Scuola di
Studi Umanistici
e della Formazione
Corso di Laurea in Filologia,
letteratura e storia dell’antichità
Il martirio femminile nel
cristianesimo antico
Relatrice
Isabella Gagliardi
Correlatrice
Giulia Lovison
Laureanda
Martina Landini Tozzi
Anno Accademico 2021/2022
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A tu e le mie Maestre
e a tu i miei Maestri,
passa , presen , futuri.
Indice
Introduzione
3
1. Il mar rio nel cris anesimo an co
1.1. Cenni storiogra ci
7
1.2. Origini, storia e signi ca
1.2.1. Mar re e mar rio
8
1.2.2. Cris ani e impero romano
11
1.2.3. Le mar ri cris ane: un’introduzione
17
1.3. Tra ebraismo e cris anesimo
20
1.4. Confronto con il mondo greco-romano
25
1.5. In uenza e esemplarità del mar re
31
1.6. Gli acta martyrum come genere le erario
34
2. Le donne nel cris anesimo delle origini
2.1. Figure femminili nell’An co Testamento
36
2.2. Ai tempi di Gesù e Paolo di Tarso
40
2.3. Ruoli e possibilità
2.3.1. Verginità e vedovanza
48
2.3.2. La ques one del diaconato femminile
52
2.3.3. Profetesse e mar ri
57
2.3.4. Pellegrine in Terra Santa
60
2.4. Femminile e pensatori cris ani: alcune considerazioni
62
2.5. Donne e movimen dissiden
66
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1
3. Le mar ri cris ane
3.1. Descrizione delle mar ri: cara eris che ricorren
3.1.1. Il topos della mulier virilis nella cultura classica
70
3.1.2. Virilizzazione e cas tà
72
3.1.3. Oltre i vincoli sociali e familiari
80
3.2. La madre del Secondo libro dei Maccabei: l’arche po della mar re?
83
3.3. Casi esemplari
3.3.1. Acta Pauli et Theclae
89
3.3.2. Passio Perpetuae et Felicita s
93
3.3.3. Passio Anastasiae
100
Conclusione
104
Indice delle fon
106
Bibliogra a
111
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2
Introduzione
In questo studio ho cercato di approfondire il fenomeno del martirio femminile
dei primi secoli del cristianesimo integrando la prospettiva degli imprescindibili
studi tradizionali sul tema con quella più recente della storia di genere, volta a
sottolineare l’importanza del punto di vista dal quale le storie delle martiri sono
state raccontate. A tramandarle in scritti noti come acta martyrum, infatti, sono
state perlopiù mani maschili che inevitabilmente hanno proiettato nella
narrazione idee e ideali di un tempo in cui è semplicemente anacronistico parlare
di femminismo, emancipazione femminile e parità di genere. Una testimonianza
come la Passio Perpetuae et Felicitatis costituisce in questo panorama un
prezioso unicum poiché contiene il diario di prigionia redatto personalmente
dalla martire Perpetua e, non a caso, presenta elementi di assoluta originalità
estranei a tutti gli altri testi.
Nella costruzione letteraria delle figure delle martiri, come vedremo, ricorrono
diversi topoi che attingono alla tradizione biblica ebraica ma anche al patrimonio
culturale greco e latino inseriti in resoconti che, spesso, fondono dati storici reali
a elementi meravigliosamente fittizi, riflesso della profonda devozione delle
comunità nei confronti dei confratelli e delle consorelle uccisi. I martiri - che sono
tali non solo in quanto uomini e donne che hanno scelto di andare incontro a
morte violenta pur di non rinnegare la fede, ma in quanto come tali sono stati
narrati e tramandati alla memoria - hanno avuto un ruolo importante nella
costruzione identitaria del movimento cristiano delle origini: si può dire che
abbiano svolto i ruoli di “eroi fondatori” e “eroine fondatrici” per i seguaci di una
nuova religione alla ricerca di elementi di distinzione rispetto alle radici ebraiche
e di un proprio spazio in un mondo brulicante di dei, quelli del pantheon grecoromano.
3
Negli scritti martirologici le martiri possiedono caratteristiche e sono capaci di
azioni straordinarie, evidenziate e celebrate ampiamente dagli autori degli acta
martyrum, ma non bisogna dimenticare, appunto, il carattere di eccezionalità di
queste figure che, in realtà, poco ci dicono della reale condizione delle donne nei
primi secoli del cristianesimo.
Il ruolo delle donne nella nascente società cristiana merita in ogni caso di essere
investigato sia oltre che in relazione al fenomeno del martirio, in quanto presenta
comunque importanti elementi di novità nel panorama delle società antiche. Se
si riesce a andare oltre a certe considerazioni dei Padri della Chiesa che ai nostri
occhi appaiono sicuramente misogine - come quella di Tertulliano nell’incipit del
De Cultu Feminarum, in cui definisce la donna diaboli ianua - troveremo la
massiccia adesione femminile al primo movimento cristiano, le numerose donne
di IV e V secolo che intrattenevano scambi intellettuali con insigni uomini di fede,
vedove e vergini che dedicavano la vita al servizio della comunità, celebrate
martiri e sante ma anche pericolosissime “eretiche” che rivendicavano i diritti a
profetizzare e battezzare, come le montaniste Massimilla e Priscilla.
Nel quadro generale che ho tentato di delineare nel corso di questo lavoro non
mancheranno di certo elementi contraddittori, come contraddittoria è la natura
della forza che anima le martiri stesse, descritte spesso come di fragile aspetto
ma sorrette da animo “virile”. Per Clementina Mazzucco è proprio
“nell’esperienza della testimonianza di fede resa fino alla morte […] che la donna,
in questi primi secoli, si guadagna incontestabilmente un posto di rilievo nella
società cristiana”1, ma allo stesso tempo, come nota Elizabeth Castelli, che anche
le donne potessero partecipare a questa forma estrema di auto-sacrificio è un po’
una “vittoria di Pirro” nel percorso della lotta per la parità di genere.2
1
Mazzucco, 1989, p. 95.
2
Castelli, 2004, p. 67.
4
Nelle parole della martire Seconda interrogata dal proconsole Saturnino si
racchiudono tutta la potenza, il fascino e le possibilità di discussione che queste
storie conservano ancora a distanza di secoli: “quod sum, ipsud volo esse”,
“quello che sono voglio essere”3.
3
Acta Martyrum Scilitanorum, 9.
5
Nota alle citazioni di testi antichi
Le edizioni e le traduzioni utilizzate per le citazioni di testi antichi sono indicate
nella sezione finale Indice delle fonti.
6
1. Il martirio nel cristianesimo antico
1.1. Cenni storiografici
Fondamentali per la riflessione storiografica sui primi martiri cristiani e sui testi
che raccontano le loro vicende, noti come acta martyrum, sono stati il lavoro del
gesuita belga Hippolyte Delehaye (1859-1941) e della Société des Bollandistes,
della quale fece parte dal 1901.1 La ricerca agiografica dei Bollandisti si sviluppò a
partire dal Seicento con i primi due volumi degli Acta Sanctorum, pubblicati nel
1643, mentre per le opere di Delehaye si possono citare a Les origines du culte
des martyrs (1912) e Les passions des martyrs et les genres littéraires (1921).2
Nel 1965 esce il volume di Frend Martyrdom and persecution in the Early Church,
che si occupa diffusamente del problema della cristianità nell’impero romano e
delle persecuzioni. Anche Glenn Bowersock in Martyrdom and Rome (1995)
approfondisce il contesto storico in cui si sviluppò il fenomeno del martirio
cristiano, avanzando inoltre un confronto con il mondo greco-romano e la
tradizione ebraica.
Una prospettiva di storia genere sulle prime martiri donne si trova nel lavoro del
2004 di Elizabeth Castelli dal titolo Martyrdom and Memory: Early Christian
Culture Making.
Per l’edizione critica dei testi degli acta martyrum c’è l’edizione Oxford curata da
Herbert Musurillo, The Acts of the Christian Martyrs del 1972. Una selezione di
testi accompagnati da traduzione italiana si trova invece nel volume curato da
Bastiaensen per Lorenzo Valla uscito nel 2014, Atti e passioni dei martiri.
1
Ryckmans, 1943, pp. 418-437.
2
Ibid.
7
1.2. Origini, storia e significati
Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: Ecco, io vengo […]
(Ebr. 10, 5-7)
1.2.1. Martire e martirio
La parola italiana “martire” viene dal greco antico μάρτυς (lat. tardo martyr),
letteralmente “testimone”, e martirio da μαρτύριον/μαρτυρία (lat. tardo
martyrium), “testimonianza”.3 Questi termini furono utilizzati sin dai primi secoli
del cristianesimo per definire l’atto di quei martiri/testimoni cristiani che,
rifiutando di sacrificare e giurare nel nome degli dei e dell’imperatore,
testimoniarono la propria fede di fronte ai tribunali romani anche a costo di
perdere la vita. Legato al contesto giuridico ellenistico-romano del II e III secolo
d.C., il concetto di “martirio” conserva un’ambivalenza che lo rimanda da un lato
al significato della testimonianza processuale, dall’altro alla disponibilità del
martire/testimone a morire per la fede.4
Alla base di questi lemmi c’è probabilmente la radice smer, che ha fare con il
campo semantico del ricordo e della memoria: il radicale sarebbe lo stesso alla
base, per esempio, del verbo sanscrito smarati, “ricordarsi”.5 Questa ipotesi di
ricostruzione dell’origine è collegata da Maria Grazia Recupero a una
considerazione importante, cioè che i martiri sono tali anche per il lavoro di
memoria e ricordo che la comunità ha sviluppato intorno a loro.6
martire e martirio in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
[https://www.treccani.it/vocabolario/martire/, https://www.treccani.it/vocabolario/martirio/]
3
4
Esposito, 2007, p. 82.
μάρτυς in Chantraine, P. 1968. Dictionnaire étymologique de la langue grecque, Parigi: Éditions
Klincksieck, pp. 668-669. [https://archive.org/details/Dictionnaire-Etymologique-Grec/page/n1/
mode/2up]
5
6
Recupero, 2010, p. 47.
8
In At. 22, 19-20, nelle parole che Paolo di Tarso rivolge a Dio sulla via di Damasco,
il termine μάρτυς ha un senso analogo, apparentemente, a quello che gli diamo
oggi, cioè di persona che accetta di soffrire e addirittura farsi uccidere pur di non
ritrattare la fede:
κἀγὼ εἶπον· Κύριε, αὐτοὶ ἐπίστανται ὅτι ἐγὼ ἤμην φυλακίζων καὶ δέρων κατὰ τὰς
συναγωγὰς τοὺς πιστεύοντας ἐπὶ σέ· καὶ ὅτε ἐξεχύννετο τὸ αἷμα Στεφάνου τοῦ μάρτυρός
σου, καὶ αὐτὸς ἤμην ἐφεστὼς καὶ συνευδοκῶν καὶ φυλάσσων τὰ ἱμάτια τῶν ἀναιρούντων
αὐτόν.
E io dissi: "Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nelle sinagoghe quelli
che credevano in te; e quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anche io ero
presente e approvavo, e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano”.
Anche nell’Apocalisse il lemma ricorre diverse volte con significato simile (Ap. 2,
23; 17, 6; 6, 9).7
Tuttavia per Bowersock la parola μάρτυς - nell’accezione più specifica di persona
che, in una situazione di estrema ostilità, preferisce morire in modo violento
piuttosto che piegarsi a un’autorità8 - si trova per la prima volta solo nel II secolo
d.C., nel Martyrium Polycarpi.9 Per l’autore di Martyrdom and Rome, infatti,
μάρτυς nel Nuovo Testamento significherebbe in primo luogo “testimone” della
sofferenza e della resurrezione di Gesù, senza implicare l’arrivare a farsi uccidere
in nome di questo.10
7
Lemelin, 2022, p. 8.
8
Van Henten, 1997, p. 7.
9
Bowersock, 1995, p. 13.
10
Ivi, p. 14.
9
Marco Rizzi, invece, sostiene che addirittura fino alla fine del III secolo il martirio
non coincidesse necessariamente con la messa a morte e che esso indicasse solo
la presa di posizione pubblica a favore del cristianesimo nel preciso contesto del
tribunale romano (che poteva avere come esito la morte, ma non solo11):
l’identificazione con lo spargimento di sangue sarebbe frutto di un’operazione
successiva di retrospezione teologica-ideologica.12
L’elaborazione di una teoria della sofferenza basata sull’interpretazione della
morte di Cristo come sacrificio espiatorio e l’inserimento di profezie su future
persecuzioni nel Nuovo Testamento potrebbero essere visti, suggerisce Elizabeth
Castelli in Martyrdom and Memory - Early Christian Culture Making, come
dinamiche generate in atto dai primi cristiani, socialmente ai margini e non
ancora distintisi dall’ebraismo, di costruire e delineare la loro identità.13
“Morendo come muore Gesù e per le sue stesse ragioni, i martiri moltiplicano le
rivelazioni della violenza fondatrice”14: testimoniando la verità sulla sofferenza
ma anche il mistero della salvezza, essi ricoprono un ruolo di consolidamento
etico-politico della religione cristiana costituito sia dalla dottrina che
dall’esperienza.15
Rizzi, 2004, p. 4 porta a esempio il caso di Vettio Epagato negli Atti dei martiri di Lione. Il
personaggio, socialmente in vista, si espresse a favore dei cristiani durante il processo e,
interrogato dal governatore, confessò la sua identità cristiana, ma alla fine del testo non figura
nell’elenco di quanti furono uccisi al termine della persecuzione. A pp. 6-7, inoltre, Rizzi si rifà a
quanto dice Clemente Alessandrino nel IV libro degli Stromata (7, 52, 3), cioè che le punizioni
potevano essere, oltre alla morte, la privazione dei diritti, l’esilio e la confisca dei beni.
11
12
Ivi, pp. 2-3.
13
Castelli, 2004, pp. 35-36.
14
Girard, 1996, p. 227.
15
Recupero, 2010, p. 49.
10
1.2.2. Cristiani e impero romano
Come ricorda Brown ne Il sacro e l'autorità: la cristianizzazione del mondo
romano antico il cristianesimo non si affermò in maniera univoca nel periodo
relativamente breve che va dalla conversione di Costantino (312) a quella di
Teodosio II (450) decretando “la fine del paganesimo” e di conseguenza “il trionfo
del monoteismo”, secondo l’interpretazione tramandata dalla brillante
generazione di storici, predicatori e polemisti di V secolo: per gli interpreti
cristiani la fine del paganesimo si affermò con la venuta di Cristo sulla terra,
conferendo natura ultraterrena a un effettivo scontro - sempre secondo il punto
di vista cristiano - tra mondo cristiano e mondo pagano.16 Sempre in quest’ottica,
i martiri, i “servitori”17 di Cristo, diventano eroi capaci di sopraffare i demoni.18
Dagli Atti degli Apostoli si può intuire che le donne fossero coinvolte sin dai primi
episodi di persecuzione, ai tempi di Paolo di Tarso (prima metà del I secolo d.C.):
Ὁ δὲ Σαῦλος ἔτι ἐμπνέων ἀπειλῆς καὶ φόνου εἰς τοὺς μαθητὰς τοῦ κυρίου, προσελθὼν τῷ
ἀρχιερεῖ ᾐτήσατο παρ’ αὐτοῦ ἐπιστολὰς εἰς Δαμασκὸν πρὸς τὰς συναγωγάς, ὅπως ἐάν
τινας εὕρῃ τῆς ὁδοῦ ὄντας, ἄνδρας τε καὶ γυναῖκας, δεδεμένους ἀγάγῃ εἰς Ἰερουσαλήμ.
Saulo, spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al
sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, al fine di essere
autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avesse trovato, uomini e
donne, appartenenti a questa Via.19
16
Brown, 2006, pp. 4-5.
17
Ivi, p. 4.
18
Brown, 2006, p. 83.
19
At. 9, 2; vd. anche 8, 3; 22, 4.
11
Nell’approccio al fenomeno del martirio femminile dei primi secoli del
cristianesimo bisogna sempre tenere a mente che la storia delle persecuzioni,
attestata sia da fonti “pagane” greco-romane che (più ampiamente) cristiane20,
non è affatto di semplice lettura:
Read through Christian lenses, the story of Christian encounters with their Roman others is
a cosmic battle narrative in which the opposition embodied by the Roman authorities
takes on demonic auras and resonances. Read through Roman lenses, this same story is
often an incidental account of a minor set of skirmishes with unruly subjects or, indeed, a
story that does not even merit being recorded.21
La storia degli antichi cristiani, comunque, non coincise con una continua
persecuzione. Addirittura all’interno di uno stesso principato le politiche nei loro
confronti possono risultare estremamente mutevoli tanto che, più che
l’atteggiamento degli imperatori, si dovrebbe indagare quello dei vari governatori
di provincia, che possedevano nella loro azione ampi margini di discrezionalità.22
Imperatori e governatori locali iniziarono a interessarsi al fenomeno cristiano
quando esso assunse dimensioni tali da minacciare l’ordine pubblico, anche se,
per Rinaldi, i cristiani non furono perseguitati per “motivi politici”, almeno non
nel senso in cui lo si può intendere oggi: ai seguaci di Cristo era generalmente
estraneo il proposito di scardinare l’ordinamento imperiale, ma bisogna
considerare che nella mentalità dell’epoca non esisteva una separazione netta tra
il fattore politico e quello religioso - la religio fungeva da importante collante
sociale - così che il rifiuto cristiano di partecipare ai riti pubblici veniva
interpretato come un tirarsi fuori dalla collettività dell’impero potenzialmente
minaccioso per il legame protettivo che univa Roma agli dei.23
Tra le fonti storiche cristiane più importanti ci sono il Chronicon, l’Historia Ecclesiastica e il De
martyribus Palestinae di Eusebio di Cesarea. Per quelle pagane, oltre a informazioni sparse in vari
autori come Svetonio e Cassio Dione, si possono citare la corrispondenza di Plinio il Giovane con
Traiano (Ep. 10, 96-97) e Tacito per i disordini sotto Nerone (Ann. 15, 44).
20
21
Castelli, 2004, p. 36.
22
Rinaldi, 2020, p. 367.
23
Ivi, 367-368.
12
Inoltre, le prime comunità cristiane non erano ancora chiaramente distinte né
distinguibili dagli ebrei, almeno in un primo tempo anche dal punto di vista
romano.24 Come si apprende, per esempio, dalle Antichità giudaiche e dalla
Guerra giudaica dello storico di I secolo d.C. Flavio Giuseppe, le correnti in cui
erano divisi gli ebrei erano spesso in contrasto tra loro e nel corso degli anni ciò
aveva creato non pochi problemi alla stabilità del potere imperiale, così che il
sentimento anti-giudaico si riversava anche sui cristiani.25
Il movimento cristiano teoricamente riconosceva la legittimità del potere di
Roma26, ma i cristiani rimanevano comunque un corpo difficile da integrare. Il
loro messaggio era ecumenico - privo del carattere “nazionale” dell’ebraismo - e
non ammetteva diversi principi cardine dell’autorità imperiale: non partecipavano
ai riti sacrificali e al culto dell’imperatore, non frequentavano le terme e gli
spettacoli, potevano fare obiezione di coscienza al servizio di leva.27 Si può dire
che l’atteggiamento di Roma verso le comunità fu per lungo periodo improntato
alla prudenza28, ma tra la popolazione si sviluppò comunque una difficile da
misurare ma crescente cristianofobia. Le accuse a loro rivolte erano in parte simili
a quelle rivolte verso gli ebrei: delitti contro la morale, cannibalismo legato al rito
dell’eucaristia, ateismo e blasfemia.29
Rinaldi puntualizza che, avvicinandosi allo studio dei giudizi formulati dai pagani
in merito alla religione cristiana, bisogna liberarsi del diffuso preconcetto che
costoro non avrebbero avuto adeguate informazioni su ciò di cui parlavano:
questo può essere vero per certe dicerie popolari, ma certamente non per le
Vd. per es. Dio Cass. Hist. rom. 67, 14, in cui si dice che molti che avevano adottato usanze
giudaiche vennero condannati, riferendosi però a cristiani.
24
25
Cecconi, 2018, pp. 310-311.
Secondo il celebre detto di Gesù “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”
(Mc. 12, 15-17) o la concezione del potere terreno di Paolo di Tarso come ordine voluto da Dio
(Ep. Rom. 13, 1-7).
26
27
Cecconi, 2018, p. 315.
Emblematica di questo atteggiamento è la risposta di Traiano nell’Ep. 10, 97 dell’epistolario di
Plinio il Giovane in cui l’imperatore si esprime contro le denunce anonime e la repressione
d’ufficio dei cristiani.
28
29
Cecconi, 2018, p. 316.
13
pagine di alcuni intellettuali come Celso, Porfirio e Giuliano, che sorprendono per
la loro puntualità.30 Agli osservatori pagani era chiaro lo stretto legame tra
cristianesimo e ebraismo; così che i giudizi negativi nei confronti degli ebrei diffusissimi nel mondo ellenistico romano - investirono di riflesso, come già
accennato, anche i cristiani, carenti oltretutto del requisito posseduto
dall’ebraismo dell’antichità che, nel mondo antico, portava con sé un’aura di
venerabilità mentre il nuovo appariva sospetto, se non addirittura pericoloso.31
Già nel 64 d.C. Nerone, approfittando dell’ostilità della plebe urbana nei loro
confronti, accusò i cristiani dell’incendio di Roma. La sua persecuzione fu
comunque di carattere locale e finalizzata a trovare un capro espiatorio per la
calamità.32
Al regno di Antonino Pio potrebbe risalire il martirio del vescovo di Smirne
Policarpo33, mentre a Marco Aurelio risale il grave episodio di Lione del 177, del
quale pare che l’imperatore fosse informato ma si mostrò incapace di impedire
che il gruppo di cristiani fosse esposto nei giochi gladiatori per ordine degli
amministratori provinciali, spinti dalla pressione popolare e dei ceti elevati
locali.34 Alcuni attribuiscono a Settimio Severo un editto contro il proselitismo
cristiano del 202 mentre altri, sulla scia di quanto sostiene Tertulliano (A Scapula
4, 5-6), lo dipingono come un protettore del cristianesimo.35 La storia delle
persecuzioni conosce poi varie fasi: ci furono repressioni sotto Decio (249-251),
Valeriano (257-259) - dal quale furono promulgati due editti mirati
principalmente a colpire i vertici delle chiese - e la “grande persecuzione” di
Diocleziano, iniziata nel 303.
30
Rinaldi, 2020, p. 25.
31
Ivi, pp. 25-26.
32
Rinaldi, 2020, p. 368.
33
Da alcuni datato al 155, da altri al 168 o, meno attendibilmente, al 177.
34
Cecconi, 2018, p. 317.
35
Ivi, p. 318.
14
Dieci anni più tardi, nel 313, Costantino e Licinio diverranno gli interpreti della
tolleranza verso la nuova religione con l’Editto di Milano, poi nel 380 Teodosio I,
con l’Editto di Tessalonica, proclamerà il cristianesimo religione imperiale
ufficiale.36
Inoltre c’è anche da considerare con Simon Claude Mimouni che quello che noi, a
posteriori, identifichiamo con il primo cristianesimo non fosse in realtà un’entità
religiosa scissa dall’ebraismo e che fosse allo stesso tempo in concorrenza con le
sue correnti confessionali interne delineatesi dopo la distruzione del Tempio di
Gerusalemme del 70 d.C., quelle del giudaismo rabbinico e sinagogale.37
Anche la definizione di “giudeo-cristianesimo" appare inadatta a descrivere
questa fase di nascita e definizione della nuova religione, in quanto “presuppone
che esistano due realtà religiose considerate autonome: il cristianesimo e il
giudaismo”38, ma quando e in quali termini esse si possono considerare distinte?
Di cristianesimo come entità autonoma probabilmente non si può parlare prima
del II secolo39, mentre a livello più concettuale Adriana Destro e Mauro Pesce
propongono la seguente riflessione:
Riteniamo che si dia un nuovo sistema religioso quando per aderirvi non è considerata
condizione necessaria l'essere ebrei; quando le sue concezioni si presentano come effetto
di una rivelazione diretta di Dio e con accentuati caratteri di diversità rispetto alla
rivelazione precedente; quando la prassi rituale è diversa ed autonoma. Riteniamo, invece,
che una nuova formazione sia semplicemente un movimento interno all'ebraismo quando
il gruppo che lo costituisce continua ad essere composto da soli ebrei; quando le
concezioni nuove consistono in reinterpretazioni della tradizione data e la sua prassi
rituale non è indipendente.40
36
Formisano, 2008, pp. 11-12.
Mimouni, 2015, p. 19 e 29. Il giudaismo sinagogale è una corrente sia di lingua e cultura
aramaica che greca con una forte vocazione mistica riscontrabile, per esempio, nella produzione
letteraria di Filone d’Alessandria.
37
38
Pesce, 2003, p. 6.
Ivi, p. 14. I pareri sulla “data di inizio” sono discussi. Se inoltre con “cristianesimo” si vuole
intendere una realtà istituzionale, dogmatica, etica e liturgica organizzata, essa è probabilmente
individuabile solo alla fine del II secolo, vd. sempre Pesce, 2003, p. 7.
39
40
Pesce, 2003, pp. 11-12.
15
In ogni caso, la presenza dei martiri riveste grande importanza nella creazione
dell’identità
cristiana:
per
Te r t u l l i a n o
“plures efficimur quotiens metimur a vobis; semen est sanguis Christianorum”,
“sorgiamo più numerosi quanto più veniamo da voi falciati: il sangue dei Cristiani
è il seme [della Chiesa]”41. Anche se, come vedremo più avanti, il concetto di
martirio non è estraneo e anzi, affonda le sue radici, proprio nella tradizione
ebraica dell’Antico Testamento.
