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Il lavoro degli ingegneri rinascimentali tra realtà e immaginazione

2024, TEORIE, PRATICHE, STORIE DEL LAVORO E DELL’IDEA DI OZIO

https://doi.org/10.36253

Abstract

During the Renaissance, some engineers realised the importance of the application of machines and the general automation of work. In this article, we look at how Renaissance engineers approached work and its organisation and then turn to some of Leoanrdo's projects such as the construction of digging cranes to reduce the use of labour on construction sites.

Andrea Bernardoni

La dimensione culturale e professionale dei cosiddetti 'ingegneri del Rinascimento' è un tema ampiamente studiato a partire dalla prima metà del XX secolo (Long 2011, 10-29). Tuttavia, nonostante oggi si abbia una conoscenza estesa e approfondita delle molteplici tipologie di fonti che danno informazioni sulla figura dell'ingegnere tra Quattro e Cinquecento, il ruolo di questo protagonista delle arti meccaniche rinascimentali costituisce ancora una categoria professionale sfuggente. Questo principalmente perché gli ingegneri all'epoca facevano poco uso della scrittura e il loro operato era essenzialmente di tipo pratico e quindi difficilmente valutabile in un contesto in cui c'era una netta scollatura tra il sapere teorico-scientifico e la conoscenza tecnica, con quest'ultima che si esprimeva quasi esclusivamente attraverso le opere che produceva. Le cose cambiarono notevolmente durante il Quattrocento quando importanti rinnovamenti politici e sociali favorirono l'affermarsi su larga scala di una cultura del benessere scaturita dalla produzione di beni e dal loro commercio. È in questo contesto culturale che emerge la figura dell'ingegnere, il quale viene a porsi come elemento chiave del processo di trasformazione allora in atto, il cui motore erano le crescenti esigenze materiali della società rinascimentale.

Il rinnovato ruolo sociale degli ingegneri che nella pratica si traduceva in incarichi di consulenze o in ruoli attivi nell'amministrazione pubblica, come la gestione degli acquedotti a Siena, permise loro di entrare in contatto e talvolta lavorare fianco a fianco con i protagonisti della cultura umanistica e scientifica, non soltanto su temi legati alla loro professione ma anche su questioni di carattere più generali di tipo filosofico e scientifico (Smith 2004; Bernardoni 2014). Per questo motivo si è parlato talvolta di artigiani superiori, di artisti ingegneri e anche di scienziati volgari, cercando in questo modo di definire il loro profilo professionale nel quale venivano a sovrapporsi diverse competenze, tecniche, scientifiche e artistiche (Klein 2022). Le arti meccaniche del periodo rinascimentale, nel cui contesto culturale si andava delineando la nuova figura dell'ingegnere, si ponevano come una categoria del sapere ibrida, rispetto al dualismo subordinato con le arti liberali, fissato e perpetrato nella scolastica medievale.

Tra le arti meccaniche, quella che più di tutte metteva in risalto il contrasto con le arti liberali era l'alchimia. A fronte, infatti, delle complesse teorie proposte, che trovavano i loro principi nella tradizione filosofica ed ermetica, la trasmutazione metallica e l'elisir di lunga vita prevedevano dei risultati di tipo empirico. Di conseguenza anche tutte le arti chimiche quando ci si interrogava o si tentava di interpretare le trasformazioni delle sostanze utilizzate nei processi operativi, mettevano in crisi il rapporto di subordinazione tra liberale e meccanico. Durante il Quattrocento gli alchimisti, i filosofi e talvolta anche gli artigiani, entrarono sempre più nel merito di questioni che oggi definiremmo di tipo epistemologico mettendo in discussione il dualismo liberale-meccanico. In relazione all'alchimia si sottolineava la contrapposizione tra filosofico e sofistico, dove con sofistico si indicava l'alchimia falsa, fatta di vuote parole e operata dai vili meccanici che agivano senza conoscere i principi teorici su cui si basavano i processi di trasformazione delle sostanze (Newman 1989;Bernardoni 2013). Interessante è l'intervento portato in questo dibattito da Biringuccio il quale, dopo aver condannato l'alchimia come arte falsa, finiva per salvarne la dimensione empirica, elogiandone, tuttavia, anche la dimensione filosofica poiché pur perseguendo questa un fine utopico guidava le arti nella codifica di nuovi processi operativi che facevano progredire la conoscenza tecnica.

