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Società degli Archeologi Medievisti Italiani VIII CONGRESSO NAZIONALE DI ARCHEOLOGIA MEDIEVALE. VIII.1 a cura di Francesca Sogliani, Brunella Gargiulo, Ester Annunziata e Valentino Vitale VOLUME 1 Congresso Nazionale di Archeologia Medievale VIII CONGRESSO NAZIONALE DI ARCHEOLOGIA MEDIEVALE Volume 1 Sezione I. Teoria e Metodi dell’Archeologia Medievale Sezione II. Insediamenti Urbani e Architettura a cura di Francesca Sogliani, Brunella Gargiulo Ester Annunziata e Valentino Vitale Chiesa del Cristo Flagellato (ex Ospedale di San Rocco) Matera, 12 - 15 settembre 2018 € 40,00 SAMI-VIII-1 ISSN 2421-5910 ISBN 978-88-7814-865-9 e-ISBN 978-88-7814-866-6 All’Insegna del Giglio Congresso Nazionale di Archeologia Medievale VIII.1 ISSN 2421-5910 ISBN 978-88-7814-865-9 e-ISBN 978-88-7814-866-6 © 2018 All’Insegna del Giglio s.a.s. Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s. via del Termine, 36; Sesto Fiorentino (FI) tel. +39 055 8450 216; fax +39 055 8453 188 e-mail redazione@insegnadelgiglio.it; ordini@insegnadelgiglio.it sito web www.insegnadelgiglio.it Stampato a Firenze nel luglio 2018 Tecnografica Rossi Società degli Archeologi Medievisti Italiani VIII CONGRESSO NAZIONALE DI ARCHEOLOGIA MEDIEVALE Volume 1 Sezione I. Teoria e Metodi dell’Archeologia Medievale Sezione II. Insediamenti Urbani e Architettura a cura di Francesca Sogliani, Brunella Gargiulo Ester Annunziata e Valentino Vitale Chiesa del Cristo Flagellato (ex Ospedale di San Rocco) Matera, 12 - 15 settembre 2018 All’Insegna del Giglio CONGRESSO ENTI PROMOTORI Società degli Archeologi Medievisti Italiani IN COLLABORAZIONE CON Dipartimento delle Culture Europee del Mediterraneo Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera Università degli Studi della Basilicata Cattedra UNESCO Matera Unibas Il Congresso e gli Atti sono stati realizzati nell’ambito del Progetto CHORA – Laboratori di Archeologia in Basilicata finanziato dalla Regione Basilicata (Partners: Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera, École Pratique des Hautes Études di Parigi, Università di Roma Tor Vergata) CON IL PATROCINIO DI Regione Basilicata Città di Matera Provincia di Matera CON LA COLLABORAZIONE DI Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Basilicata Polo Museale della Basilicata CON IL SOSTEGNO DI PARTNER IN COLLABORAZIONE CON Parco storico archeologico delle Chiese rupestri e della Murgia materana CEA Centro Educazione Ambientale Matera Comune di Tito Associazione Memorìa SI RINGRAZIANO INOLTRE PER IL SOSTEGNO Antezza for Heritage Digimat De Feo Restauri CURA SCIENTIFICA Francesca Sogliani ORGANIZZAZIONE Francesca Sogliani, Brunella Gargiulo, Ester Maria Annunziata, Giuseppe Pentasuglia, Giovanni Marvulli PRE-TIRAGE CURA REDAZIONALE Francesca Sogliani, Brunella Gargiulo, Ester Maria Annunziata, Valentino Vitale CONCEPT DI COPERTINA Livia De Franco Leica Geosystem Le Monacelle Programma VIII Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (SAMI) Chiesa del Cristo Flagellato (ex Ospedale di San Rocco) Matera, 12 - 15 settembre 2018 mercoledì 12 settembre venerdì 14 settembre 15,30 Saluti delle Autorità Saluto e Relazione Introduttiva, Francesca Sogliani Prolusione, Giuliano Volpe, Presidente SAMI 9,00 Sezione V Archeologia degli Insediamenti rupestri coordinatore Elisabetta De Minicis 16,30 Sezione I Teoria e metodi dell’Archeologia Medievale, coordinatore Paul Arthur 10,45 Coffee break 19,00 Aperitivo di inaugurazione 11,00 Riunione del Consiglio Direttivo SAMI 12,00 Partenza per escursioni (su prenotazione e numero minimo di iscritti): Parco storico archeologico delle chiese rupestri e della Murgia Materana Pausa pranzo giovedì 13 settembre 9,00 Sezione II Insediamenti Urbani e Architettura coordinatore Andrea Augenti 10,45 Coffee break 11,00 Sezione III Territorio e Paesaggio coordinatore Marco Valenti Pausa pranzo 15,00 Sezione IV Luoghi di culto e Archeologia funeraria coordinatore Federico Marazzi 17,00 Partenza per escursioni (su prenotazione e numero minimo di iscritti): Matera, visita guidata al circuito delle chiese rupestri; Museo Archeologico D. Ridola 16,00 Assemblea dei Soci SAMI 18,15 Coffee break 18,30 Cerimonia di premiazione del Premio Francovich 20,30 Cena sociale sabato 15 settembre 9,15 Sezione VI Produzione, commerci, consumi coordinatore Alessandra Molinari 11,00 Coffee break 12,00 Saluti e conclusione lavori 14,00 Partenza per escursioni (su prenotazione e numero minimo di iscritti): Il Museo multimediale della Torre di Satriano e l’insediamento fortificato medievale di Satrianum (Tito, PZ) Indice Sezione I Teoria e metodi dell’Archeologia Medievale 11 16 Un metodo appena sfiorato: Giovanni Patroni e i prodromi dell’archeologia stratigrafica in Italia 51 Marco Frati Dai contesti all’approccio: strategie di campionamento e nuove metodologie di analisi archeobotaniche a Miranduolo (Chiusdino, SI) Un passo