: «Modo ego patior quod patior; illic autem alius erit in me qui patietur pro me, quia et ego pro illo passura sum». Ita enixa est puellam, quam sibi quaedam soror in filiam educavit. E poiché ella soffriva del travaglio, che all’ottavo mese era ovviamente difficile, uno dei carcerieri le disse: “Se tu soffri così adesso, che farai quando sarai gettata in pasto alle belve, che tanto sembravi disprezzare quando hai rifiutato di fare il sacrificio?” Ed ella rispose: “Ora sono io che soffro quel che soffro; ma laggiù sarà un altro [Cristo] in me a soffrire per me, poiché anch’io affronterò la passione per lui”. Così partorì una bimba, che una consorella allevò come fosse stata sua figlia.57 Perpetua non rinnega la fede alla vista di suo figlio e nonostante le suppliche del padre: Ventum est et ad me. Et apparuit pater ilico cum filio meo, et extraxit me de gradu, dicens: «Supplica; miserere infanti». […] Et cum staret pater ad me deiciendam, iussus est ab Hilariano proici, et virga percussus est. Et doluit mihi casus patris mei, quasi ego fuissem percussa: sic dolui pro senecta eius misera. Venne il mio turno; in quel momento comparve mio padre con mio figlio, mi tirò giù dai gradini dicendo: “Compi il sacrificio! Abbi pietà del bambino!” […] E poiché mio padre continuava a star lì tentando di farmi desistere, fu dato ordine da Ilariano di respingerlo; venne frustato. E provai dolore della mala sorte toccata a mio padre, come se fossi stata io ad essere percossa; ugualmente soffrivo per la sua vecchiaia infelice.58 57 Passio Perpetuae et Felicitatis, 15, 5-7. 58 Passio Perpetuae et Felicitatis, 6, 2-5. 81 Successivamente, per intervento divino, il figlio non sentirà più la necessità di essere allattato e Perpetua verrà liberata dalla preoccupazione per lui e dall’infiammazione ai seni.59 Da notare è che Perpetua si allontana senza esitazione dagli affetti in nome della fede ma non è insensibile al dolore del padre, l’unico in famiglia a non abbracciare il credo cristiano: Et ego dolebam casum patris mei, quod solus de passione mea gavisurus non esset de toto genere meo, et confortavi eum dicens: «Hoc fiet in illa catasta quod Deus voluerit; scito enim nos non in nostra esse po- testate constitutos, sed in Dei». Et recessit a me contristatus. Ed io soffrivo dell’infelicità di mio padre, poiché egli era l’unico tra i miei familiari a non provare gioia per il mio martirio. Cercai di confortarlo dicendogli: “Su quella tribuna accadrà ciò che Dio vorrà; sappi infatti che noi non siamo in potere di noi stessi, ma di quello di Dio”. Ed egli si allontanò disperato.60 Tra le martiri troviamo inoltre donne provenienti da diversi contesti e di differenti condizioni sociali, ci sono nobili, schiave come Blandina, vergini, madri e mogli, spesso le une accanto alle altre: in quell’estrema testimonianza che è martirio lo status precedente non ha più valore, i vincoli che regolavano la vita quotidiana e sociale precedente sono sciolti.61 La caratteristica professione di fede “sono cristiano”62 e “sono cristiana”63 è il modo in cui i martiri e le martiri indicano davanti agli accusatori il loro nuovo stile di vita, che implica una profonda trasformazione dei rapporti umani e anche, in certi casi, il rovesciamento dei ruoli e delle convenzioni sociali.64 59 Passio Perpetuae et Felicitatis, 6, 8. 60 Passio Perpetuae et Felicitatis, 5, 6. 61 Mazzucco, 1989, p. 107. 62 Eus. Hist. eccl. 5, 1, 20. 63 Passio Perpetuae et Felicitatis, 3, 2. 64 Mazzucco, 1989, p. 109. 82 3.2. La madre del Secondo libro dei Maccabei: l’archetipo della martire? Il Secondo libro dei Maccabei (2Mac.) è scritto in greco e databile poco dopo il 124 a.C. Insieme al Primo libro dei Maccabei racconta i gravi sconvolgimenti avvenuti nel II sec. a.C. nell’ambito della resistenza della Giudea all’ellenizzazione portata avanti dalla dinastia seleucide. Nell’ebraismo 2Mac. ha valore di fonte storica, mentre i cattolici lo classificano come deuterocanonico a partire dal Concilio di Trento del 1546.65 Per Bickerman le persecuzioni di Antioco IV Epifane (175-164 a.C.) contro gli ebrei miravano più a eliminare la possibilità di una guerra civile legata alla presenza di vari gruppi in contrasto tra loro che a reprimere le pratiche religiose monoteiste della regione.66 In 2Mac. è narrata l’uccisione dello scriba Eleazaro67, di una madre e dei suoi sette figli68 che si erano rifiutati di mangiare la carne di un maiale sacrificato per la celebrazione mensile del giorno natale del re, cedendo così a un atto di idolatria. Per Frend questi racconti vanno a costituire i primi acta martyrum69, tanto che “without Maccabees […] a Christian theology of martyrdom would scarcely have been thinkable”70. Dalla narrazione emerge infatti l’idea centrale del martirio come testimonianza personale della verità del dio monoteista contro il paganesimo che comporta la sofferenza e persino la morte del testimone; oltre che il trasferimento di una lotta terrena a un livello cosmico, con la visione degli oppressori umani come rappresentanti di poteri demoniaci. Anche se la parola μάρτυς, “testimone” in greco antico, non è esplicitamente presente nel testo, si tratta comunque di un resoconto di morti violente a scopo apologetico.71 65 Lemelin, 2022, p. 1. 66 Bickerman, 2007, pp. 1058-1065. 67 2Mac. 6, 18-32. 68 2Mac. 7, 1-42. 69 Frend, 1965, p. 45. 70 Ivi, p. 65. 71 Lemelin, 2022, p. 3. 83 L’episodio martirologio è all’interno del libro una parentesi di 61 versetti, che si apre con il rifiuto di Eleazaro di mangiare la carne di maiale che gli aguzzini cercano di fargli ingoiare a forza e si chiude con l’uccisione di una donna lasciata nell’anonimato, dopo aver assistito a quella dei suoi sette figli. Nell’episodio della madre e dei sette fratelli l’unico personaggio di cui è esplicitato il nome è il re Antioco IV: la scelta di non nominare certi personaggi potrebbe essere spiegata proprio con la loro funzione esemplare, così da rendere più facile impersonarsi nel loro esempio e seguirlo.72 Il personaggio della madre viene così introdotto: περαγόντως δὲ ἡ μήτηρ θαυμαστὴ καὶ μνήμης ἀγαθῆς ἀξία ἥτις ἀπολλυμένους υἱοὺς ἑπτὰ συνορῶσα μιᾶς ὑπὸ καιρὸν ἡμέρας εὐψύχως ἔφερεν διὰ τὰς ἐπὶ κύριον ἐλπίδας 21ἕκαστον δὲ αὐτῶν παρεκάλει τῇ πατρίῳ φωνῇ γενναίῳ πεπληρωμένη φρονήματι καὶ τὸν θῆλυν λογισμὸν ἄρσενι θυμῷ διεγείρασα λέγουσα πρὸς αὐτούς οὐκ οἶδ’ὅπως εἰς τὴν ἐμὴν ἐφάνητε κοιλίαν οὐδὲ ἐγὼ τὸ πνεῦμα καὶ τὴν ζωὴν ὑμῖν ἐχαρισάμην καὶ τὴν ἑκάστου στοιχείωσιν οὐκ ἐγὼ διερρύθμισα τοιγαροῦν ὁ τοῦ κόσμου κτίστης ὁ πλάσας ἀνθρώπου γένεσιν καὶ πάντων ἐξευρὼν γένεσιν καὶ τὸ πνεῦμα καὶ τὴν ζωὴν ὑμῖν πάλιν ἀποδίδωσιν μετ’ ἐλέους ὡς νῦν ὑπερορᾶτε ἑαυτοὺς διὰ τοὺς αὐτοῦ νόμους. Soprattutto la madre era ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché, vedendo morire sette figli in un solo giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. Esortava ciascuno di loro nella lingua dei padri, piena di nobili sentimenti e, temprando la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro: “Non so come siate apparsi nel mio seno73; né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore dell’universo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro e la vita, poiché voi ora per le sue leggi non vi preoccupate di voi stessi.”74 72 Lemelin, 2022, p. 418. La traduzione della Bibbia CEI 2008 qui riportata traduce ii greco κοίλιαν con “seno”, letteralmente il termine κοίλια, ἄς, ἡ significa “ventre”. 73 74 2Mac. 7, 20-23. 