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Le fondazioni. Prospettive italiane ed europee

2014

Le fondazioni. Prospettive italiane ed europee a cura di GIORGIO RESTA Editoriale Scientifica 2014 Napoli Il presente volume è pubblicato con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia e del Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. Esso costituisce il frutto di un progetto di ricerca su “Gli aspetti giuridici delle fondazioni in Europa” finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia. Proprietà letteraria riservata © Copyright 2014 Editoriale Scientifica s.r.l. Via San Biagio dei Librai, 39 80138 Napoli EDIZIONE FUORI COMMERCIO INDICE Prefazione Giorgio Resta Donare o vendere? Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo e implicazioni per il diritto privato Giorgio Resta VII 1 Le fondazioni in Europa: i modelli Andrea Fusaro 41 La Fondazione Europea Daniela Maffei 59 Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni Antonio Fici 91 Le fondazioni d’impresa Bruno Acconciaioco 147 Le fondazioni culturali Alessandra Angiuli 175 APPENDICE 189 Risoluzione del Parlamento europeo del 2 luglio 2013 sulla proposta di regolamento del Consiglio relativo allo statuto della fondazione europea (FE) (COM(2012)0035 – 2012/0022(APP)) Proposta di regolamento del Consiglio sullo statuto della fondazione europea COM(2012) 35 Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio sullo statuto della fondazione europea (FE) COM(2012) 35 final — 2012/0022 (APP) Prefazione Il diritto del terzo settore è stato interessato, negli ultimi anni, da molteplici ed importanti iniziative di riforma, così in Italia (v. G. Alpa, Dalla riforma degli enti non profit alla nuova disciplina dell’impresa sociale, in G. Conte, a cura di, La responsabilità sociale dell’impresa, Roma-Bari, 2008, 74) come all’estero (per un quadro teorico v. H. Hansmann, A Reform Agenda for the Law of Nonprofit Organizations, in K. Hopt – D. Reuter, Europäisches Stiftungsrecht, Köln, 2001, 241 ss.). L’esigenza di ammodernamento della cornice giuridica e istituzionale di riferimento è direttamente legata all’importanza sempre crescente che – come ha ricordato da ultimo Joseph Stiglitz [Moving Beyond Market Fundamentalism to a More Balanced Economy, in 80 Annals of Public and Cooperative Economics, 345 (2009)] - vanno assumendo nelle società contemporanee i modelli di organizzazione dell’attività economica informati a logiche diverse da quella del profitto capitalistico. La stessa vicenda della crisi economica ha contribuito a fare emergere la maggiore ‘resistenza’ e sostenibilità di lungo periodo delle forme organizzative di stampo non strettamente lucrativo, come quelle che perseguono uno scopo mutualistico o cooperativo (v. ad es. C. Sanchez-Bajo B. Roelants, Capital and the Debt Trap: Learning from Cooperatives in the Global Crises, Basingstoke-New York, 2011). Nel quadro del dibattito sulla modernizzazione del diritto del terzo settore, una posizione di rilievo è assunta anche dal regime delle fondazioni. Se già il 44° Deutschen Juristentag, celebrato nel 1962, era interamente dedicato alla questione relativa all’opportunità di una riforma organica del diritto tedesco delle fondazioni (lo ricorda A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, 2), il tema della modernizzazione della disciplina delle fondazioni risulta all’ordine del giorno in molteplici ordinamenti europei e extraeuropei (per un panorama comparatistico, esteso anche all’esperienza italiana, v. A. Schlüter, Stiftungsrecht zwischen Privatautonomie und Gemeinwohlbindung. Ein Rechtsvergleich Deutschland, Frankreich, Italien, England, USA, München, 2004, 45 ss.). Fra i fattori che maggiormente premono in tal senso non v’è soltanto la crescita d’importanza delle fondazioni quale strumento preordinato all’offerta di beni pubblici e servizi di interesse generale, ma anche la tendenza all’internazionalizzazione della sfera di operatività di tali enti. Il divario tra la cornice nazionale che presiede alla vicenda costitutiva delle fondazioni e il carattere sempre più transnazionale delle attività strumentali al perseguimento degli scopi dell’ente si fa molto spesso profondo (A. Schlüter, Stiftungsrecht zwischen Privatautonomie und VIII PREFAZIONE Gemeinwohlbindung, cit., 8-9, 453 ss.). Di qui una serie di problemi applicativi di non trascurabile importanza – trasversali al diritto civile, amministrativo e tributario – i quali rischiano di tradursi in un ostacolo effettivo all’attività transfrontaliera delle fondazioni, anche qualora essa si limiti al solo spazio giuridico europeo (K. Hopt – T. von Hippel – H. Anheir et alii, Feasibility Study on a European Foundation Statute. Final Report, 2009, p. 105 ss., accessibile all’indirizzo http://ec.europa.eu/internal_market/ company/eufoundation/index_en.htm). È proprio muovendo da tali considerazioni che la Commissione si è resa promotrice sin dal 2007 di un processo normativo volto all’introduzione di una Fondazione Europea, quale strumento opzionale e aggiuntivo rispetto ai modelli nazionali, analogamente a quanto già avvenuto in relazione al GEIE, alla Società Europea o alla Società Cooperativa Europea (v. M. Stöber, Die geplante Europäische Stiftung, in DStR, 2012, 804). Nel febbraio 2012 è stata presentata una Proposta di Regolamento sullo Statuto della Fondazione europea (vedila riprodotta nell’Appendice) che, dopo il passaggio di fronte al Parlamento Europeo (Risoluzione del 2 luglio 2013, anch’essa riprodotta in Appendice), potrebbe essere di prossima approvazione. Il dibattito originato dalla presentazione della suddetta Proposta di Regolamento ha offerto lo stimolo per un progetto di ricerca finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia su “Gli aspetti giuridici delle fondazioni in Europa” e ultimato nel 2013. Il presente volume intende diffondere alcuni dei risultati ai quali è pervenuto il gruppo di studio costituito presso l’Università di Bari “Aldo Moro”, avvalendosi anche della collaborazione esterna di illustri studiosi del diritto del terzo settore. In particolare, il volume raccoglie le relazioni presentate al Seminario di Studio del 15 ottobre 2012, promosso dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Bari. Il libro è idealmente articolato in tre parti. Il saggio introduttivo di Giorgio Resta intende ricondurre le riflessioni sul non profit all’interno del dibattito di carattere più generale circa i limiti del paradigma economicistico come modello esplicativo dei comportamenti umani, sistematizzando i risultati più interessanti, ai quali è pervenuta la recente letteratura in tema di behavioral law & economics. I saggi di Andrea Fusaro e Daniela Maffei si muovono in una prospettiva comparatistica e intendono offrire, il primo, un indispensabile quadro analitico per la comprensione delle diversità nei modelli nazionali di disciplina delle fondazioni; e, il secondo, un resoconto dettagliato sulla Proposta di Regolamento sullo Statuto della Fondazione Europea, relativamente alla sua genesi, ai suoi contenuti e alle sue implicazioni. Infine, la terza parte del volume si compone di tre saggi che approfondiscono alcuni PREFAZIONE IX profili specifici, e particolarmente rilevanti anche ad un confronto con i modelli stranieri, del diritto interno delle fondazioni. Antonio Fici dedica una riflessione molto attenta al problema della qualificazione (e della disciplina) dell’attività erogativa delle fondazioni, dissipando alcuni equivoci – segnatamente in ordine alla soggezione degli atti di erogazione al regime delle liberalità – che si affacciano nella letteratura in materia e offrendo altresì alcuni spunti sul regime civilistico del sostegno alle fondazioni. Bruno Acconciaioco ritorna sul tema classico della fondazione d’impresa, offrendo un’utile disamina della diffusione di tale strumento nella realtà italiana e ragionando sui tratti organizzativi che emergono dall’analisi della prassi statutaria. Alessandra Angiuli si sofferma invece sulla categoria delle fondazioni culturali, le quali assumono, proprio nella realtà italiana, una notevole importanza e potrebbero (almeno in astratto) svolgere un ruolo ancora più incisivo in ordine alla c.d. valorizzazione dei beni culturali. Infine, si è ritenuto opportuno rendere immediatamente fruibili al lettore i documenti comunitari più rilevanti sul tema della Fondazione Europea, riproducendone integralmente il testo in Appendice. Nel licenziare il volume, desidero ringraziare la Fondazione Caripuglia e il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Bari, che hanno offerto l’indispensabile supporto logistico e finanziario per la realizzazione della ricerca e la pubblicazione dei suoi risultati, e la dott.ssa Daniela Maffei, che ne ha curato tutti gli aspetti scientifici e organizzativi. Giorgio Resta Donare o vendere? Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo e implicazioni per il diritto privato Giorgio Resta SOMMARIO: 1. L’agire disinteressato è irrazionale? 2. La logica del dono e la razionalità giuridica. 3. Homo donator versus homo oeconomicus. 4. L’assioma del selfinterest alla prova delle scienze comportamentali. 5. Il gioco dell’ultimatum. 6. Il gioco del dittatore. 7. Il gioco della fiducia. 8. Il gioco della contribuzione a beni pubblici. 9. La solidarietà ‘condizionale’. 10. Gli insegnamenti per il giurista: i limiti del paradigma economicistico e la diversità culturale. 11. Segue: il costo degli incentivi monetari e l’effetto ‘corrosivo’ dei mercati. 12. Segue: quale modello di regolazione? 1. L’agire disinteressato è irrazionale? La domanda formulata in apertura del presente contributo, la quale è ormai oggetto di molte indagini condotte nell’ottica della behavioral law & economics1, riceve spesso una risposta positiva, specie da parte della scienza economica ortodossa. Tale prospettiva è coerente con il paradigma, oggi largamente diffuso non soltanto in economia, ma anche nell’ambito delle scienze giuridiche e della politica, che va sotto il nome di “teoria della scelta razionale”2. Difatti, uno degli assiomi fondamentali intorno a cui verte tale paradigma è quello per cui le persone scelgono in maniera razionale “if and only if they intelligently pursue their self-interest, and nothing else”3. Il che implica che, allorché i soggetti perseguono finalità diverse da quelle 1 Per una prima informazione su tale corrente di studi v. C. Jolls – C.R. Sunstein – R.H. Thaler, A Behavioral Approach to Law and Economics, in 50 Stanford L. Rev. 1471 (1998); R.B. Korobkin – T.S. Ulen, Law and Behavioral Science: Removing the Rationality Assumption from Law and Economics, in 88 California L. Rev. 1051 (2000); J.D. Wright – D.H. Ginsburg, Behavioral Law and Economics: Its Origins, Fatal Flaws, and Implications for Liberty, in 106 Northwestern Univ. L. Rev. 1033 (2012); R. Caterina, a cura di, I fondamenti cognitivi del diritto. Percezioni, rappresentazioni, comportamenti, Milano, 2008. 2 V. ad es. T.S. Ulen, Rational Choice Theory in Law and Economics, in B. Bouckaert – G. De Geest, a cura di, Encyclopedia of Law and Economics, I, Cheltenham – Northampton, 2000, 790; S. Hargreaves Heap – M. Hollis – B. Lyons – R. Sugden – A. Weale, La teoria della scelta. Una guida critica, Roma-Bari, 1996. 3 A. Sen, The Idea of Justice, Cambridge, 2009, 179. 2 GIORGIO RESTA coincidenti con il proprio interesse egoistico, pongono in essere, per definizione, una decisione non razionale4. È chiaro, e l’assunto non merita particolari approfondimenti, che l’utilità dei concetti scientifici può essere valutata soltanto in relazione alle particolari finalità e metodologie delle discipline che intendano farne uso5. Sicché non avrebbe molto senso, per un osservatore esterno, discutere fino a che punto sia “razionale” per la scienza economica continuare a articolare le proprie categorie intorno a quello che Edgeworth, già nel 1881, aveva definito il “principio primo” della scienza economica, ossia il principio per cui “ciascun agente è guidato soltanto dal proprio interesse”6 (salvo poi incorrere in notevoli difficoltà nello spiegare le dinamiche quotidiane dell’agire gratuito e disinteressato, come ben testimonia il noto dibattito sulla “perdita allocativa secca dei regali di Natale”)7. È invece più utile 4 È opportuno ricordare, sulla scorta dell’analisi di R.B. Korobkin – T.S. Ulen, Law and Behavioral Science: Removing the Rationality Assumption from Law and Economics, cit., 1060 ss., che esistono diverse versioni della teoria della scelta razionale, le quali si collocano lunga una scala progressiva che va dalle teorie “sottili” (che si limitano a presupporre che gli individui massimizzino la propria utilità attesa, senza definirne preliminarmente i contenuti) alle teorie “spesse” (ove si assume, con maggior chiarezza, che oggetto della massimizzazione sia l’interesse egoistico o il benessere materiale del decisore). Le analisi sviluppate nell’ambito dell’analisi economica del diritto mainstream si ispirano in prevaleza alle teorie ‘spesse’, le quali sono in realtà le uniche in grado di offrire schemi univoci per la predizione dei comportamenti degli attori, al prezzo, però, di un maggior divario tra predizioni teoriche e realtà effettuale (Ibid., 1065). 5 V. ad es. K.R. Popper, Miseria dello storicismo, trad. it., Milano, 2008, 133 ss. 6 F.Y. Edgeworth, Mathematical Psychics: An Essay on the Application of Mathematics to the Moral Sciences, London, 1881, 16 (richiamato da A. Sen, Sciocchi razionali: una critica dei fondamenti comportamentistici della teoria economica, in Id., Scelta, benessere, equità, trad. it., Bologna, 2006, 147 ss.). 7 Uno dei problemi più difficili da spiegare dal punto di vista della scienza economica è perché gli individui propendano per doni in natura e non in moneta (la quale, dal punto di vista economico, costituirebbe il dono perfetto, poiché in grado di massimizzare le utilità del donatario, a fronte di un netto risparmio dei costi di transazione dal lato del donante). Su tale aspetto – generalmente definito come inadequacy - si sofferma un celebre articolo di J. Waldfogel, The Deadweight Loss of Chirstmas, in 83 American Econ. Rev. 1328 (1993), ove viene stimato che la perdita allocativa secca derivante dal ricorso a doni natalizi “in natura” varia tra 1/3 e 1/10 del valore del bene donato e ammonta in forma aggregata ad una somma compresa tra i 4 e i 13 miliardi di dollari per anno. Più di recente v. anche Id., Scroogenomics: Why You Shouldn’t Buy Presents for the Holidays, Princeton, 2009. Sull’approccio economico all’altruismo e sull’idea del “warm glow” v. per un ampio panorama, J. van den Ven, The Economics of the Gift, Discussion Paper 2000-68, Tilburg University, accessibile all’indirizzo: http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=244683 (ultimo accesso in data 3-2- Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 3 domandarsi se il modello di razionalità assunto dal giurista a fondamento delle proprie operazioni teoriche possa coincidere con quello fatto proprio dalle altre scienze sociali, ed in particolare dall’economia, oppure debba discostarsene sotto alcuni aspetti fondamentali8. Se è vero, infatti, che il diritto può essere concepito (anche) come un sistema di incentivi e disincentivi all’azione individuale9, è cruciale disporre di un modello teorico attendibile in grado di spiegare quali siano le risposte prevedibili degli attori sociali ai ‘prezzi’ imposti dalle norme. Da questo punto di vista la prospettiva ‘behavioral’ aperta dagli studi di Daniel Kahneman e Amos Tversky ha permesso di conseguire risultati importanti soprattutto sotto il profilo delle variabili cognitive, investigando il ruolo assunto dai vincoli informativi ed emozionali sui processi valutativi e decisionali degli agenti10. È rimasta invece maggiormente nell’ombra, almeno per i giuristi, una seconda frontiera degli studi condotti nell’ambito delle scienze comportamentali, quella attinente al profilo delle motivazioni delle scelte individuali11. Tale aspetto, benché intrinsecamente più sfuggente e delicato, è particolarmente importante, perché va al cuore della teoria della scelta razionale ed implica una rivisitazione critica dello stesso “principio primo della scienza economica”12, ossia l’assioma del self-interest. È utile pertanto per il giurista – e in particolare per lo studioso del settore del non profit – iniziare a confrontarsi in maniera più sistematica con questa elaborazione, in modo da riflettere in modo più consapevole, oltre che sui presupposti epistemologici della propria disciplina, anche sulle ricadute operative dei “prezzi” imposti dalle norme giuridiche. Quello che poteva apparire, dalla lettura del titolo di questo scritto, come un postulato teorico da indagare in tutte le sue implicazioni (la gratuità e la solidarietà 2014); C. Camerer, Gifts as Economic Signals and Social Simbols, in 94 American J. Sociology 1580 (1988). 