PARTE QUINTA
Cultura materiale e tecniche dell’età del Bronzo
Capitolo_12
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Irene Caldana,* Emanuele Lant,*# Roberta Busato,* Massimo Vidale*
Riassunto
Il Capitolo raccoglie i risultati delle analisi sulla tecnologia di manifattura dei vasi della Terramara.
In un totale di frammenti vascolari rinvenuti (circa 30,000 reperti per più di 800 kg di peso totale),
sono stati selezionati per lo studio 256 casi in quanto diagnostici dal punto di vista tecnologico. Sono
descritte, oltre alle più conosciute tecniche di produzione e modificazione (pizzicatura, costruzione
a cercini), alcune scelte tecnologiche almeno apparentemente meno comuni: lo stampaggio del corpo delle tazze carenate, la costruzione a doppia masserella di alcuni vasi in impasto grossolano, e la
battitura mediante percussione con incudine, per forme a profilo arrotondato. Queste tecniche sono
state riconosciute sia mediante indagine autoptica sia radiografica. Si osserva come le diverse tecniche potevano combinarsi fra loro nello stesso vaso. Inoltre, con analisi statistiche (costruite intorno
alle tre variabili di altezza e spessore dei cercini e diametro del vaso in corrispondenza del cercine), gli
autori definiscono la variazione e l’adattamento di parte di queste tecniche alle differenti classi morfologiche, provando a ipotizzare il relativo grado di esperienza e l’intento progettuale necessari per
padroneggiare la costruzione dei contenitori. Sono oggetto d’analisi anche le tipiche tazze carenate
terramaricole con anse cornute, per la sequenza costruttiva delle quali è ricostruita analizzando le
tracce osservabili dalle radiografie. Infine, si presta attenzione ad alcune tazze cornute di dimensioni
minori e foggia meno precisa, probabilmente fatte da giovani apprendisti, valutando le implicazioni
sociali e tecniche del caso.
Abstract – A new look to the ceramic technology of the terramare
The ceramic technology of the terramare sites has been often described as poor, simple, stagnating,
very conservative and depressingly limited to “hand forming”. In contrast, by combining visual and
tactile observations of potsherds, a systematic attention to discontinuities on surfaces and on fractures,
x-rays imagery, thin section petrography, and simple statistics, the study propose a new understanding
of this craft, that left little to aesthetics and much to quite rational techno-economical choices. The
excavation of the hut-cum-workshop in Trench B provided tools, waste products and the residual
evidence of a kiln in which high temperatures were obtained. In terms of base materials, the Pilastri
pottery was mainly tempered with grog. However, it was found that different kinds of grog were used for
different products; for the fine grey carinated bowls, see Chapter 13. Other important results concern
a noticeable widening of the range of the known pottery forming techniques. First of all, a distinctive
square imprint on the outer base of some restricted forms provides evidence of the use of a hand
powered wooden wheel. Second, the authors may confirm that most of the fine carinated bowls were
made by molding the lower body, after which two to three coils were added (still on the mold and wheel)
and thinned by rotation to form shoulder and rim. This particular chaîne opératoire seems to have been
more repetitive and standardized than others on record. Coil building, too, seems to have involved
* Dipartimento dei Beni Culturali, Università degli Studi di Padova.
# P.eT.R.A. soc. coop., Padova.
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Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
a more careful planning for larger restricted containers, and a less specialized know how for smaller
and open forms. While coil building and expedient shaping on the wheel were the largely dominant
forming techniques, a few vessels were built with a double sequential slab construction process. As the
two techniques are functionally identical, the second one reflects a purely isochrestic cultural pattern,
whose significance remains unknown. Moreover, it is certain that some forms were slightly enflated to
a partial convexity by a paddle and anvil process. Smaller pots with a rounded body were simply made
by pinching. Finally, going back to the fine grey ware carinated bowls, the authors recognize two basic
levels of technical competence in the same basic pottery type. On various terms of evidence, they link
the less skilled procedure, used for smaller bowls, to young apprentices, and hypothesize that their
training followed “scaffolded” programs, in which children were closely followed and instructed by
adults in technical tasks of growing difficulty.
In the Appendix, the authors report how they involved a group of students of the University of Padova,
without any previous experience, in an experiment aimed at replicating the manufacturing sequence
of fine ware carinated bowls with “horned” vertical handles. The replicative study was carried out
at the LASeRT (the experimental laboratory lab of Padova’s Department of Cultural Heritage). A
particular aim was to understand better the molding process and precisely how the coiled upper
part of the bowls was joined to the molded bottom. The experiments made abundantly clear how
difficult it is to make the lower body with a free-hand coiling process (even more when bowls have a
“umbilicate” base), and how simple it is, in contrast, to do it with a mold. Molds, in fact, might have
been important in the craft apprenticeship processes. Of course, they need to be porous to allow
a fast detachment of the lower body (we tried with success terracotta and unbaked clay ones, but
probably also wooden ones would have worked well). The Appendix shows the possible techniques
for joining the two parts, and their material results, some of which fit quite well with what observed in
the archaeological ceramics.
1_Introduzione
In questo Capitolo si cercherà di spiegare, per mezzo dello studio delle tecniche di
formatura dei principali tipi di contenitori
usati e, almeno in buona parte, prodotti nel
villaggio, come i vasai del laboratorio del
Saggio B costruissero i loro vasi. Qual era
il livello delle conoscenze tecniche e quale
livello di abilità possedevano i vasai? I loro
prodotti erano fabbricati da individui esperti, che lavoravano per l’intera comunità, o si
trattava di produzioni occasionali relegate
all’interno dell’ambito familiare? Le tecniche
di costruzione dei vasi erano standardizzate,
cioè molto ripetitive e uniformi perché tutti
lavoravano – e insegnavano a lavorare – allo
stesso modo, oppure è possibile riconoscere variazioni dovute all’età, al genere o, più
semplicemente, a diverse tradizioni imparate
dagli apprendisti in giovane età, magari in
luoghi diversi?
Come si può facilmente immaginare, sono
domande tanto intriganti quanto di difficile
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risposta. Il Capitolo mostra tuttavia come
sia possibile raccogliere alcuni indizi relativi
all’organizzazione del lavoro e addirittura,
forse, alle procedure di apprendistato dei
bambini che, da adulti, avrebbero creato i
propri prodotti; il testo mostra, di conseguenza, come sia possibile avanzare qualche
ipotesi su specifici aspetti dell’organizzazione sociale complessiva della comunità della
Terramara di Pilastri.
In letteratura si sono spesso affacciate
narrative semplicistiche e sbrigative, nelle
quali alla tecnologia ceramica del BM e del
BR nella penisola italiana si attribuisce un
livello tecnico relativamente modesto. Tale
tecnologia viene descritta, implicitamente
o in modo esplicito, come poco propensa
alle innovazioni, non specializzata e gestita
esclusivamente a livello domestico. Si tratta,
secondo gli scriventi, di preconcetti errati,
sostenuti soltanto dalla prolungata mancanza di attenzione e di studi specifici. I vasi delle
terramare (con l’eccezione, certo, delle tazze
carenate con le anse sopraelevate a forma
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
di corna) possono apparire grezzi e poco
attraenti, se paragonati a successive produzioni ceramiche dell’età del Ferro e delle età
storiche, ma si deve sempre pensare che una
cultura o una civiltà che non perdeva troppo
tempo ad abbellire e decorare vasetti probabilmente aveva cose più urgenti e interessanti da fare e obiettivi più seri o impellenti da
perseguire.
Se si ipotizza che disegni, decorazioni
e particolari applicazioni plastiche sui vasi
comunicassero visivamente altrettanti messaggi sull’identità e sui gusti di particolari
artigiani e gruppi di utenti, la ceramica della
Terramara di Pilastri, da questo punto di vista, è singolarmente semplice e quasi “austera”: la rarità di elaborate espressioni grafiche
ed estetiche sulla ceramica usata nel villaggio (con qualche significativa eccezione, vedi
Capitolo 16) potrebbe essere stata dovuta
a una certa omogeneità e compattezza del
corpo sociale indigeno. Tuttavia, non solo lo
stile di una parte dei vasi è, come anche in altre terramare, influenzato da modelli estetici
della produzione del territorio tosco-emiliano (lo stile detto Grotta Nuova, vedi Volume
1, Capitolo 9), ma anche si colgono, nelle tecniche di costruzione di parte dei contenitori, delle variazioni che, nella forma finale del
vaso prodotto, sono in larga misura invisibili.
Questo ricorda che, per gli archeologi
come per gli antropologi, ciò che conta non
sono tanto le immagini di “identità” delle società o delle “culture”, solitamente costruite
dall’esterno in modo del tutto artificiale (e
spesso per scopi puramente politici), quanto
gli indizi dovuti alle differenziazioni interne,
che sono il vero motore di quel bagaglio cognitivo e sperimentale che elabora il cambiamento culturale, quindi della convivenza,
dell’adattamento e della sopravvivenza delle
stesse società. Poiché infatti l’ambiente cambia in continuazione (e con esso l’economia),
tecnologie uniformi e compatte, che cancellano anomalie, differenze ed alternative tecniche, hanno minori possibilità di superare
1
con successo momenti di difficoltà e transizione rispetto ad altre più aperte e composite.
Il presente studio si è basato sull’osservazione autoptica di circa 800 kg di pezzi di
ceramica dell’età del Bronzo, corrispondenti
approssimativamente a più di 30.000 frammenti raccolti. All’interno di questa popolazione, 256 frammenti sono stati selezionati, in
quanto meglio conservati, per lo studio della
costruzione a cercini (la tecnica di formatura di gran lunga più comune nella ceramica
grossolana, che rappresenta all’incirca l’80%
del totale dei casi; il resto è formato da frammenti di vasi in ceramica fine). L’osservazione
dei 256 frammenti, a sua volta, ha permesso
di descrivere in dettaglio e di misurare 448
cercini individuali, misurazioni che sono state
poi impiegate nelle elaborazioni statistiche
(vedi paragrafi 2.4 e 6). L’analisi radiografica è
stata effettuata su 18 frammenti di ceramica
grossolana e fine, ciascuno dei quali ripreso
da più angolature per cercare punti di irradiazione diagnostici.
Attraverso la classificazione tipologica
delle forme, l’osservazione visuale, tattile e
a luce radente di diverse evidenze tecniche
sulla superficie dei frammenti, coadiuvata
dalla scansione laser 3D delle stesse superfici, l’analisi statistica di diversi parametri tecnici leggibili dai cocci, osservati anche mediante analisi radiografiche, e il riferimento
a quanto così si apprende alle prime analisi
petrografiche degli impasti argillosi utilizzati (vedi Capitolo 13), si arriva a confutare
qualche narrativa “primitivista” prodotta in
passato. Infatti, oltre alla conferma dell’uso
di un’efficiente tecnica di stampaggio per la
fabbricazione delle tazze carenate (scoperta
già avvenuta 30 anni fa grazie a radiografie
RX1 ma mai seriamente considerata dagli
studi successivi), a Pilastri si è dedotto che
alcune catene operative impiegavano ruote
da vasaio già dal XV-XIV secolo a.C. (e quindi
che il tornio non fu necessariamente “copiato” o ri-adattato da quello usato dai vasai mi-
Cazzella et al. 1991.
49
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
cenei e delle comunità del sud della Penisola). E – nell’anticipare i punti i più salienti della
ricerca – è anche apparso chiaro che l’uso del
cocciopesto come degrassante, per limitare
il ritiro e irrobustire la materia prima, non era
una grezza applicazione tecnica indifferenziata, ma seguiva alcune regole ben precise,
ben adattate e funzionali alla produzione di
diversi tipi di vaso.
2_Metodi di studio
2.1_Classi morfologiche2
Per convenienza, le ceramiche della Terramara di Pilastri, come quelle di altri centri coevi, possono essere empiricamente suddivise in cinque macro-gruppi tipologici: tazze,
olle, scodelle, scodelloni e dolii; suddivisione sicuramente un po’ semplicistica rispetto
alla varietà e alla complessità delle forme ceramiche presenti a Pilastri, ma utile per un’analisi tecnologica differenziata. I frammenti
di vaso, numerati progressivamente, sono
poi stati ordinati in tabelle realizzate con
Microsoft Excel 2016, indicando per ogni
frammento il numero di cercini conservati,
altezza e spessore medio dei cercini, diametro alla bocca, diametro all’espansione massima, diametro interno al singolo cercine3 e
US di provenienza. Le tabelle sono state il
punto di partenza per l’elaborazione statistica e la ricerca di correlazioni tra le principali
misurazioni.
I cinque macro-gruppi sopra citati sono
stati suddivisi seguendo un criterio dimensionale (variazione nel diametro alla bocca,
spessore delle pareti) e in base a caratteristiche formali e tecniche di seguito brevemente
descritte:
Dolii, vasi di grandi dimensioni, con un
diametro alla bocca che supera i 40 cm.
Hanno un impasto grossolano, molto ricco di degrassante (in larga misura cocciopesto), di dimensioni spesso superiori al centimetro, sia rotondeggiante che
angolare (a seconda dell’intensità della
macinazione e del tempo speso nell’operazione). Lo spessore delle pareti supera
sempre il centimetro. Spesso presentano
cordoni applicati a formare delle semplici
fasce orizzontali o, molto più raramente, a
formare dei disegni geometrici, in genere
poco conservati. In alcuni casi hanno delle
prese a bugna;
• Olle, forme globulari e chiuse, presentano
un impasto da medio a grossolano, ricco
di degrassante ben triturato, di dimensioni variabili da pochi millimetri fino ad un
centimetro, sia rotondeggiante che angolare. Gli spessori delle pareti sono prossimi al centimetro. Possono presentare
anse, bugne e, spesso, cordoni localizzati
nell’area del collo. I dati indicano che rarissime erano le decorazioni;
• Scodelle, forme molto aperte a profilo
troncoconico o emisferico, con le pareti
fortemente inclinate verso il fondo. Presentano un impasto medio-grossolano,
ricco di degrassante di dimensioni dell’ordine di alcuni millimetri, sia rotondeggiante sia a spigoli vivi. Lo spessore delle pareti nella maggior parte dei casi è inferiore o
uguale al centimetro. Talvolta le scodelle
possono presentare un orlo rientrante. Le
decorazioni che si vedono su queste forme sono per lo più cordoni plastici di argilla applicati per semplici fasce o a formare dei disegni geometrici, a volte arricchiti
da impressioni (impronte di dita, unghie o
tracciate mediante spatole) che si possono ritrovare anche presso l’orlo. Possono
•
Lo studio crono-tipologico delle ceramiche di Pilastri è stato seguito da Elisa Dalla Longa; le va un sentito
ringraziamento per il continuo aiuto e il controllo del lavoro di Roberta Busato e Emanuele Lant, membri di
questa équipe.
3
I diametri sono stati dedotti ricavando la curvatura originale della parte interna del contenitore mediante
pettini sagomatori e la ricerca geometrica del raggio.
2
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Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
avere anse o, più frequentemente, prese
a bugna allungata. Il diametro alla bocca
tendenzialmente non supera i 25 cm;
• Scodelloni, forme aperte a profilo troncoconico, simili alle scodelle, ma con altezza media e diametro maggiori. Hanno un
impasto grossolano, ricco di degrassante
di dimensioni a volte dell’ordine del centimetro, sia rotondeggiante che a spigoli
vivi. Lo spessore delle pareti generalmente supera il centimetro. Talvolta possono
presentare un orlo rientrante, il che rende
i frammenti di questa classe non sempre
distinguibili da quella dei dolii. Le decorazioni che interessano queste forme sono
per lo più cordoni plastici di argilla applicati per semplici fasce o a formare, come
negli altri casi, degli elementari disegni
geometrici, a volte arricchiti da impressioni (anche sugli orli). Possono avere anse o,
più frequentemente, prese a bugna allungata. Il diametro alla bocca è compreso
tra i 25 e i 30 cm;
• Tazze, forme aperte, di dimensioni molto
variabili (diametro alla bocca che può variare da 8 cm fino a 25-30 cm), realizzate
con un impasto fine con pochissimi inclusi visibili, di regola inferiori al millimetro.
Gli spessori delle pareti sono dell’ordine di alcuni millimetri, hanno spesso una
forma carenata con anse sopraelevate e
bugne; raramente presentano decorazioni plastiche o incise. Le tazze provenienti
dal sito di Pilastri rappresentano una classe ceramica particolarmente importante,
in quanto erano fabbricate, nella grande
maggioranza dei casi (circa l’85% del totale) con una tecnica composita: il corpo del
vaso a stampo, mentre dal punto d’angolo
della carena in su era modellato a cercini.