84 Nonostante lo stesso narratore di 2Mac.75 dica che "soprattutto la madre era ammirevole e degna di gloriosa memoria”, fino a una trentina di anni fa questo personaggio femminile non aveva attirato particolarmente l’attenzione degli esegeti: la tendenza generale era quella di considerarla secondaria rispetto ai figli e al pari delle (pochissime) altre donne in 2Mac. che o si lamentano76 o sono giusto menzionate tra le vittime della repressione seleucide77. Nel 1991 Young in The Women with the Soul of Abraham: Tradition about the Mother of the Maccabean Martyrs evidenzia per la prima volta l’importanza del racconto della morte eroica della madre di 2Mac., poi iniziano a uscire più studi che interpretano la sua figura come archetipo alle origini delle passiones femminili.78 Nella descrizione della donna cattura subito l’attenzione l’elogio del suo “coraggio virile”: abbiamo già visto come il processo di virilizzazione sia uno dei topoi più comuni nella descrizione delle martiri cristiane dei primi secoli. A questo proposito, Cobb ricorda come la letteratura martirologica insista spesso, allo stesso tempo, su alcune caratteristiche femminili delle mulier virilis79. Effettivamente, anche in 2Mac. i dettagli sul corpo della madre sono finalizzati a sottolineare il suo ruolo materno. Così lei stessa si rivolge al figlio: υἱέ ἐλέησόν με τὴν ἐν γαστρὶ περιενέγκασάν σε μῆνας ἐννέα καὶ θηλάσασάν σε ἔτη τρία καὶ ἐκθρέψασάν σε καὶ ἀγαγοῦσαν εἰς τὴν ἡλικίαν ταύτην καὶ τροφοφορήσασαν. Figlio, abbi pietà di me, che ti ho portato in seno80 nove mesi, che ti ho allattato per tre anni, ti ho allevato, ti ho condotto a questa età e ti ho dato il nutrimento.81 L’effettivo autore del libro è dibattuto. In 2Mac. 2, 23 si sostiene che Giasone di Cirene abbia raccontato i fatti in 5 libri e che poi siano stati riassunti nello scritto che noi indichiamo come 2 Mac. 75 76 2Mac. 3, 19. 77 2Mac. 5, 13. 78 Lemelin, 2022, pp. 35-40. 79 Cobb, 2008, p. 28. 80 In greco c’è ἐν γαστρὶ, letteralmente “ventre”, “utero”, vd. nota 67. 81 2Mac. 7, 27. 85 Cobb ricorda come la mascolinità non sia in questi contesti una qualità innata inscindibile dal sesso biologico ma una virtù ideale alla quale sia i fedeli che le fedeli devono tendere, così da risultare più “virili” (cioè più coraggiosi, saggi e virtuosi) degli altri. La messa in risalto di attributi legati alla femminilità nelle martiri virilizzate potrebbe essere spiegata con il fatto che esse erano considerate comunque meno virili degli uomini della loro comunità, e ciò lo si sarebbe voluto in qualche modo ricordare.82 Inoltre, come accadrà nel confronto tra Perpetua e suo padre nella Passio Parpetuae et Felicitatis, quando una donna si virilizza dall’altro lato un uomo inizia a assumere caratteristiche, nella mentalità antica, associate alla sfera femminile come l’incapacità di gestire le passioni, cosa che accade anche a Antioco IV nel suo faccia a faccia con la madre ebrea.83 Altro motivo ricorrente nella figura delle martiri cristiane è lo svincolamento dai vincoli sociali e familiari in nome di una volontà e una grazia più alta, quella di Dio, concetto che anche la madre di 2Mac. esprime rivolgendosi al suo ultimo figlio rimasto in vita: μὴ φοβηθῇς τὸν δήμιον τοῦτον ἀλλὰ τῶν ἀδελφῶν ἄξιος γενόμενος ἐπίδεξαι τὸν θάνατον ἵνα ἐν τῷ ἐλέει σὺν τοῖς ἀδελφοῖς σου κομίσωμαί σε. Non temere questo carnefice, ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia.84 82 Cobb, 2008, p. 33. Lemelin, 2022, cap. 3, dove l’autrice ha analizzato dettagliatamente tutti quelli che possono essere considerati i “marcatori di genere” della madre e del re seleucide nel loro confronto. 83 84 2Mac. 7, 29. 86 Le vicende delle martiri Sinforosa e Felicita85 presentano chiare analogie con quella della madre di 2Mac.86 Sia Sinforosa che Felicita hanno sette figli, arrivano al confronto diretto con l’imperatore, rifiutano di rinnegare Dio e Felicita assiste all’uccisione dei suoi figli; i martiri Ianuario, Felice, Filippo, Silano, Alessandro, Marziale e Vitale. Quella di Felicita è forse la più antica delle passiones romane, potrebbe risalire a fine IV-inizio V sec., e entrambi i testi sono ambientati in età adrianea in un contesto del tutto fittizio, in quanto Adriano è noto per la politica religiosa di tolleranza e non gli sono attribuiti episodi di persecuzione.87 Se nel caso di Sinforosa e Felicita l’ispirazione della trama è chiara ma non c’è nessun rimando testuale esplicito a 2Mac., la martire Blandina nell’epistola del martyrium Lugdunensis è apertamente accostata alla "nobile madre che aveva incoraggiato i figli e li aveva mandati vittoriosi davanti al re”88 e che poi va lei stessa incontro alla morte. Una differenza tra la madre di 2Mac. e le martiri successive è il modo in cui si racconta la loro morte. Negli scritti martirologici i corpi hanno un’importanza centrale e vengono spesso descritti in maniera molto particolareggiata nel momento in cui sono sottoposti alle torture, in tutta la loro carne e il loro sangue.89 In 2Mac., invece, la morte della donna viene comunicata in un versetto con il minimo indispensabile: “ultima dopo i figli, anche la madre incontrò la morte”90. L’unico riferimento al suo corpo lo fa la madre stessa quando, rivolgendosi ai figli, nomina il suo ventre (κοίλιαν a 7, 22 e ἐν γαστρὶ a 7, 27). In alcuni scritti biblici si fa menzione al ventre di una donna per indicare la persona tutta, essenzializzandola alla sua capacità riproduttiva, ma in 2Mac. questa notazione potrebbe non essere affatto riduttiva, anzi.91 La passione di Sinforosa è pubblicata in AA. SS. Iul. 4, pp. 358 e ss., quella di Felicita in AA. SS. Tul. 3, pp. 12 e ss. 85 86 Consolino, 1984, pp. 86-87. 87 Ivi, 1984, pp. 88-89. 88 Eus. Hist. eccl. 5, 1, 42. 89 Lemelin, 2022, p. 297. 90 2Mac. 7, 41. 91 Lemelin, 2022, p. 101. 87 L’appello al ventre è collegato nel discorso della madre al mistero della creazione divina e alla resurrezione: elle rappelle que la naissance de tout s'avère aussi secrète et extraordinaire que peut l'être la renaissance. C'est en connectant la mise au monde des corps - ce qui est plutôt rare dans les écrits bibliques - avec la mise au monde du monde que la mère de 2 M 7 rend la résurrection croyable […]92 92 Lemelin, 2022, p. 101. 88 3.3. Casi esemplari 3.3.1. Acta Pauli et Theclae Quella della protomartire Tecla è una figura che si perde nella leggenda protagonista degli Atti di Paolo e Tecla (APTh), importante documento della letteratura popolare di fine II sec. d.C.93 A questo testo fanno riferimento, nella prima metà del III sec., Tertulliano, Ippolito e Origene non considerandola un’opera eretica: pur non essendo canonica è comunque letta e stimata.94 Anche Eusebio pone gli APTh tra gli scritti non testamentari “controversi” insieme al Pastore di Erma, l’Apocalisse di Pietro, la Lettera di Barnaba e, per alcuni, l’Apocalisse di Giovanni95 ma non tra quelli eretici, come fa per tutti gli altri atti “redatti dagli er tici sotto il nome degli apostoli”96. Sappiamo infatti che l’autore, un presbitero dell’Asia Minore, fu deposto per falso, non per eresia: per Tertulliano avrebbe agito amore Pauli.97 Questo era quindi l’atteggiamento della parte eterodossa nei confronti degli APTh, almeno fino al Decretum Gelasianum che li mette insieme, invece, a testi considerati eretici.98 La narrazione si aggancia a At. 13, 50 con la fuga di Paolo da Antiochia di Pisidia verso Iconio: a accompagnarlo non è Barnaba come nella versione canonica ma Demas e Ermogene, due loschi personaggi che fingono di essergli amici. A Iconio il cristiano Onesiforo invita in casa sua l’apostolo che inizia a predicare sul nesso tra continenza e resurrezione. 93 Mazzucco, 1989, p. 17. 94 Moraldi, 1971, pp. 1061-1062. 95 Eus. Hist. eccl. 3, 25, 4-6. 96 Eus. Hist. eccl. 3, 25, 6. 97 Tert. De bapt. 17, 5. 