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Architettura italiana moderna e classica 1926-40 Libera conc per Tripoli 1930 e auditor ium Roma 1935 21 L’affermazione del razionalismo Milano e Roma furono i due poli egemoni dell'architettura italiana, ma anche la piccola Como ne fu un centro singolare. Giuseppe Terragni è comasco come Sant'Elia e intorno a lui si riunisce il "Gruppo comasco architetti razionalisti" (Pietro Lingeri, Mario Cereghini e Dell'Acqua), il più giovane Cesare Cattaneo, i pittori astratti Mario Radice e Manlio Rho. Dopo il progetto ambientalista per un monumento ai Caduti a Como, accanto al Broletto e al Duomo (1926), Terragni propone un progetto di <<diradamento>> del centro storico (1927-28) in alternativa agli sventramenti del piano regolatore del 1919 che avrebbero distrutto due importanti monumenti medievali: il palazzo del Podestà e il Mercato Vecchio. La lezione ambientalista di Sitte e Giovannoni è ben presente a Terragni, proprio nel momento in cui fonda il "Gruppo 7" e costruisce la prima architettura italiana nel linguaggio del modernismo internazionale. Il complesso di alloggi della società "Novocomum" (1927-29) sorprende i comaschi con i suoi colori brillanti, i lunghi corsi orizzontali di finestre, gli aggetti audaci della struttura. Il grande blocco si affaccia sul lago con una facciata ampia e compatta di intonaco chiaro dove le tapparelle delle ampie finestre arancio e azzurre, gli sbalzi orizzontali dei balconi e delle solette arancio e le balaustre di ferro verniciate di azzurro, sono per Pagano "costruttivismo coloristico". I cilindri di vetro (contemporanei a quello del Club dei lavoratori comunali a Mosca di Golosov, che però contiene la scala sulla scia della fabbrica di Gropius al Werkbund di Colonia del 1914) sono saloni ellittici sovrapposti, legati dai pieni del primo piano smussato e dell'ultimo ad angolo in aggetto sul vuoto. Essi però vanno letti come una ripresa in forme moderne dell'elemento d'angolo dell'attiguo palazzo costruito in stile tardo eclettico da Caranchini, che con questa tipica soluzione ottocentesca aveva risolto il rapporto fra edificio e sito urbano.1 La vicenda progettuale della Casa del Fascio di Como va dal 1928 al 1932 e la costruzione dal 1932 al 1936. Dai primi modesti studi novecenteschi, Terragni giunge alla concezione finale di un cubo svuotato dall'interno, scomposto e ricomposto secondo un operare moderno che contrappunta lo schema classico senza contraddirlo.2 La <<casa di vetro>> corrisponde al concetto di Mussolini che <<il fascismo è una casa di vetro in cui tutti possono guardare>>; la ricerca lecorbuseriana del superamento della dicotomia esterno-interno affrontata nella villa Savoye (1932) è qui risolta con maggior efficacia e chiarezza. Monumentalità, equilibrio rinascimentale e mediterraneo e, d'altro canto, l'analogia con le case rurali della Brianza dai fienili inclusi nel volume ma aperti, dimostrano per Pagano la sua appartenenza simultanea alla tradizione italiana illustre e a quella lombarda vernacolare.3 Pagano ne critica il formalismo intellettuale, ma riconosce la "normalità" che evita ogni brutalismo moderno, i prospetti che nascono dall'interno per rivelarne la struttura; le proporzioni dei pieni e dei vuoti sono l'espressione più compiuta del programma di ritorno al classicismo autentico enunciato dal "Gruppo 7". Gino Pollini nel '36 la trova perfettamente ambientata con il Duomo d'accordo con l'opinione comune dei Razionalisti.4 Essa si colloca in un'area in fase di riqualificazione - la vecchia piazza Castello -, ma non cerca agganci fisici con altri edifici precedenti o futuri; il grande spazio davanti verrà riservato alle adunate; intorno avrebbero dovuto sorgere nuovi edifici - il palazzo del Governo e quello dei Sindacati - in modo da comporre la piazza dell'Impero - il nuovo spazio urbano dell'era fascista - come Piacentini aveva fatto a Brescia. Mentre a Brescia però gli edifici si uniscono fra di ____________________________________________ 1L. ZUCCOLI, Quindici anni di vita e di lavoro con l'amico e maestro architetto Giuseppe Terragni, Como 1981, p. 16. 2Si sono trovate analogie con altre Case del fascio, a Milano, organizzate intorno a una hall coperta di vetro come gli alberghi o le banche. Cfr. ETLIN, Modernism..., cit., pp. 462-468. 3G. PAGANO, Tre anni di architettura in Italia, <<Casabella>>, febbraio 1937, p. 4. 4Lettera a Terragni del 16 ottobre 1936 in cui richiede una o due foto che dimostrino questo per la pubblicazione del CIAM La cité functionelle curata da Le Corbusier e Charlotte Perriand. Giuseppe Terragni 1904-43 albergo a Como 1925, officina gas 1928, coop Novocomum 1928, Golosov circolo Mosca 1927 Terragni coop Novocomum Como 1928 foto in Sartoris, Architettura razionale, 1932 Luciano Baldessari 1896-1982 libreria De Notaris Milano 1927, uff De Angelis Frua, Milano 1933 Progetto per piazza S. Babila Milano 1930 loro mediante portici e corpi bassi, variano di materiali e disegno secondo effetti pittoreschi, come nel piano per Bergamo, l'opera di Terragni è progettata per restare sì isolata, ma anche per equilibrare la massa della cupola del Duomo. D'altro canto la griglia "a giorno" della facciata della Casa del Fascio si accorda con il pronao neoclassico del Teatro Sociale, come all'ossatura romanica delle absidi del Duomo, nonché ai portici di fronte ai fianchi di questo. La Casa del Fascio costituisce il terzo lato di uno spazio in cui differenti epoche si esprimono con i loro principi architettonici: il Moderno, il Neoclassico, il Romanico; oggi questo è meno chiaro per la mancata realizzazione degli edifici che avrebbero definito il quarto lato. Conseguenza dell'esposizione di Roma del '28 è la costituzione dei gruppi locali di architetti razionalisti, che nel 1930 trovano nel MIAR (Movimento Italiano per l'Architettura Razionale) il necessario coordinamento con l'appoggio dei segretari nazionali dei sindacati fascisti degli architetti, degli ingegneri e degli artisti. Si tessono collegamenti internazionali: Alberto Sartoris e Carlo Enrico Rava partecipano al primo CIAM (Congresso Internazionale di Architettura Moderna) del 1928 e aderiscono al CIRPAC (Commissione Internazionale per la Risoluzione del Problema Architettonico Contemporaneo), poi al successivo del 1929, in rappresentanza ufficiale dello Stato italiano, Bottoni e Pollini con Vietti rappresentano il MIAR al terzo CIAM dove sono incaricati di raccogliere documentazione delle architetture razionali italiane da conservare in un archivio internazionale di architettura moderna e da pubblicare sulle riviste <<Bauwelt>> e <<Das neue Frankfurt>>. La IV Esposizione Internazionale di Arti Decorative di Monza del 1930 fu il trionfo del Novecento decorativo. Muzio, Ponti, Alpago Novello e Sironi trasformarono l'interno della neoclassica villa Reale di Monza in <<un regno fantastico e assolutamente nuovo>> scriveva Reggiori.5 Lo scalone era illuminato da monumentali candelabri di vetro "pulegoso" di Napoleone Martinuzzi per Venini; l'atrio di Giuseppe Pizzigoni era dipinto con scene dell' Eneide di Achille Funi inserite in trompe-l'oeil architettonici; la sala di marmo di Muzio era il fulcro dell'allestimento definito <<semplice>>, <<nobile>>, <<moderno>> con sfere appoggiate su un ricco pavimento di marmo intarsiato, semi-obelischi, urne, colonne e trabeazioni isolate su pareti bianche.6 Seguiva poi la sala dello stucco di De Finetti e la Galleria della grafica di Muzio e Sironi resa <metafisica>> dalle <<nature morte architettoniche>> del pittore, dove colonne e capitelli cavi gettavano la luce contro il soffitto, dimensionati secondo i <<criteri cubisti>> di esagerare le forme geometriche.7 Nel parco, Luigi Figini e Gino Pollini (con la collaborazione di Piero Bottoni, Guido Frette e Adalberto Libera) costruiscono la casa elettrica per la società Edison, come stand dimostrativo dei più moderni ed eleganti elettrodomestici, ma anche come prototipo di una nuova architettura che riflette l’ efficienza, pulizia, ed eleganza moderna delle macchine che stanno cambiando la vita quotidiana. Anche se era stata già esposta a Trieste l'anno precedente, si può considerarla la prima opera realizzata del "Gruppo 7".8 Figini e Pollini costruiscono poi con Luciano Baldessari la stamperia e gli uffici dello stabilimento De Angeli Frua a Milano (1930-31, oggi distrutto) che è la prima architettura industriale del Razionalismo italiano. __________________________________ 5 F. REGGIORI, La Triennale di Monza. IV Mostra Internazionale delle Arti Decorative, <<Architettura e Arti Decorative>>, 9, luglio 1930, p. 492. 6A. NEZI, Nostri architetti di oggi: G. Muzio, <<Emporium>>, 74, ottobre 1931, p. 211. 7C.A. FELICE, Arte decorativa 1930 all'Eposizione di Monza, Milano 1930, p. 10. 8G. POLIN, La casa elettrica, in <<Rassegna>>, 63, 1995, pp. 24-29. Figini e Pollini, Libera, Frette, casa elettrica 1930, Trieste e Monza da Sartoris Pochi avrebbero pensato che questa architettura avrebbe presto reso superato il raffinato stile Novecento de-cò che trionfava negli interni della villa come negli interni alto-borghesi di casa Borletti di Ponti e Lancia (1927-28) in via San Vittore a Milano. Nel 1928 l’architettura moderna trova basi filosofiche nel saggio di Salvatore Vitale, pubblicato da Laterza, L’estetica dell’architettura. Saggio sullo sviluppo dello spirito costruttivo. La modernità e con lei il futurismo hanno trovato il loro <<epilogo>> nel conflitto mondiale che ha definitivamente spazzato i residui di una morta stagione. Esso è il <<prologo>> di una nuova epoca annunciata da vasti segnali e destinata - per quel che riguarda l’architettura - ad assistere all’affermazione del razionalismo.9 Ernesto Agostino Griffini pubblica nel 1931-33 la Costruzione razionale della casa, un fortunato manuale che adatta alla situazione italiana le indicazioni dei CIAM riguardo <<la casa alta e la casa bassa>> e <<l'alloggio minimo>>10. Esso utilizza gli studi del tedesco Alexander Klein sull'abitazione minima mettendoli in pratica nella casa operaia a Rozzano (Milano, 1928-29). Nel 1932, Alberto Sartoris, pubblica presso Hoepli Gli elementi dell'architettura funzionale. Sintesi panoramica dell'architettura moderna . Nell'introduzione, fa un primo bilancio della storia architettonica italiana recente, riallacciandosi ai torinesi Antonelli e Rigotti (suo maestro) e ad Antonio Sant'Elia, mentre nel volume i razionalisti italiani sono per la prima volta rappresentati in un contesto europeo, a cavallo fra nord e sud, sotto l’egida di Le Corbusier, emblematico mediatore fra le due aree culturali. Nel 1931 si apre nella galleria di Pier Maria Bardi a Roma la II Esposizione di architettura razionale. Se a Monza si delineava una tendenza razionalista in alternativa alla neoclassica decò degli organizzatori, a Roma il MIAR apre la polemica sull' <<architettura come arte di stato>> chene provocherà il disfacimento. Mussolini, che visitò l'esposizione, potè vedere sul "tavolo degli orrori" le architetture di Piacentini e Brasini montate con quelle dell' "Italietta" giolittiana che il fascismo voleva cancellare. Piacentini si sentì direttamente attaccato e rispose con l'articolo A difesa dell'architettura italiana, che spostava la critica al movimento razionalista sul piano politico e sociale, accusando di <<bolscevismo>> e <<giudaismo>> i seguaci di Gropius e <<Mendhelson>> (sic).11 Ciò provocò la censura del movimento da parte del Sindacato Nazionale Fascista Architetti e polemiche che si composero con la mediazione di Piacentini stesso, nel compromesso dello scioglimento del MIAR in cambio di un ambiguo riconoscimento dell'architettura razionale, con l'attribuzione di importanti incarichi ai suoi esponenti. Piacentini criticò nel '31 l'architettura del movimento Razionalista Italiano perché non era razionale. C'erano grandi pareti vetrate senza scuri, che lasciavano entrare troppa luce, i muri erano senza cornici per proteggerli dalla pioggia, non c'erano inoltre attici per riparare gli ultimi piani dal caldo e dal freddo.12 In occasione dell'esposizione del '28 scrisse nell'articolo Problemi reali più che razionalismo preconcetto che importava risolvere questioni, come ad esempio: la lunghezza dei corridoi nei grandi palazzi per uffici (cosa che Le Corbusier non aveva fatto nel progetto per il Palazzo della Lega delle Nazioni a Ginevra del '27); affrontare situazioni panoramiche; dare la migliore acustica e visuale alle sale assembleari.13 La proposta del "Gruppo 7" di superare l'individualismo viene sconfitta dalla realtà: con gli architetti lombardi, più liberi di assumere posizioni autonome nel fronte di "opposizione concordata" della <<Casabella>> di Pagano, o con l'appoggio di Bardi e della sua rivista <<Quadrante>> (dal 1933), mentre quelli romani si inserirono nell'equilibrio piacentiniano che rispettava la loro individualità espressiva. 22 Una modernità nazionale I concorsi I grandi incarichi governativi e i grandi concorsi furono le occasioni professionali offerte dal fascismo, che in cambio ingaggiò i migliori architetti razionalisti nella sua prima ambiziosa _______________________________________________ 9 Cfr. G. PIGAFETTA, Architettura moderna e ragione storica. La storiografia italiana sull’architettura moderna: 1928-1976, Milano 1993, p. 33. 10 Cfr. W. GROPIUS, Flach-Mittel-oder Hochbau?, in CIAM, Rationelle Bebaungweiser, pp. 26-27, 1931, ora in ID, Architettura integrata, Milano 1963, pp. 141-158. 11PIACENTINI, A difesa dell'architettura italiana, <<Il Giornale d'Italia>>, 2 maggio 1931, ora in M. CENNAMO (a cura di), Materiali per l'analisi dell'architettura moderna. Il MIAR, Napoli 1976, pp. 285-89. 12M. PIACENTINI, Dove è irragionevole l'architettura razionale, <<Dedalo>>, 11, 1 gennaio 1931, pp. 527-40. Inoltre qui egli nega la identità fra struttura e bellezza. 13ID., Problemi reali più che razionalismo preconcetto, <<Architettura e Arti Decorative>>, 8, novembre 1928, pp. 103-13. MIAR mostra a Roma 1931, tavola degli orrori; gli uffici Gualino di Pagano e Levi Montalcini a confronto con la stazione centrale di Milano inaugurata nel 1931 iniziativa di organizzazione del consenso: la Mostra del decennale della rivoluzione fascista, aperta a Roma nel 1932. Forse anche a causa del suo spirito propagandistico rivolto alle masse, Libera, De Renzi e Terragni si rivolsero alle esperienze sovietiche, all'espressionismo, al secondo Futurismo e al Novecento italiani, in sintonia con i pittori scelti per gli allestimenti: Sironi, Funi, Nizzoli, Prampolini, Maccari e Longanesi. Si volle dare al fascismo un'immagine monumentale moderna escludendo l'accademismo classicista. Libera e De Renzi coprirono la facciata dell’ottocentesco Palazzo delle Esposizioni con un cubo rosso scuro di trenta metri di lato su cui si stagliavano quattro fasci littori, alti venticinque metri, di lamiera di rame brunito per evocare <<la sintesi della concezione totalitaria e integrale del Regime>>14. Nel vestibolo, una serie di archi di metallo nel vano centrale e i due minori laterali alludevano a un arco di trionfo15. La "X", simbolo del decennale, disegnava il soffitto della sala principale, dedicata al 1922, di Terragni e divisa da un pannello, disposto in diagonale lungo un lato della X; questo e le pareti erano coperti da un fotomontaggio continuo di giornali, foto, lettere, documenti secondo diagonali e vortici che facevano del dinamismo spaziale l'elemento unificante di tutte le sale. Solo nell'ultima questa vitalità si spegneva nel silenzio eloquente del "sacrario dei martiri" di Libera e Valente: un cilindro, su cui era ripetuta con ossessione la parola "presente", retto da otto basse colonne, circondava una croce metallica su un piedistallo rosso sangue. Il primo frutto del compromesso piacentiniano, volto a incanalare i giovani ribelli verso "una modernità nazionale", è la Città Universitaria di Roma (1932-1935). Qui, accanto agli accademici Arnaldo Foschini e Gaetano Rapisardi, Piacentini scelse come collaboratori Aschieri, Capponi, Minnucci e Pagano (già esponenti del MIAR), Giovanni Michelucci, vincitore del concorso del 1932 per la stazione di Firenze, Giò Ponti e i giovanissimi, Giorgio Calza Bini, Saverio Muratori e Francesco Fariello, laureati nel 1933, cui diede l'incarico della Casa dello Studente. La dimensione simile delle finestre ordinate verticalmente da paraste, il pieno dei cornicioni terminali, l'uso di mattone e travertino come rivestimento sono il comune denominatore che attenua le diversità. Ognuno rinunciò a qualcosa; Foschini, Rapisardi e Piacentini si limitarono a comporre in simmetria volumi disadorni, cui si adeguarono Aschieri, Pagano e Michelucci; solo Giò Ponti nel retro della Scuola di Matematica aprì oblò e grandi finestre triangolari in corrispondenza delle aule a gradoni, mentre Giuseppe Capponi nell' Istituto di botanica e chimica farmaceutica usò grandi superfici vetrate e finestre a nastro, ma nell’ambito di un prospetto simmetrico. E' qui che nasce l'architettura dominante negli Anni Trenta. Piacentini ne può essere considerato l'autore; egli cercò e ottenne nell'insieme un’ immagine unitaria mediante le simmetrie rispetto all'asse centrale - dai propilei al Rettorato, pensato in un primo progetto come un corpo alto - mentre scarti di allineamento, movimenti di masse e variazioni di materiale evitano la monotonia. Non vi è più alcun rapporto con il progetto di Giovan Battista Milani e Gustavo Giovannoni per la città universitaria del 1911-12, fatto di padiglioni eclettici per ogni facoltà sparsi in un parco all'inglese, né l'architettura è più quella novecentesca-decorativa del piano per la "Grande Roma"16. Il Rettorato deriva dal palazzo delle Poste di Brescia -dove una prima idea con fornici arcuati (1930) era stata scartata per quella più moderna dei pilastri con trabeazione (1932) - forse dovuta al successo dell'ingresso della Mostra del decennale. Ugo Ojetti criticò questa scelta come non italiana e moderna, Piacentini gli rispose che essa era dettata dall'uso della struttura in cemento armato, fondamentale nella costruzione contemporanea.17 D'altro canto la scelta di un’ assoluta semplicità, che non rinuncia al postulato della modernità, ma che, nella sua concezione complessiva, vuole evocare un'aura classica mediterranea evitando le formule <<ultrarazionaliste>> (come le finestre "a nastro" e i volumi su "pilotis"), fu criticata da Le Corbusier come apparentemente <<moderna>> ma fondamentalmente <<antica>>.18 ____________________________________________________ 14 <<...La vecchia e solenne Via Nazionale è stata ...violata da questo motivo esplosivo di architettura moderna... che porta nel cuore di Roma D. ALFIERI, G. FREDDI, Mostra della Rivoluzione Fascista, I Decennale della Marcia su Roma, Roma 1933, pp. 65-67. I fasci littori erano stati già usati da Piacentini come colonne doriche semplificate nel monumento alla Vittoria di Bolzano (1925-28) e da Muzio nel padiglione de <<Il Popolo d'Italia>> alla Fiera di Milano del 1928, poi Muzio stesso con Sironi gli aveva resi elementi decorativi astratti nell'ingresso del padiglione di italiano della stampa e del libro all'Esposizione internazionale di Barcellona del 1929. 15 Piacentini nell’ arco della Vittoria a Bolzano, inaugurato nel 1928, aveva già trasformato le colonne in fasci 16AA. VV., 1935-1985. La "Sapienza" nella città universitaria, Catalogo della mostra, Roma 1985; 17U. OJETTI, Lettera a Marcello Piacentini, <<Pegaso>>, febbraio 1933, ora in L. Patetta (a cura di), L'architettura in Italia 1919-1943. Le polemiche, Milano 1972, p. 315 e M. PIACENTINI, Gli archi, le colonne e la modernità di oggi, <<La Tribuna>>, 2 febbraio 1933, in L. Patetta (a cura di), L'architettura in Italia 19191943...cit., pp. 320-22. 18A. MUÑOZ, Le Corbusier parla di urbanismo romano, <<L'Urbe>> 1, novembre 1936, pp. 33-34. 19Per le vicende progettuali e costruttive della stazione di Firenze attraverso i carteggi dei protagonisti cfr. V. SAVI, De auctore, Edifir, Firenze 1985. Mostra X rivol fascista Roma 1932 de Renzi, Libera, Sironi Libera Padiglione per expo Bruxelles Conc pal littorio 1934 M. Piacentini e altri la Sapienza Roma 1932-35, G. Capponi, fac scienze, Gio Ponti matematica, Pagano igiene 1933 Piacentini fu nel 1933 anche l'arbitro nella commissione che diede al gruppo toscano (Giovanni Michelucci, Nello Baroni, Pier Nicolò Berardi, Italo Gamberini, Sarre Guarnieri e Leonardo Lusanna) la vittoria nel concorso per la stazione di Firenze, difendendo la modernità del progetto in polemica con Ugo Ojetti. Anche Mussolini intervenne a suo favore e la rapida realizzazione (1933- 35) portò a quello che oggi è universalmente considerato un capolavoro nella semplicità del volume orizzontale di pietra forte, che si contrappone in diagonale all'abside di Santa Maria Novella riprendendone il materiale, nella posizione fuori centro della hall, fusa con la pensilina delle vetture dalla vetrata continua, che attraversa tutto l'edificio per ricoprire la galleria trasversale di distribuzione ai binari19. Gli spazi interni si dilatano e si incastrano seguendo un preciso programma funzionale e rinunciando a ogni retorica monumentale per confrontarsi con la lezione di Wright piuttosto che con le correnti europee contemporanee. Al simbolismo faraonico della stazione di Milano (inaugurata nel 1933), quella di Firenze oppone una "camaleontica" mimetizzazione dell'architettura moderna nel contesto fisico e artistico della città attraverso un sapiente studio di alcune costanti artistiche, come i lunghi muri continui di pietra, e la scelta di un punto di vista scorciato sulla piazza triangolare. E' qui che nasce l'architettura dominante negli Anni Trenta. Piacentini ne può essere considerato l'autore; egli cercò e ottenne nell'insieme un’ immagine unitaria mediante le simmetrie rispetto all'asse centrale - dai propilei al Rettorato, pensato in un primo progetto come un corpo alto mentre scarti di allineamento, movimenti di masse e variazioni di materiale evitano la monotonia. Non vi è più alcun rapporto con il progetto di Giovan Battista Milani e Gustavo Giovannoni per la città universitaria del 1911-12, fatto di padiglioni eclettici per ogni facoltà sparsi in un parco all'inglese, né l'architettura è più quella novecentesca-decorativa del piano per la "Grande Roma"16. Il Rettorato deriva dal palazzo delle Poste di Brescia - dove una prima idea con fornici arcuati (1930) era stata scartata per quella più moderna dei pilastri con trabeazione (1932) - forse dovuta al successo dell'ingresso della Mostra del decennale. Ugo Ojetti criticò questa scelta come non italiana e moderna, Piacentini gli rispose che essa era dettata dall'uso della struttura in cemento armato, fondamentale nella costruzione contemporanea.17 D'altro canto la scelta di un’ assoluta semplicità, che non rinuncia al postulato della modernità, ma che, nella sua concezione complessiva, vuole evocare un'aura classica mediterranea evitando le formule <<ultrarazionaliste>> (come le finestre "a nastro" e i volumi su "pilotis"), fu criticata da Le Corbusier come apparentemente <<moderna>> ma fondamentalmente <<antica>>.18 _____________________________________________ 16AA. VV., 1935-1985. La "Sapienza" nella città universitaria, Catalogo della mostra, Roma 1985; 17U. OJETTI, Lettera a Marcello Piacentini, <<Pegaso>>, febbraio 1933, ora in L. Patetta (a cura di), L'architettura in Italia 1919-1943. Le polemiche, Milano 1972, p. 315 e M. PIACENTINI, Gli archi, le colonne e la modernità di oggi, <<La Tribuna>>, 2 febbraio 1933, in L. Patetta (a cura di), L'architettura in Italia 1919- 1943...cit., pp. 320-22. 