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Il Risorgimento a Scicli

Il Risorgimento a Scicli Paolo Militello Il Giornale di Scicli, 24 luglio 2010, Pagina della cultura Ultimamente vanno sempre più di moda le polemiche antirisorgimentali portate avanti dalla Lega, da una certa opinione pubblica meridionale, da alcuni settori del mondo cattolico. Principali obiettivi di questi attacchi sono da un lato il nostro processo di unificazione (visto come un complotto ai danni del Sud) e, dall'altro, quel che ne è seguito (la pretesa colonizzazione piemontese). Senza dubbio i revisionismi sono leciti, anzi doverosi, e comunque preferibili a certe letture imbalsamate. Ma tutto ciò va fatto con metodo, preoccupandosi della complessità del contesto, analizzando criticamente le fonti. Perché se è vero che le letture storiche sono, inevitabilmente, «punti di vista», è anche vero che il fatto storico non si inventa. Per ritornare a un corretto uso (e non abuso) della storia occorre allora partire, innanzitutto, dai fatti. Nel nostro piccolo lo faremo ricostruendo il contributo che gli Sciclitani diedero al nostro Risorgimento. I protagonisti L'onda lunga del processo risorgimentale, che dai primi decenni dell'Ottocento sfocia nella spedizione garibaldino-crispina del 1860, vide una partecipazione attiva non solo delle élites ma anche del «popolo» sciclitano che, già nel 1820, aveva invaso gli uffici municipali incendiando l'archivio e costringendo alla fuga alcune delle principali famiglie nobiliari. In questo clima sorse, nel 1848, anche un comitato segreto che - come vedremo - si rivelò particolarmente partecipe al processo di unificazione. Chi erano i componenti di questo comitato? Così come nel resto dell'isola, dal punto di vista sociale essi appartenevano ai ceti emergenti, quei ceti, cioè, in gran parte cresciuti, a partire dagli anni Trenta, proprio per effetto delle riforme del Regno borbonico. Si trattava, per lo più, di «civili», borghesi, intellettuali, cui si affiancavano sia esponenti della vecchia aristocrazia come anche elementi provenienti dalle classi più umili. Questo comitato segreto era presieduto dal figlio cadetto del barone Luigi Beneventano, Agostino, il quale aveva già partecipato, da studente, ai moti rivoluzionari di Napoli, rimanendo ferito da un colpo di baionetta durante uno scontro con le truppe borboniche. Protagonista indiscusso del movimento rivoluzionario, dopo l'unificazione il nostro patriota rifiutò, però, la carica di prefetto offertagli in ricompensa per il suo patriottismo. Morì nel 1915 nella sua villa di Bugilfezza. Altri esponenti di spicco erano il medico chirurgo Giuseppe Peralta, più volte Sindaco della città dal 1872 al 1892 (anno della sua morte) e i fratelli Antonio e Ignazio Mormina (da quest'ultimo nacque, proprio nel 1860, il barone Francesco Mormina Penna, grande interprete del pensiero di Giuseppe Mazzini). Fra i componenti più in vista vi erano poi i fratelli Ignazio e Filippo Scrofani, i fratelli Gaetano e Giuseppe Zerafa-Pace (dottore in giurisprudenza), il medico Francesco Castro, il regio agrimensore Salvatore Bongiorno, oltre a Guglielmo Emmolo, Guglielmo Battaglia e Guglielmo Caruso. A questi nomi vanno infine aggiunti alcuni oscuri, ma non meno importanti, protagonisti, come il «padrone di barca» Ignazio Carnemolla, coraggiosa staffetta nelle comunicazioni tra i patrioti di Scicli e quelli di Malta. Numerosi furono, poi, i veri e propri «garibaldini». Lo sciclitano Stanislao Carrabba (1817-1906) che aveva già combattuto con Garibaldi nel 1848, e che con lui combatterà ancora nel '62 e nel '66. I fratelli Penna, Raimondo e, soprattutto Stanislao che, non ancora trentenne, morì in duello a Genova lasciando erede universale dei suoi beni proprio Garibaldi (quest'ultimo, però, avendo saputo dell'esistenza, a Scicli, di una figlia naturale di Penna, rinunciò in suo favore). Giuseppe Celestri, ufficiale telegrafico, e suo fratello Gaetano, poi direttore delle