avanti e due indietro, ovvero come il relativismo postprocessualista recupera l’archeologia antiquaria Milena Primavera, Miriana Concetta Colella, Ignazio Minervini, Paula Calò, Girolamo Fiorentino 56 Miranduolo (Chiusdino, SI): dallo scavo al progetto di parco Vasco La Salvia 20 Storia dell’archeologia storica: perché in Italia non abbiamo avuto una Historical Archaeology? Marco Valenti 61 Alessandro Panetta Stefano Bertoldi 23 Per una data quality nelle pratiche di crowdsourcing applicate alla ricerca archeologica Mattia Sanna Montanelli 26 Per un’archeologia delle comunità rurali nei tempi lunghi. Pagi e vici tra romanizzazione e alto Medioevo nelle regioni prealpine 65 Due esempi pionieristici di Archeologia Pubblica in Italia: il “Progetto Centoborghi” e il “Progetto Montefeltro” metodi e risultati Daniele Sacco 70 “Percezione del paesaggio” e Archeologia urbana alla luce della convenzione europea del paesaggio Gian Pietro Brogiolo 31 L’uso della fotogrammetria tridimensionale per il rilievo del castello di Miranduolo Archeologia Pubblica in Italia: un tema di grande attualità e una serie di equivoci Sabrina Pietrobono 74 Montecorvino Rovella (SA), chiesa di S. Ambrogio. Revisione di vecchi scavi – analisi paleopatologiche – prospezioni geognostiche – indagini multispettrali sui dipinti murali Marco Valenti 35 Ricostruire il Medio Evo: le botteghe del Buon Governo tra iconografia, fonti scritte e fonti archeologiche Chiara Lambert, Marielva Torino, Felice Perciante, Sara Marazzani, Vincenzo Gheroldi Marco Valenti 39 La strategia comunicativa dell’Archeodromo di Poggibonsi 80 Costruire, vivere (e musealizzare) un castello: il complesso caso di Lagopesole (Avigliano, PZ) Luca Isabella 43 L’archeologia professionale e le sfide imposte dalla crisi: quando la necessità può diventare virtù (?) Romina Pirraglia, Enrico Giannichedda 85 Archeologia medievale e costruzione partecipata dell’identità locale: percorsi di archeologia di comunità a Luogosanto (Sardegna Nord-Orientale) Federico Salzotti 46 Ricostruire l’alto Medio Evo: l’esperienza dell’Archeodromo di Poggibonsi tra realtà e prospettive Fabio Pinna Marco Valenti 90 Montagne contese, montagne condivise: lo studio delle forme storiche di appropriazione della terra tra storia e archeologia (Paesi Baschi, Spagna, VIII-XXI secolo) Anna Maria Stagno Sezione II Insediamenti Urbani e Architettura 97 La chiesa di Sant’Andrea a Mombasiglio (CN): note sull’analisi degli elevati e prime conclusioni Paolo Demeglio, Alberto Gnavi, Sarah Elena Pischedda, Chiara Tosto 102 Albenga (SV): immagini di una città tardoantica di confine Stefano Roascio 107 La defunzionalizzazione e l’abbandono dell’anfiteatro di Albenga nel quadro di una città in trasformazione Giuseppina Spadea, Stefano Roascio, Elena Dellù, Alessandro Bona 112 La “torre dei diamanti” in Castel Gavone (Finale Ligure, SV): archeometria di un esempio di architettura del potere (fine del XV secolo) Luca Finco, Maurizio Gomez Serito, Giorgio Brusotti, Giovanni Murialdo 117 Segni lapidari e organizzazione dei cantieri: il caso dei Magistri Antelami Aurora Cagnana 120 Castrum Clusolae: un castello e il suo sistema di chiusa. Morfologia, materiali e tecniche costruttive Annamaria Azzolini 125 I paesaggi urbani di Padova e Monselice post-classiche: approccio integrato tra fonti e GIS Analysis Angelo Cardone, Federico Giacomello 132 Cesena, piazza della Libertà. Storia di un nuovo focus della città bassomedievale Simone Biondi, Cinzia Cavallari, Luca Mandolesi 137 Fiesole: archeologia di una città nell’ambito della dominazione longobarda (VI-VIII secolo). Nuove prospettive di ricerca Andrea Biondi 142 Terremoti, dissesti e restauri a Firenze. Evidenze dalla lettura archeologica e dal rilievo dell’edilizia storica Andrea Arrighetti 146 Ancora sulla martellina dentata a Firenze (Badia a Settimo, Battistero): aggiornamenti e nuovi quesiti fra archeologia e storia dell’architettura medievale Marco Frati 150 Pisa, Terme di Nerone e Porta del Parlascio. Nuovi dati archeologici da un recente scavo urbano Giuseppe Clemente 155 Dall’isolato medievale al complesso universitario: gli scavi presso l’area della Sapienza a Pisa Marcella Giorgio 160 La cattedrale di Volterra: prime indagini sugli elevati Marie-Ange Causarano 166 Il monastero di San Ponziano (Spoleto, PG): nuova lettura delle strutture architettoniche della cripta sulla base delle recenti analisi di geo radar e laser scanner Riccardo Consoli 170 Archeologia dell’architettura e prevenzione. Metodi di primo livello per la valutazione di vulnerabilità sismica di complessi architettonici Paolo Faccio, Isabella Zamboni 176 La portata del deposito: organizzazione sociale e dati quantitativi a Cencelle Francesca Romana Stasolla 180 L’osteria medievale di porta S. Paolo a Roma: analisi storica, cartografica ed archeologica Marina Marcelli, Simona Pannuzi 185 Gli scavi delle Terme Centrali di Aquinum: nuovi dati