8 In tema cfr. A. Gentili, Il ruolo della razionalità cognitiva nelle invalidità negoziali, in Riv. dir civ., 2013, I, 1105; in prospettiva più generale A. Supiot, Homo Juridicus. Essai sur la fonction anthropologique du Droit, Paris, 2005. 9 V. ad es. R.B. Korobkin – T.S. Ulen, Law and Behavioral Science: Removing the Rationality Assumption from Law and Economics, cit., 1054; O. Bar-Gill, Pricing Legal Options: A Behavioral Perspective, in 1 Rev. Law & Econ. 203 (2005). 10 D. Kahneman – A. Tversky, Choices, Values and Frames, Cambridge, 2000; Id., Prospect Theory: Un’analisi delle decisioni in condizioni di rischio, in M. Motterlini – F. Guala, a cura di, Economia cognitiva e sperimentale, Milano, 2005, 61 ss.; importanti saggi di Kahneman e Vernon Smith possono leggersi in M. Motterlini – M. Piattelli Palmarini, a cura di, Critica della ragione economica, Milano, 2005, 11 ss. 11 Cfr. J. Elster, Fehr on Altruism, Emotion and Norms, in Analyse & Kritik, 2005, 197 ss. 12 Cfr. supra, nota 6. 4 GIORGIO RESTA come deviazioni dallo standard di razionalità), merita invece di essere riformulato come un interrogativo su cui riflettere criticamente: l’agire non egoistico orientato in senso altruistico può davvero essere considerato come una deviazione dal comportamento razionale, o non rappresenta, al contrario, una forma di razionalità non sufficientemente valorizzata dai paradigmi utilitaristici ortodossi? Com’è evidente, una trattazione esaustiva di tale questione eccederebbe, oltre che le competenze dell’autore, anche i vincoli di spazio propri del presente contributo. Pertanto appare opportuno concentrare l’attenzione su due profili principali. Il primo, che verrà affrontato nella prima parte, è quello del modello di razionalità soggiacente alle norme e agli istituti giuridici in tema di atti gratuiti e liberali. Spendendo qualche rapida considerazione sui presupposti culturali e ‘comportamentali’ della disciplina in oggetto, si cercherà di argomentare che la logica giuridica e la sapienza cristallizzata nelle sue regole mettono a disposizione dell’osservatore un paradigma di razionalità ben diverso da quello utilitaristico fatto proprio dalla teoria economica ortodossa e potenzialmente ricco di insegnamenti anche per essa (§§ 2-3). Il secondo profilo sottende invece un processo analitico inverso. Si prenderanno infatti le mosse dalle ricerche condotte nell’ambito delle scienze comportamentali per verificare quali insegnamenti possa trarre il giurista dai risultati sperimentali raggiunti in punto di motivazioni disinteressate ed altruistiche dell’agire umano (§§ 4-9). In particolare, si rifletterà sul modo in cui le preferenze individuali siano influenzate dall’assetto istituzionale di riferimento ed in particolare dalla configurazione in chiave mercantile o non mercantile di determinati rapporti, anche al fine di ragionare sui compiti dell’ordinamento giuridico quale strumento di preservazione di ‘sfere di vita’ sottratte alla logica economicistica (§§ 1012). 2. La logica del dono e la razionalità giuridica Diverse analisi sono state dedicate recentemente al tema degli atti gratuiti e liberali, talune condotte prevalentemente in una prospettiva di diritto interno13, altre in un’ottica di comparazione giuridica14. Pur nella diver13 Cfr. A. Galasso – S. Mazzarese, a cura di, Il principio di gratuità, Milano, 2008; A. Foubert, Le don en droit, thèse, Université Panthéon-Assas (Paris II), 2006; della stessa Autrice v. anche il saggio Les contraintes pesant sur le juge. L’exemple du droit du don, in Droits, 2011, 95 ss. 14 R. Hyland, Gifts. A Study in Comparative Law, Oxford, 2009. Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 5 sità delle regole accolte nei vari ordinamenti, tali analisi convergono nel segnalare alcuni dati ricorrenti e trasversali all’intera tradizione giuridica occidentale. In particolare, l’indagine compiuta da Richard Hyland, senza dubbio tra le più ricche ed articolate, isola come elementi caratteristici delle nostre esperienze: a) l’atteggiamento di tendenziale sfavore e pregiudiziale sospetto nei confronti degli atti gratuiti (almeno nel campo delle “vecchie gratuità”) 15; b) la presenza di una tensione costante tra norma giuridica e norma sociale nel settore delle liberalità16. Tali aspetti possono essere considerati, anche in un’ottica di lungo periodo, come due dei principali “marcatori normativi” del sistema della gratuità. Per chiarire meglio tale assunto senza operare una disamina di temi e problemi che sarebbe necessariamente troppo dettagliata, può essere utile ritornare brevemente su uno dei ‘classici’ in materia, ossia il saggio dedicato da Louis Josserand al tema del “declino del titolo gratuito e sue trasformazioni”17. In una celebre conferenza tenuta negli anni Trenta, poi raccolta nel volume Évolutions et Actualités, il giurista francese registrava in maniera puntuale la continua erosione della sfera della gratuità e la progressiva attrazione di una serie di rapporti giuridici, un tempo informati alla logica della benevolenza e del disinteresse, all’interno dell’orbita dell’onerosità. Tra questi egli annoverava il mandato, il deposito, il mutuo, ma anche l’esercizio delle funzioni pubbliche18. Dietro un siffatto processo di trasformazione stava, secondo Josserand, una più generale riorganizzazione dei rapporti sociali nel segno dell’espansione della frontiera del mercato e dunque della sostituzione dello scambio ad altre “forme di integrazione”, come la reciprocità19. Mentre in apparenza tale passaggio avrebbe potuto essere inteso come una regressione, in quanto veicolo di affermazione dell’egoismo a detrimento dei valori comunitari, ad uno sguardo più attento esso doveva reputarsi una manifestazione di progresso. Mentre il beneficio ricevuto per spirito di liberalità – osservava il giurista di Lione – si connota come incerto, umiliante ed obbligante, la prestazione acquisita nel quadro di rapporti a titolo oneroso è certa, non umiliante e rispettosa 15 Per la distinzione tra “vecchie” e “nuove” gratuità rinvio a A. Galasso, Il principio di gratuità, in Riv. crit. dir. priv., 2001, 205 ss. 16 R. Hyland, Gifts, cit., 87. 17 L. Josserand, Le déclin du titre gratuite et sa transformation, in Id., Évolutions et Actualités. Conférences de droit civil, Paris, 1936, 135. 18 L. Josserand, Le déclin du titre gratuite et sa transformation, cit., 136-154. 19 Uso qui l’espressione “forme di integrazione” nell’accezione di K. Polanyi, The Economy as Instituted Process, in K. Polanyi – C.M. Arensberg – H.W. Pearson, Trade and Markets in the Early Empires. Economies in History and Theory, Glencoe, 1957, 243, 250 ss. 6 GIORGIO RESTA della pari dignità di ciascuno20. L’economia del dono, in altri termini, è un’economia asimmetrica e diseguale, mentre quella incentrata sullo scambio di mercato riflette un’organizzazione sociale fondata sull’eguaglianza e sul diritto21. Il declino della gratuità rappresenta dunque per Josserand non soltanto un processo ormai irreversibile, ma anche un obiettivo a cui mirare e una conquista da incoraggiare. Queste riflessioni sono interessanti non soltanto perché si muovono apertamente nel solco delle considerazioni espresse da Jhering ne Lo scopo nel diritto22, ma anche perché tracciano una prospettiva antitetica rispetto 20 L. Josserand, Le déclin du titre gratuite et sa transformation, cit., 156: “Cette substitution, bien loin d’attenter à la dignité humaine, en assure, dans la plupart des cas, le respect; mieux vaut payer le service rendu que de bénéficier de l’esprit de charité d’autrui, après avoir tendu la main; un droit, eût –il sa contre-partie dans une obligation, est préférable à une aumône ou à une exploitation; une organisation à base d’échange est toujours supérieure à une anarchie juridique, tempérée par la charité et par la générosité”. 21 L. Josserand, Le déclin du titre gratuite et sa transformation, cit., 155-156: “Mais notre civilisation moderne repose sur d’autres assises; la mécanique sociale s’est transformée; le droit est devenu la chose de tous; sous l’égide de la loi, chacun peut développer librement son activité; les pouvoirs publics s’ingénient, non plus à créer des catégories sociales, mais à assurer à chacun son dû; et comme, d’autre part, l’industrie et le négoce se sont prodigieusement développés, la vie moderne est faite d’échanges, entre égaux; le commerce entre les hommes est devenu un commerce juridique; l’aumône a fait place au droit; le service d’ami est devenu un rapport juridique; la morale s’inègre dans le droit, elle est comme aspirée par lui, pour devenir la règle sociale vivent en perpetue comptecourant; la contrainte a succédé au devoir de conscience, sans pour cela devenir tyrannique ni insupportable, parce qu’elle est réciproque; chacun trouve dans la loi même le moyen de satisfaire à ses besoins légitimes, sans faire appel à la charité d’autrui; en un mot, la société moderne tend à l’organisation juridique; le droit veut devenir une religion sociale, positive et obligatoire; tel est le sens profond de la substitution du titre onéreux au titre gratuit dans les rapports des humains entre eux”. 22 R. von Jhering, Lo scopo nel diritto, trad. it., Torino, 1972, 95-96, ove si legge: “Quanto più i traffici in qualunque situazione, riescono a fondare esclusivamente sull’egoismo la garanzia del soddisfacimento dei bisogni umani e quanto più l’egoismo e il desiderio di guadagno si sostituiscono alla benevolenza ed all’altruismo, tanto più completo è l’adempimento dei compiti propri dei traffici”. E ancora: “È certamente bella l’ospitalità che spalanca le porte al viandante affaticato, né se ne può discutere il fascino poetico, pari a quello del cavaliere predone, dei masnadieri e dei leoni; tuttavia, per la vita pratica, le strade sicure sono meglio di quelle malsicure ed è meglio incontrare buoi e poliziotti piuttosto che leoni e cavalieri predoni; infine, è meglio essere albergati che ospitati. Infatti, l’albergo mi garantisce la certezza dell’accettazione, (certezza che io non ho nel caso dell’ospitalità) ed il denaro mi risparmia l’umiliazione della preghiera, del beneficio ricevuto e del ringraziamento: quando viaggio, porto la mia libertà e la mia indipendenza nel portafogli”; v. anche le gustose pagine dello stesso A. volte ad indagare, nella stessa ottica, quella “vera piaga della vita sociale” che è la mancia: R. von Jhering, La mancia, trad. it., Bologna, 1998, 27. Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 7 a quella che faceva da sfondo ad una delle ricerche più importanti ed influenti nel campo delle scienze sociali apparsa in Francia in quegli anni23. Si allude ovviamente all’Essai sur le don di Marcel Mauss, originariamente pubblicato nel 192524. Mauss, oltre a derivare dalle ricerche etnografiche ed antropologiche alcuni tratti invarianti della fenomenologia del dono nelle società arcaiche, ne aveva sottolineato la persistenza, sia pure sotto forme diverse e lontane dall’originaria caratterizzazione come “fenomeno sociale totale”25, anche all’interno delle moderne organizzazioni capitalistiche. In particolare, secondo Mauss, la logica del dono si sarebbe generalizzata e, per così dire, istituzionalizzata attraverso l’intervento dello stato sociale. L’assicurazione contro le malattie e la vecchiaia rappresenterebbe, ad esempio, un succedaneo moderno dell’originario meccanismo darericevere-rendere: al contributo prestato dal soggetto attraverso la propria attività lavorativa corrisponderebbe un dovere di protezione ed assistenza da parte dei poteri pubblici per le successive fasi di bisogno, come la vecchiaia e la malattia26. Questo, come altri casi, testimonierebbero non soltanto la perdurante vitalità della logica del dono, ma soprattutto 23 Questo punto è opportunamente messo in luce da A. Foubert, Le don en droit, cit., 4 ss. 24 M. Mauss, Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés archaïques (1925), Paris, 2009. Nel quadro di un’immensa letteratura, per un primo approfondimento sulla prospettiva di Mauss v., oltre alla prefazione al volume appena citato di F. Weber, Vers une ethnographie des prestations sans marché, almeno i seguenti scritti: W. James – N.J. Allen, a cura di, Marcel Mauss: A Centenary Tribute. Methodology and history in anthropology, I, New York, 1998, 71 ss; A. Caillè, Marcel Mauss et le paradigme du don, in Sociologie et soc., 2004, 141 ss.; Id., Le don entre science sociale et psychanalyse. L’héritage de Mauss jusqu’à Lacan, in Revue du M.A.U.S.S., n. 27, 2006, 57 ss.; F. Poullon, voce Dono, in Enciclopedia, V, Torino, 1978, 107 ss. F. Poullon, voce Dono, in Enciclopedia, V, Torino, 1978, 107 ss. 25 M. Mauss, Essai sur le don, cit., 71. 26 M. Mauss, Essai sur le don, cit., 223: « Toute notre législation d’assurance sociale, ce socialisme d’État déjà réalisé, s’inspire du principe suivant: le travailleur a donné sa vie et son labeur à la collectivité d’une part, à ses patrons d’autre part, et, s’il doit collaborer à l’œuvre d’assurance, ceux qui ont bénéficié de ses services ne sont pas quittes envers lui avec le paiement du salaire, et l’État lui-même, représentant la communauté, lui doit, avec ses patrons et avec son concours à lui, une certaine sécurité dans la vie, contre le chômage, contre la maladie, contre la vieillesse, la mort. […] Toute cette morale et cette législation correspondent à notre avis, non pas à un trouble, mais à un retour au droit […] La société veut retrouver la cellule sociale. Elle recherche, elle entoure l’individu, dans un curieux état d’esprit, où se mélangent le sentiment des droits qu’il a et d’autres sentiments plus purs: de charité, de « service social », de solidarité. Les thèmes du don, de la liberté et de l’obligation dans le don, celui de la libéralité et celui de l’intérêt qu’on a à donner, reviennent chez nous, comme reparaît un motif dominant trop longtemps oublié » (cors. agg.). 8 GIORGIO RESTA l’irriducibilità di qualsiasi rapporto al “glaciale calcolo utilitario”27 presupposto dalle moderne teorie economiche. L’homo oeconomicus, avverte Mauss, non è dietro di noi, ma è davanti a noi, intendendo con ciò che il modello di uomo come “animale calcolatore” non ha mai avuto un effettivo riscontro nella realtà e la sua attuazione rientra soltanto nel novero delle eventualità future28. Ben diverso appare, dunque, l’impianto delle due riflessioni, l’una tesa all’esaltazione del mercato quale strumento di “liberazione dal debito”29 e livellamento delle disuguaglianze, l’altra volta a valorizzare il ruolo del dono e della reciprocità come preziosi meccanismi di integrazione sociale30. Che la cultura giuridica avesse interiorizzato una vera e propria “ermeneutica del sospetto” nei confronti degli atti gratuiti è un dato ben noto e coerente con la fondamentale ristrutturazione dei rapporti sociali ed economici connessa all’avvento del diritto borghese31. Uno degli intenti principali del legislatore rivoluzionario consisteva proprio – come è risaputo – nella restrizioni degli spazi rimessi all’autonomia del donante e del testatore32. Particolarmente eloquenti, a tal proposito, sono le parole pronunziate da Barrère alla Seduta dell’Assemblea Costituente del 5 settembre 1791: “vigilate che dal seno di questa stessa rivoluzione la legge non presti il suo aiuto alle opinioni nemiche dell’uguaglianza o della libertà che voi avete decretate: vigilate che il padre fanatico, il testatore intollerante, il donante nemico 27 M. Mauss, Essai sur le don, cit., 238. M. Mauss, Essai sur le don, cit., 238, ove si legge: « Ce sont nos sociétés d’Occident qui ont, très récemment, fait de l’homme un ‘animal économique’. Mais nous ne sommes pas encore tous des êtres de ce genre. Dans nos masses et dans nos élites, la dépense pure et irrationnelle est de pratique courante; elle est encore caractéristique des quelques fossiles de notre noblesse. L’homo oeconomicus n’est pas derrière nous, il est devant nous; comme l’homme de la morale et du devoir; comme l’homme de la science et de la raison. L’homme a été très longtemps autre chose; et il n’y a pas bien longtemps qu’il est une machine, compliquée d’une machine à calculer ». 29 Su questo punto, che è teoricamente molto importante, v. J.T. Godbout, Le don, la dette et l’identité. Homo donator versus homo oeconomicus, Paris, 2000, 152. 