Il cristianesimo nasce in un mondo estremamente composito sia dal punto di
vista religioso che culturale e in quest’ottica il fenomeno del martirio può essere
interpretato come un atto fondativo al centro del quale sta il sacrificio che - nel
senso letterale di sacrum facere - rende sacro e delimita lo spazio.42 Tramite
l’imitato Christi, l’identificazione con Cristo, “il martire subisce il meccanismo
sacrificale e conferisce un senso inedito al patimento e al sacrificio, come
annullamento di sé e comune rinascita allo stesso tempo”43.
41
Tert. Apol. 50, 13.
42
Recupero, 2010, p. 10.
43
Ibid.
16
1.2.3. Le martiri cristiane: un’introduzione
Per Clementina Mazzucco è proprio tramite l’estrema testimonianza di fede del
martirio che la donna si guadagna un posto di rilievo nella nascente società
cristiana.44 Tuttavia, come nota Castelli “that women, too, could offer themselves
in the most extreme and unalterable form of self-sacrifice […] is a faint and,
indeed, Pyrrhic victory in the struggle for gender equality”45. Inoltre, negli scritti
martirologici le donne vengono spesso esaltate per la loro “virilità”, categoria
che, scissa dal genere biologico, viene usata per esprimere un ideale di forza e
virtù, dando per scontata un’inferiorità che solo il miracolo della fede può
ribaltare.46 Anche se con il cristianesimo le donne troveranno sicuramente nuovi
spazi d’azione e possibilità, aspetti che verranno approfonditi nel secondo
capitolo, le figure di martiri-eroine e la loro esaltazione letteraria non
rispecchiano un’effettiva (o almeno, generalizzata e inequivocabile)
emancipazione o maggior considerazione sul piano della vita quotidiana.47
Dal punto di vista storico, a parte i casi che si perdono nella leggenda della
seguace di Paolo Tecla e del martirio della moglie di Pietro48, il primo caso di
donna sottoposta a persecuzioni per aver confessato la fede cristiana sarebbe
quello di Flavia Domitilla, nobile romana esiliata a Ponza sotto Domiziano (95 d.C.
ca.)49. Per il II secolo, negli Atti di Giustino, troviamo una donna di nome Carito
nel gruppo dei sei discepoli del santo decapitati a Roma intorno al 166-167 d.C.
Eusebio riporta poi il resoconto della cd. Lettera delle comunità di Lione e
Vienne50 che racconta un episodio di martirio del 177 d.C. in cui spicca la figura
della schiava Blandina.
44
Mazzucco, 1989, p. 95.
45
Castelli, 2004, p. 67.
46
Consolino, 1992, p. 102.
47
Ibid.
48
Clem. Al. Strom. 7, 11, 63, 3; Eus. Hist. eccl. 3, 30, 2.
49
Dio Cass. St. rom. 67, 14, 1-2; Eus. Hist. eccl. 3, 18, 4; Hier. Ep. 108, 7.
50
Eus. Hist. eccl. 5, 1, 25-26.
17
Sempre da Eusebio, sappiamo che insieme al vescovo Carpo c’era Agatonice51:
secondo l’Historia Ecclesiastica l’episodio si colloca al tempo di Marco Aurelio
mentre il testo latino del Martirio di Carpo, Papilio e Agatonice lo attribuisce a
Decio, a metà III secolo ca. Datazione oscillante tra la metà del II e la metà del III
secolo anche per il Martirio di Pionio dove compare la schiava Sabina, anche se
questa figura femminile pare essere un’aggiunta successiva.52 Il suo legame con
Pionio anticipa lo stretto rapporto con uomini di chiesa che caratterizzerà varie
protagoniste delle cosiddette passioni romane.53
Agli inizi del III secolo risale l’importante testo della Passio Perpetuae et
Felicitatis, che contiene il diario personale di Perpetua redatto durante la
prigionia prima di essere condannata ad bestias nell’anfiteatro di Cartagine, il 7
marzo del 203 d.C.
Tanti i nomi femminili tra le vittime della persecuzione di Decio (249-250 d.C.)
sempre in Eusebio, come Quinta54, lapidata, e l’anziana Apollonia55, condannata
al rogo. Alla persecuzione di Decio e a quella di Valeriano (257 d.C.) si
attribuiscono anche le numerose martiri lodate dal vescovo Cipriano nelle
Epistole56. Della seconda metà del III secolo sono la Passione di Montano e Lucio,
dove è narrata la visione avuta di Quartillosia57 prima di essere uccisa, e la
Passione di Mariano e Giacomo, in cui le giovani Tertullia e Antonia58 seguono nel
martirio il vescovo Agapio.
51
Eus. Hist. eccl. 6, 15, 48.
52
Consolino, 1992, p. 104.
Ibid. Per “passioni romane” si intende un gruppo di testi letterari di tematica martirologica
redatti nel loro nucleo più antico nel V secolo d.C., perciò non utilizzabili come fonte delle
persecuzioni. Le protagoniste femminili delle passioni romane sono caratterizzate dall’esaltazione
della castità, vd. Consolino, 1984, pp. 83-86.
53
54
Eus. Hist. eccl. 6, 41, 4.
55
Eus. Hist. eccl. 6, 41, 7.
Vd. per es. Cypr. Ep. 6, 3, 1 in cui Cipriano loda le martiri; 21, 4, 2 dove sono citate otto donne;
22, 2, 2 per Fortunata, Credula, Erede e Giulia.
56
57
Passio SS. Montani et Luci, 8.
58
Passio SS. Mariani et Iacobi, 11, 1-2.
18
Nella persecuzione di Diocleziano (iniziata nel 303 d.C.) per Eusebio vennero
uccisi numerosi cristiani tra i quali molte donne, ricordate nei libri VII-VIII
dell’Historia Ecclesiastica e nel De martyribus Palestinae. A inizio IV secolo si
colloca l’episodio della nobile Domnina e delle sue due figlie vergini Bernice e
Prosdoce, che, essendo state catturate dai soldati, si annegano in un fiume
davanti alla prospettiva della prostituzione e dell’idolatria: esse sono presentate
dalle fonti come martiri e ampiamente celebrate.59
Certamente, per riprendere Castelli, il fatto che le donne abbiano partecipato
insieme agli uomini al fenomeno del martirio è un po’ una “vittoria di Pirro” nel
percorso dell’emancipazione femminile, ma è altresì innegabile che ciò abbia
avuto delle conseguenze importanti a livello di storia di genere, nella percezione
della donna da parte delle fonti maschili e nello sviluppo dell’autocoscienza
femminile stessa. La martire Seconda, interrogata dal proconsole Saturnino,
risponde “quod sum, ipsud volo esse”, “quello che sono voglio essere”60, e
quest’affermazione si basa su una forte consapevolezza di poter esprimere in
modo libero e autonomo la propria volontà di scelta, religiosa e di vita, anche al
cospetto di un uomo che rappresenta l’autorità.61
Nel pensiero classico la perfezione spirituale spetta agli uomini, mentre la donna
è per sua natura caratterizzata da debolezza: l’imbecillitas feminea è considerata
una condizione ancora più precaria della generale imbecillitas humana.62 Con lo
Stoicismo si fa avanti l’idea che con lo studio della filosofia la donna possa
acquisire forza, raggiungere l’atarassia e rifiutare ciò che è muliebre et puerile,
diventando una mulier virilis.63 Questa concezione verrà recepita anche dai Padri
della Chiesa e, come si è già accennato, la “virilità” sarà una caratteristica
centrale nella descrizione delle prime martiri cristiane.
59
Eus. Hist. eccl. 8, 12, 3-4.
60
Acta Martyrum Scilitanorum, 9.
61
Mazzucco, 1989, p. 106.
62
Franchi, 2021, p. 191.
63
Ibid.
19
1.3. Tra ebraismo e cristianesimo
Le opinioni degli storici sulle origini della martirologia cristiana si rifanno,
solitamente, a due posizioni contrapposte: Frend in Martyrdom and Persecution
in the Early Church la considera un proseguimento di quella ebraica, mentre per
Glen Bowerstock, autore di Martyrdom and Rome, il martirio cristiano sarebbe un
prodotto della cultura romana e sarebbero stati gli ebrei a averlo “preso in
prestito”.64 Tuttavia entrambe le posizioni, se essenzializzate, si basano sul
medesimo assunto, cioè che il cristianesimo dei primi secoli e l’ebraismo fossero
effettivamente due entità separate e che quindi il rapporto di influenza possa
essere ricondotto a uno schema unidirezionale. Per Daniel Boyarin, invece, “the
making of martyrdom” sarebbe parte integrante “of the very process of the
making of Judaism and Christianity as distinct entities”, in un processo
sincretistico di influsso reciproco.65
L’idea della testimonianza di fede attraverso la sofferenza è sicuramente
rintracciabile nell’Antico Testamento, andando a caratterizzare diverse figure di
profeti come Abacuc, Ezechiele e Geremia:
The early history of the Jews, as preserved in traditions enshrined in the earlier books of
the Old Testament, told of a long struggle against odds, and an even greater one to
maintain religious cohesion. The Jew had learnt from the early prophets to scorn the
religions of his neighbours, even if these for the time being appeared to be more
successful in winning earthly rewards than himself.66
Le più antiche storie definibili propriamente di martirio67 sono contenute nel
Secondo libro dei Maccabei (2 Mac.), datato al 125 a.C. ca., che racconta
64
Boyarin, 1998, p. 577.
65
Ivi, p. 581.
66
Frend, 1967, pp. 31-32.
La parola μάρτυς, “testimone” in greco antico, non è presente nel testo, ma il comportamento
dei personaggi e la loro esaltazione rispondono appieno a quelle che saranno le caratteristiche
fondamentali della figura del martire nella letteratura martirologica successiva, vd. Lemelin, 2022,
p. 3.
67
20
l’esecuzione ordinata dal re Antioco IV di un gruppo di ebrei composto dal
vecchio scriba Eleazaro, una madre e i suoi sette figli che si erano rifiutati di
mangiare carni sacrificali.68 Nel 235 d.C. Origine cita ampiamente 2 Mac. nella
sua Exhortatio ad martvrium: i cristiani attingono sicuramente a piene mani dal
repertorio ebraico, ma per Van Henten il legame tra la martirologia cristiana con
quella ebraica è comunque meglio spiegabile con un rapporto di analogia, per
condivisione dello stesso ambiente culturale e di situazioni storico-sociali simili,
più che con quello di derivazione diretta.69 L’aspetto della continuità emerge
quindi sicuramente dall’analisi di alcuni testi, ma se ci si fermasse a questo
potrebbe sfuggire, per esempio, la vicinanza del culto dei martiri cristiani a quello
degli eroi fondatori del mondo classico: non solo una linea diretta con il mondo
ebraico, quindi, ma connessioni anche con quello “pagano”.70
Considerata la complessità della rete di connessioni e influenze reciproche tra i
vari gruppi, si torni a riflettere sulla divisione non ancora certa tra quelli che noi a
posteriori chiamiamo i primi cristiani e gli ebrei. Frend ha ipotizzato che i martiri
di Lione del 177 d.C., la vicenda dei quali è riportata da Eusebio71, dovevano
essere soliti mangiare carne kosher72:
καὶ Βιβλίδα δέ, μίαν τῶν ἠρνημένων ἤδη δοκῶν ὁ διάβολος καταπεπωκέναι, θελήσας δὲ
καὶ διὰ βλασφημίας κατακρῖναι, ἦγεν ἐπὶ κόλασιν, ἀναγκάζων εἰπεῖν τὰ ἄθεα περὶ ἡμῶν,
ὡς εὔθραυστον ἤδη καὶ ἄνανδρον· ἣ δὲ ἐν τῆι στρεβλώσει ἀνένηψεν καὶ ὡς ἂν εἰπεῖν ἐκ
βαθέος ὕπνου ἀνεγρηγόρησεν, ὑπομνησθεῖσα διὰ τῆς προσκαίρου τιμωρίας τὴν αἰώνιον
ἐν γεέννηι κόλασιν, καὶ ἐξ ἐναντίας ἀντεῖπεν τοῖς βλασφήμοις, φήσασα «πῶς ἂν παιδία
φάγοιεν οἱ τοιοῦτοι, οἷς μηδὲ ἀλόγων ζώιων αἷμα φαγεῖν ἐξόν;» καὶ ἀπὸ τοῦδε Χριστιανὴν
ἑαυτὴν ὡμολόγει καὶ τῶι κλήρωι τῶν μαρτύρων προσετέθη.
68
Van Henten - Avemarie, 2006, p. 31.
69
Van Henten, 1995, pp. 303-304.
70
Ibid.
71
Eus. Hist. eccl. 5, 1.
72
Frend, 1967, p. 18.
21
Per quel che riguarda Biblide, una di coloro che av vano abiurato, il demonio riteneva di
averla oramai divorata, ma, poiché volle che fosse condannata anche per blasfemia, la fece
condurre al supplizio per indurla a dire empietà contro di noi, in quanto ormai fragile e
paurosa. Ma nel mezzo delle torture, la donna tornò in sé sé e si svegliò, per così dire, da
un sonno profondo e quella pena temporanea le fece ricordare il castigo eterno della
Geenna e, rivolta a quei bestemmiatori, disse: "Come potrebbero mangiare dei bambini
costoro ai qu li non è lecito neppure cibarsi del sangue di animali senza m tivo?". Dopo di
che si confessò cristiana e fu aggiunta al n mero dei martiri.73
Anche nel resoconto del martirio di Pionio sorprende l’enfasi sul fatto che il
giorno dell’esecuzione fosse il sabato quando, specifica il redattore, i condannati
pregavano e assumevano il pane sacro con l’acqua.74 Anche il martirio di
Policarpo, sul quale buona parte del racconto di quello di Pionio è modellato,
ricorre di sabato.75
Un altro esempio dell’osservanza di costumi ebraici tra i cristiani, al di fuori
dell’ambito del martirio e addirittura tardoantico, può essere quello fornito da
Susanna Elm in Virgins of God: The Making of Asceticism in Late Antiquity: in un
brano dell’Historia Lausiaca è descritta un’asceta donna egiziana del IV secolo
d.C. che mangia solo di sabato e domenica per dedicarsi nel resto dei giorni alla
preghiera.76 La donna evidentemente rispettava una doppia osservanza, quella
ebraica di Sabbath e quella cristiana del giorno di riposo del Signore, la
domenica.
Una figura centrale nello sviluppo della martirologia ebraica è quella di Rabbi
Akiva, nato nel 50 d.C. ca. e martirizzato dai romani nel 132 d.C. ca. nel contesto
della ribellione di Bar Kokhba, che anche il rabbino riteneva essere il Messia
promesso.77
73
Eus. Hist. eccl. 5, 1, 25-26.
74
Boyarin, 1998, p. 583.
75
Ibid.
76
Elm, 1994, p. 315.
Akiba Ben Joseph, a c. di L. Ginzberg, in JewishEnciclopedia.com. [https://
www.jewishencyclopedia.com/articles/1033-akiba-ben-joseph]
77
o
e
u
a
22
La storia della sua morte presente nel Talmud Palestinese di IV secolo78 riflette gli
importanti sviluppi nella percezione del fenomeno del martirio avvenuti in questo
frangente di tempo. Di innovativo rispetto alla concezione precedente c’è la
consapevolezza, da parte dello stesso martire, dell’atto come adempimento
estremo dell’amore per Dio.79
Per Herr in 2 Mac. l’esaltazione del gruppo di ebrei messi a morte da Antioco IV si
avvicinerebbe addirittura di più al modello della noble death classica che a quello
elaborato successivamente sia dai cristiani che dai rabbini, nel quale i martiri
vivono il morire, appunto, come atto d’amore nei confronti del Signore.80
Se per Frend “there is no doubt that if one considers martyrdom in terms of
witness to God's mighty works, and the martyr as His agent, Christians looked
back almost exclusively to Jewish prototypes”81, Herr attribuisce ai rabbini di fine
III-inizio IV secolo d.C. una rielaborazione della storia e della tradizione
precedente in chiave martiriologica:
They [i rabbini] evinced a martyr-consciousness which discovered archetypes in a long
succession of victims who were regarded as having given their lives to sanctify God’s
Name. These heroes who began with Abraham, included Hananiah, Mishael and Azariah,
as well as the mother and her seven sons, down to the people of their own times […]82
Così come, in particolare, ritiene che nei trecento anni intercorsi tra i decreti
antiebraici di Antioco IV a quelli di Adriano durante ribellione di Bar Kokhba del
132-135 d.C. il fenomeno del martirio non avesse particolare rilevanza nel
contesto israelitico.83
78
Boyarin, 1998, p. 607.
79
Ivi, pp. 607-608.
80
Herr, 1972, p. 104.
81
Frend, 1967, p. 67.
82
Herr, 1972, p. 125.
83
Ivi, p. 103.
23
In questo breve excursus sul rapporto tra ebraismo e cristianesimo delle origini in
relazione al fenomeno del martirio si è voluto presentare da un punto di vista
generale la questione che, se non altro, emerge nella sua complessità in un
periodo in cui le due religioni non erano nemmeno ancora tali, nel senso che i
confini di distinzione tra un credo e l’altro si stavano pian piano definendo.
Come suggeriscono alcune ipotesi di ricostruzione a cui si è accennato è possibile
che le figure dei martiri, anche di quelli definiti così a posteriori, abbiano giocato
un ruolo in questo processo di formazione identitaria sia da un lato che dall’altro,
gli ebrei alla ricerca dei loro “eroi fondatori” alla fine del periodo del Secondo
Tempio e i cristiani dei propri. Da parte cristiana c’è anche da considerare la forza
dell’idea del martirio come imitatio Christi, come risposta alle persecuzioni
sull’esempio della “persecuzione per eccellenza, in quanto ha avuto per vittima
nientemeno che la divinità stessa, incarnata in Gesù Cristo”84.
84
Corsini, 2002, p. 165.
24
1.4. Confronto con il mondo greco-romano
Il sacro è tutto quel che domina l’uomo con tanto maggior sicurezza quanto più l’uomo si
crede capace di dominarlo. Quindi, tra l’altro, ma secondariamente, il sacro sono le
tempeste, gli incendi di foreste, le epidemie che decimano una popolazione. Ma è anche e
soprattutto, pur se in maniera più velata, la violenza degli uomini stessi, la violenza posta
come esterna all’uomo e confusa ormai con tutte le altre forze che gravano sull’uomo dal
di fuori. È la violenza che costituisce il vero cuore e l’anima segreta del sacro.85
Ne La violenza e il sacro René Girard vede il sacrificio cruento, oltre che con il fine
di allontanare eventi negativi, come modo di “purificare” la violenza dissipandola
su vittime che non possono essere vendicate. Il loro sangue sparso sporca e
pulisce allo stesso tempo, rende impuri e purifica, può spingere alla follia ma può
anche far rinascere: non riuscendo a penetrare il segreto di tale dualità, gli
uomini ricorrono al rito, che distingue la “buona” dalla “cattiva” violenza.86 In
Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo Girard sostiene che il
sacrificio di Gesù vada a scardinare l’ordine sacrificale in quanto la narrazione
evangelica afferma senza ambiguità l’innocenza della vittima: già nell’Antico
Testamento ci sono figure di vittime innocenti, come Abele, ma la Passione
svelerebbe senza alcun filtro mitico “le cose nascoste sin dalla fondazione del
mondo” (Mt. 13, 35), cioè la verità sulla violenza e la fondazione dell’ordine del
mondo su di essa.
85
Girard, 1980, pp. 52-53.
86
Ivi, pp. 60-61.
25
Per un’analisi della relazione tra sacrificio pagano e cristiano Recupero propone la
via della “sopravvivenza per transizione”87:
Il cristianesimo ripresenta […] il carattere primordiale dell’istituzione sacrificale, segno
memoriale della violenza impressa in ogni essere umano su cui opera la rivelazione
evangelica, trasformando l’equilibrio arcaico tra mito e rito, un equilibrio temporaneo,
imperfetto perché fondato sulla violenza arbitraria. A questi sacrifici imperfetti si oppone il
sacrificio di Gesù Cristo […] non un capro espiatorio, ma il capro espiatorio perfetto,
pienamente umano e pienamente divino.88
Allo stesso modo, l’eroe mitico classico è spesso annientato, è vittima, perché per
tracotanza (ὕβρις) si spinge all’imitazione (μίμησις) di una divinità trovandosi in
competizione con essa, aspirando senza successo alla divinizzazione. Anche per il
martire cristiano c’è l’imitato Christi, ma per la comunione (κοινωνία) con Gesù
stesso, che annulla quella distanza insormontabile tra le divinità classiche e gli
uomini, non c’è invidia né conflitto e è tramite l’intervento esterno della gratia di
Dio che diviene santo.89 Vernant in particolare osserva che il sacrificio greco, più
che stabilire un rapporto tra uomini e dei, tende a fondare con la distribuzione
delle parti della vittima (ossa con grasso agli dei, carni commestibili agli uomini),
un netta distinzione tra gli umani mangiatori di carni e le divinità, che in realtà si
cibano di nettare e ambrosia e al massimo annusano compiaciuti il fumo delle
ossa bruciate.90 Nel sacrificio greco alla sfera divina spettano le ossa perché
resistenti e durature mentre in quello biblico-ebraico spetta il sangue91 in quanto
emblema della vita: in entrambi i casi si offre la parte ritenuta più nobile, il fulcro
stesso della vittima.92
87
Recupero, 2010, p. 17.
88
Ivi, p. 23.
89
Recupero, 2010, pp. 26-27.
90
Grottanelli, 1988, pp. 23-24.
Nella Bibbia, così come nella macellazione kosher che si conserva ancora oggi, ogni uccisione
sacrificale implica il totale dissanguamento dell’animale.
91
92Grottanelli
1988, p. 126.
26
Da un punto di vista più storico è necessario notare la lontananza del concetto di
sacrificio cristiano da quello specificamente romano, che era integrato con e alla
base di un preciso ordine politico e sociale.93 Per Castelli i cristiani si sarebbero
comunque serviti del linguaggio del sacrificio pagano per descrivere l’esperienza
delle persecuzioni: rifiutandosi di sacrificare all’imperatore e agli dei, rifiutando
quindi il ruolo di chi compie il sacrificio, nella letteratura martirologica i martiri
prenderebbero il posto della vittima.94
In generale, il cristianesimo nasce in e si intreccia inevitabilmente con “un
universo brulicante di esseri divini”95 e
In quell’universo i cristiani - cioè il potere di Cristo e dei suoi servitori, i martiri - erano
giunti per restarvi; ma essi appaiono in una prospettiva alla quale i nostri occhi moderni
fanno fatica ad adattarsi: sono collocati in un antico paesaggio spirituale di tipo
precristiano.96
Guy Stroumsa condensa nella formula della “fine del sacrificio” le mutazioni
religiose che investono la tarda antichità:
The rise of Scriptures as the very backbone of religious movements transformed attitudes
toward religious stories, or myths. It stands to reason that a similar transformation of the
ritual should be discerned, as all religions hinge upon the two functions of myth-making
(or myth-telling) and ritual action. To a new conception of historia sacra should correspond
a new kind of religious praxis. I suggested above that from a heuristic viewpoint the
traditional distinction of polytheistic versus monotheistic religions is not always
particularly useful. Indeed, in the ancient world both polytheists and monotheists offered
blood sacrifices to the divinity or divinities; in their view, such sacrifices represented the
very acme of religious life. 97
93
Castelli, 2004, p. 51.
94
Ibid.
95
Brown, 1996, p. 4.
96
Ibid.
97
Stroumsa, 2010, p. 140.
27
Il primo cristianesimo si presentava in un certo senso come una religione
sacrificale, ma di un tipo nuovo, in cui il rituale centrale era chiamato anamnēsis,
una ri-attualizzazione - o addirittura ri-attivazione - del sacrificio di Gesù: era una
religione senza templi, in cui lo stesso sacrificio veniva offerto perennemente,
quotidianamente.98 In quest’ottica i martiri non offrono sacrificio, sono il
sacrificio, e dalla divinità non ci si aspetta nessuna ricompensa immediata: il
martirio cristiano riflette un cambiamento radicale nella concezione sacrificale,
una rottura fondamentale nella natura stessa della religione.99
Per quanto riguarda gli acta martyrum come prodotto letterario c’è un’ipotesi
molto accreditata agli inizi del Novecento, sostenuta per esempio da Geffcken100,
che li connette agli exitus virorum illustrium romani, tanto che si arrivò a definire
questi ultimi, per parallelo, acta martyrum paganorum. Per Bastiaensen questa
posizione è insostenibile in quanto gli exitus virorum illustrium erano, come
testimonia Plinio il Giovane101, laudationes funebres destinate a onorare le
vittime delle crudeltà degli imperatori.102 Il loro carattere eminentemente politico
doveva interessare poco i cristiani: i resoconti delle persecuzioni comprendono
anche un’opposizione a delle richieste imperiali, ma ciò è probabilmente
secondario rispetto alla finalità di conservare e tramandare la memoria dei
fratelli e delle sorelle che avevano dato estrema testimonianza di fede. Inoltre,
non si trattava di resoconti scritti sotto l'influenza immediata degli avvenimenti,
cosa che di regola accadeva per gli acta cristiani, ma di elaborazioni posteriori,
caratterizzate da una fine ricerca retorica e letteraria.103 C’è da tenere presente
che, in ogni caso, sia il mondo giudaico che quello cristiano erano soggetti in
generale agli influssi della cultura e ellenistica, riscontrabili in diversi esempi:
98
Stroumsa, 2010, p. 142.