98 Moraldi, 1971, 1065. e­ 89 Da una finestra della casa vicina la vergine Tecla, figlia di Teoclia e promessa in sposa a Tamiri, ascolta di nascosto i discorsi di Paolo per tre giorni e tre notti, ininterrottamente: né la madre né il fidanzato riescono a smuoverla. Tamiri così si informa da Demas e Ermogene sul conto del nuovo arrivato: i due gli confermano che il predicatore allontana le donne dai loro uomini con promesse di vita eterna e gli consigliano di denunciarlo. Paolo viene arrestato e, avendo confessato la fede cristiana, incarcerato. Tecla corrompe il carceriere con i suoi bracciali e, di notte, fa visita all’apostolo per imparare da lui la dottrina fino a che i suoi parenti irrompono nella cella per sorprenderli. Paolo viene flagellato e scacciato dalla città mentre Tecla, su istigazione della madre, condannata al rogo. Mentre sale sulla pira, però, non viene toccata dal fuoco e appare una nube divina di acqua e grandine che lo spegne. Paolo intanto stava digiunando da diversi giorni presso la strada tra Iconio e Dafne insieme alla famiglia di Onesiforo: uno dei suoi figli va a informare Tecla che si trovava lì. La ragazza dichiara allora il proposito di tagliarsi i capelli e di seguirlo nelle sue peregrinazioni. Chiede anche di farsi battezzare, cosa che, tuttavia, non le viene per il momento accordata. Giunti a Antiochia di Pisidia, la bellezza di Tecla attira l’attenzione di un nobile siro. Quando l’uomo prova a abbracciarla per strada, la ragazza gli lacera il mantello e gli strappa la corona dalla testa, umiliandolo pubblicamente. Viene quindi portata dal governatore e condannata alle fiere: ciò scatena la reazione delle donne della città che nel circo faranno apertamente il tifo per lei e addirittura viene adottata dalla regina Trifena su consiglio di sua figlia morta, apparsale in sogno. Nell’arena né orsi né leoni riescono a recarle danno, anzi, una leonessa la difende così strenuamente da un leone maschio fino al punto di morire insieme al suo avversario. Improvvisamente, poi, Tecla si tuffa nella fossa delle foche esclamando: “nel nome di Gesù Cristo mi battezzo nell'ultimo giorno”99. 99 Acta Pauli et Theclae, 34. La formula ricalca quella usata da Pietro in At. 2, 38. 90 Altri prodigi, il supporto delle spettatrici e la notizia della morte di Trifena, in realtà solo svenuta, convincono il governatore a liberarla. Tecla si traveste da uomo e si rimette in viaggio alla ricerca di Paolo per comunicargli l’intenzione di fare ritorno in patria e lui la congeda dicendole: “Va' e insegna la parola di Dio”100. Tecla svolge così la sua missione evangelizzatrice a Seleucia per addormentarsi, infine, in un sonno beato.101 La stesura originale del testo è in greco ma esistono anche codici con traduzioni latine e papiri con versioni copte e slave.102 Per Giannarelli sarebbe riduttivo considerare l’opera una semplice trascrizione cristiana di un romanzo antico, anche se del genere presenta sicuramente molti elementi come le peripezie, il travestimento e il lieto fine. Interessante è, infatti, anche il retroterra filosofico e dottrinale.103 L’influsso più vistoso è quello dell’encratismo: in questa direzione spingono soprattutto i discorsi di Paolo in casa di Onesicrito, con l’attribuzione della beatitudine ai continenti e a coloro che conservano la carne casta. L’aspetto più spiazzante, anche per la Chiesa antica, è tuttavia rappresentato dalla figura stessa della protagonista, con l’autobattesimo e la progressiva assimilazione a una vera e propria apostola.104 La Chiesa infatti non ha mai ammesso che una persona possa battezzarsi da sola e qui c'è l'aggravante che si tratta di una donna che impartisce il sacramento a se stessa.105 Tertulliano, verso il 200 d.C., nel De baptismo si scaglia contro delle donne che rivendicavano il loro diritto a insegnare e battezzare basandosi proprio sull’esempio di Tecla.106 100 Acta Pauli et Theclae, 41. Il finale è attestato in più versioni. Secondo i codici A, B e C dei medici di religione greca vogliono corrompere Tecla pensando che sia una guaritrice di Artemide, così si apre una voragine nella roccia che la inghiotte e la porta a Roma, alla tomba di Paolo, presso la quale si addormenta. Nel codice G invece la roccia si apre per salvarla da dei giovani che volevano abusare di lei. Per il prospetto dettagliato dei codici e dei papiri vd. Moraldi, 1971, pp. 1078-1079. 101 102 Ibid. 103 Giannarelli, 1991, pp. 193-194. 104 Giannarelli, 1991, p. 194. 105 Ivi, p. 202, nota 42. 106 Tert. De bapt. 17, 4-5. 91 Nella vicenda di Tecla si trovano condensati i motivi ricorrenti nella descrizione delle martiri (anche se il suo è più un, anzi, sono più due, martirii mancati!): la verginità, il rifiuto dei vincoli familiari tradizionali, il ruolo esemplare e il topos della virilizzazione. Tecla diventa una mulier virilis anche attraverso la rinuncia a segni esteriori di femminilità. Essa si priva dei gioielli per corrompere il carceriere, si taglia i capelli quando decide di seguire Paolo e alla fine si mette alla sua ricerca vestita da uomo: “il raggiungimento della fede presuppone l'abbandono di ciò che è consueto e il sacrificio degli aspetti più mondani legati all'essere donna”107. Attorno alla figura di S. Tecla si sviluppò un fiorente culto diffuso in tutto il Mediterraneo. Al centro c’era il santuario di Hagia Thekla, sorto nei pressi di Seleucia, in Asia Minore, meta di pellegrinaggi di donne come le ascete Marana e Cyra vissute nel V sec.108 La devozione è attestata da molte testimonianze materiali anche in Egitto, come il dipinto della Cappella dell’Esodo nella necropoli di El Bagawat che riproduce la scena del rogo.109 107 Giannarelli, 1991, p. 195. 108 Davis, 2001, p. 5. 109 Iggins, 2019, pp. 72 e 80. 92 3.3.2. Passio Perpetuae et Felicitatis La Passio Perpetuae et Felicitatis narra la storia dell’incarcerazione e del martirio di un gruppo di giovani catecumeni avvenuto a Cartagine il 7 marzo del 203 d.C., genetliaco dell’imperatore Geta.110 Oltre a Perpetua e Felicita del gruppo facevano parte quattro uomini: Revocato, Saturnino, Secondolo e il catechista Saturo. Del documento abbiamo due redazioni, una latina e una greca. Quest’ultima è stata scoperta nel 1889 da Rendel Harris, che la pubblicò nel 1890 in collaborazione con Gifford. Quale delle due sia quella originaria è stata una questione discussa, a oggi prevale l’opinione che il testo sia stato composto in latino e che sia stato, molto presto, tradotto in greco.111 Ci sono anche degli Atti minori o brevi editi da Valesius nel 1664 che con tutta probabilità costituiscono un rifacimento posteriore di IV sec. ca. La peculiarità del testo da un punto di vista strutturale è la polifonia di voci sottesa alla narrazione, quella di Perpetua, di Saturo e dell’anonimo redattore del testo, come risulta dallo schema ripreso da Shaw: Editor's Introduction to the document (1-2) a) Statement concerning the theological status of the document (1) b) Introduction to the principal characters of the drama (2) Perpetua’s account of her arrest, imprisonment, and life in prison to the point of her execution "written in her own hand" (3-10) (a) Arrest and first encounter with her father (3) (b) First vision (4) (c) Second encounter with her father (5) (d) Trial scene and third encounter with her father (e) Visions of Dinocrates (7-8) (f) Life in prison and final encounter with her father (g) Vision of personal combat in the arena (10) L’indicazione temporale è esplicitata dallo stesso testo della Passio, per ulteriori dettagli sulla datazione vd. Barnes, 1968, pp. 509-531. 110 111 Mazzucco, 1989, p. 142. 93 Vision of Saturus: One of Perpetua's fellow prisoners "written in his own hand" (11-13) Editor's account of the fate of Perpetua and her fellow prison (14-21) (a) General statement on the fidelity of the documents (14) (b) Report of the fate of Felicitas (15) (c) Report on the execution of the prisoners in the amphitheatre (16-21.10) (d) Peroration on the significance of the martyrdom112 La parte del diario di Perpetua (capp. 3-10) costituisce, inoltre, l’unico scritto di prosa latina composto da una donna a noi pervenuto e, al contempo, il solo diario intimo giuntoci dall’antichità (oltre ai Discorsi sacri del retore Elio Aristide di III sec. d.C.).113 Per quanto riguarda la figura del redattore, c’è una controversa ipotesi che lo identifica con Tertulliano per il presunto orientamento montanista dell’incipit del testo, caratterizzato da una forte tensione profetica e in cui si afferma che gli avvenimenti recenti (nova documenta) devono avere valore di esempio per i credenti come le antiche testimonianze (vetera exempla) raccolte nella Bibbia.114 Tuttavia l’analisi stilistica non sembra pendere a favore di tale attribuzione e inoltre, in un passo del De anima (55, 4), l’apologista fa riferimento alla Passio in modo errato, attribuendo a Perpetua un elemento della visione di Saturo.115 C’è anche la possibilità che l’anonimo autore sia stato un testimone oculare del martirio, forse il diacono Pomponio più volte citato da Perpetua116, anche se A. A. R. Bastiaensen lo esclude perché quando nella prefazione riecheggia 1 Giov 1, 1 vidimus è sostituito con audivimus e dice di avere tra le sue mani gli scritti dei martiri Perpetua e Saturo (contrectavimus).117 112 Shaw, 1993, p. 21. 