30 Per un articolato confronto delle due prospettive v. anche A. Foubert, Le don en droit, cit. 31 Come ha scritto S. Rodotà, Gratuità e solidarietà tra impianti codicistici e ordinamenti costituzionali, in A. Galasso – S. Mazzarese, a cura di, Il principio di gratuità, cit., 97 ss., 104, non solo le nostre categorie concettuali, ma anche i nostri testi normativi ‘classici’ “sono stati costruiti in base alla marginalizzazione e al sospetto per tutto ciò che è gratuito: lo storico divieto delle donazioni tra coniugi, le regole sulla collazione, la possibilità di revoca per ingratitudine, l’inefficacia degli atti gratuiti del fallito, lo sfavore fiscale. Tutto questo pone il gratuito non solo in un’area in cui non ha valenza di principio, ma in un’area di eccezione sospetta”. 32 Sul punto, ampiamente, R. Hyland, Gifts, cit., 1-8. 28 Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 9 della costituzione, non diseredino i figli, i legatari che per natura o per riconoscenza sarebbero chiamati a succeder loro. Vigilate che i testatori e i donanti non gravino con condizioni imperative o proibitive i diritti e le donazioni che la legge deve rendere libere, emancipate da vecchi pregiudizi e strappate all’impero delle passioni”33. Il tema delle passioni, così distante dal “modello olimpico” di razionalità fatto proprio dal pensiero economico34, riemerge puntualmente in tutti i discorsi giuridici sulla donazione. Limpida, ad esempio, la posizione di Merlin nella voce “Concubinage” del suo Répertoire universel et raisonné de jurisprudence: “le passioni costituiscono senza dubbio i nemici più temibili della libertà umana. Esse alterano le funzioni dell’anima, e sostituiscono una volontà insensata a quella ragione calma e tranquilla che deve presiedere a tutte le contrattazioni” 35. Potrebbero addursi molti altri esempi, ma il dato che qui preme evidenziare è un altro, e cioè che il tentativo della regola giuridica di “addomesticare” e sottoporre a vincoli stringenti (di forma e contenuto) le pratiche sociali del dare, ricevere e rendere si rivela il più delle volte votato all’insuccesso36. I repertori giurisprudenziali offrono di ciò molteplici riscontri37. Una vicenda particolarmente istruttiva, recentemente ricordata da Richard Hyland, è quella della proibizione penale del potlatch e dei suoi effetti38. È risaputo che fra le fonti principali alle quali Mauss attinse per la sua analisi 33 Traggo la citazione da S. Rodotà, Il dono, in La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 1998, 124. 34 H.A. Simon, La ragione nelle vicende umane, trad. it., Bologna, 1984, 51. 35 Ph.-A. Merlin, voce Concubinage, in Répertoire universel et raisonné de jurisprudence, T. V, 5 ed., Bruxelles, 1825, 330 ss., 331 (traduzione di chi scrive). Il passo riprodotto nel testo così prosegue: “Parmi les passions qui agitent et ne bouleversent que trop souvent le cœur de l’homme, il n’en est point de plus impérieuse que l’amour. Cette passion exerce un empire tyrannique, et le premier de ses effets funestes est d’altérer les sens et de détruire la raison. Tout, en effet, disparaît au yeux de l’homme qui est soumis à son pouvoir, hors l’objet aimé. Il devient insensible à la voix de la raison; et, dans son délire, il méconnait les obligations les plus sacrées, pour suivre le penchant irrésistible qui l’entraine”. 36 R. Hyland, Gifts, cit., 10 ss., 113 ss. 37 Illuminante, a questo proposito, l’analisi della giurisprudenza francese compiuta da A. Foubert, Le don en droit, cit., passim proprio al fine di misurare distanze e convergenze tra la logica maussiana e la disciplina delle donazioni. In relazione al nostro ordinamento v. tra i molti A. Palazzo, Le donazioni, in Commentario del codice civile diretto da P. Schlesinger, Milano, 1991, 5 ss.; Id., Atti gratuiti e donazioni, in Trattato di diritto civile dir. da R. Sacco, Torino, 2000G. Conte, Gratuità, liberalità, donazione, in La donazione. Trattato diretto da G. Bonilini, vol. I, Torino, 2001, 1 ss. 38 In tema v. D. Cole – I. Chaikin, An Iron Hand upon the People: The Law Against the Potlatch on the Northwestern Coast, Vancouver, 1990, 12 ss.; C. Bracken, The Potlatch Papers: A Colonial Case History, Chicago, 1997. 10 GIORGIO RESTA del dono ebbero un ruolo centrale le ricerche sul campo compiute da Franz Boas sulle pratiche donative degli indiani Kwakiutl, una popolazione aborigena stanziata nella costa Ovest del Canada39. Boas aveva stilato un ampio resoconto dei potlatches, consistenti in pratiche di distribuzione ostentatoria di ricchezze spesso compiute in occasione di feste e cerimonie rituali40. Donare era una manifestazione di prestigio dal dato del donante e talora ragione di umiliazione per chi riceveva; ma allo stesso tempo i beni donati erano sovente presi a prestito, il che dava vita ad una catena di relazioni informate al paradigma della reciprocità ed idonee a rinsaldare il legame sociale, anche in funzione sostitutiva della guerra. La circostanza che viene taciuta da Boas e da molta parte della letteratura sul dono è che la partecipazione al potlatch era stata espressamente interdetta dal Canadian Indian Act del 188441. La disciplina adottata dal legislatore coloniale – finalizzata a reprimere una pratica che si riteneva fonte di problemi sanitari, dissipazione di ricchezze e di fatto contraria ai canoni della razionalità occidentale – prevedeva la sanzione dell’arresto da 2 a 6 mesi per ogni individuo che avesse preso parte a tali attività42. Nonostante la minaccia della sanzione penale, la pratica del potlatch non fu abbandonata, ma continuò ad essere praticata, benché in maniera clandestina, dalle popolazioni aborigene, che si mantennero fedeli più alle proprie usanze che non ai precetti 39 V. ad es. F. Boas, The Social Organization and the Secret Societies of the Kwakiutl Indians. Based on Personal Observations and on Notes Made by Mr. George Hunt, United States National Museum, Report for 1895, Washington, 1897; F. Boas, Contributions to the Ethnology of the Kwakiutl, Columbia University Contributions to Anthropology, vol. 3, New York, 1925. 40 F. Boas, The Social Organization and the Secret Societies of the Kwakiutl Indians, cit., 341-357. 41 D. Cole – I. Chaikin, An Iron Hand upon the People: The Law Against the Potlatch on the Northwestern Coast, Vancouver, 1990, 17; P. Tennant, Aboriginal Peoples and Politics: The Indian Land Question in British Columbia, 1849-1989, Vancouver, 1990, 51. Per indicazioni più precise sul processo legislativo confluito nel Indian Act v. J.F. Leslie, The Indian Act: An Historical Perspective, in 25 Canadian Parliamentary Rev. 23 (2002). 42 “Every Indian or other person who engages in or assists in celebrating the Indian festival known as the ‘Potlatch’ or in the Indian dance known as the ‘Tamanawas’ is guilty of a misdemeanor, and shall be liable to imprisonment for a term of not more than six or less than two months in any gaol or other place of confinement; and any Indian or other person who encourages, directly or indirectly, an Indian or Indians to get up such a festival or dance, or to celebrate the same, or who shall assist in the celebration of the same is guilty of a like offence, and shall be liable to the same punishment” [Sect. 3, Indian Act, nel testo riprodotto in Chief J. Mathias – G.R. Yabsley, Conspiracy of Legislation: The Suppression of Indian Rights in Canada, in 89 BC Studies, 34, 37 (1991)]. Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 11 stabiliti dai colonizzatori43. Lo stesso George Hunt, il principale referente locale, nonché interprete, di Franz Boas fu processato e condannato per potlatch44; il medesimo destino toccò a molti altri soggetti, fino a che la proibizione non fu rimossa nel 1951. Ma le ferite impresse al valore dell’identità culturale furono profonde e durature, tanto che nel 2002 le First Nations hanno promosso un’azione risarcitoria nei confronti del governo federale per violazione delle obbligazioni fiduciarie, in ragione degli effetti discriminatori della proibizione del potlatch45. 3. Homo donator versus homo oeconomicus L’esperienza appena ricordata appare istruttiva, perché offre una chiara testimonianza del fatto che le regole formali, anche le più costrittive, non riescono a neutralizzare completamente le “norme sociali”46 nel governo degli atti donativi. Di ciò, in fondo, gli stessi codici civili mostrano di avere una nitida consapevolezza47. Nelle pieghe delle morfologie normative del contratto di donazione possono non soltanto ritrovarsi molti di quegli aspetti di ambiguità sottolineati da tutte le descrizioni antropologiche del dono48. In esse si riflette in maniera cristallina, come ha osservato Stefano Rodotà, anche lo stretto radicamento di tale atto all’interno di un fitto tessuto di relazioni sociali, che ne influenza significati ed effetti e dal quale il donante non può fare astra- 43 D. Cole – I. Chaikin, An Iron Hand upon the People: The Law Against the Potlatch on the Northwestern Coast, cit., 68; R. Hyland, Gifts, cit., 92. 44 R. Hyland, Gifts, cit., 89. 45 R. Hyland, Gifts, cit., 93. 46 Nel corso di questo scritto impiegherò tale nozione in maniera molto flessibile, come “standard normativi di comportamento assistiti da sanzioni sociali informali” [v. per una più attenta discussione il saggio di E. Fehr – U. Fischbacher, Third party punishment and social norms, in 25 Evolution and Human Behavior, 63 (2004), da cui è tratta la definizione citata; nonché D.M. Kahan, Signaling or Reciprocating? A Response to Eric Posner’s Law and Social Norms, 36 U. Richmond L. Rev. 367 (2002)]. 47 Sul punto si veda in particolare S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, cit., 124 ss.; C. M. Mazzoni, Il dono è il dramma. Il dono anonimo e il dono dispotico, in Riv. crit. dir. priv., 2002, 515 ss. 48 Cfr. A. Foubert, Le don en droit, cit., 166 ss., 219 ss.; A. Galasso – S. Mazzarese, La gratuità come principio, in A. Galasso – S. Mazzarese, a cura di, Il principio di gratuità, cit., 1 ss., 11; S. Mazzarese, Invito beneficium non datur: gratuità del titolo e volontà di ricevere l’attribuzione, ivi, 151 ss., 160 ss.. 12 GIORGIO RESTA zione49. Basti pensare, in proposito, alle regole in materia di donazione remuneratoria (art. 770 c.c.) e donazione modale (art. 793 c.c.) 50, che certificano la presenza di profili di reciprocità e smentiscono l’immagine del dono ‘puro e disinteressato’; oppure alla disciplina della condizione di riversibilità (art. 791 c.c.), della revocazione per ingratitudine (art. 801 c.c.) o sopravvenienza di figli (art. 803 c.c.), nonché all’obbligo di collazione (art. 737 c.c.), come elementi che proiettano gli effetti dell’atto di liberalità su un orizzonte temporale più ampio e su una cerchia di soggetti non limitata alle sole parti del rapporto. Il diritto, insomma, “non concede nulla alla purezza o all’innocenza del dono”51. Ciò per un verso contribuisce a spiegare le ragioni di un’attitudine tendenzialmente restrittiva e sospettosa del giurista nei confronti delle attribuzioni gratuite e in particolar modo di quelle liberali; ma per altro verso induce a riflettere sull’assenza, nel quadro delle regole e delle categorie giuridiche, della medesima “immagine dell’uomo” fatta propria dalla teoria economica a seguito della rivoluzione marginalista52. In altri termini, sono proprio le regole dettate per la donazione che dimostrano, se osservate in filigrana, come il modello comportamentale presupposto dal diritto sia ben distante da quello definito dal paradigma dell’homo oeconomicus53. Il “soggetto” della donazione non è un individuo isolato, né un freddo calcolatore, né tanto meno una persona dotata di un illimitato bagaglio di informazioni e impeccabile nel valutarle. Al contrario è un soggetto suscettibile di cader vittima delle passioni e dalle emozioni; immerso in una rete di rapporti personali e familiari con cui l’atto donativo ne49 S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, cit., 125; v. anche più in generale N. Lipari, “Spirito di liberalità” e “spirito di solidarietà”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, 1 ss. 50 A. Palazzo, Le donazioni, cit., 23 ss., 34 ss. 51 S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, cit., 125. 52 In proposito è utile confrontare le pagine di S. D’Acunto, Del soggetto della scienza economica e della sua dignità, in A. Abignente – F. Scamardella, a cura di, Dignità della persona. Riconoscimento dei diritti nelle società multiculturali, Napoli, 2013, 117 ss. 53 Su questo profilo è molto interessante la discussione compiuta, seppur in un contesto di common law, da J.B. Baron, Gifts, Bargains and Form, in 64 Indiana L. J. 155 (1989), spec. alle pagg. 172-178, la quale riflette in senso critico sui presupposti comportamentali sottesi alla lettura funzionalistica della disciplina dei gifts, ponendoli a confronto con le risultanze delle ricerche in campo sociologico e antropologico e contestando in particolare l’assunto dei soggetti come attori sempre egoisti e razionali; sulla prospettiva di Baron si vedano anche le considerazioni di M.A Eisenberg, The World of Contract and the World of Gift, in 85 Cal. L. Rev. 821, 841 (1997). V. altresì in una prospettiva più generale J.L. Harrison, Egoism, Altruism and Market Illusions: The Limits of Law and Economics, in 33 UCLA L. Rev. 1309 (1986). Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 13 cessariamente interferisce; incapace di astrarre da quella fitta trama di doveri e convenienze sociali – generalmente governate dalla logica della reciprocità – che rendono l’atto donativo un atto non perfettamente libero, se non vincolato, nell’an e talvolta anche nel quomodo; sensibile alle qualità personali del donatario e alla sua stessa condizione familiare d’origine. Sono questi alcuni dei tratti comportamentali che le regole tradizionali in tema atti gratuiti e liberali danno come presupposti e tentano di governare, sovrapponendo alla realtà fenomenologica la tecnica normativa54. Che poi lo scollamento tra obiettivi normativi e dinamiche effettuali sia destinato a rimanere in molti casi incolmabile – non meno del divario tra la razionalizzazione economica e le pratiche sociali del dono55 – è un profilo ulteriore e da questo punto di vista non decisivo. Quel che è rilevante, ai fini di un discorso sui limiti del paradigma della razionalità strumentale, è che se vi è un modello preso “realisticamente” in considerazione dal diritto, questo non è (o non è esclusivamente) quello dell’homo oeconomicus, bensì quello dell’homo donator56. 4. L’assioma del self-interest alla prova delle scienze comportamentali Un confronto con la razionalità giuridica, se compiuto in maniera non unilaterale e scevra da pregiudizi57, potrebbe offrire utili spunti per un riesame critico da parte della scienza economica di alcuni dei presupposti epistemologici accettati con eccessivo entusiasmo sin dalla rivoluzione marginalista58. Tra questi viene in risalto l’assioma dell’agire interessato, che come si è già ricordato rappresenta uno dei principali capisaldi della 54 A. Foubert, Le don en droit, cit., 231 ss. Molto puntuali, anche su questo aspetto, le pagine di M.J. Sandel, What Money Can’t Buy. The Moral Limits of Markets, New York, 2012, 98-104; v. altresì R. Hyland, Gifts, cit., 38-49. 56 J.T. Godbout, Le don, la dette et l’identité. Homo donator versus homo oeconomicus, cit., spec. 162-164. 57 Senza cioè trasporre acriticamente canoni e concetti elaborati in ambito economico, impiegandoli come parametri per la verifica di funzionalità (rectius di efficienza) delle norme giuridiche, ma al contrario assumendo istituti e dottrine giuridiche come sonda per indagare la tenuta delle categorie economiche. Diversi spunti possono trarsi, in relazione ai temi in oggetto, dallo studio di R.A. Prentice, “Law and” Gratuitous Promises, in 2007 Univ. Illinois L. Rev. 881 (2007), ove diversi problemi posti dalla disciplina degli atti gratuiti sono affrontati muovendo da una prospettiva di “behavioral law & economics”. 