18A. MUÑOZ, Le Corbusier parla di urbanismo romano, <<L'Urbe>> 1, novembre 1936, pp. 33-34. 19Per le vicende progettuali e costruttive della stazione di Firenze attraverso i carteggi dei protagonisti cfr. V. SAVI, De auctore, Edifir, Firenze 1985. Giovanni Michelucci 1891-1990 e gruppo toscano St. Fi. S. Maria Novella 1933-35 Mazzoni colonia ferrovieri a Tirrenia 1925-33, centrale termoelettrica stazione di Firenze 1934 Ormai il moderno ha vinto e anche Piacentini ne è convinto: basta confrontare il suo palazzo di Giustizia di Messina (1928) con quello di Milano (1933-40). Nel primo aveva cercato di rendere attuale l’ordine dorico coprendo le strutture antisismiche di calcestruzzo armato con un rivestimento di pietra gialla di Solunto, quasi a cercare di nascondere le ascendenze tedesche del suo dorico. Nel secondo cerca di eliminare ogni citazione classica per arrivare a un ordine assoluto, a un <<carattere astratto e universale>>,20 evoluzione dei tempi moderni, senza rinunciare ad armonia, proporzioni, equilibrio, come del non era sfuggito alla critica di Le Corbusier. Contemporaneamente evolve la sua idea di ambientamento: <<Ora, ambientare non significa costruire come i predecessori, ma porsi nelle loro medesime condizioni di spirito allorché si prepararono ad operare a loro volta nell’ambiente della più antica tradizione. Così è possibile aggiungere anelli ad anelli alla catena della continuità architettonica senza spezzarne l’unità>> 21 Angiolo Mazzoni è autore di una serie di edifici postali (Nuoro, Massa, Grosseto, La Spezia, Latina, Agrigento) che passano dal tardo romanticismo e dal futurismo a effetti monumentali espressionistici, ma è soprattutto nell'edilizia ferroviaria, nelle centrali termiche e negli edifici accessori di FirenzeSanta Maria Novella (1933) e di Roma Termini (1940), nelle stazioni di Bolzano, Siena, Trento, Montecatini, Reggio Calabria e Messina, nonché nella colonia "Rosa Maltoni Mussolini" al Calambrone di Tirrenia (1932), che egli potè esprimere in volumi futuristi, in chiaroscuri drammatici la sua concezione originale del tema ferroviario, rinnovandolo in modo capillare e definitivo. Nel 1933, vennero pure banditi i concorsi nazionali per quattro palazzi postali a Roma e per il piano regolatore di Sabaudia, su cui ritorneremo. Il siciliano Giuseppe Samonà si aggiudicò l'edificio del quartiere Appio, separando nei due prospetti, raccordati in una curva concava, i piani inferiori vetrati dai superiori mediante un lieve aggetto e un rivestimento di marmo scuro che li fa arretrare rispetto ai superiori di marmo chiaro intesi come pure superfici. Libera e De Renzi nell'ufficio del quartiere Aventino racchiusero la hall con il suo volume arrotondato di vetrocemento nell'abbraccio a "C" degli uffici, ponendo in prospetto l'intreccio diagonale delle scale in contrasto con le rade finestre quadrate che forano i volumi astratti. Un motivo, quest'ultimo, che poi gli stessi ripetono con maggior vigore nel padiglione italiano all'esposizione di Bruxelles del 1935. Mario Ridolfi con Mario Fagiolo concepì l'edificio di Piazza Bologna come una superficie continua concava e convessa di mattoni "a vista" "fugati" in modo da mettere in risalto la fluidità del volume con il fitto chiaroscuro orizzontale, che annulla il concetto tradizionale di facciata, così gli uffici retrostanti sono coperti da un guscio curvo di vetro. Accanto a queste opere si può collocare il grandioso palazzo delle Poste di Napoli (1928-30, 1932-36) di Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi. Il loro progetto vincitore del concorso di primo grado era ancora in stile Novecento con elementi decorativi; poi nel secondo grado essi passarono a un razionalismo espressionista "alla Mendelson" con al centro l'alto infisso metallico, bipartito da un pilastro ricurvo, quasi a sottolineare il divaricarsi della monumentale facciata convessa, ricoperta di marmo.22 Nel basamento la diorite nera di Baseno serve ad annullare le differenze di quota, mentre i pilastri rivestiti dello stesso materiale si fondono con l'ombra delle aperture; i tre piani superiori contrastano con la loro superficie bianca di marmo di Vallestrona. Nel fianco su via Monte Oliveto, un piccolo loggiato del '500 di piperno sporge sulla massa moderna che cela sul retro il chiostro del '600 e gli edifici conventuali. Queste architetture indicano che il razionalismo italiano poteva dirsi concluso come movimento unitario nazionale, a eccezione degli architetti lombardi osservanti dell’ ortodossia "ultrarazionalista" internazionale, si delineano ricerche individuali rivolte alla tradizione del Mediterraneo. __________________________________________________ 20 Cit. in G. PIGAFETTA, I. ABBONDANDOLO, Le teorie tradizionaliste...., cit. p. 187. 21 Cit. ivi, p. 183. 22B. GRAVAGNUOLO, Giuseppe Vaccaro. Il palazzo delle poste a Napoli, "Domus", 693, aprile 1988, pp. 72- 80; . Concorso Uffici postali Roma 1932-33 Adallberto Libera 1903-63 e Mario De Renzi 1897-1967, Mario Ridolfi 1904-84 e Mario Fagiolo 1905-96, Angiolo Mazzoni 1894-1979 poste centrali Palermo 1931 Giuseppe Vaccaro e Franzi 1896-1970 poste Napoli 1932, colonia Agip a Cesenatico 1938 Libera, fin dal saggio Arte e razionalismo su <<Rassegna italiana>> del marzo1928, aveva definito l'architettura come il prodotto della fusione dialettica del <<mondo esterno>> e del <<mondo interno>> attraverso <<l'intuizione lirica>>. Il primo è l'ambiente inteso nel senso più vasto di valori moderni internazionali o nazionali: anche un prodotto meccanico, come l'automobile, - scrive Libera - si può riconoscere se è italiano, tedesco, americano o francese. Il secondo è il bagaglio culturale dell'artista, il suo gusto; il terzo è la capacità di esprimere il mondo meccanico in un modo calzante con l'identità nazionale in generale e con il sito. Il progetto per il concorso della piazza della Cattedrale di Tripoli del 1930 è la dimostrazione di ciò. Esso fondeva i caratteri dell'architettura minore mediterranea con quelli dell'architettura meccanizzata e astratta, propria di una grande città moderna, con la libertà di una forte e originale personalità. Come nella veduta di Messina di Le Corbusier del 1915, la struttura in cemento armato si apre in verande e altane coperte da voltine leggere, si ricopre di pareti bianche o colorate per accentuare i giochi di volumi punteggiati da finestre quadrate, mentre un portico continuo ne costituisce il basamento. Nella scuola elementare di Trento (1932), materiali, composizione e volumi sono calibrati per dialogare con il Castello del Buon Consiglio. I volumi rosso scuro delle torri-scale ai lati degli ingressi arretrati dialogano con i bastioni delle mura cittadine da un lato e con la torre Verde dall'altro, mentre la bassa volumetria dell'edificio - calibrata alla quota delle mura - ricostruisce il loro andamento verso la torre Verde e cerca di non coprire il panorama delle colline con case e dei giardini ai lati del Castello. Nell'ufficio postale Aventino Ostiense (1933), il portico isolato e trasparente con le sue ampie campate, che in maniera anticlassica vanno oltre l'edificio, la hall di vetro arrotondata, i parallelepipedi degli uffici ricoperti di travertino, sono volumi semplici, non contaminati fra loro, composti nella luce, come la vicina Piramide Cestia e la Porta Ostiense con le torri gemelle. Un esempio invece di inserimento in una quinta stradale ormai consolidata è la piccola casa in via San Basilio a Roma (1932), che contrappone all'edilizia minore ai limiti della città storica, una facciata astratta e simmetrica dall'alto rivestimento in travertino e con le finestre dalle proporzioni allungate tradizionali, pure incorniciate da lastre di travertino: un prototipo razionalista. Carlo Enrico Rava, Guido Frette e Sebastiano Larco abbandonano il "Gruppo 7" nel 1930 per ritornare allo spirito latino e mediterraneo di Le Corbusier (o della tradizione modernista californiana da Irving Gill a Richard Neutra) e specializzarsi nell'architettura coloniale o nell'allestimento lussuoso di ambasciate. Michelucci vince nel 1931 il concorso per "un piccolo giardino privato", in margine alla mostra storica del giardino italiano a Firenze, disegnando pergolati e aiuole tradizionali. L'anno seguente, studia le case coloniche del Chianti per dedurne schemi compositivi attuali, ma anche la tribuna della SS. Annunziata a Firenze nella sua monumentale astrazione geometrica, come dieci anni prima Carlo Carrà era ritornato a Giotto.23 Maria Teresa Parpagliolo 24 - la prima landscape-architect in Italia - propone progetti di piccoli giardini da terrazza con essenze e forme legate alla tradizione italiana, ma rivisti attraverso la lezione della moderna architettura da giardini inglese e tedesca. E' la rivista <<Domus>> di Giò Ponti, nata nel 1928, a registrare questa via italiana a un moderno che si ispira alla tradizione: Palladio rivisto attraverso Hoffmann, le case di Capri attraverso Loos, mentre si riconoscono gli arbitrii e le esigenze formali del "razionalismo" che è un'estetica ben riconoscibile, piuttosto che "semplice, diretta plasticità e funzionalità". La V Triennale milanese del 1933 ne è la dimostrazione con il Palazzo dell' Arte di Muzio, dove archi e colonne di granito rosa di Baveno, le austere riquadrature di clinker, gli interni decorati da Sironi, De Chirico, Severini, Campigli, Cagli e Funi, non contraddicono l'uso delle tecnologie più avanzate, ma non esibite. Nel parco sorgevano quaranta costruzioni temporanee sul tema della villa e della casa economica nonché il padiglione della stampa di Baldessari, dove l'eloquenza dei cilindri marmorei contro un parallepipedo di mattoni si unisce al rigore formale dei corpi bassi vetrati. La "villa-studio per un artista" di Figini e Pollini, "i Dioscuri" del razionalismo, eccelleva con "una fantasia di precisioni" dove si ritrovano la parete curva di Le Corbusier, i pilastri esili sul pavimento a riquadri di marmo di Mies, nel patio interno. Bottoni e Griffini studiano un brano di casa popolare, mentre Albini, Camus, Pagano, Palanti, Mazzoleni e Minoletti si ispirano al Weissenhof di Stoccarda nella loro casa in acciaio; un'altra casa d'acciaio in verticale è presentata da Luigi Carlo Daneri_ __________________________ 23G. MICHELUCCI, "Contatti" fra architetture antiche e moderne, <<Domus>>, febbraio 1932, pp 70-71; marzo 1932, pp. 134-136 e ID, Fonti della moderna architettura italiana, <<Domus>>, agosto 1932, pp. 460- 61. 24Il padre Luigi aveva scritto La difesa delle bellezze naturali di Italia (Roma 1923), la madre era un'insegnante di inglese. Dopo gli studi di archeologia a Roma e una pratica di disegno, incisione e pittura, compie un viaggio in Inghilterra, nel 1927 collabora con il paesaggista Percy S. Cane e nel 1929 inizia la collaborazione con <<Domus>> dove tiene una rubrica sul disegno di piccoli giardini privati di città. Luigi Vietti; i giovani BBPR (Banfi, Belgioioso, Peressutti e Rogers) con il "padrino" Portaluppi impostano sulla dinamica di un cerchio e di una retta la pianta della “casa del sabato per gli sposi” distaccandosi con originalità e ironia dagli schemi razionalisti. I comaschi con Terragni riprendono la compostezza classica della Casa del Fascio nel fronte della "casa sul lago per un artista", mentre lo studio sul retro è trattato come un cubo di vetro-cemento. A Persico non restava che denunciare come "tradimento" delle enunciazioni del '28 il razionalismo mediterraneo espresso da queste architetture. Esso veniva riconosciuto in sede internazionale al CIAM di Atene del 1933, e catalogato da Sartoris nel 1948 con L'architecture nouvelle * Ordre et climat méditerranéens. Il moralismo non permetteva a Persico di cogliere la qualità dei risultati raggiunti dagli architetti italiani che presto si erano liberati dai dogmatismi della prima ora per vie individuali. Frattanto, Terragni e Lingeri sperimentano nella casa Rustici (1933-35) in corso Sempione a Milano la compenetrazione di esterno e interno per dotare ogni appartamento di una veranda all'aperto; nelle case Ghiringhelli (1933), Toninello (1933) e Lavezzari (1934) essi rinnovano la tipologia del condominio inserito nelle quinte stradali. Figini e Pollini sperimentano l'idea lecorbuseriana della casa a ville sovrapposte in via Annunciata (1932-34) e si esercitano con pilotis, pianta libera, tetto a terrazza, finestre in lunghezza, facciata indipendente nella villa Figini (1934- 35), cui si affianca la villa Bianca di Terragni a Seveso (1936-37). Ludovico e Alberico Belgioioso riprendono lo schema degli uffici Gualino nella casa Feltrinelli (1935) alleggerendone i prospetti con esili infissi metallici nell'ampio bovindo centrale in aggetto e nelle finestre a nastro del fianco, mentre Ponti e Lancia nelle "domus Carola, Fausta, Julia" in via De Togni (1931-33) creano un brano di città improntato al loro gusto "borghese", aperto alla tradizione lombarda, come all'arte di lusso europea e soprattutto privo di preconcetti verso l'ornamento e il colore. La <<casa all'italiana>> scrive Ponti nel 1928 - non è una machine à habiter, cerca un <<confort>> non solo materiale, ma spirituale. I condomini moderni non incidono quantitativamente né strutturalmente (nella distribuzione e nella tecnologia degli alloggi) nell'edilizia milanese; come notava Pagano, vi sono somiglianze formali fra la casa Lavezzari di Terragni e le case Bonaiti e Malugani di Muzio (1935-36) in piazza della Repubblica. Il tema della villa permise una maggiore libertà nel rapporto fra architetto e committente e nello svincolo dalla città ottocentesca compatta. Così, il tema industriale fu per Luciano Baldessari e Giò Ponti l'occasione di fondere razionalismo ed espressionismo nello stabilimento Italcima (1932-36) e per Giovanni Muzio di sperimentare il linguaggio moderno nel Garage Barnabone a Lodi (1933). Ignazio Gardella esordisce sulla scia di Terragni usando in chiave monumentale il telaio di cemento armato nel concorso per una torre in piazza del Duomo del 1934 e dà una interpretazione originale del purismo miesiano nell'ampliamento di villa Borletti (1935-36), sollevato su esili pilastri poligonali, in lieve aggetto sulla schermatura di marmo e cristallo, ma trattenuto ai lati da rustici setti di cemento ricoperti di ghiaia. A Roma, viene bandito nel 1934 il concorso per il palazzo del Littorio; il luogo prescelto è sulla via dell'Impero, inaugurata l'anno precedente, nella spianata della collina della Velia con di fronte la basilica di Massenzio e a fianco il Colosseo. Al dibattito alla Camera, dove l'architettura italiana moderna viene definita <<Novecento>>, <<esotica>>, <<bolscevica>>, <<bolscevico-nipponica>>, <<teutonica>>, Mussolini risponde ricevendo i giovani vincitori dei concorsi per la stazione di Firenze e per Sabaudia, congratulandosi con loro e con <<tutti i giovani che cercano nell'architettura e in altri campi di realizzare un'arte rispondente alla sensibilità e alle necessità del nostro secolo fascista>>. Piacentini fu il segretario della giuria, affiancato da Arnaldo Brasini e Cesare Bazzani, mentre Pagano rinunciò a concorrere per erigersi ad arbitro esterno dalle pagine di <<Casabella>>. I giovani di <<Quadrante>> erano divisi in due gruppi: uno, appoggiato direttamente dalla rivista, con Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers, Figini, Pollini e Arturo Danusso, l'altro con Antonio Carminati, Pietro Lingeri, Ernesto Saliva, Terragni, Luigi Vietti e la collaborazione dei pittori Marcello Nizzoli e Mario Sironi. Vi erano poi i giovani romani: Ridolfi, Libera, Piccinato, Saverio Muratori, Luigi Giovanni Muzio palazzo dell’arte milano 1933 e Figini e Pollini casa studio Moretti, Mario De Rossi, i maturi: Del Debbio, Foschini, Vittorio Ballio Morpurgo, gli "outsider": Giò Ponti e Samonà. Il primo gruppo milanese rendeva omaggio alla trinità di Le Corbusier, Mies e Gropius con un parallepipedo vetrato in colloquio con una piastra opaca su "pilotis" binati e con altri volumi minori pure pieni. 25 Il secondo presentò due progetti "A" e "B". Nel primo, lo schermo inclinato e convesso frontale, percorso da curve isostatiche e tenuto in aggetto da colossali capriate alla sommità (ideato da Vietti con le tensiostrutture di Fiorini), era forato al centro dall'arengo in corrispondenza della vastissima sala del Duce. Di lato, si innestava il corpo pieno, concluso nel cilindro del Sacrario con lo sfondo degli uffici del partito; un paravento compatto verso la città umbertina, percorso da sottili nastri di finestre, ma aperto sul retro e prorompente in aggetto sulla via del Colosseo, aggredita inoltre dall'emiciclo della "Sala dei 1000" da cui scendevano le rampe esterne. Questo capolavoro di retorica metteva a confronto il mito fascista con quello romano che gli stava di fronte. Il muro in aggetto rivestito di porfido rosso voleva essere una risposta moderna alle <<lezioni delle mura di Roma imperiale>> e si componeva con il retro murato della basilica come quinta prospettica del Colosseo sullo sfondo. Era, secondo Terragni: <<Il concetto di accentrare su un progetto le maggiori caratteristiche di un ambientamento intelligentemente e modernamente interpretato, lasciando all' altro progetto il compito di stabilire il più alto grado di modernità che era possibile dalla riunione dei nostri sforzi e delle nostre idee.>>26 Nel secondo Terragni riempiva il lotto triangolare con una piastra sospesa su cui si innestava ortogonalmente il parallepipedo rivestito di granito sui lati minori e trasparente nel tetto e nei lati maggiori con la "Sala del Duce", il "Sacrario" e la "Mostra della rivoluzione", i volumi disposti a risega degli uffici ricordano la Bauhaus di Dessau e racchiudono la volta parabolica della "Sala dei 1000". Le trasparenze dello stile internazionale erano solo eliminate sul fronte di via dell'Impero per confrontarsi con l'antico nel rivestimento "millenario" di granito. Questi erano i progetti che Pagano considerava meritori del concorso di secondo grado per la loro adesione senza compromessi al gusto moderno europeo. Ma la commissione vera diede il primo premio ad Arnaldo Foschini, Vittorio Ballio Morpurgo ed Enrico Del Debbio. Alla eloquenza formale, affinata nelle architetture delle esposizioni, e alle preoccupazioni per il contesto antico della facciata curva, drammaticamente fluente, di Libera, con al centro un monumentale fascio littorio, si contrappone la modestia antiretorica degli edifici di Montuori e Piccinato; Samonà si ispira al Colosseo (ma anche alle Poste di Napoli di Vaccaro) nel fronte convesso, aperto al centro in un cortile concavo; Cuzzi, Levi Montalcini e Pifferi combinano palazzi razionalisti in maniera monumentale; Giò Ponti propone una scenografia di volumi novecenteschi sfalsati. Per il concorso di secondo grado nel 1937, si scelse però una nuova collocazione alle pendici dell'Aventino sul viale di porta San Paolo, dove Terragni fu libero di immaginare una serie di lame di cristallo in successione prospettica a partire dalla torre dell'arengario e collegate da una piastra orizzontale con le sale di riunione. Il confronto con l'antico era demandato al progetto del "Danteum" del 1938, da erigersi sul posto del primo concorso, con la selva di colonne di vetro accanto a quelle antiche dei fori racchiuse in un rettangolo "aureo" come quello della Basilica di Massenzio. Anche questo concorso fu vinto da Foschini, Ballio Morpurgo, Del Debbio con un volume monumentale compatto le cui superfici erano trattate in maniera uniforme da una partizione a cassettonato. Questa idea, attribuita soprattutto a Foschini, si conferma nel progetto definitivo per il sito della Farnesina alle pendici di Monte Mario che dilata il prototipo di palazzo Farnese interpretando modernamente la triplice sovrapposizione degli ordini. Piacentini scrisse: <<si ritorna alla severa e sana elementarità delle superfici, non più calcolando l'effetto sul capriccioso e decorativo movimento dei volumi, ma __________________________________________________ 25W. Gropius visitò la mostra dei progetti e quello dei BBPR-Figini-Pollini-Danusso gli parve il migliore. A. CUZZER, I grandi concorsi, in Architettura moderna inItalia, <<La Casa>>, 6, 1959, p. 269. 