Il 20% del campione analizzato non ha una
forma complessa con carena, ma è a pro-
filo emisferico semplice, realizzato interamente a stampo. Si discuterà in maniera
più approfondita di queste tecniche nei
paragrafi successivi.
2.2_Disegno e diagnosi tecnologica
L’analisi tecnologica ha avuto inizio con
l’osservazione diretta dei materiali (a luce
diffusa, radente e in modalità tattile) e la
successiva rappresentazione grafica. Il disegno in questo caso, non riporta soltanto
informazioni riguardanti forma, attributi e
dimensioni finali dei vasi, ma, in quanto “disegno tecnologico”, interpreta e sottolinea,
soprattutto nella sezione del coccio, aspetti
relativi alla formatura4 e alla costruzione del
vaso: l’identificazione delle giunzioni tra cercini e la forma di tali giunzioni; la variazione
dello spessore delle pareti; in qualche caso,
il tipo di cocciopesto unito all’impasto e le
tracce involontarie che il processo di formatura lascia sulle superfici del vaso, come
digito-pressioni o impronte di oggetti. Le
radiografie ci hanno permesso di controllare e, in certa misura, di estendere la forma
e l’andamento dei cercini all’intero corpo del
frammento studiato.
2.3_Radiografia RX
Le radiografie sono state realizzate presso il centro diagnostico medico Pantamedica
(Fidene, Roma) dal capo tecnico radiologo
Sergio Di Pilato, cui va un ringraziamento di
cuore. È stata usata l’attrezzatura Metaltronica Compact Mammo XF, normalmente adibita a mammografie, in quanto tecnica messa
a punto appositamente per rilevare micro-discontinuità dei tessuti, anche graduali, e det-
In questo contributo è stato preferito il termine “formatura” al più comune “foggiatura”: le due parole in
letteratura hanno spesso significato analogo, ma in questo contesto il termine “foggiatura” è stato convenzionalmente associato al procedimento di costruzione vascolare che prevede l’uso del tornio. Per l’approccio generale, è stato preso come riferimento il volume di Sara Levi (2010), che ha segnato una vera pietra miliare negli
studi del settore.
4
51
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
tagli strutturali anche minimi.5 Sono stati adottati i seguenti parametri: corrente elettrica 20
mA (milliampere) e potenziale elettrico 30 kV
(Kilovolt). La scelta del valore del potenziale
elettrico è derivata da una serie di tentativi
empirici su un pezzo del campione, che è stato sottoposto a raggi RX di potenziali elettrici diversi (Figura 12.1): la leggibilità delle micro-strutture interne al frammento migliora
all’aumentare del potenziale elettrico stesso.
Figura 12.1. Serie di tentativi empirici per la scelta del potenziale elettrico: a. 23 kV – 16 mA; b. 25 kV –
16 mA; c. 28 kV – 16 mA; d. 30 kV – 16 mA (da ricerca di Busato 2017).
Per ogni frammento di tazza non piano o
sub-piano (in primis i frammenti di tazza con
ansa sopraelevata) si è cercato di ottenere
una radiografia in visione sia frontale, sia laterale, sia obliqua, al fine di trarre il maggior
numero di informazioni possibili. Esposizione
e contrasto delle radiografie originali sono
state in seguito modificate con il programma
Adobe Photoshop CC 2017, al fine di mettere in evidenza al meglio le transizioni di fase
interne più significative. Si è poi intervenuti
graficamente con Photoshop al fine di segnalare tutti i dati ritenuti rilevanti ai processi costruttivi direttamente sulle radiografie,
secondo una metodologia già sperimentata
in precedenti ricerche.6 Nelle immagini che
illustrano le informazioni così raccolte, alla
radiografia originale (a sinistra) è accostata
(a destra) la stessa immagine caratterizzata, però, con semplici tratti in colori diversi,
a seconda della natura delle discontinuità
osservate. Tale metodo consente sempre di
controllare sull’originale fonte di informazio-
5
6
52
ne le interpretazioni proposte; risulta inoltre
di più immediata e facile applicazione rispetto a quello in Levi (1997) e Amadori et al.
(1996), dove si disegnavano integralmente le
discontinuità viste in radiografia secondo codici grafici standardizzati.
I parametri interpretativi adottati e la relativa resa grafica in diversi colori possono
essere riassunti come segue:
• bianco: brusche transizioni di densità;
• verde: vuoti, porosità;
• rosso: micro-fessurazioni radiali di compressione;
• magenta: linee di stress e trazione;
• arancio: digitopressioni;
• giallo: interfacce di parti applicate.
Nell’analisi dei frammenti ogni radiografia
è accompagnata, oltre che dalla sua caratterizzazione grafica, da una breve descrizione
dell’impasto, con il colore della superficie
esterna e quello dell’impasto stesso secondo
la Munsell Soil Color Chart (1998), e dall’interpretazione della texture della radiografia
Per un quadro più esaustivo della metodologia si veda Berg 2008.
Provesi 2015; ricerca di Busato 2017; ricerca di Lant 2017-2018; Lunardon et al. 2018.
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
stessa. Quest’ultima operazione è stata condotta simultaneamente all’analisi autoptica
del frammento, passo imprescindibile per
l’interpretazione delle immagini radiografiche. Lo studio è stato condotto in modo dinamico, in quanto le radiografie sono state
sottoposte a continui ingrandimenti e riduzioni (funzione zoom) per visualizzarne e documentarne meglio i dettagli.
Mentre lo studio radiografico delle ceramiche grossolane rivela strutture non di rado
complesse, circonvolute e a volte problematiche, ma quasi sempre ben leggibili, l’interpretazione delle immagini ottenute per le
tazze carenate è risultata molto più difficile,
sia per l’alta qualità e la grande cura impiegata in antico nella manifattura di questi vasi, sia
per la complessità stessa delle forme studiate. L’impasto usato per fabbricare le tazze è
infatti molto compatto e omogeneo, con pochissimi vuoti, a causa della finezza delle polveri di cocciopesto impiegate (vedi Capitolo
13), ma anche a causa della cottura ad alte
temperature, della mancanza di inclusi vegetali e dell’accuratezza con cui le parti applicate sono state saldate alla parete del vaso.
2.4_Elaborazioni statistiche
Si è cercato di stabilire se alla base della
manifattura – nel corso del montaggio dei
vasi, cercine su cercine – vi fossero delle regole ben codificate o se invece vi fossero dei
gradi variabili di libertà tecnica. Altra domanda era se la fabbricazione di vasi di tipo e forma diversa comportasse la preparazione di
cercini di dimensioni diverse (nell’ipotesi che
la traccia residua del cercine nel vaso dopo
la cottura riflettesse almeno in parte le forme
e le dimensioni dei cercini plastici originali).
Sono state quindi prese in esame tre variabili, rilevate solo su cercini interamente con-
servati in altezza, ed evitando di considerare
il cercine di rifinitura dell’orlo (sempre di dimensioni ridotte, circa 1/3, rispetto agli altri
cercini).7
1. altezza dei cercini: corrisponde alla distanza tra una giunzione e quella immediatamente successiva. Si misura in linea
retta e in posizione mediana, ovviando in
questo modo il più possibile alle distorsioni dovute alla forma delle giunzioni. Le variazioni della curvatura delle pareti sono
state considerate trascurabili in quanto i
punti di maggior curvatura delle pareti,
per questioni pratiche e tettoniche, coincidono solitamente con giunzioni fra cercini. È infatti preferibile ottenere una linea
curva sommando i segmenti di più cercini
piuttosto che curvare un singolo cercine;
2. spessore dei cercini: si tratta della misura
dello spessore della parete in corrispondenza di ogni singolo cercine. In alcuni
casi è stata sperimentalmente rilevata la
variabilità di questo parametro sullo stesso cercine ed è stato calcolato un valore
medio da utilizzarsi nell’analisi complessiva. Nelle misurazioni sono stati evitati i
punti in prossimità di applicazioni plastiche (cordoni, anse o prese), in quanto ritenute deformanti della struttura originaria
del cercine;
3. diametro del vaso in corrispondenza dei
singoli cercini: misura del diametro del
vaso rilevata circa a metà altezza del cercine, internamente.
Queste variabili sono state messe in relazione fra loro analizzando i seguenti rapporti
(Figura 12.2):
• altezza del cercine/spessore del cercine;
• spessore del cercine/diametro del cercine;
• altezza del cercine/diametro del cercine.
Le analisi statistiche sono state effettuate
tramite il package R versione 4.0.2.8
Per i primi due rapporti restano valide le
La medesima “regola tecnica” sembra sopravvivere immutata nelle tecniche di fabbricazione dei vasi nel
più tardo sito protostorico di Castion di Erbé (VR): Lunardon et al. 2018.
8
R Core Team (2020), R: A language and environment for statistical computing. R Foundation for Statistical
Computing, Vienna, Austria. URL https://www.R-project.org/.
7
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Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
possibili interpretazioni elaborate in Lunardon et al. (2018), che aveva per oggetto la
produzione ceramica del sito di Castion di
Erbè (VR, VII secolo a.C.). Rispetto al precedente studio, che considerava lo spessore
medio delle pareti, per l’analisi delle ceramiche della Terramara di Pilastri si è preferito lo
spessore del singolo cercine. Questa scelta
è basata sulla volontà di indagare se vi fosse una progettualità nella scelta di spessori
e altezze dei singoli cercini in funzione della
variazione del diametro. Il campione è composto per la maggior parte da frammenti
relativi all’area superiore del corpo del vaso
fino all’orlo, in quanto uniche parti in cui era
riconoscibile la classe morfologica di appartenenza. Le parti basali o le semplici pareti, in
assenza di informazioni diagnostiche o andamenti significativi del profilo, non sono state
prese in considerazione.
2.5 Le principali tecniche di formatura dei
vasi
Il record ceramico del sito della Terramara
di Pilastri presenta notevoli variabilità e flessibilità nei modi usati per la fabbricazione dei
vasi ed è chiaro che, in alcuni casi, tecniche
completamente diverse sia sul piano della
materialità sia su quello cognitivo concorrevano, in diversi passi delle catene operative,
alla fabbricazione degli stessi tipi di vaso.
Con riferimento alla terminologia general-
Spessore
Figura 12.2. Schema ipotetico-deduttivo (disegno E.L., rielaborato da Lunardon et al. 2018, p. 38).
54
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
mente adottata in letteratura specialistica
più aggiornata,9 sono state individuate le
tecniche della costruzione a cercini, quella
a doppia lastra (che può essere considerata
una variante della famiglia della costruzione
a masserelle o sequential slab construction) e
la formatura a stampo (con varianti che verranno discusse in seguito, che prevedevano
con ogni probabilità anche l’uso del tornio);
si sono riconosciute anche tracce di battitura,
come tecnica di modificazione secondaria,10
e alcune tecniche di decorazione e rifinitura
delle pareti.
2.5.1_Costruzione a cercini
Quella a cercini o a colombini (Figura 12.3)
è la tecnica di costruzione dei vasi di età
pre-protostorica più famosa e, di certo, la più
frequentemente riprodotta e visualizzata in
sede di archeologia divulgativa. Come noto,
essa si basa sulla pre-formatura seriale di
strisce o cordoni di argilla allo stato plastico
molto allungati, a sezione circolare, poi sovrapposti e uniti mediante vari tipi di innesto
e deformazione con la pressione delle mani.
La sezione dei cercini, dopo essiccazione,
cottura e frattura delle pareti del vaso, può
idealmente presentarsi più o meno arroton-
data o allungata da trazione e/o compressione; i cercini potevano essere accostati e saldati gli uni agli altri in senso orizzontale, sotto
forma di segmenti di limitata lunghezza, oppure essere modellati in singoli anelli completi o quasi. I cercini venivano sovrapposti
verticalmente; molto più raramente (ma mai,
per quanto si sa, a Pilastri) facevano parte di
un’unica spirale di argilla. Più i cercini erano
lunghi, meno giunzioni erano necessarie e
più solida risultava la struttura del vaso. Ogni
giunzione allo stato plastico, infatti, creava
potenzialmente sul prodotto finito dei punti
critici, dove le pareti risultano più facili a fratturarsi. Nella ceramica grossolana/domestica di Pilastri, come in tante altre produzioni
ceramiche parzialmente simili, i vasi costruiti
a cercine tendevano a frantumarsi in frammenti più o meno rettangolari e spesso con
margini di frattura scalariformi, che rimettono in luce, a tratti, la geometria delle originarie superfici di applicazione dei cercini.
Si può immaginare che il diametro originario del cercine in stato plastico fosse il
doppio, se non addirittura di più, rispetto
allo spessore desiderato per le pareti del
vaso. In molti casi si univano i cercini applicando sulla superficie di giunzione delle stesure di argilla fine fluida chiamata barbottina (slip). Una volta sovrapposti l’uno all’altro,
Figura 12.3. Ricostruzione grafica di
un’olla costruita con la tecnica a cercini
(disegno I.C.).
9
Levi 2010, in particolare pp. 81-97.
Lunardon et al. 2018, p. 25.
10
55
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
essi venivano gradualmente assottigliati e
sollevati verso l’alto con movimenti verticali
e digito-pressioni ritmiche e gradualmente
ripetute. Questa operazione aveva anche la
funzione di aumentare la coesione tra le varie
parti assemblate e di rafforzarne le giunzioni.
Nel caso di vasi di medie-grandi dimensioni,
in corrispondenza di punti critici del profilo
– in primo luogo, all’altezza del punto di inflessione principale del contorno – era necessario lasciar asciugare e consolidare la parte
già assemblata prima di procedere con l’aggiunta di ulteriore materiale per evitare che
la parte inferiore collassasse sotto un peso
eccessivo. Tali soste costruttive assumevano
un ruolo tanto più critico quanto le dimensioni del vaso, e con esse il peso dell’argilla
manipolata, aumentavano.
Generalmente i vasi realizzati con questa
tecnica si presentano robusti, con uno spessore superiore almeno a mezzo centimetro,
ricchi di degrassante e con porosità larghe
e diffuse, che si addensano nei punti e lungo le superfici di giunzione. Queste caratteristiche li rendevano particolarmente adatti
all’esposizione al calore sia quando venivano
Figura 12.4. Tipologia delle forme di
giunzione tra cercini osservati in sezione (disegni I.C.).
56
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
cotti sia, presumibilmente, quando venivano
utilizzati per la cottura del cibo.
Durante il disegno e la classificazione dei
frammenti sono stati riconosciuti dei tipi ricorrenti di giunzione fra i cercini, così classificati e rappresentati in modo semplificato
nelle sezioni della Figura 12.4.11
Naturalmente la Figura 12.4 esprime la variabilità delle giunzioni come essa si osserva
nelle fratture verticali/oblique dei frammenti
e non esprime possibili variazioni, meno evidenti, che interessavano invece le modalità
di giunzione dei cercini in senso orizzontale,
visibili con ben maggior incertezza in radiografia. Un modo ricorrente di saldare tra loro
i cercini era quello di ricavare sulla superficie
del cercine inferiore un’interfaccia ondulata
(“a treccia”, Figura 12.5): l’espediente aveva
il risultato di aumentare in senso assoluto le
superfici di adesione, aumentandone quindi l’aderenza al cercine superiore. A volte le
fratture orizzontali, nei frammenti di ceramica grossolana, espongono superfici di questo genere. Le interfacce ondulate, in realtà,
Figura 12.5. Olla con impronte di dita
lungo la giunzione fra cercini: a. disegno archeologico del frammento; b.
foto del frammento in prospetto, le
frecce indicano le impressioni lasciate dalle dita del/della vasaio/a; c. foto
della giunzione vista in frattura, le ellissi gialli indicano le impressioni lasciate
dalle dita del/della vasaio/a (disegno e
foto I.C.).
Le sezioni dei cercini disegnate in tabella illustrano categorie morfologiche di massima; nella realtà della
classificazione delle ceramiche della Terramara di Pilastri, ogni singolo cercine, se osservato in dettaglio, può
variare anche significativamente da punto a punto, e in particolare nei punti di contatto orizzontale, alla stessa
quota del vaso. Ciò ha reso spesso difficile attribuire la forma dei cercini a uno o all’altro tipo.
11
57
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
potrebbero evidenziarsi, in sezione, come
uno qualsiasi dei tipi esemplificati nella Figura 12.4.