per la definizione dell’abitato tra Tardoantico ed età longobarda Cristina Corsi, Giuseppe Ceraudo, Giovanni Murro 190 Continuità e discontinuità delle città attraverso il dato toponomastico. Alcuni dati dai contesti abruzzesi Maria Carla Somma 195 Indagini di archeosismologia storica in territorio aquilano Fabio Redi, Andrea Arrighetti, Erika Ciammetti, Francesca Savini 200 S. Maria “de Acculis”: una chiesa, un insediamento alle origini della città. Gli scavi del 2011-2015 nel complesso di S. Chiara all’Aquila Fabio Redi, Tania Di Pietro, Luigina Meloni 205 La Magna turris della vecchia Cerreto Sannita. Indagini archeologiche e analisi delle stratigrafie murarie Marcello Rotili, Lester Lonardo 211 Foggia medievale: spunti di ricerca sulla fisionomia urbana da sondaggi di scavo nel Dipartimento di Studi Umanistici Roberta Giuliani, Cinzia Corvino, Marco Maruotti, Vincenzo Valenzano, Giuliano Volpe 216 Da Salapia romana a Salpi medievale: riflessioni preliminari sulle modalità costruttive tra tarda Antichità e Medioevo Angelo Cardone, Nunzia Maria Mangialardi 222 Da Salapia romana a Salpi medievale, tra cesure e transizioni: nuovi dati Roberto Goffredo, Darian Marie Totten, Vincenzo Valenzano 228 L’abitato medievale di Canne. Analisi urbana e delle architetture Cosimo Damiano Diella 233 Ricerca archeologica nel centro storico di Corato (BA) Valeria Della Penna 238 Indagini archeologiche nell’area del Pretorio bizantino di Bari. Primi dati dalla campagna di scavo nel cortile dell’Abate Elia e dalle ricognizioni subacquee lungo il litorale della Basilica di S. Nicola (2017) Donatella Nuzzo, Anna Esposito, Anna Surdo, Michele Pellegrino, Giacomo Disantarosa 244 Evidenze archeologiche nell’area presso la cattedrale di Monopoli (BA) alla luce di nuove indagini Miranda Carrieri, Roberto Rotondo, Sara Airò 249 Urbanistica di Taranto medievale: le strutture difensive Silvia De Vitis 252 Melpignano (LE): dalla terra fortificata al giardino del Palazzo Baronale Paul Arthur, Simona Catacchio, Laura Masiello 258 Il castello di Bivona (VV) alla luce delle nuove indagini archeologiche Mariangela Preta 262 Trasformazioni architettoniche e funzionali di una residenza normanna: il donjon di San Niceto (RC) Adele Coscarella 268 Palermo, al-Khālis.a e H.ārat al-Ǧadīda: nuovi dati dal confronto tra fonti scritte e dati archeologici Elena Pezzini, Viva Sacco, Francesca Spatafora 274 Primi dati sull’occupazione in età tardoantica e altomedievale dell’area del teatro antico di Agrigento Maria Serena Rizzo, Luciano Piepoli 278 Nuovi dati sull’abitato medievale di Ragusa Salvina Fiorilla, Saverio Scerra, Andrea Scifo 282 Miniature e architetture islamiche timuridi: modi e mezzi del costruire dalla storia dell’arte all’archeologia degli elevati, una proposta di studio di archeologia islamica Elena Casalini Un metodo appena sfiorato: Giovanni Patroni e i prodromi dell’archeologia stratigrafica in Italia Marco Frati* * Dipartimento di Architettura – Università degli Studi di Firenze (marco.frati@unifi.it) Dopo l’elaborazione in Germania e in Inghilterra intorno al 1840 di una metodologia propriamente archeologica, basata come in geologia (CARANDINI 1996, pp. 21-22) sui rapporti stratigrafici e capace di elaborare tipologie e criteri di datazione relativa e assoluta (LA ROCCA 1993, p. 31), era sembrata potersi aprire per l’archeologia italiana una stagione entusiasmante, sostenuta dalla fiducia incrollabile nel progresso e nelle scienze naturali tipica del positivismo. Un secolo prima della nascita della New Archaeology (TERRENATO 2000) e della moderna archeologia medievale (da ultimo, BROGIOLO 2011, che riassume e discute precedenti posizioni), anche in Italia sembrava infatti svilupparsi un interesse scientifico per le tecniche di scavo e di documentazione (MANACORDA 1982, pp. 86-91) esteso anche all’archeologia dell’età classica (CARANDINI 2008, pp. 38, 47; BARBANERA 2015, pp. 97-104) e dei periodi successivi (LA ROCCA 1993, sugli esordi medievistici, prevalentemente concentrati sui longobardi; GELICHI 1997, pp. 17-51), oltre che a quella della preistoria (PERONI 1992) la quale, da sempre, desumeva necessariamente e rigorosamente le sue conclusioni dalle evidenze materiali. E fu per prima proprio la cosiddetta “scienza degli analfabeti”, fiorita in Emilia con l’Unità d’Italia (TARANTINI 2012), a imbattersi in resti medievali senza ignorarli. Inizialmente, prendendoli per preistorici, come fece Luigi Pigorini (PERONI 1992, pp. 13-30) con i materiali emersi dagli scavi nel piazzale Gazzera nel borgo di Fontanellato (PIGORINI 1865), poi giudicati di età, ancora genericamente ma più correttamente, “barbarica” (PIGORINI 1883; GELICHI 1997, pp. 18-19). Successivamente, collocandoli nella giusta prospettiva storica attraverso la successione stratigrafica, come ebbe a fare Francesco Coppi, il quale dedicò pari attenzione ai reperti e al contesto, datando tutte le fasi (anche le