26ETLIN, Modernism..., cit., n. 116, p. 647. 27 <<Sono i nostri bei facciatoni che torniamo a sentire: quelli del Palazzo Farnese, del Palazzo Laterano, del Palazzo Ruspoli e, fuori Roma dei Palazzi Reali di Napoli e di Caserta, e di cento altri>>. M. PIACENTINI, Il progetto definitivo della casa littoria a Roma, <<Architettura>>, XVI, 1937, p. 699. Esso è infatti erede della tradizione neorinascimentale romana dove il modello di palazzo Farnese è alla base del palazzo Bonconpagni- Ludovisi di Koch, del palazzo ex collegio Massimo di Pistrucci,, poi del Ministero degli Interni di Manfredi, ma Piacentini mette in risalto la superiorità dei moderni rispetto al palazzo di Giustizia di Calderini, o alla Borsa di Genova, troppo ornati e mossi. Esso sarà anche esempio, nel dopoguerra, per la sede della D.C. di Muratori all’EUR e per l’ambasciata di Gran Bretagna di Basil Spence a porta Pia. Carminati, Lingeri, Saliva, Terragni, Vietti concorso palazzo Littorio Roma 1934 • Luigi Cosenza 24 Littorio 1934 Ridolfi, La Padula…, Libera 25 Foschini e del Debbio foro dei marmi 1935 e palazzo littorio 1938-50 poi ministero affari esteri Ministero delle Colonie 1937 poi sede FAO Roma 1951 Concorso auditorio al Flaminio 1935 Mario De Renzi, Adalberto Libera, Giuseppe Vaccaro 27 Senza esito fu il concorso per l'Auditorium del 1935, dove, all'espressività della struttura di cemento armato esposta da Libera, si contrappone la struttura ovata della sala celata in un involucro chiuso di Francesco Fariello, Saverio Muratori, Ludovico Quaroni. Luigi Vietti dà prova ancora una volta della sua creatività originalissima che piega le forme astratte del razionalismo internazionale in tensioni espressive organiche riprendendo per l'Auditorium il volume del progetto "A" del palazzo Littorio, legato da una piastra ai corpi degli uffici che lo racchiudono e facendo prorompere in facciata una serie di piani convessi in aggetto. 23 La crisi dei dogmi e le poetiche individuali La VI Triennale del 1936 volle fare un riepilogo dell'architettura moderna dell'ultimo triennio con la Mostra internazionale e con la Galleria dell'architettura italiana, entrambe curate da Agnoldomenico Pica. Abbandonate le polemiche sull'architettura come arte di Stato, Pica puntava sull'architettura come arte sociale, su servizi nuovi, case del Balilla, dopolavori, case del Fascio, colonie marine e montane per l’infanzia. Su questi temi, il nuovo aveva modo di esprimersi, di delineare immagini urbane, tacendo le sconfitte subite nelle più cospicue trasformazioni. Al concetto elastico di "architettura moderna" delle rassegne di Pica, si contrapponeva la postuma Sala della Vittoria di Edoardo Persico, portata a termine, a cinque mesi dalla morte, dai suoi collaboratori Marcello Nizzoli, Gian Carlo Palanti e Lucio Fontana. In essa si dimostrava l'accordo fra "classico" e "moderno" nell'intento di sottrarre il primo al monumentalismo di regime, con il gioco chiaroscurale di pannelli pieni alternati a vuoti d'ombra. La Atena di Fontana era così immersa in un'aura che rievocava l'età d'oro di Pericle, della pace, della città. Piacentini incaricò il giovane Quaroni di allestire una piccola sezione dal titolo "L'architettura attuale e la tradizione italiana"; egli scelse tre opere: il palazzo di Giustizia di Calderini, il palazzo Castiglioni di Sommaruga e il palazzo Berri e Meregalli di Arata. Questa antologia tendeva a delineare una tendenza "organica" nell'architettura a cavallo del secolo. Giuseppe Pagano e Guarniero Daniel avevano d'altro canto curato la "Mostra dell'architettura rurale nel bacino mediterraneo" da cui trassero il libro Architettura rurale italiana. Il materiale era organizzato per generi formali (pagliai, casoni, scale esterne, loggiati, camini, graticci...) in modo da formare un repertorio utile a combattere quanto di scenografico e di arbitrario vi era nelle città nuove e nelle borgate rurali del fascismo con l'imparare la modestia, l'economia, la moralità, la semplicità dall'architettura "minore", anonima e popolare. Su questa via si indirizzano Luigi Cosenza e Bernard Rudofsky, <<italianamente moderni>> nel progetto di "una villa per Positano e per...altri lidi" del 1936 e poi nel progetto per l'albergo San Michele a Capri o "nel bosco" di Rudofsky e Giò Ponti (1939) entrambi pubblicati su "Architettura". Cosenza traccia questa via mediterranea al razionalismo realizzando la villa Oro a Posillipo (1934- 37) che è il manifesto della sua architettura nelle aperture asimmetriche, nella purezza dei volumi quasi neoclassica, nel basamento in tufo che la aggancia organicamente al terreno, mentre la leggera curvatura dell'edificio pare farla aderire meglio all'andamento delle curve di livello.28 Poi nella villa Savarese in via Orazio (1936-42) il trattamento dei prospetti si avvicina alle ricerche astratte degli architetti di Como. I romani Mario Pediconi e Giulio Pediconi nell'edilizia residenziale popolare si allontanano dai modelli internazionali per fare ricerche sulla scia di Giovannoni sui modelli dell'edilizia rinascimentale. Dai palazzetti quadrati a cortile interno viene la tipologia delle case INA in piazza Roma a Latina (1938-39) dalla tecnologia costruttiva autarchica. Solai e balconi sono sostenuti da volte, che, ripetute diventano un elemento decorativo, così gli architravi sono sostituiti da archi ribassati. Una schiera di maestri, ancora capaci di costruire con sistemi tradizionali, viene arruolata con il risultato di <<una simpatica aria nostrana>>. Gli ingegneri, d'altra parte, avevano arricchito il linguaggio moderno di nuove espressioni tecnologiche: dai progetti di grattacieli a sbalzo in tensiostruttura metallica (1932-34) di Guido Fiorini - Le Corbusier ne utilizzò il brevetto nei progetti per il palazzo dei Soviet e per Algeri -, alle costruzioni di Pier Luigi Nervi. Lo stadio di Firenze con la pensilina e la scala elicoidale a sbalzo (1930-32), gli hangar di Orbetello (1935-40) con la orditura diagonale di travi di cemento armato precompresso infrangono le geometrie euclidee per introdurre curve paraboliche di grande forza espressiva. _____________________________________________ 28 Cfr.Luigi Cosenza. L'opera completa, Electa, Milano 1987; Albergo San Michele o nel bosco all'isola di Capri di Ponti e Rudofsky, in <<Architettura>>, XIX, 1940, pp. 273-286. Rudofsky organizzerà poi al Moma di New York la celebre mostra Architecture without Architects nel 1964, il cui catalogo allarga in una visione mondiale il tema di Pagano e Daniel del 1936. Il catalogo è poi tradotto in italiano Architettura senza architetti, Napoli 1977. VI triennale 1936 Pagano e Daniel edilizia rurale 29 VI triennale 1936 Pagano e Daniel edilizia rurale, Albini abitazione x un uomo, mostra antica oreficeria italiana 30 Luigi Cosenza villa Oro a Posillipo Voluta dal dottor Augusto Oro, medico e chirurgo universitario, il progetto è stato affidato a due figure di primo piano dell'architettura e dell'ingegneria di quegli anni, che seguirono il filone del razionalismo italiano: infatti, alla sua realizzazione parteciparono Luigi Cosenza (nella parte strutturale) e Bernard Rudovsky (in quanto alla parte estetica-spaziale). La struttura risale al 1934-1937. La villa è situata su uno sperone a picco della collina digradante verso il largo Sermoneta; l'andamento planimetrico segue alquanto le curvature orografiche, ma, senza mai uscire fuori dal contesto organico del sito anzi, enfatizzando la collina. La volumetria è molto semplice e verte sulla composizione di solidi intersecati. Nell'interno gli ambienti 31 Pier Luigi Nervi Stadio Berta Firenze 1932, con Libera Eur concorso per il palazzo dell’acqua 1940 Hangar Orbetello 1935-40 Ignazio Gardella 1905-1999 villa Borletti 1935, dispensario antitubercolare di Alessandria 1938 Luigi Moretti sede GIL a Trastevere 1933-34 Luigi Moretti1906-73, accademia della scherma e palestra del duce 1936-40 Contemporaneamente, gli architetti si liberano dai dogmi del MIAR indirizzandosi verso ricerche personali. Giuseppe Vaccaro articola nel verde i padiglioni neoplastici della Facoltà di Ingegneria a Bologna (1931-34) e realizza nella colonia AGIP di Cesenatico (1937) una chiara espressione di architettura razionalista. A Cernobbio, Cesare Cattaneo (1912-43) scompone il volume della casa (1937-38), mentre Luigi Vietti nella villa "la Roccia" a Cannobio (1935-36) sul lago di Como fonde organicamente la struttura moderna con il sito determinando la pianta in funzione della vista. Terragni con Lingeri, Figini, Pollini e Mariani propongono nel 1935 una bellissima "scatola" astratta, di metallo e vetro per ampliare l'Accademia di Brera nell'Orto botanico, ma l'approvazione di Mussolini e le successive versioni in cemento armato non valsero a superare i contrasti all'accostamento fra antico e nuovo. Quest'ultimo poteva esprimersi in attrezzature periferiche rivolte alla gioventù, come l'asilo Sant'Elia a Como di Terragni (1935-37), dove un'esile struttura di cemento avanza a sostenere le tende delle aule proiettate all'aperto, nell'involucro di vetro del patio che secondo l'esposizione arretra e avanza rispetto all'orditura dei portali, o come la colonia elioterapica di Legnano dei BBPR (1938), dove la veranda è un corpo trasparente autonomo rispetto all'edificio. Perfino Del Debbio dà un saggio di razionalismo del tutto libero dal classicismo novecentesco nella colonia elioterapica della GIL alla Camilluccia (1933-34). Luigi Moretti (1907-73) gli succede nei lavori del Foro Mussolini. Dopo aver combinato in maniera originale la torre marmorea a corpi vetrati e a ossature a giorno nella casa della GIL a Trastevere (1933), nell'Accademia della Scherma al Foro Mussolini (1933-36), la ricerca di un classicismo moderno, a volte tesa e drammatica nel gruppo di Terragni, si acquieta in un equilibrio sereno e astratto di spazi nitidi, di luci indirette su marmi levigati. Invece, nel dispensario antitubercolare di Alessandria di Ignazio Gardella (1937), la griglia di mattoni è una citazione dell'architettura rurale sulla scia di Pagano immessa in un contesto razionalista fra i più coerenti e raffinati. Adalberto Libera, infine, fonde la tradizione mediterranea a quella moderna nel primo progetto della villa Malaparte a Capri (1938) - poi eseguito secondo precise indicazioni del committente (1940) - in una sintesi originalissima di surrealismo panico: dalla scalea di raccordo con il tetto-terrazza, al soggiorno sottostante le cui finestre inquadrano panorami sublimi. 24 E42 Il compromesso fra monumentalismo e razionalismo, fra Giuseppe Pagano e Marcello Piacentini, fallì nella progettazione degli edifici dell'Esposizione Universale del 1942, che avrebbe dovuto tenersi a Roma, dove si verificò una spaccatura fra milanesi e romani, fra giovani e accademici. La fase iniziata con la Città Universitaria era definitivamente conclusa. Alla serie dei concorsi banditi fra il 1937 e il 1938 parteciparono tutti i protagonisti del dibattito architettonico italiano dell'ultimo decennio, per dar forma a un'immagine della città fascista che portasse impresso il <<carattere del rinnovamento>>.29 Piacentini ebbe qui un ruolo analogo a quello che svolse nella città universitaria: dare unità di stile ai progetti delle architetture. Uno stile che dopo la proclamazione dell'impero e il concorso per il Palazzo littorio doveva essere sempre più monumentale: stile littorio e non stile razionale. La presidenza confidava che gli architetti italiani avrebbero saputo esprimere in masse e linee semplici e grandiose le caratteristiche essenziali dell'arte architettonica romana e italiana. Il classico e il monumentale si sarebbero uniti al moderno e al funzionale. Libera vinse il concorso di secondo grado e realizzò il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi con il pronao colonnato e la mole cubica - emula del Pantheon - coperta da una volta a crociera ribassata. L'uso esplicito di elementi classici lo portarono alla vittoria sul gruppo Cattaneo-LingeriTerragni, che disponevano sale e patii all'interno di un perimetro privo di volumi emergenti, ma ricco di trasparenze, e in facciata portavano a giorno il reticolo strutturale per ricercare nelle proporzioni di pianta e di alzato un classicismo implicito. Adalberto Libera dovette <<salvare il salvabile>> e cedere dopo una serie di cambiamenti alla versione definitiva del Palazzo dei congressi con il portico retto da colonne che non lo lasciò soddisfatto, anche se le colonne di granito erano portanti, simili a "pilotis", prive di capitello, ed il loro diametro era stato calcolato come si faceva per le strutture moderne. Egli non si opponeva al monumentalismo ma dissentiva dai mezzi per creare un'architettura imperiale. La volta metallica a crociera e la grande vetrata arretrata dietro le colonne disegnata come l'ala di un aereo, lo salvarono dalla capitolazione totale. Libera inoltre progettò il grande arco parabolico in cemento armato che doveva essere l'emblema della mostra, ma che rimase sulla carta per l'incalzare della guerra. ________________________________________________________ 29 E42. Utopia e scenario del regime, catalogo della mostra a cura di M. Calvesi, E. Guidoni e S. Lux, Venezia 1987; I. INSOLERA, L. DI MAJO, L'EUR e Roma dagli anni trenta al Duemila, Roma-Bari 1987; Piacentini E42 poi EUR 1940-50 Nelle tre piazze principali giovani esponenti razionalisti crearono spazi neoclassici originali e di grande suggestione: la piazza Imperiale (oggi G. Marconi) di Luigi Moretti con Francesco Fariello, Saverio Muratori e Ludovico Quaroni combinava l'impianto dei fori imperiali con i peristili ellenistici e con i motivi dei nuovi propilei della Città universitaria di Arnaldo Foschini; la piazza delle Forze Armate di Mario de Renzi, Gino Pollini e Luigi Figini, ricordava le piazze ellenistiche con i Musei dell'Arte Antica e Moderna, caratterizzati dai portici compressi fra muri continui e alte colonne; infine la <<porta imperiale>> con le proporzioni eleganti delle due esedre porticate mostrava la capacità di Muzio con Mario Paniconi e Giulio Pediconi a reinventare pilastri e colonne in stile Novecento, come nella sede della CARIPLO a Milano. Il saggio più impressionante di architettura monumentale sono i colonnati simmetrici del Museo della Civiltà Romana (1939-52) di Pietro Aschieri (con Domenico Bernardini, Cesare Pascoletti, Gino Peressutti) dove le proporzioni sono egizie piuttosto che romane. I BBPR (Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers) immaginarono il Palazzo della Civiltà Italiana racchiuso in un recinto di setti verticali; un doppio muro ricurvo a bugne conteneva le rampe di accesso all'interno del palazzo. Il progetto ottenne il secondo premio, mentre vinse e fu realizzato quello di Giovanni Guerrini, Ernesto B. La Padula e Mario Romano: il "colosseo quadrato", con la sua mole tetragona di marmo scavata dagli archi, immagine emblematica della volontà di richiamare l'antica Roma in maniera diretta e immediata con materiali, simmetrie, forme. Ai BBPR venne dato l'incarico del Palazzo delle Poste che realizzarono in forma di un parallelepipedo con l'ossatura di cemento armato a giorno e trasparente sulle due facce maggiori. Il gruppo di Albini, Gardella, Minoletti, Palanti e Romano progettò il Palazzo dell'Acqua e della Luce come una serie di pilastri sorgenti dall'acqua e racchiusi da quattro pareti sospese e isolate dalla solletta di copertura da una sottile asola perimetrale, da questa e dal peristilio centrale la luce pioveva per riflettersi sull'acqua all'interno. Questo progetto, come quello di Michelucci, furono scartati; al gruppo fu affidato il progetto del quartiere di case-albergo e a Michelucci il teatro all'aperto in riva al laghetto, che rimasto incompiuto, fu poi demolito. Analoga sorte seguì il Palazzo dell'Agricoltura e Foreste di Armando Brasini, senz'altro il più fedele a Roma antica non solo nella pianta, negli archi, nelle grandi strutture murarie, ma anche nella tecnologia autarchica, parca di cemento armato; quindi il più ruskinianamente "sincero", tanto da apparire negli anni '50 come una suggestiva rovina moderna, oggi distrutta. Il progetto cubico con otto piani di archi rivestiti di travertino per il Palazzo della Civiltà italiana di La Padula, Guerrini, Romano vinse sugli altri cinquantatre progetti con Michelucci e Pagano membri della giuria. Nella realizzazione, fu aggiunto il podio, ridotti i piani a sei ed elevata l'altezza in modo da farlo svettare su una collina a emblema di tutta l'esposizione. Ma Giò Ponti lo definì <<un fantasma architettonico>>, <<una evocazione>>, <<una scenografia di pietre e cemento>>, <<non un'architettura>> soprattutto se confrontato con quello dei congressi di Libera.30 Esso veniva meno al concetto di verità ruskiniana che stava alla base dell'architettura moderna, mimava un sistema costruttivo che non corrispondeva alla reale ossatura in cemento armato. Ojetti aveva vinto su Piacentini. In definitiva, il razionalismo risultò sconfitto nei principali concorsi nonostante gli incarichi di "consolazione" e ciò provocò la rottura fra Pagano - coautore del progetto urbanistico complessivo e degli edifici a torre del centro, non realizzati - e Piacentini. C’è però da notare che i progetti riprendevano idee e motivi già elaborati (l'asilo Sant'Elia si ripete nel Palazzo dei congressi di Terragni, la sala della Vittoria della Triennale (1936) nel Palazzo della Civiltà Italiana dei BBPR), mentre invece risultò nuova la rielaborazione di colonne e archi di Libera, Quaroni, Muzio, Guerrini, che fa dell'E42 un singolare paesaggio metafisico completato dal tempio a pianta centrale dei Santi Pietro e Paolo di Arnaldo Foschini (1937-50). ________________________________________ 30G. PONTI, Stile di Libera, <<Stile>>, 17, 1942, p. 17. BBPR palazzo delle poste E42 1940, Brasini istituto agrario forestale incompiuto Bbpr palazzo dei congressi EUR 1939 Aschieri opera ciechi 1930 oggi Luiss Roma e Museo civiltà romana EUR 1940-50, Brasini istituto forestale Mussolini EUR 1939-42 Muzio piazza a esedra Libera palazzo dei Congressi EUR 1940-50 Guerrini La Padula e…pal civ del lav, Libera pal congressi 1940-50. Vietti la città dello svago lunapark Libera litorale castel fusano 1934 Aprilia 1935, Malaparte Libera villa a Capri 25 Gli interventi di ridisegno urbano dei centri storici Fino dal 1925 Mussolini era stato suggestionato dai fori neo-romani di Brasini, sulla cui scia si poneva anche il piano del gruppo "La Burbera", ma nel frattempo già con il discorso dell'Ascensione del 1927 e poi con l'articolo Sfollare le città del 1928, egli si era accorto che lo sviluppo demografico della capitale era fuori controllo, per cui si rendeva plausibile l'ipotesi di un decentramento sulla direttrice di Ostia e dell'Agro Pontino, dove era in corso la bonifica integrale. Il piano del GUR era rispondente a questa ipotesi con il programma territoriale che investiva la zona di bonifica da Anzio a Fregene e quella dei colli da Velletri, a Frascati, a Tivoli, con la creazione di città-satelliti in forma di borgate rurali, dove insediare 350.000 nuovi abitanti (allora la città ne contava circa il doppio). D'altro canto, si prevedeva la creazione di un ampio centro direzionale ai margini della città storica con lo spostamento della stazione Termini. Alla carenza di proposte a scala urbana per realizzare le idee mussoliniane, in gran parte precedenti e condivise del resto anche da molti non fascisti, sopperì Piacentini. Mussolini stesso intervenne in quello che era ormai un conflitto palese fra architetti <<accademici>> insediando una commissione incaricata di preparare in sei mesi <<il piano per una metropoli di due milioni di abitanti>>. Questa commissione era presieduta dal governatore Boncompagni Ludovisi, Piacentini era il relatore, e, fra i membri, c'erano Brasini, Bazzani, Giovannoni, Del Bufalo, Calza Bini (presidenti rispettivamente dei Sindacati fascisti degli ingegneri e degli architetti), gli archeologi Muñoz e Paribeni, gli ingegneri Salatino e Palazzo, esperti di problemi del traffico. Esempio raro in Italia di équipe interdisciplinare, come in qualche modo l'AACAR aveva anticipato, essa dimostra e sancisce l'importanza degli archeologi in questi anni e il loro influsso sugli architetti.31 Il piano regolatore presentato a Mussolini il 28 ottobre 1930 con il grande forcipe - già deciso fin dal '24 - della via dei Colli (realizzata come via dell'Impero) e della via del Mare, divaricate dal Vittoriano e dal Campidoglio, voleva ripetere - secondo Piacentini - l'effetto del tridente di piazza del Popolo, introducendo, da un lato alla Roma antica, dall'altro alla Terza Roma estesa fino al mare32. Ormai le idee di Sitte erano lontane, non solo per Piacentini ma anche per Giovannoni, coinvolto suo malgrado, nel retorico, quanto inutile sventramento della Roma barocca del piano <<la Burbera>>. Questo piano regolatore fu approvato con un decreto del 1931, convertito in legge nel '32. Più che il decentramento, nelle due sole tavole di previsione (una di tutta la città, l'altra del centro) veniva contemplata la trasformazione di parti del centro storico, secondo intenzioni ereditate dalla fine dell'Ottocento, sostituendo ai criteri di igiene, viabilità e decoro, quelli dello scavo archeologico, dell'isolamento dei monumenti, della rappresentatività monumentale33. Merito del piano è però la distinzione fra "piano generale" e "piani particolareggiati" di cui quello giovannoniano per il quartiere del Rinascimento veniva recepito come esempio. Questo però veniva accantonato e rimandato insieme al piano "regionale" e alle infrastrutture necessarie al decentramento, mentre si privilegiavano piani particolareggiati più grandiosi, che ottennero un enorme consenso un Italia e all'estero. 