58 Per uno sguardo sulla genesi del modello dell’homo oeconomicus v. M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), trad. it., Milano, 2007, 221 ss.; di recente v. anche S. D’Acunto, Del soggetto della scienza economica e della sua dignità, cit., 126 ss. 55 14 GIORGIO RESTA teoria della scelta razionale. È ben noto, tuttavia, che esso non è affatto incontrastato e molteplici autori ne hanno contestato, da diversi angoli visuali, la fondatezza. In luogo di molti, sarà sufficiente ricordare le pagine, ben note al giurista, di Amartya Sen59; quelle di Ronald Coase, risoluto nel denunziare l’antirealismo di quei presupposti e lo scollamento tra teoria e prassi che ne deriva60; o quelle di Karl Polanyi, che, attingendo al bagaglio di informazioni e conoscenze sviluppate nell’ambito della storia e dell’antropologia economica, ha mostrato come l’intero paradigma dell’homo oeconomicus sia parte integrante di un ‘programma ideologico’ sviluppato con l’avvento della rivoluzione industriale e poi elevato a dogma ordinante dall’economia neoclassica, ma non suscettibile di universalizzazione né nel tempo né nello spazio61. A distanza di alcuni anni, queste critiche appaiono oggi corroborate dagli studi condotti nell’ambito di diverse discipline, dall’economia comportamentale alla psicologia, dalla biologia evoluzionistica alla neuroeconomia. Tali studi, prevalentemente a carattere sperimentale, stanno offrendo dimostrazioni sempre più persuasive della fragilità dei presupposti su cui si basa la teoria della scelta razionale e con essa l’inadeguatezza predittiva dell’intero paradigma dell’homo oeconomicus62. Due sono le diret59 In particolare v. A. Sen, The Idea of Justice, cit., 176 ss.; Id., Rationality and Freedom, Cambridge, 2002, 19 ss. 60 R. Coase, Impresa, mercato e diritto, in Id., Impresa, mercato e diritto, trad. it., Bologna, 2006, 43-44, ove si osserva che: “un effetto causato da questo divorzio della teoria dal suo oggetto di studio è stato che i soggetti, le cui decisioni gli economisti si impegnano ad analizzare, non sono stati fatti materia di studio e quindi mancano di sostanza. Il consumatore non è un essere umano ma un ordinamento coerente di preferenze. L’impresa per un economista, così come ha detto Slater, “è in sostanza definita da una curva di costi e da una curva di domanda, e la teoria è semplicemente la logica della determinazione del prezzo e della combinazione ottima di input”. Lo scambio ha luogo senza alcuna specificazione del suo scenario istituzionale. Ci si parano davanti consumatori senza umanità, imprese senza organizzazione, ed anche scambi senza mercati. Il razionale massimizzatore di utilità della teoria economica non ha punti di contatto con l’uomo sul bus per Clapham o, veramente, con alcun uomo (o donna) e su un qualsiasi bus. Non c’è alcuna ragione per supporre che la maggioranza degli esseri umani siano impegnati a massimizzare qualcosa che non sia l’infelicità, ed anche questa solo con parziale successo”. 61 K. Polanyi, Our Obsolete Market Mentality. Civilization Must Find a New Thought Pattern, in 3 Commentary 109 (1947); Id., The Livelihood of Man, New York – San Francisco – London, 1977; Id., La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, trad. it., Torino, 1974, 173 ss. In proposito cfr. l’analisi di G. Dale, Karl Polanyi. The Limits of the Market, Cambridge, 2010, 89-187. 62 Su questi temi meritano di essere richiamati, innanzitutto, i due volumi di J. Elster, Le désintéressement. Traité critique de l’homme économique, I, Paris, 2009; e L’irrationalité. Traité critique de l’homme économique, II, Paris, 2010, che costituiranno un termine di ri- Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 15 trici fondamentali intorno a cui si snodano le riflessioni di psicologia ed economia comportamentale. Il primo filone di ricerca è quello che, a partire dagli anni ’70, ha focalizzato l’attenzione sul profilo della razionalità degli attori e sui suoi limiti. Tra le tante, soprattutto le analisi di David Kahneman e Amos Tversky hanno restituito universale notorietà al tema delle distorsioni cognitive e della bounded rationality, tanto da giustificare l’assegnazione a Kahneman, uno psicologo cognitivo, e a Vernon Smith, un economista sperimentale, del Premio Nobel per l’economia63. Tali sono la rilevanza e le implicazioni delle suddette acquisizioni teoriche, che la stessa behavioral law & economics ha sin qui finito per cimentarsi in maniera prevalente con il problema del riflesso i vincoli cognitivi sui processi di scelta e di decisionali degli individui64. V’è però un secondo filone d’indagine, che, benché meno noto al di fuori della cerchia degli specialisti, sta conseguendo risultati altrettanto rivoluzionari per la teoria della scelta razionale. Se gli studi di Kahneman hanno offerto un contributo importante alla comprensione dei meccanismi relativi alla cognizione, le ricerche sperimentali condotte – tra gli altri – da Ernst Fehr e dal suo team stanno dischiudendo prospettive di riflessione molto importanti soprattutto riguardo all’aspetto della motivazione dei comportamenti individuali65. Esperimenti realizzati nell’arco di un ventenferimento privilegiato per le considerazioni svolte nel prosieguo di questo scritto; nonché K. Schweers Cook – M. Levi, a cura di, The Limits of Rationality, Chicago-London, 1990; T.S. Ulen, Rational Choice Theory in Law and Economics, cit., 800 ss. 63 Per informazioni v. M. Motterlini – M. Piattelli Palmarini, Introduzione, in Id., a cura di, Critica della ragione economica, Milano, 2005, 11 ss. 64 Di ciò offre una chiara dimostrazione il volume di R.H. Thaler – C.R. Sunstein, Nudge. La spinta gentile, trad. it., Milano, 2009; v. altresì C. Jolls – C.R. Sunstein – R.H. Thaler, A Behavioral Approach to Law and Economics, in 50 Stanford L. Rev. 1471 (1998); C. Sunstein, Behavioral Analysis of Law, in 64 Univ. Chicago L. Rev. 1175 (1997); altri lavori interessanti in questa prospettiva sono quelli, concernenti per lo più il tema delle scelte di consumo e di investimento, di O. Bar-Gill, The Law, Economics and Psychology of Subprime Mortgage Contracts, in 94 Cornell L. Rev. 1073 (2009); Id., Seduction by Contract: Law, Economics and Psychology in Consumer Markets, Oxford, 2012; M. Ferrari, Risk Perception, Culture, and Legal Change. A Comparative Study on Food Safety in the Wake of the Mad Cow Crisis, Farnham-Burlington, 2009, 1-44; G. Rojas Elgueta, Understanding Discovery in International Commercial Arbitration through ‘Behavioral Law and Economics’: A Journey Inside the Minds of Parties and Arbitrators, in 16 Harvard Negotiation L. Rev. 165 (2011); A. Monti, Psicologia della decisione e tutela del consumatore, in R. Caterina, a cura di, I fondamenti cognitivi del diritto. Percezioni, rappresentazioni, comportamenti, cit., 15 ss. 65 Tra gli studi di Fehr ai quali si farà particolare riferimento nel prosieguo di questo scritto si annoverano: E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism – Experimental Evidence and New Theories, in S.G. Kolm – J.M. Ythier, a cura 16 GIORGIO RESTA nio da psicologi ed economisti sperimentali, peraltro in maniera altamente sofisticata e in contesti culturali eterogenei, hanno sottoposto a una seria verifica operazionale il secondo pilastro del modello dell’homo oeconomicus, ossia il presupposto dell’agire orientato al perseguimento dell’interesse egoistico. Sebbene non si giunga a negare la rilevanza del self-interest quale fondamentale fattore motivazionale, i risultati empirici e sperimentali ne smentiscono la dominanza, portando alla luce il ruolo tutt’altro che marginale assunto da fattori quali l’avversione all’iniquità, la reciprocità, l’altruismo. Le acquisizioni di tali ricerche, pur provvisorie e non assolutizzabili, sono comunque preziose per il giurista, in quanto restituiscono un’immagine dell’agente ben più articolata e complessa di quella presupposta dal modello antropologico della law & economics66. Ciò ha importanti implicazioni, a tacer d’altro, per la comprensione teorica e la migliore strutturazione delle istituzioni preposte al coordinamento delle attività private67. Prima di soffermarsi su questo aspetto, appare opportuno illustrare più da vicino il contenuto e i risultati degli esperimenti volti a misurare la rilevanza empirica del paradigma del self-interest. Le indagini più significative traggono spunto generalmente da uno dei quattro giochi elencati qui di seguito, nei quali i soggetti – di regola operanti in condizioni di anonimato e nel contesto di giochi non ripetuti – sono posti di fronte all’alternativa tra azioni cooperative ed azioni non cooperative, tra scelte egoistiche e scelte disinteressate: a) il gioco dell’ultimatum; b) il gioco del dittatore; c) il gioco della fiducia; d) il gioco della contribuzione a beni pubblici. di, Handbook of the Economics of Giving, Altruism and Reciprocity, I, Amsterdam, 2006, 615 ss.; E. Fehr – U. Fischbacher, The Nature of Human Altruism, in 425 Nature 785 (2003); E. Fehr – S. Gächter, Fairness and Retaliation: The Economics of Reciprocity, in 14 Journ. Econ. Persp. 159 (2000); E. Fehr – B. Rochenbach, Detrimental effects of sanctions on human altruism, in 422 Nature 137 (2003); E. Fehr – S. Gächter, Cooperation and Punishment in Public Goods Experiments, in 90 American Econ. Rev. 980 (2000); H. Gintis – S. Bowles – R. Boyd – E. Fehr, Explaining altruistic behavior in humans, in 24 Evolution and Human Behavior 153 (2003). Per ulteriori informazioni sulle risultanze sperimentali in tema di altruismo v. R.M. Dawes – R.H. Thaler, Anomalies: Cooperation, in 2 Journ. Econ. Persp. 187 (1988); J. Andreoni – W. T. Harbaugh – L. Vesterlund, Altruism in experiments, in The New Palgrave Dictionary of Economics, 2nd ed., Basingstoke, 2008. 66 Sul punto cfr. le considerazioni di A. Sen, Rationality and Freedom, cit., 25 ss. 67 Cfr. D.C. North, Economics and Cognitive Sciences, in http://www.beijingforum.org/html/Home/report/826-0.htm (ultimo accesso in data 3-22014). Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 17 5. Il gioco dell’ultimatum Nel gioco dell’ultimatum – dal quale la gran parte degli studi sperimentali sul comportamento cooperativo hanno preso le mosse68 – due persone devono accordarsi sulla ripartizione di una determinata somma di denaro messa a disposizione dallo sperimentatore. Il primo individuo, il Proponente, è chiamato a formulare una proposta di allocazione del capitale tra i due soggetti. Il secondo, l’Oblato, può accettare o rifiutare l’offerta. Nel caso di accettazione, la somma sarà ripartita sulla base delle modalità concordate. Nel caso di rifiuto, invece, l’attribuzione gratuita verrà revocata e nessuno dei due soggetti guadagnerà alcunché. Assumendo che entrambi i soggetti sono razionali (nel senso della teoria dominante) e quindi si preoccupano unicamente di massimizzare il proprio benessere materiale, se ne dovrebbe inferire logicamente che l’Oblato sarà disposto ad accettare qualsiasi somma, in quanto ogni attribuzione, per quanto piccola, sarà migliore di nulla; e che il Proponente, rappresentandosi mentalmente un tale ragionamento, limiterà la propria offerta alla più piccola unità di denaro disponibile, mantenendo per sé tutto il surplus. Il gioco sembrerebbe dunque avere un unico equilibrio di Nash, dove l’offerta (sempre accettata) è positiva ma prossima allo zero (offerta di 0 + x, ove x è la minima unità monetaria disponibile)69. Tuttavia le risultanze sperimentali smentiscono tali previsioni. L’esito più comune registrato in centinaia di prove è che la grande maggioranza delle offerte sono ricomprese in una somma che varia tra il 40% e il 50% dell’ammontare disponibile; mentre le offerte minori del 20% del surplus vengono rifiutate con una probabilità ricompresa tra lo 0.4 e lo 0.6, probabilità che decresce in proporzione all’entità dell’offerta70. Ciò indica che gli individui non agiscono sempre e comunque in maniera pienamente conforme al postulato dell’interesse egoistico. 68 I primi esperimenti in materia sono quelli di W. Güth – R. Schmittberger – T. Schwarze, An Experimental Analysis of Ultimatum Bargaining, in 3 Journ. Econ. Behaviour & Org. 367 (1982); cfr. inoltre W. Güth – R. Tietz, Ultimatum Bargaining Behavior. A Survey and Comparison of Experimental Results, in 11 Journ. Econ. Psych. 417 (1990). Per approfondimenti v. le riflessioni di F. Guala, Paradigmatic Experiments: The Ultimatum Game from Testing to Measurement Device, in 75 Phil. of Science 658 (2008); Id., Has Game Theory Been Refuted?, in 103 Journ. Phil. 239 (2006). 69 M. Motterlini – F. Guala, Psicologia ed esperimenti in economia, in Id., a cura di, Economia cognitiva e sperimentale, cit., 1 ss., 42. 70 E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism, cit., 622; C. Camerer, Behavioral Game Theory: Experiments in Strategic Interaction, New York, 2003, 48-50. 18 GIORGIO RESTA In particolare, le offerte troppo basse vengono percepite come “ingiuste”, tanto da spingere l’Oblato a rifiutare qualsiasi guadagno piuttosto che vedere l’altra parte lucrare della propria rendita di posizione in spregio ad un comune senso di equità nella distribuzione delle risorse. Si tratta di un comportamento “disinteressato”, ma riconducibile ad una forma di disinteresse che non giova nell’immediato ad alcuno (mentre se il gioco fosse ripetuto, o in presenza di informazioni circa i comportamenti preteriti degli agenti, tale atteggiamento potrebbe essere interpretato come strumentale all’acquisizione della reputazione di persona orgogliosa e di forte temperamento, così da spingere ogni potenziale controparte alla formulazione di offerte più generose)71. Si è dunque al fuori del paradigma dell’altruismo, mentre assumono un ruolo cruciale fattori emozionali come la rabbia o il risentimento, i quali sono all’opera, com’è noto, in una molteplicità di contesti reali di interazione e che parrebbero supportare un’opzione di ‘punizione simbolica’ finalizzata a ricostituire ex post la reciprocità violata72. Peraltro, il raffronto del gioco dell’ultimatum con le sue varianti dell’impunity game (ove l’eventuale rigetto dell’offerta comporta soltanto la sua perdita per l’Oblato, ma non per il Proponente, che conserva il resto della somma allocata dallo sperimentatore) 73, e il private impunity game (ove la scelta compiuta dall’Oblato, e quindi anche l’eventuale rifiuto dell’offerta, produttivo delle stesse conseguenze dell’impunity game, rimane segreta e non viene comunicata al Proponente), induce a attribuire valore preponderante alla pura e semplice “emozione” correlata ai sentimenti di rabbia e risentimento, rispetto alle stesse motivazioni in termini di avversione all’iniquità e reciprocità74. Difatti essa sembra motivare il comportamento consistente nel rifiuto dell’offerta anche qualora tale rifiuto aggravi la situazione di disparità nell’allocazione delle risorse (impunity game: il Proponente conserva integralmente la propria parte di utili, mentre 71 M.A. Nowak - K.A. Page – K. Sigmund, Fairness Versus Reason in the Ultimatum Game, in 289 Science 1773 (2000). 72 In questo vedi la discussione del gioco dell’ultimatum compiuta da C. Camerer, Behavioral Game Theory: Experiments in Strategic Interaction, cit., 49, il quale attribuisce particolare rilievo al sentimento della rabbia (“anger”), diversa dall’indignazione (che è all’opera nel contesto del third party punishment game), in quanto sentimento “more personal” e che spesso “motivates an aggrieved party to administer justice herself”; nonché da J. Elster, Le désinteressement, cit., 137-138, il quale isola come fattori motivazionali rilevanti l’envie e il resentissement. 73 G.E. Bolton – R. Zwick, Anonymity Versus Punishment In Ultimatum Bargaining, in 10 Games Econ. Behav. 95 (1995). 74 T. Yamagishi – Y. Horita – H. Takagishi – M. Shinada – S. Tanida – K.S. Cook, The private rejection of unfair offers and emotional commitment, in 106 PNAS 11520 (2009). Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 19 l’Oblato perde tutto) e persino allorché esso non possa adempiere ad una funzione di punizione simbolica (private impunity game: il rigetto dell’offerta non viene reso noto al Proponente e costui mantiene la propria dotazione patrimoniale, mentre l’Oblato perde tutto … ad eccezione della propria dignità) 75. Quanto alla spiegazione del comportamento del Proponente, la questione è più complessa. Sarebbe troppo semplicistico ritenere che la frequenza molto elevata di offerte sopra il 40% denoti un’attitudine ‘altruistica’ da parte del Proponente. Infatti, può ben essere che tale decisione sottenda una valutazione razionale dei rischi insiti in un’offerta troppo bassa e dunque risponda ad una forma di disinteresse per scelta76. Il Proponente potrebbe semplicemente prevedere che un’offerta di ammontare non ragionevole incontri il dissenso dell’Oblato, con il conseguente rischio di gioco a somma zero. Che ciò sia spesso il caso è dimostrato da un confronto tra gli esiti osservabili nel gioco dell’ultimatum e nel gioco del dittatore. 6. Il gioco del dittatore Il gioco del dittatore si differenzia da quello appena analizzato per una variante essenziale77. Qui l’Oblato non ha più il potere di rifiutare la proposta. Pertanto egli è relegato ad un ruolo meramente passivo, mentre il Proponente è posto in una condizione simile a quella del titolare di un diritto potestativo. Egli può decidere arbitrariamente quanta parte della somma allocata dallo sperimentatore destinare all’Oblato. Non fronteggiando più alcun rischio di rifiuto e dunque di azzeramento del surplus disponibile, ci si attenderebbe che il Proponente opti per un’offerta pari o tendente allo 0. I risultati empirici smentiscono nuovamente tale previsione. Le offerte reali risultano ricomprese in media tra il 10 % e il 25 % del surplus disponibile, con allocazioni modali al 50% e allo 078. Ciò suggerisce due ordini di considerazioni. Il primo è che in assenza di un rischio di 75 T. Yamagishi – Y. Horita – H. Takagishi – M. Shinada – S. Tanida – K.S. Cook, The private rejection of unfair offers and emotional commitment, cit., 11522; in tema v. anche N. Ma - N. Li - X.S. He - D.L. Sun - X. Zhang, et al., Rejection of Unfair Offers Can Be Driven by Negative Emotions, Evidence from Modified Ultimatum Games with Anonymity, PLoS ONE 7(6): e39619 (2012). 