99
Ibid.
100
Geffcken, 1910, p. 486 e ss.
101
Plin. Ep. 8, 12.
102
Bastiaensen, 2014, p. 12.
103
Ibid.
28
Le nozioni d'immortalità e d'incorruttibilità riferite alla vita presso Dio, apporto ellenistico
all'interno del libro della Sapienza, si ritrovano nei testi giudeo-cristiani (4 Macc. 7, 3;
Eusebio, Historia Ecclesiastica V 1, 42); la percezione della morte quale atto eroico, l'idea di
resistenza nella prova, lo sprezzo delle torture (2 Macc. 7, 5-21; 4 Macc. 17, 16; Martyrium
Polycarpi 2, 2) hanno risonanze stoiche; la descrizione dettagliata delle torture (4 Macc. ed
Eusebio, Historia Ecclesiastica V, passim) attinge a una retorica barocca, che gli autori
ellenistici contemporanei prediligevano.104
Anche il topos della donna virile, frequentissimo nella descrizione delle martiri
cristiane, è allo stesso modo presente nella letteratura greco-romana (e giudaica)
precedente.105 Donne caratterizzate virilmente sono la Clitemnestra
dell’Agamennone di Eschilo (vv. 10-11), l’Elettra di Sofocle (vv. 982-983), così
come l’Antigone di Euripide, che anche secondo l’etimologia del suo nome è
contro (ἀντί) alla donna (γυνή) o alla generazione (γόνος). Nel momento in cui
Antigone è virile, per giunta, è Creonte a non esserlo più, come il re Antigono IV
di fronte alla madre dei sette fratelli in 2 Mac. (vv. 84-85).106
L’idea della mulier virilis è, inoltre, sistematizzata dagli Stoici con la teoria della
trasformazione degli infirmi nel loro opposto attraverso la virtù: una donna
virtuosa diventa un uomo così come un bambino può essere saggio come un
vecchio.107 In generale il pensiero classico - in modo particolare quello platonico
mediato spesso dallo stoicismo - ha influenzato in maniera importante il pensiero
cristiano gnostico, con la concezione del raggiungimento della salvezza attraverso
il sapere (gnosis), una salvezza dipendente dalla trasformazione del soggetto
mediante la sua divinizzazione (theiosis), cioè il compimento della sua natura
profonda.108
104
Bastiaensen, 2014, p. 18.
105
Lemelin, 2022, p. 221.
106
Ivi, p. 222.
107
Franchi, 2021, pp. 191-192.
108
Stroumsa, 2006, p. 19.
29
Gli autori patristici, invece, sono più vicini a una concezione derivata dalla Bibbia
della santità, che si realizza attraverso la praxis piuttosto che attraverso la
theoria: il santo deve trasformarsi in uno sforzo costante per cambiare la sua
natura colpevole in quanto legata al peccato originale, cercando di identificarsi
con Gesù Cristo. L’imitatio Christi è difatti in origine la cifra del martire, come poi
lo sarà del monaco.109
In questa sezione si è tentato di confrontare il fenomeno del martirio cristiano
con la cultura “pagana” da diversi punti di vista, da quello storico-antropologico a
quello letterario: come sempre, tra la prospettiva della continuità e quella della
rottura, c’è la complessità di un reale fatto di innumerevoli interazioni e scambi,
che per alcuni aspetti presentano potenziali legami mentre per altri punti di
distacco.
109
Stroumsa, 2006, p. 19.
30
1.5. Influenza e esemplarità del martire
Quando un membro della Chiesa subiva il martirio la comunità si radunava sul
luogo dell’esecuzione o della sepoltura per celebrare il sacrificio di Cristo, che si
riteneva continuare in quello del suo martire. Come sottolinea Lazzati, i martiri
avevano un posto rilevante nella liturgia della Parola: i vescovi inserivano nei loro
sermoni sezioni celebrative che comprendevano anche la lettura del rapporto del
processo e dell’esecuzione.110 Nelle riunioni liturgiche, inoltre, accanto ai Libri
Sacri si leggevano anche gli acta martyrum.111 La stessa Passio Perpetuae et
Felicitatis giunge a noi in una redazione di un compilatore esplicitamente
destinata alla lettura davanti a un uditorio:
Et nos itaque quod audivimus et contrectavimus, annuntiamus et vobis, fratres et filio- li,
uti et vos qui interfuistis rememoremini gloriae Domini, et qui nunc cognoscitis per
auditum communionem habeatis cum sanctis martyribus, et per illos cum Domino nostro
Ieso Christo, cui est claritas et honor in saecula saeculorum. Amen.
E ciò che noi abbiamo udito e toccato con mano lo annunciamo dunque anche a voi, fratelli
e figli, affinché voi, che foste presenti, vi ricordiate della gloria del Signore e voi, che
apprendete adesso udendo, siate in comunione con i santi martiri e attraverso di essi con il
Signore nostro Gesù Cristo, che ha gloria e onore nei secoli dei secoli. Amen.112
La lettura degli acta, tuttavia, non era una pratica accolta ovunque all’unanimità
e senza resistenze. Il Concilio di Ippona del 393 a.C. la autorizza a fianco di quella
degli scritti biblici e tale precisazione sembra presupporre proprio l’incertezza che
gravitava attorno a tale pratica. La Chiesa di Roma si rifiuterà per secoli di
consentire nella chiesa episcopale la recitazione liturgica degli atti e per le Chiese
Orientali l’esistenza di questo costume rimane addirittura incerta.113
110
Lazzati, 1956, p. 13 e ss.
111
Ivi, p. 20 e ss.
Passio Perpetuae et Felicitatis 1, 6. Il corsivo è dell’ed. di Formisano, 2008 a indicare la ripresa
di un’epistola giovannea (Ep. Io. 1, 1-3).
112
113
Bastiaensen, 2014, pp. 21-22.
31
Con le dovute precisazioni, attraverso le celebrazioni che si tenevano in occasione
dell’anniversario del martirio, comunque, le testimonianze hanno continuato a
perpetrare nel tempo il loro valore esemplare.114
Portando l’attenzione sulle donne martiri, le fonti riconoscono il loro ruolo di
edificazione e evangelizzazione, con effetti anche al di fuori della comunità.115
Cipriano afferma che il coraggio delle martiri è d’esempio per le altre donne e gli
apologisti ne traggono spunto per dimostrare la forza della fede cristiana, tale da
rendere inflessibili davanti alle torture “timide donne e deboli fanciulle”, come le
definisce Lattanzio.116 La martire Potamiena, riferisce Eusebio, diventa addirittura
d’ispirazione per la conversione di altri, nel caso specifico di un soldato romano di
nome Basilide:
ὃ μὲν ἀνεῖργεν ἀποσοβῶν τοὺς ἐνυβρίζοντας, πλεῖστον ἔλεον καὶ φιλανθρωπίαν εἰς αὐτὴν
ἐνδεικνύμενος, ἣ δὲ τῆς περὶ αὐτὴν συμπαθείας ἀποδεξαμένη τὸν ἄνδρα θαρρεῖν
παρακελεύεται: ἐξαιτήσεσθαι γὰρ αὐτὸν ἀπελθοῦσαν παρὰ τοῦ ἑαυτῆς κυρίου καὶ οὐκ
εἰς μακρὸν τῶν εἰς αὐτὴν πεπραγμένων τὴν ἀμοιβὴν ἀποτίσειν αὐτῷ.
ταῦτα
εἰποῦσαν γενναίως τὴν ἔξοδον ὑποστῆναι […]
οὐ μακρὸν δὲ χρόνον διαλιπὼν ὁ Βασιλείδης ὅρκον διά τινα αἰτίαν πρὸς τῶν
συστρατιωτῶν αἰτηθείς, μὴ ἐξεῖναι αὐτῷ τὸ παράπαν ὀμνύναι διεβεβαιοῦτο: Χριστιανὸν
γὰρ ὑπάρχειν καὶ τοῦτο ἐμφανῶς ὁμολογεῖν.
Dato che la folla tentava di importuna la e di insultarla con parole disdicevoli, egli
[Basilide] trattenne con m nacce e respinse coloro che la insultavano, mostrando per lei
grandissima pietà ed umanità. La donna, apprezzando la co passione di lui nei suoi
confronti, esortava l'uomo ad essere c raggioso, poiché, una volta ritornata presso il suo
Signore, avrebbe pregato per lui e gli avrebbe presto reso quanto egli aveva fatto per lei.
Dopo aver detto queste cose, ella andò nobilmente incontro alla morte […] Trascorso non
molto tempo, Basilide, ai compagni d'arme che per un qualche mot vo gli chiedevano di
prestare giuramento, dichiarò che non gli era assolutamente consentito giurare: diceva,
infatti, di essere cristiano e lo confessava apertamente.117
114
Lazzati, 1956, pp. 13-14.
115
Mazzucco, 1989, pp. 112-113.
116
Ibid. Per Cipriano si rimanda a Ep. 6, 1, 3 e per Lattanzio a Div. Inst. 5, 13, 14-15.
117
Eus. Hist. eccl. 6, 5, 3-5.
i
m
r
o
i
δ̓
32
Nel Tardo-antico e nel Medioevo l’influenza del martire si legherà sempre più
anche a un altro fenomeno, quello del culto delle reliquie. Inizialmente ciò si
sarebbe scontrato con le autorità romane, che evitavano di consegnare i corpi
per evitare disordini: in quest’ottica si spiega anche l’ordine di Diocleziano di
rimuovere i resti dalle tombe e gettarli in mare.118 Successivamente, tramanda
Eusebio119, anche Massimino Daia vietò ai cristiani di riunirsi presso i cimiteri.
118
Recupero, 2010, p. 188.
119
Eus. Hist. eccl. 9, 2.
33
1.6. Gli acta martyrum come genere letterario
Si può dire con Elizabeth Lemelin che la “martyrologie met au monde le martyr”:
il martire infatti esiste solo grazie alla testimonianza che ne è stata fatta.120 Questi
testi possiedono, inoltre, un valore propagandistico rispetto al quale la veridicità
storica passa decisamente in secondo piano. Se il martirio è una “propaganda”
portata avanti dal potere imperiale per reprimere certi comportamenti, la
letteratura martirologica è una risposta a quest’ultima per incoraggiare a
persistere nella resistenza. Importante è anche la costruzione retorica della
narrazione, tutta mirata a rovesciare quello che sembra un evidente dato di fatto,
cioè che è chi viene ucciso a perdere: nella narrazione della sua morte è il martire
a risultare trionfante e in vista di una gloria più alta di quella terrena.121
Quelli denominati come acta martyrum, gli atti dei martiri, sono scritti
tramandati dall’antichità cristiana che contengono resoconti di processi e
esecuzioni inflitti ai cristiani per la loro fede. Il termine acta non va inteso in
senso tecnico, cioè di procedimento verbale di una sessione giudiziaria, anche se
ciò non toglie che dei documenti ufficiali possano essere stati utilizzati.122 L’uso di
questo nome non risulta improprio in quanto fuori dal gergo burocratico designa
azioni coraggiose123 e anche perché il confronto con il giudice terreno
rappresenta uno dei punti chiave di questi scritti.124
Essi vengono chiamati anche passiones, termine in uso sin dalla latinità cristiana
antica: lo si trova, per esempio, in quel canone del Concilio d'Ippona del 393 d.C.
che stabilisce che in chiesa, a fianco delle scritture canoniche, si possono leggere
le passiones martyrum.125
120
Lemelin, 2022, p. 10.
121
Ivi, pp. 11-12.
122
Bastiaensen, 2014, p. 9.
In questa accezione può essere considerato sinonimo di gesta, anch’esso utilizzato per i
resoconti martirologici.
123
124
Bastiaensen, 2014, p. 9.
125
Ivi, pp. 9-10.
34
Gli studiosi di agiografia si rifanno generalmente alla classica distinzione fatta da
Hippolyte Delehaye in Les passions des martyrs et les genres littéraires fra
passioni storiche e epiche. Le passioni storiche si basano sulla testimonianza di
chi assistette al martirio o potè accedere agli atti processuali e, di solito, i dettagli
e le notizie sulla vita privata dei condannati sono molto contenute, talvolta
addirittura assenti. Le passioni epiche sono state invece redatte diverso tempo
dopo le persecuzioni e presentano informazioni sui protagonisti tanto ricche
quanto fittizie, sfociando nel romanzesco. Presentano spesso, inoltre, una
retorica che va a ricercare nella condotta dei martiri la conferma a un sistema di
valori basato sull’ascesi e la continenza.
Problemi di credibilità storica si pongono in ogni caso anche per le cd. passioni
storiche, che non sono mai la nuda trascrizione degli atti processuali e non
raramente presentano tracce di rimaneggiamenti e aggiunte posteriori.126 Le
interpolazioni risalgono spesso a una fase intermedia tra acta con valore storico e
passioni epiche vere e proprie, testimoniata anche dai Padri del IV secolo che
utilizzavano l’esempio dei martiri per dare più autorevolezza ai loro insegnamenti
morali.127
La critica agiografica cattolica dal diciassettesimo secolo in poi128 ha ristretto
sempre più il numero di atti ritenuti degni di fiducia. Per stabilirlo ci si rifà
soprattutto a motivi di critica interna: se contengono dati storici inaccettabili
(grossolani errori di cronologia, caricature non plausibili di imperatori
persecutori, presenza massiccia di elementi soprannaturali) sono soggetti al
dubbio. Si parte dal contenuto poiché il confronto con altre fonti risulta in molti
casi molto difficoltoso.129
126
Consolino, 1992, pp. 95-96.
127
Ibid.
Cominciando con il benedettino Thierry Ruinart, autore della raccolta Acta primorum
martyrum sincera et selecta del 1689.
128
129
Bastiaensen, 2014, p. 24.
35
2. Le donne nel cristianesimo delle origini
2.1. Figure femminili nell’Antico Testamento
Prima di apprestarsi a esaminare la condizione delle donne nel primo
cristianesimo dal punto di vista storico, può essere utile gettare uno sguardo
anche sulla loro rappresentazione nell’Antico Testamento:
Uno degli aspetti che si impongono all'attenzione, quando si studiano le figure femminili
della Bibbia, soprattutto nei libri che costituiscono i primi due blocchi della Bibbia ebraica
(Pentateuco e Profeti anteriori) e negli unici due "rotoli" che portano un nome di donna
(Rut ed Ester), è il loro emergere in primo piano in particolari situazioni di "crisi" e il loro
singolare modo di porsi in rapporto con il "sacro" - in senso lato - e con tutto un complesso
di norme e di comportamenti comunemente messi in atto per proteggersi dai suoi aspetti
distruttivi.1
Avanzinelli nota che le donne bibliche spesso dimostrano la capacità di situarsi
sul difficoltoso confine che separa dimensioni antitetiche come il sacro dal
profano, l'impuro dal puro, la vita dalla morte e ritene che la religiosità femminile
in epoca biblica si esprimesse specialmente in concomitanza dei riti di passaggio,
fra cui soprattutto i rituali di parto e di nascita (e parallelamente quelli legati alla
morte).2
Nelle saghe familiari dei genitori d’Israele (Gen. 12-38) i racconti non ruotano
soltanto attorno ai patriarchi, ma ci sono anche figure di “madri fondatrici” che
contribuiscono attivamente alla storia del popolo eletto.3 Sara, moglie di Abramo,
fa cacciare Agar e suo figlio Ismaele nel deserto di Bersabea così da rovesciare il
diritto di primogenitura a favore di suo figlio Isacco: Dio non contesta la sua
azione e la sua figura gioca un ruolo essenziale nella linea della storia biblica.4
1
Avanzinelli, 2005, p. 22.
2
Ibid.
3
Valerio, 2014, p. 40 e ss.
4
Gen. 21, 9-14.
36
Inoltre, Abramo la seppellisce a Ebron, nella terra di Canaan, acquistando il primo
appezzamento che costituirà una sorta di “diritto di cittadinanza”5 nella terra
promessa.6
Agar, poi, da schiava e madre sostitutiva reietta diventa per volere divino
fondatrice di “una grande nazione”7. E è a Rebecca, non al marito Isacco, alle
quale Dio rivela il destino dei due figli Esaù e Giacobbe8, e è sempre lei a
ingannare l’anziano marito affinché l’eredità vada al suo prediletto, il
secondogenito Giacobbe.9 Anche Tamar, nuora di Giuda, dopo la morte dei due
mariti, utilizza uno stratagemma per non ritrovarsi senza erede e riacquistare un
posto all’interno della società patriarcale: fingendosi una prostituta si incontra
con Giuda, che non la riconosce, e rimane incinta, dando origine alla discendenza
di Davide.10 Sarà inoltre lei, insieme alla straniera Rut, alla prostituita Raab e alla
concubina di Davide Betsabea, a figurare nella genealogia di Gesù: si può dire,
con Adriana Valerio, che sono quattro donne decisamente “fuori dagli schemi”11.
Per quanto riguarda le donne bibliche è necessario, inoltre, sovvertire certi
stereotipi che presentano il femminile come qualcosa di “mite”: ci sono infatti
esempi importanti di donne capaci di estrema violenza, verbale e materiale.12
Emblematica sotto questo punto di vista è la vicenda di Atalià, figlia di Acab e di
Gezabele e madre di Acazià, re di Giuda, la quale è descritta in balia di una
violenza omicida contro gli eredi della stirpe regale di Giuda dopo l’uccisione di
suo figlio.13
5
Valerio, 2014, p. 43.
6
Gen. 23, 2.
7
Gen. 21, 18.
8
Gen. 25, 23.
9
Gen. 27, 1 e ss.
10
Gen. 38, 14 e ss.
11
Valerio, 2014, p. 48.
12
Avanzinelli, 2005, p. 24.
13
2Re 11, 1.
37
Poi c’è Giuditta, la cui vicenda è narrata nell’omonimo libro, donna dotata di fine
intelligenza e coraggio: ella si presenta dal generale assiro Oloferne fingendo di
voler tradire la sua gente, lo fa invaghire di lei con il suo aspetto avvenente e la
sua dialettica e una sera, fattolo ubriacare, gli mozza la testa.14 La figura di
Giuditta è interessante anche perché si muove su un terreno estremamente
ambiguo: da una una parte la sua astuzia suscita l’ammirazione del suo popolo,
dall’altra siamo in presenza del topos della malia femminile pericolosissima per
l’uomo che ricorre più volte nello stesso testo sacro.15
Anche Ester - la regina che salva il suo popolo dal re persiano a rischio della sua
stessa vita, alla storia della quale risale eziologicamente la festa ebraica di Purim pretende un secondo giorno per dare sfogo all'odio innescato dalla minaccia di
sterminio.16
Per Avanzinelli, poi, ci sono casi in cui le donne bibliche fungono da schermo a
una violenza in cui interviene una componente sacrale - forze distruttive evocate
a volte da una maledizione, altre dal versamento del sangue o dalla violazione di
un tabù - facendosene carico e provando a trasformarle.17 A questo proposito si
può menzionare il ruolo di mediatrice di Abigail tra Davide e suo marito Nabal,
che si rifiuta di recare omaggi al futuro re.18 La reazione di Davide all’oltraggio è
immediata e violenta, arma un esercito di quattrocento uomini e si dirige verso i
possedimenti di Nabal deciso a fare una strage. Abigail allora prepara ricchi doni
e si getta ai piedi di Davide addossandosi una colpa non sua e prega affinché Dio
non lo faccia vivere con la “maledizione” di aver versato del sangue che poteva
essere risparmiato:
14
Gdt. 13, 6-8.
15
Valerio, 2014, p. 95.
16
Est. 9, 13.
17
Avanzinelli, 2005, p. 26.
18
1Sam. 25, 10-11.
38
καὶ ἔσται ὅτι ποιήσει κύριος τῷ κυρίῳ μου πάντα ὅσα ἐλάλησεν ἀγαθὰ ἐπὶ σέ καὶ
ἐντελεῖταί σοι κύριος εἰς ἡγούμενον ἐπὶ Ισραηλ καὶ οὐκ ἔσται σοι τοῦτο βδελυγμὸς καὶ
σκάνδαλον τῷ κυρίῳ μου ἐκχέαι αἷμα ἀθῷον δωρεὰν καὶ σῶσαι χεῖρα κυρίου μου αὐτῷ
καὶ ἀγαθώσει κύριος τῷ κυρίῳ μου καὶ μνησθήσῃ τῆς δούλης σου ἀγαθῶσαι αὐτῇ.
Certo, quando il Signore ti avrà concesso tutto il bene che ha detto a tuo riguardo e ti avrà
costituito capo d’Israele, non sia d'inciampo o di rimorso al mio signore l'aver versato
invano il sangue e l'essersi il mio signore fatto giustizia da se stesso.19
Davide si ravvede immediatamente benedicendo la donna, “liberato dalla
maledizione che le parole di Abigail hanno saputo trasformare in benedizione”.20
Infine, è proprio nell’Antico Testamento che Elizabeth Castelli in À
l'origine des femmes martyres trova una possibile figura archetipica alla base del
martirio femminile, la madre del Secondo libro dei Maccabei che il re Seleuco IV
fa uccidere perché si rifiuta di agire contro la sua fede, figura che verrà
approfondita nel capitolo terzo.
19
1Sam. 25, 30-31.
20
Avanzinelli, 2005, p. 33.
39
2.2. Ai tempi di Gesù e Paolo di Tarso
Fondamentale per affrontare la tematica del martirio femminile nei primi secoli
del cristianesimo è inquadrare la situazione giuridico-sociale delle donne al suo
interno.
Per Clementina Mazzucco “restano in gran parte da scoprire le tracce di
un’autentica storia femminile cristiana”21. La documentazione a nostra
disposizione permette infatti un approccio perlopiù indiretto: si tratta di fonti
letterarie di mano quasi esclusivamente maschile, spesso basate su topoi e più
prescrittive - cioè volte a delineare un ideale etico-morale astratto - che
descrittive dell’effettiva realtà quotidiana.
Una comprensione profonda della condizione della donna nella nascente
comunità cristiana richiede inoltre il riuscire a guardare oltre le affermazioni ai
nostri occhi sicuramente misogine e antifemministe dei Padri della Chiesa, che
oltretutto sono spesso in contrasto con le effettive esperienze di vita vissuta:
molte sono le presenze femminili accanto a illustri esponenti cristiani, attestate
per esempio, come nel caso di Girolamo, da fitte corrispondenze epistolari.22 Di
primaria importanza per evitare il rischio di cadere in stereotipi e anacronismi è
perciò la selezione delle fonti e il loro inquadramento storico-sociale.23
I modelli interpretativi a cui si ricorre per spiegare il ruolo delle donne nel primo
cristianesimo sono solitamente due: il primo sottolinea la discontinuità tra
l’importanza delle donne nel movimento di Gesù e il loro ruolo ridimensionato
nelle prime chiese specialmente dal III secolo d.C., il secondo invece tende alla
continuità, a ricercare le tracce di un coinvolgimento attivo anche dove i testi
sembrano negarlo.24
21
Mazzucco, 1989, p. 9.
22
Ivi, pp. 7-9.
Gallo, 1984, pp. 9-14, per una metodologia di approccio generale alla storia di genere
nell’antichità.
23
24
Destro - Pesce, 2011, p. 1.
40
Destro e Pesce, pur allineandosi al modello della discontinuità, pensano che
questi due schemi non vadano necessariamente contrapposti e trovano le radici
di questo cambiamento nella svolta tra la forma sociale del movimento di Gesù e
i sistemi che si sono sviluppati successivamente. Le fonti su Gesù sono un
complesso di tradizioni orale e scritte spesso rispondenti a esigenze identitarie e
apologetiche per coloro che ne seguivano gli insegnamenti.25 In ordine
cronologico le prime testimonianze sono le lettere di Paolo, scritte tra il 50 e il 58
del I secolo, seguono poi le ricostruzioni operate tra II e IV secolo dalla letteratura
cristiana definita - a seconda del valore normativo che le è stato riconosciuto “canonica” (comprendente i Vangeli sinottici, cioè quelli di Marco, del 70 ca.,
Matteo e Luca dell’80-85 e il Vangelo di Giovanni di fine I secolo) o “apocrifa”.26
La forma sociale promossa da Gesù può essere definita come una forma sociale
“interstiziale”, cioè non ufficiale e istituzionalizzata, volontaria e temporanea,
fortemente dipendente dalla sua presenza fisica: per questo dopo la sua morte,
con l’organizzazione dei seguaci nelle varie ekklesiai, provocano dei forti
cambiamenti con l’istituzionalizzazione dei ruoli, che ovviamente coinvolgono
anche le donne.27 La chiamata da parte di Gesù comporta un’uscita dall’oikos sia
in senso fisico, i discepoli e le discepole spesso lo seguivano nella vita itinerante,
che figurato:
Δοκεῖτε ὅτι εἰρήνην παρεγενόμην δοῦναι ἐν τῇ γῇ; οὐχί, λέγω ὑμῖν, ἀλλ’ ἢ διαμερισμόν.
ἔσονται γὰρ ἀπὸ τοῦ νῦν πέντε ἐν ἑνὶ οἴκῳ⸃ διαμεμερισμένοι, τρεῖς ἐπὶ δυσὶν καὶ δύο ἐπὶ
τρισίν, διαμερισθήσονται πατὴρ ἐπὶ υἱῷ καὶ υἱὸς ἐπὶ πατρί, μήτηρ ἐπὶ θυγατέρα καὶ
θυγάτηρ ἐπὶ τὴν μητέρα, πενθερὰ ἐπὶ τὴν νύμφην αὐτῆς καὶ νύμφη ἐπὶ τὴν πενθεράν.
