Notizie di Archeologia del Veneto
3/2014
All’Insegna del Giglio
NAVe
Notizie di Archeologia del Veneto
3/2014
All’Insegna del Giglio
Indice
Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Vincenzo Tiné, Simonetta Bonomi
NOTIZIE
Belluno
Cortina d’Ampezzo, Castello di Botestagno. Indagini preliminari per un progetto di restauro
e di valorizzazione. Campagne 2013 e 2014 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Carla Pirazzini, Stefano Pracchia, Stefania Bavastro
Comelico Superiore, località Passo Monte Croce Comelico. Indagini 2012-2014. Note preliminari . . . .
Carla Pirazzini, Davide Pacitti, Diego Battiston, Paolo Forlin
Padova
Padova, a nord e a sud-est della città. Scoperte e ritrovamenti di necropoli . . . . . . . . . . . . . . . .
Elena Pettenò, Silvia Cipriano, Stefania Mazzocchin, Luca Millo, Cinzia Rampazzo, Cecilia Rossi,
Gianfranco Valle, Massimo Zanfini
Padova, Castello Carrarese. Un’antologia per la storia della città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Elena Pettenò, Marco Cagnoni, Stefano Tuzzato
Montegrotto Terme, via Neroniana. Indagine archeologica 2012 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Marianna Bressan, Chiara Destro, Tiziana Privitera
Montegrotto Terme. Scavi presso il Depuratore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Benedetta Prosdocimi, Davide Pacitti, Luca Millo
Rovolon. Scavi sotto la chiesa di San Giorgio Martire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Cristiano Miele, Elodia Bianchin Citton
Treviso
Cavaso del Tomba, località Malga del Doc. Nota preliminare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Marianna Bressan, Rossella Duches, Emanuela Gilli, Luca Rinaldi
Venezia
Venezia. Nuove indagini di archeologia urbana. San Polo, 1777: strutture di bonifica . . . . . . . . . . .
Marco Bortoletto, Alessandro Asta
Venezia, Tesséra – Strada Statale 14 “Triestina”. Indagini archeologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Alessandro Asta, Luca Inno
Venezia, Campagna Lupia – Fossa del Palo e il Canal Cornio. Indagini archeologiche . . . . . . . . . . .
Alessandro Asta, Diego Calaon, Michele Matteazzi, Elisa Mazzetto, Claudia Pizzinato, Monica Tonussi
Venezia, Canale Malamocco Marghera. Nuove indagini archeologiche subacquee sul sito “Fusina 1” . . .
Alessandro Asta, Riccardo Conton
Verona
Verona, Anfiteatro Arena. Indagini archeologiche negli arcovoli. Dati preliminari . . . . . . . . . . . . .
Brunella Bruno, Dario Gallina, Simon Thompson
Verona. Archeologia urbana nei negozi del centro storico: lo scavo presso il nuovo store Benetton . . . . .
Brunella Bruno, Paola Fresco
Pianura veronese. Segnalazioni di nuovi siti protostorici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Luciano Salzani
Povegliano Veronese. Un nuovo villaggio del Neolitico recente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vincenzo Tiné, Giulia Guidorzi, Nicola Dal Santo
Povegliano Veronese, località Casotti dei Ronchi, via Del Molinello. Evidenze archeologiche
di età neolitica, romana e longobarda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Gianni de Zuccato, Giulia Guidorzi, Luca Mura
. 11
. 18
. 30
. 43
. 51
. 56
. 64
. 71
. 75
. 79
. 83
. 91
. 97
.103
. 112
. 119
.126
Peschiera del Garda, laghetto del Frassino. Indagini 2014 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Federica Gonzato, Marco Baioni, Claudio Balista, Claudia Mangani, Nicoletta Martinelli,
Cristiano Nicosia, Olivia Pignatelli, Diego Voltolini
Pressana, via Padovana. Due nuovi insediamenti rurali di epoca romana. . . . . . . . . . . . . . . .
Federica Gonzato, Giovanna Falezza, Alberto Manicardi
Valeggio sul Mincio, località Staffolo Nero. Una calcara tardo romana . . . . . . . . . . . . . . . .
Gianni de Zuccato, Giulia Guidorzi, Letizia Balsamo
Valeggio sul Mincio, località Cogoletto. Evidenze archeologiche dall’età del Bronzo all’epoca romana.
Gianni de Zuccato, Luciano Salzani, Giulia Guidorzi, Sara Zanini
Vicenza
Vicenza, palazzo Chiericati – Ala Novecento. Il quartiere medievale . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Mariolina Gamba, Michele De Michelis
Montecchio Maggiore, Nuova Bretella Autostradale. L’insediamento Neolitico ed Eneolitico . . . . .
Vincenzo Tiné, Claudio Balista, Claudio Bovolato, Nicola Dal Santo
Cornedo Vicentino, località Omo della Roccia. Progetto Agno-Leogra, campagna 2014. . . . . . . .
Mara Migliavacca
Caldogno, insediamento a carattere produttivo lungo un asse stradale a nord di Vicenza . . . . . . .