76 J. Elster, Le désinteressement, cit., 136. 77 R.L. Forsythe - J. Horowitz - N.E. Savin - M. Sefton, Fairness in simple bargaining games, in 6 Games and Economic Behavior 347 (1994). 78 E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism, cit., 622. 20 GIORGIO RESTA rifiuto l’entità dell’offerta tende a decrescere in misura sostanziale. Questo conferma l’ipotesi di partenza, e cioè che una quota significativa delle offerte ‘corpose’ osservabili nel gioco dell’ultimatum deve essere ricondotta ad un comportamento strategico e segnatamente all’intento di ridurre al minimo il rischi di insuccesso dell’accordo79. Il secondo ordine di considerazioni è che, pur in assenza di un pericolo di rifiuto, le offerte non si riducono a 0, ma rimangono in media positive. Ciò significa che la scelta compiuta in piena libertà dal Proponente non è sempre strategica ed appare connotata da una dose ineliminabile di ‘altruismo’, ossia da un’attitudine volta alla soddisfazione delle esigenze altrui, anche là dove ciò implichi un costo per l’agente80. Il confronto tra i due giochi induce dunque a sottolineare, dal lato del Proponente, che il timore razionale del rifiuto non può giustificare di per sé la presenza di offerte positive e deve darsi per scontata una pur minima preoccupazione per il benessere altrui (o per l’equità nella distribuzione degli utili); e, dal lato dell’Oblato, che i fattore emozionale della collera per l’ingiustizia subita fa premio sulla considerazione “razionale” (rectius di razionalità economica) per cui ricevere qualcosa è sempre meglio di nulla81. Il riferimento al ruolo delle ‘emozioni’ per la spiegazione dei comportamenti induce poi a verificare se tale fattore assuma un ruolo soltanto quando l’azione iniqua tocchi direttamente la propria sfera oppure anche quando essa si risolva a danno di un terzo. Nel primo caso si dovrà riconoscere un ruolo prevalente al sentimento di “collera”; nel secondo si potrà parlare più propriamente di una scelta ‘altruistica’ dettata dall’“indignazione”82. Per sciogliere tale ambiguità è utile far riferimento 79 J. Elster, Le désinteressement, cit., 137. J. Elster, Le désinteressement, cit., 136-137; C. Camerer, Behavioral Game Theory: Experiments in Strategic Interaction, cit., 56. 81 V. supra, nota 72. 82 Per la distinzione tra i due stati d’animo della collera, il quale opera nei rapporti bilaterali, e dell’indignazione, il quale pertiene ai rapporti trilaterali, si veda J. Elster, Le désintéressement, cit., 157. Ivi è riportato il seguente passo di Cartesio, che merita di essere riprodotto per intero: “Tout de même le mal fait par d’autres, n’étant point rapporté à nous, faire seulement que nous avons pour eux de l’indignation; et lorsqu’il y est rapporté, il émeut aussi la colère”. E ancora: “Ceci nous avertit qu’on peut distinguer deux espèces de colère: l’une qui est fort prompte et se manifeste fort à l’extérieur, mais néanmoins qui a peu d’effet et peut facilement être apaisée; l’autre qui ne paraît pas tant à l’abord, mais qui ronge davantage le cœur et qui a des effets plus dangereux. Ceux qui ont beaucoup de bonté et beaucoup d’amour sont les plus sujets à la première. Car elle ne vient pas d’une profonde haine, mais d’une prompte aversion qui les surprend, à cause qu’étant portés à imaginer que toutes choses doivent aller en la façon qu’ils jugent être la meilleure, sitôt qu’il en arrive autrement ils l’admirent et s’en offensent, souvent même sans que la chose 80 Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 21 ad un altro contesto sperimentale, quello delineato dal third party punishment game83. Esso è costruito come un gioco del dittatore, ma con struttura trilaterale. Oltre al Proponente e all’Oblato, interviene un terzo soggetto, l’Osservatore. Mentre i primi due operano secondo le modalità illustrate in precedenza (attribuzione di una somma da parte dello sperimentatore e potere insindacabile di determinarne la redistribuzione in capo al Proponente), l’Osservatore riceve dallo sperimentatore la metà della somma assegnata al Proponente. Di questa somma egli potrà far uso in due modi: conservandola, oppure imponendo ‘punti di penalizzazione’ a danno del Proponente in ragione delle sue scelte distributive. L’attribuzione di ogni punto di penalizzazione implicherà per l’Osservatore l’esborso di una unità monetaria e per il terzo tre unità, sicché ogni sanzione risulterà costosa sia per l’uno sia per l’altro. Secondo la teoria della scelta razionale, ci si attenderebbe che l’Osservatore non imponga mai punti di penalità, poiché altrimenti finirebbe per diminuire il proprio benessere materiale. Eppure, i risultati degli esperimenti condotti da Fehr e Fischbacher smentiscono tale ipotesi84. Assegnata al Proponente una somma di 100 gettoni, costui veniva in prevalenza ‘sanzionato’ ogniqualvolta avesse allocato all’Oblato un ammontare minore del 50% del capitale. In particolare, circa il 60% degli Osservatori optava per una penalizzazione ed essa tendeva a crescere in proporzione al diminuire della quota attribuita all’Oblato. Nel caso di trasferimento nullo (e dunque di integrale appropriazione del surplus da parte del Proponente), i punti di penalizzazione risultavano in media 14, con la conseguente riduzione del patrimonio del Proponente di 42 unità. Da un lato, dunque, l’Osservatore appare disposto a impiegare parte del proprio patrimonio al fine non egoistico di sanzionare un comportamento iniquo del Proponente (e alcuni studi di neuro-economia hanno confermato l’attivazione dei centri del piacere del cervello a seguito della sanzione imposta per comportamenti sleali)85. Dall’altro, l’entità della sanzione risulta complessivamente minore della perdita che il Proponente les touche en leur particulier, à cause qu’ayant beaucoup d’affection, ils s’intéressent pour ceux qu’ils aiment en même façon que pour eux-mêmes. Ainsi ce qui ne serait qu’un sujet d’indignation pour un autre est pour eux un sujet de colère” (R. Descartes, Les passions de l’âme, art. 65, in Œuvres philosophiques, t. III, Paris, 1989, 1004). 83 E. Fehr – U. Fischbacher Third party punishment and social norms, in 25 Evolution and Human Behavior, 63 (2004). 84 E. Fehr – U. Fischbacher Third party punishment and social norms, cit., 68; E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism, cit., 623. 85 D. de Quervain – U. Fischbacher – V. Treyer – M. Schellhammer – U. Schnyder – A. Buck – E. Fehr, The Neural Basis of Altruistic Punishment, in 305 Science 1254 (2004); J. Elster, Le désinteressement, cit., 137, 176 ss. 22 GIORGIO RESTA avrebbe dovuto sostenere per realizzare una distribuzione equa delle risorse, individuata dagli Osservatori nel 50% del capitale. Quindi i disincentivi all’appropriazione si rivelano in un contesto simile insufficienti. Tuttavia vien fatto notare che, nei casi in cui l’Osservatore avesse già partecipato ad un altro gioco del dittatore assumendovi il ruolo di Oblato, l’entità delle sanzioni inferte risultava sistematicamente più elevata 86. In particolare, l’Oblato veniva in media ‘punito’ più duramente per ogni trasferimento minore del 50%, con la conseguenza che l’iniquità risultava una strategia perdente anche sul piano del calcolo costi/benefici. Ciò è agevolmente spiegabile con un effetto di empatia tra l’Osservatore e l’Oblato, il quale eleva sensibilmente la soglia della disponibilità a pagare (id est a punire). Infine le risultanze empiriche indicano che, nel caso in cui il gioco sia strutturato come second party punishment game (ove il potere di sanzionare sia attribuito direttamente in capo all’Oblato), le sanzioni inferte saranno più elevate e frequenti87. Ne discende che: a) molti individui sono propensi a sacrificare parte del proprio benessere al fine di sanzionare atti percepiti come ingiusti o iniqui; b) tale propensione a punire è sensibilmente maggiore allorché le violazioni delle norme sociali siano state direttamente indirizzate nei confronti dell’agente. In altre parole, la forza motivazionale della collera tende a sopravanzare quella dell’indignazione88. Se ciò potrebbe suggerire una minore efficacia dei relativi meccanismi sanzionatori, d’altra parte si deve notare che nei contesti reali il numero dei terzi osservatori è generalmente più elevato dei soggetti direttamente colpiti dal comportamento opportunistico; sicché l’effetto aggregato del loro ostracismo può ben compensare la debolezza delle reazioni individuali89. Questi esperimenti confermano, dunque, un dato già messo in luce da numerosi studi, e cioè che le sanzioni che presiedono all’attuazione delle norme sociali sono largamente basate sulle emozioni, le quali costituiscono uno dei fattori decisivi che guidano il processo di enforcement delle norme90. Il ruolo delle “emozioni” è pertanto molto rilevante e deve essere tenuto in massima considerazione – come ben sa qualsiasi giurista impegnato 86 E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism, cit., 623. 87 E. Fehr – U. Fischbacher Third party punishment and social norms, cit., 75-77. Cfr. J. Elster, Le désintéressement, cit., 167-168. 89 J. Elster, Le désintéressement, cit., 169; E. Fehr – U. Fischbacher Third party punishment and social norms, cit., 85. 90 E. Fehr – U. Fischbacher Third party punishment and social norms, cit., 84. 88 Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 23 nell’analisi dei contesti di transitional justice91 – nella ricostruzione dei paradigmi della decisione92. 7. Il gioco della fiducia Se il gioco da ultimo descritto illustra il fenomeno della ‘punizione altruistica’, il gioco della fiducia verte sull’ipotesi della ‘ricompensa altruistica’93. Esso è generalmente strutturato nel modo seguente94. Vi sono due soggetti, il Fiduciante e il Fiduciario, ai quali viene attribuita la medesima somma di danaro da parte dello sperimentatore. Il Fiduciante può decidere quanto trasferire, in forma di investimento, al Fiduciario, con la particolarità che qualsiasi somma attribuita verrà triplicata dallo sperimentatore. Pertanto se la destinazione è 0, il Fiduciario non riceverà nulla, mentre per ogni altro ammontare (ad es. 10) egli riceverà il triplo dell’investimento (30). A sua volta il Fiduciario sarà libero di appropriarsi di tutto il surplus ricevuto oppure restituirne una parte al Fiduciante. Siamo dunque in presenza di una sorta di gioco del dittatore a parti invertite, salvo il fatto che qui il Fiduciante è libero di determinare l’entità della posta da redistribuire. Se dovessimo ragionare in base al comportamento tipico dell’“uomo di Chicago”, dovremmo presupporre che ogni Fiduciario razionale opterà per l’appropriazione dell’intera somma trasferita, senza rendere nulla in cambio al Fiduciante. Costui, a sua volta, rappresentandosi mentalmente il calcolo del Fiduciario, deciderà di non investire alcunché95. Ciò tuttavia non corrisponde alla realtà effettuale. In molteplici esperimenti condotti in paesi ad economie avanzate è emerso che in media i soggetti nel ruolo di 91 È importante, ancora, un richiamo a J. Elster, Closing the Books, Cambridge, 2004. Su questo tema, che ha di recente dato vita ad un’ampia elaborazione teorica, v. ad es. M.C. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni, trad. it., Bologna, 2009; D. Carusi, Diritto, letteratura, psicoanalisi: la giustizia politica secondo Martha Nussbaum, in L’ordine naturale delle cose, Torino, 2011, 158 ss.; G.L. Clore, For Love or Money: Some Emotional Foundations of Rationality, in 80 Chicago Kent L. Rev. 1151 (2005); nonché D. Ariely, Predictably Irrational. The Hidden Forces That Shape Our Decisions, New York, 2010, spec. 75 ss., 119 ss., al quale si farà ripetutamente riferimento nel prosieguo. 93 E. Fehr – U. Fischbacher, The Nature of Human Altruism, cit., 786. 94 E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism, cit., 623-624; J. Berg, - J. Dickhaut – K. McCabe, Trust, reciprocity and social history, in 10 Games and Economic Behavior 122 (1995). 95 Su queste dinamiche, nonché sul tema dell’architettura istituzionale volta a favorire la cooperazione, v. M. Graziadei, Investitori e fiducia, in R. Caterina, a cura di, I fondamenti cognitivi del diritto, cit., 55 ss.; in una prospettiva più ampia E. Resta, Le regole della fiducia, Roma-Bari, 2009. 92 24 GIORGIO RESTA Fiduciante trasferiscono circa la metà della somma ricevuta dallo sperimentatore e che in tal caso il Fiduciario tende a ripagare la stessa somma investita (ma nulla più) 96. Tuttavia v’è da notare che l’entità della somma restituita dal Fiduciario cresce proporzionalmente all’ammontare investito: quanto maggiore è la scelta di investimento, tanto maggiore sarà la quota ‘premiale’ allocata dal Fiduciario. Inoltre è interessante prendere in considerazione una variante del gioco, in base alla quale il Fiduciante, al momento dell’investimento, potrà o semplicemente dichiarare l’ammontare desiderato in caso di riaccredito, oppure avvertire il Fiduciario che applicherà una sanzione di 4 unità monetarie se la somma restituita sarà inferiore all’ammontare desiderato97. Il Fiduciario in questi casi è al corrente del fatto che il Fiduciante aveva l’opzione di imporre o non imporre la sanzione per il caso di inadempimento. Ebbene, il dato rilevante è che i pagamenti “premiali” maggiori si verificano nella prima ipotesi, ossia nel caso in cui l’investitore, pur potendolo fare, non abbia munito l’investimento della minaccia formale di sanzione98. Ciò significa che la scelta di riporre la fiducia in un altro soggetto, senza assumere le possibili precauzioni anche nei casi in cui costui potrebbe razionalmente tradire la fiducia, induce alla cooperazione. E di riflesso che la minaccia di sanzione – esattamente all’opposto di quanto presupposto dalla teoria economica della pena – può indebolire l’incentivo alla cooperazione e dunque incrinare le stesse basi della ‘fiducia’99. Come osserva Jon Elster100, ciò che può apparire sorprendente all’economista non lo è al letterato, se è vero che Proust scriveva nella sua Recherche che “dal momento in cui la gelosia è scoperta, essa è considerata da chi ne è oggetto come una diffidenza che legittima l’inganno”; e così pure che “se la gelosia ci aiuta a scoprire nella donna amata una certa inclinazione alla menzogna, essa centuplica tale inclinazione, quando la donna abbia scoperto che siamo gelosi”101. 96 E. Fehr – U. Fischbacher, The Nature of Human Altruism, cit., 786 e la letteratura ivi citata; E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism, cit., 624 ss. 97 E. Fehr – B. Rockenbach, Detrimental effects of sanctions on human altruism, in 422 Nature 137 (2003); J. Elster, Fehr on Altruism, Emotion and Norms, cit., 200-201. 98 J. Elster, Fehr on Altruism, Emotion and Norms, cit., 201. 99 Sul difficile equilibrio tra fiducia “cieca” e fiducia “calcolata”, E. Resta, Le regole della fiducia, cit., 3-9. 100 J. Elster, Le désintéressement, cit., 175. 101 M. Proust, La Prisonnère, in À la recherche du temps perdu, t. III, Paris, 1987, 570, 597. Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 25 8. Il gioco della contribuzione a beni pubblici Infine, il tema della propensione alla cooperazione è studiato attraverso il gioco della contribuzione a beni pubblici. In una sua variante elaborata da Fischbacher, Gätcher e Fehr102 , viene fornito a quattro giocatori l’ammontare di 20 unità monetarie ciascuno. Essi hanno l’opzione di trattenere il capitale ovvero di destinare parte di esso ad un progetto di interesse collettivo, la cui entità è data dalla sommatoria delle contribuzioni individuali. Il payoff marginale per ogni contribuzione ammonta a 0.4 unità. Di conseguenza l’investimento è nell’interesse del gruppo, in quanto per ciascuna unità investita si recupera collettivamente 1,60. Esso non risponde, tuttavia, all’interesse individuale, in quanto ciascun agente ricava meno di quanto investito. L’esperimento si articola in due diverse fasi. Nella prima viene richiesto a ogni partecipante di indicare – senza conoscere le scelte compiute dagli altri – la somma che egli o ella sarebbe disposto a destinare al progetto collettivo. Nella seconda, viene proposta una tabella delle contribuzioni medie degli altri partecipanti e ogni partecipante viene invitato a indicare la propria scelta in relazione a ciascun livello di contribuzione media. Sulla base delle consuete premesse della scelta razionale e dell’egoismo, dovremmo attenderci un comportamento da free rider da parte di ciascun giocatore. Invece il dato significativo che emerge dalla seconda fase dello studio è che almeno il 50% dei partecipanti si mostra disponibile ad aumentare le proprie contribuzioni se anche gli altri soggetti aumentano le proprie. Ciò evidenzia l’importanza che assumono la logica della reciprocità e l’avversione all’iniquità quali fattori determinativi delle scelte. V’è però da notare che una percentuale rilevante dei soggetti (circa il 30%) agisce in maniera esattamente conforme al modello del free rider103, e ciò indipendentemente dal comportamento tenuto dagli altri partecipanti: se anche costoro destinano una quota del proprio patrimonio al progetto di interesse collettivo, il free rider incallito profitterà dei vantaggi senza sobbarcarsi gli oneri necessari per la realizzazione del progetto. E tuttavia il numero dei cooperatori condizionali è di solito sufficientemente elevato da neutralizzare l’effetto frenante prodotto dall’azione dei free riders, sì da far ritenere che un 102 U. Fischbacher – S. Gächter – E. Fehr, Are people conditionally cooperative? Evidence from a public goods experiment, 71 Economics Letters 397 (2001). 103 In tema v. per un altro esempio J. Andreoni, Le ragioni del free riding: strategie e apprendimento negli esperimenti con i beni pubblici, in M. Motterlini – F. Guala, a cura di, Economia cognitiva e sperimentale, cit., 239 ss. 26 GIORGIO RESTA aumento delle contribuzioni degli altri partecipanti determini un incremento nella contribuzione dell’individuo medio104. 9. La solidarietà ‘condizionale’ Un interessante riscontro pratico di tali assunti è offerto dalla vicenda del consumo dell’acqua pubblica di Bogotà, di cui riferisce Jon Elster105. È noto che in diversi centri urbani si ripropone spesso il problema dell’approvvigionamento dell’acqua. Per risolverlo si ricorre generalmente ad una delle seguenti strategie: a) interrompere l’erogazione dell’acqua in certi orari; b) proibire determinate utilizzazioni dell’acqua; c) invitare la popolazione a diminuire, per senso civico, il consumo d’acqua. Perché quest’ultima strategia abbia successo, è necessario porre le condizioni perché si realizzi una forma di solidarietà condizionale, sollecitando ciascun cittadino a sopportare un sacrificio a patto che anche gli altri si comportino allo stesso modo. Si rende dunque indispensabile porre in essere un meccanismo che assicuri la visibilità delle scelte compiute da altri e permetta di agire sul senso civico dei consociati. Concretamente, il sindaco della città di Bogotà ha permesso di seguire su un canale televisivo l’andamento in tempo reale del consumo dell’acqua, mostrando la prevalenza dei comportamenti cooperativi rispetto a quelli opportunistici. In tal modo la solidarietà condizionale si è tradotta in azioni utili all’interesse generale. Simmetricamente, lo studio condotto da alcuni economisti sulla disponibilità ad accettare lo stoccaggio di rifiuti radioattivi da parte di piccole comunità montane svizzera ha dimostrato che il tasso di adesione dei soggetti tende a decrescere, invece che ad aumentare, qualora la proposta sia argomentata non soltanto facendo appello al senso civico e all’interesse generale, ma sia accompagnata da una promessa di compensazione monetaria106. Come si vedrà meglio in seguito, in settori e rispetto a questioni 104 E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism, cit., 672. 105 J. Elster, Le désintéressement, cit., 47; J. Elster, Fehr on Altruism, Emotion and Norms, cit., 204. 106 Nella specie, fu registrata una diminuzione del tasso di adesione dal 50.8 % al 24.6 %: cfr. B.S. Frey – F. Oberholzer-Gee, The Cost of Price Incentives: An Empirical Analysis of Motivation Crowding-Out, in 87 American Econ. Rev. 746, 749, 753 (1997) (“Where public spirit prevails, using price incentives to muster support for the construction of a socially desirable, but locally unwanted, facility comes at a higher price than suggested by standard economic theory because these incentives tend to crowd out civic duty”); B.S. Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 27 presidiate da norme sociali, l’introduzione di incentivi monetari (diverso, invece, è il caso degli incentivi non monetari, come la compensazione attraverso investimenti in beni comuni, come parchi, scuole o biblioteche)107 rischia di produrre un effetto controfinale, mettendo fuori gioco le motivazioni non egoistiche, come quelle che, nel caso di specie, limitavano il noto effetto “NIMBY” (not in my backyard)108 . 10. Gli insegnamenti per il giurista: il limiti del modello economicistico e la diversità culturale La disamina sin qui condotta induce a sottolineare tre punti di particolare rilevanza per il giurista. Il primo è quello del problema della diversità culturale e dei limiti all’universalizzabilità dei modelli comportamentali assunti a fondamento della teoria della scelta razionale (ed indirettamente delle scelte di policy perseguite dai vari decisori istituzionali)109. Gli esperimenti in oggetto sono stati compiuti in una prima fase su una popolazione piuttosto omogenea, quale quella degli studenti universitari, in prevalenza (ma non esclusivamente) provenienti da paesi industrializzati. Successivamente il campo d’indagine è stato notevolmente allargato, assumendo le ricerche una matrice spiccatamente “transculturale”110. I medesimi esperimenti – in partiFrey – F. Oberholzer-Gee – R. Eichenberger, The Old Lady Visits Your Backyard: A Tale of Morals and Markets, in 104 J. Pol. Econ. 1297 (1996). Per altri esempi circa l’effetto dissuasivo, sul piano delle motivazioni individuali, della sollecitazione monetaria v. D. Ariely, Predictably Irrational, cit., 75 ss.; Id., Effort for Payment, in 15 Psychol. Science 787 (2004). 107 C. Mansfield – G.L. Van Houtven – J. Huber, Compensating for Public Harms: Why Public Goods Are Preferred to Money, in 78 Land Economics 368 (2002). 108 Cfr. infra, par. 10. 109 Sul punto v. le considerazioni di R. Caterina, Introduzione, in Id., a cura di, I fondamenti cognitivi del diritto. Percezioni, rappresentazioni, comportamenti, cit., 7 ss.; A. Paternoster, Scienza cognitiva e diversità culturale, ivi, 239 ss. 110 In tema si vedano gli scritti di J. Heinrich – R. Boyd – S. Bowles et alii, “Economic man” in cross-cultural perspective: behavioral experiments in 15 small-scale societies, in 28 Behav. Brain Sci. 795 (2005); J. Henrich – R. Boyd – S. Bowles – C. Camerer – E. Fehr – H. Gintis – R. McElreath, In search of homo economicus: behavioral experiments in 15 small-scale societies, in 91 Am. Econ. Rev. 73 (2001); A.E. Roth – V. Prasnikar – M. Okuno-Fujiwara – S. Zamir, Negoziazione e comportamento di mercato a Gerusalemme, Lubiana, Pittsburgh e Tokyo: Uno studio sperimentale, in M. Motterlini – F. Guala, a cura di, Economia cognitiva e sperimentale, cit., 255 ss.; E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism, cit., 626 ss.; R. Caterina, Un approccio cognitivo alla diversità culturale, in Id., a cura di, I fondamenti cognitivi del diritto. Percezioni, rappresentazioni, comportamenti, cit., 205 ss. 28 GIORGIO RESTA colare il gioco dell’ultimatum e il gioco del dittatore – sono stati condotti su gruppi etnici diversi e in contesti socio-economici maggiormente differenziati, prendendo in esame anche culture ctonie o comunque lontane dagli schemi occidentali. L’obiettivo principale era quello di verificare se e in qual misura i comportamenti individuali mutino in funzione delle diverse concezioni di giustizia ed equità prevalenti nelle varie organizzazioni sociali. I due dati più significativi che si evincono da tali indagini sono i seguenti. Innanzitutto viene confermata la scarsa capacità predittiva della teoria classica della scelta razionale: quale che sia il contesto di riferimento, i soggetti si comportano secondo modelli che – come si è visto nei paragrafi precedenti - deviano sensibilmente dall’ipotesi del self-interest111. In secondo luogo tali deviazioni risultano significativamente diverse a seconda delle “culture” volta per volta considerate. Ciò è emerso per la prima volta in misura eclatante in un esperimento realizzato, nel 1996, sul gruppo dei Machiguenga, stanziato nell’Amazzonia peruviana sudorientale e dedito alla caccia, alla raccolta e all’orticultura itinerante 112 . Il gioco dell’ultimatum ivi condotto ha dato vita a risultati difformi da quelli usuali, sia perché i proponenti offrivano in media un ammontare sensibilmente minore di quello osservato nei giochi con popolazioni europee o nordamericane, sia perché i riceventi tendevano ad accettare offerte notevolmente più basse di quelle altrove considerate “eque” (inferiori al 20% della somma allocata dallo sperimentatore)113. Come spiegare il paradosso di una cultura aliena dai paradigmi di mercato, eppure propensa a sviluppare schemi attitudinali più vicini agli assiomi economicistici di quanto non li siano quelli evidenziati dagli esperimenti con gli studenti occidentali? Dai colloqui intercorsi con i partecipanti, Joseph Heinrich è giunto alla conclusione che i riceventi fossero disposti ad accettare qualsiasi offerta in quanto il minore surplus veniva imputato alla mala sorte di trovarsi nella posizione di oblato e non invece ad un atteggiamento antisociale del proponente114. Di qui, anche, la minore inclinazione dei proponenti a effettuare offerte generose, stante il basso rischio di vedere la propria offerta rifiutata. Se poi queste attitudini siano da porre in correlazione con fattori specifici, quale ad esempio la struttura organizzativa prevalentemente endo111 I J. Heinrich – R. Boyd – S. Bowles et alii, “Economic man” in cross-cultural perspective: behavioral experiments in 15 small-scale societies, cit.. 112 J. Henrich, Does Culture Matter in Economic Behavior? Ultimatum Game Bargaining Among the Machiguenga of the Peruvian Amazon, in 90 American Econ. Rev. 973 (2000). 113 J. Henrich, Does Culture Matter in Economic Behavior?, cit., 977. 114 J. Henrich, Does Culture Matter in Economic Behavior?, cit., 976. Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 29 familiare del gruppo in questione, è una questione più complessa e discussa in ambito antropologico. Quel che è più rilevante è che il caso in esame ha attirato l’attenzione degli economisti ed ha sollecitato nuove indagini a carattere transculturale, specie nel campo del gioco dell’ultimatum, del dittatore e della contribuzione a beni pubblici. Queste, pur confermando il già notato scostamento dal modello economico ortodosso e ribadendo l’importanza pressoché ovunque attribuita a valori come l’equità, la fiducia e la cooperazione, hanno mostrato come i paradigmi culturali di riferimento influenzino in maniera rilevante i comportamenti individuali e dunque i concreti esiti del gioco. Ad esempio, presso gli Au e i Gnau della Papua-Nuova Guinea, si è registrata una singolare tendenza a rifiutare tanto le offerte troppo basse quanto quelle troppo generose115. Ciò si spiega, evidentemente, con il carattere delle norme sociali che presiedono ai fenomeni donativi: l’effetto vincolante e talora umiliante che molte culture tradizionali riconnettono al dono costituisce una delle ragioni più importanti che spingono l’Oblato a rifiutare doni troppo elevati, contrariamente alle previsioni del modello economicistico116. I dati sin qui illustrati dovrebbero quindi indurre ad esercitare maggiore cautela nei confronti delle prospettive acriticamente universalistiche fatte proprie dalle teorie economiche dominanti e recepite nei programmi di diverse istituzioni sovranazionali (come ad esempio il progetto Doing Business)117. Non soltanto il modello economico standard non può essere generalizzato: la propensione verso l’altruismo, la fiducia e la cooperazione appaiono tratti comportamentali dell’essere umano non meno rilevanti ed “universali” (per quanto possa parlarsi di ‘universalismo’ in questo contesto) dell’interesse egoi115 J. Henrich – R. Boyd – S. Bowles – C. Camerer – E. Fehr – H. Gintis – R. McElreath, In search of homo economicus: behavioral experiments in 15 small-scale societies, cit., 75. 116 V. In proposito v. C. Hann, The Gift and Reciprocity: Perspectives from Economic Anthropology, in S.G. Kolm – J.M. Ythier, a cura di, Handbook of the Economics of Giving, Altruism and Reciprocity, cit., 220; J. Heinrich – R. Boyd – S. Bowles et alii, “Economic man” in cross-cultural perspective: behavioral experiments in 15 small-scale societies, cit., 811; E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism, cit., 627. 117 In proposito per una prima informazione v. A. Gambaro, Misurare il diritto?, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, 2012, 17 ss.; R. Michaels, Comparative Law by Numbers? Legal Origins Thesis, Doing Business Reports, and the Silence of Traditional Comparative Law, in 57 American Journal of Comparative Law 765 (2009); C. Valcke, The French Response to the World Bank’s Doing Business Reports, in 60 University of Toronto Law Journal 197 (2010). 30 GIORGIO RESTA stico e della ricerca del benessere materiale118. Nessuno di essi trascende la sfera della razionalità, tanto è vero che le risultanze empiriche indicano chiaramente che la disponibilità ad assumere comportamenti altruistici e cooperativi decresce con l’aumento del costo atteso di tali comportamenti e viceversa119 . Soprattutto, le risultanze sperimentali indicano che i medesimi incentivi possano indurre comportamenti differenti in soggetti appartenenti a diverse culture. Ciò significa che le condizioni ‘locali’ – relativamente al peso che gli atteggiamenti culturali e le norme informali assumono nei confronti di valori quali la fiducia, la cooperazione e l’altruismo – possono influenzare le scelte individuali in maniera profonda, rendendo quanto mai fragile la progettazione di un unico modello istituzionale basato su assiomi comportamentali uniformi ed invarianti120. Questa è non soltanto una delle critiche fondamentali già ricavabili dalla riflessione storico-comparatistica di Polanyi e che possono oggi essere reindirizzate nei confronti del movimento di law & finance e delle sue proiezioni operazionali121; ma anche una conclusione coerente con il parco di conoscenze sviluppato nell’ambito degli studi gius-comparatistici sul mutamento giuridico e sulla teoria dei trapianti122. 11. Segue: il costo degli incentivi monetari e l’effetto ‘corrosivo’ dei mercati Il secondo aspetto che merita di essere sottolineato, in parte già emerso, è quello della rilevanza assunta dal diritto, assieme ad altri fattori, quale 118 Così R. Caterina, Un approccio cognitivo alla diversità culturale, cit., 212. E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism, cit., 630-631. 120 R. Caterina, Un approccio cognitivo alla diversità culturale, cit., 213. 121 Il riferimento è, in particolare, a R. La Porta – F. Lopez-de-Silanes – A. Shleifer, The Economic Consequences of Legal Origins, in 46 Journal of Economic Literature 285 (2008); R. La Porta – F. Lopez-de-Silanes – A. Shleifer – R.W. Vishny, Law and Finance, in 106 Journal of Political Economy 1113 (1998). 