34 _______________________________________________ 31Roberto Paribeni (1874-1956), soprintendente alle antichità di Roma e del Lazio, dal l928 al '33 è il successore di Corrado Ricci alla Direzione di antichità e belle arti del ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1924 fonda insieme a Giovannoni l'Istituto nazionale di archeologia con programmi non puramente teorici, ma operativi, che escludono deliberatamente gli storici dell'arte. 32M. PIACENTINI, Relazione-Programma a S.E. il capo del Governo sul progetto del Piano Regolatore di Roma , (28 ottobre 1930), Roma, 1930, pp. 8-9, 11 33 Il nuovo piano regolatore di Roma, <<Architettura e Arti decorative>> X, vol 1°, 1931, p. 697. Armando Brasini aveva inviato al governatore di Roma nel 1930 un suo piano che raccoglieva gli sventramenti archeologici e gli isolamenti di monumenti antichi e moderni divulgati nel lustro precedente, seppur soccombente rispetto a Piancentini, alcune idee vennero prese nel compromesso del 1931. 34 M. VENDITTELLI, Roma capitale, Roma comune. Sviluppo economico e crescita della città dall'Unità ad oggi, Roma 1985; Tradizione e innovazione nell'architettura di Roma capitale (1870-1930), a cura di G. Strappa Roma 1989. Piacentini Prg 1931 via dell’impero e augusteo I tracciati di via dell'Impero (1932) e della via del Mare venivano a concludere il processo avviato con la costruzione del Vittoriano, utilizzando fori, Campidoglio, teatro di Marcello per celebrare il regime. Brasini sistema l'Arce capitolina con il museo del Risorgimento (1928-31) fra il Vittoriano e l'abside dell'Aracoeli e con il palazzo dell'INAIL (1928-31) crea un fondale monumentale alla salita di Magnanapoli. I suoi disegni distruttivi per piazza Aracoeli si scontrano con l'estetica sittiana di Giovannoni, che non riesce a salvare la chiesa di Santa Rita dall'assalto degli archeologi, mentre Corrado Ricci cerca di ricostruire con pini e cipressi le quinte demolite che inquadravano le scalinate della basilica e del Campidoglio. Comunque, si apre via delle Botteghe Oscure e piazza Argentina viene squarciata dalla platea archeologica del foro di Pompeo.35 Le sistemazioni arboree romane degli anni venti e trenta, dagli sventramenti dei fori, ai nuovi parchi: dei Daini, Nemorense, Oppio, Villa Glori, vengono a mitigare l'architettura affrettata nel disegno e nell'esecuzione di queste trasformazioni. La sensibilità di Giacomo Boni nella scelta sul Palatino di essenze consone al clima e alla storia trovano impiego nella Passeggiata archeologica intesa come nuovo tipo di parco urbano. Nicodemo Severi ne cura la sistemazione vegetale che ottenne il primo premio in un concorso ufficiale di architettura dei giardini a Budapest nel 1910, Raffaele de Vico ne continua l'opera trasformando in maniera inconfondibilmente romana le tendenze paesaggistiche internazionali. Lo sostiene Corrado Ricci, vicesindaco e assessore ai parchi e giardini; un servizio del Governatorato di Roma che egli organizza in maniera efficiente, come già aveva fatto per la direzione delle Belle Arti, mettendone a capo il De Vico. Dal serbatoio sensualmente barocco al parco dei Daini a Villa Borghese, alle spirali tortili del secondo ingresso del giardino zoologico e al serbatoio su via Aldrovandi (dal 1917) con i muri concavi di rinforzo e la pianta stellare; dalla fontana delle anfore al Testaccio (1929-30), al parco Oppio, disegnato con esedre a pergolato che degradano a terrazza sul Colosseo (1929-30), egli inventa forme fantastiche rinnovando nello stesso tempo la tradizione del giardino romano. Dà inizio alla sistemazione di Monte Mario come parco della Vittoria (1925), disegna villa Glori come parco della Rimembranza (1925) sovrapponendo i percorsi a spirale e retti che attraversano l'uliveto e i boschi dei lecci e dei pini; al Celio adatta al pubblico la villa Celimontana (già Mattei) (1932), mentre nel parco Nemorense e nella villa Fiorelli (1932) sviluppa il tema del verde di quartiere36. L'idea di un asse monumentale-archeologico da piazza del Popolo al Laterano viene compiuta a tratti con questi interventi e con il corso del Rinascimento che __________________________________________________ 35V. VANNELLI, Isolamento del Campidoglio: preesistenze e trasformazioni degli anni Trenta, in CENTRO DI STUDI PER LA STORIA DELL'ARCHITETTURA, L'architettura delle trasformazioni urbane 1890-1940, Atti del XXIV Congresso di Storia dell'Architettura, Roma, 10-12 gennaio 1991, a cura di G.F. Spagnesi, Roma 1992, pp. 295-304 e G. VILLETTI, Le pendici dell'Aracoeli: consistenza e ruolo dell'antico, ivi, pp. 305-313. 36 M. DE VICO FALLANI, Raffaele de Vico e i giardini di Roma, Sansoni, Firenze 1985; ID., Storia dei giardini pubblici di Roma nell’Ottocento: dalle importanti sistemazioni del Pincio, del parco Celio e della Passeggiata archeologica, al Gianicolo e ai più modesti squares di Piazza Vittorio, Newton Compton, Roma 1992; ID, Il verde nei parchi archeologici. Riflessioni sulle esigenze e i requisiti di una tipologia ancora giovane, in <<Bollettino d’Arte>>, 95, gennaio-marzo 1996, pp. 130-131. Qui egli ricorda le sistemazioni paesaggistiche di Pietro Rosa degli Orti Farnesiani al Palatino, di Rodolfo Lanciani del giardino delle Terme di Caracalla, di Raffaele De Vico e Michele Busiri Vici di Ostia Antica. A Antonio Muñoz poi si deve la ricostruzione con colonne verdi di ligustri delle colonne del Tempio di Venere e Roma, dell’Appia Antica, e soprattutto la sistemazione paesaggistica delle pendici denudate del Campidoglio nel 1933 in modo da rievocare un’arce laziale Veduta del cantiere del primo lotto dall’alto della chiesa di S. Andrea della Valle Veduta delle demolizioni dell’isolato compreso tra via dei Sediari e vicolo del Melone Scorcio di via dei Sediari verso S. Andrea della Valle, con a sinistra le demolizioni dell’isolato corrispondente al lotto I Arnaldo Foschini corso del Rinascimento 1935-40 e curva esterna di piazza Navona 1938 ha per protagonista Arnaldo Foschini 37. Fra il 1935 e il '40, egli riduce al minimo la lezione ottocentesca del purismo romano nella sistemazione dell’isolato di piazza Navona verso via Zanardelli. Qui costruisce un edificio moderno, con il portico trabeato di ordine rustico intonato agli avanzi romani che ricopre, mentre la facciata sulla piazza conserva l'edilizia minore settecentesca. Dà poi un nuovo prospetto a San Giacomo degli Spagnoli con le grandi pareti piene, riunificate dal loggiato neoquattrocentesco dell'ultimo piano38. Particolare cura è nell'accostamento fra antico e il nuovo: composizioni a portale, orditure e finestre ortogonali si legano agli edifici manieristi (palazzo Madama, la Sapienza); la quinta delle facciate è considerata nel complesso del corso concepito come uno spazio unico, alla maniera rinascimentale, anche se un po' metafisica e astratta. La sua autografia si ritrova nella sistemazione dell'edificio INA davanti a S. Andrea della Valle, considerato in forma di testata d’ ingresso a tutta la strada. Qui nel 1940, Giovannoni e Piacentini criticarono la trabeazione semplificata della parte alta della facciata, volutamente piana per fare da contrappunto alla complessità barocca di quella della chiesa. Essi scelsero, nella serie di varianti presentate da Foschini, di trasformare questo motivo troppo moderno, simile ai propilei della Sapienza, in una trifora più consona allo stile rinascimentale, ma la modifica non fu attuata.39 Nel palazzo Cenci Bolognetti in via delle Botteghe Oscure (1937-38), prosecuzione ideale del corso del Rinascimento verso il Campidoglio, Foschini colloca sotto il cornicione il segno creativo più evidente, cioè il partito bramantesco di archi e lesene che inquadrano le finestre con timpano. Sulla direttrice di via della Scrofa e via di Ripetta, si collocano gli episodi di piazza Nicosia e dell'Augusteo, dove la sistemazione del mausoleo dà a Vittorio Ballio Morpurgo l'occasione di circondare la piazza con isolati moderni (1931-36-38) che banalizzano la formula piacentiniana del classicismo semplificato. La capacità di Piacentini di comporre gli edifici fra loro ha modo di esprimersi nel suo valore di immagine urbana nella sistemazione delle vie Barberini e Bissolati, che vengono a risolvere l'annoso problema del collegamento fra la città alta e la bassa prolungando l'asse direzionale del Tritone nella direzione della stazione con una curva ampia e uniforme, degna del Quadrant di John Nash a Londra , concludendosi nelle efficaci soluzioni delle testate d'angolo piacentiniane su largo Santa Susanna (1931-43). Un’architettura bassa e moderna, ma neutra, accompagna via Barberini facendo da basamento prima al palazzo barocco, poi al fianco di Santa Susanna. I tedeschi Kreis, Bonatz, Fahrekamp, il neoclassicismo scandinavo, ma anche l’inglese Lutyens, sono i suoi modelli per rinnovare la tradizione classica. Ma nella prova di via della Conciliazione (1936-50), affrontata con Attilio Spaccarelli (autore dell'isolamento di Castel Sant'Angelo nel 1933), i propilei su piazza Pio XII e gli obelischi-fanali, che tentano di restringerne la larghezza eccessiva (realizzati nel dopoguerra), non cancellano l'effetto dirompente dello sventramento dei Borghi; le citazioni berniniane nelle testate sono quasi un omaggio al progetto brasiniano di trent'anni prima, rimpianto polemicamente da Giovannoni nel 1945.40 ___________________________________________ 37Il percorso architettonico di Foschini concentra tutte le tendenze principali della scuola romana. Inizia con il villino Sebastiani a via Mercadante (1911) con Del Debbio e Tamburini in uno stile neo-quattrocentesco denso di espressioni romantiche nelle superfici in laterizio e nell'arco ribassato, passa poi al barocchetto intonacato di cui la caserma della Guardia di Finanza in viale XXI Aprile (1913-15) è forse l'opera prima. Poi passa al Novecento decorativo nel battistero di San Paolo fuori le mura (1926) e nel Supercinema (1927). La clininica odontoiatrica Eastman (1932-33) è sulla scia moderna nonostante l'impostazione monumentale. Del 1933-35 è la cassa del notariato in via Flaminia che interpreta l'eredità del '500 in modo moderno come pure la chiesa di San Pietro e Paolo all'Eur (1933-35). Nel mausoleo di Kemal-Ataturk ad Ankara interpreta in senso monumentale la tradizione della tenda. Con Mario Canino costruisce a Napoli la Banca d'Italia e i palazzi INA (1949), e poi a Roma fino alla sua morte il santuario del Divino Amore. 38Con il suo sviluppo continuo ricorda il loggiato del villino Sebastiani (1911) che però è trabeato. 39A. CURUNI, L'opera di Gustavo Giovannoni come coordinatore della sistemazione di corso Rinascimento, ivi, pp. 315-327 e in particolare 326-27; P. GREGORY, L'architettura di Arnaldo Foschini e il corso del Rinascimento, in Il quartiere e il corso del Rinascimento, a cura di G.F. Spagnesi, cit., pp. 175-225, in particolare pp. 205-07. La questione rientra nella polemica sugli archi, considerati come romani e italiani rispetto alla struttura trilitica proposta dal cemento armato. Arnaldo Foschini si dimostra interprete della tradizione antica romana nella della Cassa dei Notai in via Flaminia (1933-34).. 40 M.L. NERI, Il collegamento tra le due città: l'apertura di via della Conciliazione, in L'architettura della Basilica di San Pietro. Storia e costruzione, Atti del Convegno internazionale di studi, Roma, Castel S. Angelo, 7-10 novembre 1995, a cura di G.F. Spagnesi, Roma 1997, pp. 435-444; G.L. LERZA, Edifici piacentiniani in piazza Pio XII, ivi, pp. 445-452.. I fotomontaggi e gli studi prospettici fanno di questo intervento un caso tipico di “architettura della visione”, come l’avevano intesa i barocchi Bernini e Fontana. Nel 1937 l’ingegnere Luigi Kambo presentò un progetto di diradamento intensivo dei Borghi con alberi e giardini; per questo e per altri progetti alternativi cfr. V. CAZZATO, Roma Washington, San PietroCapitol: un progetto di Erich Gugler per la sistemazione di Borgo, in Scritti in onore di R. Bonelli, cit., pp. 853-858 Vittorio Ballio Morpurgo piazza Augusto imperatore Roma 1938 M. Piacentini e Spaccarelli, via della Conciliazione e piazza Pia1938-50 In queste trasformazioni volute dal fascismo, egli osserva infatti nel 1938, si è verificato un profondo mutamento dalle idee di architettura e di ambiente urbano dei primi decenni del secolo: <<...L'affermazione di un principio nuovo che tende a sostituirsi all'antico ambientismo e che riflette le moderne condizioni nel modo di vivere nelle città e di apprezzare le espressioni monumentali. Ed è da confidare che alla vastità della concezione urbanistica saranno adeguate le forme architettoniche che la rivestiranno e che dovranno risolvere l'arduo problema (che è poi quello che sovrasta a tutta l'architettura italiana) di essere espressione del nostro tempo pur riannodandosi alla nostra grande tradizione e armonizzando con l'ambiente cittadino.>>41 Nel progetto dell'E42 Giovannoni vede un mezzo per decongestionare il centro cittadino e promuoverne il restauro, la città non si sarebbe più estesa a macchia d'olio, ma verso il mare <<a coda di cometa>>, come una città lineare con accanto la "zona archeologica", <<fascia di incomparabile bellezza per la unione dei grandiosi resti antichi con la vegetazione>>, che con la sua forma a cuneo dall'Appia antica penetra fino al cuore della città, realizzando <<la disposizione dei parchi radiali voluta dai modernissimi urbanisti>>.42 A Milano, il completamento del lato sud di piazza del Duomo offre al regime l'occasione di erigere i suoi simboli nel cuore della città, accanto al Palazzo Reale, al Duomo visconteo e di fronte all'arco mengoniano della Galleria dedicato a Vittorio Emanuele II. Rimasto senza esito il concorso del 1935 per la torre littoria, architetti razionalisti e non (Griffini, Magistretti, Muzio, Portaluppi) creano nell'Arengario (1937-42) l'esempio estremo e compiuto dell'architettura del "Novecento". Dietro i suoi archi vuoti e astratti si apre la nuova piazza Diaz con il palazzo INA di Portaluppi (1933-36), che con la torre d'angolo e la serliana vuole riscattare la sua prosa commerciale. Piacentini, Rapisardi e Maggi sono meno retorici nella vicina sede della Banca Agricola Milanese (1932-34), disegnata per fasce orizzontali con attici a gradoni. Fra l'abside di San Fedele e San Babila si apre il corso Littorio (oggi Matteotti), dove Emilio Lancia usa ancora torre e serliane nell'edificio all'angolo con via Montenapoleone (1933-36). L'eloquenza del palazzo novecentesco della Borsa (1928-31) di Paolo Mezzanotte 43 risalta sui successivi interventi di Lancia in piazza degli Affari, mentre il Banco di Roma di Scoccimarro riesce a esprimere una "modernità imperiale". Rimasti senza esito i progetti espressionisti e "metropolitani" di Aldo Andreani (1934) e di Luciano Baldessari (1936-37) per San Babila, Emilio Lancia con Raffaele Merendi costruiscono il palazzo del Toro (1935-39), che con il fronte ricurvo, le ampie finestre organizzate in verticale, riesce a connotare modernamente il nuovo centro direzionale in contrasto con la massa inerte del grattacielo SNIA (1936). Giovanni Muzio abbandona il clinker e le riquadrature controriformiste nel palazzo rivestito di ceppo brembano del <<Popolo d'Italia>> in piazza Cavour (1938-42) impaginando le finestre in senso verticale; è forse un'adesione passeggera allo stile semplificato di cui Piacentini e Rapisardi danno un esempio rigoroso nell'enorme palazzo di Giustizia (1931-40) ottenendo ogni effetto dalle dimensioni "fuori scala". Solo a Giò Ponti (con Antonio Fornaroli ed Eugenio Soncini) è dato di comporre corpi razionalisti con effetti monumentali nella sede della società Montecatini in largo Donegani (1936-38), mentre Giuseppe Pagano e Giangiacomo Prevadal nella sede dell’ Università Bocconi (1937-41) contrappongono l'immagine di un campus laico e razionale alla Cattolica di Muzio. 44 A Torino nel concorso del 1931 per il primo tratto di via Roma, come abbiamo visto, gli architetti del MIAR non riescono a imporre la prima immagine urbana in Italia di gusto e impostazione moderna. L'ufficio tecnico comunale prende in mano l'operazione imponendo facciate in stile settecentesco in carattere con piazza Castello e piazza San Carlo45. Uniche eccezioni sono l'angolo di via Viotti e piazza castello con la torre Littoria di Armando Melis e dell'ingegnere Bernocco: in realtà uno snello grattacielo per appartamenti che con il mattone scuro a vista si accorda con la parte antica di palazzo Madama. Annibale Rigotti e Ilario Sormano iniziano la costruzione del tratto fra piazza Castello e San Carlo nel 1934 con prospetti tradizionali, poi si liberano nelle parti retrostanti con moderni volumi scalati dalle linee avvolgenti alla maniera di Van de Velde. Segue poi la galleria San Federico con il cinema Rex (poi Lux) in stile déco. _______________________________________________ 41G. GIOVANNONI, voce Roma, in Enciclopedia italiana, appendice I, Roma 1938, p. 976. 42Ibidem. 43 Cfr. E. ANTONINI, G. MEZZANOTTE, A.M. GALLI, P. CAFARO, A. BARBIANO DI BELGIOJOSO., La borsa di Milano dalle origini a palazzo Mezzanotte, Milano 1992. Va notato che Raffaello Giolli difese Paolo Mezzanotte dalle critiche di Persico con un articolo su <<Poligono> 44G. DE FINETTI, Milano, costruzione di una città, Milano 1969. 45Viene allargata la sede stradale dai 11,5 metri originali a 14 senza l'aggiunta degli ampi portici. Milano: Muzio, Portaluppi ,arengario, Merendi Lancia palazzo Toro piazza S. Babila, Muzio palazzo Bonaiti 1936 e palazzo stampa 1938 Paolo Mezzanotte, borsa 1932, Marcello Piacentini palazzo di Giustizia 1932-40, BBPR casa 56 Feltrinelli 1934 Armando Melis de Villa e Giovanni Bernocco, torre Littoria con struttura metallica 1933-34, via Roma Torino, Piacentini e Muzio 1938, Giuseppe Pagano padiglione dell’arte e della moda Né il concorso del 1933 per il secondo tratto ha seguito. Piacentini viene invitato dal Comune nel 1936 a redigere il piano esecutivo con la collaborazione di Giovanni Muzio. Esso ripropone la continuità dei portici e lega gli isolati secondo la tradizione cittadina, ma introduce il linguaggio del classicismo moderno nelle colonne binate e trabeate (nello stile di Muzio), nella raffinata semplicità dei prospetti, nell'idea compositiva d'insieme (forse piacentiniana) del largo monumentale con i propilei alle spalle delle chiese di Santa Cristina e di San Carlo, anticamera alla piazza seicentesca.46 I sei isolati secenteschi sono frazionati in sedici lotti e affidati a consorzi di varie società, imprese e architetti, fra le quali spicca la Fiat. Piacentini detta un meccanismo modulare - due piani a blocco più due arretrati - che nella realizzazione si dimostra efficace. Annibale Rigotti con Ottorino Aloisio costruiscono parzialmente l'isolato all'angolo con via dell'Arcivescovado, dimostrando soprattutto nell'atrio e nel cortile interno la loro personalità con le torri scalari di vetrocemento cilindriche; Mario Passanti costruisce una frazione della parte terminale verso piazza Carlo Felice; Vittorio Bonadè Bottino gli isolati Fiat fra via Gobetti e via Gramsci con il parallelepipedo arretrato dell'Hotel Principi di Piemonte. Rigotti ancora completa il settecentesco palazzo Bricherasio facendone risvoltare la facciata. Piacentini commenta: <<Si tratta di dare un ordine più logico e armonico in ampiezza, altezza, numero dei piani, volumi colore, materiale di rivestimento a interi gruppi di fabbricati, quali elementi della composizione dei quartieri delle città [...]. La ricostruzione del secondo tronco di via Roma, che si avvia rapidamente al suo compimento, rappresenta proprio quanto si può compiere oggi nell'intento assegnato: qui ogni edificio è stato costruito dopo la progettazione delle strade; e quindi l'ampiezza dei portici, l'altezza dei piani e delle cornici, il colore delle pietre di rivestimento, le proporzioni generali hanno potuto essere studiate nel complesso tutte insieme e poi ognuna per proprio conto nei particolari>> 46. <<Si è raggiunta così la collaborazione disciplinata e serena di diversi architetti, aventi tutti una visione unitaria e complessiva dell'intera strada, in modo che ciascuno ha portato il suo contributo alla composizione architettonica di una grande unità urbana.>>47 E c'è da aggiungere che tutto questo fu fatto in soli due anni. Il comune di Genova nel 1926 aveva annesso i comuni a Levante fino a Nervi e a Ponente fino a Voltri, nonché le valli del Polcevera e del Bisagno, ma la creazione della "grande Genova" non portò a una pianificazione regionale. Si procedette per progetti di piani particolareggiati di zona con sventramenti viabilistici dei quartieri centrali di Piccapietra e di San Vincenzo, oggetto di un concorso nel 193148. Contemporaneamente, Piacentini realizza piazza della Vittoria con l'arco dei Caduti al centro, passando dal neocinquecentismo del progetto del 1924, di cui abbiamo già scritto, allo stile "monumentale semplificato" che accentua il disegno rettangolare di impronta francese. L’uso dell’arco di trionfo, reinterpretato come a Bolzano, lo avvicinano agli inglesi Reginald Blomfield, autore del Menin Gate per ricordare i caduti a Ypres in Belgio (1922), ed Edwin L. Lutyens, architetto dell’arco ai caduti della Somme a Thiepval (Francia, 1924).49 La galleria Cristoforo Colombo collega piazza della Vittoria a piazza Dante che diventa l'epicentro delle trasformazioni urbane, sancite dal piano regolatore comunale del 1932.50 Il progetto di Luigi Carlo Daneri e L. Ferrari per un alto grattacielo a Piccapietra resta sulla carta, ma Robaldo Morozzo della Rocca realizza i due alti edifici di piazza Dante traducendo i modelli americani nello stile piacentiniano di Brescia e ricorrendo nel più alto alla bicromia orizzontale degli edifici medievali genovesi. Egli è il vincitore del concorso del 1934 per il complesso edilizio della foce del Bisagno, ma sono Daneri e Bagnasco a realizzare il loro progetto (fra il 1937 e il 1940) grazie all'appoggio determinante di Piacentini. Gli otto edifici lamellari razionalisti, alti più di quaranta metri, distanziati fra loro, ma uniti da una piastra continua di negozi e uffici sono il primo episodio urbano in Italia basato sui principi del CIAM di Atene.51 ____________________________________________ 46 P. MARCONI, Il concorso per il piano regolatore del secondo tratto di via Roma a Torino, <<Architettura>>, maggio 1934, La ricostruzione del secondo tratto di via Roma a Torino, ivi, giugno 1939. 