2.5.2_Costruzione a doppia lastra
La tecnica a doppia lastra era simile a
quella a cercini appena descritta, con la differenza che, al posto di un singolo cercine
da appiattire e stirare verso l’alto, essa prevedeva l’uso di una doppia serie di strisce
appiattite, applicate con cura l’una sull’altra
a formare lo spessore della parete del vaso
(Figura 12.6). La tecnica a doppia lastra è
stata riconosciuta in un numero piuttosto
esiguo di frammenti di vasi. Considerando
il totale dei reperti studiati, su cocci con sezioni ben riconoscibili in frattura verticale,
13 (corrispondenti al 6,3% del totale) presentano i segni della tecnica a doppia lastra.
Se si escludono le tazze, per le quali non è
attestata, la tecnica ricorre sporadicamente in vasi appartenenti a tutti i restanti tipi
morfologici. Né l’uso della tecnica sembra
corrispondere a quello di particolari tipi di
impasto (non sono infatti state riscontrate,
nei vasi così costruiti, variazioni in dimensioni e forma del cocciopesto, che vi appare
sia a spigoli vivi, sia arrotondato). La scelta
tecnica, in questo caso, sembrerebbe quindi
dettata da fattori puramente culturali.
Così come i cercini, anche le masserelle
presentano una certa variabilità dimensionale, che sembra condizionata più che altro
dalle forme e dalla grandezza finale del vaso.
Gli spessori delle singole masserelle rientrano in un range compreso fra un minimo di
0,3 e un massimo di 1,1 cm, mentre le altezze
variano fra gli 1,5 e i 5,5 cm. Le masserelle
accoppiate hanno più o meno le stesse dimensioni. Nei rari casi in cui sulle stesse superfici di frattura erano visibili più coppie
sovrapposte di lastre, si è osservato che la
tecnica veniva impiegata per tutta la parete,
salvo che per il cercine di rifinitura applicato o comunque formato a creare l’orlo. In un
solo caso (Figura 12.7) è stata riscontrata una
variazione a questa regola: la parte costruita a lastra doppia si conclude poco prima
dell’orlo e la parte finale è completata con
un cercine alto circa 2 cm, sopra il quale si
imposta un altro piccolo cercine o ripiegatura dell’argilla su sé stessa per la rifinitura
dell’orlo stesso. In quest’unico caso è stato
possibile misurare anche la lunghezza delle
lastre, valutata a 6,5 cm.
Figura 12.6. Ricostruzione grafica di uno scodellone costruito con la tecnica a doppia masserella (disegno I.C.).
58
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
2.5.3_Stampaggio
Figura 12.7. Frammento di grande olla da US (811)
(reperto 284): a. disegno archeologico e tecnologico del frammento; b. foto del frammento in
prospetto (disegno e foto E.L.).
Nella costruzione a stampo si fabbricava
il vaso (o parte di esso) premendo manualmente delle piccole sfere di argilla o delle
lastre appiattite all’interno di uno stampo
concavo di terracotta (dalla forma di una scodella emisferica), ma cercando al contempo
di mantenere costante e regolare lo spessore delle pareti. Cosa non semplicissima, a
quanto pare: per quanto è dato di osservare
della produzione del laboratorio, infatti, in
diversi casi la parete basale delle tazze risulta spessa o sottile in modo abnorme (Figura 12.8). Sempre a proposito del fondo,
va rilevato che i fondi “ombelicati”, non rari
nelle tazze di Pilastri in ceramica fine-grigia,
si ottengono con estrema rapidità mediante
costruzione a stampo, mentre risulterebbero
piuttosto difficoltosi da realizzare per mezzo
di cercini o di altre tecniche “additive”.
Se il vaso da fabbricare era una tazza o
una scodella emisferica, una volta stampato
poteva essere praticamente concluso (se si
trattava di una semplice forma aperta) oppure essere ulteriormente modificato mediante
la sovrapposizione, come nel caso delle tazze
carenate, di una o due file di cercini per creare forme più complesse e chiuse e mediante
l’eventuale applicazione di parti aggiuntive.
Nel repertorio di Pilastri (databile tra BM2/3
e BR1) i vasi stampati si limitano a tazze carenate e a piccole-medie scodelle emisferiche:
nel primo caso, la parte superiore sembra
essere stata costruita con il concorso di ro-
Figura 12.8. Confronto tra 4 sezioni di tazze carenate; il corpo formato a stampo presenta spessori
molto variabili (disegni I.C.).
59
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
tazioni finali effettuate sulla ruota da vasaio.
L’identificazione di questa importante tecnica, certamente sviluppata per consentire la
produzione seriale e tendenzialmente standardizzata delle tazze carenate con ansa sopraelevata cornuta, si basa non soltanto sulle variazioni dello spessore del fondo delle
stesse ma anche su dettagli delle superfici
esterne e, soprattutto, sull’identificazione
di alcuni degli stampi in terracotta usati nella formatura delle stesse tazze, le cui usure
interne corrispondono a segni distintivi sul
fondo esterno (vedi oltre, paragrafo 4).
La distribuzione statistica dei diametri
alla bocca delle tazze sinora studiate mostra
la presenza di una percentuale minore di
esemplari relativamente piccoli (da 10 a 12
cm), e di una percentuale altrettanto esigua
di esemplari più grandi degli altri (da 25 a
35-37 cm). La gran parte delle tazze, tuttavia,
cade in modo abbastanza continuo nell’intervallo tra 13 e 25 cm. Sembra quindi che la
tecnica dello stampaggio non comportasse,
di per sé, la produzione di vasi differenziati in
set di dimensioni diverse.
2.5.4_La battitura con percussore e incudine
Nelle ceramiche di Pilastri è stata inoltre
riconosciuta la tecnica di modificazione delle
pareti di vasi a corpo arrotondato mediante la
battitura con percussore e incudine (paddle
and anvil), usata, dopo la formatura primaria
con parte delle tecniche già descritte, allo
scopo di assottigliare e uniformare lo spessore delle pareti, curvando all’infuori, allo
stesso tempo, il profilo del vaso (Figura 12.9).
Forme fortemente convesse, infatti, sono
ottenibili con una certa facilità ricorrendo a
quest’ordine di tecniche, mentre risultano
difficili da fare mediante la semplice sovrapposizione di cercini o masserelle.
Non è sempre facile riconoscere le tracce
che questa tecnica lascia sulle pareti dei vasi:
in genere, in frattura, esse sono identificabili
come sottili linee di compressione dell’argilla, parallele alle pareti, con un effetto visuale
di “fogliettatura” da compressione, che tuttavia viene reso meno riconoscibile dalla presenza di macroscopici frammenti di cocciopesto. Sono anche riconoscibili al tatto sulla
superficie interna del vaso, nei punti dove
al vasaio/alla vasaia è sfuggita una battitura
un po’ più pesante oppure ritmica. In questi
casi, a volte, le lievi depressioni superficiali,
Figura 12.9. a) il processo di battitura con percussore (in legno) e incudine (ciottolo) durante
la replicazione sperimentale in laboratorio di un
vaso biconico; b) frammento di scodellone da US
(811), dove sulla superficie interna sono visibili inclusi la cui faccia piatta è stata esposta dall’azione
della battitura (foto I.C.).
60
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
difficilmente visibili ad occhio nudo, si susseguono lungo le pareti con regolari ritmi. Nel
caso della ceramica di impasto grossolano
con cocciopesto di grandi dimensioni, è stato osservato che la battitura porta alcuni inclusi in superficie, esponendone le facce più
piatte (Figura 12.10).
2.5.5_Impronte quadrate sul fondo ai vasi e
l’ipotesi di un tornio azionato a mano
Chi scrive ha già ipotizzato che gli artigiani della Terramara utilizzassero ruote azionate a mano per facilitare i processi di formatura e rifinitura.12 La deduzione non ha a
che fare con le cosiddette “linee di tornitura”
Figura 12.10. Frammento da US (811), a)
radiografia originale,
b) radiografia caratterizzata, in giallo i pori
obliqui indice di tornitura.
12
Caldana et al. 2019.
61
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
(ossia fasci di sottili linee orizzontali che possono ripetersi con regolarità sulle superfici
dei vasi e che, in realtà, possono formarsi in
modi completamente diversi), bensì piuttosto con alcuni indizi radiografici (per la parte
superiore delle tazze carenate fabbricate a
stampo) e con un singolare quanto indiretto
indicatore: un’impronta quadrangolare ben
visibile all’esterno del fondo di un consistente numero di vasi (soprattutto olle e scodelle)
di dimensioni medio-grandi. È importante
tenere presente che gran parte (come si è
detto, non meno dell’80%) delle ceramiche
della Terramara di Pilastri è composta da impasti grossolani, che contengono schegge di
cocciopesto spesso angolari e di dimensioni
che vanno da pochi millimetri al centimetro.
Impasti del genere sono impossibili da foggiare al tornio perché, mentre esso ruota ad
alta velocità, ferirebbe le mani del vasaio.
Tuttavia il tornio da vasaio è uno strumento flessibile e multi-funzionale, che ben può
assistere l’azione del formare e modellare
anche con rotazioni discontinue e a bassa
velocità: le tracce quadrangolari basali che
stiamo per discutere sono probabilmente
spiegabili in quest’ottica.
Ad un’osservazione accurata a luce radente e al tatto, 17 su 80 fondi di vasi interi mostravano al centro, o quasi, della base esterna
una lieve depressione quadrangolare. 11 di
queste basi, con le relative impronte (8 in ceramica grossolana e 3 in ceramica medio-fine) furono poi selezionate per una definizione di elevato dettaglio micro-morfologico
mediante laser scanning 3D (Figura 12.9).13
L’unica spiegazione possibile (escludendo,
per buon senso e geometria, che si trattasse
di contatti casuali) era che le impronte fossero riferibili a perni verticali in legno situati al
centro di una ruota sulla quale si modellava
il vaso: il piano della ruota, in seguito ad un
uso prolungato, con continui cicli di inumidimento e asciugatura, e causa del peso dei
vasi in modellazione, doveva scendere oltre
l’estremità del perno. Quest’ultimo infine,
fuoriuscendo leggermente oltre la superficie
della ruota, doveva così imprimersi sul fondo
dei vasi.14 La ruota era usata, a giudicare dal
tipo di fondi, per facilitare la fabbricazione a
Figura 12.11. Scansione 3D di un frammento di
scodella, con misurazioni puntuali di lunghezza e
profondità della traccia quadrangolare sul fondo
(da Caldana et al. 2019, p. 8, fig. 6, frammento 5).
Structured light 3D scanning Cronos Dual (Open Technologies), accuratezza nella misurazione ± 40 μm,
risoluzione della videocamera 1.3 Mpx.
14
Sono state ipotizzate due possibili forme per l’estremità superiore del perno ligneo: a semplice parallelepipedo, oppure di forma tronco-piramidale.
13
62
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
cercine – quindi, come si è detto, senza rotazioni veloci – soprattutto di olle, scodelle
emisferiche e vasi sub-globulari di medie dimensioni.
Le impronte rilevate presentano dimensioni abbastanza costanti (lato compreso fra
i 40 e i 50 mm), nonostante l’alta variabilità
dimensionale dei fondi su cui erano posizionate (tra i 50 e i 120 mm): ciò dimostra, pertanto, che lo stesso dispositivo veniva impiegato nella realizzazione di diversi tipi di vasi.
Si sono riscontrati, inoltre, rari casi di impronte più grandi, relative a ruote di dimensioni
maggiori, forse usate specificamente per la
costruzione di dolii mediante grandi cercini
o lastre sovrapposte (Figura 12.10).
L’uso stesso della ruota sembra anche
confermato dalle micro-strutture interne alla
parte superiore delle tazze carenate. Sulla
parte ottenuta a stampo, infatti, erano applicati in aggetto interno 1-2 cercini più il piccolo cercine dell’orlo. È molto probabile che
per questa operazione il vaso fosse centrato
sulla ruota, ancora posizionato entro il suo
stampo. Che questa parte, dopo la formatura a cercini, fosse modificata al tornio è dimo-
Figura 12.12. Disegno,
fotografia e scansione
3D di un frammento
di dolio con impronta
quadrangolare di grandi dimensioni (72mm
di lato) (da Caldana et
al. 2019, p. 15, fig. 12,
frammento 6).
63
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
strato dal fatto che qui le radiografie mostrano serie di sottili pori obliqui iso-orientati,
che notoriamente si formano durante episodi rapidi di foggiatura alla ruota, quando le
mani del vasaio contrastano energicamente
attrito e forza centrifuga.15
Se questa ipotesi fosse confermata da ulteriori rinvenimenti e ricerche in siti coevi, ci
si troverebbe di fronte ad una ruota per vasai risalente almeno al BM padano, ovverosia presumibilmente antecedente ai contatti
peninsulari con il mondo mediterraneo ed
egeo-miceneo, a dimostrazione di quanto
la tecnologia ceramica di queste zone fosse
complessa, contrariamente a come la letteratura tutt’oggi si esprime.16
2.5.6_Piccoli vasi fatti a mano
Un numero molto limitato di vasi di piccole
dimensioni (Figura 12.13) è stato certamente
modellato a mano libera con la tecnica detta della pizzicatura: formando, cioè, delle
Figura 12.13. a, b. Vasi miniaturistici formati a mano con la tecnica della pizzicatura; c. probabile
crogiolo miniaturistico formato
a mano con la tecnica della pizzicatura (disegni I.C.).
15
16
64
Berg 2008; Levi 2010.
Loney 2007.
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
piccole sfere di argilla, aprendole al centro
gradualmente e pizzicando, appunto, tra le
dita le pareti del vasetto. Con questa tecnica risulta piuttosto difficile fare dei vasi più
larghi di 7-10 cm alla bocca. I vasetti così ottenuti sono di forma emisferica o tronco-conica; spesso sono tra le prime forme sulle
quali i bambini, in svariati contesti culturali,
ancor oggi mettono alla prova le loro capacità. Non ne conosciamo ancora la funzione;
alcuni potrebbero essere dei giocattoli, altri
invece hanno una somiglianza generica con
le forme dei crogioli.
2.5.7_Trattamenti di superficie
Le tecniche di rifinitura delle superfici dei
vasi sinora riconosciute a Pilastri sono le seguenti:
1. la stesura, in alcuni casi, di straterelli plastici più o meno continui sulla superficie
dei vasi, per regolarizzarne la superficie e
spesso per rendere meno evidente la giunzione di cercini ed altre parti applicate;
2. l’ingobbiatura: procedimento simile, ma
che prevedeva l’applicazione di sottili strati di argilla fluida/semiliquida sul vaso finito, soprattutto per la ceramica fine-grigia;
3. (rari) semplici motivi geometrici o radiali,
in forma di solcature e cuppelle e, più raramente, di incisioni, ricavati sulle superfici allo stato di durezza cuoio (vedi Capitolo 16);
4. (molto diffusa) l’applicazione di cordoni
plastici a rilievo con sezione triangolare o
semicircolare, generalmente sotto l’orlo
di scodelle, scodelloni e dolii, a formare
irregolari linee orizzontali e festoni e, più
raramente, motivi a griglia o a meandro.
Nella maggior parte dei casi i cordoni a ri-
lievo erano fatti dello stesso impasto argilloso usato per la costruzione delle pareti,
come nel caso della Figura 12.14b. Come
in tutti gli altri siti terramaricoli, orli e cordoni potevano essere modificati con ritmiche impressioni delle dita oppure con
serie di punzonature o incisioni lineari (Figura 12.14a);
5. l’irregolare spianatura e compattazione
delle pareti esterne ed interne mediante
strumenti con piccole estremità funzionali curve, probabilmente lisciatoi in pietra
(vedi Capitolo 19) o ceramica (vedi Figure
12.31e-h). Eseguita quando il vaso si trova
ancora allo stato plastico per eliminare le
maggiori imperfezioni, lascia segni abbastanza riconoscibili. Le striature e le bande
lasciate da questa operazione seguono di
regola l’orientamento dei cordoni plastici
applicati in rilievo e ne coprono il dorso,
accentuandone l’angolo sommitale. Più
raramente, sui vasi compaiono i segni di
uno strumento a margine piatto simile a
una stecca (vedi Figure 12.31a-d), forse
Figura 12.14. Frammento di scodellone: a. orlo
con decorazione a tacche; b. prospetto della parete, le frecce indicano i grani di cocciopesto nel
cordone, della stessa grandezza di quelli presenti nel corpo del vaso (foto E.L.).
65
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
in legno o in osso (un tipo di stecca era
probabilmente ottenuto da grandi costole
bovine, vedi Capitolo 23);
6. la lucidatura, cioè la prolungata compattazione finale delle superfici con ciottoli,
strumenti ossei o lisciatoi ricavati da fram-
66
menti ceramici riciclati, analoghi a quelli
citati sopra. Effettuata allo stato cuoio,
elimina la maggior parte delle tracce non
lasciando segni distintivi.