Cinzia Rossignoli, Stefania Bonato, Stefano Tuzzato
. . .130
. . .142
. . . 152
. . .156
. . .165
. . .173
. . .186
. . .190
STUDI
S. Anna d’Alfaedo, il castelliere dell’età del Bronzo delle Guaite. Per una rilettura dei dati. . . . . . . . . .197
Luciano Salzani
Padova, necropoli di Vicolo Pastori. Un’inumazione singolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 207
Irene Marini
Il progetto Sutiles nel quadro delle attività di tutela e conoscenza delle tecniche di costruzione navale antica.
Il caso del Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .215
Massimo Capulli, Staci Willis, Alessandro Asta
Considerazioni su “Palus in Agro. Aree umide, bonifiche e assetti centuriali in epoca romana” di Matteo Frassine 219
Alessandro Asta
Note a margine del volume “Il torrione dell’Alicorno caposaldo meridionale delle mura di Padova”, a cura di
P. Dal Zotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .221
Michelangelo Munarini
CONSERVAZIONE E VALORIZZAZIONE
Este, Museo Nazionale Atestino. Il restauro delle vetrine del primo allestimento . . . . . . . . . . . . . 227
Gian Piero Busolli
Caorle. Il progetto Terredacque e il Museo Nazionale di Archeologia del Mare . . . . . . . . . . . . . . .231
Alessandro Asta, Federica Rinaldi
Verona, il complesso capitolino. Ieri, oggi e domani: un esempio di un percorso virtuoso . . . . . . . . . 236
Brunella Bruno, Marzia Bersani, Claudia Cenci
Verona, domus di Valdonega. Proposte di rivisitazione di un sito archeologico . . . . . . . . . . . . . . . 239
Maria Grazia Martelletto, Anna Braioni, Francesco Tiné
Vicenza, area archeologica della Cattedrale: dal restauro alla valorizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . 247
Marisa Rigoni, Loretta Zega
Montagnana, fondo Fracasso. La situla: restauro e valorizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 258
Stefano Buson
“Restaurare per valorizzare”. Aspetti conservativi connessi alle esposizioni temporanee: la mostra “Venetkens.
Viaggio nella terra dei Veneti antichi” (Padova, Palazzo della Ragione, 6 aprile-17 novembre 2013) . . . . 263
Sara Emanuele
L’archeologia per la Città della Speranza. Iniziative dei Musei e della Soprintendenza per i Beni Archeologici
del Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 268
a cura di Elena Pettenò
Elenco degli autori di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .271
Venezia, Campagna Lupia – Fossa del Palo e il Canal Cornio. Indagini archeologiche
Alessandro Asta, Diego Calaon, Michele Matteazzi, Elisa Mazzetto, Claudia Pizzinato, Monica Tonussi
Abstract: Between 2013 and 2015, some public works led to
the discovery of new archaeological remains, pertaining to Ro-
man settlements, close to the Venice Lagoon and the Via Popillia
supposed route.
Parole chiave: via Popillia, insediamento peri-lagunare, archeologia romana, strutture abitative.
Tra il 2013 e il 2015 si sono svolti alcuni rilevanti
interventi archeologici nell’ambito di corpose opere
pubbliche condotte nel territorio di Campagna Lupia
(Venezia), a ridosso della gronda lagunare ed in area limitrofa al noto complesso del cd. “santuario” di Lova. In
particolare, il risezionamento dello scolo Fossa del Palo,
progettato dal Consorzio di Bonifica Acque Risorgive, e
l’impianto di un nuovo bacino di fito-depurazione localizzato presso il canale Cornio, progettato dal Consorzio
di Bonifica Bacchiglione, hanno dato modo di condurre
indagini archeologiche in estensione su aree caratterizzate
dall’affioramento straordinario di strutture di fondazione
di edifici di epoca romana 1 (fig. 1).
Per un inquadramento delle problematiche storicoarcheologiche del territorio in esame si rimanda alle più
recenti pubblicazioni 2; si sottolinea, tuttavia, che fino
ad oggi se si escludono le strutture del cd. “santuario” di
Lova e i numerosi rinvenimenti di pozzi per la captazione
delle acque di falda – non sono noti in zona ulteriori
rinvenimenti di strutture tipologicamente simili a quelli
individuati nel corso delle recenti indagini, e qui di seguito
sinteticamente riassunti.
La carta delle presenze archeologiche va dunque
popolandosi di ulteriori dati per l’interpretazione del
paesaggio antico; sicuramente più completo è il quadro
di quanto emerso lungo la Fossa del Palo mentre, a causa
della complessa situazione operativa (e di difficoltà economiche sopraggiunte in corso d’opera), si impone per l’area
del Cornio una prossima revisione dei risultati, anche alla
luce del quadro complessivo dei ritrovamenti effettuati in
età contemporanea.
A.A.
L’intervento archeologico presso la Fossa del Palo:
il sito A ovest 3
Le ricerche sono iniziate dopo aver individuato materiali in situ lungo la sponda occidentale del canale Fossa
del Palo, circa 750 m a nord dall’attuale idrovora di Lova.
1
Le indagini lungo la Fossa del Palo e lungo il canale
Cornio, dirette dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del
Veneto (A. Asta), sono state condotte sul campo rispettivamente
dallo Studio Associato Archeo.Te.M.A. e dalla Cooperativa
Archeosub Metamauco.