più recenti) dell’edicola romana, del cimitero e della chiesa di Sant’Alberto di Gorzano, illustrate attraverso splendide tavole (figg. 1-3: COPPI 1871-1876, I, tav. III; II, tav. XXXV; III, tav. LXXI; GELICHI 1997, p. 23) che mostrano sezioni rilevate a scavo ultimato (PACCIARELLI et al. 2014, p. 151). Il legame dell’archeologia con le scienze naturali fu consapevolmente sottolineato dallo storico DE LEVA (1874, pp. 2-3), che suggerì di ispirarsi al metodo scientifico e, in particolare, alla geologia per gli strati e alla chimica per i legami (LA ROCCA 1993, p. 27). Negli anni precedenti la geologia si era avvantaggiata delle ricerche della paleontologia (STOPPANI 1857; BOSSI 2013) aprendo, in prospettiva, a un proficuo scambio fra gli studiosi degli ecofatti e quelli dei manufatti ed evolvendosi in una scienza esatta (STOPPANI 1876) il cui metodo stratigrafico portava a inoppugnabili constatazioni costringendo i loro stessi autori a costose prese di distanza da posizioni fideistiche e creazioniste (ALESSANDRINI 2016). Del De Leva era stato allievo l’autorevole storico Carlo Cipolla, che, in qualità di Ispettore Governativo agli Scavi, ricevette e segnalò molti ritrovamenti dal 1875 in poi (LA ROCCA 1994) ma la sua (alta) statura di studioso prevalse nettamente su quella di archeologo: in quanto non scavò mai, fu uno degli “archeologi poeti”, alternativi ai “militanti” ma dipendenti dall’attività ‘estrattiva’ di questi ultimi (MANACORDA 1982a, p. 86; LA ROCCA 1993 p. 32 n. 67). Nell’ultimo quarto del secolo, le Notizie degli Scavi di antichità comunicate alla Reale Accademia dei Lincei (prima serie, 1876-1903) compresero una cinquantina di siti medievali ma le citazioni appaiono casuali, episodiche e limitate al periodo barbarico, mostrando come il Medioevo fosse considerato un’appendice della tarda Antichità e la ricerca fosse ideologicamente orientata alla ricerca di momenti unificanti della storia nazionale (GELICHI 1997, pp. 30-31). Da questo panorama discontinuo emergono però alcune personalità ed esperienze di ricerca esemplari accomunate dallo scavo stratigrafico, applicato a livelli ormai piuttosto maturi (PACCIARELLI et al. 2014, p. 151). Il sacerdote Gaetano Chierici a Bismantova, indagandovi le sepolture preistoriche, compì la stratigrafia della torre medievale (CHIERICI 1875 e 1876) e pochi anni dopo a Sant’Ilario d’Enza (scavi dal 1878) produsse una delle prime sezioni di un sito pluristratificato (ID. 1882, tav. I) comprendenti anche fasi medievali (GELICHI 1997, p. 23). La tecnica stratigrafica, basata su di una profonda conoscenza della geologia, lo portava poi al confronto e, per analogia, al coordinamento cronologico di strati archeologici appartenenti a siti diversi ma simili nella sequenza relativa (fig. 4: CHIERICI 1877, tav. VII). Nel 1879, in modo del tutto indipendente, l’architetto Giacomo Boni a Venezia indagava le fondazioni di Palazzo Ducale disegnandone una sezione stratigrafica (GUIDOBALDI 2008, fig. 5) mirata a verificare le condizioni delle strutture medievali: per la prima volta si rappresentava, anche se parzialmente, la successione delle fasi costruttive di un edificio in elevato e dei livelli pavimentali circostanti; particolarmente interessante è la “bibliografia” che accompagna il disegno adducendo notizie storiche sull’esistenza dell’ammattonato, senza però condurre a meccaniche datazioni dello strato laterizio rilevato mezzo metro sotto alla quota della piazza attuale. Pari interesse per il dato materiale e per la documentazione storica venne espresso poco dopo da Angiolo Pasqui sulla cattedrale di Arezzo (PASQUI 1880). L’anno successivo, in occasione del III Congresso Geografico Internazionale (Venezia, 15-22 settembre 1881), Boni poté forse confrontare le proprie conquiste metodologiche con gli altrui lavori di paletnologia (CHIERICI 1881, tav. VI) ma il suo successivo rilievo delle fondazioni del campanile di San Marco a Venezia (fig. 5: BONI 1885, p. 354), prima e lungamente unica esperienza di stratigrafia delle murature, esprime con il suo lucido metodo di scavo e di rappresentazione e con la sua precisione geometrica e litologica una maturità ormai pienamente raggiunta, frutto dell’incontro con la sensibilità romantica e conservativa di Ruskin e Morris (AUGENTI 2000, p. 40). Verso la fine del secolo anche nel resto d’Italia furono effettuati scavi di buon livello, riguardanti soprattutto necropoli altomedievali: ponendosi l’obiettivo disciplinare di esplorare la vita quotidiana dei longobardi (ORSI 1887, esperienza isolata ma propedeutica: GELICHI 1997, pp. 33-36), praticando la stratigrafia con grande attenzione e una grafica eccellente (SCARABELLI GOMMI FLAMINJ 1887, che indagò con splendidi disegni una stazione dell’età del bronzo senza ignorare le fasi successive: GELICHI 1997, pp. 21-23), rilevando accuratamente il rapporto fra i reperti e le tombe (PASQUI, PARIBENI 1918, sulla necropoli longobarda