113 Formisano, 2008, p. 15. 114 Formisano, 2008, p. 14. 115 Ivi, p. 19. 116 Passio Perpetuae et Felicitatis 3, 7; 6, 7; 10, 1. 117 Bastiaensen, 1987, p. 414, note 27-30. 94 Discussa è stata, allo stesso modo, l’autenticità del diario di Perpetua per difficoltà di carattere materiale: come avrebbe potuto stendere le proprie memorie in condizioni così precarie come quelle della prigionia? Tuttavia è ampiamente attestato che i martiri in prigione potessero comunicare attraverso lettere con il mondo esterno e, nel caso di Perpetua, ella stessa afferma di potersi recare per qualche ora al giorno in meliorem locum carceris118 dove è possibile che abbia trovato modo di stendere le sue note.119 La valenza storica della vicenda è confermata da alcune iscrizioni, dalla già citata allusione di Tertulliano nel De anima e da numerose altre presso autori posteriori, soprattutto Agostino.120 La protagonista e “co-autrice” della Passio, Vibia Perpetua, è una donna romana di nobili origini, ha 22 anni e un figlio lattante. Della sua famiglia di origine vengono menzionati il padre, la madre e due fratelli (di cui uno pure catecumeno), mentre del marito il testo della Passione non dà nessuna informazione.121 Felicita è invece una donna di umili condizioni122, incinta: la sua sorte è raccontata dal redattore nella sezione finale della Passio. Felicita partorisce per “grazia” divina all’ottavo mese in quanto non era consentito sottoporre alla pena donne incinte (cap. 15). Secondo il diritto romano, infatti, il figlio innocente doveva essere risparmiato in caso di condanna della madre.123 Il gruppo di cristiani viene infine condannato ad bestias, le due donne vengono esposte nell’anfiteatro di Cartagine a una vacca inferocita, animale inusuale per questa circostanza ma che “il diavolo aveva preparato […] per evocare una somiglianza tra il sesso delle vittime e quello della bestia”124. 118 Passio Perpetuae et Felicitatis 3, 8. 119 Formisano, 2008, p. 20. Bastiaensen, 1987, p. 19. Per la lista delle iscrizioni e delle citazioni Bastiaensen rimanda a C. Van Beck, 1936, Passio sanctarum Perpetuae et Felicitatis. Textum graecum et latinum, p. 149 e ss. 120 121 Mazzucco, 1989, p. 120. Opinione comune è che fosse la schiava di Perpetua ma ciò in realtà non è esplicitato nel testo, vd. Formisano, 2008, p. 16. 122 123 Ivi, p. 114, nota 150. 124 Passio Perpetuae et Felicitatis, 20, 1. 95 Tutti però escono miracolosamente illesi dal combattimento e muoiono decapitati, Perpetua per ultima e guidando lei stessa la spada esitante di un gladiatore inesperto alla gola: “forse non avrebbe potuto essere uccisa altrimenti una così grande donna, lei che era temuta dallo spirito immondo [il diavolo], se non lo avesse voluto ella stessa"125. Perpetua si racconta in prima persona come una donna che, attraverso la libera scelta di fede, prende sempre più coscienza di se stessa in un percorso di “empowerment through suffering”126. Già nel primo incontro con il padre pagano, che vuole indurla a rinnegare il cristianesimo, Perpetua oltrepassa la logica gerarchica del paterfamilias: «Pater», inquam, «vides verbi gratia vas hoc iacens, urceolum sive aliud?» Et dixit: «Video». Et ego dixi ei: «Numquid alio nomine vocari potest quam quod est?» Et ait: «Non». «Sic et ego aliud me dicere non possum nisi quod sum, Christiana». Io gli dissi: “Padre mio, vedi per esempio questo vaso qui per terra, questa brocca o qualsiasi cosa essa sia?” Lui rispose che sì, lo vedeva. Allora io dissi: “Lo si potrebbe chiamare con un nome diverso da quello che è?” Lui rispose di no. Ed io: “Alla stessa maniera nemmeno io posso dirmi diversamente da ciò che sono: cristiana!”127 Il rifiuto della parentela di sangue significa allo stesso tempo l’apertura a una nuova rete di affetti, a una parentela in senso evangelico.128 Questo processo, nella coscienza della narratrice, si svolge attraverso le relazioni che si instaurano tra gli accadimenti vissuti e le visioni, “tra la realtà e la sua reinterpetazione alla luce della fede”129. 125 Passio Perpetuae et Felicitatis, 21, 10. 126 Perkins, 1994, p. 3. 127 Passio Perpetuae et Felicitatis, 3, 1-2. Per es. Mc. 3, 34-35: Ma egli [Gesù] rispose loro: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?". Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: "Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”. 128 129 Mazzucco, 1989, p. 128. 96 Il padre potrebbe essere nella prima visione il serpente che cerca di ostacolare la salita al giardino celeste.130 Perpetua poi, giunta al giardino, trova un altro Padre, benevolo e accogliente, rappresentato da un pastore canuto131 che la saluta con un “Sei la benvenuta, figlia” e le offre un pezzetto di formaggio, simbolo dell’eucaristia132.133 Perpetua in più occasioni dimostra le sue cure per i compagni di fede, come quando, per esempio, prende per mano Felicita colpita dalla vacca nell’anfiteatro.134 Addirittura suo fratello di sangue, che le riconosce la dignità di domina soror, diventa davvero suo fratello perché anche lui catecumeno.135 Le visioni rivestono grande importanza all’interno del diario di Perpetua in quanto dimostrano una conoscenza approfondita della Scrittura e non rappresentano solo ripiegamenti intimistici.136 La donna è consapevole che il loro valore trascende l’ambito personale e si impegna a comprenderle comunicandole agli altri: Et ad sonum vocis experrecta sum, conmanducans adhuc dulce nescio quid. Et retuli statim fratri meo; et intelleximus passionem esse futuram, et coepimus nullam iam spem in saeculo habere. E al suono di quelle voci mi ridestai, masticando ancora qualcosa di dolce. Subito raccontai quanto visto a mio fratello, ci fu chiaro che ci attendeva il martirio e da quel momento non avemmo più nessuna speranza in questo mondo.137 130 Passio Perpetuae et Felicitatis, 4, 4. Potrebbe essere Cristo, modellato sull’immagine di Ap. 1, 14, o Dio stesso, vd. Formisano, 2008, p. 89, nota 52. 131 132 Ivi, pp. 90-91, nota 57. 133 Passio Perpetuae et Felicitatis, 4, 8-9. 134 Passio Perpetuae et Felicitatis, 20, 6. 135 Passio Perpetuae et Felicitatis, 4, 1. 136 Mazzucco, 1989, pp. 132-133. 137 Passio Perpetuae et Felicitatis, 4, 10. 97 Il redattore stesso interpreta le visioni come la manifestazione di un carisma divino.138 Poi Tertulliano, nel De Anima, si rifarà all’esperienza visionaria di Perpetua e nell’ambiente ciprianeo sarà oggetto di profonda meditazione e influenzerà quella di altri martiri.139 Infine, bisogna tenere conto che “visione più interpretazione costituiscono la profezia”: gli eventi che poi si realizzano confermano le interpretazioni della martire, alla quale è concesso il dono di rivelazioni ultraterrene.140 Nella visione che le annuncia prossimo il martirio, Perpetua viene trasformata in uomo per affrontare il demonio, che prende le forme di un egizio: sul piano dell'immaginario, la mascolinità è ancora una volta simbolo di forza e perfezione.141 Anche se, per C. Mazzucco, ciò non sarebbe comunque da interpretare come un rifiuto della femminilità da parte della narratrice. Come già notato precedentemente, si tratterebbe di un motivo simbolico non solo cristiano legato all’idea di promozione spirituale della donna, seppur secondo il modello virile dominante: È un fatto che, anche sul piano esistenziale e sociale, tutta l’esperienza di Perpetua è esperienza di lotta e di una lotta che esige il superamento dei condizionamenti legati al sesso femminile, esige un combattimento ad armi pari con tutti gli ostacoli e gli avversari.142 Da un punto di vista narrativo e di costruzione dell’identità della martire attraverso il corpo, la Perpetua che parla di se stessa in prima persona è molto diversa da quella presentata dal redattore.143 138 Passio Perpetuae et Felicitatis, 1, 3-5. 