2
In generale si veda Gorini 2011; per l’area del Cornio,
Asta et alii 2015.
3
Si presenta qui di seguito una sintesi della relazione
tecnico-scientifica elaborata al termine delle indagini.
La lettera ‘A’ è stata scelta per distinguere questo deposito
archeologico più consistente da quello di un piccolo sito
moderno e poco distante, denominato ‘B’, nonché per
distinguerlo da minori evidenze riscontrate specularmente
sulla sponda orientale (sito A est). L’area indagata presso il
sito A ovest copriva una superficie rettangolare complessiva
di circa 27 m (nord-sud)×7 m (est-ovest). I primi 40 cm
dello strato di coltivo (US 1200) sono stati rimossi con
mezzo meccanico, mentre tutto il deposito archeologico
sottostante è stato scavato manualmente fino al raggiungimento del suolo vergine.
Lo scavo (fig. 2), nella parte centrale dell’intervento,
ha messo in luce, al di sotto dello strato di coltivo, i resti
di due edifici antichi, denominati Beta, a nord, e Alfa, a
sud. A meridione di entrambi si è indagata la traccia di
un ampio paleoalveo, con andamento est-ovest e ampiezza
di circa 25 m, la cui defunzionalizzazione è avvenuta un
paio di millenni prima della costruzione dell’edificio più
antico. L’intervento archeologico in questione ha permesso di raccogliere un campione affidabile per le analisi
radiometriche, che ha datato il paleo alveo al 2485-2340
a.C. (datazione calibrata a 2σ) 4; la datazione, relativa ad
uno strato di lento riempimento del canale, ha permesso
di ipotizzare che lo stesso fosse completamente defunzionalizzato già in epoca pre-romana. Al di sopra del canale
correva un corso d’acqua, probabilmente ancora attivo
in epoca imperiale, ma sicuramente – date le contenute
dimensioni – non navigabile all’epoca d’uso degli edifici
individuati.
L’edificio Beta – il più antico tra i due individuati
– si presentava completamente obliterato da uno strato alluvionale piuttosto asfittico, composto da argille
pressoché impermeabili (US 1209), che lo sigillava. Il
suo stato di conservazione era, tuttavia, ascrivibile sia ad
una fase di defunzionalizzazione e di abbandono dello
stesso, ma soprattutto a quella successiva consistente in
una massiccia attività di spoliazione effettuata in antico.
Infatti, immediatamente al di sotto dell’US 1209 affioravano numerosi laterizi (US 1214), perlopiù frammentari,
che si concentravano particolarmente a ridosso, sopra e
all’interno di due grandi fosse di spoliazione (US 1223,
1234); tali fosse avevano andamento est-ovest e sembra4
Il campione organico, costituto da frammenti di legno
carbonificato, è stato raccolto all’interno di lenti sabbiose nel
riempimento del paleoalveo da T. Abbà, mentre le analisi radiometriche sono state effettuate presso il laboratorio Beta Analitic
in California (USA).
84
PROVINCIA DI VENEZIA
fig. 1 – Fossa del Palo (Campagna Lupia) – ubicazione del
sito A ovest (archivio SBAV).
fig. 2 – Fossa del Palo (Campagna Lupia) – sito A ovest,
veduta dello scavo da nordovest (archivio SBAV).
vano continuare oltre il limite occidentale dello scavo.
Laterizi, frammenti di ceramica, raro vetro e metallo,
erano presenti soprattutto in una sorta di “spianata”, o
leggero declivio che, a partire dalla fossa più meridionale
(US 1223), scendeva verso sud, in direzione dell’edificio
Alfa. La spianata o declivio, che sembrerebbe corrispondere all’area di un possibile porticato antistante l’edificio,
presentava una quota sensibilmente più bassa rispetto al
sedime vero e proprio dell’edificio, tanto che, dal punto
di vista archeologico e geologico, questo avvallamento è
stato interpretato come un “taglio antropico” funzionale
alla creazione di uno spazio ribassato.
Il sedimento di base, che caratterizzava il livello coperto da US 1209, sopra il quale si trovavano i materiali
ceramici ed edilizi, US 1210, era caratterizzato da un limo
sabbioso di colore grigio-giallino chiaro con screziature
ocra. Questo sedimento si trovava su tutta l’area indagata e
assumeva colorazioni leggermente diverse e composizione
più o meno sabbiosa. L’interfaccia tra gli strati US 1209 e
US 1210 era costituita dal livello di crollo US 1214. L’unità
NAVe 3/2014. NOTIZIE DI ARCHEOLOGIA DEL VENETO
stratigrafica 1214, originariamente un crollo, ha con ogni
probabilità subito una serie di modificazioni morfologiche
in seguito al progressivo impaludamento dell’area, testimoniato dalle successive fasi archeologiche. Dilavamento
delle superfici e fluitazioni di piccoli materiali verso le aree
più basse altimetricamente erano riconoscibili nello scavo.