122 In particolare v. G. Teubner, Legal Irritants: How Unifying Law Ends up in New Divergences, in P.A. Hall – D. Soskice, a cura di, Varieties of Capitalism. The Institutional Foundations of Comparative Advantage, Oxford, 2001 (rist. 2010), 417 ss.; nonché M. Graziadei, Legal Transplants and the Frontiers of Legal Knowledge, in 10 Theoretical Inquiries in Law 693 (2009); Id., Comparative law as the study of transplants and receptions, in M. Reimann – R. Zimmermann, a cura di, The Oxford Handbook of Comparative Law, Oxford, 2006, 441 ss.; R. Sacco, voce Circolazione e mutazione dei modelli giuridici, in Digesto IV, sez. civ., II, Torino, 1988, 365 ss. Un pregevole esempio di impiego combinato delle metodologie della comparazione giuridica e della behavioral economics è offerto dallo studio di M. Ferrari, Risk Perception, Culture, and Legal Change. A Comparative Study on Food Safety in the Wake of the Mad Cow Crisis, cit. 119 Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 31 strumento di conformazione del comportamento economico. Tale profilo individua una delle acquisizioni più rilevanti del filone dell’economia cognitiva e sperimentale. Si è osservato, infatti, che “l’economia neoclassica tende ad analizzare i fenomeni economici ‘dal micro al macro’; essa muove, cioè, dal comportamento individuale per spiegare i fenomeni sociali aggregati. Ma se le istituzioni e le norme sociali sono così importanti, allora appare opportuno in numerose circostanze muovere da esse per comprendere l’agire individuale”123. Ed infatti alcuni dei risultati empirici più interessanti sono quelli che evidenziano come le norme, sia quelle formali, sia quelle informali, incidano in maniera significativa sulla logica dei comportamenti, sovente in maniera ben diversa rispetto a quanto ipotizzato dalla teoria. Due esempi possono servire a chiarire in maniera esaustiva questo aspetto. Il primo è offerto da un esperimento realizzato dal team di Dan Ariely presso l’MIT di Boston ed avente ad oggetto la differenza tra un sistema di allocazione di beni a basso costo incentrato sul mercato ed uno sulla logica dei commons124. Nella specie, si trattava di gomme da masticare offerte dagli sperimentatori nei corridoi dell’Università. In una prima fase esse erano vendute al prezzo di 1 cent ciascuna, mentre successivamente esse furono distribuite gratuitamente al pubblico. Conformemente alle attese (prima legge della domanda), il numero degli studenti che si fermarono per ritirare le gomme furono nel secondo caso molto maggiori che nel primo, con una proporzione di 207 contro 58 studenti, dunque quasi il triplo. Tuttavia, contrariamente agli insegnamenti della seconda legge della domanda, la diminuzione del prezzo da 1 cent a 0 non determinò un aumento del numero complessivo delle gomme consumate, bensì una sua diminuzione. Sotto il sistema della compravendita, infatti, ciascun consumatore acquistava in media 3,5 gomme; invece in un contesto di distribuzione gratuita, la quota individuale media scendeva a 1,1. Ciò si spiega, evidentemente, con il trapasso ad un diverso regime di norme sociali: le pratiche di mercato non pongono limiti – se non quelli monetari – all’accaparramento; per contro le norme informali che regolano l’accesso a beni fuori mercato assoggettano il comportamento individuale a vincoli di compatibilità con l’interesse altrui e quindi circoscrivono l’ammontare dei beni acquisibili125. Se in questo caso l’eliminazione del prezzo di accesso al bene (e dunque il passaggio dalla logica del mercato a quella del dono) conduce alla 123 M. Motterlini – F. Guala, Psicologia ed esperimenti in economia, cit., 37. D. Ariely, Predictably Irrational, cit., 108. 125 D. Ariely, Predictably Irrational, cit., 109. 124 32 GIORGIO RESTA riduzione, piuttosto che all’aumento, dell’ammontare complessivo richiesto, il secondo esempio illustra il fenomeno speculare, ossia l’aumento della domanda conseguente all’imposizione di un prezzo (in termini di sanzione pecuniaria per un comportamento indesiderabile). L’esempio è tratto da un celebre esperimento realizzato da Uri Gneezy e Aldo Rustichini ad Haifa126. Per contrastare la consuetudine di molti genitori di passare a prendere i propri figli in ritardo rispetto all’orario programmato della scuola, con conseguente prolungamento dell’orario lavorativo di insegnanti e custodi, i direttori di alcune strutture scolastiche per l’infanzia, su suggerimento degli sperimentatori, introdussero una sanzione pecuniaria di importo limitato (circa 3 euro) per 10 o più minuti di ritardo. L’obiettivo era quello di capire se la previsione di una sanzione monetaria, imponendo un prezzo per le condotte di free riding, avrebbe potuto modificare il comportamento dei genitori, suggerendone quindi l’estensione alle altre scuole della città. Il mutamento di regime determinò effettivamente un cambiamento nelle prassi dei genitori e tuttavia l’effetto prodotto fu esattamente opposto rispetto a quello atteso: i casi di ritardo, anziché diminuire, aumentarono sino a raddoppiare (per contro, nelle scuole usate come campione di controllo, ove cioè si continuò a osservare il vecchio sistema, la frequenza dei ritardi rimase invariata). La ragione di ciò è agevolmente comprensibile: l’introduzione di una sanzione, e dunque di un prezzo, ha determinato la monetizzazione del comportamento ‘deviante’, inducendo le parti ad ‘acquistare’ il servizio in questione in quantità maggiore rispetto alla situazione preesistente127. In altre parole, il fenomeno “ritardo” è transitato, nella percezione dei soggetti, dalla sfera delle norme sociali (che impongono vincoli e sanzioni, sia pure a carattere non monetario, bensì prevalentemente reputazionale) a quella delle relazioni di mercato. E queste, com’è noto, si connotano proprio per l’effetto di de-responsabilizzazione che producono128. In fondo, questo esempio (al quale se ne potrebbero aggiungere altri analoghi) 129 non fa che confermare quello che era già emerso con l’esperimento descritto da Dan Ariely. V’è però un dato ulteriore da notare, ed è forse quello più rilevante. Dopo alcune settimane, le scuole in questione decisero di eliminare la sanzione per il ritardo e ritornare al regime precedente. Ebbene, i casi di ri126 U. Gneezy – A. Rustichini, A Fine Is a Price, in 29 Journ. Leg. Stud. 1 (2000). Sul punto v. anche M. Vatiero, Alla ricerca di regole (e istituzioni) efficienti, in Riv. crit. dir. priv., 2013, 123. 128 J.T. Godbout, Le don, la dette et l’identité, cit., 152. 129 Cfr. ad es. U. Gneezy – A. Rustichini, Pay Enough or Don’t Pay at All, in Quart. J. Econ., 798 (2000). 127 Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 33 tardo non ritornarono al livello preesistente, ma rimasero al livello ‘di mercato’, con un ulteriore lieve incremento!130 Ciò illustra una questione molto importante e cioè che mentre il passaggio dalla sfera delle norme sociali a quella delle norme di mercato è rapido e fluido, quello inverso può risultare molto più vischioso131. L’introduzione di un assetto istituzionale di stampo mercantile, in altri termini, altera in maniera profonda l’habitus dei soggetti e ostacola fortemente la re-instaurazione di un regime non mercantile. Once commodity, potremmo dire, always commodity! Questa acquisizione non è in realtà particolarmente sorprendente, perché già Titmuss, quando si discuteva su quale fosse il regime più appropriato per il reperimento e la distribuzione del sangue a scopo trasfusionale, aveva segnalato che uno dei problemi fondamentali dei regimi di allocazione di mercato consiste nel c.d. effetto domino132. Esso deriva, cioè, dal fatto che la presenza di un sistema di reperimento monetario (quale quello all’epoca presente in molti stati americani) implica nel medio periodo la diminuzione del livello delle donazioni altruistiche. La logica di mercato, in altri termini, mette fuori gioco la logica della solidarietà e spesso produce una diminuzione, invece che un aumento, dell’ammontare complessivo dei beni prodotti133. Tale osservazione appare coerente con un altro dato reso palese dalle ricerche di economia sperimentale, ossia l’effetto distorsivo che deriva dall’introduzione di un meccanismo competitivo in ordine alle preferenze other-regarding. Sin dalla pubblicazione di un celebre studio di Roth e altri nel 1991134 , è stato dimostrato che ogni qualvolta il gioco dell’ultimatum non venga più strutturato secondo l’originario schema bilaterale, ma si aggiungano più proponenti o più oblati che agiscono indipendentemente gli uni dagli altri, gli esiti risultano opposti rispetto a quelli precedentemente 130 D. Ariely, Predictably Irrational, cit., 85. In una prospettiva più generale v. anche il celebre studio di K.D. Vohs – N.L. Mead – M.R. Goode, The Psychological Consequences of Money, in 314 Science 1154 (2006). 132 R. Titmuss, The Gift Relationship: From Human Blood to Social Policy, New York, 1971. 133 R. Titmuss, The Gift Relationship: From Human Blood to Social Policy, cit., 223 ss. Per un riesame di tali assunti alla luce dei risultati pratici di diversi modelli allocativi v. K. Healy, Last Best Gifts. Altruism and the Market for Human Blood and Organs, ChicagoLondon, 2006, spec. 110 ss. 134 A.E. Roth - V. Prasnikar - M. Okuno-Fujiwara – S. Zamir, Bargaining and market behavior in Jerusalem, Ljubljana, Pittsburgh, and Tokyo: An experimental study, in 81 American Econ. Rev. 1068 (1991). 131 34 GIORGIO RESTA descritti135. La logica della competizione tende infatti ad assorbire i comportamenti di stampo cooperativo ed altruistico e si ristabiliscono i codici egoistici della scelta razionale, per cui, ad esempio, l’oblato tenderà ad accettare qualsiasi offerta in caso di concorrenza di più riceventi (astenendosi, dunque, dal rifiuto sanzionatorio), mentre l’offerente tenderà, in caso di concorrenza tra proponenti, a formulare proposte sempre più elevate e quindi a ridurre il proprio surplus a detrimento di qualsiasi criterio di equa ripartizione delle risorse. Tuttavia ciò non implica che in qualsiasi interazione le preferenze egoistiche siano necessariamente destinate a mettere fuori gioco le preferenze altruistiche. Fehr e Schmidt sostengono anzi il contrario. Ad esito dell’esame di una notevole mole di dati sperimentali, che non possono essere qui illustrati nel dettaglio, essi giungono alla conclusione per cui spesso “gli attori con preferenze altruistiche inducono gli attori egoisti a modificare il proprio comportamento in maniera fondamentale“136. Cruciale, a tal scopo, è la morfologia dell’ambiente strategico, assumendo un particolare rilievo, ad esempio, la presenza di interazioni ripetute con possibilità di punizione ‘altruistica’ dei comportamenti non cooperativi. Dunque, la concreta configurazione dell’assetto istituzionale di riferimento ha conseguenze particolarmente rilevanti in ordine alla natura delle preferenze. Il che è come dire, forzando un po’ il ragionamento, che l’homo oeconomicus appare piuttosto l’effetto di una determinata organizzazione dei rapporti economici e sociali e del correlativo apparato ideologico di legittimazione che non un dato di realtà ad essi soggiacente137 . 12. Segue: Quale modello di regolazione? Alla luce di quanto detto, appare importante ribadire che il comportamento economico non deve essere considerato come un dato presupposto dalle regole giuridiche. Tali regole, come ha osservato Raffaele Caterina, “contribuiscono invece a determinare quello sfondo di atteggiamenti, valori e abitudini che si riflettono in modo significativo sul comportamento economico” 138. In ciò il diritto non costituisce ovviamente l’unico fattore rilevante, ma certo uno dei principali, atteso che nelle società contempora135 E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism, cit., 676 ss. 136 E. Fehr – K.M. Schmidt, The Economics of Fairness, Reciprocity and Altruism, cit., 137 Cfr. K. Polanyi, Our Obsolete Market Mentality, cit. R. Caterina, Un approccio cognitivo alla diversità culturale, cit., 213. 684. 138 Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 35 nee la concreta configurazione dell’assetto istituzionale è in gran parte la risultante di regole, principi e procedure giuridiche. Di conseguenza i suoi compiti sono molto rilevanti: l’ordinamento giuridico, se da un lato riflette attitudini e valori, dall’altro opera come tecnica di strutturazione della società, sia un piano meramente pratico sia al livello della produzione di significati139. Sta quindi ad esso realizzare un ambiente istituzionale “abilitante”, il quale contribuisca all’affermazione delle logiche solidaristiche e cooperative e quindi all’effettiva realizzazione di quelle scelte di valore assunte a fondamento dell’ordinamento medesimo (cfr. art. 2 Cost.)140. Sostenere che il comportamento economico – e più precisamente le attitudini comportamentali coerenti con il paradigma epistemologico dell’homo oeconomicus – non deve essere dato per presupposto dal diritto non significa soltanto guardarsi dall’adottare uno schema predittivo dei comportamenti che rischia di risultare fuorviante, poiché incentrato su un modello di razionalità irrealistico e, non a caso, frequentemente smentito dai test sperimentali e dall’osservazione delle pratiche sociali141 . Significa anche spingere gli insegnamenti della behavioral economics alle loro logiche conseguenze, delineando un compendio normativo finalizzato ad arginare e contrastare l’effetto “corrosivo” dei meccanismi di mercato. Ciò appare quanto mai urgente nel contesto attuale, connotato dalla continua espansione della pratica e della retorica mercantile a una serie di rapporti che ne erano tradizionalmente estranei: dal sistema della filiazione, al governo del corpo umano, all’istruzione, alla cultura, all’accesso alle cure mediche, sino ai simboli stessi della sovranità statale, come l’amministrazione della giustizia e la regolazione dei flussi migratori142. Tale processo solleva fondamentalmente due ordini di problemi, mirabilmente sintetizzati, da ultimo, nelle pagine di Michael Sandel143. Il primo, più ovvio, è quello rappresentabile in termini di giustizia distributiva: affidare all’autoregolazione dei mercati l’accesso a beni e servizi fondamentali 139 Ad es. R.W. Gordon, Critical Legal Histories, in 36 Stanford L. Rev. 57, 109 ss. (1984). 140 Non è inopportuno a questo proposito richiamare l’ampio e importante dibattito sviluppatosi nell’ambito delle scienze sociali sulle “capabilities” e sui compiti che ne derivano in capo all’ordinamento giuridico : cfr. A. Sen, The Idea of Justice, cit., 225 ss.; M. Nussbaum, Capabilities and Social Justice, in 4 Int. Stud. Rev. 123 (2002). Per una prospettiva di carattere giuridico, ma sempre ad ampio respiro, S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012, 41 ss. 141 Supra, parr. 5-9. 142 Cfr. M.J. Radin, Contested Commodities, Cambridge, 1996; e da ultimo M.J. Sandel, What Money Can’t Buy. The Moral Limits of Markets, cit., 17-203. 143 M.J. Sandel, What Money Can’t Buy, cit., 8 ss., 110 ss. 36 GIORGIO RESTA per lo sviluppo della persona umana e in precedenza ad essi sottratti, come la salute, l’istruzione, la sicurezza o l’ambiente, aggrava fortemente il divario tra i ceti abbienti e quelli meno abbienti, con conseguenze preoccupanti per l’effettiva attuazione del principio di eguaglianza e per la stessa funzionalità della democrazia. I fenomeni di esclusione che ne derivano non insistono più soltanto su beni a stretto valore patrimoniale e luxury goods, per i quali la disparità nell’accesso pone problemi di minore portata, ma coinvolgono rapporti essenziali per lo sviluppo della persona e per la partecipazione democratica. Il secondo, meno ovvio ma non meno significativo, è quello consistente nella progressiva alterazione dei valori e dei significati socialmente attribuiti ai beni in oggetto144. Proposte – o in taluni casi riforme già attuate – come quelle volte ad introdurre sistemi di incentivazione monetaria per agevolare il reperimento di cellule e tessuti umani145 , per regolamentare il flusso migratorio146, per allocare i “servizi carcerari” di qualità147, per disciplinare l’accesso alle aule parlamentari148 o persino per controllare il tasso procreativo generale149 o di persone in condizioni di particolare disagio sociale (come le donne affette da tossicodipendenza)150 , possono risultare nei singoli casi persino ingegnose e tecnicamente promettenti. Tuttavia esse sollevano una questione fondamentale e troppo spesso sottovalutata: l’adozione di architetture istituzionali incentrate sulle leggi della domanda e basate sulla logica economicistica non può ritenersi neutrale rispetto allo scopo, in quanto si riflette inevitabilmente sulla costruzione sociale dei beni in oggetto. Questi non vengono più percepiti come termine di riferimento di diritti e di obblighi, bensì come poste patrimoniali rimesse al gioco del libero scambio151 . I mercati, infatti, non si limita144 M.J. Sandel, What Money Can’t Buy, cit., 8 ss., 110 ss. V. in tema J.D. Mahoney, Altruism, Markets and Organ Procurement, in 72 Law & Cont. Prob’s 17 (2009); G. Becker – J.J. Elias, Introducing Incentives in the Market for Live and Cadaveric Organ Donations, in 21 J. Econ. Persp. 3 (2007); A.L. Friedman, Payment for living organ donation should be legalised, in 333 B.M.J. 746 (2006). 146 G.S. Becker, Why Not Let Immigrants Pay for Speedy Entry, in G.S. Becker – G. Nashat Becker, a cura di, The Economics of Life, New York, 1997, 58; P.H. Schuck, Refugee Burden-Sharing: A Modest Proposal, in 22 Yale J. Int’l L. 243 (1997). 147 J. Steinhauer, For $82 a Day, Booking a Cell in a 5-Star Jail, in New York Times, April 29, 2007. 148 M.J. Sandel, What Money Can’t Buy, cit., 22 ss. 149 D. De la Croix – A. Gosseries, Procreation, Migration and Tradable Quotas, in http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=970294 (ultimo accesso 3-2-2014). 150 W.L. Adams, Why Drug Addicts Are Getting Sterilized for Cash, in Time, April 17, 2010. 151 Tale aspetto era stato limpidamente chiarito, diversi anni fa, da M.J. Radin, MarketInalienability, in 100 Harv. L. Rev. 1849 (1987). 