Tal che in somma per concludere si può dire essere questa arte [l'alchimia] di molte altre arti origine e conduttrice, e però si deve hauere in reverenda e esercitarla, ma ben due chi la esercita non essere ignorante delle cause né degli effetti naturali, né povero per possare resistere alle spese, né ancora la deve fare per auaritia, ma per ben godere solo li bei frutti delli effetti suoi e loro cognizione e quella vaga novità che operando si dimostra (Biringuccio 1977, 123v).

La tensione tra arti liberali e arti meccaniche emergeva in tutta la sua portata epistemologica anche nelle riflessioni sul paragone delle arti elaborate da Leonardo da Vinci, il quale rivendicava la liberalità della pittura, e quindi del disegno, ponendo questa al vertice delle arti meccaniche e portando l'attenzione sul fatto che la sua dimensione teorica è simile a quella della scrittura la quale, come la pittura, si manifesta sulla carta attraverso la mano. E se tu dirai tali scienze vere e note essere di specie di meccaniche, imperocché non si possono finire se non manualmente, io dirò il medesimo di tutte le arti che passano per le mani degli scrittori, le quali sono di specie di disegno, membro della pittura; e l'astrologia e le altre passano per le manuali operazioni, ma prima sono mentali com'è la pittura, la quale è prima nella mante del suo speculatore, e non può pervenire alla sua perfezione senza la manuale operazione; della qual pittura i suoi scientifici e veri principi prima ponendo che cosa è corpo ombroso, e che cosa è ombra primitiva ed ombra derivativa, e che cosa è lume, cioè tenebre, luce, colore, corpo, figura, sito, rimozione, propinquità, moto e quiete, le quali solo con la mente si comprendono senza opera manuale; e questa sarà la scienza della pittura, che resta nella mente de' suoi contemplanti, dalla quale nasce poi l'operazione assai più degna della predetta contemplazione o scienza (Leonardo da Vinci 1995, 32, cap. 29).

Gli ingegneri promuovevano le arti meccaniche come ausilio per il miglioramento delle condizioni di vita umana e nei loro scritti ponevano anche i presupposti per un rinnovamento epistemologico più generale; in quest'epoca furono introdotti chiaramente dei nuovi valori culturali, come quello del progresso tecnico scientifico, che si presentava come una chiara espressione del dinamismo della società rinascimentale, e un nuovo approccio per lo studio e l'interpretazione dei fenomeni naturali a partire dalla loro esperienza (Rossi 1971, 68-102;Bernardoni 2011, 55-63;Nanni 2013, 18-9;Bernardoni 2020, 113-19).

Non è possibile qui ripercorrere questa storia, ampiamente studiata altrove, ma quello che è significativo sottolineare è come dall'epoca di Filippo Brunelleschi (1377-1446) a quella di Leonardo da Vinci (1452-1519), in circa ottanta anni, gli ingegneri si resero protagonisti di una notevole riqualificazione culturale, trasformandosi da professionisti che si esprimevano soltanto attraverso il risultato del proprio lavoro artigianale in autori di trattati che illustravano le proprie professioni (Galluzzi 1996, 11-8;. Trattati di architettura come quelli di Antonio Averlino detto il Filarete (1400 ca.-1469) e Francesco di Giorgio Martini (1439-1502), opere che riguardavano il mondo delle tecniche più in generale contenenti argomenti sia di carattere teorico che pratici e talvolta auto-celebrative come nel caso dei commentari di Lorenzo Ghiberti (1378-1455), i quaderni di bottega, sempre più articolati e complessi, come quelli di Bonaccorso Ghiberti (1451-1516) e quelli della famiglia di ingegneri Della Volpaia. Infine, il caso Leonardo, il quale pur non arrivando alla stesura completa di alcun trattato è l'unico ingegnere dell'epoca ad aver lasciato circa 4100 fogli vergati a mano, gran parte dei quali dedicati alle tecniche (Bambach 2007, 6).