Alla medesima fase sono ascrivibili le decomposizioni
di materiali organici, soprattutto legno, del quale restano
chiare tracce sia di elementi orizzontali (il più imponente
sembra essere il trave dormiente US 1256), sia verticali
(di questi ovviamente resta traccia solo nelle buche). Per
quanto riguarda questi ultimi, concentrati nella porzione
meridionale, nell’area del presunto porticato, tre di essi
(UUSS 1278, 1308, 1312) avevano posizione e dimensioni
tali da giustificare la presenza di grossi pali angolari, che
sembrano avere avuto la funzione di reggere una tettoia.
I restanti, numericamente considerevoli (150 circa, compresi tra US 1260 e US 1410), avevano dimensioni molto
contenute e farebbero pensare a paletti di sostegno, magari
pertinenti ad almeno due fasi, di una possibile pavimentazione in materiale deperibile, ovvero lignea.
Nella porzione nord, che si trovava altimetricamente
in posizione superiore, gli elementi laterizi residuali
sembrano essere maggiormente presenti in due “lenti”
circoscritte, una delle quali plausibilmente interpretabile
come i residui della spoliazione della base di un pilastro
(US 1246), a testimonianza del fatto che l’edificio si estendeva in qualche modo sul fronte nord. A nord, inoltre,
proseguiva la traccia della trave corrente (il dormiente US
1256), al di sopra della quale si trovava la seconda concentrazione di frammenti di laterizi (US 1266), forse anche
questa interpretabile come i residui di laterizi spostati dopo
la fase di spoliazione di un’ulteriore base per un sostegno.
Le ampie trincee di spoliazione, riempite da frammenti di laterizi e argille, hanno permesso di documentare
due trincee molto più strette (US 1237 e US 1257), che
possono essere verosimilmente interpretate come le effettive fondazioni dell’edificio. La trincea settentrionale (US
1257), è stata “disturbata” in epoca moderna dalla posa di
una condotta idrica e quindi da un taglio (US 1240) che
ne aveva parzialmente ricalcato l’invaso.
Le 4 trincee sono state tagliate nettamente verso est
dalla realizzazione del canale Fossa del Palo (US 1219),
avvenuta alla fine del XIX secolo. Tale operazione aveva
chiaramente sconvolto l’assetto del sito. Lo scavo della
fossa, e soprattutto i successivi interventi di ri-sagomatura,
pulizia e ri-escavo della fossa, avvenuti anche molto recentemente con mezzi meccanici, hanno trascinato una
buona quantità di materiali lungo la sponda ovest e hanno
spalmato non pochi reperti sia sul fondo del canale sia
sulla sponda opposta.
Una volta asportati i laterizi, svuotate le fosse di spoliazione e asportato US 1210, si è documentata la base del
sito, costituita da sabbia fine grigia (US 1424) nel settore
nord, e da limo sabbioso grigio-giallino chiaro con striature
ocra (US 1425) su tutta la restante area di scavo. Lo strato
US 1425, di origine alluvionale, faceva da base all’intera
area edificata e presentava una depressione esattamente tra
il sedime di Beta e quello di Alfa, a ricalcare e giustificare
85
la depressione su parte della quale è stato impostato il
presunto portico dell’edificio.
Le evidenze archeologiche messe in luce, raffrontate
con quelle di altri edifici rustici noti in letteratura e scoperti
in area veneta 5, ci fanno supporre che, verosimilmente,
la funzione dell’edificio Beta fosse quella di magazzino o
deposito. Le sue fondazioni dovevano essere costruite in
mattoni, probabilmente sia sesquipedali che bipedali: di
fatto si trattava di mattoni verosimilmente già riutilizzati,
come suggerito dalle numerose fratture (non a spigolo
vivo) e dall’assenza di elementi integri. Il reimpiego di
materiali da costruzione era, infatti, una pratica assai
diffusa nell’edilizia rustica antica. I numerosi tegoloni
e alcuni coppi, presenti massicciamente nello scavo, ci
permettono di immaginare la natura della copertura del
tetto. L’edificio, secondo le tracce visibili nelle fondazioni,
non era legato da malta ma da argilla.
Gli alzati dovevano essere con ogni probabilità in
legno e argilla cruda, su zoccolatura laterizia 6. La copertura
in tegoloni e coppi, riguardava l’edificio vero e proprio,
mentre il portico, del quale resta traccia nelle buche di
palo più grandi, poteva avere una copertura più leggera,
in materiale deperibile, e pavimentazione in legno sopraelevata, così come risulta da letteratura per le aree umide
come questa 7.
Per quanto riguarda i piani di calpestio, invece, lo
scavo ha fornito deboli tracce. È stato raccolto un campione per le analisi micromorfologiche del suolo che ha
però dato un esito piuttosto negativo 8. Nel campione,
infatti, non sono stati osservati elementi che permettano
di individuare attività antropiche specifiche; inoltre sono
risultati assenti indicatori della presenza di bestiame al
suolo (ad es. sferuliti fecali o fosfati secondari 9), indicatori di pratiche agrarie 10, e indicatori di piani strutturati
e di calpestio 11. Si rende dunque necessario ipotizzare
un’attività di spoliazione dei materiali che costituivano
il pavimento stesso (legno? laterizi?). Tale rimozione del
pavimento sembra di tipo uniforme e deve essere stata
effettuata prima del crollo della struttura e, quindi, anche
prima delle successive spoliazioni delle fondazioni, come
è stato anche ipotizzato nelle letture micromorfologiche.