25
Valerio, 2018, p. 23.
26
Ivi, p. 24.
27
Destro - Pesce, 2011, p. 2.
41
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D'ora
innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due
contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia
e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera.28
Questo passo di Luca esprime sia il conflitto familiare e generazionale
comportato dalla scelta di seguire la predicazione di Gesù che la possibilità di un
discepolato femminile.29 Nel Vangelo di Matteo, scritto probabilmente
nell’ultimo quarto del I secolo d.C., si parla solo del discepolo maschio: “i nemici
dell'uomo - ἂνθρωπος - saranno quelli della sua casa” (Mt 10, 36), variazione che
potrebbe riflettere il ruolo sempre meno attivo delle donne all’interno di
comunità ormai gerarchicamente istituzionalizzate.30
Come Destro e Pesce
concludono:
Questi processi sono determinati dal fatto che le norme del vivere quotidiano su cui si
regge sia l’oikos sia l’assemblea pubblica vengono ad avere un peso determinante. Cessata
la presenza trasformatrice di Gesù nell’oikos, si consolida una forma sociale prima
inesistente, l’ekklesia, che non può non assumere alcuni comportamenti “istituzionali”
della cultura del tempo (riunioni formalizzate, tempi stabiliti, compiti e riti, direttive ed
apparati cultuali, gerarchie sociali, onore pubblico maschile). L’oikos, non essendo più
esposto agli effetti sconvolgenti di una leadership interstiziale, ripristina le eterne logiche
della domesticità che rimettono in funzione la differenza gerarchica.31
Tra le figure femminili più importanti al seguito di Gesù c’era Maria di Magdala o
Maddalena.32 Di lei parlano tutti e quattro gli evangelisti e diversi scritti apocrifi,
faceva parte del gruppo itinerante che accompagna Gesù dall’inizio della sua
missione, era presente alla crocifissione e alla sepoltura di Gesù il quale, una
28
Lc. 12, 51-53.
29
Destro - Pesce, 2011, p. 5.
30
Ibid.
31
Destro - Pesce, 2011, p. 13-14.
32
Valerio, 2018, p. 40.
42
volta risorto, la designa come prima annunciatrice della Pasqua del Signore.33
Nelle comunità gnostiche e montaniste, poi, la sua figura acquisì centrale
importanza: nel Vangelo secondo Maria, nella Pistis Sophia e nel Vangelo di
Filippo Maria Maddalena è il simbolo della conoscenza superiore, la gnosis.34
Altre discepole erano Maria e Marta di Betania, due sorelle che, pur non
appartenendo al gruppo itinerante, aveva un posto di rilievo tra le seguaci: Luca
ricorda Maria come discepola alla scuola di Gesù mentre Marta come donna della
diaconia.35
Sicuramente da inquadrare e riportare alle norme socio-culturali del tempo, le
donne continuano comunque a rivestire un ruolo importante nella diffusione del
movimento cristiano. Oltre ai casi straordinari e eclatanti delle martiri, ci sono
anche molte altre donne che operano con un’azione più terrena, diffusa e sottile,
come testimonia Clemente Alessandrino:
Πέτρος μὲν γὰρ καὶ Φίλιππος ἐπαιδοποιήσαντο, Φίλιππος δὲ καὶ τὰς θυγατέρας ἀνδράσιν
ἐξέδωκεν, καὶ ὅ γε Παῦλος οὐκ ὀκνεῖ ἔν τινι ἐπιστολῇ τὴν αὑτοῦ προσαγορεύειν σύζυγον,
ἣν οὐ περιεκόμιζεν διὰ 3.6.53.2 τὸ τῆς ὑπηρεσίας εὐσταλές. λέγει οὖν ἔν τινι ἐπιστολῇ·
οὐκ ἔχομεν ἐξουσίαν ἀδελφὴν γυναῖκα περιάγειν, ὡς καὶ οἱ λοιποὶ ἀπόστολοι; ἀλλ' οὗτοι
μὲν οἰκείως τῇ διακονίᾳ, ἀπερισπάστως τῷ κηρύγματι προσανέχοντες, οὐχ ὡς γαμετάς,
ἀλλ' ὡς ἀδελφὰς περιῆγον τὰς γυναῖκας συνδιακόνους ἐσομένας πρὸς τὰς οἰκουροὺς
γυναῖκας, δι' ὧν καὶ εἰς τὴν γυναικωνῖτιν ἀδιαβλήτως παρεισεδύετο ἡ τοῦ κυρίου
διδασκαλία.
Pietro e Filippo ebbero figli, Filippo anzi diede a marito le figlie. Paolo poi non si perita di
nominare in una epistola la propria compagna, che non portava con sé per essere a suo
agio nel suo ministero. E dice in un'altra lettera: “Non abbiamo noi il diritto di condurre
con noi una donna, sorella [di fede], come gli altri apostoli?”. Ma questi, come si conveniva
al loro ministero, attendendo alla predicazione “senza distrazioni”, portavano con sé le
donne non come spose, ma come sorelle, che avrebbero dovuto aiutare nei servigi le
33
Mc. 15, 40 e ss.
34
Valerio, 2018, p. 40.
35
Lc. 10, 38-42.
43
donne di casa: attraverso di esse la dottrina del Signore poteva penetrare anche nel
gineceo, senza dar luogo a calunnie.36
In età apostolica sono attestate donne profetesse con ruoli di preghiera e
catechesi.37 Rimanendo con Paolo di Tarso, importante e discussa per la
comprensione del ruolo delle donne nel primo cristianesimo è la Prima Lettera ai
Corinzi:
θέλω δὲ ὑμᾶς εἰδέναι ὅτι παντὸς ἀνδρὸς ἡ κεφαλὴ ὁ Χριστός ἐστιν, κεφαλὴ δὲ γυναικὸς ὁ
ἀνήρ, κεφαλὴ δὲ τοῦ Χριστοῦ ὁ θεός. πᾶς ἀνὴρ προσευχόμενος ἢ προφητεύων κατὰ
κεφαλῆς ἔχων καταισχύνει τὴν κεφαλὴν αὐτοῦ· πᾶσα δὲ γυνὴ προσευχομένη ἢ
προφητεύουσα ἀκατακαλύπτῳ τῇ κεφαλῇ καταισχύνει τὴν κεφαλὴν αὐτῆς, ἓν γάρ ἐστιν
καὶ τὸ αὐτὸ τῇ ἐξυρημένῃ.
Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e
capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di
riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, manca di
riguardo al proprio capo perché è come se fosse rasata.38
In questo passo si ammette la possibilità per le donne di profetizzare e pregare a
patto che abbiano il capo coperto, in una posizione di subordinazione
all’elemento maschile in accordo con i costumi e la mentalità del tempo. Ma
dopo si precisa:
πλὴν οὔτε ⸂γυνὴ χωρὶς ἀνδρὸς οὔτε ἀνὴρ χωρὶς γυναικὸς⸃ ἐν κυρίῳ· ὥσπερ γὰρ ἡ γυνὴ ἐκ
τοῦ ἀνδρός, οὕτως καὶ ὁ ἀνὴρ διὰ τῆς γυναικός· τὰ δὲ πάντα ἐκ τοῦ θεοῦ.
Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna. Come infatti
la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio.39
36
Clem. Al. Strom. 3, 6, 53, 1-4.
37
Aulisa, 2000, p. 229.
38
1Cor. 11, 3-5.
391Cor.
11, 11-12.
44
Ancora, successivamente si legge:
Αἱ γυναῖκες ἐν ταῖς ἐκκλησίαις σιγάτωσαν, οὐ γὰρ ἐπιτρέπεται αὐταῖς λαλεῖν· ἀλλὰ
ὑποτασσέσθωσαν, καθὼς καὶ ὁ νόμος λέγει. εἰ δέ τι μαθεῖν θέλουσιν, ἐν οἴκῳ τοὺς ἰδίους
ἄνδρας ἐπερωτάτωσαν, αἰσχρὸν γάρ ἐστιν γυναικὶ λαλεῖν ἐν ἐκκλησίᾳ.
Le donne nelle assemblee tacciano, perché non
loro permesso di parlare, stiano invece
sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a
casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea.40
Si è pensato che quest’ultima parte, a prima vista in contraddizione con la
precedente accettazione della profezia femminile da parte di Paolo, fosse
un’aggiunta posteriore non paolina.41 In ogni caso il passo potrebbe testimoniare
“un’evoluzione del primo cristianesimo legata all’opposizione ekklesia-oikos”42:
nell’assemblea viene vietato alle donne di intervenire non perché considerate
indegne, lo stesso Paolo non discute la liceità della profezia femminile, ma per
una questione di onorabilità pubblica.
Dopo la particolare e circoscritta esperienza legata alla predicazione di Gesù gli
antichi modelli di subordinazione uomo-donna sia nello spazio pubblico delle
comunità che in quello privato delle famiglie tornano in vigore, i conflitti familiari
e generazionali causati dal discepolato di cui parla Luca si spengono. Da
“Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né
donna”, scrive ancora Paolo nella Lettera ai Galati43. Con il quadro che sin qui si è
cercato di tracciare emerge una situazione sicuramente complessa e tesa tra poli
in apparenza opposti.
40
1Cor. 14, 34-35.
41
Destro - Pesce, 2001, p. 11.
42
Ibid.
43
Gal. 3, 28.
è
45
Il movimento cristiano nato all’interno del giudaismo è sicuramente promotore di
un messaggio universale, indirizzato all’essere umano in generale
indipendentemente dal sesso biologico, e al suo interno ci si può imbattere sin
dalle origini in una miriade di straordinarie figure femminili sia mitiche che
storiche o a metà tra le due categorie, come le martiri.
Da non trascurare è anche il fatto che quello che sappiamo su di loro è
tramandato da un punto di vista maschile e non sono loro stesse a raccontarcelo,
se non in qualche fortunato caso come la Passione di Perpetua e Felicita. Martiri,
sante, profetesse e eroine bibliche sono sicuramente figure fuori dal comune
tanto che, talvolta, ciò che si narra di loro si colloca a metà tra la realtà e il mito,
ma anche lettere private e fonti papiracee restituiscono un quadro meno
stereotipato e unidimensionale della donna cristiana dei primi secoli, certamente
più vivace di quello che traspare dagli scritti dei Padri della Chiesa, spesso più
normativi che descrittivi e basati su motivi topici.44
Nei primi secoli del movimento cristiano il coinvolgimento e l’influenza della
componente femminile sono stati fenomeni peculiari e importanti, anche a livello
quantitativo. Molti scritti della prima letteratura cristiana si rivolgono sia ai
fratelli che alle sorelle: le donne sono partecipi della cultura.45
Ciò non è totalmente una novità nel panorama antico, nel mondo romano
l’educazione era aperta anche alle donne che istruivano i figli almeno fino ai sette
anni d’età. Ma la donna colta suscitava sempre un certo sospetto e era tenuta a
non dar sfoggio della propria conoscenza fuori dall’ambito privato.46 Invece in
ambito cristiano Taziano (120-180 d.C. ca.) si vanta della presenza di “donne che
filosofeggiano” e di “donne sapienti”.47
44
Mazzucco, 1989, pp. 30-31.
45
Ivi, pp. 6-10.
46
Novembri, 2005, p. 188.
47
Ivi, p. 193.
46
Con queste considerazioni siamo già oltre la prima fase del movimento cristiano,
e come nota Novembri le cose, anche in relazione al fenomeno del martirio,
iniziano a mutare:
Proprio allora, in parallelo con questo processo di slittamento semantico e di creazione del
nuovo paradigma di santità, connotata come vita di perfezione, di ascesi, di preghiera e di
continenza, fu elaborato anche un nuovo progetto pedagogico, specificamente rivolto alle
donne, da parte dei Padri. Dopo la fine delle persecuzioni, chiusa la fase del “cristianesimo
eroico”, andarono creandosi nuovi modelli di santità, diversi da quello del martire, ma per
certi aspetti assimilabili ad esso: la vergine e il monaco conducevano una vita di continua
lotta contro la tentazione e il peccato, un martirio quotidiano e incruento, ma non per
questo meno arduo da affrontare. Fu allora che per la prima volta si creò un progetto
educativo rivolto in maniera mirata alle donne: una vera e propria pedagogia della
verginità.48
In conclusione, riguardo alla partecipazione femminile al primo movimento
cristiano, possiamo ipotizzare che ci sia stato un passaggio da una fase iniziale più
libera e multiforme a successive restrizioni e regole più rigide.49
Ciò potrebbe essere confermato dalla presenza delle chiese domestiche,
diffusissime alle origini e spesso gestite da donne, e dalle molte donne
menzionate da Paolo che dovevano essere impegnate in attività missionarie e
evangelizzatrici simili a quelle dello stesso apostolo.50
48
Novembri, 2005, p. 193.
49
Mazzucco, 1989, p. 71.
50
Ivi, pp. 71-72.
47
2.3. Ruoli e possibilità
2.3.1. Verginità e vedovanza
Sebbene la verginità, insieme alla vedovanza, fosse ritenuta di grande prestigio
già nelle prime comunità cristiane, è solo nel IV secolo che si arriva alla
sistematica elaborazione di norme che regolano l’ideale ascetico femminile.51
Non a caso nelle passiones romane, il cui nucleo più antico risale probabilmente
al V secolo, la castità delle protagoniste è celebrata e enfatizzata al pari della
fermezza nell’affrontare il martirio. L’ideale del sine cruore martyrium della vita
ascetica si sviluppò, infatti, con la fine delle persecuzioni: quando c’era la morte
cruenta, il modo più estremo e impattante di dare testimonianza della propria
fede, la verginità delle martiri non veniva messa così in risalto.52 Esemplare è in
questo caso la Passio Perpetuae et Felicitatis, risalente al 203 d.C. ca., dove la
martire Perpetua ha un figlio e Felicita dà alla luce un neonato poco prima di
venire uccisa nell’arena.
Nella Storia Ecclesiastica di Eusebio (IV secolo) martirio e castità appaiono
strettamente legati. L’autore equipara addirittura le martiri per la fede alle donne
che, pur di difendere la loro verginità, si sono fatte uccidere53:
αἱ
αὖ γυναῖκες οὐχ ἧττον τῶν ἀνδρῶν ὑπὸ τῆς τοῦ θείου λόγου διδασκαλίας ἠρρενωμέν
αι, αἳ μὲν τοὺς αὐτοὺς τοῖς ἀνδράσιν ἀγῶνας ὑποστᾶσαι ἴσα τῆς ἀρετῆς ἀπηνέγκαντο βρα
βεῖα, αἳ δὲ ἐπὶ φθορὰν ἑλκόμεναι θᾶττον τὴν ψυχὴν θανάτῳ ἢ τὸ σῶμα τῇ φθορᾷ παραδε
δώκασιν.
Anche le donne, spinte dall'insegnamento della parola di Dio, non furono da meno degli
uomini. Alcune furono so toposte alle medesime lotte degli uomini e riportarono identici
premi per il loro valore; altre, trascinate alla prostituzione, diedero piuttosto l'anima alla
morte che il corpo alla corruzione.54
51
Consolino, 1984, p. 84.
52
Ivi, p. 85.
53
Noce, 2015, p. 90.
54
Eus. Hist. eccl. 8, 14, 14.
t
δ̓
48
Nella sua opera Eusebio non si sofferma a descrivere il ruolo delle donne nella
chiesa (a eccezione delle eretiche, ma nel loro caso i dettagli sono funzionali a
fornire materiale di critica), la sua attenzione è catalizzata da donne dalle
caratteristiche ascetiche, martiri incluse.55 Queste figure in realtà trascendono la
categoria del femminile, nella mentalità antica un gradino più in basso rispetto a
quella maschile.56 Carla Noce sottolinea come esse, dando prova di estremo
coraggio, elevino il loro status e diventino pari all’uomo:
le martiri alle quali Eusebio dedica maggior spazio sono coloro che, per fragilità del corpo e
umiltà di condizione sociale, gli permettono di sviluppare a dismisura il paradosso tra
esteriorità e interiorità, debolezza corporea e forza dell’animo, femminilità fisica e
maschilità spirituale.57
Oltre all’idea di castità raccontata dalle fonti e in relazione al martirio è
comunque importate notare come questa condizione, come scelta di vita o in
seguito a vedovanza, apra effettivamente alle donne cristiane nuove possibilità di
orientare la propria esistenza, innovative sia rispetto al giudaismo che al mondo
classico. Già Paolo nella Prima lettera a Timoteo fa alcune osservazioni sulle
vedove di Efeso:
Χήρας τίμα τὰς ὄντως χήρας. εἰ δέ τις χήρα τέκνα ἢ ἔκγονα ἔχει, μανθανέτωσαν πρῶτον
τὸν ἴδιον οἶκον εὐσεβεῖν καὶ ἀμοιβὰς ἀποδιδόναι τοῖς προγόνοις, τοῦτο γάρ ἐστιν
ἀπόδεκτον ἐνώπιον τοῦ θεοῦ. ἡ δὲ ὄντως χήρα καὶ μεμονωμένη ἤλπικεν ἐπὶ θεὸν καὶ
προσμένει ταῖς δεήσεσιν καὶ ταῖς προσευχαῖς νυκτὸς καὶ ἡμέρας […] Χήρα καταλεγέσθω
μὴ ἔλαττον ἐτῶν ἑξήκοντα γεγονυῖα, ἑνὸς ἀνδρὸς γυνή, ἐν ἔργοις καλοῖς μαρτυρουμένη,
εἰ ἐτεκνοτρόφησεν, εἰ ἐξενοδόχησεν, εἰ ἁγίων πόδας ἔνιψεν, εἰ θλιβομένοις ἐπήρκεσεν, εἰ
παντὶ ἔργῳ ἀγαθῷ ἐπηκολούθησεν. νεωτέρας δὲ χήρας παραιτοῦ· ὅταν γὰρ
καταστρηνιάσωσιν τοῦ Χριστοῦ, γαμεῖν θέλουσιν, ἔχουσαι κρίμα ὅτι τὴν πρώτην πίστιν
ἠθέτησαν.
55
Noce, 2015, p. 105.
56
Parks - Sheinfeld - Warren, 2022, pp. 10-12.
57
Noce, 2015, p. 106.
49
Onora le vedove, quelle che sono veramente vedove; ma se una vedova ha figli o nipoti,
essi imparino prima ad adempiere i loro doveri verso quelli della propria famiglia e a
contraccambiare i loro genitori: questa infatti è cosa gradita a Dio. Colei che è veramente
vedova ed è rimasta sola, ha messo la speranza in Dio e si consacra all'orazione e alla
preghiera giorno e notte […] Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando
abbia non meno di sessant'anni, sia moglie di un solo uomo, sia conosciuta per le sue
opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l'ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta
in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene. Le vedove più giovani non
accettarle, perché, quando vogliono sposarsi di nuovo, abbandonano Cristo e si attirano
così un giudizio di condanna, perché infedeli al loro primo impegno.
Tra II e III secolo le vedove sono all’interno della comunità ecclesiale una
categoria riconosciuta in maniera ufficiale, l’Ordo viduarum: elette dal vescovo,
avevano dei seggi riservati durante la celebrazione eucaristica e vivevano
probabilmente in comunità a carico della chiesa. Esse erano tenute alla preghiera
e al digiuno, le loro orazioni valevano come strumento di intercessione e
dovevano svolgere anche funzioni di insegnamento e compiti caritativi, oltre a
essere un punto di riferimento per le altre cristiane in cerca di aiuto e consiglio.58
Zorzi precisa che nel I millennio ordinatio/ordinare significava incaricare qualcuno
per un servizio o una funzione nella comunità - cioè entrare in una categoria
all’interno del popolo di Dio, appunto gli ordines - e spesso è sinonimo di
consecrare, benedire: ciò non coincide con l’odierno concetto teologico di
ordinazione che implica il potere del conferimento dei sacramenti.59
Le vergini avevano un ideale di vita molto simile a quella delle vedove (sembra
che alcune fossero addirittura associate a loro60), perlopiù rimanevano nella
famiglie di origine ma si hanno anche testimonianze di vita comunitaria risalenti a
fine III secolo61
58
Mazzucco, 1989, pp. 51 e ss.
59
Zorzi, 2012, p. 34.
60
Tert. De virg. vel. 9, 2-3.
61
Mazzucco, 1989, pp. 51 e ss.
50
La verginità e l'ascetismo, sebbene probabilmente non istituzionalizzati
completamente se non molto tempo dopo, facevano parte della pratica cristiana
fin dalle origini. L'evidenza dell'ascetismo femminile diventa un po' meno
frammentaria con l'ascesa del monachesimo, le cui origini sono tradizionalmente
collocate nel 307 con la fondazione da parte di Pacomio di una comunità
cenobitica di monaci in Egitto.62 La tradizione63 conserva la storia della sorella di
Pacomio, Maria, che si recò a visitare il fratello nel suo monastero nel deserto.
Egli si rifiutò di vederla ma si offrì di costruirle una capanna all'esterno in modo
che potesse seguire la vita ascetica. Maria divenne così il capo di uno dei due
monasteri femminili che rimasero, insieme a nove monasteri maschili, dopo la
morte di Pacomio: le monache di questi primi conventi seguivano una rigida
forma di ascetismo che differiva da quella dei monaci pacomiani solo per
l'abbigliamento.64 Prima della formazione di tali comunità, come già accennato,
era comune che le vergini continuassero a vivere con i genitori o in piccoli gruppi
non totalmente isolati dal mondo. Infine, c’erano anche le virgines
subintroductae, che vivevano insieme a uomini anch’essi votati alla castità: la
pratica venne messa in discussione e condannata sia dai Padri della Chiesa che
dal Concilio di Antiochia del 268.65
62
Castelli, 1986, p. 78.
63
Pall. Hist. laus. 33.
64
Castelli, 1986, p. 78-79.
65
Ivi, p. 80.
51
2.3.2. La questione del diaconato femminile
Ma nelle comunità cristiane più antiche qual era l’effettivo grado di
partecipazione delle donne ai ministeri ecclesiali? Nell’epistola di Plinio il Giovane
a Traiano del 109 d.C., la prima fonte latina in cui sono nominati i cristiani,
compaiono due “diaconesse”66:
Quibus peractis morem sibi discedendi fuisse rursusque coeundi ad capiendum cibum,
promiscuumque tamen et innoxium: quod ipsum facere desisse post edictum meum, quo
secundum mandata tua hetaerias esse vetueram. Quo magis necessarium credidi, ex
duabus ancillis, quae ministrae dicebantur, quid esset veri et per tormenta quaerere. Sed
nihil aliud inveni quam superstitionem pravam, immodicam.
Dopo aver compiuto tali cerimonie, abitualmente se ne andavano per poi riunirsi di nuovo
per prendere del cibo, ordinario, comunque, e innocente: una pratica a ogni modo
abbandonata dopo il mio editto con il quale, secondo le tue istruzioni, avevo proibito le
associazioni politiche. Tutto questo mi indusse a ritenere ancora più necessario di
sottoporre a interrogatorio, anche mediante la tortura, due schiave, chiamate diaconesse,
per scoprire che vi fosse di vero: non sono riuscito a trovare altro che una perversa e
sfrenata superstizione.67
Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani scrive:
Συνίστημι δὲ ὑμῖν Φοίβην τὴν ἀδελφὴν ἡμῶν, οὖσαν καὶ διάκονον τῆς ἐκκλησίας τῆς ἐν
Κεγχρεαῖς, ἵνα αὐτὴν προσδέξησθε⸃ ἐν κυρίῳ ἀξίως τῶν ἁγίων, καὶ παραστῆτε αὐτῇ ἐν ᾧ
ἂν ὑμῶν χρῄζῃ πράγματι, καὶ γὰρ αὐτὴ προστάτις πολλῶν ἐγενήθη καὶ ἐμοῦ αὐτοῦ.
Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio della Chiesa di Cencre: accoglietela
nel Signore, come si addice ai santi, e assistetela in qualunque cosa possa avere bisogno di
voi; anch’essa infatti infatti ha protetto molti, e anche me stesso.68
Nel testo latino c’è il termine ministrae, verosimilmente traduzione del greco διάκονος, vd.
Sorci, 1992, p. 332.
66
67
Plin. Ep. 10, 96, 7-8. La sottolineatura è mia.
68
Rm. 16, 1-2. Anche qui la sottolineatura è mia.
52
La perifrasi “che è al servizio” nell’edizione della Bibbia CEI 200869 traduce il
sostantivo greco διάκονος, invariabile al maschile e al femminile. Per chiarire
questa definizione bisogna tenere conto che fino al III secolo non esisteva una
vera e propria teologia sacramentale: il diaconato femminile delle origini non era
un ministero propriamente istituzionalizzato ma si può supporre che il termine
comprenda qualcosa di più che un generico aiuto, doveva trattarsi di un ruolo
definito e riconosciuto all’interno della comunità.70
Le diaconesse dovevano assistere le donne durante il battesimo (infatti si ipotizza
che l’introduzione dell’uso di battezzare i neonati invece che gli adulti indebolì la
loro posizione) e impartire alle neofite i fondamenti della fede.71
Rispetto al mondo ebraico, dove la partecipazione delle donne avveniva
sicuramente in ambiti più circoscritti, si sottolinea spesso la novità della
partecipazione femminile nel primo movimento cristiano: è altresì attestato che
le donne ebree svolgevano nelle sinagoghe delle mansioni pratiche come la
preparazione del pane per lo Shabbat e l’accensione delle candele per le funzioni,
intonavano poi i lamenti funebri e si occupavano delle abluzioni dei defunti.72
Inoltre, sono state rinvenute delle epigrafi giudaiche greche e latine che vedono
associati a personaggi femminili importanti titoli di ambito sinagogale.