di Nocera Umbra scavata nel 1897-1898). Ma fu ancora il Boni a far compiere un salto di qualità al metodo stratigrafico. Trasferitosi a Roma dal 1888 e impegnatosi nella salvaguardia del patrimonio architettonico medievale del Meridione (AUGENTI 2000, pp. 40-41), egli attuò un ampio e organico programma di archeologia urbana nella zona del Palatino e nella chiesa di Santa Maria Antiqua (scavi 1899-1900, ma pubblicati solo postumi: TEA 1937), dove, senza fare preferenze per un’epoca storica particolare, applicò su larga scala le tecniche sperimentate a Venezia sfiorando l’archeologia medievale (MANACORDA 1982a, p. 86; AUGENTI 2000, p. 39). Com’è noto, da quest’ultima esperienza e dalle precedenti, Boni sviluppò un’organica riflessione sul metodo di scavo (BONI 1901), rigorosamente stratigrafico, che prevedeva l’impiego di sezioni, la chiara distinzione degli strati, la sistematica numerazione dei pezzi, la frequente documentazione grafica delle fasi di scavo e, per quanto riguarda le strutture murarie, l’attento studio delle tecniche costruttive e di finitura lapidea (MANACORDA 1982a, pp. 89-91; ID. 2016, sulla riscoperta e sulla validità del suo metodo). All’elaborazione teorica del Boni si affiancò quella di Serafino Ricci, archeologo specializzato in Antichità ed Epigrafie classiche nel 1894 e docente universitario nella stessa disciplina dal 1896; nella Prolusione al Corso di Archeologia e storia dell’arte presso la Reale Accademia Scientifica Letteraria in Milano, da lui pronunciata nel 1899 (RICCI 1900; MANACORDA 1982a, pp. 88-89), sostenne la necessità di non circoscrivere l’archeologia solo all’arte, solo all’antichità greca o romana, solo ai ceti dirigenti, mostrando di saper superare gli angusti limiti della propria specializzazione. Nella stessa occasione definì l’archeologia come una scienza autonoma che si occupa dei “monumenti”, ovvero dei dati materiali, da ricavare mediante lo scavo «con attenzione agli strati» (stratigrafico?), da analizzare nella loro completezza e complessità, senza dedurre o indurre nient’altro che l’evidenza, e, solo dopo averne tentato una sintesi, da incrociare con le fonti scritte. Questo metodo sperimentale, che ci si aspetterebbe dichiarare universalmente valido, in realtà era per il Ricci applicabile solo nell’ambito di alcune specializzazioni disciplinari, corrispondenti a diversi periodi storici e articolate fra epigrafia, storia dell’arte, topografia classica, paletnologia. L’archeologia, poi, dovendo occuparsi di fenomeni naturali e antropici molto vari, avrebbe dovuto avvantaggiarsi del concorso di altre scienze, di un costante atteggiamento interdisciplinare e della collaborazione fra archeologi militanti e studiosi, figure fra loro complementari. Delle incertezze, delle reticenze e delle contraddizioni del suo discorso Ricci si dichiarava lucidamente consapevole, rilevando che l’archeologia stava 11 fig. 1 – Francesco Coppi, Terramara di Gorzano: Edicola Romana Sezione verticale mediana; Piano dell’Edicola; Frammenti di Olla Cineraria gigantea, 1871 (COPPI 1871-1876, I, tav. III). fig. 2 – Francesco Coppi, Terramara di Gorzano: palafitta scoperta nel giugno 1870; Pozzo sezione mediana scoperto nel 1870; Sezioni verticali di Terramara nel 1871 nel rapporto dal vero di 1/50, 1874 (COPPI 1871-1876, II, tav. XXXV). attraversando un periodo di transizione epistemologica e di precisazione degli obiettivi, del campo e del metodo d’indagine. La solida impostazione operativa del Boni, scientificamente rigorosissima, e le riflessioni teoretiche di un Ricci, seppur imperfette, avrebbero dovuto diffondere il metodo stratigrafico in tutti gli scavi e spianare la strada all’archeologia medievale. Negli anni seguenti, però, le occasioni furono poche e poco sfruttate. Della necropoli longobarda di Castel Trosino furono rese note le numerose tombe e i loro reperti, abbozzando una sequenza relativa delle sepolture (MENGARELLI 1902). Ancora il Boni fu autore nel 1907 di una sezione stratigrafica di un contesto medievale alla base della Colonna Traiana (MANACORDA 2016, fig. 4) e due anni dopo in Dalmazia compì i suoi primi saggi di archeologia medievale Ugo Monneret de Villard (ARMANDO 2011): non è chiaro se l’ingegnere vi usò il metodo stratigrafico, che avrebbe potuto apprendere dallo stesso Boni nel 1911 e che avrebbe abbracciato esplicitamente soltanto molti anni dopo (AUGENTI 2001). Un ultimo approccio a temi medievistici fu lo scavo, effettuato a Fiesole nel 1909-1910, di tombe longobarde all’interno di un tempio romano reimpiegato come cella funeraria (GALLI 1914), ma nei bilanci consuntivi delle attività di scavo stilati negli anni successivi, tesi a dimostrare l’autonomia dell’archeologia sperimentale italiana da quella filologica tedesca, metodo e Medioevo furono del tutto assenti (RIZZO 1911; GHIRARDINI 1912; PATRONI 1912). Un improvviso rilancio delle riflessioni sullo statuto dell’archeologia avrebbe