L’edificio Beta, del quale è stata messa in luce solo
una porzione (forse circa metà), doveva coprire ipoteticamente un’area di almeno 120 m² (circa 12×10-12 m)
con un portico di 80 m² presunti (circa 8×10 m). Una
tale dimensione trova confronti nei magazzini di Torre di
Pordenone (113,4 m²) e Isola Vicentina (126 m²) 12, realtà
rustiche di un certo rilievo in ambito padano e legate a
complessi di notevole importanza.
Busana 2002.
Si veda Ortalli 1995.
7
Si veda Busana 2002, p. 193 ss.
8
Il campione del suolo è stato prelevato da T. Abbà sulla
sezione occidentale dello scavo, mentre le analisi micromorfologiche dello stesso sono state effettuate da C. Nicosia.
9
Si veda Macphail et alii 2004; Shahack-Gross 2011.
10
Macphail et alii 1990.
11
Rentzel, Narten 1999.
12
Busana 2002, infra.
5
6
86
PROVINCIA DI VENEZIA
Esiste, come si è anticipato, una mappatura dei
pozzi (uno dei quali è stato indagato approfonditamente),
individuati sino ad oggi nel territorio tra Campagna Lupia
e Campolongo Maggiore. Ne sono stati contati 16 in un
area compresa tra l’abitato di Lova e quello di Lugo 13.
In particolare, il numero 7 si trova a poche centinaia di
metri dal luogo del sito A 14 e che potrebbe essere quindi
direttamente connesso con il complesso messo in luce.
La datazione dell’edificio è fornita dall’analisi dei
materiali ceramici, la maggior parte dei quali è ascrivibile
ad un arco cronologico compreso tra il I secolo a.C. e il
II secolo d.C.
Dell’edificio Alfa rimangono solo labili tracce della
parte basale delle fondazioni, a causa delle attività moderne di bonifica e aratura. L’edificio presumibilmente
fu costruito dopo l’abbandono, la spoliazione e la totale
obliterazione dell’edificio Beta, secondo quanto emerge
dalla lettura stratigrafica. Di Alfa restano le fondazioni
(UUSS 1211 e 1212), molto rasate, che disegnano un perimetro subquadrangolare di circa 3×2 m, ma che doveva
certamente svilupparsi ulteriormente sia a sud che a ovest.
L’edificio era stato interrotto, ad ovest, da una fossa artificialmente scavata in età moderna (US 1229), forse nel
tentativo di produrre una risaia 15 o, più probabilmente,
una scolina agricola di età moderna defunzionalizzata e
intenzionalmente interrata. A sud, invece, i resti dell’edificio Alfa erano completamente sconvolti dalle ripetute
profonde arature agricole (US 1202) ed erano ormai
illeggibili, ad eccezione di concentrazioni superficiali di
piccoli frammenti di laterizi misti a una matrice argillosa
grigia (UUSS 1217, 1226, 1227, 1228), interpretabili come
residui di basamenti di muri di fondazione e, in un caso
(US 1216), un possibile basamento di un piccolo pilastro.
Gli unici elementi “strutturali” ancora leggibili erano
quelli costituiti dalle fondazioni UUSS 1212 e 1211. In
particolare, US 1212 era la meglio conservata e presentava
una larghezza di circa 60 cm e una lunghezza di circa 3
m con orientamento ovest-est, lievemente spostato verso
sud. La fondazione era costituita da materiale laterizio
frantumato e allettato direttamente sul terreno vergine
sottostante (US 1210), legato con semplice matrice di
argilla. Tale sottofondazione si conservava per un’altezza
massima di circa 10 cm. Interessante da notare è che, verso
sud, l’edificio Alfa si installava direttamente sulle sabbie di
riempimento del paleoalveo (US 1204) e che la superficie
di queste ultime era stata presumibilmente consolidata
da un butto intenzionale di argilla compatta grigia (US
1205). Inoltre, dell’argilla (UUSS 1206, 1218) pare sia stata
addossata lungo i muri, così da renderli impermeabili ad
eventuali infiltrazioni d’acqua.
L’area dell’edificio Alfa era pressoché priva di materiali
ceramici.
Vigoni 2011a, pp. 29-41.
Vigoni 2011a, p. 30, n. 7.
15
Secondo le fonti dell’800 e la cartografia austriaca (17981805) quest’area si trovava, infatti, allo stato di palude ed aveva
subito un tentativo poco fruttuoso di installazione di risaie (si
veda Rallo 2011, pp. 255-256).
13
14
fig. 3 – Fossa del Palo (Campagna Lupia) – l’anfora tipo Camulodunum 184 in corso di scavo (archivio SBAV).
In assenza di riscontri cronologici certi, ad eccezione
del terminus post quem dato dalla fine di Beta, si può ipotizzare una fase di vita compresa tra la fine del I e il IV secolo
d.C., secondo recenti ricostruzioni storico-archeologiche
fornite per l’area di Lova 16.
D.C., C.P., M.T.