47N.d.R., La ricostruzione del secondo tratto di via Roma a Torino, <<Architettura>>, XVIII, 1939, pp. 339- 373. 48Il primo premio andò a Viale e Zappa, il secondo a Daneri e Ferrari, il terzo a Griffini, Bottoni e Pucci. 49 Sir Reginald Blomfield, è autore di Modernismus (London 1934) ora tradotto in italiano Modernismus,, Firenze 1996, Cfr. inoltre G. PIGAFETTA, I. ABBONDANDOLO, Le teorie ..., cit., p. 6. 50Piazza Dante diventa la piazza del XX secolo contrapposta alla ottocentesca piazza De Ferrari; E. FUSELLI, Il piano regolatore di Genova, <<Architettura>>, dicembre 1932. 51P. NERVI, La nuova piazza al mare alla foce di Genova, ivi, luglio 1938. Anche Sartoris lo pubblica nella sua L'architecture nouvelle * Ordre et climat méditerranéens del 1948. Luigi Carlo Daneri si era laureato a Roma con Piacentini e nel suo progetto del 1929 per la cattedrale di La Spezia si ispira ai progetti cinquecenteschi per S. Pietro nell'impianto centrale dell'edificio. Piacentini, Luigi Carlo Daneri 1900-72, Genova foce 1936-39, 50 e grattacielo 1940, Vietti prg Genova 50 Luigi Vietti casa del fascio Rapallo 1938, albergo Splendido Rapallo 1938, poltrona Luigi Vietti è l'autore della nuova stazione marittima (1932) concepita come un'architettura navale, funzionale e organica al tempo stesso e poi della Casa dei Pescatori (1936) 52. La sua concezione urbanistica, sensibile al paesaggio, ma basata su grandi infrastrutture territoriali (nuova Aurelia a monte e metropolitana) si era espressa nel piano degli ex-comuni di Quarto, Quinto, Nervi e Sant'Ilario, costituenti il settore orientale della "grande Genova". Ma il progetto “Genova ‘50”, che aveva prevalso nel concorso nazionale del 1931, e che era firmato da __________________________________________________ 52Luigi Vietti (1903-1998) , nato a Novara, è allievo della scuola romana, nella sua casa a Roma egli stila il programma del MIAR con Minnucci, Ridolfi, Libera e Piccinato. La sua nomina a consulente della soprintendenza ai Monumenti di Genova per la progettazione dei piani regolatori della Riviera Ligure (dietro indicazione di Giovannoni) ne rivela subito le doti di sperimentatore dei modelli razionalisti internazionali nel rispetto dell'ambiente culturale e del paesaggio italiani. Ciò si mostra nel progetto "Genova 1950" per il Levante della città vincitore del concorso indetto nel 1930 con Daneri e il gruppo dei Liguri, ma senza esisiti esecutivi. Terrazzamenti di cellule abitative razionaliste, edifici a pettine aggettanti dalle strade "di cornice", ripetono ripologie della città storica, risolte però con i pattern discussi al CIAM di Bruxelles del 1930 con le relazioni di Gropius, Le Corbusier e Neutra. La tecnologia moderna dell'acciaio viene impiegata poi nel modulo di casa verticale "alla genovese" in struttura metallica alla V Triennale di Milano del 1933. La ricerca empirica ne fanno da un lato un precursore di Giancarlo de Carlo, quella tecnologica di Renzo Piano; è un compagno di strada di Ignazio Gardella con il quale firma il bel progetto della casa Littoria di Oleggio (1934), mai realizzato. Lo si può considerare con Daneri quindi il caposcuola genovese fin dalla Stazione marittima di Genova (1932) con la pensilina di ingresso e la scala elicoidale di calcestruzzo armato che animano il capannone progettato dai tecnici del Consorzio Autonomo del Porto di Genova. Sono linee fluenti e avvolgenti che richiamano la villa su roccia e sperone del 1929 (esposta alla IV Triennale di Monza nel 1930 e alla Seconda Esposizione di Architettura Razionale) e soprattutto il Teatro armonico esposto alla Prima Esposizione del 1928. Ma c'è un' altra "maniera" che forse ha contribuito a escludere Vietti dalle "storie ufficiali" dell'architettura moderna. Lo stile pittoresco delle architetture per il turismo. Il progetto di laurea presentato in alternativa alla razionalista villa sulla roccia, è un complesso alberghiero sul lago Maggiore che mima un borgo con case ad archi e balconi distribuite in maniera pittoresca ai lati di una rampa che scende a una piazzetta e a un porticciolo. I progetti vernacolari di Chiattone degli anni '20 si riallacciano attraverso la sua opera alle realizzazioni in Costa Smeralda degli anni '60. Questa maniera si intreccia con i progetti razionalisti: "la casa alla genovese"; la compartecipazione al concorso per il palazzo del Littorio a Roma (1934-37); il suggestivo progetto per il concorso dell'auditorium di Roma (1935) dalla cavea a "petalo di rosa" (o a cucchiaio) racchiusa in un guscio apribile di acciaio; l'allestimento della mostra del mare a Genova (1936). La villa Wanda a Stresa (1935-36) e la villa "la roccia" a Cannobio (1936) dimostrano la sua capacità a padroneggiare la composizione in linea o in curva di sottili piani tagliati a inquadrare le vedute del lago Maggiore). Nella villa "il Ronco" a Piedimonte di Gravellona Toce (No) (1930) le due maniere convivono nell'esterno del primo piano rivestito di legno e nel piano terreno aperto con ampi porticati verso l'esterno. La "casa dei pescatori" alla Foce (1936) con il portico ad archi ribassati, con gli speroni a scarpa, con le verande, contrasta volutamente con lo sviluppo longitudinale dei ballatoi che si accorda agli edifici moderni di Daneri. Esso è una chiara risposta alla mostra di Persico di architettura rurale alla Triennale dello stesso anno. I progetti non realizzati di alberghi a Portofino, a San Fruttuoso e a Santa Margherita Ligure (1937) sono nella direzione intrapresa da Cosenza e Rudofsky come da Giò Ponti, che li pubblica su <<Domus>>. Prospetti ondulati seguono l'andamento della costa, i volumi a coda di pianoforte si insinuano nella roccia e lasciano varchi a ponte e ad arco per non ostruire la cala, cellule minime razionaliste seguono nel verde le curve di livello distaccate dalle attezzature balneari. La casa del fascio a Rapallo (1937-38) riprende nella redazione finale il fronte concavo del progetto per il palazzo Littorio a Roma. Esso è rivestito da bugne a diamante di pietra di Finale e tagliato dall'incavo dell'ingresso contrastato dalla pensilina in aggetto. La villa per Ugo Nebbia a Mulinetti sulla Riviera (1939) ha la pianta di un pianoforte a coda con le pareti dipinte a losanghe di due toni di rosa e si dilata con le grandi verande a inquadrare la vista del promontorio di Camogli. Cfr. P.V. DELL' ARIA, Luigi Vietti. Progetti e realizzazioni degli anni trenta, introduzione di R. Secchi, Firenze 1996. Ferrari, Morozzo della Rocca, Viale, Vietti, Zappa con Daneri capogruppo, non ebbe seguito (se non in forma ridotta per la zona di Albaro). La organizzazione della maglia residenziale e il regolamento accurato, che definiva zone a diversa edificabilità, lo propongono come antecedente del piano dell'E42. Il piano forniva anche suggestive indicazioni di tipologie edilizie, come le cellule residenziali che scendono a gradoni dalle strade panoramiche a monte seguendo i tradizionali terrazzamenti. Così, sulla carta, resta il progetto Barbieri per il centro storico che vuole inserire nel mosaico del piano regolatore i concetti giovannoniani di diradamento e risanamento, allontanando il traffico di transito e agevolando quello di penetrazione53. Venezia trova nei suoi limiti fisici l'arma migliore per la sua salvaguardia. Le zone industriali insulari (San Giobbe, Arsenale e Sant'Elena, Giudecca, Marittima) iniziano un processo di lenta decadenza con la creazione del nuovo porto industriale a Marghera nel 1919. Nello stesso anno, inizia la costruzione del nuovo quartiere di abitazioni a Sant'Elena per rispondere alla pressione demografica della città e si conferma lo sviluppo del Lido con il potenziamento dell'areoporto, il palazzo del Cinema dell'ingegnere Luigi Quagliata (1937), dagli angoli smussati e vetrati, e la sede estiva del Casinò (1938) dell'ingegnere Eugenio Miozzi. Come direttore dell'Ufficio tecnico comunale egli è l'autore dei grandi lavori infrastrutturali che modernizzano la città, sotto la regia illuminata del "doge" Giuseppe Volpi; piuttosto che nel monumentalismo di repertorio piacentiniano del Casinò, egli seppe rispettare la storia e l'ambiente lagunare nel ponte autostradale (1930-33) a fianco di quello ferroviario ottocentesco, usando mattoni e pietra d'Istria per rivestire le travi di cemento armato. Nell'autorimessa comunale di piazzale Roma (1931-33), Miozzi si cimentò con l'architettura razionalista ottenendo un risultato notevole, per poi ritornare nella tradizione edificativa veneziana (da lui lungamente studiata) nel ponte degli Scalzi (1933-34) e in altri ponti minori costruiti sul rio Nuovo, il collegamento rapido d'acqua fra il terminal automobilistico e il canal Grande, scavato in quegli anni utilizzando nella parte terminale l'esistente rio di Ca' Foscari. Contigua a volta del Canal si pone la caserma dei Vigili del fuoco (1932-34) di Brenno del Giudice54, forse la più importante architettura novecentesca sorta nel centro storico. Essa raggiunge gli effetti migliori nelle grandiose cavane del rio Novo, nonostante la retorica delle cornici e degli archi massicci, vicini a certi dipinti coevi del cognato Guido Cadorin. Nel 1932, si tenne un concorso nazionale per il ponte dell'Accademia che vide l'esclusione del progetto razionalista di Agnoldomenico Pica e di Buccianti e la vittoria di quello tradizionale di Duilio Torres55. Esso rimase senza esito e così il concorso per la nuova stazione ferroviaria del 1934, che venne realizzata vent'anni dopo dai tecnici ferroviari. La realizzazione di Porto Marghera portò alla creazione della "Grande Venezia" nel 1926 con l'annessione dei comuni di Mestre, Favaro, Zelarino e Chirignago nella terraferma. L'anno successivo, venne redatto il piano urbanistico di Marghera in forma di città-giardino operaia per 30.000 abitanti, impostata su un ampio viale-parco centrale con ai lati strade che si innestano in piazze a raggera. Nel 1934, viene bandito un concorso per il piano di Mestre e Marghera e gli elaborati sono utilizzati dall'ufficio tecnico comunale per un piano di massima di risanamento e di ampliamento di Mestre che prevede il suo sviluppo verso la laguna con un affaccio a San Giuliano sistemato a darsena. Nel 1939, l' ingegnere Eugenio Miozzi redige un Progetto di massima per il piano di risanamento di Venezia insulare, utilizzando i Provvedimenti per la salvaguardia del carattere lagunare e monumentale di Venezia stabiliti nel 1937, nonché i dati del censimento del 1931 sulla situazione igienica e gli studi di Raffaele Vivanti. Per il restauro delle abitazioni degradate, si prevedeva il trasloco in terraferma di trentamila abitanti, preferibilmente impiegati nelle industrie di Marghera. Si prevedeva un piano di escavo e di allargamento dei canali soprattutto nel sestiere centrale di S. _________________________________________________________ 53P. CEVINI, Genova anni '30. da Labò a Daneri, Genova 1989. 54 Brenno Del Giudice (1888-1957) esordisce con la villa Papadopoli a Vittorio Veneto (1919) con le decorazioni e l'arredamento di Guido Cadorin. Piacentini ammira e pubblica in Architettura d'oggi la villa Rossi (1923-24) e villa del farmacista (1926) al Lido in stile neo settecentesco. Tipicamente novecentesca è la caserma dei pompieri a Venezia (1932-34) che raggiunge gli effetti migliori nelle grandiose cavane del rio Novo, nonostante la retorica delle cornici e degli archi massicci. Lo stadio “Mussolini” a Torino è del 1932. Del 1952 è la grande chiesa a cupola di San Giovanni Bosco al Tuscolano, un’immagine che riesce a dominare il grande quartiere intensivo romano. Restaura la locanda Cipriani a Torcello (1950) e progetta l'hotel alla Giudecca (1956) semplificando e alleggerendo gli archi dell’ “architettura all’italiana” degli anni ‘30 . 55 Duilio Torres (1884-1969), fratello minore di Giuseppe studiò all’accademia di Venezia e per un breve periodo a Vienna dove conobbe Richard Neutra con il quale intrattenne una corrispondenza. Esordì con il Solarium al Lido (1923), pubblicato da Piacentini come esempio di architettura moderna in Architettura d’oggi , e subito dopo costruì la fantastica casa di caccia di Valle Zappa (1924) nella Laguna di Venezia, un miraggio orientale-decò.. Passa poi allo stile novecento piacentiniano nel palazzo Pilsen e nella Casa torre (1930) che disegnano piazza Insurrezionea a Padova. Firmò alcuni piani regolatori, insegnando urbanistica alla scuola superiore di architettura di Venezia. Piuttosto che i progetti in stile per i concorsi dei ponti dell’Accademia e degli Scalzi, sono interessanti le sue architetture industriali, decisamente moderne, come l’aviorimessa di Linate (1936), il garage FIAT a piazzale Roma a Venezia, gli uffici Breda a Marghera (1942) e le centrali idroelettriche di Ponte Gardena (1938) e Agordo (1940). Eugenio Miozzi autorimessa comunale Venezia, Casino e palazzo del cinema al Lido1935, Del Giudice caserma dei Vigili del fuoco su rio nuovo 1934 Marco, il loro rivestimento con una struttura a volta rovescia per consolidare gli edifici intorno e impedire lo scivolamento del terreno, la costruzione di guide per le paratie necessarie alle periodiche manutenzioni e la costruzione di una rete fognaria con due impianti di sollevamento e cacciata a S. Marta e a Castello. Tutto ciò fu poi abbandonato per la guerra e mai più ripreso.56 A Bologna, dopo l'allargamento di via Rizzoli e via Orefici fra il 1915 e il 1920, con l’edificio d’angolo di Pontoni, si inglobarono le torri Artemisia e Riccadonna in un nuovo isolato neorinascimentale con una galleria coperta, in alternativa al pittoresco progetto Piacentini (1917) di piazza di Porta Ravegnana. Giulio Ulisse Arata risana il quartiere medievale fra le vie Foscherari, Marchesana e Piave in uno stile neomedievale, moderando appena il gusto di Rubbiani per merli e ogive (1925-28). Egli costruisce lo stadio con la torre Littoria (1925) fuori porta Saragozza; vicino è la nuova facoltà di Ingegneria di Giuseppe Vaccaro (1931-35) – la prima architettura bolognese moderna ispirata al neoplasticismo nordico - e un piccolo quartiere giardino di cooperativa. Sono iniziative modeste in attesa di un nuovo piano regolatore generale che viene anticipato dal concorso nazionale del 1936-37 per l'apertura di via Roma (oggi via Marconi) e la sistemazione di piazza Malpighi come fondale dell'asse della via Emilia simmetrico alle due torri di piazza Ravegnana. Il primo premio viene dato al gruppo Pini, Susini, Vitellozzi, Rabbi che prevede nella piazza una torre Littoria e palazzi porticati nello stile monumentale-moderno, mentre il terzo premio viene dato al gruppo Bertocchi, Bottoni, Giordani, Legnani, Pucci, Ramponi, che in parte ricostruisce il tessuto storico e in parte lo rinnova con grandi torri di abitazione isolate nel verde oltre la quinta est della via. I lavori iniziano con la costruzione del palazzo del Gas (1936) di Legnani e Petrucci, con la facciata concava, percorsa da finestre a nastro, ma solo nel dopoguerra la via viene edificata senza rispettare i risultati del concorso. Nel 1938, si esplica il concorso per il piano regolatore generale vinto dal gruppo guidato da Plinio Marconi, che prevede l'espansione in due grandi quartieri e ovest e a est, all'interno di una cintura camionale per il traffico pesante, mentre all'interno del centro storico sono previste demolizioni per esigenze igieniche, di traffico o per la valorizzazione dei monumenti. Il piano del gruppo Bottoni, Giordani, Legnani, Pucci, improntato ai princìpi della Carta di Atene, nella identificazione di nuclei autonomi separati da cunei di verde, ottiene il quarto premio57. 26 Esempi di tutela dei centri storici A Firenze, l'Ottocento si conclude con la distruzione del Mercato Vecchio e l'apertura della piazza della Repubblica attuale, a emulazione di quella del Duomo milanese. Nel nuovo secolo, gli ingegneri igienisti volgono la loro attenzione al quartiere popolare e artigianale di Santa Croce, interessato dal nuovo progetto della Biblioteca Nazionale di Cesare Bazzani che viene realizzato lentamente fra polemiche e varianti fra il 1911 e il 1931. Il grande edificio sul Lungarno detta lo spunto per un' ampia ricostruzione del quartiere retrostante, oltre il chiostro e la basilica, di cui sono autori il marchese Giulio Guicciardini e l’architetto Ugo Giusti. Esso viene elaborato nel 1921 secondo i principi del risanamento igienico, ma tiene conto delle necessità economiche e sociali della popolazione 58. Guicciardini stesso rielabora il progetto iniziale con l'architetto Raffaele Fagnoni nel 1928 secondo idee giovannoniane, cioè una maggiore attenzione agli aspetti storici, artitistici e monumentali, con allargamenti irregolari e piccoli slarghi a baionetta, piazzette con giardini e una piazza quadrata circondata da botteghe artigiane per qualificare la destinazione produttiva del quartiere. Ben più pesante è il piano del 1936 redatto dagli uffici comunali che prevede l'abbattimento degli isolati e la loro ricostruzione arretrata per allargare e regolarizzare la maglia stradale. Esso viene intrapreso e lasciato incompiuto allo scoppio della seconda guerra con gli squarci delle demolizioni inedificate. Essi saranno il campo per gli studi e i pochi progetti realizzati di Giovanni Michelucci dal dopoguerra in poi 59. _______________________________________________ 56Eugenio Miozzi 1889-1979. Inventario analitico dell'archivio, a cura di Valeria Farinati, Venezia 1997, p.39; numero monografico di <<Urbanistica>>, 52, gennaio 1968; P. SICA, Storia dell'urbanistica..., cit., pp. 454- 456. 57G. BERNABEI, G. GRESLERI, S. ZAGNONI, Bologna moderna, 1860-1980, Bologna 1984. 58 Vedi in generale G. STOCKEL, Risanamento e demolizioni nel tessuto delle città italiane negli anni trenta, in Saggi in onore di Renato Bonelli 58, cit., pp. 859-872. 59M. PALLA, Firenze nel regime fascista (1929-1934), Firenze 1978; C. CRESTI, Firenze 1896-1915, Firenze 1978. Firenze, lo sventramento del mercato vecchio, analisi delle patologie nel quartiere S. Croce, Fagnoni risanamento e diradamento del quartiere, 1928 Nel 1927, il podestà di Siena Fabio Bargagli Petrucci, conte e politico conservatore, cultore e storico d'arte, ingaggia la battaglia per la difesa dei quartieri Salicotto e Ovile dai progetti di sventramento e di rinnovamento del regime fascista, che vedeva nel sovraffollamento e nelle precarie condizioni igieniche le cause del manifestarsi di casi frequenti di tubercolosi e nell'ambiente storico un ostacolo al “futurismo” della "rivoluzione fascista". Perciò, invia un memoriale al Duce dove indica la necessità di restaurare i due quartieri creando case popolari e case-albergo in nuove aree contigue alle mura, una zona industriale accanto alla nuova stazione ferroviaria di Mazzoni, mentre i vecchi quartieri verranno dotati di nuovi servizi sociali ricavati nelle caserme inutilizzate. Mussolini lo approva e promette il suo appoggio. Dopo un braccio di ferro fra il Ministero dei Lavori Pubblici e quello della Pubblica Istruzione, viene approvata la legge speciale per Siena (21 giugno 1928, n. 1582), dove per la prima volta viene formulato il principio che un quartiere storico è un monumento e va di per sé tutelato mediante il vincolo previsto per i monumenti architettonici. É quindi il primo intervento di risanamento condotto sulle teorie giovannoniane. Viene steso un regolamento edilizio che obbliga al rispetto della planimetria, dei volumi esistenti e della composizione sociale della popolazione; al Comune spettano gli espropri per l'allargamento delle strade, le fognature e i servizi pubblici, ai privati i restauri interni. In questa occasione, il Consiglio Superiore per le Antichità e Belle Arti enuncia il principio che la città storica doveva essere tutta considerata come un monumento in ogni suo aspetto "maggiore" o "minore", e quindi essere tutelata con gli stessi criteri di un monumento singolo. Nei fatti, più che di un restauro si trattò di una parziale demolizione e ricostruzione secondo le indicazioni della Commissione del Consiglio Superiore che visita il cantiere nel 1929. Giovannoni consiglia di diradare e nelle ricostruzioni usare fasce di pietra e mattoni (secondo la tradizione), alternati però con cordoli di cemento armato, intonaci di cemento, finestre a profusione (per accontentare gli igienisti), ma in stile. ______________________ A Napoli nel 1926, Gustavo Giovannoni viene convocato dal senatore Michele Castelli, l’ alto Commissario, nominato l’anno precedente per attuare la legge speciale, approvata nell'agosto del 1925. Egli, dopo aver criticato il piano del 1914 dell'ingegnere Francesco De Simone (per altro mai approvato), insiste sul decentramento e sui collegamenti con metropolitana ferrovie e con trafori stradali per espandere la città oltre i suoi confini naturali preservando il centro storico. Il rafforzamento della viabilità sul lungomare si unisce a circonvallazioni concentriche, mentre l'arretramento della stazione ferroviaria centrale e la sua trasformazione in scalo di transito permettono l'espansione di un nuovo centro direzionale. Critica inoltre il Rettifilo e gli contrappone,.in via dimostrativa, un