Nella loro trasformazione da artigiani in autori di trattati, gli ingegneri rinascimentali svilupparono una dimensione intellettuale per le loro professioni facendo del disegno tecnico lo strumento attraverso il quale visualizzare sulla carta la tecnologia immaginata. L'invenzione della prospettiva e la messa a punto di altri espedienti grafici, come la rappresentazione in esploso e in trasparenza, permise agli ingegneri di visualizzare, isolare e studiare chiaramente gli elementi meccanici che costituivano le macchine (Galluzzi 2003;Kemp 1991). Nei loro trattati, prima manoscritti e poi a stampa, troviamo molta 'ingegneria speculativa', o 'sogni tecnologici' come talvolta è stata chiamata, la quale riflette in tutta la sua potenza quella tensione tra desiderio di innovazione e dimensio-ne effettiva del mondo delle arti e del lavoro. Possono essere lette in questa prospettiva, ad esempio, le macchine operatrici semoventi disegnate da Francesco di Giorgio Martini, il quale propone degli avveniristici carri con motore a manovella e avantreno sterzante equipaggiati con utensili agricoli come la zappa, l'erpice o l'aratro, immaginando quindi scenari in cui queste pesanti operazioni manuali avrebbero potuto essere eseguite da una macchina (Ms. 197.b.21[I.e.2], f. 5c2v, 23r). Molto significativa a tale proposito è il disegno di Mariano di Jacopo detto il Taccola (1381-1458 ca.), il quale, prima della metà del Quattrocento, raffigura una barca con un motore a pale e un primordiale 'sistema di guida autonoma' a fune che permette al barcaiolo di distrarsi mentre l'imbarcazione risale il fiume controcorrente (De ingeneis III-IV, f. 44v-45r). Questo tema della tecnica che allevia le fatiche dell'uomo può essere fatta risalire all'antichità ma è in epoca rinascimentale che emerge in tutta la sua portata innovativa sul piano dei processi di lavoro.

Nei manoscritti di Leonardo da Vinci la propensione all'automazione emerge con tutta la sua forza nei disegni di macchine. Queste, infatti, non solo migliorano le condizioni di lavoro e riducono notevolmente l'intervento dell'uomo nei processi operativi ma, in alcuni casi, cercano addirittura di sostituirsi integralmente alla forza lavoro umana, lasciando all'uomo il ruolo di controllore dell'azione svolta dalla macchina. Nell'ambito della lavorazione dei metalli, ad esempio, troviamo il disegno di una intagliatrice di lime automatica azionata da un motore a peso (Codice Atlantico, f. 24r), di un distendino multiplo con motore idraulico (Codice Atlantico, f. 67ar), un battiloro automatico, anche questo con motore idraulico (Codice Atlantico, 29r).

Significativo è anche il progetto di una trafilatrice idraulica per doghe di cannoni che Leonardo sviluppa probabilmente per risollevare le sorti del 'comparto industriale' delle armi in ferro saldato che, con l'avvento delle artiglierie di fusione, più precise, potenti e affidabili, era diventato obsoleto e antieconomico (Codice Atlantico, f. 10r; Bernardoni 2016). Tra tutti gli studi di macchine proposti da Leonardo il caso più emblematico per sottolineare la tensione e il disallineamento tra immaginazione tecnologia e capacità tecnica è certamente rappresentato dalla serie di studi sulle macchine tessili. Nei suoi manoscritti, infatti, troviamo macchine per la cardatura e per la cimatura della lana, filatoi multipli ad aletta mobile e, quello che forse è la congettura tecnologica più audace, un telaio automatico. Si tratta di una serie di macchine che non sembrano corrispondere con l'organizzazione dell'industria tessile dell'epoca che, a parte la follatura, era organizzata non in opifici ma in aree diffuse, basate su reti di piccoli proprietari di telai e filatoi gestite dai grandi imprenditori e commercianti del prodotto finito (Mane 2007, 186-91). La distanza massima tra ingegneria reale e immaginata emerge in tutta la sua problematicità e interesse in studi come quelli delle macchine volanti, nei quali Leonardo cerca di combinare gli elementi macchinali in modo tale da riprodurre la struttura meccanica del corpo degli uccelli per riprodurne artificialmente i movimenti.

Questi progetti mettono ancora di più in evidenza la funzione euristica del disegno e la consapevolezza da parte degli stessi ingegneri del valore episte-mologico del proprio metodo di ricerca. È proprio riferendosi al disegno che l'ingegnere senese Vannoccio Biringuccio (1480-1539?) sottolineava come tra i maestri delle arti e i semplici operatori tecnici esistesse uno scarto culturale determinato dal padroneggiare o meno le tecniche per la rappresentazione grafica (Galluzzi 2005, 254).