I materiali
Il materiale recuperato presso il sito a ovest consiste
per la maggior parte in manufatti di epoca romana, generalmente inquadrabili tra I sec. a.C. e II-III sec. d.C.,
ai quali si aggiunge un nucleo di reperti risalenti alla fase
di romanizzazione (II-I sec. a.C.) e per lo più riferibili
a contenitori in ceramica grigia e in ceramica comune
d’impasto grezzo.
Numerose sono le attestazioni di ceramica romana
comune, presente in varie tipologie di depurata (acroma
e verniciata), grezza e ceramica da cucina africana. Meno
cospicua è invece la ceramica fine da mensa, testimoniata
per lo più da produzioni in terra sigillata italica e norditalica, mentre piuttosto scarse sono le evidenze riferibili
a ceramica a vernice nera e ceramica a pareti sottili. In
notevole quantità sono presenti anche le anfore, pertinenti
a diverse tipologie databili tra I sec. a.C. e II sec. d.C., tra
cui si segnala l’eccezionale ritrovamento di un esemplare
integro di Camulodunum 184 (fig. 3).
Si sono inoltre recuperati otto pesi da telaio di
forma troncopiramidale, due dei quali caratterizzati
dalla presenza di stampigli sulla base minore, un vasetto
miniaturistico o piriforme (anche detto “anforisco”) e
alcuni laterizi bollati attribuibili a figline delle gentes Tullia e Iunia. Tra gli elementi lapidei si segnalano, invece,
un pezzo di marmo di grandi dimensioni che sembra
presentare tracce di lavorazione a rilievo e una base cilindrica tripode. Infine, alquanto esigua è la presenza di
manufatti vitrei e metallici, tra cui si segnala un’applique
in bronzo in forma di foglia.
M.M.
16
Gorini 2011.
NAVe 3/2014. NOTIZIE DI ARCHEOLOGIA DEL VENETO
87
fig. 4 – Canale Cornio (Campagna Lupia) – vista del
pozzo individuato al di sotto
dell’unghia arginale (archivio
SBAV).
fig. 5 – Canale Cornio (Campagna Lupia) – vista dell’area
di scavo da nord (archivio
SBAV).
Il nuovo intervento archeologico
presso il canale Cornio: notizia preliminare
La ricchezza archeologica dell’area si è rivelata fin
dalla prima settimana di lavori, con l’intercettazione di
un pozzo di epoca romana individuato appena al di sotto
dell’unghia dell’argine del canale, in sponda idrografica
destra (fig. 4). La posizione del manufatto, tale da garantirne la conservazione, ha al contempo limitato le possibilità
di scavo, per via della necessità di non compromettere la
tenuta degli argini. È stata dunque effettuata un’indagine
focalizzata sulla sezione già esposta della struttura, che ha
rivelato una parete ad andamento convesso costituita da laterizi a secco. La bocca del pozzo, di forma quadrangolare,
è stata esposta in tutta la sua ampiezza. I materiali connessi
con il manufatto e con il riempimento della fondazione
rientrano in una serie di tipologie coerenti con l’ultima
fase repubblicana e il primo impero: ceramica a vernice
nera, terra sigillata, ceramica grigia, qualche frammento di
ceramica a pareti sottili e ceramica in impasto semidepurato e depurato. Il pozzo, una volta documentato, è stato
ricoperto con geotessuto e materiale inerte e successivamente protetto con una lastra metallica, fino al ripristino
della struttura originaria della sponda.
Presso la sponda opposta, corrispondente alla sinistra idrografica del Cornio, in area golenale, dopo una
iniziale pulizia superficiale, sono stati intercettati depositi
differenziati di sabbie grigie compatte e limi recanti tracce
di carboni. A ridosso del limite più prossimo all’argine è
infine affiorata la testa residuale di una struttura in laterizi
a secco, sul cui zoccolo inferiore si potevano individuare
88
PROVINCIA DI VENEZIA
fig. 6 – Canale Cornio (Campagna Lupia) – particolare delle
fondazioni delle strutture individuate (archivio SBAV).
trachiti. Gli ampliamenti dell’area di scavo, imposti dalla
Soprintendenza, hanno rivelato più strutture correlate,
probabilmente coeve al pozzo.
L’intervento è stato realizzato in una costante criticità
dovuta a massiccia risalita d’acqua. Per mantenere i livelli
archeologici asciutti e praticabili, sono state inizialmente
utilizzate due pompe idrovore; in seguito si è proseguito
con l’attivarne una soltanto a seconda di necessità localizzate.
La stratigrafia, esposta fino allo sterile, si è rivelata di
non significativa complessità: le strutture, fortemente residuali, conservatesi in modo esiguo appena al di sopra della
fondazione, erano state impostate su un compatto tabulato
limoso, a sua volta poggiante su massicci depositi sabbiosi.
La porzione meglio conservata è pertinente ad un tratto
di muro di dimensioni imponenti, largo più di 1 m, che è
stato possibile esporre per alcuni metri di lunghezza, e che
proseguiva all’interno della sponda del canale. Costruito
in laterizi a secco posti prevalentemente di taglio, recava la
presenza sporadica, nel sacco della fondazione, di elementi
di anforacei e qualche blocco di marmo e trachite. La
struttura muraria, conservatasi per un’altezza di circa 0,5
m, si abbassava a livello del primo corso della fondazione
presso il proprio limite nord-orientale, verosimilmente a
causa di precedenti azioni di asporto di terreno (figg. 5-6).