tracciato che con il suo andamento ad ampie curve avrebbe permesso un migliore collegamento con il porto e il diradamento del centro storico. A scala di piano particolareggiato propone alcune sistemazioni di parti monumentali: il retro dei palazzi di via Chiaia prospicienti piazza Plebiscito, l'area di Castel Capuano e la sistemazione di S. Caterina a Formello. Ma il risultato più notevole è ottenuto dall'isolamento di Castel Nuovo: dopo la demolizione dei baraccamenti militari affiorano le splendide scarpate sfaccettate dei bastioni. Solo nel 1939, si approva il nuovo piano regolatore coordinato da Luigi Piccinato che accoglie l'idea di arretrare la stazione per far posto al centro direzionale, ma condanna gli anelli di circonvallazione per uno schema aperto stellare da iniziare con l'insediamento della "città universitaria" allo Scudillo. Frattanto esso registra le iniziative già intraprese per parti isolate: il traforo della Vittoria (1927-29) sotto monte Échia, per collegare il porto a Chiaia e realizzare l'asse litoraneo, con l'architettura classica della testata ovest di Roberto Pane 60; la creazione della "city" fra piazza Municipio e via Roma con il risanamento del quartiere Carità attuato dall'ingegnere Sarnelli fra il 1928 e il 1941 con una pesante opera di demolizione; il nuovo quartiere di Fuorigrotta, sorto dopo lo scavo del tunnel a partire dal 1925 su iniziativa della società Edificatrice Laziale, disegnato a ventaglio dal piazzale della stazione e destinato alla edilizia popolare. La mostra dell'Oltremare (1937-40)- realizzata allo scadere della seconda guerra, doveva proiettare la città mediterranea verso le colonie - il programma e il piano di Marcello Canino riproducono su scala minore quelli dell'E42 romana, la sistemazione paesaggistica dei giardini, delle piazze intorno alla fontana dell'Esedra di Carlo Cocchia e Luigi Piccinato è superiore alla qualità dei singoli edifici, fra i quali spiccano il teatro Mediterraneo di Piccinato con il proscenio mobile e l'arena Flegrea di Giulio de Luca. Nel campo architettonico, la stazione di Mergellina (1926-28) è ancora un edificio eclettico e per tutti gli anni venti Arata (palazzo in piazza Amedeo), e Adolfo Avena (villino Frenna Scognamiglio) aggiornano i loro linguaggi passando dalla secessione al déco. A monte Échia, Lamont Joung costruisce per sé la villa Ebe (1920-22), in un anacronistico stile Tudor; essa è il frammento di un ennesimo sogno irrealizzato di un quartiere moderno in stile antico da costruirsi sulle rampe di Pizzofalcone. Viene invece realizzato l'isolato di Arnaldo Foschini in stile déco monumentale (1926-29) con il cinema Augusteo dalla struttura radiante di Pier Luigi Nervi. Nel campo dell'architettura razionale, il mercato del pesce di Luigi Cosenza (1929) può esserne considerato l'incunabolo, nonostante il suo impianto monumentale; la villa Oro a Posillipo è il manifesto dello stile moderno mediterraneo, ma, eccettuato il Palazzo delle Poste, il livello delle nuove architetture è banale. Cesare Bazzani costruisce la stazione marittima in uno stile novecentesco di circostanza (1934-36) e così fa Brasini nella sede della BNL, dove si piega a malincuore allo stile semplificato di Piacentini. Vicino al palazzo delle Poste nel quartiere Carità sorgono gli Uffici Finanziari (1933-36) e il palazzo della Provincia di Marcello Canino; la sede del Banco di Napoli di Marcello Piacentini in via Roma (1936-39); seguiranno nel dopoguerra alcune opere di Foschini (la sede della Banca d'Italia, il palazzo INA) eseguite con la collaborazione di Marcello Canino modificando i progetti originali del 1938. 61 La città vecchia di Bari, minacciata dal 1924 da piani che vogliono abbattere le mura per sostituirle con un lungomare ed estendere la griglia murattiana con abbattimenti indiscriminati, viene salvata nel 1930 dall'intervento del Consiglio Superiore dell'Antichità e Belle Arti che trova il consenso del ministro dei Lavori Pubblici Araldo di Crollalanza, principale esponente politico cittadino. L'architetto Concezio Petrucci - incaricato da una commissione composta da Giovannoni, Calza Bini e dal soprintendente Gino Chierici - propone nel 193O un piano di ispirazione giovannoniana che prevede un'arteria longitudinale che segue col suo andamento irregolare e spezzato lo schema urbanistico esistente, e che unisce la Cattedrale e San Nicola, mantenendo alle visuali l'effetto di imprevisto, all'ambiente l'atmosfera raccolta e pittoresca. Il diradamento edilizio si realizza con sistemazioni "spicciole", creando slarghi sulle vie e cortili fra le case, cercando di abbattere e di ricostruire il meno possibile, secondo un regolamento fissato dal progettista. I finanziamenti comunali sono affidati a una commissione interministeriale con potere di imposizione sui consorzi edilizi di proprietari di ogni isolato.62 _________________________________________________ 60Al concorso per la testata del 1927 concorse anche D'Aronco, ma la testata est verso via Chiatamone fu affidata a Gennaro Madonna. 61G. GIOVANNONI, Vecchie città ed edilizia nuova, UTET, Torino 1931, pp. 215-221; C. COCCHIA, L'edilizia a Napoli dal 1918 al 1959, Napoli 1961. 62G. GIOVANNONI, Vecchie città....cit. pp. 229-230 e 268-269; M. PEDICONI, Piano regolatore della città vecchia di Bari, <<Architettura>>, aprile 1932; G. GIOVANNONI, La sistemazione di Bari vecchia, in <<Bollettino d’arte>>, XXV (1932), pp. 465 e ss . Castel nuovo, bastione Beverello, sala dei baroni metà sec. XV, castel capuano fine XV. 68 Napoli, rione Carità,Giuseppe Vaccaro, le poste centrali 1931-36, Canino palazzo della provincia, casa del mutilato 69 Luigi Cosenza, mercato ittico 1930, Marcello Canino, intendenza di finanza 1937, C. Bazzani stazione marittima 1936, A. Foschini INA, Brasini, BNL • Piacentini Banco di Napoli 70 Nervi Foschini, teatro Augusteo 1926-29, Cocchia e Piccinato Mostra dell’Oltremare Napoli 1940 Concezio Petrucci e Gino Chierici Bari vecchia 1930 a confronto con il rettifilo di Napoli 1890 Giovannoni nel 1931 pubblica Vecchie città ed edilizia nuova che raccoglie e sistema le concezioni proprie e quelle della tradizione romantica europea contrapposta al razionalismo. Egli considera Bergamo <<il primo felicissimo esempio di un voluto trasferimento del centro in una sede organicamente preparata, in armonico accordo fra Edilizia ed Architettura>>63. Compiuta la città bassa piacentiniana, il Rotary Club nel 1926 indice un concorso nazionale per il risanamento della città alta e il Comune redige una planimetria delle case inabitabili e da risanare. Il concorso viene vinto dall'architetto Abramo Aresi insieme con gli ingegneri Luigi Dodi e Michele Invernizzi; il secondo premio va all'ingegnere Luigi Angelini, a pari merito con gli ingegneri Giuseppe Chitò e Giuseppe Pizzigoni, tutti di Bergamo, contemporaneamente l'architetto Ernesto Pirovano completa il palazzo Nuovo di Scamozzi utilizzandone i disegni originali e l'architetto Ciro Caversazzi restaura il palazzo della Ragione reintegrandone lo stile gotico con l'approvazione di Giovannoni e della Giunta Superiore per le Belle Arti. Questi interventi sui monumenti vengono a qualificare la piazza Vecchia come fulcro urbanistico della città alta collegato con il Duomo e la cappella Colleoni. Tutti i progetti infatti individuano edifici storici da rispettare e altri da demolire o risanare secondo quanto dettato da una commissione istituita dal Rotary e dal Comune, mentre è diverso il linguaggio architettonico adottato per le ricostruzioni e gli allargamenti stradali. Aresi, Dodi e Invernizzi usano portici novecenteschi deserti e silenziosi, dall'effetto metafisico, mentre Luigi Angelini valorizza l'architettura minore, l'arredo urbano di botteghe, fontane, bancarelle in piazzette intime vissute quotidianamente. Gli allargamenti stradali e sottoportici permettono alle automobili un circuito a "racchetta" dentro alla città alta facendovi entrare la vita moderna.64 Solo nel 1933, Luigi Angelini redige un piano, approvato nel 1935, di stampo giovannoniano nel diradamento interno degli isolati, nella cauta liberazione degli episodi monumentali, con calibrati allargamenti di strade e piazzette, con la creazione di percorsi pedonali.65 Il Comune finanzia la campagna di rilievo che porta ai progetti esecutivi, gli espropri e le trasformazioni rimborsando fino al 30% delle spese sostenute dai proprietari per le opere di loro competenza. Insieme al quartiere senese del Salicotto questo è l'unico esempio di intervento effettuato dopo un approfondito rilievo e una lettura capillare del tessuto urbano. Nel 1926, il Governo stanzia 270 milioni per la città di Palermo, di cui 105 destinati ai risanamenti e invita il Comune a presentare un piano generale con inquadrati i lavori in corso e quelli da iniziare. Solo nel 1939, questo piano vede la luce mentre fin dal 1927 iniziano le demolizioni dei quartieri dell'Albergheria e della Conceria. L'anno precedente si era aperta la nuova via Roma, la parallela sud a via Maqueda 66, e nel 1933-36 si procede alla sistemazione dell'imbocco della nuova strada di fronte alla stazione centrale su progetto di G. Capitò. Un altro intervento a scala di piano particolareggiato è lo spazio urbano intorno al teatro Massimo. Il concorso per il piano regolatore ha tre primi premi ex aequo che vanno ai gruppi Caracciolo, Filippone e Susini. Si prevedono nuovi sventramenti con una parallela nord a via Maqueda e la colmata del porto per realizzare il nuovo centro amministrativo. Dopo le gravi distruzioni belliche soprattutto nel fronte a mare, il comune nel 1947 presenta un nuovo piano dove si riprendono le proposte più probabili. I tagli e gli sventramenti creano lacerazioni nel tessuto storico e, come altrove, sono seguiti dalla costruzione dei nuovi edifici pubblici. Le Poste di Angiolo Mazzoni (1928-35) presentano un colossale colonnato dorico, dove l'attico è ridotto a trabeazione, _________________________________________________ 63G. GIOVANNONI, Vecchie città..., cit. p.235. Un altro piano portato ad esempio da Giovannoni è quello di Pisa di Petrucci, Tufaroli, Susini, Paniconi e Pediconi. 64A. NEZI, Sistemazioni urbane e questioni edilizie, I progetti per Bergamo, <<Emporium>>, 71, febbraio 1930, pp. 12-25. 65L. ANGELINI, Il piano di Risanamento di Bergamo alta, <<Urbanistica>>, marzo-aprile 1936, ID., Una sistemazione urbanistica a Bergamo, , ivi, marzo-aprile 1937 e ID., Il piano di Risanamento di Bergamo alta. Le opere realizzate e in corso, ivi, maggio-giugno 1943. 66 Già decisa come sventramento per ragioni di igiene e decoro nel 1914 e realizzata fra il 1922 e il 1936. 67 Caronia Roberti è anche autore del novecentesco palazzo Pantaleo (1931-32), cfr. AA. VV., Palermo: architettura fra le due guerre (1918-1939), Palermo 1987. Luigi Angelini Bergamo alta 1933 particolarmente interessante è la decorazione degli interni con sculture di vetro "pulegoso" di Napoleone Martinuzzi. Ancora l'ordine gigante si ripete nella sede del Banco di Sicilia (1932-38) di Salvatore Caronia Roberti 67 e nel palazzo di Giustizia di Ernesto e Gaetano Rapisardi, terminato solo nel 1957. Alla periferia sorgono i nuovi quartieri abitativi del Borgo Nuovo, dell'Olivuzza, Perez, il quartiere-giardino del Littorio tracciato da L. Epifanio e Giovan Battista Santangelo fra il 1927 e il 1932. Giulio Ulisse Arata nel 1942 pubblica presso Hoepli la sua opera in due volumi: Costruzioni e progetti e Ricostruzioni e restauri, omettendo però buona parte della sua produzione degli anni dieci, e muovendo attacchi contro il razionalismo, l'architettura di regime e gli sventramenti dei centri storici. Ugo Ojetti interviene sul <<Corriere della Sera>> in appoggio alle sue critiche ed elogiando le sue architetture in stile medievale a Castell'Arquato, Piacenza, Bologna e Ravenna. Gli risponde Giuseppe Pagano su <<Costruzioni-Casabella>> per notare che <<i due volumi del collega ...illustrano le sue produzioni e connotano i personali sconforti dei suoi romantici naufragi edilizi>>, e vi aggiunge la riproduzione di alcune illustrazioni accompagnate da commenti sarcastici quasi a comporre un altro "tavolo degli orrori". Pagano l'accusa inoltre di essere stato un seguace di Otto Wagner, ora <<indeciso fra il facile amore dell’antico e il difficile amore del moderno>> 68 La polemica viene poi sviluppata con toni meno drammatici nel numero successivo della rivista dedicato all'inserimento delle costruzioni moderne nelle città storiche a cura di Agnoldomenico Pica che però condanna esplicitamente la sistemazione della zona dantesca a Ravenna di Arata insieme al corso del Rinascimento a Roma di Foschini e ai restauri a Mantova di Andreani. 27 Le città nuove e l’edilizia popolare razionalista Le prime colline dell'Appennino romagnolo, da secoli disboscate e intensamente coltivate per sfamare una popolazione contadina sempre in crescita, sono argillose e gessose, presto aggredite dalle piogge e ridotte a calanchi spettrali. E' questa la terra di origine di Mussolini. Predappio nuova sorge discosta dalla vecchia, minacciata dalle frane, fra il1925 e il '37 con un'arteria diritta affiancata dagli edifici pubblici. Il semplice piano fu tracciato Florestano Di Fausto, sul modello della Bergamo bassa piacentiniana. Si iniziò con il restauro della casa natale e l'isolamento dei fabbricati circostanti villa Varano a Dovia (1925), poi iniziò la costruzione del nuovo paese con la parrocchiale di S. Antonio in stile rinascimento di Bazzani (1932) in fondo al corso Mussolini. Il mercato a semicerchio (1928 c.a) di Di Fausto è racchiuso da un portico ad archi ribassati con quadriportico centrale; esso riprende il mercato settecentesco di Bagnacavallo, ma anche le architetture dello stesso architetto a Rodi.69 Il suo stile vernacolare contrasta con la sede dell'Opera nazionale Balilla di Cesare Valle (1938). Significativamente, l'architettura più moderna è la casa del fascio degli ingegneri Elio Danesi e Adolfo Volpi, essa viene a coprire con la sua torre littoria la chiesa. 70 La legge sulla bonifica integrale del 1928, ideata da Arrigo Serpieri, ma battezzata "Mussolini", segna il passaggio dal concetto di prosciugamento a quello di colonizzazione, distribuzione e organizzazione infrastrutturale del suolo agricolo. Esso trova piena realizzazione nell'Agro pontino che l' Opera Nazionale Combattenti (ONC) solca con strade rettilinee su cui si attestano le unità coloniche. Littoria (oggi Latina) viene tracciata su uno schema a ragnatela, steso in gran fretta da Oriolo Frezzotti nel maggio 1932, e inaugurata nel dicembre dello stesso anno con i principali edifici pubblici costruiti su suo disegno; nel 1934 diviene capoluogo della nuova provincia e sempre Frezzotti ne disegna l'ampliamento fino a 50.000 abitanti ribadendo e rafforzando lo schema iniziale. La prassi di affidare a uno stesso architetto il piano e gli edifici ha per risultato un'immagine unitaria che ribadisce il ruolo integrale del progettista. All'inaugurazione, Mussolini annuncia la fondazione di due nuovi centri, Sabaudia e Pontinia. Il concorso bandito nel 1932 per la prima è palestra per i giovani architetti urbanisti. Il gruppo Cancellotti, Montuori, Piccinato e Scalpelli lo vince con un piano impostato su un "cardo" e un "decumano" dove le piazze segnano e distinguono i fulcri politico e religioso in una articolata sequenza spaziale definita da edifici a due piani e aperta verso il lago di Paola e la vista del Circeo. Dal centro, si irradiano quartieri razionali con abitazioni a schiera o isolate, dotate di piccoli spazi verdi privati dove si colloca una completa gamma di servizi destinata al territorio di bonifica. Vi è però un salto qualitativo fra il disegno urbanistico, informato ai più avanzati modelli europei, e l'architettura degli edifici pubblici che non va oltre la ripetizione di schemi novecenteschi semplificati. Il destino di Sabaudia è poi piuttosto turistico che agricolo. Nel 1933, viene istituito il Parco nazionale del Circeo, ma nel 1940 si traccia la strada litoranea con un piano paesistico di ville sparse, destinate a un turismo di élite. ________________________________ 68G. PAGANO, E noi zitti ?, in "Costruzioni-Casabella", 181, gennaio 1942, pp. 30-32, ora in ID, Architettura e città durante il fascismo, a cura di C. De Seta, Roma-Bari 1976, pp. 158-163. 69G. MIANO, Florestano Di Fausto. From Rhodes to Libya, in "Enviromental Design", Amate sponde...presence of Italy in the Architecture of the Islamic Mediterranean, VIII, 9/10, 1990 (ma 1992), pp. 56- 67; ID., ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 40, Roma 1991, pp. 1-5. 70D. GHIRARDO, Building New Communities. New Deal America and Fascist Italy, Princeton 1989, pp. 28-39 Predappio FC 1926-1940 prg e piazza del mercato Florestano di Fausto, la casa del fascio degli ingegneri Elio Danesi e Adolfo Volpi, S. Antonio Cesare Bazzani, 76 Grau Luigi Piccinato 1899-1983 Sabaudia e Littoria oggi Latina 1933 Fra 1934 e il 1936, Le Corbusier traccia alcuni schizzi critici di Sabaudia e propositivi per Pontinia e per la periferia nord di Roma, disseminando nella campagna grattacieli cartesiani isolati, nonché per la "città verde" di Addis Abeba, dove applica il modello de la ville radieuse, tutti caduti nel disinteresse delle autorità fasciste. Pontinia viene disegnata dall'ufficio tecnico del ONC con la consulenza di Frezzotti (1934), secondo assi ruotati di 45 gradi rispetto al reticolo della colonizzazione. Nel concorso per la città di Aprilia del 1935, Adalberto Libera ribaltò il rapporto architettura- urbanistica a favore dell'architettura, dando alla serie degli edifici pubblici un' immagine forte e semplificando al minimo il disegno dei quartieri abitativi. Il gruppo Piccinato ripropose le soluzioni semplificate di Sabaudia, mentre Fariello, Muratori, Quaroni e Tedeschi proposero un rigoroso schema di siedlungen parallele ai lati di un asse verde, quasi a emulare l'essenzialità di Mies van der Rohe e di Hilberseimer. Vinsero invece Petrucci, Tufaroli, Paolini e Silenzi, nonostante una breve polemica di Piacentini, ripetendo lo schema concentrico di Latina in dimensioni ridotte e ritornando al pittoresco nella composizione degli edifici. Sempre loro sono gli autori di Pomezia (1938-39) dove sperimentano lo schema allungato a siedlung con l'innesto di un segmento secondario in corrispondenza del centro. La propaganda presenta queste città, come opera del regime che rapidamente edifica la nuova nazione rurale e decentrata. Esse però più che città vere e proprie sono solo i nuclei dell'appoderamento che segue la centuriazione romana della bonifica, è qui che gli assegnatari lavorano, vivono, producono Le case coloniche dell'Agro Pontino, sono del tipo a due piani con tetto a due falde e stalla retrostante, portico a lato della facciata con archi e veranda di ingresso. Al piano terra c'è la cucina e una stanza, al piano superiore cinque stanze, nessun accenno al bagno; esiste una variante mediterranea con tetto piano71. Guidonia invece è destinata a ospitare il personale militare e civile dell'aeroporto di Monte Celio e del Centro sperimentale areonautico, ma rientra sempre nell'ottica di decentramento della capitale e di colonizzazione del suo territorio. La città viene inaugurata nel 1935 su progetto di Alberto Calza Bini (con la collaborazione di Giorgio Calza Bini, Gino Cancellotti e Giuseppe Nicolosi) con un piano che ricalca le città pontine, accentuando però il carattere urbano nell'altezza degli edifici e nella scelta di un aspetto architettonico moderno adatto al ruolo di "città dell'aria". Essa presenta un asse cruciforme - molto simile a quello dell'E42 con il ramo principale che conduce alla chiesa in cima a una collinetta, la piazza principale sulla sinistra è un significativo spazio razionalista con edifici su pilotis, come la casa del fascio. Nella bassa friulana, Giuseppe De Min progetta il nuovo insediamento agricolo-industriale di Torviscosa (1938-41) con i toni del Novecento milanese. Se la piazza ha un’atmosfera metafisica, il viale "Giovinezza"-oggi "Villa"- con pergolati e anfore che portano alla fontana e alle piscine, è un saggio interessante di arredo pubblico. Il modernismo di Tony Garnier ispira il teatro ottagonale; lo stabilimento è dominato dalle torri per l'estrazione del bisolfito di calcio (1940) in forma di monumentali fasci littori gemelli.72 Le case degli operai si dispongono a schiera su due piani con verande rientranti d'ingresso, segnate da grandi archi, i tetti a falde variate accennano al motivo pittoresco degli abbaini veneziani, grandi archi su due piani all'accesso alle corti lagunari, i pini italici al centro fanno parte della retorica romana. _____________________________________ 71In L'Agro Pontino , Roma 1938, pp. 49-51. 