Et in fine considerando qual che questa arte sia [l'arte del fabbro]. Mi pare che tutto d'ogni sorte cosa consista in propria pratica, atteso che tali artefici sonno gente senza disegno, e li più gente rustica e grossa, e se sanno fare di una cosa non sanno fare de l'altra (Biringuccio 1540, f. 137r).

È stato suggerito come l'evoluzione culturale della quale furono protagonisti gli ingegneri abbia portato i suoi contributi non tanto nella storia della tecnica quanto nella storia delle idee poiché ed essi non si deve l'introduzione di nessuna innovazione tecnologica significativa (Mokyr 1990, 82). Tuttavia, una valutazione più completa dovrebbe contestualizzare questo contributo intellettuale non soltanto in relazione a quanto hanno scritto e disegnato nei loro quaderni o nei trattati che furono pubblicati ma anche a quanto effettivamente realizzato dentro e fuori dalle botteghe nelle quali molti di loro operarono. In tal senso si possono portare varie testimonianze; ad esempio quello dei fratelli Buonarroti che nel loro carteggio disquisiscono anche di problemi concreti come la tecnica migliore per la riparazione di una spada fratturata (Michelangelo 1965, 20-43). Non meno significativo l'esempio dell'attività di Lorenzo Ghiberti, il quale mentre era impegnato nella stesura dei suoi Commentari realizzò opere importanti e innovative dal punto di vista ingegneristico come le porte in bronzo del Battistero fiorentino. Gli ingegneri senesi Taccola e Francesco di Giorgio Martini rivestirono alcune cariche pubbliche, con il secondo anche 'Operaio dei bottini', occupandosi della progettazione, realizzazione e manutenzione dell'acquedotto cittadino (Galluzzi 1991, 15-42). Leonardo da Vinci ottenne invece da Ludovico Sforza duca di Milano (1452-1508) la commissione per un monumento equestre di dimensioni inaudite (alto sette metri per circa 70 tonnellate di bronzo) da realizzarsi con un metodo di fusione inedito; anche se non fu mai portato a termine, il progetto permise lo studio e la sperimentazione di una tecnica fusoria che si affermò in seguito come il metodo per fondere i 'colossi' (Bernardoni 2020, 98).

Le attività produttive che determinavano di fatto un progresso continuo nelle tecniche, furono caratterizzate da numerose 'micro-invenzioni' le quali però, non devono per questo essere considerate meno importanti delle cosiddette 'grandi invenzioni' delle epoche precedenti, come la staffa, il mulino, la polvere da sparo, la stampa a caratteri mobili e la bussola (Molà 2003, 988). Con il diffondersi sempre più capillare della tecnologia nella vita quotidiana, gli ingegneri si impegnarono nella ricerca di soluzioni tecniche innovative per rendere più produttivi i processi operativi e le macchine già esistenti. Questa attività di sviluppo, oltre a far progredire gli stessi processi operativi, andava di pari passo con la crescita e la dimensione culturale e sociale della conoscenza tecnica. Una crescita inarrestabile, questa, che durante il Quattrocento iniziò a porre il problema della proprietà intellettuale e della tutela dello sfruttamento delle invenzioni, un dibattito che culminò con l'apertura, a Venezia nel 1474, del primo ufficio brevetti pubblico (Berveglieri 2020, 36). L'invenzione veniva così ad assumere un valore economico sempre più alto poiché essa permetteva di aumentare le capacità produttive e quindi il benessere e la ricchezza dei singoli e delle comunità.

L'archivio di patenti veneziano, che attirava inventori da ogni parte d'Europa (Berveglieri 2020, 106-7), fu il compimento di un percorso iniziato ormai da tempo e che vedeva precedenti significativi risalenti alla prima metà del Quattrocento: ad esempio il caso del governo fiorentino che nel 1421 concesse a Brunelleschi il privilegio per lo sfruttamento di un battello anfibio, il cosiddetto Badalone, pensato per il trasporto di materiale da costruzione risalendo il non semplice corso del fiume Arno (Nanni e Vestri 2011).