L’ultima delle tecniche descritte era impiegata in larga misura nel gruppo morfologico
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
delle tazze carenate, il prodotto di maggior
pregio estetico e, forse, socio-tecnico.
Restano da menzionare: la decorazione
delle pareti di piccoli vasi con file di bugne
coniche a rilievo, modellate una per una con
le mani piene di argilla fluida sulla parete di
piccoli vasi costruiti a cercine (Figura 12.15);
la perforazione delle pareti in stato plastico,
funzionale piuttosto che decorativa, in piena
evidenza nei colini, i cui fondi erano bucati
dall’interno verso l’esterno (Figura 12.16).
Infine, attenzione particolare meritano le
analisi mediante Gascromatografia-Spettrometria di Massa (GC-MS) delle sostanze assorbite all’interno di diversi vasi della Terramara di Pilastri, che rivelano la presenza di
tracce di resina di pino e probabilmente di
zolfo (Capitolo 14). La resina era forse applicata dopo la cottura, mentre i vasi erano
ancora caldi e con le porosità dilatate, per
impermeabilizzare le pareti, mentre lo zolfo
poteva sterilizzarne l’interno. È anche possi-
bile, però, che entrambe le sostanze fossero
contenute nel vino: la resina per insaporirlo
e lo zolfo, con funzione anti-ossidante, per ritardare la fermentazione del liquido.17
3_Catalogo di radiografie di ceramica grossolana
In questa sezione vengono presentati i
risultati ottenuti mediante analisi radiografica su un primo campione di frammenti in
ceramica grossolana. Tra questi frammenti
ceramici, recuperati durante la campagna di
scavo 2016, sono stati selezionati quelli che,
già al semplice vaglio ottico, presentavano
segni percepibili dei processi costruttivi. L’analisi radiografica veniva così a costituire la
verifica sperimentale delle ipotesi sulle tecniche antiche espresse nel corso dell’analisi
visuale.18 I pezzi qui presentati sono piani o
Figura 12.15. Tre bugnette viste in sezione: le prime due
(partendo da sinistra)
applicate con un piccolo spinotto che si
innesta nella parete
del vaso; la terza (a
destra) applicata direttamente sulla superficie del vaso (foto
I.C.).
17
18
Pecci et al. 2020; vedi Capitolo 14.
Come in Lunardon et al. 2018.
67
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
sub-piani: siccome non presentano circonferenze molto accentuate, è stata sufficiente
un’unica radiografia frontale per ogni singolo
reperto. Per meglio evidenziare gli elementi significativi sono stati migliorati i valori di
esposizione e contrasto delle radiografie
originali mediante l’utilizzo del programma
Adobe Photoshop CC 2017.
Per ogni frammento ceramico vengono di
seguito riportati il disegno in scala 1:3, una
breve descrizione dell’impasto e le considerazioni derivate dall’interpretazione della relativa radiografia. Quest’ultima operazione è
stata condotta tenendo in mano il frammento
stesso, l’unico modo per interpretare gli elementi riconoscibili nelle radiografie senza fare
troppi errori. La lettura delle radiografie della ceramica grossolana è complicata, come
si è detto, dalla presenza delle decorazioni
plastiche in rilievo e, più in generale, dall’alto
numero di transizioni di fase rilevate. L’impasto del materiale studiato è compatto ma disomogeneo, con numerosi vuoti che si alternano alle geometrie irregolari dei frammenti
di cocciopesto, a volte di grandi dimensioni.
Le radiografie ci rivelano che l’impasto argilloso preparato per questi vasi di uso domestico era fatto con materiali selezionati con
una certa cura (non solo per quanto riguarda
il cocciopesto: all’interno vi sono scarsi grani o frammenti di pietra e altrettanto scarsi
sono gli inclusi di origine vegetale, come
Figura 12.16. Colino frammentario: in alto disegno ricostruttivo, in basso due fotografie dello stesso
frammento, con vista dell’esterno (foto a sinistra) e dell’interno (foto a destra) (disegno e foto I.C.).
68
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
particelle di canna e paglia, che tuttavia nelle superfici abitative del villaggio dovevano
trovarsi ovunque). Il processo costruttivo, al
contrario, appare veloce e ritmico ma spesso
piuttosto approssimativo. Numerosi cercini erano fatti con impasti argillosi di diversa
composizione (più o meno ricchi di cocciopesto e di densità variabile); le giunzioni
tra i cercini erano fissate con veloci ditate; i
cercini di olle e scodelloni a volte non combaciavano, mentre i gap erano riempiti con
frettolose toppe di spessore non controllato.
Dopo la cottura i cordoni plastici a rilievo di
frequente si staccavano dalle pareti; anche la
lisciatura delle superfici effettuata con stecche e lisciatoi era spesso fatta senza coprire
l’intera superficie e con gesti, in apparenza,
molto irregolari.
Frammento 1 (Figure 12.17a, b)
Impasto: matrice ricca di cocciopesto angolare di dimensioni pluri-millimetriche.
Figura 12.17. Frammento da US (774): a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale (a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno E.L.).
69
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
Colore Munsell: pale yellow 2.5Y8/3
Analisi RX: costruito mediante cercini.
Sono visibili diversi probabili allineamenti di
pieni-vuoti o interfacce che corrispondono
alle due giunzioni tra cercini rilevate con l’esame autoptico. Le prime due linee evidenziano il cordone plastico applicato in prossimità dell’orlo. La prima dall’alto coincide con
la giunzione del piccolo cercine per rifinire
l’orlo. La terza linea si trova nella parte compresa fra i due cordoni plastici e rappresenta
una giunzione fra cercini. Sempre in questa
zona, compresa fra i due cordoni, sono state segnate in giallo delle possibili giunzioni
verticali fra due cercini. In corrispondenza
del cordone centrale sono state evidenziate
in arancione quattro digito-pressioni relative
all’attacco che coincide con la frattura (anch’essa segnata in giallo, anche se si tratta
di una frattura). Altre due linee evidenziano il
cordone plastico applicato. Sotto al cordone
sono riconoscibili altre tre digito-pressioni,
in questo caso riferibili all’applicazione del
cordone plastico. Tutte queste tracce di di-
Figura 12.18. Frammento da US (774): a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale
(a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno E.L.).
70
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
gito-pressione sono corredate da micro-fessurazioni radiali di compressione. Nello spazio sottostante il cordone vi sono numerose
anomalie interpretabili come vuoti allungati,
frutto probabilmente di stress da trazione durante l’assemblaggio dei cercini, ad indicare
che in questo punto la parete è stata assottigliata mediante trazione dell’argilla. L’analisi
radiografica ha sostanzialmente confermato
quella autoptica.
Frammento 2 (Figure 12.18a, b)
Impasto: matrice ricca di cocciopesto arrotondato di dimensioni pluri-millimetriche.
Colore Munsell: pinkish gray 7.5YR6/2
Analisi RX: costruito mediante cercini.
Sono visibili tre probabili allineamenti di pieni-vuoti riconducibili a giunture fra cercini.
Fra le prime due linee sono visibili tre digito-pressioni lasciate sull’attacco tra i cercini; in corrispondenza di una di queste sono
Figura 12.19. Frammento da US (765): a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale
(a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno E.L.).
71
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
ben visibili delle micro-fessurazioni radiali
di compressione. I vuoti interni al corpo ceramico sono localizzati attorno a numerose
piccole aree dove la densità della ceramica
risulta maggiore. Queste aree sembrano
essere frammenti di cocciopesto attorno ai
quali, durante la cottura, il ritiro dell’argilla
ha lasciato dei piccoli vuoti. L’abbondante
presenza di cocciopesto deve aver ridotto
di molto il ritiro dell’argilla. In questo caso
l’esame radiografico ha permesso di correggere quello autoptico, spostando la linea di
pieni-vuoti relativa alla giunzione dell’ultimo
cercine verso il basso.
Frammento 3 (Figure 12.19a, b)
Impasto: matrice ricca di cocciopesto angolare di dimensioni anche centimetriche.
Colore Munsell: very pale brown 10YR8/3
Analisi RX: costruito mediante cercini
Sono visibili tre possibili allineamenti di pieni-vuoti riconducibili a giunzioni fra cercini.
La prima linea in alto è relativa al piccolo
cercine per rifinire l’orlo. Le due successive sono relative a tre cercini. In prossimità
dell’orlo sono riconoscibili almeno cinque digito-pressioni, percepibili in realtà già in superficie. Queste sono concentrate in un’area
dove è riconoscibile l’assottigliamento della
parete e sono riferibili a diverse linee di attacco. Ben visibile, anche in questo caso, è
il piccolo cercine applicato per rifinire l’orlo.
Sono anche evidenti quattro piccole aree di
maggiore intensità corrispondenti a grossi
frammenti di cocciopesto, tre dei quali circondati da vuoti derivanti dal ritiro dell’argilla
in cottura. I frammenti di cocciopesto affiorano anche in frattura. L’analisi radiografica ha
confermato quella autoptica.
Frammento 4 (Figure 12.20a, b)
Impasto: matrice ricca di cocciopesto angolare di dimensioni anche centimetriche.
Colore Munsell: very pale brown 10YR7/3
Analisi RX: costruito mediante cercini
Sono visibili cinque probabili allineamenti di
pieni-vuoti riferibili a giunzioni fra cercini, oltre alla linea riferibile all’applicazione dello
72
spesso cordone in alto. La prima è quella del
piccolo cercine all’orlo; le altre tre si trovano a distanze regolari sulla parete al di sotto
del cordone, mentre l’ultima si trova a distanza maggiore dalle precedenti. Tra il limite inferiore del cordone e la prima di queste
giunzioni, sulla parete sono state evidenziate due probabili linee di giunzione verticali,
che delimitano un’area rettangolare di spessore minore, segnata da due digito-pressioni simmetriche, correlate da micro-fessurazioni radiali di compressione.
Vista l’estensione dell’area, più che la normale terminazione del cercine, questo elemento sembra essere una sorta di toppa
applicata tra l’estremità di due cercini, non
perfettamente combacianti. Nella parte
centrale sono riconoscibili delle porosità o
vuoti sottili e allungati ad andamento obliquo, lasciati dalle operazioni di assemblaggio dei cercini. Anche in prossimità dell’ultima linea di attacco, in basso, è visibile una
digito-pressione, sempre accompagnata da
micro-fessurazioni radiali di compressione.
Quest’ultima probabilmente è riferibile all’unione fra due cercini, anch’essi non perfettamente combacianti, oppure potrebbe essere
riferibile ad un’altra toppa meno riconoscibile. Lo studio della radiografia ha permesso di
posizionare meglio l’ultimo cercine, rispetto
l’analisi autoptica, spostandolo ulteriormente verso il basso.
Frammento 5 (Figure 12.21a, b)
Impasto: matrice ricca di cocciopesto arrotondato di dimensioni pluri-millimetriche.
Colore Munsell: pink 7.5YR8/3
Analisi RX: costruito mediante cercini
Risultano visibili tre probabili linee di pieni-vuoti riferibili alle giunzioni fra i cercini
maggiori, che definiscono meglio il piccolo
cercine dell’orlo. Ben visibile risulta soprattutto la giunzione di cercine in prossimità
dell’ispessimento superiore. In questo caso
l’analisi radiografica ha confermato quella
autoptica, permettendo di definire meglio la
linea di giunzione del piccolo cercine di rifinitura dell’orlo.
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Frammento 6 (Figure 12.22a, b)
Impasto: matrice ricca di cocciopesto angolare di dimensioni pluri-millimetriche.
Colore Munsell: white 2.5Y8/1
Analisi RX: costruito mediante cercini
L’osservazione dei possibili allineamenti di
pieni-vuoti ha permesso di riconoscere la
giunzione del cercine di rifinitura dell’orlo e
degli ultimi cercini più in basso, per un totale
di tre cercini. Non sono state evidenziate al-
Figura 12.20. Frammento da US (774): a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale
(a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno E.L.).
73
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
Figura 12.21. Frammento da US (774): a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale
(a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno E.L.).
Figura 12.22. Frammento da US (774): a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale (a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno E.L.).
74
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
tre possibili linee oltre a quelle relative al cordone applicato immediatamente sotto l’orlo.
È pertanto da ritenersi corretta l’interpretazione della giunzione fra cercini presente al
di sotto di questo. Nella parte bassa si vede
un’area di minore densità racchiusa fra puntini bianchi, ben maggiore rispetto alle due digito-pressioni qui rilevate. Anche queste evidenze sono da attribuire alla pressione delle
dita per la giunzione fra cercini. Si nota anche
una digito-pressione sotto l’orlo a destra. In
questo caso l’analisi radiografica ha confermato l’analisi autoptica, suggerendo tuttavia
qualche correzione minore.
Frammento 7 (Figure 12.23a, b)
Impasto: matrice ricca di cocciopesto arrotondato di dimensioni pluri-millimetriche.
Colore Munsell: pale yellow 2.5Y8/2
Analisi RX: costruito mediante cercini
Risulta ben visibile la linea di pieni-vuoti riferibile alla giunzione del piccolo cercine dell’orlo. Immediatamente al di sotto è segnata in
bianco una linea lungo la quale si nota un salto di densità, che non sembra però coincidere con le consuete giunzioni fra cercini. Ben
visibile è anche la piccola ma spessa presa
a lingua, sottolineata da un rialzo a forma di
mezzaluna, sotto al quale vi sono delle probabili digito-pressioni. Nella parte basale del
frammento sono visibili altre due probabili
linee di pieni-vuoti dovute alle giunzioni fra
cercini già ipotizzate durante l’osservazione
visuale. Fra queste ultime due linee di punti
gialli, a destra, ve ne è un’altra verticale che
segna la possibile giunzione fra le estremità
di un cercine. Questa giunzione verticale presenta su entrambi i lati micro-fessurazioni radiali di compressione, probabilmente causate
dall’attacco. Il corpo ceramico non pare molto
omogeneo. Nella parte al di sotto della presa
a lingua (probabilmente anche nella parte sopra, che nell’immagine è però coperta dalla
presa) compaiono diversi vuoti ad assetto caotico (porosità residue della costruzione o anche inclusi vegetali). L’analisi radiografica ha
confermato in toto quella autoptica.
Frammento 8 (Figure 12.24a, b)
Impasto: matrice ricca di cocciopesto angolare di dimensioni pluri-millimetriche.
Colore Munsell: gray 2.5Y6/1
Analisi RX: costruito mediante cercini
Il frammento appare spesso quanto denso,
ma sembrano riconoscibili due linee di pieni-vuoti. La prima, riferibile all’orlo, ha dimensioni minori di quelle ipotizzate con l’esame
visivo, ma questa discrepanza potrebbe essere riferibile all’inclinazione del frammento
radiografato. Poco sotto la metà è riconoscibile un’altra linea di giunzione tra due cercini. Nell’area compresa fra queste due linee
sono riconoscibili due digito-pressioni. Sparsi al centro del corpo ceramico si riconoscono alcuni vuoti interni. L’analisi radiografica
ha confermato in parte quella autoptica: ha
evidenziato solo due linee mentre fra queste
due avrebbe dovuto essercene una terza. L’analisi autoptica è da considerarsi comunque
accettabile, data l’alta densità in cui dovrebbe trovarsi questa linea che ne rende difficoltosa l’individuazione.
Frammento 9 (Figure 12.25a, b)
Impasto: matrice ricca di cocciopesto angolare di dimensioni pluri-millimetriche.
Colore Munsell: light gray 5Y7/1
Analisi RX: costruito mediante lastre e cercini
L’inclinazione della radiografia di questa parete con attacco del fondo del vaso è molto
diversa rispetto a quella originale, per cui le
superfici di giunzione dei cercini risultano artificialmente oblique. Sulla radiografia sono
state quindi segnate due interfacce che racchiudono un’area caratterizzata da alternanza di pieni-vuoti, che probabilmente rivelano
giunzione fra il primo cercine della parete e il
fondo. La parte inferiore si presenta più densa, con uno spessore maggiore in prossimità
dell’attacco del fondo, probabilmente realizzato a lastre, ed è pertanto stata segnata con
un allineamento di punti bianchi. In questo
punto è visibile anche una digito-pressione
che cade sull’attacco delle due parti. In alto è
stata segnata un’area con un salto di densità.
Quest’area è infatti ricca di vuoti. L’analisi radiografica conferma quindi quella autoptica.