139 Mazzucco, 1989, p. 134. 140 Carfora, 2018, pp. 120-124. 141 Consolino, 1992, p. 102. 142 Mazzucco, 1989, p. 124. 143 Formisano, 2008, p. 55. 98 La donna non esita a parlare di particolari fisici molto intimi: quando le viene sottratto il figlio dice di non provare più dolore ai seni144 e quando, sempre durante la visione dell’egiziano, prima di combattere contro di lui, racconta che il suo corpo nudo viene massaggiato con olio da avvenenti assistenti.145 Il redattore, invece, la descrive attribuendole più pruderie, secondo le sue aspettative di come una donna e una martire dovrebbero essere. Nello scontro con la vacca Perpetua viene ritratta nell’atto di ricomporsi le chiome e di tenere insieme lo strappo nella tunica che le scopriva i fianchi, pudoris potius memor quam doloris, “ricordandosi più del pudore che del dolore"146. 144 Passio Perpetuae et Felicitatis, 6, 8. 145 Passio Perpetuae et Felicitatis, 10, 6-7. 146 Passio Perpetuae et Felicitatis, 20, 4. 99 3.3.3. Passio Anastasiae La Passio Anastasiae (PA) fa parte di in un ciclo composto da quattro Passiones diverse147, che nel loro complesso danno vita a una sorta di ciclo agiografico romanzesco.148 La PA si può annoverare tra le cosiddette passioni epiche, contraddistinte da complessi intrecci ricchi di personaggi di contorno, peripezie e elementi prodigiosi.149 Anastasia è figlia del vir illustris Pretestato e della cristiana Fausta, vive a Roma e è sposata con il pagano Publio. Anche se di condizione sociale elevata, indossa vesti umili e suole far visita ai cristiani incarcerati, tra i quali Crisogono. Finge anche di essere malata per sottrarsi all’unione con il marito che, venuto a sapere delle visite a Crisogono, la chiude in casa. Poi Publio muore durante una legatio in Persia, così Anastasia si spoglia dei suoi averi e torna al servizio della comunità. L’imperatore Diocleziano, da Aquileia, ordina di uccidere tutti i cristiani incarcerati a Roma tranne Crisogono, che convoca presso di sé per offrirgli cariche prestigiose se rinnegherà Dio, ma l’uomo si rifiuta e viene decapitato. Le sorelle Agape, Chionia e Irene, con il presbitero Zoilo, recuperano i suoi resti e li seppelliscono. Crisogono appare a Zoilo predicendo la cattura delle giovani e l’arrivo di Anastasia, che rende omaggio al corpo. Diocleziano convoca allora le sorelle che vengono messe in carcere e incarica Dulcizio di torturare chi non vuole compiere i sacrifici, ma il collaboratore finisce per invaghirsi delle tre giovani e tenta di piegarle, invano, ai suoi turpi intenti. Allora ordina che siano spogliate in pubblico, tuttavia miracolosamente le vesti non si sfilano. Le due maggiori sono infine bruciate (i loro corpi rimangono intatti e vengono seppelliti da Anastasia), mentre Irene, malgrado due angeli sotto sembianze di soldati tentino di salvarla, muore colpita da una freccia. La Passio di Crisogono (2-9), la Passio di Agape, Chionia e Irene (10-18), la Passio di Teodota (e 19-31), e la Passio di Anastasia (32-36). 147 148 Moretti, 2006, p. 8. 149 Ivi, p. 12. 100 A Diocleziano viene poi condotta la cristiana Teodota dal comes Leucadio, che la chiede in moglie: lei finge di accettare e si dedica con Anastasia a curare i cristiani. Intanto, l’imperatore dà ancora l’ordine di uccidere tutti i prigionieri durante la notte. Anastasia, trovando le carceri vuote, scoppia a piangere e ammette la sua fede: viene portata dal prefetto Probo, che riconosce la figlia di Pretestato. Diocleziano decide di darla in moglie al pontefice massimo Ulpiano che, quando prova a abbracciarla, rimane accecato e poco dopo muore. Anastasia così si ricongiunge a Teodota, sotto pressione per le nozze con Leucadio. La donna continua a rifiutarsi di omaggiare gli dei e viene affidata a Irtaco affinché la esponga fra le meretrici, ma dal suo naso inizia a uscire copioso sangue perché - dice lui - un giovane vestito di bianco lo ha preso a pugni. Alla fine Teodota e i suoi figli sono arsi vivi a Nicea. Anastasia, incarcerata, è sottoposta a un duro regime di prigionia e viene imbarcata insieme al cristiano Eutichiano su una nave carica di malfattori destinata a naufragare. Teodota appare a Anastasia e le mostra Eutichiano, suo prossimo compagno di martirio. Mentre lui prega, tutti si convertono e sono battezzati. Sopravvissuti al naufragio, i due approdano su un’isola dove sono relegati molti cristiani e dei pescatori riferiscono che Anastasia si è salvata. Salda nella fede, viene infine condannata e bruciata viva. La matrona Apollonia, grazie all’intervento della moglie del prefetto, ottiene il suo corpo, lo seppellisce e fonda una basilica nel luogo della sepoltura, presumibilmente a Roma. Per F. E. Consolino molti elementi della vicenda, più che al tempo delle persecuzioni dioclezianee, rimanderebbero a un'epoca successiva, quando in molte famiglie aristocratiche la parte femminile, cristiana, si contrappose a quella maschile, non ancora convertita.150 Costretta a sposare il pagano Publio, Anastasia, simulata infirmitate, si astiene dai rapporti coniugali151: la castità è un tema che assume importanza centrale soprattutto negli ultimi decenni del IV secolo. 150 Consolino, 1984, p. 91-95. 151 Passio Anastasiae, 2. 101 Anche lo stretto legame spirituale tra Anastasia e Crisogono ricorda quello tra asceti come Girolamo o Pelagio a Roma e le loro discepole. E come Paola raggiungerà Girolamo in Terrasanta, così Anastasia seguirà Crisogono nel viaggio che lo porterà al martirio.152 Proprio in questo contesto si evidenzia che Anastasia viriliter agebat nonostante fosse, all’apparenza, nobilis et delicatissimi corporis femina: anche in questa passione è rintracciabile il topos della virilizzazione. Inoltre il prefetto Probo, durante l’interrogatorio, dice che l’imputata è colpevole di aver alienato il suo immane patrimonium in favore dei poveri.153 L’accusa è atipica rispetto al copione classico delle passioni e anche in ciò si potrebbe vedere un riflesso del periodo storico dell’anonimo agiografo: nel Codice Teodosiano è attestato il tentativo di impedire i testamenti di vedove in favore della Chiesa, che non ebbe successo, ma che tradisce una situazione di difficoltà per l’accrescersi di beni sottratti alla tassazione imperiale.154 Ancora, le tre sorelle Agape, Chionia e Irene si trovano a dover scegliere fra la salvezza della vita e la conservazione della castitas: fu una questione molto dibattuta durante le incursioni dei barbari, quando si discuteva se si dovesse considerare colpa della donna una violenza subita involontariamente e se fosse lecito ricorrere al suicidio per evitarla.155 Nella passioni romane il meraviglioso, retaggio anche del romanzo greco, è una presenza costante, ma sarebbe riduttivo liquidare questi prodotti letterari sotto l’etichetta di “religiosità popolare”, senza considerarli specchi di aspetti importanti della religiosità tardoantica: 152 Passio Anastasiae, 8. 153 Passio Anastasiae, 23. Consolino, 1984, p. 94, nota 47 fa riferimento a CTh. 16, 2, 27 legge del 12 giugno 390. Secondo questa legge le vedove per diventare diaconesse devono avere sessant’anni compiuti e lasciare ogni possesso ai legittimi eredi. Morendo, non possono designare come eredi nullam Ecclesiam, nullum clericum, nullum pauperem. La legge fu revocata appena due mesi dopo, il 23 agosto 390 (CTh. 16, 2, 28). 