potuto avvenire durante la Quinta Riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze, tenutasi a Roma nell’ottobre del 1911. In quella occasione «Il prof. Giovanni Patroni, non potendo recarsi in Roma per prendere parte ai lavori della XI Sezione [di Storia e Archeologia], inviò una sua Nota esplicativa del tema da lui proposto sulla convenienza di adottare, per la classificazione e denominazione degli strati archeologici, un sistema che non implicasse adesione ad alcuna delle teorie sul nome, sulla provenienza, ecc. del popolo al quale un dato materiale archeologico si riferisce. A parere suo, tanto per le età primitive, quanto per le protostoriche e per le storiche, si dovrebbe adottare dagli archeologi un sistema analogo a quello adottato dai geologi per i vari terreni, trarre cioè il nome di ogni singolo tipo di strato archeologico da quello del luogo ove esso si presenti per quanto è possibile completo e con le maggiori particolarità caratteristiche. Per determinare le norme da seguire il prof. Patroni esprimeva nella sua Nota il desiderio che fosse nominata una Commissione la quale studiasse la questione e presentasse poi le sue conclusioni al primo Congresso, ma alla Sezione mancò il tempo di occuparsene» (REINA et al. 1912, p. 902). La proposta rivela chiaramente la volontà di superare i limiti costituiti da una impostazione stilistica e selettiva della ricerca e sembra di poter anticipare le pionieristiche ricerche di Wheeler (dal 1934) e di Lamboglia (dal 1938), che avrebbero perfezionato il metodo stratigrafico, fondamento dell’archeologia moderna (WHEELER 1943, che a Maiden Castle iniziò a numerare gli strati archeologici; LAMBOGLIA 1950, che a Ventimiglia applicò la stratigrafia tra i primi in Italia in un contesto classico; VARALDO 1999). Ma chi era Giovanni Patroni (VISTOLI 2014, per una recente biografia) e come era giunto a formulare un principio tanto generale (un sistema valido per ogni cronologia) e ipotizzare un procedimento il più oggettivo possibile? Egli a quel tempo era professore ordinario di Archeologia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pavia (sul periodo pavese, 1901-1927, BARBANERA 2009, pp. 49-50), dove aveva appena tenuto un corso istituzionale sulle civiltà preelleniche dell’Egeo e una serie di esercitazioni di storia dell’arte classica e di ermeneutica monumentale. Le sue conoscenze spaziavano in ambito mediterraneo dalla preistoria (LILLIU 1952) all’età antica (GIGLIOLI 1951), passando per quella etrusca (FRACCARO 1951); le sue attività andavano dalla direzione degli scavi a quella dei musei (Napoli, Cagliari), dalla tutela come soprintendente (Lombardia) all’insegnamento universitario (avrebbe chiuso la sua carriera accademica a Milano dal 1925 al 1940: SLAVAZZI 2002); il suo interesse si rivolgeva alla tecnica di scavo, all’interpretazione filologica dei reperti, alla costruzione di vasti quadri conoscitivi, alla storia sociale. Una figura di archeologo poliedrico, milite e poeta, capace di concepire la disciplina da molteplici punti di vista. Dopo la laurea a Napoli con il pompeianista Giulio De Petra (1890), si era specializzato a Roma e in Grecia con Emanuel Löwy venendo a contatto con il moderno e rigoroso metodo della Kunstarchäologie (BREIN 1998; PICOZZI 2013, sulla figura dello studioso tedesco). Il grande filologo, 12 fig. 4 – Gaetano Chierici, Stratificazioni coordinate delle tre età preistoriche nella Provincia di Reggio Emilia, 1877 (CHIERICI 1877, tav. VII). fig. 3 – Francesco Coppi, Terramara di Gorzano: Sestertio di Augusto; Quinario di Porcia; Piccolo bronzo Claudio Gotico; Verticilli; Fibula; Anelli; Ornato; Linguetta; Encolpio bizantino; Piante dell’Oratorio e della Chiesa; Mattone romano per condotto, 1876 (COPPI 1871-1876, III, tav. LXXI). nella prolusione del 1890 (alla quale assistette presumibilmente anche il Patroni), raccomandava lo studio di tutti i reperti («i prodotti delle arti figurative in tutta la loro ampiezza») e il loro contesto: «Non gli oggetti soli, ma tutto il loro insieme, la condizione, in cui si trovavano, la loro disposizione e collocazione devono essere osservate e notate, essendo non di rado più importanti le conclusioni da trarsi dalle circostanze accessorie, che non gli stessi oggetti trovati», ricordando all’archeologo la grave responsabilità di dover distruggere l’oggetto delle proprie ricerche e, dunque, la necessità di cercare «la soluzione di tanti problemi della storia in senso più largo» attraverso la collaborazione di tutte le scienze (LÖWY 1891, pp. 717, 723, 724; MANACORDA 1982a, pp. 87-88). Tornato in Italia nel 1893, il Patroni ebbe l’incarico di viceispettore dei musei e degli scavi di Siracusa dal 1895 al 1896 sotto la direzione di Paolo Orsi, il quale, già e per primo, aveva auspicato la nascita di un’archeologia del Medioevo (ORSI 1887, p. 333) dando prova di una larghezza di vedute che impressionarono il più giovane dipendente (SLAVAZZI 2000, sui rapporti fra i due archeologi). Negli scavi delle caverne preistoriche di Pertosa (1898) e del Zachito (dal 1900) a Caggiano (Salerno) furono diligentemente praticate le trincee e rimossi gli strati in sequenza cronologica (PATRONI 1899a, coll. 551-559; 1903) ma non si attribuì ancora nessun valore alle fasi più recenti, eppure evidentemente rappresentate dalla chiesa rupestre. Alla fine dello stesso 1898 nella prolusione al corso universitario a Napoli (dove aveva ottenuto la libera docenza un anno prima) Patroni espose la propria idea di archeologia, dominata da una concezione sociologica e positivista, proponendosi di offrire una sintesi metodologica al crescente «fervore analitico» (ID. 1899b). Il campo della ricerca avrebbe dovuto essere quello dei «prodotti dell’attività manuale umana» (escludendo dunque l’epigrafia e la numismatica) di ogni tempo: non solo di età classica (che «non basta più all’archeologo») ma anche della preistoria o della prima età cristiana. Il fine, quello di studiare le antichità private e pubbliche attraverso la tipologia («genesi ed evoluzione delle forme di ciascun monumento»). Il metodo, affine a quello delle scienze naturali, la stratigrafia (periodizzazione come sequenza di “strati paralleli”) e la comparazione per mezzo di riproduzioni fedeli. Queste posizioni, che mettevano volutamente in crisi il modello winckelmanniano (o filologico-estetizzante) nello studio del mondo antico, togliendo “valore individuale” ai reperti (monumenti), furono criticate da Serafino Ricci, fresco ma precario docente di Archeologia presso l’Università fig. 5 – Giacomo Boni, Muro di fondazione del Campanile di S. Marco, 10 luglio 1885 (BONI 1885, p. 354). di Pavia, che discusse la definizione al tempo stesso globalizzante ed esclusiva della disciplina (RICCI 1900, pp. 37-44). All’inizio del 1902, quasi in risposta all’amico e predecessore, nella prolusione del suo primo corso a Pavia Patroni chiarì ancora meglio il proprio pensiero: «l’archeologia non ha limiti di tempo, altrimenti non sarebbe scienza. Può bensì avere suddivisioni di tempo e di luogo secondo le varie epoche storiche e la distribuzione geografica dei fenomeni sociali che studia; ma l’organismo scientifico è uno solo» (PATRONI 1904, p. 489) e, anzi, ambisce a inglobare altre discipline (etnografia, storia dell’arte medievale e moderna) e ad offrirsi ad altre (architettura, ingegneria, giurisprudenza, antropologia). Per la Quarta Riunione della Società per il Progresso delle Scienze prevista a Napoli nel dicembre del 1910 Patroni preparò un ampio e lucido discorso sul rapporto fra archeologia e scienze (PATRONI 1911b). In esso si sosteneva l’interdisciplinarietà con le «scienze naturali, con le quali abbiamo in comune il metodo, l’abito dell’osservazione di fatti 13 reali» e con le «scienze filologiche e storiche, con le quali abbiamo in comune […] una parte grande […] del contenuto». In particolare, alla geologia si devono «i criteri fondamentali della stratigrafia e della cronologia relativa, senza i quali non esiste archeologia vera e propria», il concetto di Leitmuscheln (fossili guida), «oggetti tipici di vari e successivi strati di deposito umano o periodi di tempo», il metodo di scavo, sperimentato sul campo (BASSANI, GALDIERI 1911), e persino il campo d’indagine, ovvero la parte più superficiale della litosfera. In polemica con filologi e storici antichisti, Patroni arrivò a definire l’archeologia moderna come «la trattazione scientifica di tutto l’immenso materiale della vita che non appartiene alla grande arte», prefigurando il progetto mannoniano di archeologia globale (MANNONI 1994-1996). Nello stesso anno uscì un articolo in cui Patroni sosteneva l’utilità della cronotipologia («successione delle serie costituite dall’archeologia stratigrafica») ed esprimeva, in polemica con l’etnologismo dei paletnologi e con il filologismo della scuola germanica (che conosceva direttamente, data l’ottima padronanza del tedesco, lingua di cui aveva persino tenuto un corso universitario come professore incaricato l’anno prima), la convinzione che anche la storia antica un giorno si sarebbe avvalsa di fonti non solo scritte (PATRONI 1911a). E anche in occasioni divulgative e celebrative (ID. 1912, p. 190) ribadiva che l’approccio stratigrafico è «divenuto la caratteristica dell’archeologia dell’Italia risorta». La proposta di “denominazione degli strati archeologici” abbozzata alla fine dell’11 venne rilanciata dall’autore al Congresso Archeologico Internazionale di Roma l’anno successivo (Bollettino 1912). Poiché gli atti tardavano a uscire e comunque non avrebbero potuto contenerlo integralmente, questo nuovo contributo fu pubblicato nei Rendiconti dell’Accademia dei Lincei (ID. 1913) come pendent all’articolo sull’etnologia antica (PATRONI 1911a), perché ad esso programmaticamente complementare (ID. 1913, p. 92 n. 1). In più, rispetto ai suoi lavori