75
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
Frammento 10 (Figure 12.26a, b)
Impasto: matrice ricca di cocciopesto angolare di dimensioni pluri-millimetriche.
Colore Munsell: light gray 10YR7/2
Analisi RX: costruito mediante cercini
Sono state riconosciute quattro probabili linee di pieni-vuoti riferibili alle giunzioni fra
cinque cercini, compreso quello all’orlo. In
Figura 12.23. Frammento da US (774): a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale
(a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno E.L.).
76
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
questo caso il cordone applicato non oblitera linee di giunzione, ma sembra applicato su
un solo cercine. In basso, in prossimità della
frattura, è stata meglio individuata la quarta
linea che non era ben visibile a occhio nudo.
In prossimità delle due interfacce centrali
sono state individuate micro-fessurazioni radiali di compressione e una digito-pressione.
L’analisi radiografica ha confermato quindi
quanto rilevato da quella autoptica.
Figura 12.24. Frammento da US (774): a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale
(a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno E.L.).
77
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
Figura 12.25. Frammento da US (774): a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale
(a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno E.L.).
78
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Figura 12.26. Frammento da US (613): a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale
(a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno E.L.).
79
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
4_Le tazze stampate e tornite in ceramica
fine-grigia
Disegnando le tazze e caratterizzandole con le relative evidenze tecniche, è stato
notato che la parte sottostante la carena non
presentava, in sezione, alcuna giunzione fra
cercini e che gli spessori mostravano a volte
forti variazioni (da troppo spessi in un punto
a troppo sottili in un altro) in modo del tutto
asimmetrico (Figura 12.8). Prestando maggiore attenzione a queste anomalie, sono
stati notati in frattura segni di stress paralleli
al profilo del corpo della tazza (già menzionati in precedenza), compatibili con effetti
di compressione dell’argilla (parzialmente
simili ai segni lasciati in frattura dalla tecnica
della battitura). La spiegazione più plausibile
era, appunto, quella della modellazione del
corpo inferiore della tazza entro uno stampo
emisferico. A sostegno di questa ipotesi vanno considerati quattro frammenti di contenitori emisferici in ceramica che presentano
sulla superficie interna serie di piccoli stacchi
crateriformi che non apparivano spiegabili
con impatti e percussioni.
Nell’opinione degli autori, i quattro frammenti appartengono ad altrettanti stampi
in terracotta e la formazione dei distacchi
crateriformi avviene come descritto di seguito. L’artigiano/l’artigiana premeva con
forza una masserella globulare o una lastra
circolare d’argilla contro la superficie interna dello stampo, a formare la parte inferiore
(o corpo emisferico) delle tazze. In seguito ai
ripetuti usi dello stampo, l’argilla della parte
stampata, asciugandosi, finiva per rimuovere gradualmente la pellicola superiore (già
formata dall’ingobbiatura) della superficie
interna dello stampo stesso, esponendo
così gradualmente le particelle di cocciopesto immediatamente sottostanti. Con la
continua abrasione della superficie interna,
causata dall’immissione-pressione-distacco
della par te stampata, i frammenti di cocciopesto ormai emergenti tendevano ad arrotondarsi o a staccarsi, lasciando così sul fondo esterno delle tazze stampate le distintive
piccole cavità crateriformi sopra descritte.
I frammenti individuati come appartenen80
ti, con maggior probabilità, a stampi provengono da vasi realizzati a cercine e hanno
diametri compresi tra i 18 e 25 cm, ascrivibili
quindi a tazze di dimensioni medio-grandi. Al
momento non sono stati riconosciuti stampi
compatibili con le tazze più piccole, quelle
cioè che presentano diametri compresi tra gli
8 e i 12 cm. Tuttavia, un campione piuttosto
ridotto, circa l’8% del totale di questo gruppo morfologico, appartiene a tazze carenate
di piccole dimensioni realizzate a cercini, che
spesso presentano un’usura continua e omogenea sulla superficie interna. Questa usura,
meno visibile rispetto a quella presente all’interno degli stampi sopra citati, potrebbe in
effetti essere compatibile con un uso come
stampo. Questi vasi realizzati con cocciopesto tritato finemente presentano dunque
delle tracce d’usura meno percepibili. Nella
Figura 12.27 sono presentate cinque ipotesi ricostruttive di tazze di piccole dimensioni
costruite a cercine, associate a tazze realizzate a stampo, aventi una forma simile e la
stessa inclinazione delle pareti. Nel comporre l’immagine è stato preso in considerazione il restringimento dimensionale dell’argilla
dovuto all’evaporazione dell’acqua durante
l’essicamento prima della cottura, stimato,
come da consueta convenzione, intorno al
10% della massa totale d’origine.
4.1_Cinque procedure per una tazza carenata
La tazza, nella sua interezza, era quindi
fabbricata a stampo fino all’altezza della carena o punto d’angolo, poi ultimata nella parte superiore mediante applicazione di uno
o più cercini. Sembra probabile che l’intero
processo avvenisse su una ruota da vasaio,
considerato che la parte superiore del vaso
era poi sagomata e assottigliata con una
rapida tornitura i cui pori obliqui sono stati
riconosciuti nella radiografia di una tazza carenata a stampo (Figura 12.10); dopo di che
veniva applicata tra orlo e carena un’ansa,
che spesso presentava la conformazione a
corna (la cui costruzione sarà descritta al paragrafo 5 con l’ausilio delle radiografie).
La costruzione a cercine della parte supe-
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
riore sembra avvenisse in diversi modi: sono
state al momento riconosciute cinque procedure diverse (A-E). Questa suddivisione tipologica, presentata nella Figura 12.28, è applicabile sia a tazze di qualsiasi dimensione, con
collo sia convesso che dritto, sia a tazze di
forma sia aperta che chiusa.
Procedura A: sopra la parte stampata (il
cui margine superiore corrisponde alla carena) si impostano due cercini di uguale
dimensione; l’orlo è definito con un sottile
cercine di rifinitura (alto circa 1/4 rispetto ai
cercini sottostanti, non supera mai gli 0,5 cm
di altezza). Su un totale di 49 tazze analizzate,
la Procedura A ha una frequenza valutabile
intorno al 20% dei casi.
Procedura B: sopra la parte stampata (il
cui margine superiore corrisponde alla carena) si imposta un unico cercine, che spesso
comprende anche l’orlo. Sono stati tuttavia
distinti anche casi che presentano un sottile
Figura 12.27. Ipotesi ricostruttiva: 5 tazze non carenate costruite a cercini (probabili stampi), al cui
interno sono state posizionate 5 tazze carenate formate a stampo; stampi (?) e tazze stampate sono
stati accoppiati seguendo due criteri: 1. simile inclinazione delle pareti; 2. stesso diametro alla carena,
calcolato tenendo conto del restringimento del 10% del corpo del vaso una volta asciugato (disegno
I.C.).
81
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
cercine di rifinitura dell’orlo (alto circa 1/4 rispetto al cercine sottostante, non supera mai
gli 0,5 cm di altezza). Sul totale di 49 tazze
analizzate la Procedura B è la più comune,
con il 47% delle occorrenze.
Procedura C: sopra la parte stampata (il
cui margine superiore corrisponde alla carena) si imposta un piccolo cercine, proba-
bilmente con la funzione di facilitare la giunzione tra il corpo (creato a stampo) e il collo
della tazza. Sopra a questo piccolo cercine
ve ne è un altro di maggiori dimensioni (alto
circa tre volte il cercine sottostante). L’orlo
è definito con un sottile cercine di rifinitura
come nelle procedure sopra descritte. Su
49 tazze analizzate, il tipo C è piuttosto raro,
Figura 12.28. Le cinque diverse procedure di formatura a cercini del collo, in tazze carenate il cui corpo è costruito a stampo (disegno I.C.).
82
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
rappresentando solo il 6% del totale.
Procedura D: la tazza è interamente fatta
a stampo, ha una forma curvilinea aperta e
non presenta quindi carena. Spesso è presente un sottile cercine di rifinitura dell’orlo
(che, come negli altri casi, non supera mai gli
0,5 cm di altezza). Sul totale di 49 tazze analizzate il tipo D ha una frequenza del 20%.
Procedura E: la parte stampata si conclude prima di raggiungere l’espansione alla carena. Sopra la parte stampata si imposta un
cercine, che si conclude nella carena. Sopra
di esso si impostano un secondo cercine di
maggiori dimensioni (circa il doppio di quello sottostante) e il cercine di rifinitura dell’orlo (alto circa 1/4 rispetto al cercine sottostante, non supera mai gli 0,5 cm di altezza). Su
49 tazze analizzate il tipo E è piuttosto raro,
dato che rappresenta solo il 6% del totale.
A parte la Procedura D, che appartiene a
tazze interamente stampate, dunque di forma semplice e spesso di piccole dimensioni (diametro alla bocca tra gli 8 e i 12 cm, si
approfondirà al paragrafo 5.1), in tutti gli altri
casi non sembra che queste variazioni costruttive siano assimilabili a forme altrettanto
specifiche. Infatti, come nel caso della Figura
12.29, vi sono tazze quasi uguali per forma e
dimensioni ma costruite in maniera diversa.
Non sono stati ravvisati, inoltre, particolari
collegamenti fra le tecniche costruttive e le
US di provenienza del campione, cosa che
non ha reso possibile attribuire una particolare tecnica a una specifica fase cronologica.
Figura 12.29. Due tazze carenate molto simili per forma e dimensione, che mostrano però due sequenze costruttive differenti (disegni I.C.).
83
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
BOX 2 - GLI STRUMENTI DEI VASAI DELLA TERRAMARA
A differenza di chi praticava altri mestieri, i vasai, in molte civiltà del passato ma anche presso
società non industrializzate di oggi e di tempi da poco trascorsi, spesso usavano strumenti tanto
semplici e in apparenza poveri che non sempre vengono riconosciuti dagli archeologi. Nella Figura 12.30 si vedono una serie di oggetti, trovati nel laboratorio o nelle superfici circostanti, in parte
coeve, i quali con vari gradi di probabilità potevano essere stati prodotti, maneggiati e usati dai
vasai nel loro lavoro. I tre frammenti di costole bovine – Reperti 353, 316 e 318, rispettivamente Figure 12.30a, b, c – provengono dalla stessa US, la (811). Il Reperto 318 (come altri qui non illustrati)
mostra alla base un taglio trasversale, praticato per guidare la rottura della costola alla lunghezza
desiderata. I bordi arrotondati dell’osso presentano ben riconoscibili segni di usura, mentre altri
fasci di sottili strie da usura o abrasione si osservano sulla superficie piana del manufatto. Spatole
di questo tipo potevano servire ai vasai/alle vasaie per battere leggermente le pareti dei vasi durante il montaggio dei cercini oppure per spianare e compattare le pareti dall’esterno; potevano
anche, tuttavia, assolvere ad altri compiti tecnici meno immediatamente visualizzabili come, per
esempio, spianare le lastre e pulire i piani di lavoro della formatura oppure la stessa camera della
fornace.
Il Reperto 272 (Figura 12.30d) è certamente il più suggestivo, non solo perché fatto di un materiale in apparenza più nobile, vale a dire la parte esterna di uno spesso palco di cervo, ma anche
perché la forma (lievemente concava in sezione e ben arcuata in profilo) è molto simile a quella
delle più comuni spatole lignee, usate ancor oggi dai vasai. Anche questo strumento ha i margini
arrotondati e forse coperti da usura continua (tema da approfondire); inoltre, come le spatole
ricavate dalle costole, sembra esser stato ridotto mediante un taglio trasversale seguito da intenzionale rottura.
Il Reperto 260 e quelli provenienti da US (643) e (749) (Figure 12.30e, f, g) sono ciottoli di rocce calcaree a grana molto fine, che mostrano chiari segni di usura fino a presentare superfici fortemente
lucide. Strumenti come questi, nella loro apparente semplicità, potevano essere usati in svariati
ambiti tecnici (Capitoli 19 e 23), ma nel contesto della fabbricazione dei vasi non potevano servire
altro che alla spianatura e alla lucidatura delle pareti delle ceramiche prima della cottura (si pensi
in particolar modo alle tazze carenate in ceramica fine-grigia, ma non solo a questo gruppo). Dagli
strati associati alla capanna-laboratorio e alla fornace vengono anche alcuni strumenti ottenuti da
frammenti ceramici, levigati e arrotondati dal prolungato uso come i lisciatoi (Reperti 246 e 269,
Figure 12.30h, i). Forse anche questi erano usati sulle pareti dei vasi prima di cuocerli, ma sarebbe
interessante disporre di ulteriori informazioni sulle differenze tecniche tra l’uso dei lisciatoi in pietra e di quelli, appunto, in ceramica. Il lisciatoio Reperto 269 è davvero molto piccolo (circa 1 cm).
Altri strumenti presenti nel laboratorio, per contro, dovevano essere più visibili e piuttosto ben riconoscibili. Oltre, naturalmente, alla probabile presenza di una ruota da vasaio e di vari contenitori
per l’acqua e le altre materie prime, i ceramisti dovevano avere a portata di mano i percussori necessari alla scheggiatura e alla macinazione dei vasi rotti, da riciclare come cocciopesto. Il Reperto
320, in Figura 12.30l (vedi anche al Capitolo 19), è stato notato in un’area contigua alla capannalaboratorio che probabilmente ospitava questa attività (vedi Volume 1, Capitolo 5). Piuttosto che
come un peso, secondo quanto proposto in passato, dovrebbe essere pensato come la testa di un
martello provvisto del suo manico, fissata ad esso da un anello di tendini o resistenti fibre vegetali.
Il fatto che una delle due estremità (quella di sinistra) sia sub-piana e che l’altra appaia fortemente
convessa può suggerire due diverse funzioni di percussione lanciata.
Vanno infine ricordati i già menzionati stampi a scodella emisferica, fatti a cercini, identificati nello
scavo soprattutto nella zona antistante al lato aperto della capanna-laboratorio (Figure 12.31 e
12.32). Il fatto che siano stati fabbricati a cercini (e non a stampo) è probabilmente significativo:
bisognava infatti che gli stampi avessero uno spessore costante e uniforme; se essi fossero stati
stampati, le loro dimensioni, ad ogni passaggio, si sarebbero invece di volta in volta ristrette.
84
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Figura 12.30. Alcuni degli strumenti rinvenuti nell’area del laboratorio: a. spatola in costola bovina; b.
frammento di spatola in costola bovina; c. frammento di spatola in costola bovina; d. spatola in palco
di cervo; e. piccolo ciottolo usato come lisciatoio; f. piccolo ciottolo usato come lisciatoio; g. piccolo
ciottolo usato come lisciatoio; h. frammento ceramico usato come raschiatoio; i. piccolo frammento
ceramico usato come raschiatoio; l. martellina in pietra (disegni e foto I.C.).
85
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
Figura 12.31. Stampo in ceramica media/grossolana: in alto il disegno, in basso la fotografia del frammento. Il limite puntinato corrisponde all’estensione della traccia di usura (disegni e foto I.C.).
Figura 12.32. Stampo in ceramica media/grossolana: in alto il disegno, in basso la fotografia del frammento. Il limite puntinato corrisponde all’estensione della traccia di usura (disegni e foto I.C.).
86
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
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5_Catalogo di radiografie di ceramica finegrigia
In questa sezione si presenta una breve
rassegna di radiografie che mostrano alcune delle caratteristiche costruttive delle sopra-elevazione a corna di tazze carenate in
ceramica fine-grigia, considerate prodotte
da vasai/e dotati di un alto livello di competenza tecnica. Le radiografie sono messe a
confronto con quelle di due vasetti di dimensioni minori e di foggia più semplice e irregolare, che appartengono molto probabilmente allo stesso tipo morfologico di tazza,
ma che hanno tutto l’aspetto di essere state
fabbricate da artigiani meno esperti o addirittura alle prime armi: forse proprio i bambini che, all’interno del nucleo familiare dei
vasai, si addestravano all’arte degli adulti.
Frammento 11 (Figure 12.33a, b)
Impasto: matrice omogenea, tessitura fine e
compatta, inclusi litici visibili ad occhio nudo
da 1 a 3 mm.
Colori Munsell: gray 10YR 6/1 (impasto); yellowish 10YR 7/1 (esterno).
Analisi RX: la tecnica utilizzata è la foggiatura a stampo fino al punto d’angolo formato dalla carena del vaso, in corrispondenza
della quale si notano un salto di densità (in
bianco) e l’aggiunta di un cercine per la parte terminale. L’ansa è applicata al corpo del
vaso (discontinuità in giallo). La radiografia
rivela anche l’applicazione alla base dell’ansa, sull’orlo del vaso, di due elementi di raccordo. Per realizzare le terminazioni dell’ansa
a corna il vasaio/la vasaia ha aggiunto delle
applicazioni discoidali laterali (in verde le interfacce segnate da vuoti, in rosso le linee di
compressione).