154 155 Moretti, 2006, p. 21. 102 Solo un atteggiamento molto disposto a cogliere l’intervento di Dio e la presenza del prodigio nella vita quotidiana poteva permettere a scrivente e destinatario di accettare per vera una storia che agli occhi di noi moderni ha tutti i caratteri dell’inverisimiglianza.156 156 Consolino, 1984, p. 113. 103 Conclusione Il fenomeno del martirio femminile nel cristianesimo antico si presta, come spero di aver trasmesso almeno in parte in questo lavoro, a diverse prospettive di studio, dalla storia di genere a quella delle religioni, dall’antropologia alla letteratura. In base alla lente attraverso la quale scegliamo di guardare alle testimonianze sulle martiri di cui disponiamo il fenomeno acquista diverse sfumature e livelli di profondità, che si infittiscono ulteriormente aprendo lo sguardo alle complesse dinamiche del periodo di formazione del cristianesimo come religione distinta dall’ebraismo e poi del tardoantico, con l’affermazione della società cristiana nei territori dell’impero romano. L’arco temporale considerato è molto ampio e denso di eventi e trasformazioni, che si sono riflesse anche sulla narrazione degli acta martyrum e sulla costruzione letteraria della figura delle martiri: se durante le persecuzioni l’enfasi era sulla forza e sul coraggio “virile” di cui grazie alla fede queste donne erano capaci, con il fine di fornire esempi di resistenza agli altri membri della comunità, con il IV secolo emerge il concetto del sine cruore martyrium, che vede nella verginità e nella castità i valori più importanti ai quali una donna cristiana può aspirare. Ho anche cercato di mettere in evidenza come sia dal punto di vista letterario che storico-antropologico il martirio cristiano possa essere messo in parallelo sia con il mondo ebraico che con quello “pagano”, e come il confronto tra queste realtà sia tanto complesso per noi da mettere a fuoco quanto affascinante. Oltre i punti convergenti e divergenti che possiamo individuare tra questi gruppi, le definizioni e i nomi che giustamente cerchiamo di dare alle cose per affinare la nostra conoscenza dell’antichità, c’è sempre la complessità delle interazioni umane reali, che nei loro incontri, scambi e scontri sfuggono da ogni classificazione a compartimenti stagni. Così come ricco di sfumature e contrasti è stato il ruolo della donna - o meglio, sono stati i ruoli delle donne - nel cristianesimo antico, che dobbiamo investigare oltre le parole degli scrittori cristiani, spesso più prescrittive di modelli di comportamento ideali che descrittive della effettiva realtà dei fatti. 104 In conclusione, ho provato a studiare il fenomeno del martirio femminile cercando di tenermi quanto più possibile lontana da anacronismi e dal proiettare nel passato le nostre categorie di pensiero, ma allo stesso tempo volendo integrare l’apporto della storia di genere e della riflessione storica femminista. Nella convinzione che le storie del passato sopravvissute alla forza del tempo celino una potenza intrinseca che vale la pena continuare a indagare ancora e ancora per conoscerci meglio come esseri umani. 105 Indice delle fon Acta martyrum Acta Martyrum Scilitanorum Bas aensen, A. A. R. et al. (eds.) (1987) 2014. A e Passioni dei Mar ri. Segrate, Milano: Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori. Acta Pauli et Theclae Moraldi, L. 1971. Apocri del Nuovo Testamento. Vol. II. Torino: UTET. Martyrium Polycarpi Bas aensen, A. A. R. et al. (eds.) (1987) 2014. A e Passioni dei Mar ri. Segrate, Milano: Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori. Passio Anastasiae More , P. F. (ed.) 2006. La Passio Anastasiae. Roma: Herder. Passio Perpetuae et Felicita s Formisano, M. (ed.) 2008. La Passione di Perpetua e Felicita. Segrate, Milano: BUR Rizzoli. Passio SS. Mariani et Iacobi Musurillo, H. (ed.) 1972. The Acts of the Chris an Martyrs. Oxford: Oxford University Press. Passio SS. Montani et Luci Musurillo, H. (ed.) 1972. The Acts of the Chris an Martyrs. Oxford: Oxford University Press. ti ti tti tti ti ti ti fi ti tti ti ti 106 Tes biblici BibbiaEDU. [h ps://www.bibbiaedu.it/] Altre fon Nota: quando per il testo in lingua originale e la traduzione si è fa o riferimento a due edizioni diverse è citata per prima la fonte del testo originale mentre per seconda la traduzione. Ambr. Parad. Ambrogio. 1984. “Il Paradiso Terrestre”, in Tu e le Opere di Sant’Ambrogio. K. Schenkl e P. Siniscalco (eds.), Roma: Ci à Nuova. Clem. Al. Strom. Clemente Alessandrino. 2006. Gli Stroma . M. Rizzi e G. Pini (eds.), Milano: Edizioni Paoline. Cypr. Ep. Cipriano di Cartagine. 2006. Le ere. C. Moreschi (ed.), Roma: Ci à Nuova. Cypr. Hab. virg. Cipriano di Cartagine. 2009. Opuscoli. Vol. 1, M. Veronese (ed.), Roma: Ci à Nuova. Dio Cass. St. rom. Cassio Dione. 2000. Storia romana. Volume se mo. Libri LXIV-LXVII. A. Stroppa (ed.), Segrate, Milano: BUR Rizzoli. Eus. Hist. eccl. Eusebius. 1926-1932. The Ecclesias cal History. K. Lake, J.E.L. Oulton e H.J. Lawlor (eds.), William Heinemann; G.P. Putnam's Press; Harvard University Press. London; New York; Cambridge, Mass. 1926-1932. [h ps:// www.perseus.tu s.edu/hopper/text?doc=urn:cts:greekLit:tlg2018.tlg002] tt tt tt tt tti tt t tt ti tt ft tt ti ti 107 Eusebio di Cesarea (2001) 2005. Storia Ecclesias ca. F. Migliore e S. Borzì (eds.), 2 voll., Roma: Ci à Nuova. Eus. V. Const. Eusebio di Cesarea. 2009. Vita di Costan no. L. Franco (ed.), Segrate, Milano: BUR Rizzoli. Hier. Ep. San Gerolamo. 1989. Le ere. R. Palla (ed.), Segrate, Milano: BUR RIzzoli. Met. Simp. Metodio d’Olimpo. 2000. La Verginità. A. Normando (ed.), Roma: Ci à Nuova. Or. Cel. Origene. 1975. I Principi, Contra Celsum e Altri Scri Filoso ci. M. Simone (ed.), Firenze: Sansoni. Or. Exhort. mart. Origene. 1985. Esortazione al Mar rio. C. Noce (ed.), Roma: Urbaniana University Press. Pall. Hist. laus. Palladius. 1918. The Lausiac History. Versione ele ronica a. c. di R. Pearse, 2003. [h ps://www.tertullian.org/fathers/palladius_lausiac_02_text.htm#PREFACE] Plin. Ep. Pliny the Younger. Le ers. Perseus Digital Library. [h ps:// anastrophe.uchicago.edu/cgi-bin/perseus/citequery3.pl? dbname=La nAugust21&query=Plin.%20Ep.&ge d=0] Plinio il Giovane. Epistolarum Libri Decem, X, 97, trad. it. a. c. di A. Nicolo . [h ps://professoressaorru. les.wordpress.com/2016/04/le era-a-traiano.pdf] tti tti tt fi tt tt tti tt ti ti ti ti fi tt tt tt ti tt tt 108 Sen. Ad Helv. Seneca. 2004. La Consola o ad Helviam matrem con un'antologia di tes . A. Cotrozzi (ed.), Carocci: Roma. Tert. Apol. Tertullian, Apologe cum. Perseus Digital Library. [h ps:// anastrophe.uchicago.edu/cgi-bin/perseus/citequery3.pl? dbname=La nAugust21&query=Tert.%20Apol.&ge d=0] Tertulliano. 1951. Apologe co. O. Tescari (ed.), versione ele ronica a c. di A. Marchini. [h ps://www.tertullian.org/italian/apologe cum.htm] Tert. De bapt. Tertulliano. 2011. Il Ba esimo. A. Carpin (ed.), Bologna: Edizioni Studio Domenicano. Tert. De carn. Christ. Tertullian. 1956. Tertulliani De Carne Chris Liber. Tertullian's Trea se on the Incarna on. The Text Edited, with an Introduc on, Transla on and Commentary. E. Evans (ed.), Londra: S.P.C.K. [h ps://tertullian.org/ar cles/evans_carn/ evans_carn_03la n.htm, h ps://tertullian.org/ar cles/evans_carn/ evans_carn_04eng.htm] Tert. De virg. vel. Tertulliano. 1957. “De Virginibus Velandis” in Corpus Scriptorum Ecclesias corum La norum 79, V. Bulhart (ed.), Vienna: Hölder-Pichler-Tempsky. [h ps:// www.tertullian.org/la n/de_virginibus_velandis.htm] Tert. Praescr. haer. Tertulliano. 