Ad angolo retto in rapporto a questo muro, si innestava una sequenza di fondazioni verosimilmente di
poco successive, consistenti in un’altra struttura muraria
e numerosi plinti, disposti allineati e a una distanza abbastanza regolare di circa 2 m l’uno dall’altro. I manufatti
erano tutti costituiti da materiale laterizio e anforacei,
frammenti di embrici e di mattoni, rari nuclei di legante
cementizio. Parallelamente al corso dei plinti, verso il
limite nord-occidentale dell’area, sono stati individuati
due tratti della struttura di una canaletta, mentre sul lato
sudorientale è emersa quella che appariva come una soglia
residuale in laterizi interi, disposti di piatto.
Il complesso dei materiali raccolti rimanda alle tipologie già campionate nel pozzo: ceramica grigia, ceramica
a vernice nera, anforacei, ceramica comune semidepurata
e depurata, ceramica a pereti sottili, terra sigillata.
A margine dell’area indagata, nel corso degli ultimi
giorni di lavori, durante la sistemazione finale dei margini
del bacino, la pala meccanica ha esposto piani limosi con
carboni e sono state raccolte numerose tessere musive
bianche e nere.
L’ultima serie di interventi ha interessato il limite
occidentale dei terreni coinvolti nel piano di bonifica,
con lo scavo di un altro bacino artificiale, di dimensioni
inferiori al precedente, anch’esso facente parte delle vasche
di fitodepurazione progettate per l’area. Nel corso già dei
primi asporti di terreno anche in questa circostanza sono
stati intercettati livelli massicci di sabbie grigie e limi
carboniosi. Nell’ampiezza del bacino scavato sono emersi
rispettivamente pali lignei infissi a distanze regolari, tavole
di legno in collocazione orizzontale, forse pertinenti a una
passerella prospiciente un antico corso d’acqua, una massicciata non meglio definibile caratterizzata da materiale
anforaceo, embrici e laterizi in dispersione, e infine quello
che appariva come un monossile, conservato per gran parte
della sua dimensione, situato in posizione orizzontale fra
due pali infissi nel terreno sabbioso.
Considerata una serie di difficoltà operative ed economiche occorse, non è stato possibile procedere allo scavo
completo del sito, benché si sia proceduto ad effettuare
alcuni campioni lignei dai pali e dall’elemento monossile.
E.M.
Considerazioni per l’aggiornamento ed estensione
delle aree di tutela archeologica
L’area di Campagna Lupia ha restituito nel tempo
una messe particolarmente abbondante di dati circa le dinamiche insediative d’età antica, a partire dai ritrovamenti
numerosi attribuibili all’età del Ferro per arrivare ai materiali e strutture d’età romana, tardo-antica e medievale. In
tale contesto, alle ricerche della Soprintendenza per i Beni
Archeologici del Veneto e dell’Università di Padova si sono
da sempre affiancate le collaborazioni di soggetti privati,
appassionati locali e associazioni di volontariato, sensibili
alla conoscenza e tutela del patrimonio archeologico locale.
Non sono mancate infine le ricerche e i ritrovamenti casuali
occorsi tra la metà del XIX e l’inizio del XX secolo, soprattutto in occasione di scassi, sterri e bonifiche dei suoli, così
frequenti in questo comparto geografico, caratterizzato da
una geomorfologia particolare, costituita da suoli giacenti
a quote inferiori a quella del livello medio-marino e quindi
NAVe 3/2014. NOTIZIE DI ARCHEOLOGIA DEL VENETO
storicamente soggetti ad impaludamento. L’area è la stessa
nella quale in antico scorreva il fiume Medoacus (l’antico
Brenta, nel suo percorso a valle della città di Padova), che
Plinio il Vecchio ricorda articolarsi in due rami principali
(il Maior, coincidente più o meno con l’attuale Naviglio
Brenta, e il Minor, che procedeva in direzione sud-est fino
a Saonara), che a loro volta si dividevano ulteriormente
interessando proprio il territorio di Campagna Lupia.
Aspetto caratterizzante del territorio è la continuità
insediativa, per lo meno a partire dall’età del Ferro, fino alla
tarda antichità, di cui l’area di S. Maria di Lugo conserva
testimonianza diretta. Le evidenze di età repubblicana,
secondo recenti studi, non sembrano coprire l’intero
territorio di Campagna Lupia ma concentrarsi piuttosto
lungo l’asse del probabile percorso del Meduacus Minor,
mentre i rinvenimenti di età imperiale risultano diffusi in
modo decisamente più omogeneo (con materiali riferibili
a contesti abitativi, produttivi e funerari). Le dinamiche
insediative post-antiche sono testimoniate principalmente
dal “polo” di S. Maria di Lugo e dal canale Cornio nel
quale, a più riprese e con modalità differenti, sono state
rinvenute strutture lignee e manufatti (scafi monossili)
testimoni dell’apprestamento di scali portuali fluviali o comunque di percorsi commerciali di una certa importanza.