Frammento 12 (Figure 12.34a, b)
Impasto: matrice omogenea, tessitura molto
fine.
Colori Munsell: dark graysh brown 2.5Y 4/2
(impasto); pink 7.5YR 8/4 (esterno).
Analisi RX: la tecnica utilizzata è la foggiatura a stampo fino alla carena del vaso, in cor88
rispondenza della quale si notano un salto
di densità (in bianco) e l’aggiunta di un cercine per la parte terminale. L’applicazione
dell’ansa (discontinuità in giallo) ha lasciato
delle digito-pressioni (in arancione) in corrispondenza dell’attacco alla parete. Alla base
dell’ansa, sull’orlo del vaso, sono state applicate e modellate delle piccole lastre laterali.
Per realizzare le terminazioni a corna sono state aggiunte le consuete applicazioni sub-circolari laterali (vuoti evidenziati in verde).
Frammento 13 (Figure 12.35a, b)
Impasto: tessitura fine, compatta, minuti inclusi litici.
Colori Munsell: gray 2.5Y 5/1 (impasto); light
gray 10YR 7/2 (esterno).
Analisi RX: la parte inferiore del corpo del
vaso, fino alla carena, è stata foggiata come
nelle altre tazze a stampo (linee di compressione in rosso), mentre la parte superiore risulta realizzata con l’aggiunta di un cercine
(salto di densità in bianco, fessure orizzontali
in verde; tecnica dedotta anche dalla forma
della frattura). L’ansa è stata applicata in un
secondo momento (interfacce in giallo): si
notano, in corrispondenza dell’attaccatura
alla parete, digito-pressioni (in arancione)
dovute al fissaggio. Il nastro dell’ansa forse
non era un unico pezzo, in quanto sembra
composto da una striscia centrale alla quale
sono state successivamente congiunte strisce di argilla di minori dimensioni, applicate
ai lati della base dell’attaccatura dell’ansa e
in corrispondenza dell’orlo del vaso. Forse lo
stesso nastro principale dell’ansa è formato
da due strisce congiunte: una applicata alla
parete del vaso e l’altra all’orlo. Anche la parte superiore dell’ansa risulta composta da
più parti: un nucleo formato dal nastro principale dell’ansa, modellato per tiraggio (linee
di trazione in magenta), e alcune applicazioni
di forma discoidale, aggiunte lateralmente
alle due terminazioni a corna (vuoti in verde).
Frammento 14 (Figure 12.36a, b)
Impasto: matrice omogenea, scarsa presenza di minuti inclusi litici.
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Figura 12.33. Frammento di tazza carenata, da raccolta di superficie: a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale (a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno R.B.).
89
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Figura 12.34. Frammento di tazza carenata, da raccolta di superficie: a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale (a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno R.B.).
90
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Figura 12.35. Frammento di tazza carenata, da raccolta di superficie: a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale (a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno R.B.).
91
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
Figura 12.36. Frammento di tazza carenata, da raccolta di superficie: a. disegno archeologico e tecnologico; b. radiografia originale (a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno R.B.).
92
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Colori Munsell: gray 7.5YR 5/1 (impasto); light
gray 7.5YR 7/1 (esterno).
Analisi RX: la frattura sembra seguire il limite
del cercine e della sua giuntura con una differente parte del vaso, foggiata indipendentemente. L’ansa l’ansa è applicata al corpo del
vaso (interfacce in giallo) e ad essa sono congiunti elementi laterali applicati sull’orlo. Si
vedono digito-pressioni (in arancione; linee
di compressione in rosso) causate dal fissaggio degli elementi applicati. Per realizzare le
terminazioni a corna, come in altri casi, sono
aggiunte delle applicazioni sub-circolari laterali (vuoti in verde). L’osservazione a occhio
nudo del pezzo e il tatto rilevano un trattamento di lisciatura della superficie particolarmente accurato.
Frammento 15 (Figure 12.37a, b)
Impasto: matrice omogenea.
Colori tavola Munsell: light gray 10YR 7/1 (impasto); light brownish gray 10YR 6/2 (esterno).
Analisi RX: la parete è costituita da un singolo cercine: si nota una frattura in corrispondenza della giuntura del cercine con la parte
inferiore del vaso, foggiata con altro procedimento. L’ansa, realizzata in un unico pezzo,
è stata poi applicata alla parete del vaso (in
giallo).
Frammento 16 (Figure 12.38a, b)
Impasto: numerosi inclusi litici da 1 a 5 mm,
presenza di mica.
Colori Munsell: light gray 10YR 7/1 (impasto);
brown 10YR 4/3 (esterno).
Analisi RX: la parete è costituita da un singolo
cercine (come visto anche in frattura). L’ansa
è applicata al corpo del vaso (discontinuità in
giallo) e non appare fatta di un pezzo unico,
quanto piuttosto della sovrapposizione di un
primo nastro e di un elemento a forma cilindrica che costituisce la caratteristica sopraelevazione cilindro-retta.
L’osservazione autoptica del frammento e il
tatto rilevano un trattamento di lisciatura della superficie.
L’analisi delle radiografie e, in generale,
tutti i dati raccolti su questo specifico pro-
dotto mostrano che, nel sito di Pilastri, le
tazze carenate in ceramica fine-grigia erano
fabbricate per mezzo degli steps illustrati nel
Box 3.
5.1_Due piccole tazze emisferiche, probabilmente fabbricate da bambini e/o apprendisti
Frammento 17 (Figure 12.39a, b)
Impasto: matrice omogenea, minuti inclusi
litici.
Colori Munsell: dark grey 7.5YR 4/1 (interno);
dark grey 7.5YR 4/1 (esterno).
Analisi RX: la tecnica utilizzata è la foggiatura a stampo (linee di compressione in rosso).
Vi è un salto di densità (in bianco) nel corpo
del vaso, dovuto a una pressione localizzata
(digito-pressioni in arancione, linee di compressione in rosso) derivata dalla modellazione della vasca del vaso entro lo stampo. Si
notano frequenti vuoti, indice di una difettosa e parziale preparazione del materiale.
L’ansa è applicata alla parete del vaso (il cui
punto di attaccatura è delimitato dall’interfaccia gialla) dove si nota un vuoto (in verde)
causato da una bolla d’aria rimasta intrappolata tra la parete e il nastro applicato; ciò è
indizio di una manifattura meno raffinata di
quella delle tazze della serie precedente. Si
nota una discontinuità assiale nella densità
del nastro dell’ansa (in bianco), cosa che lascia ipotizzare che quest’ultima possa essere
stata costituita da due nastri accostati e non
da un pezzo unico. Si osserva anche l’applicazione di due masserelle alla base dell’ansa (discontinuità in giallo), in corrispondenza
dell’attaccatura di questa all’orlo del vaso. La
tecnica costruttiva corrisponde alla Procedura D descritta nella sezione 4.1.
Frammento 18 (Figure 12.40a, b)
Impasto: tessitura fine e omogenea.
Colori Munsell: dark gray 7.5YR 4/1 (impasto);
light gray 10YR 7/2 (esterno).
Analisi RX: la tecnica impiegata per la parte
inferiore del corpo della tazza fino alla carena è, come in tutti gli altri casi, la foggiatura
a stampo (linee di compressione in rosso),
93
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
94
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Figura 12.37. Frammento di tazza, da raccolta di superficie: a. disegno archeologico e tecnologico; b.
radiografia originale (a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno R.B.).
95
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
Figura 12.38. Frammento di tazza carenata, da raccolta di superficie: a. disegno archeologico e
tecnologico; b. radiografia originale (a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno R.B.).
96
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Figura 12.39. Frammento di tazza, da raccolta di superficie: a. disegno archeologico e tecnologico;
b. radiografia originale (a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno R.B.).
97
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
Figura 12.40. Frammento di tazza, da raccolta di superficie: a. disegno archeologico e tecnologico;
b. radiografia originale (a sinistra) e caratterizzata (a destra) (disegno R.B.).
98
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
mentre la parte superiore risulta realizzata
tramite l’aggiunta di un cercine (salto di densità in bianco).
Per quanto riguarda l’applicazione dell’ansa,
è molto evidente la linea di attaccatura, segno di una formatura meno raffinata, suggerita anche dalla presenza di frequenti vuoti.
Forse lo stesso nastro principale dell’ansa è
formato da due strisce congiunte: una applicata alla parete del vaso e l’altra all’orlo. Ad
essa sono applicati elementi laterali sull’orlo
del vaso. In corrispondenza dell’attaccatura
alla parete sono presenti digito-pressioni (in
arancione), lasciate durante il fissaggio.
Gli indizi che inducono a pensare che i due vasetti siano stati realizzati da mani non esperte (bambini/e apprendisti/e) sono i seguenti:
• impasto disomogeneo, con maggiori
quantità di vuoti interni. Si presume che gli
apprendisti abbiano usato gli stessi lotti di
argilla preparati dagli adulti per le produzioni standard, ma che la manipolazione
preparatoria delle piccole masse argillose (che aveva tra le principali finalità, appunto, l’eliminazione dell’aria interna) sia
stata fatta poco e male. In realtà si tratta
di un’operazione lunga, faticosa e noiosa
(i cui esiti sono peraltro poco visibili), che
rischiava di risultare frustrante per operatori non addestrati;
• spessori eccessivi delle pareti, con sezioni
irregolari, causate da:
- manipolazione irregolare, risultante in
giunzioni difettose e digito-pressioni eccessive, entrambe ben riconoscibili in
radiografia nei punti di pressione nello
stampo e di attacco dell’ansa,
- dimensioni minori dei vasi, che si prestano alla manipolazione da parte di subadulti,
- profili tendenzialmente meno chiusi, nei
quali la parte del vaso costruita con un
cercine oltre l’altezza dell’orlo della vasca stampata, invece di chiudersi verso
l’interno e formare la carenatura, continua verso l’esterno (dando così una tazza emisferica) o tende a chiudersi solo
in modo molto parziale. Questo aspetto
ha un forte valore diagnostico: infatti, il
compito tecnico di innestare saldamente
una sopraelevazione chiusa richiedeva
movimenti complessi e diversi fra loro,
eseguiti contemporaneamente dalle due
mani. Quest’ultima operazione è resa più
complessa dal fatto che, idealmente, doveva avvenire sul punto d’angolo della carena, molto fragile, dal punto di vista della
tettonica del vaso, dall’attacco del cercine sull’orlo del corpo della tazza. Appare
probabile che un bambino/una bambina
non fosse in grado di controllare bene lo
stress meccanico indotto dall’operazione sul vaso ancora non irrigidito dall’essiccazione e che le vistose anse verticali
con corna fossero applicate su forme ben
carenate principalmente da ceramisti che
avevano raggiunto un sufficiente livello di
competenza tecnica.
6_Costruzione a cercini di diversi vasi: analisi
dimensionale ed elaborazione statistica
Di seguito sono riportati i grafici relativi
all’analisi delle variabili di spessore e altezza
per i cinque gruppi morfologici (dolii, olle,
scodelle, scodelloni e tazze).
Il grafico in Figura 12.41 presenta la distribuzione delle altezze dei cercini nei cinque
gruppi morfologici tramite box and whiskers
plots.19 È possibile osservare come le altezze
non varino molto tra le classi ceramiche; solo
le tazze sembrano distinguersi in quanto hanno delle altezze mediamente inferiori a 2 cm.
La “scatola” contiene il 50% delle osservazioni, la linea spessa rappresenta la mediana, i “baffi” definiscono
l’intervallo di variazione; eventuali outlier sono rappresentati agli estremi. Il metodo prevede l’identificazione
degli outlier come i valori al di fuori di 1,5 volte l’interquartile range dai limiti della scatola, definito a sua volta
come l’estensione della stessa.
19
99
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
Figura 12.41. Diagramma
a “scatola e baffi” (box and
whiskers plots) relativo alle
altezze dei singoli cercini
per ogni classe morfologica.
Figura 12.42. Diagramma
a “scatola e baffi” (box and
whiskers plots) relativo agli
spessori dei singoli cercini
per ogni classe morfologica.
100
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Il grafico in Figura 12.42 presenta la variabilità degli spessori dei cercini. Anche in
questo caso olle, scodelle e scodelloni non
riportano grandi differenze, mentre spiccano ancora una volta le tazze (spessori minori
compresi fra 0,4 e 0,6 cm circa) e i dolii (spessori maggiori compresi fra 1,3 e 1,6 cm circa). Va notato, inoltre, che la variabilità degli
spessori delle tazze20 e delle olle è minore
(intervallo interquartile e dispersione dei valori ridotti) rispetto a quella delle altre classi
morfologiche, cosa che indica, dunque, una
maggior omogeneità dimensionale.
Di seguito sono riportate, per ogni classe
morfologica, le correlazioni tra altezza/spessore del cercine, spessore/diametro del cercine e altezza /diametro del cercine.
DOLII (Figura 12.43): Il rapporto altezza/
spessore dei singoli cercini ha evidenziato
una correlazione debolmente positiva. Tuttavia, andando a rapportare ciascuna di queste
variabili con il diametro del cercine, si deduce che non crescono entrambi allo stesso
modo. Spessore e diametro del cercine non
sono correlati, mentre l’altezza e il diametro
al cercine mostrano una debole correlazione
negativa. Possiamo ipotizzare che l’altezza
fosse la variabile cui era prestata maggiore
attenzione, probabilmente perché più importante rispetto allo spessore: forse all’aumentare del diametro i vasai/le vasaie ridu-
Figura 12.43. Grafici a dispersione di punti relativi alla classe morfologica dei dolii: a. correlazione tra diametro e spessore del cercine; b.
correlazione tra spessore e altezza del cercine; c.
correlazione tra e diametro e altezza del cercine.
Questo ridotto range di variabilità tra gli spessori
delle tazze rafforza l’ipotesi della realizzazione di buona parte di questo gruppo morfologico (circa l’85%)
mediante una tecnica mista che unisce la costruzione
a cercine alla tecnica a stampo. Infatti, lo spessore della parte stampata vincola anche quello dei cercini.
20
101
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
cevano l’altezza del cercine per poter gestire
con maggior facilità le grandi dimensioni,
evitando problemi strutturali o il collasso del
vaso durante la fase di assemblaggio.
OLLE (Figura 12.44): In questa classe morfologica lo spessore e l’altezza dei singoli cercini hanno una correlazione positiva benché
debole. La stessa correlazione si può osservare nel rapporto altezza/diametro del cercine mentre è meno apprezzabile nel caso del
rapporto spessore/diametro del cercine. Anche per le olle sembra che la variabile più importante fosse l’altezza del cercine. Dato che
sono forme chiuse, con una parte superiore
leggera ma al tempo stesso stabile sul punto
di massima espansione, queste non dovevano essere assottigliate troppo. Trattandosi
quindi di una parte del vaso con una curvatura significativa, utilizzare cercini molto alti, incurvandoli, sarebbe stato controproducente.
SCODELLE (Figura 12.45): Lo spessore e
l’altezza dei singoli cercini hanno una correlazione positiva benché debole. I rapporti spessore/diametro del cercine e altezza/
diametro del cercine mostrano correlazioni
meno forti e di segno opposto. Possono valere dunque le considerazioni già avanzate nel
caso dei dolii, trattandosi sempre di forme
molto aperte con problemi di staticità paragonabili. Questa classe morfologica racchiude le forme notoriamente più semplici da
realizzare. Ciò può suffragare l’impressione
che gran parte delle scelte tecnologiche, nel
sistema tecnico studiato, fossero condizionate da immediate necessità pratiche e non da
una codificata progettazione costruttiva.
SCODELLONI (Figura 12.46): Lo spessore
e l’altezza dei singoli cercini hanno, anche in
tal caso, una correlazione positiva, mentre lo
Figura 12.44. Grafici a dispersione di punti relativi alla classe morfologica delle olle: a. correlazione tra diametro e spessore del cercine; b.
correlazione tra spessore e altezza del cercine; c.
correlazione tra e diametro e altezza del cercine.