Nel sottolineare l'affermarsi della mentalità progressista e la svolta verso l'automazione del lavoro durante il periodo rinascimentale sono rilevanti anche le attività di altri uffici tecnico amministrativi che gestivano le opere pubbliche come il caso dell'Opera del Duomo di Firenze nei cui archivi sono custoditi documenti che attestano lo studio di tecnologie sperimentali. Fra queste, i prototipi di carrucole multiple con ben 16 pulegge (AOSMF, inv. 2005/468;2005/467), i progetti di sistemi di sollevamento alternativi a quelli di Brunelleschi (AOSMF, II, 1, 84, c. 44v, stanziamenti) o il finanziamento per l'acquisto di materiali destinati alla costruzione di una macchina per il moto perpetuo (AOSMF, II, 1, 74, f. 30v, Deliberazioni). Quest'ultimo caso è assai significativo dato che le sue finalità esulano, per lo meno in prima battuta, da quelle della gestione di un cantiere edile (Bernardoni e Neuwahl 2023;Bernardoni 2019, 20-1). Nell'ufficio veneziano dei brevetti fino alla metà del XVI secolo si registrano 58 tipi di mulino, 1 telaio per la tessitura, 14 scavatrici, 9 pompe idrauliche, 3 forni di fusione, 5 tipi di fucine e sistemi di riscaldamento, 3 macchine per il moto perpetuo (Berveglieri 2020, 42-3).

Dagli scritti degli ingegneri emerge una mentalità progressista che prospetta la sostituzione della macchina alla forza lavoro manuale; le parole di Vannoccio Biringuccio che esaltano il lavoro collaborativo degli artigiani nelle botteghe, nelle quali si applicano le 'ingegnose verità', sottolineano come questi processi operativi costituissero la bellezza dell'ingegno e il potere dell'arte e mettono bene in evidenza come gli ingegneri fossero consapevoli che la crescita tecnologica passasse necessariamente da una riorganizzazione del lavoro. E per concludere chi ne faceva una cosa e chi ne faceva un'altra, tal che chi intraua in quella buttiga vedendo un trauaglio di tante persone credo che cosi gli paresse come pareua a me intrare in vno inferno, anzi in contrario in vn paradiso, doue era vn spechio in che resplendeua tuta la bellezza de l'ingegno; el poter del arte, et io tal cosa considerando mentre che stai in Milano con grandissimo mio piacere, non fu mai giorno che non v'andasse a passarmi il tempo un'ora o più, in nel qual fuoco non fu mai ch'io voltasse gli occhi ch'io non vedesse qualche ingegnosa nouità e bellezza d'esercitii. Per il che considerando l'ordine e la grandezza delle cose che per nuove mi si rappresentauano restauo tal volta tutto stupefatto (Biringuccio 1977, f. 20r).

Leonardo da Vinci è certamente l'ingegnere che nei suoi studi manifesta maggiormente questo atteggiamento di propensione verso la meccanizzazione del lavoro. Tra gli innumerevoli esempi che potrebbero essere portati, gli studi effettuati su probabile incarico di Cesare Borgia (1475-1507) per ottimizzare i lavori e stilare un preventivo per lo scavo di un canale tra la città di Cesena e il porto-canale di Cesenatico costituiscono un caso emblematico di quella che oggi chiameremmo 'ingegneria gestionale'. La documentazione in nostro possesso su questa vicenda è frammentaria; tuttavia, emerge chiaramente lo sforzo di Leonardo di abbattere i costi dell'opera attraverso una meccanizzazione integrale del cantiere (Bernardoni e Neuwahl 2015;2018).

Cesare Borgia chiede a Leonardo uno studio di fattibilità per un tipo di impresa tecnica che all'epoca era essenzialmente manuale, operata con utensili semplici come zappe e picconi; l'unica operazione eseguita con macchine era il sollevamento della terra asportata quando la profondità dello scavo era tale da rendere difficoltoso il trasporto manuale. L'operazione di scavo coinvolgeva un numero elevato di operai (braccianti) e la gestione del lavoro poneva problematiche che per certi versi erano assimilabili all'organizzazione di un esercito per una guerra. Leonardo, che assume l'incarico per questa consulenza nell'agosto del 1502, decostruisce il processo di scavo fino ad arrivare a quantificare il tempo e il costo necessario per asportare una singola palata di terra ed avere così gli elementi per redigere il preventivo. Leonardo inizia le sue considerazioni analizzando l'operazione di scavo che suddivide in una sequenza di tre operazioni (carico, rotazione del busto, scarico), ognuna delle quali da compiersi in un 'tempo armonico', unità di misura temporale che Leonardo descrive come la tremillesima parte di un'ora (1,2 secondi).