Tra i rinvenimenti d’età romana spicca per importanza e imponenza dei resti (seppure in fondazione) l’area
del “santuario” di Lova. Il sito, ai margini della laguna, nei
pressi della presunta foce di uno dei paleoalvei del Medoacus (Medoacus Minor), già noto per sporadici rinvenimenti
a fine XIX e fine XX secolo, è stato oggetto di una serie di
indagini dal 1991, tra cui indagini geofisiche e alcuni scavi
stratigrafici mirati, eseguiti tra il 1992 e il 2012. Sulla base
dei dati raccolti si può evidenziare la grande importanza
del sito e la sua potenzialità: infatti è stata individuata una
vasta area, caratterizzata dai resti di almeno quattro edifici
monumentali (tre dei quali porticati) verosimilmente a
carattere santuariale e disposti attorno ad uno scoperto
centrale, con arco cronologico definibile tra il II sec. a.C.
e la prima metà del I sec. d.C. L’estensione del complesso
è stata prospettata solo sulla base delle indagini geofisiche
mentre i saggi hanno interessato una parte di due edifici
e l’area delle cosiddette “stipi votive” localizzate vicino
ad un pozzo, indagato esaustivamente nel 2010. Proprio
lo scavo stratigrafico del pozzo ha consentito di ricavare
numerosi dati che permettono il prolungamento della
presenza insediativa in zona anche dopo la metà del I sec.
d.C., fino a spingersi agli inizi del III secolo; tuttavia non
è possibile determinare con certezza se, fra II e III secolo,
l’edificio santuariale fosse effettivamente ancora attivo.
Le evidenze murarie conservate presentano fondazioni realizzate in blocchi di trachite decimetrici e alzati in
laterizi (dei quali rimangono labili tracce), poiché i resti
archeologici si trovano ad una quota piuttosto superficiale
rispetto al piano campagna (-0,50 m). I numerosi frammenti di antefisse a palmetta recuperati costituiscono parte
della decorazione architettonica (che per stile rimanda
all’ambiente patavino della piena età augustea).
Rinvenimenti sporadici (numismatici ed epigrafici)
mostrano che la zona del santuario deve essere stata oggetto
89
di una frequentazione sin dal IV-III sec. a.C.; i bronzetti
a figura umana, piccoli e stilizzati, sono caratterizzati da
un braccio ad anello riconducibile alla tradizione veneta
e in particolare patavina. Si tratta di ex-voto, realizzati
in modo sommario, in una lega con alta percentuale di
piombo. Secondo recenti studi, numerosi sono gli elementi
indiziari dell’origine preromana di questo luogo di culto,
le cui fasi iniziali, compresa l’identificazione della divinità,
restano da chiarire.
Non mancano, infine, casi di strutture riferibili ad
edifici rustici (fattorie), individuati lungo il percorso del
Taglio Novissimo, e numerosi pozzi per captazione dell’acqua di falda, testimoni di una profonda organizzazione
del territorio attraverso l’impianto di strutture produttive. In tale contesto deve essere inquadrata la presenza,
documentata al momento solo dalle moderne tecniche
di tele-rilevamento e da alcuni ritrovamenti sporadici, di
un asse stradale (riconducibile probabilmente all’antica
via Popillia) che attraversa e serve tutta l’area in esame.
Proprio a Lova, del resto, viene tradizionalmente proposta
la collocazione della stazione di sosta Mino Medoaco, lungo
la Popillia, riportata nell’itinerario stradale noto come
Tabula Peutingeriana.
La presenza di un panorama archeologico ad alta
complessità nel territorio in esame, considerato sia alla
luce dei dati pregressi che di quelli recenti, ha consentito
di produrre le basi per una tutela a più ampio respiro,
confluite negli studi e nelle proposte operative adottate
nell’ambito dei lavori per la redazione del nuovo Piano
Paesaggistico regionale (con particolare riferimento al
cd. Ambito 14 Palav – Laguna di Venezia), ai quali la
Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto sta
partecipando attivamente fin dal 2012.
Si consideri, dunque, che la nuova e ampia zona
di interesse archeologico, che sarà sottoposta a nuove
forme di tutela – specialmente preventiva – si colloca in
località Lova, tra la via Enrico Toti (a nord), via Gabriele
D’Annunzio e via Lova (a nord-ovest), incrociando Via
della Laguna poco ad est di via Fiumazzo in loc. Casone
di Lamiera (ad ovest), sfiorando le località Trento e Da
Re (a sud-ovest), seguendo il percorso terminale del Canale Cavaizza (a sud) e avendo per margine orientale la
Strada Statale 309-Romea (ad est). L’area, attualmente e
prevalentemente a destinazione agricola, è caratterizzata
dalle tracce della presenza di numerosi paleoalvei antichi,
databili tra l’età preromana e tardo-romana. In tal senso,
e in attesa della definitiva approvazione del nuovo Piano,
saranno previdentemente avviate anche forme di collaborazione con gli enti locali coinvolti, del resto più volte
promotori essi stessi di azioni di tutela e valorizzazione del
patrimonio archeologico.
A.A.
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