102
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
spessore e il diametro al cercine sono correlati negativamente. Meno apprezzabile ma
comunque importante è la debole correlazione tra l’altezza e il diametro del cercine. In
questo caso i vasai/le vasaie evidentemente
prestavano maggiore attenzione agli spessori dei cercini, ciò forse in funzione della necessità di alleggerire la parte superiore per
motivi strutturali e pratici. La forma aperta,
caratterizzata da un’inclinazione delle pareti
non molto accentuata, permette di utilizzare cercini sottili senza avere problemi statici. Questo espediente non è stato osservato
nelle scodelle (nonostante si tratti sempre di
forme aperte), in quanto queste ultime necessitano di spessori maggiori, avendo le
pareti più inclinate degli scodelloni. Anche
dal confronto con i dolii, morfologicamente
e tecnologicamente molto simili agli scodelloni ma di dimensioni maggiori, si osservano
notevoli differenze. Nonostante si attendessero similarità dal punto di vista costruttivo, il
dato metrico ha confutato l’aspettativa. Confrontando infatti i grafici, si nota che la correlazione tra l’altezza e il diametro del cercine
negli scodelloni è positiva mentre nei dolii è
negativa. Un simile risultato è spiegato dal
rapporto spessore/diametro del cercine negli scodelloni, la cui correlazione negativa è
particolarmente evidente. Questo effetto è
il risultato dell’assottigliamento delle pareti mediante battitura, che indirettamente fa
anche aumentare l’altezza dei cercini. Tale
ipotesi troverebbe conferma nell’assenza di
tracce di battitura nei dolii, le quali sono invece ben attestate negli “scodelloni”. L’ipotesi dovrà essere verificata, in futuro, da indipendenti dati di ordine micro-strutturale.
TAZZE (Figura 12.47): Tutte le correlazioni sono positive. La dispersione dei punti nei
grafici è nettamente inferiore a quella osser-
Figura 12.45. Grafici a dispersione di punti relativi alla classe morfologica delle scodelle: a. correlazione tra diametro e spessore del cercine; b.
correlazione tra spessore e altezza del cercine; c.
correlazione tra e diametro e altezza del cercine.
103
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
vata in tutte le altre classi morfologiche. Le
tazze mostrano una forte omogeneità e una
standardizzazione sia nelle tecniche costruttive, perfettamente in linea con la peculiare
tecnica dello stampaggio, sia in materia di
scelta e preparazione degli impasti (come
confermato dal Capitolo 13).
Figura 12.46. Grafici a dispersione di punti relativi alla classe morfologica degli scodelloni: a. correlazione tra diametro e spessore del cercine; b.
correlazione tra spessore e altezza del cercine; c.
correlazione tra e diametro e altezza del cercine.
104
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Figura 12.47. Grafici a dispersione di punti relativi alla classe morfologica delle tazze: a. correlazione tra diametro e spessore del cercine; b.
correlazione tra spessore e altezza del cercine; c.
correlazione tra e diametro e altezza del cercine.
105
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
BOX 5 - CONFRONTI CON LA PRODUZIONE CERAMICA
NEI SITI DI MONTE CASTELLACCIO E SAN GIULIANO
Lo studio dei reperti dei siti di Monte Castellaccio (BM1-2) e San Giuliano (BM2-BR), entrambi
nell’Imolese, a circa un centinaio di km a sud di Bondeno, presenta l’unico – almeno sinora – caso
di ricerca approfondita sulla tecnologia di ceramiche coeve a quelle della Terramara di Pilastri.
Tale studio può quindi essere preso come riferimento, anche se la localizzazione di questi due siti
ai piedi dei rilievi appenninici comporta notevoli differenze sia dal punto di vista della composizione sia da quello delle proprietà fisiche delle materie prime utilizzate.21 Il confronto, tuttavia, è
reso più puntuale dal fatto che le tecniche applicate 25 anni fa per lo studio di queste ceramiche
(radiografia, sezioni sottili, diagnosi delle tecniche di manifattura) sono le stesse ora usate per i
materiali di Pilastri.
Gli impasti dei vasi di Monte Castellaccio e San Giuliano sono descritti come disomogenei e
non sottoposti a depurazione iniziale. Sono ricchi di calcite, quarzo, feldspati, bonherz (micro-particelle di suoli ossidati e ricchi in ferro) e, occasionalmente, contengono particelle vegetali. A differenza di quanto osservato a Pilastri, gli inclusi di cocciopesto sembrano essere piuttosto rari e di
dimensioni generalmente inferiori al millimetro. Come ammesso dagli autori, le particelle di tipo
bonherz pongono problemi nella lettura delle sezioni sottili, in quanto a volte sono difficilmente
distinguibili dal cocciopesto e dalla massa di fondo della matrice argillosa. Lo studio suggerisce
comunque che l’inclusione di polveri o frammenti di cocciopesto nelle ceramiche dei due siti sia
un fatto in larga misura casuale (una sostanziale differenza, quindi, rispetto alla tecnologia pilastrese). Questa divergenza si spiega facilmente considerando che la Terramara di Pilastri si trova
nel cuore della pianura, senza alcun accesso diretto a graniglie naturali e ad affioramenti litici di
qualsiasi genere; alle argille, quindi, andavano aggiunte le graniglie artificiali dei cocci macinati.
Esattamente come a Pilastri, invece, nei due siti romagnoli coevi si nota una differenza fondamentale tra le ceramiche grossolane, usate comunemente per vasi di dimensioni maggiori o per la
cucina, e le ceramiche molto più fini o da mensa, cotte in atmosfera riducente, le quali corrispondono alla classe definita a Pilastri “ceramica fine-grigia”, cioè a quella delle tazze carenate con
ansa sopraelevata verticale fatte a stampo, cotte in atmosfere riducenti.
Per quanto riguarda le tecniche costruttive, i 21 frammenti analizzati nei due siti imolesi sono
descritti come costruiti a cercine, tranne in due casi (un dolio e una ciotola) per i quali si ipotizza
una costruzione a stampo. La tecnologia della manifattura a stampo, quindi, sarebbe stata presente, ma avrebbe avuto un ruolo più limitato di quanto osservato a Pilastri.
La tecnica prevalente sembra invece essere stata una costruzione a cercine continuo o a spirale, così individuata perché le fratture sono quasi sempre descritte come oblique. La dimensione
di questi cercini nelle forme chiuse tende a variare in proporzione alla grandezza del vaso: nei
dolii l’altezza dei cercini varia dai 4 ai 6 cm (dimensioni maggiori rispetto a Pilastri, dove si ha qualche caso con altezza del cercine pari a 5/6 cm, per quanto la maggior parte abbia invece altezze
comprese tra gli 1,5 e i 3,5 cm); olle e vasi biconici hanno cercini alti tra i 2,5 e i 3 cm (come le olle
di Pilastri, che, si ricorda, hanno i cercini alti generalmente tra i 2 e i 3 cm); le forme aperte, come
ciotole e tazze, hanno un’altezza del cercine tendenzialmente compresa tra i 2 e i 4 cm (a Pilastri,
invece, le tazze sono di dimensioni minori, tra gli 1,5 e i 2,5 cm).
Nei siti di Monte Castellaccio e San Giuliano sono stati identificati tre tipi di giunzioni fra i cercini: rettilinea, obliqua e a “S” (tuttavia non esistono disegni che li rappresentino in sezione). Per
gli autori (Amadori et al.) la giunzione a “S” è la più comune, nonché quella con maggiori capacità
di tenuta, quindi usata in punti critici della tettonica dei vasi (nell’analisi della produzione di Pilastri, invece, questo tipo di giunzione non sembra coincidere con tali punti). Le anse, con un’unica
21
106
Amadori et al. 1996; Damiani & Morico 1996; Pacciarelli 1996.
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
eccezione, sembrano essere state costruite in un unico pezzo. Infine, mentre a Pilastri sono state
individuate diverse evidenze di ingobbiatura, nei due siti imolesi questi rivestimenti fluidi finali
sembrano piuttosto rari.
Dei 21 frammenti sono state proposte due diverse analisi statistico/dimensionali: un grafico
a dispersione di punti in cui vengono rapportati altezza del cercine e spessore della parete del
vaso22 e un grafico a barre che mette a confronto il diametro dei cercini prima dell’applicazione
fra loro (non il diametro al cercine).23 Dai due grafici gli autori deducono una certa omogeneità dimensionale dei cercini usati per le classi morfologiche di olle, ollette, vasi biconici, tazze e ciotole,
cosa che non possono invece affermare per i cercini usati per i dolii, che si distinguono in quanto,
come sembra logico aspettarsi, aventi dimensioni maggiori.
Infine, le temperature di cottura riportate sono le seguenti: 700-750° C nei vasi con inclusi
calcitici e 800-850° C per quelli che ne sono privi; pur essendo lievemente inferiori, sono temperature nel complesso abbastanza coerenti con quelle stimate nel caso di Pilastri.
7_Conclusioni
La ricerca è iniziata ponendo, tra le varie
domande possibili, il quesito di quale livello
di abilità e competenza tecnica (skill) avessero raggiunto le vasaie e i vasai della Terramara di Pilastri. Alla luce di questo studio,
il panorama tecnico appare complesso e
variegato, tutt’altro che semplicistico, perciò tecnologicamente avanzato. Prevedeva
con certezza la compresenza di individui
capaci di realizzare vasi complessi (dunque
dotati di alte conoscenze e abilità tecniche),
probabilmente affiancati da una maggioranza dedita alla realizzazione di forme più
semplici e di uso quotidiano e, molto probabilmente, da bambini e giovani apprendisti intenti ad imparare il lavoro degli adulti
più esperti. Gli impasti ceramici destinati
alle diverse categorie di vasi (in particolare
nella dicotomia tra la massa dei prodotti in
ceramica media-grossolana e quella in cera-
mica fine-grigia) erano ottenuti con ricette
differenziate e processi piuttosto controllati.
Osservando il gruppo morfologico dei
dolii in ceramica grossolana e medio-grossolana, si ravvisa una certa progettualità nel
dimensionare l’altezza dei cercini alla funzione del vaso. I ceramisti decidevano in anticipo, prima di procedere all’assemblaggio del
vaso, le dimensioni dei singoli cercini sulla
base delle dimensioni totali finali del vaso
stesso. I dolii, infatti, sono le forme vascolari
più difficili e costose (in senso ergonomico)
da fabbricare,24 a causa delle grandi dimensioni, del peso e della forma tendenzialmente
aperta, facile al rischio di cedimenti strutturali durante la formatura (e – ovviamente – al
costo notevolmente superiore del combustibile richiesto dalla cottura). Per la gestione
efficace delle masse d’argilla necessarie, i
ceramisti dovevano accuratamente valutare i
tempi di essicazione parziale della parte inferiore del vaso, che avrebbe dovuto poi soste-
Non è chiaro se le misure considerate si riferiscano allo spessore della parete al singolo cercine o allo
spessore medio delle pareti.
23
Infatti con “diametro dei cercini” gli autori si rifanno ad un concetto presentato nel lavoro di Levi (2010,
p. 91), secondo il quale il cercine, prima di essere foggiato, aveva sezione circolare e solo in fase di formatura
acquistava una forma quadrangolare/rettangolare. Dunque per calcolare il diametro iniziale della sezione del
cercine è necessario applicare la formula: diametro = √(altezza x spessore)/3,14 x 2.
24
Levi 1999.
22
107
Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
nere il peso dei cercini superiori. Una distribuzione difettosa del carico dell’argilla, con
pareti che in alcuni casi risultavano troppo
spesse o, viceversa, troppo sottili, mettevano
a rischio lunghe ore di lavoro. Costruire i dolii
era sicuramente impegnativo sul piano fisico
e le operazioni richieste non erano sempre
alla portata di qualunque artigiano.
Anche nei gruppi morfologici degli scodelloni e delle olle si riconoscono abilità simili a quelle appena ipotizzate. Così come i
dolii, gli scodelloni sono forme di grandi dimensioni e tendenzialmente aperte, con tutte le complessità del caso. Come già osservato grazie alle analisi statistiche, per questo
gruppo le scelte costruttive sembrano tuttavia essere state diverse da quelle dei dolii.
Per fare gli scodelloni, infatti, i cercini erano
fabbricati in modo seriale, con le stesse dimensioni di partenza, e adattati solo dopo
l’assemblaggio utilizzando la tecnica di modificazione dello spessore mediante battitura, che non sembra venisse impiegata nella
formatura dei dolii.
Anche nelle olle si osservano indizi di una
certa progettualità, statisticamente meno
apprezzabile rispetto ai due casi precedenti
ma rilevabile nel dimensionamento dei cercini nella parte alta, protesa verso l’interno per
ottenere la giusta curvatura, così da evitare
l’insorgere di problemi strutturali. Ciò avveniva montando cercini di altezza e spessore
ridotti rispetto a quelli della parte inferiore.
Tale soluzione tecnica era preferibile all’uso
di cercini più alti, che avrebbero dovuto essere incurvati con ulteriori difficoltà tecniche
e tettoniche. Ad arricchire il patrimonio delle
tecniche disponibili per questi vasi si aggiunge l’uso di una ruota da vasaio, dedotta, come
si è visto, dalle presunte impronte del perno
della ruota osservate sul fondo di vasi di grandi dimensioni e impasto grossolano. Considerando anche che un’impronta quadrangolare più grande rispetto alle altre è stata
osservata sull’esterno della base di un dolio,
resta la possibilità che, per facilitare la foggiatura di vasi di dimensioni diverse, si usassero addirittura torni o basi rotanti di altrettanto diverse dimensioni. È dunque evidente
che le soluzioni tecniche che i vasai/le vasaie
terramaricoli erano in grado di adottare erano molteplici e venivano applicate in modo
differenziale a seconda del tipo di prodotto.
Quanto alle scodelle, questi vasi sono di
forma aperta ma di piccole dimensioni e, rispetto ad altre forme, presentano difficoltà
costruttive inferiori. Sono il gruppo con maggiore variabilità nell’inclinazione delle pareti e nelle dimensioni totali del vaso, come
nella quantità di degrassante nell’impasto e
nel grado di rifinitura finale delle superfici.
Questi contenitori sembrerebbero realizzati
da individui dotati di diversi gradi di abilità
e manualità, che non seguivano rigidamente
tecniche costruttive o di modificazione particolarmente strutturate o preventivamente
messe a punto. In breve, quella della scodella sembrerebbe essere stata una forma “accessibile”, che poteva cioè essere prodotta
da individui dotati di differenti livelli di abilità, sebbene con risultati diversi.
Con le tazze, fabbricate, a differenza dei
gruppi precedenti, con ceramica fine-grigia,
si torna ad un ambito tecnico e cognitivo ben
più rigidamente codificato. La quasi totalità
delle tazze studiate è stata costruita a stampo, probabilmente posizionando lo stampo
direttamente sulla ruota da vasaio; in seguito esse sono state completate in alto, oltre
la carena, con cercini torniti alla ruota e, infine, con l’applicazione delle complesse anse
sopraelevate. L’analisi dei rapporti delle variabili dimensionali ha rilevato una regolarità
formale e costruttiva maggiore rispetto agli
altri gruppi, ben rappresentata dalla distribuzione dei relativi valori dimensionali. Ne
risulta l’immagine di una produzione quasi
“seriale”,25 velocizzata da una semplificazio-
Si utilizza questo termine per rimarcare la forte omogeneità delle forme osservata in questa classe, spogliandolo di ogni valore storico/economico.
25
108
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
ne notevole delle fasi interne della catena
operativa. E si è tentati, nella prospettiva di
ricostruire un reticolo virtuoso di interazioni economiche, di notare i legami strutturali
tra questa produzione seriale e il riciclaggio
selettivo delle stesse tazze in ceramica fine-grigia per gli impasti; i dispositivi rotanti
e l’industria del legno; le ossa animali usate
come combustibile nella fornace per creare
atmosfere riducenti e creare dei vasi potori meno assorbenti e, in finis, una incipiente
produzione del vino…
Mentre è innegabile che tutto ciò rimane,
in parte, speculativo e che i casi qui proposti
sono ancora troppo pochi, queste evidenze
e i ragionamenti che seguono hanno lo scopo di stimolare un nuovo ordine di riflessioni
sulla produzione ceramica delle terramare,
che mettano in primo piano una specifica dimensione di agency. Si tratta di un concetto
della teoria archeologica piuttosto sfuggente ma intrigante, variamente definito come il
ruolo attivo dell’individuo – delle sue specifiche capacità cognitive e della sua efficienza
nelle prassi sociali consolidate entro il gruppo, della sua capacità di agire in modo razionale ma anche inconscio – a favore o contro
le regole sociali dominanti; in ogni caso, sulla base della soggettività individuale, a sua
volta dipendente dall’esperienza personale
e dallo stadio del ciclo vitale raggiunto dallo
stesso individuo.26
Ci si è così concentrati sul cercare le tracce lasciate nella documentazione archeologica dagli apprendisti – bambini, bambine,
sub-adulti – attori molto specifici, in quanto
protagonisti di quella fase dello sviluppo
nella quale ad essi era demandato il fondamentale compito della ricezione per futura
trasmissione del sapere tecnico.27
Ripensando soprattutto alle due tazze discusse sopra (Figure 12.39 e 12.40), se nei vasi
sono rimasti i segni tecnici degli apprendisti,
che tipo di insegnamento era loro riservato?