1929. De Praescrip one Haere corum. G. Mazzoni (ed.), Siena: Ezio Cantagalli. [h ps://www.tertullian.org/italian/ de_praescrip one_haere corum.htm] ti t ti tt tt ti ti ti tt ti ti ti ti ti tt ti tt ti ti ti tt ti ti ti ti tt ti tt ti ti 109 Vang. Tom. Meyer, M. W. (ed.) 2009. The Gospel of Thomas: The Hidden Sayings of Jesus. New York: Harper Collins. Erbe a, M. (ed.) 1966. Gli Apocri del Nuovo Testamento. Torino: Marie . Vita Melan. Vita di S. Melania, trad. it. a c. di A. D. Falcucci dal fr. “Vie de Sainte Mélanie” in Sources Chré ennes 90, D. Gorce (ed.), Parigi: Les Edi ons du Cerf, 1962. [h ps:// www.gliscri .it/melania/tes /geronzio.htm] tt tti ti fi ti ti tti tt 110 Bibliogra a Ashbrook Harvey, S. 2005. “The Daughters of the Covenant. Women’s Choirs and Sacred Songs in Ancient Syriac Chris anity”, in Hugoye: Journal of Syriac Studies 8 (2), 125-149. [h ps://hugoye.bethmardutho.org/ar cle/hv8n2harvey] Aune, D. E. 1996. La Profezia nel Primo Cris anesimo e il Mondo Mediterraneo An co. Brescia: Paidea. Aulisa, I. 2020. “Pellegrinaggi Femminili tra Tarda An chità e Medioevo: Donne e Sante Pellegrine al Gargano.”, in Siponto e Manfredonia nella Daunia, L. Pellegrino (ed.), Manfredonia, Foggia: Andrea Pacilli Editore, 93-123. Aulisa, I. 2000. “Profezia Femminile ed Episodi di Violenza nei Primi Secoli del Cris anesimo.”, in Adivinación y Violencia en el Mundo Romano. A del Convegno Internazionale “Adivinación y Violencia en el Mundo Romano”, S. Montero Herrero e S. Perea Yébenes (eds.), Salamanca: Ediciones Universidad de Salamanca, 227-54. Avanzinelli, M. V. 2005. “Le Donne e la Violenza del Sacro: Storie dalla Bibbia.” Religioni e Società 51, Firenze: Firenze University Press, 22-36. Barnes, T. D. 1968. “Pre-Decian Acta Martyrum.”, in The Journal of Theological Studies 19 (2), 509-31. [h ps://www.jstor.org/stable/23958577] Bas aensen, A. A. R. et al. (eds.) (1987) 2014. A e Passioni dei Mar ri. Segrate, Milano: Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori. Bickerman, E. 2007. “The God of the Maccabees Studies on the Meaning and Origin of the Maccabean Revolt.”, in Studies in Jewish and Chris an History (2 voll.), 1025-1041. [h ps://doi.org/10.1163/ej.9789004152946.i-1242.290] ti tti ti ti ti tti ti ti tt tt tt fi ti ti ti 111 Blossom, S. 2010. “Becoming Men, Staying Women: Gender Ambivalence in Chris an Apocryphal Texts and Contexts.”, in Feminist Theology 18 (3), 341-55. [h ps://doi.org/10.1177/0966735009360432] Boyarin, D. 1998. “Martyrdom and the Making of Chris anity and Judaism.”, in Journal of Early Chris an Studies 6 (4), 577-627. [h ps://doi.org/10.1353/ earl.1998.0053] Bowersock, G. W. 2002. Martyrdom and Rome. Cambridge: Cambridge University Press. Brooten, B. J. 1982. Women Leaders in the Ancient Synagogue. Inscrip onal Evidence and Background Issues. Atalanta, Georgia: Brown Judaic Studies. Brooten, B. J. 1986. “Jewish Women’s History in the Roman Period: A Task for Chris an Theology.”, in The Harvard Theological Review 79 (1/3), 22-30. [h p:// www.jstor.org/stable/1509397] Brown, P. 1996. Il Sacro e l’Autorità. La Cris anizzazione del Mondo Romano An co. Roma: Donzelli Editore. Carfora, A. 2018. La Passione di Perpetua e Felicita. Donne, Mar rio e Spe acolo della Morte nel Cris anesimo delle Origini. Trapani: Il Pozzo di Giacobbe. Cecconi, G. A. (2009) 2018. La Ci à e l’Impero. Una Storia del Mondo Romano dalle Origini a Teodosio Il Grande. Roma: Carocci Editore. Castelli, E. 1986. “Virginity and Its Meaning for Women’s Sexuality in Early Chris anity.”, in Journal of Feminist Studies in Religion 2 (1), 61-88. [h ps:// www.jstor.org/stable/25002030] tt tt ti tt ti ti tt ti tt ti ti ti ti ti ti tt 112 Castelli, E. 1991. “I Will Make Mary Male. Pie es of the Body and Gender Transforma on of Chris an Women in Late An quity.”, in Body Guards. The Cultural Poli cs of Gender Ambiguity, J. Epstein e K. Straub (eds.), New York: Routledge, 29-49. Castelli, E. A. 2004. Martyrdom and Memory. Early Chris an Culture Making. USA: Columbia University Press. Cobb, L. S. 2008. Dying to Be Men: Gender and Language in Early Chris an Martyr Texts. New York: Columbia University Press. Consolino, F. E. 1984. “Modelli di San tà Femminile nelle Più An che Passioni Romane.”, in Augus nianum 24 (1), 83-113. [h ps://doi.org/10.5840/ agstm1984241/25] Consolino, F. E. 1986. “Modelli di Comportamento e Modi di San cazione per l’Aristocrazia Femminile d’Occidente”, in Società Romana e Impero Tardoan co I, A. Giardina (ed.), Bari: Laterza, 273-306. Consolino, F. E. 1992. “La Donna negli Acta Martyrum.”, in La Donna nel Pensiero Cris ano An co, U. Ma oli (ed.), Genova: Marie , 95-117. Corsini, E. 2002. Apocalisse di Gesù Cristo Secondo Giovanni. Torino: SEI. Davis, S. J. 2001. The Cult of Saint Thecla: A Tradi on of Women’s Piety in Late An quity. Oxford; New York: Oxford University Press. Destro, A. e M. Pesce 2011. “Dentro e Fuori le Case. Mutamen del Ruolo delle Donne dal Movimento di Gesù alle Prime Chiese.”, in I Vangeli, Narrazioni e Storia, M. Navarro e M. Perroni (eds.), Trapani: Il Pozzo di Giacobbe, 290-309. ti ti fi ti ti ti ti ti tti ti tt ti ti ti tti ti ti ti ti ti ti 113 Devo , D. 1992. “Alle Origini del Monachesimo Femminile: tra Follia e San tà.”, in La Donna nel Pensiero Cris ano An co, U. Ma oli (ed.), Genova: Marie , 183-221. Elm, S. 1994. Virgins of God: The Making of Asce cism in Late An quity. Oxford: Clarendon Press. Erbe a, M. (ed.) 1966. Gli Apocri del Nuovo Testamento. Torino: Marie . Esposito, B. M. 2019. “Mar rio e Tes monianza. L’Ambivalenza del Conce o Cris ano di Mar rio.”, in “La Semio ca Del Mar rio”, Lexia. Rivista di Semio ca 31/32, M. Leone (ed.), Canterano, Roma: Aracne Editrice, 81-102. Formisano, M. (ed.) 2008. La Passione di Perpetua e Felicita. Segrate, Milano: BUR Rizzoli. Franchi, R. 2009. “In Nome della Verità e dei Valori. Il Coraggio delle Mulieres Pagane e Cris ane di Fronte alla Violenza.”, in Helmán ca 182, 259-82. [h ps:// summa.upsa.es/high.raw?id=0000029424&name=00000001.original.pdf]. Franchi, R. 2021. “Women Martyrs, Animals and God’s Presence in Ancient Chris an Texts.” Helmán ca 72, 187-218. [h ps://summa.upsa.es/details.vm? q=id:0000146006] Frend, W. H. C. (1965) 2014. Martyrdom and Persecu on in the Early Church. Eugene, Oregon: Wipf & Stock Pub. Gallo, L. 1984. “La Donna Greca e la Marginalità.”, in Quaderni Urbina di Cultura Classica. New Series 18 (3), 7-51. [h ps://www.jstor.org/stable/20538841] Ge cken, J. 1910. “Die Christlichen Martyrien.”, in Hermes 45 (4), 481-505. Gia[h ps://www.jstor.org/stable/4473254] ti ti tt tt tti tti ti ti ti ti ti ti tti tt ti ti ti tt fi ti ti ti ti ti ti ti tt tt ti ff 114 Giannarelli, E. 1980. La Tipologia Femminile nella Biogra a e nell’Autobiogra a Cris ana del IV Secolo. Roma: Is tuto Storico Italiano per il Medioevo. Giannarelli, E. 1991. “Paolo, Tecla e la Tradizione della Cilicia Cris ana.”, in Quaderni Storici. Scambi e Iden tà Culturale: La Cilicia 26 (76, 1), 185-203. [h ps://www.jstor.org/stable/43778582] Giannarelli, E. 1995. “Fra Profezia Ignorata e Profezia Nascosta. La Storia Esege ca di Anna (Lc. 2, 36-38).”, in Donna, Potere e Profezia, A. Valerio (ed.), Napoli: Edizioni D’Auria, 61-63. Giannarelli, E. 1999. “La Donna nel Cris anesimo An co: fra Filoso a e Mito.”, in Donne Sante. Sante Donne. Esperienza Religiosa e Storia di Genere, Società Italiana delle Storiche (ed.), Torino: Rosenberg & Sellier, 99-117. Giannarelli, E. (1992) 2000. Egeria. Diario di Viaggio. Milano: Paoline. Giardina, A. 1994. “Melania la Santa.”, in Roma al Femminile, A. Frasche (ed.), 259-85. Roma: Laterza. Girard, R. (1972) 1980. La Violenza e il Sacro. Milano: Adelphi. Girard, R. (1978) 1996. Delle Cose Nascoste Sin dalla Fondazione del Mondo. Milano: Adelphi. Gryson, R. 1974. Il Ministero della Donna nella Chiesa An ca. Un Problema A uale nelle Sue Radici Storiche. Roma: Ci à Nuova. Gro anelli, C. 1988. “Uccidere, donare, mangiare: problema che a uali del sacri cio an co”, in Sacri cio e Società nel Mondo An co, C. Gro anelli e N. F. Parise (eds.), Bari: Editori Laterza, 3-53. fi tti tt fi ti tt ti fi ti ti ti tt ti ti ti fi ti ti fi ti tt tt tt 115 Herr, M. D. 1972. “Persecu ons and Martyrdom in Hadrian’s Days.”, in Scripta Hierosolymitana. Studies in History, Vol. XXIII, D. Asheri e I. Shatzman (eds.),Gerusalemme: Magnes Press, 85-125. Higgins, S. C. 2019. “St. Thecla and the Art of Her Pilgrims: Towards an Autonomous Feminine Aesthe c Praxis.”, in Journal of the Canadian Society for Cop c Studies 11 (September), 65-80. [h ps://doi.org/10.5913/ jcscs.2019.85674464] Hoxha, D. 2019. “Mascolinizzazione Giuridica. Appun fra Religione, Antropologia e Diri o.”, in Historia et Ius 15 (26), 1-17.