scuole elementari di Modica. Il giovanissimo Arturo Mormina (in seguito direttore di scuola tecnica) insieme al suo precettore, Padre Raffaele Pappalardo, carmelitano (garibaldino!), presenti anche durante la battaglia del Volturno. E, poi, Giuseppe Battaglia, Bartolomeo Emmolo, e tanti altri ancora, sicuramente in numero di gran lunga superiore a quello di 130 segnato nella lapide murata nel 1960 sulla facciata del nostro municipio (dove, significativamente, lo spirito garibaldino viene fatto rivivere in quello dei martiri della Resistenza). Strettamente legato al nome di Scicli - come vedremo - fu, inoltre, uno dei più importanti protagonisti del Risorgimento, il messinese Pasquale Calvi, già protagonista dei moti del 1848 e successivamente deputato del giovane Regno d'Italia. Cosa accomunava tutti questi nostri patrioti? Gli ideali - chiaramente -, la provenienza sociale e, infine, due caratteristiche particolari: la giovane età, compresa per lo più tra i venticinque e i trentacinque anni, e l'essere diventati solo da poco mariti o padri di famiglia. Si resta sorpresi, abituati come siamo a vedere immagini di vegliardi «padri della patria», di fronte a questi giovani che, oltre al coraggio e al vigore, dimostrano una impressionante capacità di mettere in discussione tutta la propria vita per un ideale. Le vicende Maggio 1860. Son già più di dieci anni (dal 1848) che la tensione in Sicilia contro il dispotismo di Napoli esplode in forme aperte, sia nelle città che nelle campagne (con le temute «squadre» di contadini). In questo clima Francesco Crispi convince Garibaldi a guidare una spedizione nell'isola per aiutare la rivoluzione in difficoltà e per sostenere e dirigere la generale insurrezione popolare. Ma seguiamo, giorno dopo giorno, sia gli eventi della grande impresa sia, più in piccolo, quelli della storia del nostro paese. 11 maggio. Garibaldi sbarca a Marsala. Due giorni dopo proclama la dittatura a Salemi e, il 15 maggio, riesce a battere l'esercito borbonico a Calatafimi. 17 maggio. Due giorni dopo Calatafimi, Ignazio Scrofani e Ignazio Mormina vengono inviati a Modica per prendere accordi con il locale comitato segreto guidato da Francesco Giardina. Nello stesso giorno una grande dimostrazione, guidata da Agostino Beneventano e preceduta dalla banda e da una bandiera tricolore, percorre le vie principali di Scicli fra l'entusiasmo della popolazione. La sera dello stesso giorno alcuni giovani disarmano tutte le guardie doganali del litorale da Pozzallo a Scoglitti e occupano l'ufficio telegrafico di Punta Corvo, impossessandosi del cavo che univa la Sicilia a Malta. Via telegrafo inizia una fitta corrispondenza tra l'esule Pasquale Calvi, Francesco Giardina e Antonio Mormina. 18 maggio, mattina. Si ordina al sindaco di Modica e al giudice di Scicli, Ignazio Simonelli, di tenere pronti 700 pagliericci per la truppa borbonica che da Siracusa doveva giungere per soffocare la ribellione sciclitana e modicana. Successivamente l'esercito cambia strategia e si rinserra nelle fortezze di Siracusa, Augusta e Catania. 18 maggio, pomeriggio. Scrofani e Mormina tornano a Scicli accolti, a metà strada, da una fiumana di popolo festante. 24 maggio. Calvi viene informato via telegrafo dell'iniziativa di Mormina di comprare 50 fucili e 5000 cartucce. 25 maggio. Parte la prima squadra di ottanta garibaldini sciclitani guidati da Stanislao Carrabba. Insieme a una squadra di modicani contribuiranno a mantenere l'ordine a Catania. 27 maggio. Palermo viene conquistata. Giardina telegrafa da Modica a Calvi: «Insurrezione generale, mancano capi, mandateli subito». 29 maggio, ore 9,25. Calvi manda un telegramma: «Signor Barone Mormina, Scicli. Rimisi ieri fucili ventinove, cartucce 6000 vostra commissione...» 31 maggio. Mormina scrive a Calvi: «avvisate arrivo in Malta di barca padron Ignazio Carnemolla con somme» 3 giugno. Pasquale Calvi, con molte armi e con quattordici esuli, salpa da Malta e, sfuggito all'inseguimento di un vapore borbonico, sbarca a Pozzallo. Con lui è anche Nicola Fabrizi (successivamente generale e ministro della guerra) il quale resterà a Scicli fino al 6 giugno. 