Semplificando la discussione, sono stati riconosciuti, nella documentazione archeologica
e nella letteratura specifica,28 di due tipi di
insegnamento tecnico piuttosto diversi.
In un primo ordine di pratiche, i bambini
vengono lasciati liberi di assistere al lavoro
degli adulti e, ai margini del flusso della produzione, imparano osservando quanto avviene per tutto il tempo necessario, facendo
esperimenti per conto proprio. È possibile
immaginare che questo avvenisse in una dimensione non molto diversa (e in parte sovrapposta) a quella del gioco. Nell’ambito
della fabbricazione delle ceramiche, ciò si
può ravvisare in vasetti difettosi (per esempio troppo spessi alla base, mal formati o dipinti in modo approssimativo), i quali, poiché
prodotti a costo zero, erano comunque cotti
nella fornace.29
Il secondo tipo di insegnamento (e quindi
di apprendimento) richiede un investimento di tempo e attenzione maggiore da parte degli adulti. In questo caso, il bambino/
la bambina viene seguito passo dopo passo
nei diversi momenti della sequenza operativa e viene aiutato da un operatore esperto
a risolvere i vari tipi di problemi che si presentano uno dopo l’altro. Si devono quindi
immaginare gli apprendisti maggiormente
coinvolti negli spazi e nelle filiere tecniche
del laboratorio, perciò controllati e già sottratti alla dimensione del gioco come attività
relativamente libera.
In psicologia, negli studi sull’età evolutiva
Dobres & Robb 2000; Dornan 2002.
Crown 1999, 2001, 2007a, 2007b; Dervenski 2000; Kamp 2001; Budden 2008; Hasaki 2012; Wendrich
2012; Vidale et al. 2017 e altri.
28
Aspetti della discussione in Miller 2012; Vidale et al. 2017.
29
Anche nelle case di molti di noi, se genitori, vi saranno vasetti fatti in creta o DAS da bambini, comunque
consolidati per cottura o essiccazione, conservati per motivi affettivi malgrado le scarse qualità estetiche e
tecniche.
26
27
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Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
e in pedagogia il termine inglese scaffolding
può indicare l’aiuto dato da una persona ad
un’altra al fine di svolgere un compito. Esso
deriva dalla parola inglese scaffold (letteralmente impalcatura, ponteggio, scaffale), di
norma impiegato per le impalcature edilizie
sulle quali si lavora per costruire. La metafora è, ovviamente, quella della costruzione,
intorno al bambino, di una forte struttura di
riferimento cognitivo e gerarchico, che accelera e consolida le modalità di apprendimento e, quindi, rende la trasmissione del sapere
tecnico più efficiente.30
Gli scarni dati ottenuti dalle radiografie
forse suggeriscono qualcosa in tal senso.
Si sa che l’impasto di partenza, usato in entrambi i casi, era il medesimo e che, con ogni
probabilità, i vasetti fatti dai meno esperti
erano cotti insieme a quelli fatti dagli adulti. Questo qualifica la sequenza tecnica degli
apprendisti come una diramazione alla fine
convergente con quella degli artigiani adulti,
posta molto probabilmente sotto il loro diretto controllo.
Lo stampaggio, inoltre, è un atto tecnico
fortemente condizionato dallo strumento utilizzato, che non richiede particolari competenze e controlli se non un po’ di attenzione e
un minimo di forza fisica. Possiamo presumere che, almeno all’inizio dell’apprendimento, esso risultasse persino piacevole per un
bambino. Nel caso in cui gli artigiani avessero delegato ai più giovani i passi tecnici più
semplici, essi avrebbero potuto coinvolgere
gradualmente questi ultimi, sempre sotto
controllo visivo degli adulti, in un passo importante della sequenza lavorativa e, altrettanto gradualmente, avrebbero potuto insegnare loro la restrizione della bocca delle
tazze (che andava di pari passo con l’applicazione dell’ansa), assistendoli personalmente
di tanto in tanto. Non se ne ha la certezza, ma
tutto ciò sposterebbe l’ago della bilancia nel
verso dell’insegnamento fortemente assistito, piuttosto che verso quello dell’osserva-
30
110
zione imitativa libera. Se le cose fossero state
effettivamente così, si verrebbe a consolidare il quadro di una professione specialistica,
potenzialmente riproducibile all’interno del
nucleo domestico.
Berk & Winsler 1995; Miller 2012; Wendrich 2012; Vidale et al. 2017.
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Tabella 12.1. Tabella che riporta le misure di spessore, altezza e diametro al cercine e US di provenienza di dolii costruiti con la tecnica a cercini.
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Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
Tabella 12.2. Tabella che riporta le misure di spessore, altezza e diametro al cercine e US di provenienza di olle costruite con la tecnica a cercini.
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
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Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
Tabella 12.4. Tabella che riporta le misure di spessore, altezza e diametro al cercine e US di provenienza di scodelloni costruiti con la tecnica a cercini.
Tabella 12.3. Pagina a fianco. Tabella che riporta le misure di spessore, altezza e diametro al cercine e
US di provenienza di scodelle costruite con la tecnica a cercini.
114
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Tabella 12.5. Tabella che riporta le misure di spessore, altezza e diametro al cercine, diametro alla
bocca, diametro massimo corpo stampato, diametro alla carena e US di provenienza di tazze costruite
a stampo.
Tabella 12.6. Pagina a fianco. Tabella che riporta per ogni classe morfologica le misure di spessore
della singola masserella, spessore della parete, altezza, diametro alla masserella e US di provenienza
di vasi costruiti con la tecnica a doppia masserella.
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Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
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Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Appendice
Replicazione sperimentale di vasi dell’età del Bronzo
Irene Caldana, Emanuele Lant, Alina Pana, Katerina Gottardo, Eugenio Varotto,
Amedeo Rizzato, Zeno Caneva, Raffaello Cantalbrigo, François Desset*
Nei giorni 19-21 ottobre 2020 gli autori
(studenti della Laurea Triennale, Magistrale e della Scuola di Specializzazione in Beni
Archeologici dell’Università di Padova) hanno partecipato a tre giorni di replicazione
sperimentale di vasi rispondenti a tipologie
terramaricole del BM e BR, ispirati a parte
delle ceramiche rinvenute nello scavo della
Terramara di Pilastri. Le attività pratiche si
sono svolte presso il LASeRT (Laboratorio di
Archeologia Sperimentale e Ricerche sulla
Tecnologia) del Dipartimento dei Beni Culturali UniPd.
I partecipanti, privi di qualsiasi esperienza
in merito, sono stati seguiti da Massimo Vidale, docente di Metodologia della Ricerca
Archeologica, e Irene Caldana, in qualità di
chief trainer per la preparazione delle argille
e la costruzione degli stessi vasi. Gli studenti, in tre giorni di lavoro (otto ore giornaliere,
suddivise in due turni), hanno potuto prendere parte attiva e sperimentare di persona
il ciclo completo della produzione ceramica
(senza la cottura), dalla preparazione delle
materie prime (argilla, cocciopesto: Figure
1 e 2) alla realizzazione dei vasi in forma finalmente adatta alla cottura (Figura 3), da
eseguirsi in primavera ad essiccazione completata.
Scopo della ricerca, al di là di una prima
“alfabetizzazione” dei partecipanti alla manipolazione delle argille e alla costruzione dei
contenitori, era di mettere alla prova le ipotesi che sono state puntualmente presentate al
Capitolo 12, con particolare riferimento alla
produzione delle tazze carenate a stampo e
al successivo completamento del vaso mediante cercini e con l’ausilio del tornio.
I prodotti della sessione sono 11 vasi portati a formatura e rifinitura completa delle superfici, così descritti: un biconico con bugne
mammelliformi contornate nella parte superiore da fasci di solcature semicircolari (con
impasto medio-fine); sei tazze carenate con
anse a nastro con sopraelevazione a corna;
una tazza sub-globulare con ansa a nastro e
sopraelevazione cilindro-retta; due ollette a
corpo schiacciato con bugne coniche; una
scodella carenata a corpo abbassato con
due anse canaliculate.
Segue una breve descrizione delle materie prime: l’argilla utilizzata, fine e con ottime
proprietà plastiche, viene dai letti del Tevere
e fa parte di un lotto portato a Padova per
una precedente riproduzione sperimentale del Vaso François. È stata frammentata,
sia manualmente sia con mezzo meccanico,
fino alla completa riduzione in polvere fine,
quindi setacciata per eliminare tutte le parti
macroscopiche (grumi, residui vegetali, rari
grani litici). La polvere è stata poi mescolata
ad acqua e lasciata ad essiccare su tavolati
lignei, aggiungendo gradualmente altra polvere fine fino al raggiungimento della consistenza e della plasticità necessaria. L’argilla
è stata gradualmente integrata con frazioni
di cocciopesto molto fine, ottenuto dalla macinazione, sempre fino allo stato di polvere
* Laboratorio di Archeologia Sperimentale e Ricerche sulla Tecnologia – LASeRT, Dipartimento dei Beni
Culturali: Archeologia, Storia dell’Arte, della Musica e del Cinema, Università di Padova.
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Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
fine, di mattoni cotti. La macinazione è stata
effettuata con percussori (quindi entro mortai in pietra) e con pestelli in pietra vulcanica.
Nel rispetto dell’evidenza archeologica, non
sono stati aggiunti inclusi vegetali. Rare inclusioni di questo tipo possono derivare dal
casuale distacco di schegge dai piani lignei
o di fibre provenienti da stuoie usate per la
lavorazione.
Si riassumono ora i risultati della sperimentazione, focalizzando le osservazioni, come si è detto, sulla costruzione delle tazze a
stampo e quindi a cercini:
– è stata sperimentata la funzionalità della
tecnica a stampo (Figura 4), che si è rivelata estremamente efficiente e facile
da applicare (anche da parte di operatori privi di qualsiasi esperienza pregressa,
pur guidati da una “esperta”) rispetto alla
costruzione interamente a cercini, ricca di
ostacoli e di difficoltà ben superiore;
– si è sperimentato poi l’uso di scodelle,
forme fatte di argilla cruda, ben essiccate
(Figura 5). Queste forme si sono rivelate
funzionali, in quanto, assorbendo rapidamente l’umidità dell’argilla dalla parete,
permettevano un veloce distacco delle
tazze, ancora in stato parzialmente plastico e facilmente modificabili. Svantaggio
di queste forme è che, durante la fase di
distacco e nelle successive manipolazioni,
gli stampi non cotti tendevano a rompersi.
Si presume che anche stampi in terracotta
della medesima forma avrebbero dato un
buon risultato, ma l’ipotesi necessita di ulteriori prove sperimentali;
– per quanto riguarda la forma dei cercini
da usare nella parte superiore delle tazze, in primo luogo sono stati preparati e
utilizzati cercini cilindrici (a sezione circolare), ma si è poi capito che sarebbe stata molto più efficace la costruzione con
strisce preformate a sezione rettangolare.
Ciò vale probabilmente anche per le altre forme vascolari ottenute mediante gli
stessi assemblaggi;
– gli esperimenti eseguiti suggeriscono
che, per gran parte delle forme, la tipologia degli attacchi dei cercini, elaborata
sulla base delle sezioni dei frammenti per
118
–
–
–
–
analisi, rilevate dall’analisi autoptica (Capitolo 12, Fig. 12.3), rifletterebbe, in termini di problem solving, adattamenti della
sequenza di applicazione di volta in volta
contestuali, cioè caso per caso e momento per momento, piuttosto che tecniche
alternative codificate a priori. Ciò vale anche per le varianti tecniche A-E (Capitolo
12, paragrafo 4.1, Fig. 12.25) proposte per
la costruzione del collo delle tazze carenate sopra le vasche stampate;
il piccolo “cercine” a sezione sub-triangolare che compare in gran parte delle
sezioni delle tazze, alla luce delle prove
sperimentali, potrebbe essere non tanto
il risultato di una piccola striscia applicata manualmente, quanto il ripiegamento,
eseguito al tornio, dell’estremità della parete della tazza in corso di foggiatura su
sé stessa. Anche questa ipotesi richiede
ulteriori approfondimenti;
la tecnica che risulta più efficiente per
l’applicazione della spalla-collo delle tazze carenate è quella che prevede di far
sbordare il margine della vasca stampata
sopra a quello dello stampo. L’argilla qui
sovrapposta può essere facilmente eliminata dopo o durante l’estrazione della
tazza (con la parte superiore costruita a
cercine) dallo stampo stesso (Figura 6).
A seconda della manipolazione applicata
in questa fase della lavorazione, il vasaio
può accentuare o meno la carenatura della tazza;
si è toccato “con mano” che schegge angolari di cocciopesto (Figura 7) possono
risultare fastidiose, se non pericolose, non
solo nella lavorazione al tornio, ma anche
nelle varie fasi di manipolazione delle argille in stato plastico. Inoltre, l’affioramento di grandi schegge di cocciopesto sulla superficie dei vasi doveva certamente
causare problemi durante la realizzazione
di incisioni geometriche a scopo decorativo (cosa osservata nel vaso biconico decorato e non nelle tazze, Figura 8);
la fase di lucidatura delle superfici dei
vasi (Figura 9), effettuata con spatole in
legno e palco di cervo e poi con i ciottoli,
è stata sperimentata a lungo, con succes-
Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
sive riprese sugli stessi vasi in diversi stadi
dell’essiccazione. Si è osservato che poche ore di attrito tra un normale ciottolo
calcareo a grana fine e l’argilla delle pareti, fabbricate con il materiale sopra descritto, sviluppano sullo strumento un’inconfondibile patina lucida continua.
anche in questo particolare contesto culturale, la fabbricazione dei vasi rappresentasse
una specializzazione produttiva articolata su
base familiare.
In conclusione, è apparso chiaro che per
una sequenza manifatturiera ben controllata
ed efficiente è necessaria la collaborazione
di più mani, anche per una produzione che
è stata tradizionalmente considerata “semplice” come quella delle ceramiche terramaricole. Ciò naturalmente suffraga l’idea che,
Figura 1. Ciclo produttivo dell’argilla: a. l’argilla triturata finemente viene setacciata per eliminare
eventuali inclusi vegetali e litici; b, c. la polvere di argilla setacciata viene mischiata con acqua e impastata fino al raggiungimento dello stato plastico.
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Figura 2. a. Frantumazione di mattoni in
ceramica per la creazione del cocciopesto; b. aggiunte della polvere di cocciopesto all’impasto ceramico.
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Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Figura 3. I vasi creati in laboratorio allo stato cuoio, stadio preliminare dell’essiccazione.
Figura 4. a. Alcuni vasi che attendono di essere tirati fuori dagli stampi; b. due tazze carenate, estratte
dagli stampi, a cui è stata aggiunta l’ansa con sopraelevazione cornuta.
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Irene Caldana, Emanuele Lant, Roberta Busato, Massimo Vidale
Figura 5. Tazza carenata ancora nel suo stampo
(creato in argilla cruda, essiccata); il collo creato a
cercini impostati sulla terminazione dello stampo
è stato tornito sulla ruota da vasaio a bassa velocità di rotazione.
Figura 6. a. Tazza carenata appena estratta dal suo
stampo; b. una volta estratta la tazza si procede
ad uniformare la superficie esterna con una spatola in osso, eliminando eventuali imperfezioni.
Figura 7. Applicazione del primo cercine per la
costruzione del vaso biconico; le frecce rosse indicano inclusi ceramici angolari, a cui è stato necessario prestare attenzione per evitare di ferirsi
le mani durante la formatura.
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Un nuovo sguardo alla tecnologia ceramica delle terramare
Figura 8. a. Vaso biconico decorato usando come strumenti un bastoncino in bambù, una spatola in
osso e una in corno; tra i solchi della decorazione affiorano inclusi ceramici di diverse dimensioni, che
in alcuni casi hanno reso difficile il processo di decorazione (b).
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Figura 9. a. Iniziale lucidatura della superficie di un’olletta con una spatola in osso; b, c. lucidatura
finale di due tazze carenate in stato cuoio mediante l’uso di piccoli ciottoli a grana fine.
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