72F.R. (REGGIORI), Una nuova città industriale, Torre di Zuino, <<Rassegna di Architettura>> 1938, 12; M. BORTOLOTTI, Torviscosa. Nascita di una città, Udine 1988. calza bini cancellotti montuori, guidonia 1937-38 Giuseppe De Min Torviscosa 1937-38 Un largo asse concluso in una piazza sopraelevata è il piano del nuovo centro di Arsia in Istria (1936-37) progettato da Gustavo Pulitzer Finali in una organica composizione di elementi moderni - i netti volumi delle case bianche con il tetto piano disposte a Siedlungen, la chiesa a struttura parabolica - e di motivi tradizionali istriani - i portici ribassati intorno alla piazzetta -. Francesco Fariello lo pubblica sulla rivista <<Architettura>> insieme con "la colonia industriale" per la produzione di cellulosa di Alvar Aalto a Sunila (1936-39) in Finlandia e ai calzaturifici cecoslovacchi Bat'a, a sottolineare la tendenza post-razionalista e il raffinato ambientamento nel contesto naturale comune ai tre insediamenti.73 La scenografia propagandista lascia il posto a forme rurali tradizionali nelle casette dei minatori di Carbonia (1938) di Ignazio Guidi, Eugenio Montuori e Cesare Valle che, disposte in ampie curve, sembrano accogliere l'appello di Pagano alla Triennale del '36 e aprire il neorealismo.74 Pagano con Prevadal è poi l'autore del piano regolatore di Portoscuso (1940), sempre in Sardegna, tracciato con rigore razionalista, e non realizzato. Un severo studio della tipologia connota il progetto di Saverio Muratori per Cortoghiana (1940), quasi ad affermare la rifondazione della disciplina architettoniche su basi autonome, oltre gli stili delle avanguardie. Mario de Renzi progetta una borgata alla Magliana (1939) in forme razionaliste, ma seguendo i modelli dei centri agrari della campagna romana, in bilico fra l'astrazione teorica-intellettuale di ordine classico dei volumi a parallelepipedo e il <<bisogno di sentire più vicino la natura>> denotato dal rivestimento in tufo dei piani terra.75 Queste città nuove sono esempi eloquenti dell'illusione di Mussolini e degli urbanisti di eliminare l'arbitrio nella vita delle città e di determinarne il futuro.Adriano Olivetti andò ben oltre affidando a Figini, Pollini, Banfi, Peressutti, Rogers, Belgiojoso e Bottoni il piano della Valle d’ Aosta. nel 193676. Nel piano della Valle d'Aosta e del Canavese, i giovani razionalisti di <<Quadrante>> trovarono l'occasione di dimostrare che l'urbanistica era una "scienza" capace di riequilibrare il territorio. Dopo il saggio di "urbanistica corporativa" nel piano di Pavia dei BBPR (1932-33), l'esperienza avviata da Olivetti a Ivrea (dal 1934 in poi) di comporre in una nuova economia l'umano con il sociale si cimentava a scala subregionale. Pianificare significava riequilibrare città e campagna, le aree industrializzate ricche e quelle agricole povere, serbatoio di manodopera, la pianura sviluppata e la montagna depressa mediante l'industria, il turismo, i trasporti. Proprio per la vastità di questi propositi esso era un'idea sociale e formale priva di ogni strumento esecutivo. Così, i cinque progetti che lo accompagnavano: le sistemazioni turistiche di Courmayeur, Breuil, Pila, i piani regolatori di Aosta e Ivrea erano immagini razionaliste che rifiutavano mimetismi organici con la natura, la storia, la cultura locale. I BBPR proponevano di abbattere e ricostruire tutto il capoluogo isolando i monumenti fra lame di abitazioni nuove disposte sull'impianto romano, quasi una provocazione contro il metodo giovannoniano. Solo gli ampliamenti della Olivetti di Figini e Pollini - quello del 1934 ispirato al Bauhaus di Gropius, quello del 1939-40 con il fronte vetrato lungo quattrocento metri, l'asilo nido (1939-41) nitido e affettuoso, il quartiere di abitazioni per i dipendenti (1940) - realizzano nel microcosmo di Ivrea un frammento del grande piano. A Milano, Enrico A. Griffini rinnova la tipologia della casa popolare su basi razionaliste nel "Bissoncello" a Rozzano (1929-30) sperimentando parzialmente i modelli e gli standard internazionali del suo fortunato manuale, seguito da Giovanni Broglio, capufficio dell'ICP77. Dopo aver abbandonato la tipologia dei quartieri-giardino cooperativi dei primi anni venti, l'ex-ingegnere dell'Umanitaria si uniforma al modello razionalista di Griffini nel quartiere "Cesare Battisti" (1933- 34) dagli edifici a quattro e cinque piani, organizzati a "lama" secondo gli schemi del CIAM. Oramai la continuità stradale è completamente infranta da questi schemi moderni che seguono la migliore esposizione solare -------------------------------------------------------------------76 Nel 1937, Pagano, Piacentini, Piccinato, Rossi e Vietti iniziano la progettazione del piano dell'E42 e a Roma si tiene il I Congresso nazionale di urbanistica. 77 G. BROGLIO, L’Istituto delle case popolari in Milano, Milano 1929. 73F. FARIELLO, Urbanistica. Le colonie industriali, in <<Architettura>>, XIX, 1939-40, pp. 299-323. 74A Guidi e a Valle si deve il piano regolatore, mentre Montuori progetta l'albergo, il dopolavoro, le case dei dirigenti intorno al centro della piazza principale. Cfr. Carbonia, la nuova città della Sardegna, in <<Architettura>> XIX, 1939-40, pp. 435-432. 75L. QUARONI, La Magliana nuova, in <<Architettura>>, XIX, 1939-40, pp. 187-197 dove presagisce un’architettura e un’urbanistica più vicina alla cultura e alle abitudini degli abitanti. Gustavo Pulizer Finali, Arsia Croazia 1936-37, Pagano e Prevedal porto Scuso CI, 194082 Luigi Figini 1903-84 e Gino Pollini 1903-91 officine olivetti Ivrea 1934. Un Bauhaus italiano dovuto al mecenatismo di Adriano Olivetti. Figini e Pollini 1934 Figini e Pollini, case e asilo olivetti, Ivrea 1939-41 BBPR Prg valle d’Aosta Albini, Gardella, Bottoni,piano Milano verde 1938 Soprattutto i quartieri di Franco Albini, Renato Camus e Giancarlo Palanti a San Siro (1937-42) per l'Istituto Autonomo Fascista segnarono il rinnovamento del sistema tradizionale "a corti" nella tipologia degli edifici a lama, nella copertura piana, nella composizione dei prospetti bianchi, seguendo gli schemi del CIAM del '30. Ma sulla carta rimasero i progetti più radicali dell'urbanistica razionalista milanese di quegli anni: dal quartiere operaio di Rebbio (Como) di Terragni e Sartoris (1938); al quartiere "Milano verde" di Albini, Gardella, Minoletti, Pagano, Prevadal, Romano, previsto nella zona della Fiera (1938) ricalcando le tipologie della Carta di Atene (1933); alla "città orizzontale" infine di Pagano, Diotallevi, Marescotti (1940) che sperimentava nel quartiere di corso Garibaldi un nuovo modo di comporre le cellule abitative in una trama continua. Questi progetti erano stati annunciati dalla sezione urbanistica della VI Triennale del '36, che aveva per motto <<il trasporto dei problemi dell'architettura dal piano eclettico o puramente estetico-decorativo...al piano di espressione sociale della nostra epoca>> fatto dall'urbanistica corporativa.78 Partendo dalla cellula abitativa, aggregata per fabbricati, quartieri e aggregati urbani, la “città orizzontale” e “Milano verde” erano esercitazioni fatte per dimostrare l'estetica impersonale e fredda della “Nuova oggettività” - Neue Sachlichkeit - dell'organizzazione razionale delle abitazioni intese come machines à habiter. 28Pianificazione regionale e urbanistica coloniale Al I Congresso di Urbanistica a Roma nel 1937, il dibattito si svolse intorno ai temi dei vantaggi economici offerti dal piano regolatore, all'urbanistica coloniale e all'urbanistica rurale, sulle quali maggiore era l'impegno del regime e dove era più facile sperimentare i modelli internazionali, liberi da condizionamenti storici. La razionalizzazione doveva risolvere i problemi dell'urbanesimo, ma in realtà i piani risultavano sovradimensionati rispetto alle dimensioni delle città per la pressione della proprietà fondiaria, essi si limitavano poi al solo territorio comunale e non prevedevano il destino funzionale della città in rapporto alle altre. Il piano quindi doveva essere realistico, articolato in fasi distinte - "piano di massima" e "piani particolareggiati" - inquadrato in "piani regionali" di particolare importanza per l'urbanistica rurale e coloniale. Si raccomandava la creazione di un demanio di aree fabbricabili e il calcolo dell'incremento di valore dei terreni sulla base di quello di mercato al momento della trasformazione in area fabbricabile. Sono questi i principi che stanno alla base della legge urbanistica del 1942. Il piano per l'E'42 doveva celebrare il ventennio fascista, dimostrare il ruolo di Roma come capitale moderna, realizzare finalmente il suo sviluppo verso il mare ricollegandosi alla colonizzazione pontina, essere di esempio nazionale e internazionale. Vittorio Cini governava l'impresa dal punto di vista amministrativo e finanziario. Probabilmente, come osservano Mariani ed Etlin, si tenne conto, de La Ville Internationale di Andersen e Hébrard sotto molteplici aspetti: il suo scopo di Centro mondiale della Comunicazione si articolava nel “Centro scientifico”, nel “Centro dell'arte” e nel “Centro della cultura fisica”, così come l' E'42 si sarebbe articolata nella “Città italiana”, nella “Città delle nazioni”, nella “Città dell'arte”, nella “Città della scienza”, nella “Città dell'economia corporativa”, nella “Città dell'Africa italiana” e nella “Città dello svago”. La scelta di collocarla verso il mare precorre quella dell' E'42 alle Tre Fontane, a metà strada fra Roma e il Lido di Ostia. Il suo disegno "Beaux-Arts" prevedeva un grande asse centrale concluso in una piazza a croce con al centro una torre-faro, così l'esposizione romana dispone sulla spina centrale una serie di piazze.79 Del resto la composizione "Beaux-Arts" sta alla base della Ville Contemporaine di Le Corbusier. Il progetto del 1937 risolve nel compromesso fra modernità razionalista e simmetria monumentale il tema del grande asse viario che parte da piazza Venezia e attraversa i "parchi dell'antichità" per aprirsi "a coda di cometa" e riunirsi poi oltre il lago per riprendere la via delle bonifiche e del mare fino ad Ostia antica. Esso è l'unico caso in Italia dove trovano applicazione i principi dell'urbanistica regionale, particolarmente le ipotesi di pianificazione lineare di Luigi Piccinato e Virgilio Testa del 1932-33, mentre Luigi Vietti addolcisce schemi e forme "razionaliste" con la sistemazione "organica" del sito. _________________________________________________ 79ETLIN, Modernism..., cit., pp. 501-12. 78P. BOTTONI, a cura di, Urbanistica, <<Quaderni della Triennale>>, Milano 1937, pp. 12-13. Muratori, Fariello, Quaroni piazza latina. Michelucci pal acqua e luce Ma nel 1938, Pagano rompe il compromesso e Piacentini stende il progetto definitivo accentuando le simmetrie. I suoi modelli si basano sulla griglia delle città romane, le piazze alle agorà di Selinunte, Mileto e Priene, ai fori di Roma e Ostia antica. Regolarizzando il disegno del lago, come in un immenso giardino all'italiana, guarda a Villa d'Este a Tivoli e a Villa Aldobrandini a Frascati. E, forse, ancora alla Metropoli Mondiale di Andersen e Hébrard con l'obelisco dedicato a Marconi e alla Radio - fondamentale mezzo di comunicazione -, con la piazza della Porta Imperiale a esedre, come l'ingresso alla piazza principale di Hébrard.80 Con il progetto della “città dei divertimenti” (non realizzato) Vietti cerca di ritagliarsi un tema secondario, al riparo dalla invadenza accademica e ufficiale; il suo destino ludico ed effimero gli permette di liberare la sua ironia, la fantasia, combinando manufatti e paesaggio artificiale. Esso precorre i parchi tematici odierni, ma anche il porto Vecchio di Genova di Piano. Passata la guerra e il fascismo, Virgilio Testa, commissario dell'ente, passa direttamente alla seconda fase, con la costruzione della cittàsatellite a partire dal 1951 mediante la partecipazione di capitale pubblico e privato. La metropolitana permette il decentramento delle sedi di uffici pubblici e privati, mentre la sistemazione del verde, affidata nel '37 agli architetti paesaggisti Maria Teresa Parpagliolo, Guido Roda e Alfio Susini, e poi curata nella realizzazione da Raffaele De Vico, resta un pregio costante81. Qui si realizza in parte l'idea del botanico Bargagli Petrucci di rappresentarvi una sintesi della flora italiana. In diretta successione al piano dell'E42 è quello per il centro monumentale di Addis Abeba, capitale dell'Africa Orientale Italiana, del 1938. All'indomani della conquista dell'Eritrea, Piacentini si offre a Mussolini per redigere un <<piano regolatore generale>> di tutti i territori dell'impero. Esso avrebbe operato in un contesto <<libero da condizionamenti>> e totalmente estraneo alla tradizione artistica occidentale fornendo un sistema da controllare negli aspetti <<generali>> e particolari, cioè <<architettonici>>. La nostra tecnologia- scrive l'architetto - è oggi arrivata a concepire piani regolatori, estesi al territorio di regioni e di stati come maturo e necessario sviluppo della complessa e incessante evoluzione della civiltà e della tecnica moderne.82 Sul piano architettonico, aggiunge dieci giorni dopo, non bisogna ripetere gli errori della’ architettura coloniale eclettica (a Tripoli dominata da Bazzani e poi ______________________________________ 80Ivi, pp. 506-08. Analogie si trovano anche nella "Città dello sport" che chiude la composizione in entrambi i casi con bacini lacustri e fontane. Le statue colossali che si congiungono ad arco sono un precedente dell'arco monumentale di Libera che avrebbe dovuto concludere l'E'42. 81Maria Teresa Parpagliolo, figlia di Luigi, studia archeologia e disegno. Si reca in Inghilterra dove collabora in studi paesaggisti, si reca nel 1936 in Germania per visitare le realizzazioni e conoscere i principali paesaggisti tedeschi. Nel 1937 è assunta dall'Ente E42 come vice-capo e dal 1938 al 1942 è capo dell'Ufficio Progetti dei Parchi e dei Giardini con a fianco R. Nicolai e l'architetto Michele Busiri Vici. Nel 1938 torna in Germania con Guido Roda e Luigi Meccoli. Dopo aver sposato un architetto inglese, si trasferì in Inghilterra, dove lavorò alla sistemazione paesaggistica del Festival of England al South Bank di Londra. Tornata in Italia, lavorò con la Società Generale Immobiliare curando la sistemazione di Casal Palocco e dell'Olgiata. Uno dei suoi ultimi lavori è il piccolo giardino della sede RAI di viale Mazzini a Roma, dove dominano le essenze mediterranee: ulivi, corbezzoli, mirti, accanto ad altre subtropicali, ma ormai ambientate da secoli. Con Piero Porcinai progettò l'istituzione di una scuola italiana di Landscaping. Il restauro di un giardino dell' XI sec. d. C. in Afganistan era un ritorno alle sue origini di archeologa applicate alle origine stesse del giardino orientale, ma fu interrotto dalla sua morte e dal colpo di stato che rovesciò il re che l'aveva commissionato. Cfr. M. FIETTA, Maria Teresa Parpagliolo (1903-74), architetto dei giardini e del paesaggio, Tesi di Laurea discussa all'Università Ca' Foscari di Venezia nell'A.A. 1994-95, relatore V. Fontana. Guido Roda veniva da una famiglia di architetti paesaggisti torinesi. A loro si deve il completamento del parco del Valentino e insieme al conte di Sambuy i giardini Margherita a Bologna, Giuseppe curò il verde dell'esposizione internazionale di arti decorative del 1902. Dopo essersi diplomato alla scuola di architettura dei giardini di Parigi, gli fu affidato il giardino del palazzo reale di Torino. Progettò i giardini pubblici di Mantova, S. Remo, Salsomaggiore, Ivrea, Asti e quelli privati di Giovanni Agnelli a Villar Perosa e del marchese di Gropallo ad Agliate Brianza. Cfr. inoltre M. DE VICO FALLANI, Parchi e giardini dell'EUR. Genesi e sviluppo delle aree verdi dell'E.42, Roma 1988; 82Cit. in G. GRESLERI, "La nuova Roma dello SCIOA" e l'improbabile architettura dell'impero, in Architettura italiana d'Oltremare. 1870-1940, catalogo della mostra di Bologna a cura di G. Gresleri, P.G. Massaretti e S. Zagnoni, Venezia 1993, p. 165. L'Esposizione coloniale a Parigi nel 1931 aveva risvegliato infatti l'interesse per i problemi di pianificazione a vasta scala su i quali si erano cimentato Le Corbusier, il CIAM, Est e Jean Khmielewski. da Brasini) e neppure esportare l'architettura romana a immagine della capitale, se non per gli edifici pubblici, con opportuni adattamenti, mentre per ragioni di clima e di economia bisogna studiare un'architettura tropicale per le abitazioni seguendo criteri d'igiene e di salubrità e distinguendo gli <<ammassamenti indigeni>> dalla città dei bianchi; il tutto naturalmente inserito in un <<programma edilizio>> scaturito dal <<piano regolatore generale>> dei nuovi territori. L'architettura coloniale diventa allora un tema specifico d'insegnamento delle facoltà di Architettura. Nella estate del '36, Ignazio Guidi e Cesare Valle stendono un primo piano per Addis Abeba su invito di Giuseppe Bottai, Mussolini incarica Del Debbio, Ponti e Vaccaro di giudicarlo ed eventualmente rivederlo, ma questi propongono un loro piano alternativo <<non strettamente coloniale, superiore a quanto è stato fatto finora>>. In Addis Abeba italiana, potremo realizzare per la prima volta quello che è la meta ideale per l'urbanistica moderna: l'istituzione iniziale di un piano architettonico che integri nella terza dimensione i tracciati del piano regolatore e assicuri così la realizzazione dell'intera città nel quadro di una concezione unitaria e definita. Noi potremo concretare il piano architettonico in un piano plastico generale in scala 1: 1000 e integrarlo in uno statuto edilizio, Questo plastico sarà il programma di massima dell'intera città.83 I commissari hanno in mente un plan alla maniera di Le Corbusier nella Ville pour trois milions d'habitants. E l'architetto franco-svizzero è a Roma per partecipare al Convegno "Alessandro Volta" del 25-31 ottobre del '36 dove viene intervistato da Antonio Muñoz per la rivista <<L'Urbe>>. A proposito di Addis Abeba egli propone une capitale contemporaine fatta di logis e forum, una città intesa come strumento di lavoro, centro di comando, sede di governo, con grandi edifici amministrativi e grandi abitazioni moderne. Critica l'uso si pensare la città coloniale come una città- giardino, simile alle città francesi in Marocco, bisogna invece agire come l'Italia ha fatto nelle Paludi Pontine - Guido Ferrazza traspone infatti il piano di Sabaudia in quello di Harar del '36 -. Intanto ha mandato all'ambasciatore Cantalupo il suo progetto-schema, disegnato a grandi linee generali, ma con i luoghi definiti, come ha fatto ad Algeri e come vent'anni più tardi potrà fare a Chandigarh. Così Del Debbio, Ponti e Vaccaro propongono a Mussolini <<un parco abitato ben lontano dal meschino concetto di città-giardino>>, esso costituirà la trama della città, così come il progetto di residenze-tipo servirà a realizzare la <<trama residenziale>>; a loro andrà la <<direzione architettonica>> del piano generale. Mussolini però è perplesso di fronte a questi <<Le Corbusier>> italiani e Graziani succede a Bottai come governatore dell'Africa Orientale Italiana. L'urbanistica coloniale è il tema del I congresso di urbanistica organizzato a Roma dall'INU sotto il patrocinio di Giuseppe Bottai, ministro dell'Educazione nazionale, ex-Governatore di Roma e di Addis Abeba, ex-ministro delle Corporazioni. L'Africa Orientale è il territorio in cui realizzare <<Il piano regolatore dell'Impero>> secondo i principi della pianificazione sociale ed economica e i modelli internazionali dei CIAM esposti da Bottoni e Pagano nella VI Triennale del '36. , mentre nella esposizione di architettura coloniale alla Sapienza sono esposte le opere novecento-decorative di Florestano Di Fausto a Rodi e quelle novecento-razionaliste di Alpago Novello, Cabiati e Ferrazza a Tripoli e a Bengasi. Così, Guidi e Valle si trasferiscono in Etiopia a stendere le numerose varianti del piano di Addis-Abeba. Il piano per il centro monumentale del '38 sulla scia di Le Corbusier, traccia il grande asse centrale lungo cinque chilometri e largo novanta metri concluso con la piazza del palazzo Imperiale, intorno si dispongono i palazzi del Governo. Valle e Guidi progettano il primo in stile moderno come un parallelepipedo coperto dalla fitta trama di un brise-soleil in cemento armato, più monumentale è il progetto di Plinio Marconi per il municipio con al centro la torre civica e l'arengario colossali, mentre a Bazzani viene affidato il progetto della cattedrale, quasi completamente definito nel plastico del '38 che si rifà al modello di S. Pietro del Labacco. La semplice architettura dell'ospedale di Cesare Valle, appena iniziato allo scoppio della guerra, si contrappone all'edilizia novecentesca dei palazzi di Guglielmo Ulrich e di Carlo Enrico Rava. Ma nel piano regolatore generale definitivo del '39, alla monumentalità moderna si contrappone l'edilizia abitativa degli edifici di piccola mole circondati nel verde e dalle caratteristiche architettoniche intonate all'ambiente fisico. Il motivo del decumano e del tridente lo ricollegano all'E'42 nella redazione piacentiniana. La città coloniale è separata da quella indigena dal filtro dei mercati. L'ingegnere militare Gherardo Bosio stende in qualità di urbanista residente i piani delle città capoluogo dei Governatorati: Ghimma, Dessié, Gondar, dove il verde viene a dividere le comunità razziali. Anche nelle colonie si venne a ricreare il dibattito fra antico e nuovo, fra l'architettura tradizionale, intonata all'ambiente, e l'architettura moderna mediterranea. ________________________________________ 83Ibidem, p. 166. Guidi e Valle prg Addis Abeba 1938, Le Corbusier idee per Addis Abeba Marconi municipio Florestano Di Fausto, si impone con il suo lavoro di progettazione e di restauro di Rodi a cominciare dal 1923 con il piano regolatore di ampliamento e di risanamento della città antica. L'antica città murata era stata oggetto fin dal 1912 di una campagna di censimento e di rilievo condotta dalla missione archeologica di Giuseppe Geròla al quale succede Amedeo Maiuri. La intera città viene considerata come un monumento unico da sottoporre a una complessa opera di restauro per "ripulire" i resti medievali cristiani dalle superfetazioni turche: l'ospedale dei Cavalieri di S. Giovanni diventa la sede del museo archeologico, fondato nel 1916 da Amedeo Maiuri, si restaurano poi le mura e vengono riaperte le porte, ( come la porta Marina nel1935); si restaurano inoltre l'albergo detto della lingua di Alvernia e quelli di Italia e di Francia, il palazzo della Castellania. Contemporaneamente si esercita una forte azione di sorveglianza per impedire la realizzazione di quelle costruzioni che deturpino o siano in stridente disarmonia con il carattere artistico della città.84 A nord della antica, Di Fausto costruisce la città moderna in forma di città giardino "all' italiana", seguendo in alcuni punti l'antico tracciato (V