Bernadette Brooten nel lavoro del 1982 Women Leaders in the Ancient
Synagogue ha studiato 19 epigrafi dal 27 a.C. ai primi del VI secolo d.C. che
contengono titoli come archisynagōgissa, presbyterissa, mētēr synagōgēs,
hiereia/hierissa. In passato si pensava che questi titoli non si riferissero
effettivamente a funzioni svolte dalle donne a cui le iscrizioni fanno riferimento
ma che fossero solo onorifici mutati, per esempio dai ruoli ricoperti dai loro
mariti.73
Da notare che anche Girolamo rende il passaggio con la perifrasi quae est in ministerio
Ecclesiae.
69
70
Martino Piccolino, 2010, p. 615.
71
Ivi, p. 620.
72
Martino Piccolino, p. 616.
73
Brooten, 1982, p. 1.
53
Dallo studio epigrafico Brooten è giunta alla conclusione che
The view that the titles in question were honorific is based less on evidence from the
inscriptions themselves or from other ancient sources than on current presuppositions
concerning the nature of ancient Judaism. Seen in the larger context of women's
participation in the life of the ancient synagogue there is no reason nor to take the titles as
functional nor to assume that women heads or elders of synagogues had radically different
functions than men heads or elders of synagogues. Of the functions outlined for each title,
there are none which women could not have carried out. If women donated money and
even large sums of it, surely they were capable of collecting and administering synagogue
funds, or is it nor is it impossible to imagine Jewish women sitting on councils of elders or
teaching or arranging for the religious service. Even women carrying out judicial functions
is not impossible in a tradition which reveres one of its women prophets (Deborah) as a
judge. This is not to say that the women of these inscriptions night not have been
exceptions. Indeed they probably were. It is an exception today for women to hold
positions of religious leadership. The point is not whether these women were exceptions
or not, nor even whether they faced opposition or not - today’s women rabbis, ministers
and priests certainly do - but whether their titles were merely titles or whether they
implied actual functions just as for the men.74
Per fare un breve accenno anche al mondo “pagano”, si può notare come in età
imperiale si diffusero prima nelle provincie poi anche a Roma culti di derivazione
orientale specificamente femminili, cioè dove i sacerdozi e la partecipazione ai
riti erano riservati alle sole donne.75
Notizie certe di un diaconato femminile organizzato si hanno in ogni caso solo per
l’Oriente grazie alla Didascalia Apostolorum (DA), problematico scritto ascrivibile
alla prima metà del III secolo d.C.76
74
Brooten, 1982, p. 149.
75
Martino Piccolino, 2010, p. 617.
76
Mazzucco, 1989, p. 85.
54
L’opera anonima di genere canonico-liturgico raccoglie indicazioni indirizzate a
una comunità formata da uomini, donne, bambini, vescovi, diaconi, diaconesse,
laici, vedove, orfani, forestieri e contiene norme in difesa dell'integrità di fede e
della comunità, con riguardo all'etica sociale e morale, alla dottrina e alla
pastorale.77
Il testo è stato composto in greco, ma a parte un breve frammento sulle vedove
nel capitolo 15, l’originale non è pervenuto. Integralmente l’opera è giunta solo in
siriaco e c’è anche una frammentaria traduzione latina, che attualmente
rappresenta il testimone più antico esistente.78 Delle diaconesse la Didascalia
parla nel capitolo 16, che riporta consigli al vescovo su come scegliere i suoi
aiutanti, diaconi e diaconesse, e i loro rispettivi compiti. Essi devono provenire
dal popolo: un uomo per essere d'aiuto nell’amministrazione, una donna per il
ministero delle donne. Sono inoltre elencate quattro ragioni per la presenza di
una diaconessa: perché ci sono case dove non è opportuno che entri un uomo
durante il battesimo, quando una donna si immerge nell’acqua, per l'unzione
dell’olio, quando una donna esce dall’acqua.79 Si può notare che l’utilità della
figura diaconessa fosse strettamente legata anche a motivi di costume sociale
come, per esempio, evitare che un uomo entrasse nel gineceo.80
Anche gli osservatori e i critici pagani rilevano come dato negativo la presenza di
donne tra i convertiti al cristianesimo. Celso, vissuto nel II secolo d.C., nel
Discorso veritiero attacca Maria Maddalena, la profetessa cristiana per
eccellenza, definendola un’invasata81 e dice che abboccano alla propaganda
cristiana donne ignoranti82 che ricercano il senso dell’esistenza nelle botteghe
degli artigiani.83
77
Ragucci, 2013, p. 2.
78
Ibid.
DA, 16, 3.12, 1-4. Per il testo della DA si fa rifermento a quello riportato da Ragucci, 2013, pp.
196-197.
79
80
Mazzucco, 1989, p. 87.
81
Or. Cel. 2, 55.
82
Or. Cel. 3, 55.
83
Rinaldi, 1995, pp. 100-101.
55
Gli editti di Licinio promulgati dopo il 320 d.C. , riportati da Eusebio84, vietarono
alle donne di riunirsi per il culto insieme agli uomini e, per quanto riguarda
l’insegnamento, le classi miste con maschi e femmine. Probabilmente
l’imperatore non ignorava l’importanza amministrativa delle donne nelle
comunità cristiane, in modo particolare di quelle facoltose: il loro sostegno
finanziario era infatti indispensabile per sostenere le iniziative dei vescovi.85
84
Eus. V. Const. 1, 53, 1.
85
Rinaldi 1995, p. 103.
56
2.3.3. Profetesse e martiri
Dopo aver analizzato la dimensione della verginità e il problema del diaconato
femminile nel cristianesimo delle origini, giungiamo alle profetesse e martiri,
tenendo conto con Aulisa che
la dimensione profetica non costituisce un elemento accessorio, ma un aspetto intrinseco
al martirio: essa è concessa alla martire direttamente da Dio, viene da Dio e rende
manifesto il volere di Dio.86
Agli inizi del movimento cristiano è infatti attestata la morte violenta dei profeti,
in linea con la concezione del giudaismo più antico, secondo la quale i profeti
erano destinati a rimanere inascoltati e a essere uccisi87:
καὶ ἤλλαξαν καὶ ἀπέστησαν ἀπὸ σοῦ καὶ ἔρριψαν τὸν νόμον σου ὀπίσω σώματος αὐτῶν
καὶ τοὺς προφήτας σου ἀπέκτειναν οἳ διεμαρτύραντο ἐν αὐτοῖς ἐπιστρέψαι αὐτοὺς πρὸς
σέ καὶ ἐποίησαν παροργισμοὺς μεγάλους.
Ma poi [gli Israeliti] hanno disobbedito, si sono ribellati contro di te, si sono gettati la tua
legge dietro le spalle, hanno ucciso i tuoi profeti, che li ammonivano per farli tornare a te,
e ti hanno insultato gravemente.88
I membri delle prime comunità cristiane associavano la morte violenta degli
antichi profeti con quella di Gesù che perciò veniva implicitamente considerato
anche l’ultimo dei grandi profeti.89 Come nota Elena Giannarelli se è “Cristo
profeta, il martire incarna l’imitazione di Cristo (imitatio Christi) e quindi ha
carisma profetico”.90
86
Aulisa, 2000, p. 249.
87
Ivi, p. 233.
88
2Esdr. 16, 29 per il testo greco e Ne. 9, 26 per la traduzione.
89
Aulisa, 2000, p. 233.
90
Giannarelli, 1995, p. 88
57
Nelle zone in cui il cristianesimo fu più influenzato dal giudaismo si pensava che i
profeti cristiani dovessero andare incontro a un destino di sofferenza, pensiero
che traspare da passi neotestamentari come
Μακάριοί ἐστε ὅταν ὀνειδίσωσιν ὑμᾶς καὶ διώξωσιν καὶ εἴπωσιν πᾶν ⸀πονηρὸν καθ’ ὑμῶν
ψευδόμενοι ἕνεκεν ἐμοῦ. Χαίρετε καὶ ἀγαλλιᾶσθε, ὅτι ὁ μισθὸς ὑμῶν πολὺς ἐν τοῖς
οὐρανοῖς· οὕτως γὰρ ἐδίωξαν τοὺς προφήτας τοὺς πρὸ ὑμῶν.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di
male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra
ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.91
Nel Nuovo Testamento troviamo inoltre la profetessa Anna92, nella descrizione
della quale la profezia femminile è per la prima volta collegata all’astinenza
sessuale93, e negli Atti degli apostoli le quattro figlie profetesse dell’evangelista
Filippo.94 Luca descrive Anna come una vedova che dedica la propria esistenza
alla preghiera non allontanandosi mai dal Tempio: l’evangelista non riporta,
tuttavia, oracoli o parole che possano dare un’idea del suo stato di ispirazione.95
In generale, i martiri si distinguono per prerogative profetiche in particolare a
partire dalla seconda metà del II secolo d.C.96
Nel Martirio di Carpo di III secolo d.C. è riportata la visione della gloria divina di
Agatonice, avuta dalla donna mentre assiste all’esecuzione di Carpo.97
Il redattore della Passio Perpetuae et Felicitatis del 203 d.C. ca. - testo di centrale
importanza del quale si parlerà più diffusamente nel prossimo capitolo, che
contiene un nucleo molto probabilmente scritto da Perpetua stessa - ritiene la
91
Mt. 5, 11-12.
92
Lc. 2, 36-38.
93
Aulisa, 2000, pp. 230-231.
94
At. 21, 9.
95
Valerio, 2007, p. 170.
96
Giannarelli, 1995, p. 88.
97
Aulisa, 2000, p. 236.
58
donna degna delle visioni proprio in vista della sua futura morte in nome della
fede.98 Le visioni di Perpetua, oltre che prefigurare la sua stessa morte, sono
incentrate sui tre sacramenti dell’iniziazione cristiana (l’eucarestia, il battesimo e
l’unzione postbattesimale), che simboleggiano le tappe fondamentali sulla via
della perfezione della fede.99 La martire si dimostra anche consapevole di aver
avuto delle rivelazioni e le auto-interpreta, conscia che la loro importanza non è
solo personale ma collettiva, per tutta la comunità.100 Effettivamente il redattore
le considera prove dell’azione delle Spirito Santo e dell’adempimento della
promessa di Gioele 2, 28-29, seconda la quale Dio verso la fine dei tempi avrebbe
concesso più largamente il dono della profezia ai suoi figli e alle sue figlie.101
Altri esempi di martiri-profetesse possono essere Potamiena, che annuncia a un
soldato romano la conversione e il martirio scaturiti dal suo stesso esempio102, e
Marciana di Cesarea di Mauritania, che prevede l’incendio della casa
dell’archisynagogus Budario, avendo i giudei istigato la sua condanna.103
In relazione alle “eroine” cristiane, martiri e sante, c’è infine sempre da
considerare lo stacco tra il loro effettivo vissuto e la presentazione che ne fanno i
Padri, così come l’aspetto propagandistico molto vistoso e pressante rispetto al
movimento ascetico in generale.104
98
Aulisa, 2000, p. 236.
99
Mazzucco, 1989, p. 132.
100
Ivi, p. 133.
101
Aulisa, 2000, p. 236.
102
Eus., Hist. eccl. 6, 5, 3-7.
103
Aulisa, 2000, p. 237.
104
Ivi, p. 374-375.
59
2.3.4. Pellegrine in Terra Santa
Infine, quando dal IV secolo con la svolta costantiniana i pellegrinaggi in Terra
Santa ebbero un grande impulso105, anche molte donne ne presero parte.
Eusebio
di Cesarea nella Vita Constantini106 ricorda il primo viaggio ad loca
sancta di una donna, Elena, la madre di Costantino. Elena visitò e rese la dovuta
venerazione ai luoghi legati alla vita di Cristo e si dedicò alla ricerca di reliquie: il
suo pellegrinaggio è legato anche alle molteplici tradizioni relative alla Inventio
Crucis.107
Viaggi di devozione in Terra Santa intrapresero insieme a Girolamo diverse le
donne a lui legate, come Paola, che aveva raggiunto l’Oriente con la figlia
Eustochio e altre vergini per conoscere la Palestina e visitare agli anacoreti
egiziani. La donna aveva lasciato Roma, la sua posizione sociale elevata e i figli
ancora in tenera età per intraprendere il viaggio.108 Interessante è anche la
vicenda di Melania Seniore, nipote di Antonio Marcellino, console nel 341 d.C.,
che a ventidue anni, rimasta vedova e morti due dei suoi tre figli, decise di
dedicarsi alla preghiera e alla penitenza. Nel 372 partì da Roma e si recò a
Alessandria, visitò i padri del deserto e si trasferì in Palestina, dove fondò un
monastero sul Monte degli Ulivi che ospitava cinquanta vergini.109 La nipote di
Melania Seniore, Melania Iuniore, della quale abbiamo informazioni grazie a una
Vita datata al V secolo attribuita al suo discepolo Geronzio110, dopo aver
trascorso un periodo di sette anni in Africa con la madre Albina, mossa dal
desiderio di visitare i luoghi santi, raggiunse Gerusalemme via mare, passando
per Alessandria per svolgere un pellegrinaggio in Egitto e visitare i monaci di
Nitria.111
105
Giannarelli, 2000, p. 21.
106
Eus. V. Const. 3, 42-46
107
Aulisa, 2020, p. 12.
108
Ivi, p. 99.
109
Giardina, 1994, p. 259.
110
Il testo è pervenuto in una redazione greca e una latina.
111
Aulisa, 2020, p. 99.
60
Nella Vita si dice che essi la accolsero al pari di un uomo112, secondo la
concezione a cui si è accennato più volte per la descrizione delle martiri per cui la
perfezione spirituale veniva associata a un ideale di mascolinità.
Nel 1884 Gamurrini rinvenne il Codex Aretinus VI.3 contenente un Diario di
viaggio in Terra Santa redatto da una pellegrina di IV secolo, in seguito
identificata con una domina proveniente dall’Occidente di nome Egeria,
indirizzato a altre donne.113 L’autrice doveva essere di status sociale elevato, in
quanto disponeva di una scorta di soldati imperiali al seguito e le autorità
politiche dimostravano riguardi eccezionali nei suoi confronti.114 Lo scritto
costituisce una vera e propria epistola indirizzata a delle “sorelle” lontane per
raccontare le impressioni del pellegrinaggio una volta giunta a Costantinopoli115,
tappa finale dell’itinerario che dev’essersi svolto, basandosi su elementi interni,
tra il 381 e il 383 d.C.116 L’opera costituisce un prezioso unicum in quanto degli
altri pellegrinaggi femminili tardoantichi si dispone solo di testimonianze di autori
uomini.117
112
Vita Melan. 39.
113
Giannarelli, 2000, pp. 28-32.
114
Ivi, p. 40.
115
Diario, 23, 10.
116
Giannarelli, 2000, pp. 44-46.
117
Ivi, p. 30.
61
2.4. Femminile e pensatori cristiani: alcune considerazioni
Per Mattioli il discorso dei pensatori cristiani sulle donne contiene una sorta di
paradosso poiché da un lato vi si intravede la portata del cristianesimo che,
almeno sul piano spirituale, può portare a considerare la parità fra i sessi, ma
dall’altro porta avanti la concezione dell’infirmitas femminile tipica della
mentalità antica.118
Una delle questioni più dibattute è quella dell’imago Dei che dipende dall’esegesi
del racconto della creazione dell’essere umano (Gen. 1-3), dall’interpretazione
del quale si ammette o meno che la donna possa essere, come l’uomo, immagine
di Dio.119
Non bisogna nemmeno dimenticare che il pensiero aristotelico sulla generazione
influenzò molto la riflessione cristiana. Per lo Stagirita la donna, più umida e
fredda dell’uomo, offre la materia (il sangue mestruale) per il concepimento,
mentre l’uomo fornisce l'agente del processo di trasformazione (lo sperma,
considerato il prodotto più raffinato dei processi metabolici). Un punto decisivo
della visione di Aristotele è la non necessità per il maschio di apportare massa
corporea (la poca materia dello sperma si disperde tutta nel processo di
trasformazione): egli offre li principio del movimento, la causa efficiente, formale
e finale.120
Questa visione androcentrica del processo di generazione agevolò i pensatori
cristiani nel tentativo di avvicinarsi al mistero dell’incarnazione.121 Tertulliano nel
De carne Christi descrive la meccanica del concepimento di Cristo in termini
fortemente aristotelici: Maria è descritta come la materia, la caro, mentre il
semen viri nel caso di Gesù Cristo è sostituito dal semen Dei che apporta
vivificazione, organizzazione formale e razionalizzazione.122
118
Mattioli, 1987, p. 236.
119
Mattioli, 1992, p. 17 e ss.
120
Prinzivalli, 1992, p. 81.
121
Ivi, pp. 85.
122
Tert. De carn. Christ. 19.
62
In Tertulliano si nota una contraddizione tra il disprezzo misogino retoricamente
amplificato nelle opere morali e la valorizzazione della donna in quanto partecipe
- sia nell’anima che nel corpo fisico - della creazione e della redenzione divina
nelle opere teologiche.123 Nell’esordio del De culto feminarum le donne paiono
escluse dall’imago Dei poiché assimilate a Eva, responsabile della prima caduta:
In doloribus et anxietatibus paris, mulier, et ad virum tuum conversio tua, et alle dominato
tui: et Evam te esse nescis? Vivit sententia Dei super sexum istum in hoc saeculo: vivat et
reatus necesse est.
“Tu, donna, partorisci tra dolori angosciosi, la tua tensione è per il tuo uomo ed egli è tuo
padrone” (Gen. 3, 16): e non sai di essere Eva? In questo mondo è ancora operante la
sentenza divina contro codesto tuo sesso: è necessario che duri anche la condizione di
accusata.124
Per Cipriano è tramite la scelta della verginità che la donna può conservare
l’immagine divina:
Servate, virgines, servate quod esse coepistis. Servate quod eritis. Magna vos merces
habet, praemium grande virtutis, munus maximum castitatis. […] Nec maritus dominus,
dominus vester et caput Christus est ad instar et vicem masculi, sors vobis et condicio
communis est.
Vergini, conservate, ve lo ripeto, conservate quello che siete. Conservate quello che sarete.
Vi attendono una grande ricompensa, un importante premio per la vostra virtù ed un
grandissimo voto per la vostra castità. […] Non avete un marito che vi domini, perché il
vostro signore e capo è Cristo: Lui fa in certo qual modo le veci dell’uomo. Partecipate al
suo destino e al suo stato.125
123
Moretti, 2013, p. 138.
124
Tert. Cult. fem. 1, 1, 1-2.
125
Cypr. Hab. virg. 22.
63
É soprattutto fra III e IV secolo che si diffonde la convinzione dell’aequalitas
spirituale del genere femminile rispetto a quello maschile, perlopiù sulla scia di
Origene, che si rifà a una concezione dualista dell’imago Dei da identificare con
l’anima priva di sesso basata sulla dottrina della “doppia creazione” Filone126.127
Ambrogio di Milano, vissuto nella seconda metà del IV secolo, nel De paradiso128
associa la femina con il sensus e il vir con la mens: sexus prodit qui prius potuerit
errare, “il sesso manifesta chi potè peccare per primo”129. Nella stessa opera,
tuttavia, sostiene che la grazia dipende non dalla nascita ma dalla virtus in quanto
unam in viro et muliebre corporis esse naturam, unum fontem generis humani,
“una sola e nell’uomo e nella donna è la fonte da cui proviene il genere
umano”130. Ma è soprattutto nelle opere sulla verginità - indirizzate specialmente
alle donne, prima fra tutte l’Exhortatio virginitatis - che all’elemento femminile si
riconoscono le maggiori possibilità in termini di virtù attraverso una stretta
disciplina.131 Nei suoi trattati Ambrogio presenta quali modelli da imitare
personaggi dell’Antico Testamento (Anna, Susanna, Giuditta, Maria sorella di
Mosé), la Madonna e alcune martiri: la realtà contemporanea non sembra essere
stata per lui così ricca di esempi come sarà per Girolamo.132
Nella vicenda biografica di Girolamo, infatti, le donne ebbero rilevante
importanza. Negli anni romani lo circondava un circolo femminile - che in parte lo
seguì anche in Terra Santa - all’interno del quale molti dei suoi scritti furono
ideati, commissionati e studiati.133
La dottrina della “doppia creazione” di Filone si basa sull’esegesi di Gen 1, 26-27 e 2, 7 e
asserisce che nel primo passo ci si riferisca all’uomo interiore, creato a immagine di Dio, mentre
nel secondo - dove Dio plasma l’uomo con la polvere - al corpo, vd. Simonetti, 1962, pp. 370-381.
126
127
Moretti, 2013, p. 145.
128
Opera esegetica su Gen. 2, 8 - 3, 19 che procede con la metodologia dell’allegoria filoniana.
129
Ambr. Parad. 12, 56.
130
Ambr. Parad. 10, 46-48.
131
Savon, 2003, p. 276.
132
Consolino, 1986, p. 277.
133
Moretti, 2013, p. 162.
64
Consolino sottolinea che
Il suo epistolario in particolare - per il grande numero delle corrispondenti non meno che
per i molti ritratti di sante donne in esso contenuti - costituisce una testimonianza di
prim'ordine (e la più ricca di cui disponiamo) sulla pratica dell'ascesi da parte di
quell'aristocrazia femminile che tanta importanza ebbe nella conversione delle più
prestigiose famiglie romane al cristianesimo.134
Tra le discepole più illustri di Girolamo si ricordano Marcella135 e Paola136 con la
figlia Eustochio, donne provenienti dall’alta aristocrazia romana che furono
appassionate studiose e sostenitrici con i loro beni di opere monastiche e di
carità.137 Nelle opere di Girolamo si realizza un particolare intreccio tra Scrittura e
vita: nei ritratti muliebri, a volte, è la Scrittura a guidare la descrizione della
realtà, mentre altre è la realtà a influenzare l’interpretazione della Scrittura. 138
In conclusione, sulla scia di Moretti, si può notare che
Quelle contraddizioni, in ragione delle quali non tutte le affermazioni (anche all’interno del
medesimo autore) si lasciano ricondurre a una visione omogenea, siano dovute al fatto
che mentalità e cultura dominante sono spesso contraddette dall’esperienza del rapporto
con donne storiche, cui una certa aequalitas - per così dire - non può essere negata: si
pensi, appunto, alla sposa di Tertulliano; a Marcellina, sorella di Ambrogio; alle donne che
accompagnano l’esistenza di Girolamo.139
134
Consolino, 1986, p. 279.
135
A Marcella sono indirizzate le lettere 23-29, 32, 34, 37-38, 40-44, 46, 59, 97.
Le notizie sulla vita e la famiglia di Paola provengono principalmente dall’epistolario di
Girolamo, dalle lettere 22, 30, 31, 33, 38, 39, 66, 107 e, in particolare, 108, dove si racconta
dell’itinerario di Paola da Roma in Terra Santa.
136
137
Valerio 2018, p. 48.
138
Moretti, 2013, p. 172.
139
Ivi, p. 173.
65
2.5. Donne e movimenti dissidenti
Ecco cosa riferisce delle donne considerate eretiche Tertulliano nel De
praescriptione hereticorum:
Ipsae mulieres haereticae, quam procaces! quae audeant docere, contendere, exorcismos
agere, curationes repromittere, fortasse an et tingere. [6] Ordinationes eorum temerariae,
leues, inconstantes. Nunc neophytos conlocant, nunc saeculo obstrictos, nunc
apostatas nostros ut gloria eos obligent quia ueritate non possunt. Nusquam facilius
proficitur quam in castris rebellium ubi ipsum esse illic promereri est. Itaque alius
hodie episcopus, cras alius; hodie diaconus qui cras lector; hodie presbyter qui cras laicus.
Nam et laicis sacerdotalia munera iniungunt.
E la sfacciataggine, l'impudenza a cui giungono le donne eretiche, è poi straordinaria: esse
hanno bene l'ardire d'insegnare, di discutere, di compiere esorcismi, di promettere
guarigioni, e ci manca poco che non giungano anche a battezzare. Le ordinazioni loro
rivestono il carattere della più assoluta leggerezza, senza un fondamento, senza serietà
alcuna e non possono, quindi, avere stabilità; sono capaci d'innalzare, ora, dei giovanissimi
senza esperienza e dottrina, ora, uomini che hanno troppo ben salde relazioni col mondo,
talvolta anche degli apostati nostri, e tentano, dal momento che in nome della verità non
lo potrebbero fare, di tenerseli vincolati, favorendo in loro l'ambizione. In nessun campo si
verificano progressi tali come si avvertono nel campo degli eretici; basta esser di loro e il
continuo progredire viene da sé: oggi uno è vescovo, domani sarà vescovo un altro; oggi
uno è diacono, domani eccotelo lettore; oggi sacerdote? domani costui lo troveremo laico;
poiché anche i laici, presso di loro, adempiono a funzioni sacerdotali.140
La presenza femminile è effettivamente molto diffusa nei movimenti dissidenti
delle origini, anche se per una valutazione obiettiva bisogna tener conto
dell’esagerazione polemica delle fonti eterodosse per screditare e ridicolizzare gli
avversari in quanto, appunto, maestri di donne.141
140
Tert. Praescr. haer. 41, 5-8.
141
Mazzucco, 1989, p. 16.
66
C’è anche chi, come Thraede142, ha ipotizzato che molte notizie sulla formazione
cristiana di donne non eretiche possano essere scomparse per la violenta
reazione ai casi di eretiche impegnate e colte.