[h ps://dx.doi.org/ 10.32064/15.2019.26] Kitzler, P. 2007. “Passio Perpetuae and Acta Perpetuae: Between Tradi on and Innova on.”, in Listy Filologické 130, 1-19. [h ps://www.researchgate.net/ publica on/ 265154265_Passio_Perpetuae_and_Acta_Perpetuae_Between_Tradi on_and_In nova on] Klawiter, F. C. 1980. “The Role of Martyrdom and Persecu on in Developing the Priestly Authority of Women in Early Chris anity. A Case Study of Montanism.”, in Church History 49 (3), 251-61. [h ps://doi.org/10.2307/3164448] Kraemer, R. S., 2004. Women’s Religions in the Greco-Roman World. A Sourcebook. Oxford: Oxford University Press. Lazza , G. 1956. Gli Sviluppi della Le eratura sui Mar ri nei Primi Qua ro Secoli. Con Appendice di Tes . Torino: Società Editrice Internazionale. Lemelin, I. 2022. À l’Origine des Femmes Martyres. La Mère de 2 Maccabées 7. Turnhout: Brepols. ti tt ti ti ti ti tt tt ti tt tt tt ti ti t ti ti tt ti ti ti 116 Manning, C. E. “Seneca and the Stoics on the Equality of the Sexes”, in Mnemosyne 26 (2), 170-177 [h ps://doi.org/10.1163/156852573X00404] Mar no Piccolino, G. 2010. “Il Diaconato Femminile nella Chiesa Primi va. Note di Esegesi Patris ca.”, in Diakonia, Diaconiae, Diaconato. Seman ca e Storia nei Padri della Chiesa, Roma: Is tutum Patris cum Augus nianum, 615-624. Ma oli, U. 1983. Astheneia e Andreia. Aspe della Femminilità nella Le eratura Classica, Biblica e Cris ana An ca. Roma: Bulzoni. Ma oli, U. 1987. “La Donna nel Pensiero Patris co”, in A del Convegno Nazionale di Studi “La Donna nel Mondo An co”, R. Uglione (ed.), Torino: Regione Piemonte - Assessorato Alla Cultura, 223-242. Ma oli, U. 1992. “La Donna nell’Esegesi Patris ca di Gen I-III”, in La Donna nel Pensiero Cris ano An co, U. Ma oli (ed.), Genova: Marie , 17-50. Mazzucco, C. 1989. E Fui Fa a Maschio. La Donna nel Cris anesimo Primi vo. Firenze: Le Le ere. Mimouni, S. C. 2015. “Histoire du Judaïsme et du Chris anisme An ques. Remarques Épistémologiques et Méthodologiques.”, in Les Judaïsmes dans Tous Leurs États aux Ier-IIIe Siècles (les Judéens des Synagogues, les Chré ens et les Rabbins). Actes du Colloque de Lausanne, 12-14 Décembre 2012, C. Clivaz, S. C. Mimouni e B. Pouderon (eds.), Turnhout: Brepols, 13-32. Moraldi, L. (ed.) 1971. Apocri del Nuovo Testamento. Torino: Utet. Moraldi, L. (ed.) (1993) 2004. I Vangeli Gnos ci. Milano: Adelphi. More , P. F. (ed.) 2006. La Passio Anastasiae. Roma: Herder. ti tt ti ti ti ti tti ti tti ti ti ti ti tti ti ti ti tti tt ti fi ti tt ti ti ti tt ti tti ti tti tti tti 117 Noce, C. 2015. “Donne e Violenza nella Storia Ecclesias ca e nei Mar ri di Pales na di Eusebio.”, in Storia Delle Donne 11, 85-108. [h ps://doi.org/ 10.13128/SDD-17997] Novembri, V. 2005. “L’Educazione delle Donne nel Cris anesimo An co. Fra Modelli Tradizionali e Nuovi Paradigmi.”, in Storia delle Donne 1, 187-200. [h ps://doi.org/10.13128/SDD-2018] Parks, S., S. Sheinfeld, e M. J. C. Warren. 2022. Jewish and Chris an Women in the Ancient Mediterranean. Abingdon, Oxon; New York: Routledge. Perkins, J. B. 1994. “The Passion of Perpetua. A Narra ve of Empowerment.”, in Latomus 53 (4), 837-47. [h ps://www.jstor.org/stable/41537102] Pesce, M. 2003. “Sul Conce o di Giudeo-Cris anesimo.”, in Ricerche StoricoBibliche 15, 21-44. [h ps://www.researchgate.net/publica on/ 235911686_Sul_conce o_di_giudeo-cris anesimo] Prinzivalli, E. 2013. “La Donna, il Femminile e la Scri ura nella Tradizione Origeniana.”, in Le Donne nello Sguardo degli An chi Autori Cris ani. L’Uso dei Tes Biblici nella Costruzione dei Modelli Femminili e la Ri essione Teologica dal I al VII Secolo, K. E. Børresen e E. Prinzivalli (eds.), Trapani: Il Pozzo di Giacobbe, 77-96. Ragucci, V. 2013. Didascalia Apostolorum: Testo Siriaco, Traduzione Italiana, Sinossi e Commento sulla Formazione del Testo [tesi di do orato]. Bologna: Università di Bologna. [h ps://doi.org/10.6092/unibo/amsdo orato/6009] Recupero, M. G. 2010. Mar rio. Elemen Antropologici, Poli ci e Filoso coSimbolici, Massa: Transeuropa. fi ti ti ti ti tt ti tt ti tt fl ti ti ti tt ti ti ti ti tt ti tt tt tt tt ti ti tt 118 Rinaldi, G. 1995. “Donne ‘Autonome e Innova ve’. Le Donne Cris ane Viste dai Pagani.”, in Donna, Potere e Profezia, A. Valerio (ed.), Napoli: Edizioni D’Auria, 97-119. Rinaldi, G. 2020. Pagani e Cris ani. La Storia di un Con i o (Secoli I-IV). Ci à di Castello, Perugia: Carocci Editore. Rizzi, M. 2004. “Da Tes moni a Mar ri. Pra che di Mar rio e Forme di Leadership nella Ci à An ca.”, in Mar rio. Il Sacri cio di Sé nelle Tradizioni Religiose, M. Borsari e D. Francesconi (eds.), Modena: Fondazione Collegio San Carlo, 43-69. Ryckmans, G. 1943. “No ce sur la Vie et Les Travaux de M. Hippolyte Delehaye, Associé Étranger de L’Académie.” In Comptes Rendus ses Séances de l’Académie ses Inscrip ons et Belles-Le res 87 (3), 418-37. [h ps://www.persee.fr/doc/ crai_0065-0536_1943_num_87_3_77668] Savon, H. 2003. “Saint Ambroise et les Femmes”, in Les Pères de l'Église et les Femmes. Actes du Colloque de La Rochelle. Les 6 et 7 Septembre 2003. P. Delage e H. Gaudin (Eds.), Rochefort: Histoire et Culture, 262-276. Shaw, B. D. 1993. “The Passion of Perpetua.”, in Past and Present 139 (1), 3-45. [h ps://doi.org/10.1093/past/139.1.3] Simone , M. e E. Prinzivalli. (2010) 2011. Storia della Le eratura Cris ana An ca, Bologna: EDB. Simone , M. 1962. “Alcune Osservazioni sull’Interpretazione Origeniana di Genesi 2, 7 e 3, 21”, in Aevum 36, 370-381. [h ps://www.jstor.org/stable/ 20859545] Sorci, P. 1992. “Diaconato ed Altri Ministeri Liturgici della Donna.”, in La Donna nel Pensiero Cris ano An co, U. Ma oli (ed.), Genova: Marie , 332-355. tt ti ti tti tt tt ti fl tt ti tt ti fi ti tti ti tt ti ti ti ti ti ti ti tti tti tt ti tt 119 Stroumsa, G. G. (2005) 2006. La Fine del Sacri cio. Le Mutazioni Religiose della Tarda An chità, Torino: Einaudi. Stroumsa, G. G. 2011. “The End of Sacri ce: Religious Muta ons of Late An quity.”, in The Roman Empire in Context: Historical and Compara ve Perspec ves, J. Arnason e K. Raa aub (eds.), Londra: John Wiley, 134-47. Tabbernee, W. 1985. “Early Montanism and Voluntary Martyrdom.”, in Colloquium 17 (2), 33-44. [h ps://www.academia.edu/27317663/ Early_Montanism_and_Voluntary_Martyrdom] Thraede, K. 1972. “Frau.”, in Reallexikon für An ke und Christentum 8, T. Klauser (ed.), Stu gart: Hiersemann Verlag, 197-269. Valerio, A. 2007. “Il Profe smo Femminile Cris ano nel II Sec.: Bilancio Storiogra co e Ques oni Aperte.”, in Profe e Profezia. Figure Profe che nel Cris anesimo del II Secolo, A. Carfora e E. Ca aneo (eds.), Trapani: Il Pozzo di Giacobbe, 159-72. Valerio, A. 2014. Le Ribelli di Dio. Vignate, Milano: Feltrinelli Editore. Van Henten, J. W. 1995. “The Martyrs as Heroes of the Chris an People. Some Remarks on the Con nuity between Jewish and Chris an Martyrology, with Pagan Analogies.”, in Martyrium in Mul disciplinary Perspec ve, M. Lamberigts e P. Van Deun (eds.), Leuven: Peeters Publishers, 303-22. Van Henten, J. W. 1997. The Maccabean Martyrs as Saviours of the Jewish People: A Study of 2 and 4 Maccabees. Leiden: Brill. Vierow, H. 1999. “Feminine and Masculine Voices in the ‘Passion of Saints Perpetua and Felicitas’.”, in Latomus 58 (3), 600-619. [h ps://www.jstor.org/ stable/41538933] ti ti ti ti ti tt ti ti fi ti tt ti fi ti fl tt ti ti ti tt fi ti ti ti ti 120 Zorzi, B. S. 2012. “Dalle Discepole di Gesù alle Abbadesse: Ruoli Femminili nella Storia del Cris anesimo”, in Inter Fratres 62 (2), 29-52. [h ps:// www.academia.edu/3673845] tt ti 121