precedenti, il Patroni insisteva sull’importanza del rilievo archeologico nella determinazione degli strati, nell’individuazione dei loro “caratteri” e nella “cronologia relativa”. Inoltre «la determinazione di uno strato e la classificazione di esso nel tempo e nello spazio implicano distinzione da altri strati, o anteriori, o posteriori, ovvero contemporanei, in tutto od in parte, ma appartenenti ad altre aree dell’ecumene. Il cammino della scienza esige dunque un segno mnemonico che indichi ciascuno strato e ne permetta la seriazione con gli altri; senza ciò sarebbe impossibile di muovere un passo; gli strati, siano successivi, siano adiacenti, devono quindi ricevere o un numero o un nome» (ID. 1913, p. 96). Questa proposta, che conteneva i germi della stratigrafia moderna, dipendeva dall’ampio significato di “strato”, che ancora non corrispondeva a “unità stratigrafica” e che oggi s’intenderebbe come “fase”, e appare subito rinunciataria nell’escludere l’oggettiva numerazione perché «le scienze stratigrafiche ne hanno fatto parco uso». Il discorso poi convergeva sugli oggetti, paragonabili ai massi erratici in geologia, da cui far dipendere «le tre operazioni fondamentali dell’archeologia, comuni mutatis mutandis alla stratigrafia ed alla storia dell’arte»: la tipologia, la territorialità, la cronotipologia (ibid., pp. 102-104). Nonostante le buone intenzioni (lasciare «da parte ogni appiglio a questioni di razza, di lingua, di storia», «sopprimere le dilettantesche distinzioni di periodi non basate su osservazioni rigorosamente stratigrafiche», «arricchirci di nuove cognizioni positive»: ibid., p. 108), Patroni, riducendo la questione a «i nomi degli strati archeologici» e questi ai periodi o ai contesti, perse l’occasione di fondare un metodo veramente scientifico. Sebbene fossero incompiute e di «scarso spessore epistemologico» (uso un’espressione di GELICHI 1997, p. 32), queste posizioni ne condussero l’autore a un dibattito privato con Gaetano De Sanctis, il più autorevole storico dell’antichità, che non sfociò in una polemica pubblica solo per il grande rispetto reciproco. Patroni aveva riconosciuto al collega il merito di aver scritto una storia primitiva tratta da fonti archeologiche (PATRONI 1911b, p. 252) e cercava la sua approvazione, ma lo storico si opponeva agli indirizzi positivistici e deterministici, esercitando la “critica temperata delle fonti”, rifiutando il metodo stratigrafico e le correlazioni fra archeologia e scienze naturali e negando ogni valore al contesto del reperto (ACCAME 1984). I due, inoltre, si dividevano sulle simpatie filosofiche per Croce e Bergson, dai quali il De Sanctis si dichiarava volentieri influenzato (MAZZA 2013, p. 500), mentre il Patroni no. Erano queste ormai le tendenze culturali in atto, che stavano minando l’«incrollabile fede nel dato scientifico e naturalistico, tipica del positivismo» (GELICHI 1997, p. 27). Il fascino dell’“intuizione” crociana, con la sua “istantaneità”, metteva in crisi «le istanze pragmatiche della progettazione architettonica, del metodo archeologico di stampo positivista e perfino della ricerca storica, basata sulla raccolta di dati di natura diversa» (ARMANDO 2011). Con fatica ne tentò una conciliazione il MONNERET DE VILLARD (1917-1918) nel rapporto personale con Croce 14 (ARMANDO 2013), mentre altri, come il Boni, reiteravano le proprie convinzioni con qualche aggiunta sul restauro archeologico (BONI 1913). Suggerito o no dalla polemica antimaterialistica di Croce e Gentile (PERONI 1992, pp. 41-70; GUIDI 2000, p. 27; PACCIARELLI et al. 2014, p. 159), il riflusso antipositivistico condusse al rifiuto della tipologia, all’esaurimento e al fallimento della ricerca in campo medievale, allo spengimento del dibattito sul metodo (confinato nella paletnologia) e allo scadimento generale della disciplina archeologica (BECATTI 1950; BROCCOLI 1986, pp. 10-18). Lo stesso Patroni, sempre più lontano dalla ricerca sul campo, si fece trascinare in astratte diatribe caratterizzate da verbosità, approssimazione, genericità, imprecisione e polemica conflittualità (PERONI 1992, pp. 59-60), dissolvendo il proprio acume epistemologico di fronte allo sterile antagonismo fra l’archeologia preistorica (stratigrafica) e quella classica (topografica), premessa alle scellerate scelte dell’archeologia fascista (CEDERNA 1979; MANACORDA 1982b). Bibliografia ACCAME S. 1984, La “breve disputa” sull’archeologia di G. De Sanctis e di G. Patroni, in Nona miscellanea greca e romana, Roma, pp. 343-356. ALESSANDRINI L. 2016, Un geologo di fronte alla Bibbia: l’opera apologetica di Antonio Stoppani fra scienza e fede, Roma. ARMANDO S. 2011, Monneret de Villard Ugo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, LXXV. ARMANDO S. 2013, Ugo Monneret de Villardet la découverte des arts musulmans en Italie entre Croce et Strzygowski, in M. VOLAIT et al. 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