Elena era compagna e collaboratrice di Simon Mago, contemporaneo
dell’apostolo Pietro. Εusebio nell’Historia Ecclesiastica definisce Simone “capo
assoluto di ogni eresia” e dice che i suoi seguaci fingevano di seguire la filosofia
dei cristiani ma in realtà peccavano di superstizione idolatrica, poiché adoravano
le immagini di Simone e di Elena:
πάσης μὲν οὖν ἀρχηγὸν αἱρέσεως πρῶτον γενέσθαι τὸν Σίμωνα παρειλήφαμεν: ἐξ οὗ καὶ
εἰς δεῦρο οἱ τὴν κα αὐτὸν μετιόντες αἵρεσιν τὴν σώφρονα καὶ διὰ καθαρότητα βίου παρὰ
τοῖς πᾶσιν βεβοημένην Χριστιανῶν φιλοσοφίαν ὑποκρινόμενοι, ἧς μὲν ἔδοξαν
ἀπαλλάττεσθαι περὶ τὰ εἴδωλα δεισιδαιμονίας οὐδὲν ἧττον αὖθις ἐπιλαμβάνονται,
καταπίπτοντες ἐπὶ γραφὰς καὶ εἰκόνας αὐτοῦ τε τοῦ Σίμωνος καὶ τῆς σὺν αὐτῷ
δηλωθείσης Ἑλένης θυμιάμασίν τε καὶ θυσίαις καὶ σπονδαῖς τούτους θρῃσκεύειν
ἐγχειροῦντες.
Abbiamo imparato da lui che capo assoluto di ogni eresia è Simone; da costui fino ai nostri
giorni coloro che a bracciano la sua dottrina fingono di seguire la filosofia dei cr stiani,
nota universalmente per saggezza e purezza di vita; ma non per questo non perseverano
nella loro superstizione idol trica, cui in apparenza hanno rinunciato, inginocchiandosi di
fronte ai libri e alle immagini dello stesso Simone e della già nominata Elena, sua
compagna, che ancora continuano ad adorare con incensi, sacrifici e libagioni.143
Il marcionita Apelle ideò il suo pensiero eretico ispirato da una vergine invasata,
Filumena144, a proposito della quale Tertulliano afferma che la sua ispirazione
provenisse dal demonio.145
142
Thraede, 1972, p. 236.
143
Eus. Hist. eccl. 2, 13, 6.
144
Aulisa, 2000, p. 239.
145
Tert. Praescr. haer. 30, 6.
i
a
b
τ̓
67
Per quanto riguarda gli gnostici, quando volevano conferire autorità ai segreti di
cui si consideravano custodi, rimandavano spesso a figure femminili:
possedevano scritti intitolati Le grandi questioni di Maria e Le piccole questioni di
Maria in cui si diceva che Gesù avesse rivelato a lei i suoi insegnamenti, i
Naasseni sostenevano che la loro dottrina risalisse a Giacomo, fratello del
Signore, e di averla ricevuta tramite una certa Mariamne, i Nicolaiti leggevano
un’opera attribuita a Nor(i)a, presunta moglie di Noè, e i Carpocraziani si
rifacevano a Salomè.146
Nei movimenti dissidenti un posto di rilievo hanno sicuramente le donne legate a
Montano, Massimilla e Priscilla, che si definivano la “nuova profezia” rifacendosi
alla tradizione profetica femminile dell’Antico e del Nuovo Testamento.147 Nel loro
caso di profetismo si può parlare anche di episodi di violenza estatica, nei quali
viene riconosciuto l’influsso della regione Frigia, dove erano già ampiamente
presenti manifestazioni cultuali estreme come il culto orgiastico di Cibele.148 Oltre
a impiegare l’Apocalisse di Giovanni i montanisti si sentivano appartenenti alla
tradizione di Ammia, profetessa di Filadelfia operante nella prima metà del II
secolo.149 Pare che né Montano né i suoi più fedeli seguaci scrissero trattati o, se
lo fecero, nessuno di essi è giunto a noi, mentre degli oracoli sono stati conservati
sotto forma di citazioni da alcuni scrittori protocristiani.150
Nel montanismo il martirio aveva molta importanza per la credenza secondo cui
erano soprattutto i martiri risorti nella carne che dovevano diventare cittadini del
regno di Dio.151 Un oracolo montanista rivolto esclusivamente alle donne
contrappone alla morte naturale o a quella di parto il martirio, concepito come
libera scelta del proprio destino:
146
Mazzucco, 1989, p. 17.
147
Aulisa, 2000, p. 240.
148
Frend, 1984, p. 521-537.
149
Aune, 1996, p. 574.
150
Ibid.
151
Tabbernee, 1985, pp. 33 e ss.
68
“Non desiderare di morire nel letto, nel dare alla luce bambini o a causa di febbri,
ma tra i tormenti del martirio, perché sia glorificato quegli che ha sofferto per
voi”152.153
152
Aune, 1996, p. 575, oracolo 9.
153
Aulisa, 2000, p. 245, nota 114.
69
3. Le martiri cristiane
3.1. Descrizione delle martiri: caratteristiche ricorrenti
3.1.1. Il topos della mulier virilis nella cultura classica
Tradizionalmente, nel pensiero classico, la perfezione umana spetta agli uomini,
mentre la donna, per sua natura, è caratterizzata da debolezza. Con lo Stoicismo,
nonostante si continui a mantenere la distinzione tra i due sessi dal punto di vista
sociale, si prospetta la necessità di un’educazione uguale sia per gli uomini sia per
le donne. Attraverso lo studio della filosofia, la donna può acquisire forza e
capacità di sopportazione del male fisico, raggiungere l’atarassia e diventare una
mulier virilis.1
Partendo dall’affermazione paolina dell’uguaglianza di tutti gli esseri in Cristo2 e
dall’esaltazione della verginità come elemento che eleva l’individuo a una
dimensione superiore a quella umana, si presentò ai teologi cristiani la necessità
di rendere dottrinalmente possibile una teoria della parità tra i sessi, in quanto la
donna poteva superare la sua condizione considerata di naturale svantaggio
tramite la pratica ascetica.3 In questa prospettiva il cristianesimo trovò un punto
di riferimento importante, appunto, nella filosofia stoica.
Seneca, per esempio, considera la filosofia un mezzo per liberarsi dalla sofferenza
e, per la donna, anche per elevarsi dal suo stato di inferiorità che l’autore latino
definisce muliebri impotentia.4 Così si rivolge, durante il suo esilio in Corsica, alla
madre Elvia:
Itaque illo te duco, quo omnibus, qui fortunam fugiunt, confugiendum est, ad liberalia
studia. Illa sanabunt vulnus tuum, illa omnem tristitiam tibi evellent. […]
Illae consolabuntur, illae delectabunt, illae si bona fide in animum tuum intraverint,
1
Franchi, 2009, p. 273.
2
Gal. 3, 28.
3
Giannarelli, 1980, p. 14.
4
Sen. Ad Helv. 14, 2.
70
numquam amplius intrabit dolor, numquam sollicitudo, numquam adflictationis irritae
supervacua vexatio.
Così io ti conduco là dove si rifugiano tutti quelli che vogliono evitare la cattiva sorte, negli
studi liberali: essi guariranno le tue ferite e scacceranno da te ogni tristezza. […] Ti
renderanno sicura, ti daranno conforto e diletto; se, francamente, darai un posto ad esse
nell'animo tuo, non vi entrerà più il dolore, né l'angoscia, né l'inutile tormento di una vana
afflizione.5
Ricorrente sempre in Seneca è il motivo della mulier virilis, la donna che,
contrapponendosi positivamente ai comportamenti più diffusi nelle altre, supera
quelle che erano considerate le caratteristiche tipiche del suo sesso.6 Manning
nota inoltre che Seneca attribuisce l’aggettivo muliebris a soggetti e azioni che
considera moralmente negativi mentre virilis a quelli che approva.7
Si nota comunque uno slittamento di significato dal concetto di mulier virilis da
Seneca e ai Padri della Chiesa, anche se con altri interessanti punti di contatto tra
il motivo stoico della sopportazione del dolore e le vite delle sante:
[In Seneca] il concetto non può chiaramente avere dimensione soteriologia e pertanto
resta ancorato alla tematica morale ed in particolare al motivo della ἀπάθεια e della
misura del dolore, che sarà poi caratteristico delle vite delle sante, quando, di fronte alla
sventura, queste reagiranno non soltanto non abbandonandosi a manifestazioni eccessive
di dolore, ma glorificando Dio.8
5
Sen. Ad Helv. 17, 3-5.
6
Cfr. Sen. Ad. Helv. 16, 1; 16, 3; 16, 5.
7
Manning, 1973, p. 171 e 337
8
Giannarelli, 1980, p. 18.
71
3.1.2. Virilizzazione e castità
Et aspicio populum ingentem adtonitum; et quia sciebam me ad bestias damnatam esse,
mirabar quod non mitterentur mihi bestiae. Et exivit quidam contra me Aegyptius foedus
specie cum adiutoribus suis, pugnaturus mecum. Veniunt et ad me adolescentes decori,
adiutores et fautores mei. Et expoliata sum, et facta sum masculus.
E vedo una grande folla tutta intenta; e poiché sapevo che ero stata condannata a
combattere con le belve, ero stupita del fatto che esse non mi venissero ancora lanciate
contro. E si fece avanti per combattere con me un egiziano d’aspetto orribile in compagnia
dei suoi aiutanti. Dalla mia parte in qualità di aiutanti e sostenitori vengono dei bei ragazzi.
Venni fatta spogliare e divenni maschio.9
Perpetua, nella sua quarta e ultima visione, oltre alla prefigurazione del
combattimento con le belve che dovrà affrontare nell’anfiteatro di Cartagine,
combatte contro un egiziano che rappresenta il male: “allora mi ridestai e
compresi che ero destinata a combattere non con le belve, ma contro il demonio;
sapevo tuttavia che mia era la vittoria” (10, 14). Prima di iniziare a combattere,
Perpetua si trasforma in un uomo.
La metamorfosi del corpo femminile in maschile è un tema molto comune nella
descrizione delle martiri e nella letteratura cristiana antica, come emerge, per
esempio, dal Vangelo copto di Tommaso (Vang. Tom.)10:
9
Passio Perpetuae et Felicitatis, 10, 5-7.
Il Vang. Tom. è un testo conosciuto dal 1945-46 con la scoperta dei codici di Nag Hammadi. Il
codice in cui è contenuto è datato al IV sec. ma lo scritto si data al 90-120 d.C. ca. Non risponde al
genere dei Vangeli canonici né a quello degli apocrifi, si presenta come una raccolta di detti
introdotti tutti allo stesso modo con la formula “Gesù disse”. Si configura come uno scritto
esoterico contenente parole di Gesù che non devono essere svelate ai profani perché non sono
alla portata di tutti. L’autore del testo possiede una visione gnostica e si può ipotizzare che per i
detti abbia attinto a fonti di natura e età diverse: una parte fu composta o elaborata dall’autore
stesso e riflette il suo ambiente, un'altra proviene da un antico fondo tradizionale comune,
probabilmente, anche ai sinottici. Vd. Moraldi, 2004, pp. 81-87.
10
72
Simone Pietro disse loro: “Maria deve andar via da noi! Perché le donne non sono degne
della Vita!”. Gesù disse: “Ecco, io la guiderò in modo da farne un maschio, affinché lei
diventi uno spirito vivo uguale a noi maschi; poiché ogni femmina che si fa maschio
entrerà nel regno dei cieli”.11
In questo passo lo “spirito vivo” è legato alla mascolinità, Maria è accettata nel
gruppo religioso non in quanto donna ma dopo esser stata trasformata e
ricategorizzata come uomo. Tuttavia la mascolinità, qui espressamente dichiarata
come pre-requisito per la vita spirituale, non pare essere intesa come una qualità
esclusivamente definita dal sesso biologico di una persona o per forza
corrispondente a esso.12
Parks, Sheinfeld e Warren sostengono che “ancient Mediterranean femininity and
masculine were as much about behaviour as about biology”13 e che ci si riferisse
a un one-gender model, costituito da uno spectrum della mascolinità. Secondo
questa visione, in cima allo spettro si troverebbe l’ideale dell’uomo forte o
virtuoso, mentre in fondo il suo negativo, identificato con la femminilità: al suo
interno possono esservi collocati indipendentemente dal loro sesso biologico sia
individui maschi che femmine.14
11
Vang. Tom., 114.
12
Blossom, 2010, p. 344-335.
13
Parks - Sheinfeld - Warren, 2022, pp. 11-12.
14
Ibid.
73
Ciò emerge con estrema chiarezza dall’episodio della madre ebrea e del re
Antioco IV nel capitolo 7 del Secondo libro dei Maccabei, approfondito
recentemente anche in questi termini da Elizabeth Lemelin.15 Nel suo studio si
ipotizza che la figura della madre sia all’origine della figura delle donne martiri: in
merito alla mulier virilis, Lemelin nota che quando una donna si virilizza dall’altra
parte spesso un uomo si effemmina, così che anche i rapporti di potere risultano
potenzialmente invertiti.16
In 2 Mac. 7 si racconta l’uccisione ordinata da Antioco IV Epifane (al trono nel
175-164 a.C.) di sette fratelli ebrei e della loro madre, che si erano rifiutati di
mangiare carni sacrificali proibite. Dopo che i suoi figli sono stati uccisi, la madre
ha un confronto diretto con il re, durante il quale la donna possiede θῆλυν
λογισμὸν ἄρσενι θυμῶι διεγείρασα (2 Mac. 7, 21) , cioè “pensieri/propositi
femminili animati da una rabbia virile/umana”17 e Antioco, progressivamente, si
effemmina e disumanizza.
Anche negli incontri di Perpetua con il padre è possibile riscontrare qualcosa di
simile, Perpetua va incontro a un processo di mascolinizzazione mentre il padre
perde delle caratteristiche considerate virili.18 Inizialmente il padre cerca di
dissuaderla con fermezza dalla fede cristiana19, poi si prostra a lei e non la chiama
più filia ma domina (5, 5), infine si strappa addirittura la barba per la disperazione
(9, 2), perdendo fisicamente un attributo della propria mascolinità.20
15
Lemelin, 2022.
16
Ivi, p. 226.
La doppia traduzione di ἄρσενι con “virile/umana” è una proposta di Lemelin, 2022, p. 48, che
sostiene che l’espressione meriti più attenzione in quanto potrebbe non solo indicare una
contrapposizione tra uomo e donna ma anche una messa in discussione della virilità tradizionale,
essendo Antioco IV preda di una collera disumana.
17
18
Formisano, 2008, pp. 50-52.
[…] me pater verbis evertere cupiret et deicere, “mio padre cercava con i suoi discorsi di farmi
recedere dal mio proposito e insisteva per farmi cedere” (III, 1-3), evertere si può tradurre con
“rovesciare” e deicere con “buttar giù”, entrambi i verbi esprimono un’azione forte, quasi violenta.
19
20
Formisano, 2008, p. 52.
74
Un altro caso emblematico è quello di Blandina, della quale sappiamo grazie
all’epistola del martyrium Lugdunensium riportata per ampie porzioni da Eusebio
nell’Historia Ecclesiastica, che racconta la persecuzione anticristiana che colpì la
chiesa di Lione nel 177-78 d.C.21 La schiava Blandina, di fisicità visibilmente molto
fragile, è sottoposta a terribili supplizi ma i torturatori non riescono a provocarne
la morte. Quando viene appesa a un tessuto e esposta alle belve la forma del suo
corpo ricordava quella di Gesù in croce e di lei si dice che
καὶ μηδενὸς ἁψαμένου τότε τῶν θηρίων αὐτῆς, καθαιρεθεῖσα ἀπὸ τοῦ ξύλου ἀνελήφθη
πάλιν εἰς τὴν εἱρκτήν, εἰς ἄλλον ἀγῶνα τηρουμένη, ἵνα διὰ πλειόνων γυμνασμάτων
νικήσασα, τῷ μὲν σκολιῷ ὄφει ἀπαραίτητον ποιήσῃ τὴν καταδίκην, προτρέψηται δὲ τοὺς
ἀδελφος, ἡ μικρὰ καὶ ἀσθενὴς καὶ εὐκαταφρόνητος μέγαν καὶ ἀκαταγώνιστον ἀθλητὴν
Χριστὸν ἐνδεδυμένη, διὰ πολλῶν κλήρων ἐκβιάσασα τὸν ἀντικείμενον καὶ δἰ ἀγῶνος τὸν
τῆς ἀφθαρσίας στεψαμένη στέφανον.
Quel giorno ella non fu toccata da alcuna belva e, t rata giù dal palo, fu condotta
nuovamente in prigione, destin ta ad un altro combattimento, affinché, passata vittoriosa
attr verso numerose vittorie, da un lato rendesse inevitabile la co danna dell'infido
serpente, dall'altro esortasse i fratelli, ella, piccola, debole, insignificante. Rivestita di
Cristo grande e i vincibile atleta, aveva sconfitto a più riprese l'avversario e av va riportato
nella lotta la corona dell'immortalità.22
Blandina è anche significativamente paragonata alla madre del Secondo libro dei
Maccabei, poiché, oltre alla fermezza con cui affronta la morte, diventa il punto
di riferimento principale per i suoi compagni di prigionia:
ἡ δὲ μακαρία Βλανδῖνα πάντων ἐσχάτη, καθάπερ μήτηρ εὐγενὴς παρορμήσασα τὰ τέκνα
καὶ νικηφόρους προπέμψασα πρὸς τὸν βασιλέα, ἀναμετρουμένη καὶ αὐτὴ πάντα τὰ τῶν
παίδων ἀγωνίσματα ἔσπευδεν πρὸς αὐτούς, χαίρουσα καὶ ἀγαλλιωμένη ἐπὶ τῇ ἐξόδῳ, ὡς
εἰς νυμφικὸν δεῖπνον κεκλημένη, ἀλλὰ μὴ πρὸς θηρία βεβλημένη.
21
Consolino, 1992, p. 97.
22
Eus. Hist. eccl. 5, 1, 42.
e
n
i
a
n
a
75
Ultima di tutti restò la beata Blandina; come una nobile madre che aveva incoraggiato i
figli e li aveva mandati vittoriosi davanti al re, dopo aver ripercorso anche lei tutti i
combattimenti dei figli, si affrettava a raggiungerli, lieta ed esultante della dipartita, come
se fosse stata invitata al banchetto nuziale e non gettata alle belve.23
Come nota Consolino Blandina, in quanto donna e socialmente subalterna,
avrebbe potuto rappresentare l’incarnazione perfetta di Gal 2, 27-28, secondo cui
tra chi vive in Cristo non c’è né libero né schiavo, né femmina né maschio.24 Ma il
redattore della lettera non interpreta così la sua figura, anzi, si serve della
condizione di inferiorità della martire per dimostrare come anche un essere “che
appare agli uomini vile, laido e spregevole è nel giudizio di Dio degno di gloria
grande in misura dell’amore per lui”25. Nella vicenda di Blandina c’è, ancora,
conferma del fatto che “debolezza” e “virilità” fossero valori misurati
indipendentemente dal sesso biologico: gli apostati sono tutti descritti come
ignobili e “non virili”, uomini o donne che fossero.26
Sia nel caso di Perpetua che in quello di Blandina c’è da notare come “i resoconti
che esaltano la ‘virilità’ di queste athletae Christi danno per scontata una
inferiorità di natura che soltanto il miracolo della fede, con l'aiuto divino,
permette di ribaltare”27 e come questi casi eccezionali non dimostrino
un’effettiva considerazione delle donne sul piano della vita quotidiana.
Anche negli Atti di Paolo e Tecla - testo datato al 160 d.C. ca. redatto da un
presbitero dell’Asia Minore che narra la romanzesca vicenda della protomartire di
Iconio - possiamo rilevare come Tecla si spogli progressivamente degli attributi
esteriori della femminilità: rinuncia ai gioielli grazie ai quali, corrompendo i
carcerieri, visita Paolo, poi si taglia i capelli e infine si traveste interamente da
uomo per partire alla ricerca dell’apostolo.28
23
Eus. Hist. eccl. 5, 1, 55.
24
Consolino, 1992, p. 101-102.
25
Eus. Hist. eccl. 5, 1, 17.
26
Mazzucco, 1989, p. 106.
27
Consolino, 1992, p. 102.
28
Mazzucco, 1989, p. 19.
76
Nella Passio Anastasiae, scritto dalla datazione incerta29 ascrivibile tra le
“passioni epiche”30, si sottolinea che la nobilis et delicatissimi corporis femina per
dedizione e fermezza nella fede viriliter agebat, si comportava in modo virile.31
Estremamente romanzeschi sono anche gli acta della martire Eugenia, redatti
probabilmente verso la metà del V sec.32, dove l’eroina, convertendosi al
cristianesimo, si rasa il capo e indossa vesti maschili. Quando il vescovo Eleno la
battezza le permette di conservare il travestimento, simbolo della sua virilità nella
fede. Successivamente Eugenia, sempre sotto le sembianze di un uomo, viene
ammessa in un monastero del quale diventa abate e dove opera diversi prodigi.33
Interessante è vedere come le immagini di trasformazione della donna in uomo
associate al perfezionamento spirituale non interessino solo il mondo grecoromano mediterraneo e cristiano:
è nota la loro grande diffusione dal Papiro del Louvre 3079, dove Iside “si fa maschio, pur
essendo una donna”, alle Scritture buddiste cinesi Lingpao che risalgono al V secolo a.C.,
dove il Bodhisattva dice: “Quando diventerò Buddha, giuro di far sì che nella mia terra non
vi siano né donne né fanciulle. Quelle che vorranno nascere nella mia terra dovranno
prima diventare maschi”. Qualcosa di simile si ritrova anche nell’Islam. La donna per
arrivare pienamente a Dio si maschilizza, con una trasformazione irreversibile. Tadhkirat alAuliya, figura capitale nella agiografia islamica, a chi gli domandava come mai considerasse
nel genere maschile una donna, cioè Rabe’a al-Adawiya – una mistica musulmana sufi
dell’VIII sec. –, rispondeva che la maschilità, secondo il Profeta, non è materia di forma ma
di “intenzione”. Se una donna diventa uomo sul sentiero di Dio, essa è un uomo e nessuno
più può definirla donna.34
La datazione tradizionale è fine V-inizio VI sec. ma si pensa anche alla metà del V o addirittura
alla fine del IV, per un approfondimento sulle diverse ipotesi vd. Moretti, 2006, pp. 24-37.
29
30
Moretti, 2006, p. 11.
31
Passio Anastasiae, 8.
32
Consolino, 1984, p. 104.
33
Ibid.
34
Hoxha, 2019, pp. 4-5.
77
Se la virilizzazione delle martiri è basata sull’imitatio Christi, la castità, anch’essa
centrale in molte storie di martirio femminile, è legata all’imitatio Mariae.35
Come accennato nel capitolo precedente, è verso il IV sec. che l’ideale della
verginità inizia a essere sistematicamente esaltato e associato all’idea del sine
cruore martyrium, essendo ormai finite le persecuzioni.36
Tra le martiri dell’ultima persecuzione troviamo comunque una prevalenza di
vergini e continenti e un gran numero di violenze a sfondo sessuale: si può
ipotizzare che i persecutori prendessero di mira una categoria sempre più
prestigiosa e influente all’interno delle comunità, quella, appunto, delle vergini.37
Gli Atti dei martiri Shmona e Gurya, di ambito siriaco e databili alla prima metà
del IV sec., testimoniano che le “Figlie del Parto”, donne votate alla castità al
servizio del sacerdote o vescovo locale che vivevano in comunità o in famiglia,
furono uno dei bersagli principali della persecuzione di Diocleziano.38
Sono vergini Agape, Irene e Chione processate a Tessalonica nel 304 d.C. così
come molte altre figure femminili presenti nelle Passioni africane.39
Quando si guarda a queste fonti non bisogna dimenticare che l’enfasi retorica
delle fonti cristiane sul tema della castità, esaltato anche tramite l’esempio delle
martiri, è altissima.40 Per esempio, Cipriano dice che le vergini sono “la parte più
illustre del gregge di Cristo”41.
Nel Simposio di Metodio di Olimpo, dialogo sulla verginità di III sec., la continenza
è vista come strumento privilegiato di riscatto e elevazione spirituale.42 La
protagonista dell’opera è la martire Tecla, della quale l’autore sottolinea la forza
fisica dimostrata nel martirio, la vasta cultura e le attribuisce la consapevolezza
della necessità per le vergini di assumere “animo virile” per non cedere alle
35
Consolino, 1984, p. 108.
36
Ivi, pp. 84-85.
37
Noce, 2015, p. 105.
38
Ashbrook Harvey, 2005, p. 126.
39
Ibid.
40
Noce, 2015, p. 106.
41
Cypr. Hab. virg. 3.
42
Mazzucco, 1989, p. 48.