sec. a.C.) di Ippodamo di Mileto. Essa si dispone con i suoi quartieri a villini sull'antico porto del Mandracchio con il mercato dall'aspetto orientale, dominato dal corpo centrale a cupola; il circolo Italia e il palazzo di Giustizia in stile neocinquecentesco; il palazzo delle Poste (1927) pure in stile rinascimentale; la cattedrale di S. Giovanni dei Cavalieri (1924-25) con il palazzo del vescovo latino - replica su stampe d'epoca di quella originale distrutta nel 1856 -; il palazzo del Governo (1926), dal lungo portico bianco, che riecheggia il palazzo Ducale veneziano, prolungandosi fino al comando della Marina. Esso completa la serie di edifici sul porto dove il loggiato continuo ha la funzione di collegamento per creare un'immagine unitaria fatta di edifici diversi e pittoreschi. Le due colonne, con “il Cervo”, simbolo dell'isola, e “la Lupa” romana stanno all'imboccatura del bacino al posto del Colosso antico. Oltre il capo, sulla spiaggia, Di Fausto costruisce l'albergo delle Rose, dalla fantastica architettura bianca che unisce abbaini e frontespizi nordici con la cupola moresca. Nelle terme di Calitea non vi è nulla della grandiosità romana, ma colonne de-cò arabescate circondano un giardino con padiglioni turchi. Nella chiesa dell'Agnus Dei a Coo sa usare in maniera estrosa e vivace i motivi dell'architettura locale nel prospetto che si rastrema nel campanile a vela.85 Umberto Di Segni costruisce il villaggio Berta in Cirenaica (1934) con bianchi volumi astratti che interpretano la tradizione locale e nelle case popolari a Tripoli grandi archi ribassati ombreggiano le verande degli appartamenti disposti in blocchi articolati dominati dalle torri scale esterne con le rampe parallele alla facciata, come nell'ufficio postale di Libera all'Aventino. L’ albergo Uaddan e il Mehari a Tripoli (1934) di Florestano Di Fausto con la sua torre minareto rientrano pienamente nel piano regolatore della capitale della Libia di Alpago Novello, Cabiati e Ferrazza (1931-34). Questo prevedeva per il nucleo antico un "giudizioso e parco diradamento igienico" con alcuni tagli viabilistici nella parte di città dovuta alla prima occupazione italiana e una espansione basata su radiali legate da triplici anulari. Ma l'interesse maggiore era nello studio di ogni singola piazza, dei crocicchi, di ogni luogo dove c'erano preesistenze da conservare - un piccolo tempio, un cimitero arabo, un gruppo di templi -, il tutto documentato da una serie di accurate prospettive.86 Nel 1933 Florestano Di Fausto viene chiamato dal nuovo governatore Italo Balbo a occupare la carica di consulente artistico del municipio di Tripoli, rimasta vacante per la morte di Limongelli nel 1932. Quest'ultimo aveva già introdotto il dibattito sulle tradizioni costruttive locali romane e arabe, ma Di Fausto nella sistemazione dell'arco di Marco Aurelio nella piazza della cattedrale, proporrà il suo stile Novecento decorativo, pieno di suggestioni tardo romane e arabe, sperimentato a Rodi, in alternativa al razionalismo mediterraneo di Carlo Enrico Rava e di Libera, o degli autori del piano. _____________________________________________ 84L. CIACCI, Rodi italiana 1912-1923. Come si inventa una città, Venezia 1991; F.I. APOLLONIO, Architettura e città nel Dodecaneso, in Architettura italiana d'Oltremare. 1870-1940, cit., pp. 312-321. 85M. BIANCALE, Florestano Di Fausto, Ginevra 1932; G. MIANO, ad vocem, in D.B.I., cit. , p.2. 86Analogo è lo studio che gli stessi architetti fecero per il piano regolatore di Bengasi (1930-32). M. TALAMONA, La Libia: un laboratorio di architettura, <<Rassegna>> 51, (Architettura nelle colonie italiane in Africa), 1992, p. 78. Florestano di Fausto Rodi mercato, prefettura e palazzo del governo 1924-27 94 Florestano Di Fausto, albergo delle Rose e teatro Puccini a Rodi, albergo Mehari a Tripoli 1935, 29 Le leggi a tutela dei monumenti e dell’ambiente Gustavo Giovannoni dagli Anni Venti in poi abbandonò la libera professione per l'insegnamento alla cattedra di storia e stili nella facoltà romana di architettura; contemporaneamente, fu membro quasi permanente del Consiglio Superiore per le antichità e belle arti (disciplinato dal regio decreto del 29 novembre 1928, n. 2751) con potere di controllo e censura sull'opera delle soprintendenze. Fu insomma l'erede di Boito, sia nel ruolo didattico, che in quello di studioso, sia infine in quello di arbitro del restauro in Italia. Ne riprese anche i criteri modernamente empirici, che superano le parzialità dell'"artista-ricreatore" o dello "storico-archivista", nella stesura della Carta del restauro (1932), diretta conseguenza italiana dei principi stabiliti alla conferenza internazionale di Atene dell'anno precedente. Il <<criterio storico>> vuole che si conservi ciascuna delle fasi compositive del monumento che va inteso come documento alla stessa stregua di quelli conservati negli archivi e nei musei, le aggiunte e i consolidamenti devono quindi essere riconoscibili, il materiale venuto alla luce o sostituito va conservato. Il <<criterio architettonico>> intende riportare il monumento ad una <<funzione d'arte>> e, se possibile ad una <<unità di linea>>, da non confondersi con l'unità di stile. Il criterio dell'appartenenza al <<sentimento della città>>, vuole ricondurlo allo <<spirito dei cittadini>>, fatto di ricordi e di nostalgie; ogni città ha una sua <<atmosfera>> artistica, di proporzioni, colore e forma, che è perdurata come elemento permanente attraverso l'evoluzione dei vari stili, e che va conservata87. Quello <<pratico>> infine consiste nei mezzi finanziari e nell'utilizzazione pratica. Le novità rispetto alla teoria boitiana consistono soprattutto in un maggiore rigore scientifico nei ripristini, nel concetto del rispetto dell' ambiente con il rifiuto di isolamenti inopportuni come di nuovi edifici troppo vicini, <<invadenti per massa, per colore, per stile>>. Le aggiunte di consolidamento, reintegrazione, o funzionali, ridotte al minimo, avranno un carattere di <<nuda semplicità>> e di rispondenza allo schema costruttivo, ma si ricorrerà all'aiuto dei materiali e delle tecniche moderne nel restauro statico. Ponendo sullo stesso piano materia e forma, Giovannoni è il fondatore di una scuola di architetti-storici che non trova analogie all'estero. Il rilievo, la conoscenza materiale dell'opera sono necessarie per una conoscenza integrale dell’edificio; per questo si scontrò con Adolfo Venturi che vedeva nella sua concezione evoluzionista di tipi e stili un retaggio del positivismo ottocentesco, superato dalle nuove teorie storico artistiche del "puro visibilismo". 88 Giovannoni cercò quindi di collegare la storia dell'architettura ai metodi scientifici dell'archeologia. Dall'alleanza con Roberto Paribeni nacque l'Istituto nazionale di archeologia con intenti decisamente operativi. Nel 1927 frattanto l'Associazione dei Cultori di Architettura era diventato circolo culturale del Sindacato fascista degli architetti e di conseguenza la rivista <<L'Architettura>>, organo del sindacato. Giovannoni, allora fonda il Centro di Studi per la Storia dell'Architettura e nel 1936 la rivista <<Palladio>>, la prima in Italia dedicata esclusivamente alla storia dell'architettura; nello stesso anno, si tiene il I congresso di storia dell'architettura. Il concetto di tutela dell'ambiente del monumento rivela il rifiuto dello stile moderno che accomuna Giovannoni ai "passatisti", da Luca Beltrami a Corrado Ricci, ma segna anche un primo passo per la tutela del centro storico e del paesaggio.89 Nelle Istruzioni per il restauro dei ___________________________________________ 87 G. GIOVANNONI, Il 'diradamento' edilizio dei vecchi centri, Il Quartiere della Rinascenza in Roma, <<Nuova Antologia>>, 250, 1° luglio 1913, pp. 57-66; ora in ID. Dal capitello alla città, a cura di G. Zucconi, Milano 1996, pp. 151-156. 88 Ivi pp. 22-30. Dove Zucconi traccia una convincente discendenza del suo metodo di storico dagli ingegneri francesi: Reynaud, de Dartein, Viollet-le-Duc, Choisy. 89 ETLIN (Modernism..., cit., pp. 127-128) vede nell'interpretazione che Giovannoni fa del secondo articolo dei cinque criteri proposti da Boito per il restauro il rifiuto del moderno. Boito scrive che ogni qualvolta siano monumenti del 1938 si condanna la traslazione di edifici e l'alterazione di <<quei complessi edilizi che, anche, senza tener conto di particolari elementi artistici, assurgono, come soluzione urbanistica, ad un valore storico ed artistico>>. L'architettura minore, le piazze e le strade diventano monumenti e contemporaneamente si proibisce la costruzione di edifici in <<stili>> antichi anche in zone non aventi interesse monumentale o paesistico <<per ovvie ragioni di dignità storica e per la necessaria chiarezza della coscienza artistica attuale>>. Per quanto poi riguarda la reintegrazione in stile del monumento anche a fini statici, essa viene per la prima volta condannata, interrompendo mentalità e tradizioni operative secolari nel nome dell'"autenticità", rivendicata a tutta forza dagli storici dell'arte (Roberto Longhi viene affiancato a Giovannoni) che applicano all'architettura gli stessi criteri del restauro di pittura e scultura. 90Tutta la documentazione di progetto e di cantiere sarà conservata infine nell'Archivio Centrale del Restauro, presso l' Istituto Centrale del Restauro, fondato a Roma nel 1939. A Giovannoni va dato dunque il merito di aver fondato lo studio e il restauro dell'edilizia storica nel suo insieme unitario di <<città vecchia>> elaborando metodi teorici e operativi fondamentali fino a ieri, e con opportuni aggiornamenti ancora attuali, come attuali restano le sue proposte normative, procedurali e legislative, che recepite dall'INU saranno immesse nella nuova legge urbanistica.91 Il concetto fondamentale è che <<l'isolato sia considerato come un'unica entità>> superando le divisioni di proprietà attraverso i consorzi edilizi, ma per fare questo i comuni devono essere assistiti da apposite leggi che permettano loro di esercitare un vero e proprio <<diritto architettonico>> sia nell'edilizia vecchia che nella nuova. Questi consorzi fra proprietari, resi obbligatori per legge e formati sull'esempio delle cooperative edilizie, sono per lui l'unico strumento per realizzare il <<diradamento edilizio>> imponendo determinati lavori di miglioria di ordine igienico od artistico, o addirittura arrivando all'esproprio <<nei restauri positivi di carattere monumentale>>. Essi possono costituire il grado intermedio fra comune e privato, capace di mettere in esecuzione il piano regolatore, se sono presieduti da un ingegnere o architetto in grado di coordinare i singoli interventi in <<progetti collettivi a grandi masse>>. 92 Il 1° giugno 1939 viene approvata la legge (n. 1089) sulla "tutela delle cose di interesse artistico e storico" e il 26 giugno la legge (n. 1497) sulla "protezione delle bellezze naturali”.La prima viene a modificare la precedente legge n. 364 (20 giugno 1909) definendo lo Stato responsabile del patrimonio artistico nazionale, direttore e controllore di ogni attività di tutela, conservazione e restauro delle opere d'arte sia di proprietà pubblica che privata. Al Ministero della Educazione pubblica e quindi alle soprintendenze, coordinate dal Consiglio Superiore, spetta la necessarie integrazioni per la statica dell'edificio o per altre ragioni estremamente serie irrisolvibili altrimenti, in mancanza di dati certi sulla forma originale, le aggiunte e i rinnovamenti andrebbero fatti <<nella nostra maniera moderna, [il corsivo è nostro] osservando che l'opera nuova non strida troppo con l'aspetto del vecchio edificio>>. Giovannoni traduce: <<con un carattere differente da quello del monumento>>. Ma forse Boito non intendeva, come fa Etlin, una modernità stilistica, bensì tecnica, riconoscibile, come spiega altrove, per materiale e ornato. Del resto per lui il moderno nasce dall'antico e vi è congiunto. Si tratta di un concetto simile a quello di Giovannoni, della integrazione neutra, né antica, né moderna, elaborata poi in sede pittorica dall'Istituto Centrale del Restauro. 90P. MARCONI, Il restauro architettonico..., cit., p. 372. Nonostante la vis polemica contro la lobby degli storici dell'arte, è giusta la distinzione fra l'architettura e le altre arti che comporta diversi criteri di restauro. Non essendovi commercio in architettura, infine, "il falso" non esiste, o comunque è facilmente riconoscibile. Non dimentichiamo che l'Italia artistica, che i turisti ammirano, è fatta di falsi , alcuni molto ben eseguiti dai nostri nonni e non c'è nulla di male. ________________________________________________ 91Queste sono espresse in G. GIOVANNONI, Questioni urbanistiche, <<L'ingegnere>>, II, 1, 1928; ID., Piani regolatori e politica urbanistica, <<Concessioni e costruzioni>>, I, 1, 1930 e soprattutto ID., Vecchie città..., cit., cap. XII, pp. 287-90. Esse sono condivise pure dal miglior tecnico contemporaneo in Italia C. ALBERTINI, I problemi urbanistici nella pratica tecnica ed amministrativa, in Atti del II Congresso nazionale Ingegneri italiani, aprile 1931. 92G. GIOVANNONI, Vecchie città..., cit. , p.284 notifica degli immobili e l'intervento diretto di manutenzione o di restauro conservativo, nonché il controllo su ogni intervento da eseguire sugli immobili privati notificati. I proprietari sono obbligati a denunciare il passaggio di proprietà o di successione. Allo Stato viene riservato il diritto di prelazione in caso di vendita dei beni privati e di esproprio per ragioni di pubblica utilità ai fini della conservazione. Possono essere espropriati anche aree ed edifici allo scopo di isolare o restaurare monumenti, <<assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l'accesso>>, o allo scopo di eseguire ricerche archeologiche. La seconda legge viene a concludere l' iter lungo e difficile, già descritto, che portò alla istituzione dei parchi nazionali del Gran Sasso e del Gran Paradiso nel 1922, dello Stelvio nel 1933 e del Circeo nel 1934 93. Il regolamento (R.D. 3 giugno 1940, n. 1357) istituisce le commissioni provinciali per stendere gli elenchi dei luoghi da tutelare, sotto la presidenza dei sovrintendenti ai monumenti. Esso precisa il valore di rarità oltre che di bellezza che i luoghi naturali devono possedere per la conformazione del terreno, delle acque o della vegetazione. Per le ville e i giardini ai criteri artistici, ambientali, botanici si aggiunge la loro collocazione nel perimetro di una città e la loro funzione di zona verde. Nei paesaggi da tutelare, il valore estetico e tradizionale è dato dalla <<spontanea concordanza e fusione fra l'espressione della natura e quella del lavoro umano>>. Si indulge però ancora sul concetto di "bellezze panoramiche" come "quadri naturali" contemplabili da un punto di vista o da un "belvedere" accessibile al pubblico. Il regolamento inoltre introduce lo strumento del piano territoriale paesistico affidato alle soprintendenze per stabilire le zone di rispetto, il rapporto fra aree libere e aree fabbricabili zona per zona, le norme per i diversi tipi di costruzione, la distribuzione e il "vario" allineamento dei fabbricati, le istruzioni per la scelta e la varia distribuzione della flora. Il primo esempio fu il piano del Circeo (1940), che, confinando il parco naturale sopra la quota di 300 metri, tracciava una strada panoramica alla quota di 200 e una litoranea dalla Torre Paola alla Torre Littoria lungo il cordone dunoso permettendo la costruzione di ville isolate o a nuclei in stile mediterraneo riservati al "turista d'eccezione" nel presupposto che le bellezze naturali possono essere conservate <<solo a patto di tenere lontano le più grandi correnti turistiche>>. Il piano di S. Felice del Circeo con la nuova cittadina balneare ai piedi del vecchio borgo mediterraneo richiama la distinzione di centro antico e centro nuovo di Bergamo e deve lo stile delle migliori architetture - la parrocchiale, alcune ville, l'albergo "Torre Rossa" - a Clemente Busiri Vici. 30 La legislazione urbanistica La legge del 17 agosto 1942 (n. 1150) nasce dall'esigenza di coprire il vuoto legislativo che la stesura dei piani regolatori degli anni '30 avevano rivelato. Era ancora vigente la legge del 1865: immagine dell'Italia liberale, essa limitava gli interventi dello Stato alle opere di pubblica necessità per le quali si contemplava l'esproprio, regolato poi dalla legge speciale per Napoli del 1885, ma non permetteva ai Comuni di prevedere aree destinate a servizi collettivi. La nuova è invece espressione della cultura urbanistica affermatasi con i concorsi dei piani regolatori: sintesi architettonica nei tracciati dei nuovi quartieri di espansione, come nel rinnovo dei centri urbani, spesso controllato con vedute prospettiche. Ai piani dei servizi in rete degli ingegneri municipali, gli architetti "integrali" hanno sovrapposto una nuova immagine unitaria con la quale l'architettura moderna entra nel centro antico per trasformarlo. Se la distinzione fra piano regolatore edilizio e piano di ampliamento era ______________________________________ 93Vedi cap. II superata, le tecniche di intervento nel centro urbano spesso ancora trascuravano le ragioni estetiche, storiche e artistiche; la mancanza inoltre di strumenti politici ed economici rendeva impossibile la costituzione di un demanio comunale e il controllo della città mediante vincoli di zonizzazione. La nuova legge esaudisce le richieste fatte dall'INU e in particolare da Piccinato e da Testa94, esperto di legislazione urbanistica e consulente di Bottai. Soprattutto, essa stabilisce le fasi di attuazione dal generale al particolare, già indicate da Giovannoni nel 1913: il piano territoriale (PT) di coordinamento a scala regionale, il piano regolatore generale (PRG) e il piano regolatore particolareggiato (PP) alla scala del <<nucleo a carattere storico artistico, da sottoporre a diradamento spicciolo>>. Le zone omogenee permettono ai Comuni di determinare le destinazioni d'uso e le quantità edificabili, di discriminare queste da quelle inedificabili all'interno della cinta daziaria inducendo modelli di sviluppo diversi dalla crescita <<a macchia d'olio>>. Essa fa del piano uno strumento politico e sociale per realizzare la città corporativa e fascista nel <<rispetto dei caratteri tradizionali>>, favorendo <<il disurbamento>> e frenando <<la tendenza all'urbanesimo>>. La determinazione dell'indennità di esproprio continuò a essere regolata come in precedenza, ma va notato che la vecchia legge di Napoli del 1885 non sfigurava al confronto con la legislazione europea. L'obbligatorietà del piano fu demandata agli elenchi del Ministero dei lavori pubblici. L'iter di approvazione fu affidato alle sezioni urbanistiche appositamente istituite presso le sedi periferiche dello stesso Ministero. Ma il regolamento attuativo non fu mai pubblicato. Criticata a posteriori dagli urbanisti stessi, travolta dalla guerra, volutamente dimenticata nell'emergenza della ricostruzione, troppo a lungo prolungata, essa è rimasta sostanzialmente inoperante per la mancanza di coordinamento fra i troppo numerosi <<corpi separati>> preposti alla pianificazione e al controllo del fenomeno urbano. E soprattutto perché non vennero mai fissate le "norme di attuazione". Queste avrebbero definito i rapporti fra pubblico e privato, redimendo il contenzioso intorno al problema della edificabilità dei suoli, e ancor più avrebbero risolto giuridicamente il problema della "architettura" del piano, quello cioè di dare unità di stile e di carattere a proprietà edilizie differenti senza ledere i diritti dei proprietari. E' qui che si sarebbe svolto il ruolo del giurista, dalla costituzione dei <<Consorzi architettonici>> di Giovannoni ai <<piani di lottizzazione>>. L'urbanistica in Italia sarà quindi il campo degli architetti liberi professionisti. Viene meno la cultura tecnica degli ingegneri municipali, di Cesare Beruto, di Cesare Albertini a Milano, degli igienisti medici e ingegneri, ma si perde anche la concezione sittiana tardo romantica della <<edilizia>>, intesa come architettura dell'insieme e delle masse di Giovannoni e di Piacentini. Il primo non usò mai il termine urbanistica, fedele al termine ottocentesco di <<edilizia>> e il secondo tuttalpiù intese la <<urbanistica>> come concertazione di parti definite di città: il Sentierone di Bergamo Bassa, la nuova piazza di Brescia, la Città universitaria di Roma, l’ E42. Gli <<urbanisti>> parlano di modelli e schemi: città-satelliti, penetrazioni, secanti, tangenziali, ma si perdere il sapere tecnico dei ingegneri comunali, l'<<ordine urbano>>, fatto di allineamenti e di profili stradali , di reti di servizi, che disegnano una città invisibile, o la convinzione che, oltre ai monumenti, l'immagine della città è fatta di case, come aveva scritto Boito. Così Carlo Emilio Gadda descrive la <<pianta di Milano>> nel 1936: piazze <<bislacche>>, edifici di altezze diverse nei <<nuovi fori e nuove vie>>, <<tetti combinati alla meglio e con ogni aggeggio: pentoloni, caminacci, fette di panettone, canne da pesca, parafulmini arrugginiti disposti scientemente in visuale e in fuga>>.95 ______________________________________________ 94Virgilio Testa (1889-1978) si può considerare il più autorevole esperto di legislazione urbanistica in Italia. Da funzionario del Comune di Roma nel 1908, ne divenne nel '24 direttore dell'Ufficio tecnico, e poi Segretario generale del Governatorato dietro nomina di Bottai. Dal 1931 al 1959 insegnò materie giuridiche alla facoltà di architettura di Roma e dal 1951 fu Commissario dell'Ente EUR. Nel 1936 pubblica il Manuale di legislazione urbanistica, fondamentale per comporre il quadro legislativo della legge del 1942. 95C.E. GADDA, La pianta di Milano, <<L'Ambrosiano>>, 7 gennaio 1936, ora in Le meraviglie d'Italia. Gli anni, Milano 1993, pp. 49-50.