7 giugno. Il popolo di Scicli si riunisce presso la chiesa di Sant'Ignazio e, guidato da Calvi, proclama solennemente il plebiscito (uno dei primi - se non il primo - nella Sicilia sud-orientale) di annessione al Piemonte con Garibaldi dittatore supremo dell'isola. 10 giugno. Partono quattro garibaldini che parteciperanno, dieci giorni dopo, alla battaglia di Milazzo, con la quale Garibaldi conquista definitivamente l'isola. 21 giugno. Parte una seconda squadra di centodue sciclitani al comando di Giuseppe Battaglia; sarà uno dei nuclei principali del battaglione dei Bersaglieri del Faro. 5 luglio. Il Consiglio Civico di Scicli, sotto la presidenza del barone Antonio Mormina, vota ancora una volta il seguente plebiscito: Cittadino Dittatore, Il giorno undici dello andato Maggio Voi con un pugno di eroi sbarcaste in Marsala. Il diciassette dello stesso mese Modica e Scicli contemporaneamente di comune accordo, e primi fra tutti i paesi della Provincia, inalberarono il Santo Stendardo della Insurrezione. Viva l'Italia una, Viva Garibaldi, fu il primo grido del popolo. Il venticinque una nostra squadra partiva per congiungersi con quella di Modica per combattere insieme le battaglie della patria e distruggere in Catania la soldatesca borbonica. Il Sig. Stanislao Carrabba, Crociato del milleottocentoquarantotto, guidava questo pugno di bravi. Il sette Giugno questo popolo riceveva fra le acclamazioni e le feste lo Illustre Pasquale Calvi, ed i Compagni, nome onorando e benemerito tra i primi della emigrazione di Sicilia. In quel giorno medesimo il popolo adunavasi in una delle sue principali chiese, ed in generale Comizio presieduto dallo Illustre Proscritto, compiva solennemente il suo atto di annessione al Piemonte. Pochi giorni dopo il Comitato ripeteva il medesimo voto e riconosceva in Voi, vincitore della Borbonica tirannide, il Dittatore supremo della Sicilia. Al primo annunzio della formazione dell'esercito della patria, i nostri giovani cominciarono a correre in Catania ad ingrossarne le file, abbandonando i parenti carissimi e gli agi delle famiglie [...] Finalmente quest'oggi medesimo il Consiglio Civico facendo la sua prima tornata, sente il dovere d'inaugurarla, rinnovando unanimemente il voto dell'annessione, e proclamando in Voi il glorioso liberatore e il Dittatore supremo dell'Isola nostra. Viva l'Italia una. Viva Garibaldi. §§§ Con questo plebiscito si chiude così la nostra breve ricostruzione. Da questa emerge una partecipazione attiva degli Sciclitani (e dei Siciliani) al processo di unificazione: sembra così delinearsi una Sicilia che si libera più che una Sicilia liberata, un'Unità d'Italia fatta in Sicilia più che contro i Siciliani. Certo, quando prendiamo in esame il processo di unificazione e la situazione meridionale postunitaria ci troviamo di fronte a realtà molto complesse. Proprio per questo, però, sono necessari approfondimenti rigorosi e non revisionismi scandalistici. Cominciando, innanzitutto, dalla ricostruzione filologicamente corretta dei fatti. E i fatti, almeno nel caso sciclitano, mostrano un ammirevole sacrificio dei nostri «padri» per una causa che, forse, dovremmo imparare a conoscere, comprendere e rispettare di più. I documenti relativi al periodo risorgimentale a Scicli, oltre che dall'Archivio di Stato di Siracusa, sono tratti soprattutto dalle opere di Mario Pluchinotta (Memorie di Scicli, II edizione, Scicli 1932 e Genealogie di famiglie… della Contea di Modica, manoscritto inedito del 1957 conservato presso la biblioteca privata degli eredi Pluchinotta - La Rocca). I testi dei telegrammi inviati a Pasquale Calvi, conservati presso l'omonimo archivio, sono riportati in Gaspare Nicotri, Pasquale Calvi e il Risorgimento siciliano, Palermo 1914. 1910 – Reduci garibaldini sciclitani La battaglia di Milazzo