78
tentazioni del male e riuscire a combatterle.43 Per Metodio tale virilità
caratterizza tutti i cristiani in quanto deriva dall’assimilazione spirituale a Cristo
avvenuta durante il battesimo e portata avanti con una salda fede, rinunciando
alle passioni “effemminate”.44 In tutto il dialogo traspare l’idea che le differenze
tra i credenti non dipendano dal sesso ma dalla forza nel perseguire l’ideale di
perfezione spirituale, infatti Metodio interpreta allegoricamente Gen 2, 18 in cui
si parla della donna come di un “aiuto” dato all’uomo: il passo si riferirebbe
piuttosto ai seguaci di Cristo capaci di portare e guidare gli altri sulla via della
fede e della virtù, che sono il suo vero “aiuto” e l’essenza della Chiesa.45
Eusebio porta l’esaltazione della castità fino alla giustificazione del suicidio con
l’intento di preservarla e annovera tra le martiri le donne che hanno così agito,
Girolamo porterà avanti questa concezione adattandola al nuovo ideale del
monachesimo femminile e Agostino, invece, la avverserà con forza, ritenendo che
a un atto subito senza il consenso della volontà non si debba attribuire colpa.46
Un caso di “martirio per la purezza” è quello della vergine Potamiena, riferitoci
sia da Eusebio47 che da Palladio nella Storia Lausiaca48.49 Palladio colloca
l’episodio al tempo della persecuzione di Massimiano del 303-305 d.C. e narra
che la bella Potamiena, pur di difendere la sua verginità, si sarebbe fatta calare
nella pece bollente.
Nella letteratura agiografica e martiriologica le descrizioni della violenza sulle
vergini sono spesso caratterizzate da un’attenzione morbosa per i loro corpi,
dall’accento sulla sadica eccitazione del carnefice e dall’attenzione maniacale per
i particolari dei supplizi: si può supporre che tali elementi siano psicologicamente
riconducibili all’identità maschile degli autori di questi scritti.50
43
Met. Simp. 8, 12-13.
44
Met. Simp. 8, 7-9.
45
Mazzucco, 1989, p. 50.
46
Noce, 2015, p. 106.
47
Eus. Hist. eccl. 6, 5, 1-4.
48
Pall. Hist. laus., 3, 1-4.
49
Devoti, 1992, p. 205.
50
Ivi, pp. 106-107.
79
3.1.3. Oltre i vincoli sociali e familiari
Chi ama il padre o la madre o la
moglie o i figli o i fratelli o i genitori
più di me, non è degno di me.
(Mt. 10, 37)
Così si dice che Ireneo, vescovo di Sirmio martirizzato nel 304 d.C., rispose al
giudice che gli domandava se avesse moglie e genitori.51 Origene nell’Esortazione
al martirio dice che coloro che riescono a lasciarsi alle spalle la famiglia per
andare incontro al martirio potrebbero essere definiti “padri dei padri”, cioè di
Abramo e dei patriarchi, poiché non essendosi fatti fermare nemmeno dai figli
devono essere sicuramente padri di padri, non di infanti.52 Il martirio
produrrebbe per Origene una forma superiore di paternità e l’immagine è resa
ancora più forte dalla prospettiva di poter diventare padre addirittura di Abramo,
essendo lui stesso disposto a sacrificare suo figlio per Dio.53 Castelli a proposito di
questo passo nota come gli autori cristiani non escludessero le donne dall’ipotesi
del martirio, ma come la loro effettiva partecipazione storica al fenomeno non
abbia comunque smosso l’universo metaforico della sua teorizzazione.54
Nelle passiones delle martiri il tema del distacco dai familiari, soprattutto delle
madri dai figli, è comunque molto ricorrente. Agatonice, quando la folla la
implora di avere pietà della sua prole, dice che essi hanno Dio che ha già pietà di
loro, in quanto provvede a tutto.55 Anche di Dionisia si racconta che avesse molti
figli, che tuttavia non amava più del Signore.56
51
Passione di Ireneo, 4, 5-8.
52
Or. Exhort. mart. 14.
53
Castelli, 2004, p. 66.
54
Ibid.
55
Martyrium Polycarpi, 6, 2-3.
56
Eus. Hist. eccl. 6, 41, 18.
80
Perpetua e Felicita sono entrambe madri, la prima ha un figlioletto mentre la
seconda partorisce in carcere. Felicita prega insieme ai compagni per concludere
in anticipo la gestazione che ritarderebbe l’esecuzione della condanna e, dopo un
parto laborioso, la figlia viene affidata a un’altra donna cristiana:
Et cum pro naturali difficultate octavi mensis in partu laborans doleret, ait illi quidam ex
ministris cataractariorum: «Quae sic modo doles, quid facies obiecta bestiis, quas
contempsisti cum sacrificare noluisti?» Et illa respondit: «Modo ego patior quod patior;
illic autem alius erit in me qui patietur pro me, quia et ego pro illo passura sum». Ita enixa
est puellam, quam sibi quaedam soror in filiam educavit.
E poiché ella soffriva del travaglio, che all’ottavo mese era ovviamente difficile, uno dei
carcerieri le disse: “Se tu soffri così adesso, che farai quando sarai gettata in pasto alle
belve, che tanto sembravi disprezzare quando hai rifiutato di fare il sacrificio?” Ed ella
rispose: “Ora sono io che soffro quel che soffro; ma laggiù sarà un altro [Cristo] in me a
soffrire per me, poiché anch’io affronterò la passione per lui”. Così partorì una bimba, che
una consorella allevò come fosse stata sua figlia.57
Perpetua non rinnega la fede alla vista di suo figlio e nonostante le suppliche del
padre:
Ventum est et ad me. Et apparuit pater ilico cum filio meo, et extraxit me de gradu, dicens:
«Supplica; miserere infanti». […] Et cum staret pater ad me deiciendam, iussus est ab
Hilariano proici, et virga percussus est. Et doluit mihi casus patris mei, quasi ego fuissem
percussa: sic dolui pro senecta eius misera.
Venne il mio turno; in quel momento comparve mio padre con mio figlio, mi tirò giù dai
gradini dicendo: “Compi il sacrificio! Abbi pietà del bambino!” […] E poiché mio padre
continuava a star lì tentando di farmi desistere, fu dato ordine da Ilariano di respingerlo;
venne frustato. E provai dolore della mala sorte toccata a mio padre, come se fossi stata io
ad essere percossa; ugualmente soffrivo per la sua vecchiaia infelice.58
57
Passio Perpetuae et Felicitatis, 15, 5-7.
58
Passio Perpetuae et Felicitatis, 6, 2-5.
81
Successivamente, per intervento divino, il figlio non sentirà più la necessità di
essere allattato e Perpetua verrà liberata dalla preoccupazione per lui e
dall’infiammazione ai seni.59 Da notare è che Perpetua si allontana senza
esitazione dagli affetti in nome della fede ma non è insensibile al dolore del
padre, l’unico in famiglia a non abbracciare il credo cristiano:
Et ego dolebam casum patris mei, quod solus de passione mea gavisurus non esset de toto
genere meo, et confortavi eum dicens: «Hoc fiet in illa catasta quod Deus voluerit; scito
enim nos non in nostra esse po- testate constitutos, sed in Dei». Et recessit a me
contristatus.
Ed io soffrivo dell’infelicità di mio padre, poiché egli era l’unico tra i miei familiari a non
provare gioia per il mio martirio. Cercai di confortarlo dicendogli: “Su quella tribuna
accadrà ciò che Dio vorrà; sappi infatti che noi non siamo in potere di noi stessi, ma di
quello di Dio”. Ed egli si allontanò disperato.60
Tra le martiri troviamo inoltre donne provenienti da diversi contesti e di differenti
condizioni sociali, ci sono nobili, schiave come Blandina, vergini, madri e mogli,
spesso le une accanto alle altre: in quell’estrema testimonianza che è martirio lo
status precedente non ha più valore, i vincoli che regolavano la vita quotidiana e
sociale precedente sono sciolti.61 La caratteristica professione di fede “sono
cristiano”62 e “sono cristiana”63 è il modo in cui i martiri e le martiri indicano
davanti agli accusatori il loro nuovo stile di vita, che implica una profonda
trasformazione dei rapporti umani e anche, in certi casi, il rovesciamento dei ruoli
e delle convenzioni sociali.64
59
Passio Perpetuae et Felicitatis, 6, 8.
60
Passio Perpetuae et Felicitatis, 5, 6.
61
Mazzucco, 1989, p. 107.
62
Eus. Hist. eccl. 5, 1, 20.
63
Passio Perpetuae et Felicitatis, 3, 2.
64
Mazzucco, 1989, p. 109.
82
3.2. La madre del Secondo libro dei Maccabei: l’archetipo della
martire?
Il Secondo libro dei Maccabei (2Mac.) è scritto in greco e databile poco dopo il
124 a.C. Insieme al Primo libro dei Maccabei racconta i gravi sconvolgimenti
avvenuti nel II sec. a.C. nell’ambito della resistenza della Giudea all’ellenizzazione
portata avanti dalla dinastia seleucide. Nell’ebraismo 2Mac. ha valore di fonte
storica, mentre i cattolici lo classificano come deuterocanonico a partire dal
Concilio di Trento del 1546.65
Per Bickerman le persecuzioni di Antioco IV Epifane (175-164 a.C.) contro gli ebrei
miravano più a eliminare la possibilità di una guerra civile legata alla presenza di
vari gruppi in contrasto tra loro che a reprimere le pratiche religiose monoteiste
della regione.66
In 2Mac. è narrata l’uccisione dello scriba Eleazaro67, di una madre e dei suoi
sette figli68 che si erano rifiutati di mangiare la carne di un maiale sacrificato per
la celebrazione mensile del giorno natale del re, cedendo così a un atto di
idolatria. Per Frend questi racconti vanno a costituire i primi acta martyrum69,
tanto che “without Maccabees […] a Christian theology of martyrdom would
scarcely have been thinkable”70. Dalla narrazione emerge infatti l’idea centrale
del martirio come testimonianza personale della verità del dio monoteista contro
il paganesimo che comporta la sofferenza e persino la morte del testimone; oltre
che il trasferimento di una lotta terrena a un livello cosmico, con la visione degli
oppressori umani come rappresentanti di poteri demoniaci. Anche se la parola
μάρτυς, “testimone” in greco antico, non è esplicitamente presente nel testo, si
tratta comunque di un resoconto di morti violente a scopo apologetico.71
65
Lemelin, 2022, p. 1.
66
Bickerman, 2007, pp. 1058-1065.
67
2Mac. 6, 18-32.
68
2Mac. 7, 1-42.
69
Frend, 1965, p. 45.
70
Ivi, p. 65.
71
Lemelin, 2022, p. 3.
83
L’episodio martirologio è all’interno del libro una parentesi di 61 versetti, che si
apre con il rifiuto di Eleazaro di mangiare la carne di maiale che gli aguzzini
cercano di fargli ingoiare a forza e si chiude con l’uccisione di una donna lasciata
nell’anonimato, dopo aver assistito a quella dei suoi sette figli. Nell’episodio della
madre e dei sette fratelli l’unico personaggio di cui è esplicitato il nome è il re
Antioco IV: la scelta di non nominare certi personaggi potrebbe essere spiegata
proprio con la loro funzione esemplare, così da rendere più facile impersonarsi
nel loro esempio e seguirlo.72
Il personaggio della madre viene così introdotto:
περαγόντως δὲ ἡ μήτηρ θαυμαστὴ καὶ μνήμης ἀγαθῆς ἀξία ἥτις ἀπολλυμένους υἱοὺς
ἑπτὰ συνορῶσα μιᾶς ὑπὸ καιρὸν ἡμέρας εὐψύχως ἔφερεν διὰ τὰς ἐπὶ κύριον
ἐλπίδας 21ἕκαστον δὲ αὐτῶν παρεκάλει τῇ πατρίῳ φωνῇ γενναίῳ πεπληρωμένη
φρονήματι καὶ τὸν θῆλυν λογισμὸν ἄρσενι θυμῷ διεγείρασα λέγουσα πρὸς αὐτούς οὐκ
οἶδ’ὅπως εἰς τὴν ἐμὴν ἐφάνητε κοιλίαν οὐδὲ ἐγὼ τὸ πνεῦμα καὶ τὴν ζωὴν ὑμῖν ἐχαρισάμην
καὶ τὴν ἑκάστου στοιχείωσιν οὐκ ἐγὼ διερρύθμισα τοιγαροῦν ὁ τοῦ κόσμου κτίστης ὁ
πλάσας ἀνθρώπου γένεσιν καὶ πάντων ἐξευρὼν γένεσιν καὶ τὸ πνεῦμα καὶ τὴν ζωὴν ὑμῖν
πάλιν ἀποδίδωσιν μετ’ ἐλέους ὡς νῦν ὑπερορᾶτε ἑαυτοὺς διὰ τοὺς αὐτοῦ νόμους.
Soprattutto la madre era ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché, vedendo
morire sette figli in un solo giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste
nel Signore. Esortava ciascuno di loro nella lingua dei padri, piena di nobili sentimenti e,
temprando la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro: “Non so come siate
apparsi nel mio seno73; né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il
Creatore dell’universo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla
generazione di tutti, per sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro e la vita, poiché
voi ora per le sue leggi non vi preoccupate di voi stessi.”74
72
Lemelin, 2022, p. 418.
La traduzione della Bibbia CEI 2008 qui riportata traduce ii greco κοίλιαν con “seno”,
letteralmente il termine κοίλια, ἄς, ἡ significa “ventre”.
73
74
2Mac. 7, 20-23.
84
Nonostante lo stesso narratore di 2Mac.75 dica che "soprattutto la madre era
ammirevole e degna di gloriosa memoria”, fino a una trentina di anni fa questo
personaggio femminile non aveva attirato particolarmente l’attenzione degli
esegeti: la tendenza generale era quella di considerarla secondaria rispetto ai figli
e al pari delle (pochissime) altre donne in 2Mac. che o si lamentano76 o sono
giusto menzionate tra le vittime della repressione seleucide77.
Nel 1991 Young in The Women with the Soul of Abraham: Tradition about the
Mother of the Maccabean Martyrs evidenzia per la prima volta l’importanza del
racconto della morte eroica della madre di 2Mac., poi iniziano a uscire più studi
che interpretano la sua figura come archetipo alle origini delle passiones
femminili.78
Nella descrizione della donna cattura subito l’attenzione l’elogio del suo “coraggio
virile”: abbiamo già visto come il processo di virilizzazione sia uno dei topoi più
comuni nella descrizione delle martiri cristiane dei primi secoli. A questo
proposito, Cobb ricorda come la letteratura martirologica insista spesso, allo
stesso tempo, su alcune caratteristiche femminili delle mulier virilis79.
Effettivamente, anche in 2Mac. i dettagli sul corpo della madre sono finalizzati a
sottolineare il suo ruolo materno. Così lei stessa si rivolge al figlio:
υἱέ ἐλέησόν με τὴν ἐν γαστρὶ περιενέγκασάν σε μῆνας ἐννέα καὶ θηλάσασάν σε ἔτη τρία
καὶ ἐκθρέψασάν σε καὶ ἀγαγοῦσαν εἰς τὴν ἡλικίαν ταύτην καὶ τροφοφορήσασαν.
Figlio, abbi pietà di me, che ti ho portato in seno80 nove mesi, che ti ho allattato per tre
anni, ti ho allevato, ti ho condotto a questa età e ti ho dato il nutrimento.81
L’effettivo autore del libro è dibattuto. In 2Mac. 2, 23 si sostiene che Giasone di Cirene abbia
raccontato i fatti in 5 libri e che poi siano stati riassunti nello scritto che noi indichiamo come 2
Mac.
75
76
2Mac. 3, 19.
77
2Mac. 5, 13.
78
Lemelin, 2022, pp. 35-40.
79
Cobb, 2008, p. 28.
80
In greco c’è ἐν γαστρὶ, letteralmente “ventre”, “utero”, vd. nota 67.
81
2Mac. 7, 27.
85
Cobb ricorda come la mascolinità non sia in questi contesti una qualità innata
inscindibile dal sesso biologico ma una virtù ideale alla quale sia i fedeli che le
fedeli devono tendere, così da risultare più “virili” (cioè più coraggiosi, saggi e
virtuosi) degli altri. La messa in risalto di attributi legati alla femminilità nelle
martiri virilizzate potrebbe essere spiegata con il fatto che esse erano considerate
comunque meno virili degli uomini della loro comunità, e ciò lo si sarebbe voluto
in qualche modo ricordare.82 Inoltre, come accadrà nel confronto tra Perpetua e
suo padre nella Passio Parpetuae et Felicitatis, quando una donna si virilizza
dall’altro lato un uomo inizia a assumere caratteristiche, nella mentalità antica,
associate alla sfera femminile come l’incapacità di gestire le passioni, cosa che
accade anche a Antioco IV nel suo faccia a faccia con la madre ebrea.83
Altro motivo ricorrente nella figura delle martiri cristiane è lo svincolamento dai
vincoli sociali e familiari in nome di una volontà e una grazia più alta, quella di
Dio, concetto che anche la madre di 2Mac. esprime rivolgendosi al suo ultimo
figlio rimasto in vita:
μὴ φοβηθῇς τὸν δήμιον τοῦτον ἀλλὰ τῶν ἀδελφῶν ἄξιος γενόμενος ἐπίδεξαι τὸν θάνατον
ἵνα ἐν τῷ ἐλέει σὺν τοῖς ἀδελφοῖς σου κομίσωμαί σε.
Non temere questo carnefice, ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte,
perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia.84
82
Cobb, 2008, p. 33.
Lemelin, 2022, cap. 3, dove l’autrice ha analizzato dettagliatamente tutti quelli che possono
essere considerati i “marcatori di genere” della madre e del re seleucide nel loro confronto.
83
84
2Mac. 7, 29.
86
Le vicende delle martiri Sinforosa e Felicita85 presentano chiare analogie con
quella della madre di 2Mac.86 Sia Sinforosa che Felicita hanno sette figli, arrivano
al confronto diretto con l’imperatore, rifiutano di rinnegare Dio e Felicita assiste
all’uccisione dei suoi figli; i martiri Ianuario, Felice, Filippo, Silano, Alessandro,
Marziale e Vitale. Quella di Felicita è forse la più antica delle passiones romane,
potrebbe risalire a fine IV-inizio V sec., e entrambi i testi sono ambientati in età
adrianea in un contesto del tutto fittizio, in quanto Adriano è noto per la politica
religiosa di tolleranza e non gli sono attribuiti episodi di persecuzione.87
Se nel caso di Sinforosa e Felicita l’ispirazione della trama è chiara ma non c’è
nessun rimando testuale esplicito a 2Mac., la martire Blandina nell’epistola del
martyrium Lugdunensis è apertamente accostata alla "nobile madre che aveva
incoraggiato i figli e li aveva mandati vittoriosi davanti al re”88 e che poi va lei
stessa incontro alla morte.
Una differenza tra la madre di 2Mac. e le martiri successive è il modo in cui si
racconta la loro morte. Negli scritti martirologici i corpi hanno un’importanza
centrale e vengono spesso descritti in maniera molto particolareggiata nel
momento in cui sono sottoposti alle torture, in tutta la loro carne e il loro
sangue.89 In 2Mac., invece, la morte della donna viene comunicata in un versetto
con il minimo indispensabile: “ultima dopo i figli, anche la madre incontrò la
morte”90. L’unico riferimento al suo corpo lo fa la madre stessa quando,
rivolgendosi ai figli, nomina il suo ventre (κοίλιαν a 7, 22 e ἐν γαστρὶ a 7, 27). In
alcuni scritti biblici si fa menzione al ventre di una donna per indicare la persona
tutta, essenzializzandola alla sua capacità riproduttiva, ma in 2Mac. questa
notazione potrebbe non essere affatto riduttiva, anzi.91
La passione di Sinforosa è pubblicata in AA. SS. Iul. 4, pp. 358 e ss., quella di Felicita in AA. SS.
Tul. 3, pp. 12 e ss.
85
86
Consolino, 1984, pp. 86-87.
87
Ivi, 1984, pp. 88-89.
88
Eus. Hist. eccl. 5, 1, 42.
89
Lemelin, 2022, p. 297.
90
2Mac. 7, 41.
91
Lemelin, 2022, p. 101.
87
L’appello al ventre è collegato nel discorso della madre al mistero della creazione
divina e alla resurrezione:
elle rappelle que la naissance de tout s'avère aussi secrète et extraordinaire que peut l'être
la renaissance. C'est en connectant la mise au monde des corps - ce qui est plutôt rare
dans les écrits bibliques - avec la mise au monde du monde que la mère de 2 M 7 rend la
résurrection croyable […]92
92
Lemelin, 2022, p. 101.
88
3.3. Casi esemplari
3.3.1. Acta Pauli et Theclae
Quella della protomartire Tecla è una figura che si perde nella leggenda
protagonista degli Atti di Paolo e Tecla (APTh), importante documento della
letteratura popolare di fine II sec. d.C.93 A questo testo fanno riferimento, nella
prima metà del III sec., Tertulliano, Ippolito e Origene non considerandola
un’opera eretica: pur non essendo canonica è comunque letta e stimata.94
Anche Eusebio pone gli APTh tra gli scritti non testamentari “controversi” insieme
al Pastore di Erma, l’Apocalisse di Pietro, la Lettera di Barnaba e, per alcuni,
l’Apocalisse di Giovanni95 ma non tra quelli eretici, come fa per tutti gli altri atti
“redatti dagli er tici sotto il nome degli apostoli”96.
Sappiamo infatti che l’autore, un presbitero dell’Asia Minore, fu deposto per
falso, non per eresia: per Tertulliano avrebbe agito amore Pauli.97 Questo era
quindi l’atteggiamento della parte eterodossa nei confronti degli APTh, almeno
fino al Decretum Gelasianum che li mette insieme, invece, a testi considerati
eretici.98
La narrazione si aggancia a At. 13, 50 con la fuga di Paolo da Antiochia di Pisidia
verso Iconio: a accompagnarlo non è Barnaba come nella versione canonica ma
Demas e Ermogene, due loschi personaggi che fingono di essergli amici. A Iconio
il cristiano Onesiforo invita in casa sua l’apostolo che inizia a predicare sul nesso
tra continenza e resurrezione.
93
Mazzucco, 1989, p. 17.
94
Moraldi, 1971, pp. 1061-1062.
95
Eus. Hist. eccl. 3, 25, 4-6.
96
Eus. Hist. eccl. 3, 25, 6.
97
Tert. De bapt. 17, 5.
98
Moraldi, 1971, 1065.
e
89
Da una finestra della casa vicina la vergine Tecla, figlia di Teoclia e promessa in
sposa a Tamiri, ascolta di nascosto i discorsi di Paolo per tre giorni e tre notti,
ininterrottamente: né la madre né il fidanzato riescono a smuoverla. Tamiri così si
informa da Demas e Ermogene sul conto del nuovo arrivato: i due gli confermano
che il predicatore allontana le donne dai loro uomini con promesse di vita eterna
e gli consigliano di denunciarlo. Paolo viene arrestato e, avendo confessato la
fede cristiana, incarcerato. Tecla corrompe il carceriere con i suoi bracciali e, di
notte, fa visita all’apostolo per imparare da lui la dottrina fino a che i suoi parenti
irrompono nella cella per sorprenderli. Paolo viene flagellato e scacciato dalla
città mentre Tecla, su istigazione della madre, condannata al rogo. Mentre sale
sulla pira, però, non viene toccata dal fuoco e appare una nube divina di acqua e
grandine che lo spegne. Paolo intanto stava digiunando da diversi giorni presso la
strada tra Iconio e Dafne insieme alla famiglia di Onesiforo: uno dei suoi figli va a
informare Tecla che si trovava lì.
La ragazza dichiara allora il proposito di tagliarsi i capelli e di seguirlo nelle sue
peregrinazioni. Chiede anche di farsi battezzare, cosa che, tuttavia, non le viene
per il momento accordata. Giunti a Antiochia di Pisidia, la bellezza di Tecla attira
l’attenzione di un nobile siro. Quando l’uomo prova a abbracciarla per strada, la
ragazza gli lacera il mantello e gli strappa la corona dalla testa, umiliandolo
pubblicamente. Viene quindi portata dal governatore e condannata alle fiere: ciò
scatena la reazione delle donne della città che nel circo faranno apertamente il
tifo per lei e addirittura viene adottata dalla regina Trifena su consiglio di sua
figlia morta, apparsale in sogno. Nell’arena né orsi né leoni riescono a recarle
danno, anzi, una leonessa la difende così strenuamente da un leone maschio fino
al punto di morire insieme al suo avversario. Improvvisamente, poi, Tecla si tuffa
nella fossa delle foche esclamando: “nel nome di Gesù Cristo mi battezzo
nell'ultimo giorno”99.
99
Acta Pauli et Theclae, 34. La formula ricalca quella usata da Pietro in At. 2, 38.
90
Altri prodigi, il supporto delle spettatrici e la notizia della morte di Trifena, in
realtà solo svenuta, convincono il governatore a liberarla. Tecla si traveste da
uomo e si rimette in viaggio alla ricerca di Paolo per comunicargli l’intenzione di
fare ritorno in patria e lui la congeda dicendole: “Va' e insegna la parola di
Dio”100. Tecla svolge così la sua missione evangelizzatrice a Seleucia per
addormentarsi, infine, in un sonno beato.101
La stesura originale del testo è in greco ma esistono anche codici con traduzioni
latine e papiri con versioni copte e slave.102
Per Giannarelli sarebbe riduttivo considerare l’opera una semplice trascrizione
cristiana di un romanzo antico, anche se del genere presenta sicuramente molti
elementi come le peripezie, il travestimento e il lieto fine. Interessante è, infatti,
anche il retroterra filosofico e dottrinale.103 L’influsso più vistoso è quello
dell’encratismo: in questa direzione spingono soprattutto i discorsi di Paolo in
casa di Onesicrito, con l’attribuzione della beatitudine ai continenti e a coloro che
conservano la carne casta. L’aspetto più spiazzante, anche per la Chiesa antica, è
tuttavia rappresentato dalla figura stessa della protagonista, con l’autobattesimo
e la progressiva assimilazione a una vera e propria apostola.104 La Chiesa infatti
non ha mai ammesso che una persona possa battezzarsi da sola e qui c'è
l'aggravante che si tratta di una donna che impartisce il sacramento a se
stessa.105 Tertulliano, verso il 200 d.C., nel De baptismo si scaglia contro delle
donne che rivendicavano il loro diritto a insegnare e battezzare basandosi proprio
sull’esempio di Tecla.106
100
Acta Pauli et Theclae, 41.