Un bono lavorante transmuta a durabile operazione 500 badilate di terra mossa per ora. Stando in mezzo infra 'l loco donde la leva, al sito dove la pone, la rimove per ispazio di braccia 6, pigliandola dinanzi a sé e gittandola dirieto alle sue spalle: che tra 'l mettere in 2 o in 3 sospinte il terreno sopra la pala e 'l preparar sé alla forza per fare el moto del gittarla e il gittarla e 'l tornare indirieto colla pala, fanno la somma di 6 tempi armonici; cioè 2 tempi in caricare il badile di terra con 2 sospinte o 3, un tempo tra 'l levare e storcersi con esso badile in contraria parte al loco dove la vol gittare, un tempo coll'onda che dà abbassando esso badile per levarelo con impito e fare il moto e gittare tale terreno, un tempo al ritornare esso badile indirieto e rimetterlo al primo offizio (Codice Atlantico, f. 650v).

A partire da questa quantificazione dell'unità di lavoro Leonardo calcola il tempo necessario per scavare un miglio di canale. Una squadra di sei spalatori che agiscono in successione continua è in grado, secondo Leonardo, di rimuovere le 27.000 canne cubiche di terra equivalenti allo scavo di un miglio di canale in 54.000 giorni (148 anni). I tempi possono essere accorciati aumentando il numero delle squadre di operai: con 2072 operai basterebbe un anno di lavoro, con 24.864 operai un solo mese. Considerando che un operaio costava 7 soldi al giorno, la spesa complessiva per un miglio di canale sarebbe stata di 37.000 ducati (Codice Atlantico, f. 517r; 650r; Bernardoni, Neuwahl 2018, 140). Gli studi successivi sono volti a organizzare gli spostamenti degli operai in modo da velocizzarne l'azione: Leonardo disegna decine di schemi, nei quali gli operai sono rappresentati da puntini identificati con le lettere dell'alfabeto (Codice Atlantico, f. 1028r), che descrivono i diversi possibili percorsi seguiti da questa colossale catena di lavoro umana.

Al passo successivo cambia completamente prospettiva: Leonardo immagina infatti un cantiere di scavo automatizzato nel quale l'impiego di operai è estremamente ridotto. Questa colossale 'fabbrica mobile', che talvolta è stata chiamata 'gru scavatrice', era in grado di rimuovere la terra e trasportarla sugli argini seguendo da vicino il fronte si scavo.

Quando la mia cassa l'è tirata su, essa se ne va per se medesima al suo sito, dove s'ha a scaricare. E quell'omo che per l'ordinario la tira in dirieto, fia quello che la vota col tirare una corda che la dischiava e nel medesimo tempo la rota volta intorno e tira il peso in alto e la cassa vota discende con prestezza in basso, dov'è subito scambiata da una cassa piena, e subito ripiglia il moto allo in su (Codice Atlantico, f. 1034r).

Secondo le stime di Leonardo l'adozione di tale macchina avrebbe consentito di ridurre il numero di operai da 2072 a 300 e arrivare a un risparmio percentuale del 40%, ovvero 21.600 ducati invece dei 37.000 preventivati per lo scavo manuale. Nel disegno di questa macchina (Codice Atlantico, f. 4r) sono omessi particolari importanti per capirne l'effettivo funzionamento, ma da altri disegni e note frammentarie è possibile ricostruire gran parte di questo sistema di scavo (Bernardoni e Neuwahl 2015).

A prescindere dall'esatta ricostruzione di questo 'sogno tecnologico', quello che è interessante notare è la grande fiducia che Leonardo riponeva nella meccanizzazione del lavoro, un atteggiamento che riflette in pieno la mentalità progressista del suo contesto storico, caratterizzato da imprese tecnologiche eclatanti, come ad esempio la costruzione della cupola di Brunelleschi a Firenze, capaci ancora oggi di destare stupore. In definitiva quindi l'opera degli ingegneri del Rinascimento, materiale o speculativa che sia, deve essere considerata come il risultato di un radicale rinnovamento della conoscenza tecnica in atto all'epoca, espressione di una società nella quale l'invenzione e la sfida tecnologica erano sempre più pervadenti e sulle quali si stava progressivamente consolidando quella cultura materiale che rappresenta una svolta verso la modernità.