Il finale è attestato in più versioni. Secondo i codici A, B e C dei medici di religione greca
vogliono corrompere Tecla pensando che sia una guaritrice di Artemide, così si apre una voragine
nella roccia che la inghiotte e la porta a Roma, alla tomba di Paolo, presso la quale si addormenta.
Nel codice G invece la roccia si apre per salvarla da dei giovani che volevano abusare di lei. Per il
prospetto dettagliato dei codici e dei papiri vd. Moraldi, 1971, pp. 1078-1079.
101
102
Ibid.
103
Giannarelli, 1991, pp. 193-194.
104
Giannarelli, 1991, p. 194.
105
Ivi, p. 202, nota 42.
106
Tert. De bapt. 17, 4-5.
91
Nella vicenda di Tecla si trovano condensati i motivi ricorrenti nella descrizione
delle martiri (anche se il suo è più un, anzi, sono più due, martirii mancati!): la
verginità, il rifiuto dei vincoli familiari tradizionali, il ruolo esemplare e il topos
della virilizzazione. Tecla diventa una mulier virilis anche attraverso la rinuncia a
segni esteriori di femminilità. Essa si priva dei gioielli per corrompere il carceriere,
si taglia i capelli quando decide di seguire Paolo e alla fine si mette alla sua
ricerca vestita da uomo: “il raggiungimento della fede presuppone l'abbandono
di ciò che è consueto e il sacrificio degli aspetti più mondani legati all'essere
donna”107.
Attorno alla figura di S. Tecla si sviluppò un fiorente culto diffuso in tutto il
Mediterraneo. Al centro c’era il santuario di Hagia Thekla, sorto nei pressi di
Seleucia, in Asia Minore, meta di pellegrinaggi di donne come le ascete Marana e
Cyra vissute nel V sec.108 La devozione è attestata da molte testimonianze
materiali anche in Egitto, come il dipinto della Cappella dell’Esodo nella necropoli
di El Bagawat che riproduce la scena del rogo.109
107
Giannarelli, 1991, p. 195.
108
Davis, 2001, p. 5.
109
Iggins, 2019, pp. 72 e 80.
92
3.3.2. Passio Perpetuae et Felicitatis
La Passio Perpetuae et Felicitatis narra la storia dell’incarcerazione e del martirio
di un gruppo di giovani catecumeni avvenuto a Cartagine il 7 marzo del 203 d.C.,
genetliaco dell’imperatore Geta.110 Oltre a Perpetua e Felicita del gruppo
facevano parte quattro uomini: Revocato, Saturnino, Secondolo e il catechista
Saturo. Del documento abbiamo due redazioni, una latina e una greca.
Quest’ultima è stata scoperta nel 1889 da Rendel Harris, che la pubblicò nel 1890
in collaborazione con Gifford. Quale delle due sia quella originaria è stata una
questione discussa, a oggi prevale l’opinione che il testo sia stato composto in
latino e che sia stato, molto presto, tradotto in greco.111 Ci sono anche degli Atti
minori o brevi editi da Valesius nel 1664 che con tutta probabilità costituiscono
un rifacimento posteriore di IV sec. ca.
La peculiarità del testo da un punto di vista strutturale è la polifonia di voci
sottesa alla narrazione, quella di Perpetua, di Saturo e dell’anonimo redattore del
testo, come risulta dallo schema ripreso da Shaw:
Editor's Introduction to the document (1-2)
a)
Statement concerning the theological status of the document (1)
b)
Introduction to the principal characters of the drama (2)
Perpetua’s account of her arrest, imprisonment, and life in prison to the point of her
execution "written in her own hand" (3-10)
(a) Arrest and first encounter with her father (3)
(b) First vision (4)
(c) Second encounter with her father (5)
(d) Trial scene and third encounter with her father
(e) Visions of Dinocrates (7-8)
(f)
Life in prison and final encounter with her father
(g) Vision of personal combat in the arena (10)
L’indicazione temporale è esplicitata dallo stesso testo della Passio, per ulteriori dettagli sulla
datazione vd. Barnes, 1968, pp. 509-531.
110
111
Mazzucco, 1989, p. 142.
93
Vision of Saturus: One of Perpetua's fellow prisoners "written in his own hand" (11-13)
Editor's account of the fate of Perpetua and her fellow prison (14-21)
(a) General statement on the fidelity of the documents (14)
(b) Report of the fate of Felicitas (15)
(c) Report on the execution of the prisoners in the amphitheatre (16-21.10)
(d) Peroration on the significance of the martyrdom112
La parte del diario di Perpetua (capp. 3-10) costituisce, inoltre, l’unico scritto di
prosa latina composto da una donna a noi pervenuto e, al contempo, il solo
diario intimo giuntoci dall’antichità (oltre ai Discorsi sacri del retore Elio Aristide
di III sec. d.C.).113
Per quanto riguarda la figura del redattore, c’è una controversa ipotesi che lo
identifica con Tertulliano per il presunto orientamento montanista dell’incipit del
testo, caratterizzato da una forte tensione profetica e in cui si afferma che gli
avvenimenti recenti (nova documenta) devono avere valore di esempio per i
credenti come le antiche testimonianze (vetera exempla) raccolte nella Bibbia.114
Tuttavia l’analisi stilistica non sembra pendere a favore di tale attribuzione e
inoltre, in un passo del De anima (55, 4), l’apologista fa riferimento alla Passio in
modo errato, attribuendo a Perpetua un elemento della visione di Saturo.115 C’è
anche la possibilità che l’anonimo autore sia stato un testimone oculare del
martirio, forse il diacono Pomponio più volte citato da Perpetua116, anche se A. A.
R. Bastiaensen lo esclude perché quando nella prefazione riecheggia 1 Giov 1, 1
vidimus è sostituito con audivimus e dice di avere tra le sue mani gli scritti dei
martiri Perpetua e Saturo (contrectavimus).117
112
Shaw, 1993, p. 21.
113
Formisano, 2008, p. 15.
114
Formisano, 2008, p. 14.
115
Ivi, p. 19.
116
Passio Perpetuae et Felicitatis 3, 7; 6, 7; 10, 1.
117
Bastiaensen, 1987, p. 414, note 27-30.
94
Discussa è stata, allo stesso modo, l’autenticità del diario di Perpetua per
difficoltà di carattere materiale: come avrebbe potuto stendere le proprie
memorie in condizioni così precarie come quelle della prigionia? Tuttavia è
ampiamente attestato che i martiri in prigione potessero comunicare attraverso
lettere con il mondo esterno e, nel caso di Perpetua, ella stessa afferma di potersi
recare per qualche ora al giorno in meliorem locum carceris118 dove è possibile
che abbia trovato modo di stendere le sue note.119
La valenza storica della vicenda è confermata da alcune iscrizioni, dalla già citata
allusione di Tertulliano nel De anima e da numerose altre presso autori
posteriori, soprattutto Agostino.120
La protagonista e “co-autrice” della Passio, Vibia Perpetua, è una donna romana
di nobili origini, ha 22 anni e un figlio lattante. Della sua famiglia di origine
vengono menzionati il padre, la madre e due fratelli (di cui uno pure
catecumeno), mentre del marito il testo della Passione non dà nessuna
informazione.121 Felicita è invece una donna di umili condizioni122, incinta: la sua
sorte è raccontata dal redattore nella sezione finale della Passio. Felicita
partorisce per “grazia” divina all’ottavo mese in quanto non era consentito
sottoporre alla pena donne incinte (cap. 15). Secondo il diritto romano, infatti, il
figlio innocente doveva essere risparmiato in caso di condanna della madre.123
Il gruppo di cristiani viene infine condannato ad bestias, le due donne vengono
esposte nell’anfiteatro di Cartagine a una vacca inferocita, animale inusuale per
questa circostanza ma che “il diavolo aveva preparato […] per evocare una
somiglianza tra il sesso delle vittime e quello della bestia”124.
118
Passio Perpetuae et Felicitatis 3, 8.
119
Formisano, 2008, p. 20.
Bastiaensen, 1987, p. 19. Per la lista delle iscrizioni e delle citazioni Bastiaensen rimanda a C.
Van Beck, 1936, Passio sanctarum Perpetuae et Felicitatis. Textum graecum et latinum, p. 149 e
ss.
120
121
Mazzucco, 1989, p. 120.
Opinione comune è che fosse la schiava di Perpetua ma ciò in realtà non è esplicitato nel testo,
vd. Formisano, 2008, p. 16.
122
123
Ivi, p. 114, nota 150.
124
Passio Perpetuae et Felicitatis, 20, 1.
95
Tutti però escono miracolosamente illesi dal combattimento e muoiono
decapitati, Perpetua per ultima e guidando lei stessa la spada esitante di un
gladiatore inesperto alla gola: “forse non avrebbe potuto essere uccisa altrimenti
una così grande donna, lei che era temuta dallo spirito immondo [il diavolo], se
non lo avesse voluto ella stessa"125.
Perpetua si racconta in prima persona come una donna che, attraverso la libera
scelta di fede, prende sempre più coscienza di se stessa in un percorso di
“empowerment through suffering”126. Già nel primo incontro con il padre
pagano, che vuole indurla a rinnegare il cristianesimo, Perpetua oltrepassa la
logica gerarchica del paterfamilias:
«Pater», inquam, «vides verbi gratia vas hoc iacens, urceolum sive aliud?» Et dixit:
«Video». Et ego dixi ei: «Numquid alio nomine vocari potest quam quod est?» Et ait:
«Non». «Sic et ego aliud me dicere non possum nisi quod sum, Christiana».
Io gli dissi: “Padre mio, vedi per esempio questo vaso qui per terra, questa brocca o
qualsiasi cosa essa sia?” Lui rispose che sì, lo vedeva. Allora io dissi: “Lo si potrebbe
chiamare con un nome diverso da quello che è?” Lui rispose di no. Ed io: “Alla stessa
maniera nemmeno io posso dirmi diversamente da ciò che sono: cristiana!”127
Il rifiuto della parentela di sangue significa allo stesso tempo l’apertura a una
nuova rete di affetti, a una parentela in senso evangelico.128 Questo processo,
nella coscienza della narratrice, si svolge attraverso le relazioni che si instaurano
tra gli accadimenti vissuti e le visioni, “tra la realtà e la sua reinterpetazione alla
luce della fede”129.
125
Passio Perpetuae et Felicitatis, 21, 10.
126
Perkins, 1994, p. 3.
127
Passio Perpetuae et Felicitatis, 3, 1-2.
Per es. Mc. 3, 34-35: Ma egli [Gesù] rispose loro: "Chi è mia madre e chi sono i miei
fratelli?". Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: "Ecco mia madre e i
miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”.
128
129
Mazzucco, 1989, p. 128.
96
Il padre potrebbe essere nella prima visione il serpente che cerca di ostacolare la
salita al giardino celeste.130 Perpetua poi, giunta al giardino, trova un altro Padre,
benevolo e accogliente, rappresentato da un pastore canuto131 che la saluta con
un “Sei la benvenuta, figlia” e le offre un pezzetto di formaggio, simbolo
dell’eucaristia132.133 Perpetua in più occasioni dimostra le sue cure per i compagni
di fede, come quando, per esempio, prende per mano Felicita colpita dalla vacca
nell’anfiteatro.134 Addirittura suo fratello di sangue, che le riconosce la dignità di
domina soror, diventa davvero suo fratello perché anche lui catecumeno.135
Le visioni rivestono grande importanza all’interno del diario di Perpetua in
quanto dimostrano una conoscenza approfondita della Scrittura e non
rappresentano solo ripiegamenti intimistici.136 La donna è consapevole che il loro
valore trascende l’ambito personale e si impegna a comprenderle comunicandole
agli altri:
Et ad sonum vocis experrecta sum, conmanducans adhuc dulce nescio quid. Et retuli statim
fratri meo; et intelleximus passionem esse futuram, et coepimus nullam iam spem in
saeculo habere.
E al suono di quelle voci mi ridestai, masticando ancora qualcosa di dolce. Subito raccontai
quanto visto a mio fratello, ci fu chiaro che ci attendeva il martirio e da quel momento non
avemmo più nessuna speranza in questo mondo.137
130
Passio Perpetuae et Felicitatis, 4, 4.
Potrebbe essere Cristo, modellato sull’immagine di Ap. 1, 14, o Dio stesso, vd. Formisano,
2008, p. 89, nota 52.
131
132
Ivi, pp. 90-91, nota 57.
133
Passio Perpetuae et Felicitatis, 4, 8-9.
134
Passio Perpetuae et Felicitatis, 20, 6.
135
Passio Perpetuae et Felicitatis, 4, 1.
136
Mazzucco, 1989, pp. 132-133.
137
Passio Perpetuae et Felicitatis, 4, 10.
97
Il redattore stesso interpreta le visioni come la manifestazione di un carisma
divino.138 Poi Tertulliano, nel De Anima, si rifarà all’esperienza visionaria di
Perpetua e nell’ambiente ciprianeo sarà oggetto di profonda meditazione e
influenzerà quella di altri martiri.139 Infine, bisogna tenere conto che “visione più
interpretazione costituiscono la profezia”: gli eventi che poi si realizzano
confermano le interpretazioni della martire, alla quale è concesso il dono di
rivelazioni ultraterrene.140
Nella visione che le annuncia prossimo il martirio, Perpetua viene trasformata in
uomo per affrontare il demonio, che prende le forme di un egizio: sul piano
dell'immaginario, la mascolinità è ancora una volta simbolo di forza e
perfezione.141 Anche se, per C. Mazzucco, ciò non sarebbe comunque da
interpretare come un rifiuto della femminilità da parte della narratrice. Come già
notato precedentemente, si tratterebbe di un motivo simbolico non solo cristiano
legato all’idea di promozione spirituale della donna, seppur secondo il modello
virile dominante:
È un fatto che, anche sul piano esistenziale e sociale, tutta l’esperienza di Perpetua è
esperienza di lotta e di una lotta che esige il superamento dei condizionamenti legati al
sesso femminile, esige un combattimento ad armi pari con tutti gli ostacoli e gli
avversari.142
Da un punto di vista narrativo e di costruzione dell’identità della martire
attraverso il corpo, la Perpetua che parla di se stessa in prima persona è molto
diversa da quella presentata dal redattore.143
138
Passio Perpetuae et Felicitatis, 1, 3-5.
139
Mazzucco, 1989, p. 134.
140
Carfora, 2018, pp. 120-124.
141
Consolino, 1992, p. 102.
142
Mazzucco, 1989, p. 124.
143
Formisano, 2008, p. 55.
98
La donna non esita a parlare di particolari fisici molto intimi: quando le viene
sottratto il figlio dice di non provare più dolore ai seni144 e quando, sempre
durante la visione dell’egiziano, prima di combattere contro di lui, racconta che il
suo corpo nudo viene massaggiato con olio da avvenenti assistenti.145 Il
redattore, invece, la descrive attribuendole più pruderie, secondo le sue
aspettative di come una donna e una martire dovrebbero essere. Nello scontro
con la vacca Perpetua viene ritratta nell’atto di ricomporsi le chiome e di tenere
insieme lo strappo nella tunica che le scopriva i fianchi, pudoris potius memor
quam doloris, “ricordandosi più del pudore che del dolore"146.
144
Passio Perpetuae et Felicitatis, 6, 8.
145
Passio Perpetuae et Felicitatis, 10, 6-7.
146
Passio Perpetuae et Felicitatis, 20, 4.
99
3.3.3. Passio Anastasiae
La Passio Anastasiae (PA) fa parte di in un ciclo composto da quattro Passiones
diverse147, che nel loro complesso danno vita a una sorta di ciclo agiografico
romanzesco.148 La PA si può annoverare tra le cosiddette passioni epiche,
contraddistinte da complessi intrecci ricchi di personaggi di contorno, peripezie e
elementi prodigiosi.149
Anastasia è figlia del vir illustris Pretestato e della cristiana Fausta, vive a Roma e
è sposata con il pagano Publio. Anche se di condizione sociale elevata, indossa
vesti umili e suole far visita ai cristiani incarcerati, tra i quali Crisogono. Finge
anche di essere malata per sottrarsi all’unione con il marito che, venuto a sapere
delle visite a Crisogono, la chiude in casa. Poi Publio muore durante una legatio in
Persia, così Anastasia si spoglia dei suoi averi e torna al servizio della comunità.
L’imperatore Diocleziano, da Aquileia, ordina di uccidere tutti i cristiani
incarcerati a Roma tranne Crisogono, che convoca presso di sé per offrirgli
cariche prestigiose se rinnegherà Dio, ma l’uomo si rifiuta e viene decapitato. Le
sorelle Agape, Chionia e Irene, con il presbitero Zoilo, recuperano i suoi resti e li
seppelliscono. Crisogono appare a Zoilo predicendo la cattura delle giovani e
l’arrivo di Anastasia, che rende omaggio al corpo. Diocleziano convoca allora le
sorelle che vengono messe in carcere e incarica Dulcizio di torturare chi non
vuole compiere i sacrifici, ma il collaboratore finisce per invaghirsi delle tre
giovani e tenta di piegarle, invano, ai suoi turpi intenti. Allora ordina che siano
spogliate in pubblico, tuttavia miracolosamente le vesti non si sfilano. Le due
maggiori sono infine bruciate (i loro corpi rimangono intatti e vengono seppelliti
da Anastasia), mentre Irene, malgrado due angeli sotto sembianze di soldati
tentino di salvarla, muore colpita da una freccia.
La Passio di Crisogono (2-9), la Passio di Agape, Chionia e Irene (10-18), la Passio di Teodota (e
19-31), e la Passio di Anastasia (32-36).
147
148
Moretti, 2006, p. 8.
149
Ivi, p. 12.
100
A Diocleziano viene poi condotta la cristiana Teodota dal comes Leucadio, che la
chiede in moglie: lei finge di accettare e si dedica con Anastasia a curare i
cristiani. Intanto, l’imperatore dà ancora l’ordine di uccidere tutti i prigionieri
durante la notte. Anastasia, trovando le carceri vuote, scoppia a piangere e
ammette la sua fede: viene portata dal prefetto Probo, che riconosce la figlia di
Pretestato. Diocleziano decide di darla in moglie al pontefice massimo Ulpiano
che, quando prova a abbracciarla, rimane accecato e poco dopo muore.
Anastasia così si ricongiunge a Teodota, sotto pressione per le nozze con
Leucadio. La donna continua a rifiutarsi di omaggiare gli dei e viene affidata a
Irtaco affinché la esponga fra le meretrici, ma dal suo naso inizia a uscire copioso
sangue perché - dice lui - un giovane vestito di bianco lo ha preso a pugni. Alla
fine Teodota e i suoi figli sono arsi vivi a Nicea. Anastasia, incarcerata, è
sottoposta a un duro regime di prigionia e viene imbarcata insieme al cristiano
Eutichiano su una nave carica di malfattori destinata a naufragare. Teodota
appare a Anastasia e le mostra Eutichiano, suo prossimo compagno di martirio.
Mentre lui prega, tutti si convertono e sono battezzati. Sopravvissuti al naufragio,
i due approdano su un’isola dove sono relegati molti cristiani e dei pescatori
riferiscono che Anastasia si è salvata. Salda nella fede, viene infine condannata e
bruciata viva. La matrona Apollonia, grazie all’intervento della moglie del
prefetto, ottiene il suo corpo, lo seppellisce e fonda una basilica nel luogo della
sepoltura, presumibilmente a Roma.
Per F. E. Consolino molti elementi della vicenda, più che al tempo delle
persecuzioni dioclezianee, rimanderebbero a un'epoca successiva, quando in
molte famiglie aristocratiche la parte femminile, cristiana, si contrappose a quella
maschile, non ancora convertita.150 Costretta a sposare il pagano Publio,
Anastasia, simulata infirmitate, si astiene dai rapporti coniugali151: la castità è un
tema che assume importanza centrale soprattutto negli ultimi decenni del IV
secolo.
150
Consolino, 1984, p. 91-95.
151
Passio Anastasiae, 2.
101
Anche lo stretto legame spirituale tra Anastasia e Crisogono ricorda quello tra
asceti come Girolamo o Pelagio a Roma e le loro discepole. E come Paola
raggiungerà Girolamo in Terrasanta, così Anastasia seguirà Crisogono nel viaggio
che lo porterà al martirio.152 Proprio in questo contesto si evidenzia che Anastasia
viriliter agebat nonostante fosse, all’apparenza, nobilis et delicatissimi corporis
femina: anche in questa passione è rintracciabile il topos della virilizzazione.
Inoltre il prefetto Probo, durante l’interrogatorio, dice che l’imputata è colpevole
di aver alienato il suo immane patrimonium in favore dei poveri.153 L’accusa è
atipica rispetto al copione classico delle passioni e anche in ciò si potrebbe
vedere un riflesso del periodo storico dell’anonimo agiografo: nel Codice
Teodosiano è attestato il tentativo di impedire i testamenti di vedove in favore
della Chiesa, che non ebbe successo, ma che tradisce una situazione di difficoltà
per l’accrescersi di beni sottratti alla tassazione imperiale.154
Ancora, le tre sorelle Agape, Chionia e Irene si trovano a dover scegliere fra la
salvezza della vita e la conservazione della castitas: fu una questione molto
dibattuta durante le incursioni dei barbari, quando si discuteva se si dovesse
considerare colpa della donna una violenza subita involontariamente e se fosse
lecito ricorrere al suicidio per evitarla.155
Nella passioni romane il meraviglioso, retaggio anche del romanzo greco, è una
presenza costante, ma sarebbe riduttivo liquidare questi prodotti letterari sotto
l’etichetta di “religiosità popolare”, senza considerarli specchi di aspetti
importanti della religiosità tardoantica:
152
Passio Anastasiae, 8.
153
Passio Anastasiae, 23.
Consolino, 1984, p. 94, nota 47 fa riferimento a CTh. 16, 2, 27 legge del 12 giugno 390.
Secondo questa legge le vedove per diventare diaconesse devono avere sessant’anni compiuti e
lasciare ogni possesso ai legittimi eredi. Morendo, non possono designare come eredi nullam
Ecclesiam, nullum clericum, nullum pauperem. La legge fu revocata appena due mesi dopo, il 23
agosto 390 (CTh. 16, 2, 28).
154
155
Moretti, 2006, p. 21.
102
Solo un atteggiamento molto disposto a cogliere l’intervento di Dio e la presenza del prodigio
nella vita quotidiana poteva permettere a scrivente e destinatario di accettare per vera una storia
che agli occhi di noi moderni ha tutti i caratteri dell’inverisimiglianza.156
156
Consolino, 1984, p. 113.
103
Conclusione
Il fenomeno del martirio femminile nel cristianesimo antico si presta, come spero
di aver trasmesso almeno in parte in questo lavoro, a diverse prospettive di
studio, dalla storia di genere a quella delle religioni, dall’antropologia alla
letteratura. In base alla lente attraverso la quale scegliamo di guardare alle
testimonianze sulle martiri di cui disponiamo il fenomeno acquista diverse
sfumature e livelli di profondità, che si infittiscono ulteriormente aprendo lo
sguardo alle complesse dinamiche del periodo di formazione del cristianesimo
come religione distinta dall’ebraismo e poi del tardoantico, con l’affermazione
della società cristiana nei territori dell’impero romano. L’arco temporale
considerato è molto ampio e denso di eventi e trasformazioni, che si sono riflesse
anche sulla narrazione degli acta martyrum e sulla costruzione letteraria della
figura delle martiri: se durante le persecuzioni l’enfasi era sulla forza e sul
coraggio “virile” di cui grazie alla fede queste donne erano capaci, con il fine di
fornire esempi di resistenza agli altri membri della comunità, con il IV secolo
emerge il concetto del sine cruore martyrium, che vede nella verginità e nella
castità i valori più importanti ai quali una donna cristiana può aspirare.
Ho anche cercato di mettere in evidenza come sia dal punto di vista letterario che
storico-antropologico il martirio cristiano possa essere messo in parallelo sia con
il mondo ebraico che con quello “pagano”, e come il confronto tra queste realtà
sia tanto complesso per noi da mettere a fuoco quanto affascinante. Oltre i punti
convergenti e divergenti che possiamo individuare tra questi gruppi, le definizioni
e i nomi che giustamente cerchiamo di dare alle cose per affinare la nostra
conoscenza dell’antichità, c’è sempre la complessità delle interazioni umane reali,
che nei loro incontri, scambi e scontri sfuggono da ogni classificazione a
compartimenti stagni. Così come ricco di sfumature e contrasti è stato il ruolo
della donna - o meglio, sono stati i ruoli delle donne - nel cristianesimo antico,
che dobbiamo investigare oltre le parole degli scrittori cristiani, spesso più
prescrittive di modelli di comportamento ideali che descrittive della effettiva
realtà dei fatti.
104
In conclusione, ho provato a studiare il fenomeno del martirio femminile
cercando di tenermi quanto più possibile lontana da anacronismi e dal proiettare
nel passato le nostre categorie di pensiero, ma allo stesso tempo volendo
integrare l’apporto della storia di genere e della riflessione storica femminista.
Nella convinzione che le storie del passato sopravvissute alla forza del tempo
celino una potenza intrinseca che vale la pena continuare a indagare ancora e
ancora per conoscerci meglio come esseri umani.
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