145 Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 37 no semplicemente a allocare beni e servizi e a coadiuvarne la circolazione tra soggetti con diversi ordini di preferenze. Essi esercitano altresì un’importante funzione simbolica, in quanto incorporano valori e promuovono ben precise attitudini nei confronti dei beni oggetto della negoziazione152. Il tal modo essi incidono in maniera indiretta, ma profonda, sulla natura dei comportamenti individuali, dal momento che l’attrazione di un determinato bene o rapporto nella sfera delle relazioni di mercato – come si è avuto modo di vedere nei paragrafi precedenti – altera in modo sostanziale, e per di più difficilmente reversibile, il quadro delle norme sociali di riferimento153. Ciò non soltanto solleva una serie di interrogativi di natura etica e di compatibilità con le scelte iscritte nei testi costituzionali (si pensi emblematicamente all’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.), ma pone anche questioni di natura pratica. Se è vero, infatti, che gli studi più recenti nel campo dell’economia comportamentale e della psicologia cognitiva hanno posto l’accento sull’importanza del fenomeno di crowding-out154 , sarebbe ben poco sensato insistere sulla prospettiva dell’incentivazione monetaria ogniqualvolta esista una rete di incentivi non monetari suscettibile di essere utilizzata e se del caso potenziata per perseguire i medesimi obiettivi. Attrarre nel mercato nuovi beni e rapporti è un processo pericoloso e, come si è potuto constatare, a forte rischio di insuccesso, proprio perché intacca (in maniera difficilmente reversibile) quelle norme sociali, come la solidarietà, la reciprocità o il rispetto per gli altri, la cui disattivazione può ridurre o persino annullare i vantaggi derivanti dall’introduzione di stimoli di mercato155 . Non si tratta soltanto di osservare la massima di buon senso pay enough or don’t pay at all156. Si deve invece ribadire, alla luce delle premesse sin qui illustrate, l’opportunità di dotarsi di meccanismi istituzionali - e quindi anche regole e procedure giuridiche – volti a promuovere i valori della cooperazione e della solidarietà a preferenza di quello della competizione, ed in particolare della competizione di mercato157. Gli ordinamenti contemporanei offrono numerosi esempi di una siffatta strategia: dalle norme 152 M.J. Sandel, What Money Can’t Buy, cit., 9. Cfr. supra, parr. 9 e 11. 154 B.S. Frey – R. Jegen, Motivation Crowding Theory, in 15 J. Econ. Surveys 590 (2001); M.C.W. Janssen – E. Mendys-Kamphorst, The Price of a Price: On the Crowding Out and In of Social Norms, in 55 J. Econ. Behav. & Organiz. 377 (2004); nonché la letteratura citata supra, par. 9. 155 Cfr. supra, par. 9. 156 U. Gneezy – A. Rustichini, Pay Enough or Don’t Pay at All, in Quart. J. Econ., 798 (2000). 157 M. Mauss, Essai sur le don, cit., 238. 153 38 GIORGIO RESTA che dispongono l’esonero da responsabilità civile per danni arrecati in conseguenza di azioni finalizzate al soccorso altrui158 ; alla regolamentazione dei sistemi di reperimento e allocazione di organi, tessuti e cellule umani159 ; alla politica di tutela rafforzata e gestione partecipata di quei beni ormai correntemente definiti come “beni comuni”160. A questa prospettiva possono essere ricondotte anche alcune politiche di nudge, oggi particolarmente in voga come modello regolatorio d’avanguardia161. E tuttavia non ci si può esimere dal segnalare la necessità di andare oltre lo stesso schema della ‘spinta gentile’, almeno là dove questo si proponga unicamente di ‘lubrificare’ i processi cognitivi e decisionali degli individui, senza rimettere in discussione - conformemente al programma del libertarian paternalism162 - la natura e l’orientamento teleologico delle scelte163. I temi dei nuovi limiti della libertà contrattuale e dei vincoli giuridici all’espansione del mercato appaiono invece ineludibili e meritano di essere 158 Emblematico, a tal proposito, è il disposto dell’art. 1471 del Codice civile del Québec: “La personne qui porte secours à autrui ou qui, dans un but désintéressé, dispose gratuitement de biens au profit d’autrui est exonérée de toute responsabilité pour le préjudice qui peut en résulter, à moins que ce préjudice ne soit dû à sa faute intentionnelle ou à sa faute lourde”. Cfr. N. Kasirer, Agapè, in Rev. Int. Dr. Comp., 2001, 575 ss., 593. 159 In particolare si è dimostrato che gli investimenti in informazione ed organizzazione efficiente del sistema burocratico che presiede il reperimento e la distribuzione degli organi per trapianto possono produrre significativi incrementi dell’ammontare di organi, tessuti e cellule disponibili: cfr. ad es. K. Healy, Last Best Gifts. Altruism and the Market for Human Blood and Organs, cit., 23 ss. 160 Cfr. ex plurimis M.R. Marella, a cura di, Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Verona, 2012; AA.VV., Tempo di beni comuni. Studi interdisciplinari, Roma, 2013; S. Rodotà, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni, 3 ed., Bologna, 2013. 161 C.R. Sunstein, Nudges.gov: Behavioral Economics and Regulation, in E. Zamir – D. Teichman, a cura di, Oxford Handbook of Behavioral Economics and the Law, forthcoming (accessibile all’indirizzo http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2220022); nonché ovviamente R.H. Thaler – C.R. Sunstein, Nudge. La spinta gentile, cit., 16 ss., 241 ss. 162 C. Sunstein – R.H. Thaler, Behavioral Economics, Public Policy, and Paternalism: Libertarian Paternalism, 93 American Econ. Rev. 175 (2003); C.R. Sunstein – R.H. Thaler, Libertarian Paternalism Is Not an Oxymoron, in 70 U. Chi. L. Rev. 1159 (2003); C. Camerer – S. Issacharoff – G. Loewenstein – T. O’Donoghue – M. Rabin, Regulation for Conservatives: Behavioral Economics and the Case for ‘Asymmetric Paternalism’ 151 U. Pa. L. Rev. 101 (2003). 163 Per un semplice riscontro v. R.H. Thaler – C.R. Sunstein, Nudge. La spinta gentile, cit., di cui può cogliersi la particolare curvatura pro-market nelle pagine 189-195 dedicate alle quote d’inquinamento (sistema cap-and-trade), se poste a confronto con la diversa prospettiva, pur sempre behavioral, tratteggiata nelle pagine di D. Ariely, Predictably Irrational, cit., 115-117. Fondamenti comportamentali dell’agire non lucrativo ... 39 apertamente rimessi al centro della discussione164, in modo da arricchire e ulteriormente sviluppare la prospettiva behavioral. 164 In questa prospettiva cfr. S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, cit., 94 ss.; M.R. Marella, The Old and the New Limits of Freedom of Contract in Europe, in 2 Eur. Rev. Priv. L. 257 (2006). Le fondazioni in Europa: i modelli Andrea Fusaro SOMMARIO: 1. Recenti ricerche. 2. La governance. 3. Trust internazionali e fondazione 4. Le fondazioni di famiglia. 5. Il pluralismo delle forme giuridiche. 1. Recenti ricerche Il settore degli enti senza scopo di lucro ha vissuto negli ultimi decenni del secolo scorso una stagione florida a seguito del risveglio di interesse suscitato in ambiente nordamericano, attraverso le riflessioni sollecitate dal favore tributario in quel contesto riconosciuto ed implementate da rielaborazioni nutrite dall’analisi economica. Si tratta di contributi ormai celebri1, sui quali la dottrina italiana ha abbondantemente lavorato, esplorando la riproducibilità di quelle considerazioni nel nostro ordinamento2. In ambito europeo l’elaborazione nordamericana ha risuonato 3, ma non ha innescato un analogo interesse al tema e la letteratura risulta intenta piuttosto alla ricognizione del panorama regionale, senza farlo oggetto di una rielaborazione concettuale di analoga portata4. In posizione avanzata rispetto a questo quadro si presenta lo scenario tedesco, dove si sono susseguiti sia contributi in tema di enti non profit in generale5, sia lavori com- 1 All’interno di una letteratura vastissima, sono classiche le citazioni di H.B. Hansmann, The role of nonprofit enterprise, The Yale Law Journal 89 (1980) (5), p. 835 ss.; Id., The Ownership of Enterprise, Harv. Univ. Press, Cambridge, 1996, tradotto in italiano a cura di A. Zoppini, La proprietà dell’impresa, Bologna, 2005; nonché di S.RoseAckermann (cur.), The Economics of Nonprofit Organizations: Studies in Structure and Policy, OUP, 1986. 2 G. Ponzanelli, Le non profit organizations ,Milano, 1985; D.Preite, La destinazione dei risutati nei contratti associativi, Milano, 1988, nonché il mio lavoro L’associazione non riconosciuta. Modelli normativi ed esperienze atipiche, Padova, 1991. 3 Communication of the Commission on Promoting the Role of Voluntary Organizations and Foundations in Europe,1997. 4 E. Alfandari - A. Nardone, Associations et Fondations en Europe, 1994; F. Hondius T. Van Der Ploeg, Foundations , capitolo dell’ International Encyclopaedia of Comparative Law, 2000. 5 T.Von Hippel, Grundprobleme von Nonprofit-Organisationen, Mohr Siebeck, 2005. Allo studio del diritto degli enti senza scopo di lucro è stato dedicato l’ Institute for Foundation Law and the Law of Non-Profit Organizations della Bucerius Law School di Am- 42 ANDREA FUSARO paratistici specificamente concentrati in tema di fondazioni6 apparsi a partire dagli anni novanta7. Su questa scia, in Germania è stata elaborata8 una ricerca di carattere comparativo contenente un’analisi empirica della rilevanza economica e della funzione di tali istituzioni sia in Europa sia negli Stati Uniti, ricerca che, incontrando l’interesse della Commissione, ha portato alla pubblicazione9 dello “Studio di fattibilità dello statuto della Fondazione europea”10. Il lavoro, anticipato da alcune indagini11 che avevano già messo in luce le diverse regolamentazioni del settore nel contesto europeo, offre una panoramica delle principali tipologie di fondazione presenti nei paesi dell’Unione e, considerando la rilevanza delle differenti discipline ed i costi connessi alla presenza di tali barriere, valuta la “fattibilità”, come appunto recita la sua intitolazione, di uno “statuto di Fondazione europea”, quale nuova figura da affiancare a quelle già presenti nei singoli ordinamenti. Il quadro legislativo, frutto delle disarmonie maturatesi all’interno della tradizione giuridica occidentale, è invero variegato e lo stesso termine “fondazione” non assume un significato univoco. Può rintracciarsi, tuttavia, un minimo comune denominatore nel ricorso a tale espressione o a formule dal contenuto similare: per “fondazione”, infatti, generalmente si intende un’organizzazione indipendente (spesso dotata di personalità giu- burgo, dove ha sede anche il Max Plank Institute for Comparative and International Private Law. 6 K. J. Hopt - D. Reuter (cur.), Stiftungsrecht in Europa, Köln, 2001; K.J. Hopt W.R.Walz - T. Von Hippel- V.Then (cur.), The European Foundation, Cambridge (UK), 2006; A. Richter – T. Wachter (cur.), Handbuch des internationalen Stiftungsrechts, Angelbachtal, 2007; European Foundation Centre, Country Profiles,2007. 7 Al lettore italiano i primi contributi di questa fase sono stati segnalati da A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995 8 Il lavoro, pubblicato nel 2007, è stato elaborato da parte del Centre for Social Investment dell’Università di Heidelberg e del Max Plank Institute for Comparative and International Private Law. Questi i membri del gruppo di studio: Klaus J. Hopt; Thomas von Hippel(coordinatore del progetto);Helmut Anheier; Volker Then; Werner Ebke; Ekkehard Reimer; Tobias Vahlpahl (coordinatore delle rilevazioni empiriche). 9 Il 16 febbraio 2009. 10 "Feasibility Study on a European Foundation Statute". 11 K.J. Hopt - D. Reuter (cur.), Stiftungsrecht in Europa, cit., specialmente il contributo di Hommelhoff, ivi, p. 77 ss; A. Schulter - V. Then - P. Walkenhorst (cur..), Foundations in Europe, Society, Management, and Law, London, 2001. Le Fondazioni in Europa: i modelli 43 ridica12), priva di una formale base associativa, controllata da un’autorità statale, preposta al perseguimento di un pubblico interesse. In realtà, anche tali caratteri non sempre trovano contemporaneo ed identico riscontro nelle principali tipologie di fondazione rinvenibili nei paesi dell’Unione. Il sistema olandese privilegia, ad esempio, le fondazioni che svolgano attività commerciale, che è altrove assegnata allo strumento della cooperativa; disciplina parzialmente similare conosce la Danimarca dove però la fondazione “commerciale” è tenuta a realizzare sia l’interesse privato sia quello pubblico. In altri paesi, l’esercizio dell’attività economica è consentito ma solo se, direttamente o in via sussidiaria, destinato al raggiungimento di un pubblico interesse: così è, ad esempio, il regime delle fondazioni spagnole. Laddove l’attività economica sia prevalente, taluni applicano alla fondazione le stesse regole valevoli per le imprese; altri prevedono, invece, una disciplina ad hoc. Generalmente, nei paesi di Civil Law non è prevista la formale presenza di associati; differente è la situazione che si registra in Italia, dove sono presenti anche fondazioni con base associativa, come le fondazioni bancarie. Nei diversi ordinamenti, d’altra parte, operano istituti che presentano caratteristiche analoghe o non troppo divergenti rispetto alla “fondazione di interesse pubblico”; da qui l’opportunità di segnalare i parametri per riconoscere la sua esistenza. I sistemi di Civil law seguono l’approccio organizzativo ed il ricorso alla categoria dell’interesse pubblico (per distinguere tale figura dalle associazioni non profit, dalle società, dalle cooperative); in quelli di Common Law, che non conoscono la fondazione come specifica categoria giuridica, importa invece individuare il carattere “charitable” dell’organizzazione. Così, in Inghilterra rileva la distinzione tra “charitable trusts”, “charitable companies” e le più recenti “charitable incorporated organisations”; da qui anche l’opportunità di una comparazione tra fondazioni e trust, di cui si dirà. Negli Stati Uniti la fondazione è invece una sottocategoria della charity: l’“Internal Revenue Code” distingue tra le “fondazioni private” (solitamente nate dall’iniziativa di un individuo, di una famiglia o di una corporazione), soggette a maggiori restrizioni accompagnate a minori benefici tributari e le “public charities”, che godono di esenzione fiscale e ricevono fondi pubblici. Nonostante i differenti contesti, non è impossibile accostare queste figure alle fondazioni di Civil law: vale in particolare il riferimen12 Lo studio impiega l’espressione “legal personality”, la cui matrice affonda notoriamente nella tradizione di civil law (veicolando l’abbinamento di soggettività e limitazione di responsabilità degli amministratori), mentre difetta nella tradizione di common law. 44 ANDREA FUSARO to alla fondazione “di erogazione” finanziata unicamente dal fondatore, tipica dei sistemi continentali, qualificata “fondazione” anche nell’US Tax Law del 196913. Tratto comune nei diversi ordinamenti europei è la pretesa che il sovvenzionamento della fondazione sia destinato ad uno specifico scopo che rispetti i requisiti dell’interesse pubblico, dell’utilità e della liceità. Per quanto concerne il significato da assegnarsi al concetto di “interesse pubblico”, tre risultano le soluzioni adottate: alcune legislazioni propongono un’elencazione tassativa di finalità aventi siffatta natura, altre una lista aperta ed altre ancora nessuna specifica determinazione. Sul versante della dotazione patrimoniale si riscontrano invece significative differenze: infatti, se in alcune paesi viene imposto un preciso ammontare iniziale, in altri si prevede semplicemente che la sua consistenza sia sufficiente al perseguimento dello scopo istituzionale (fatta salva la possibilità per le corti o la pubblica autorità di intervenire, qualora siano venuti meno i presupposti economici per l’esistenza della fondazione). Per costituire una fondazione si prevede il sistema dell’autorizzazione discrezionale della pubblica autorità oppure, più frequentemente, la registrazione basata sulla certificazione della sussistenza dei requisiti legali. Nel caso, piuttosto raro, che manchi ogni monitoraggio di alcun organo giudiziario o amministrativo, si attribuisce ad un notaio la funzione di attestare la presenza degli elementi necessari al venire in essere dell’istituzione. Numerosi sono altresì i paesi in cui è ammessa la possibilità di modificare lo statuto della fondazione, con il voto favorevole della maggioranza degli amministratori. Il mutamento dello scopo non è sempre consentito; in Germania, ad esempio, è possibile solo se il fondatore o i suoi eredi acconsentono (salvo eccezioni molto limitate). Relativamente all’amministrazione del patrimonio, la regola più seguita è quella per cui non vi è un obbligo rigoroso di conservare il capitale, né vi sono specifiche norme relative agli investimenti delle risorse (con l’eccezione, in alcuni casi, di Italia e Francia); in genere, ci si limita a richiedere l’autorizzazione agli investimenti, agli acquisti o agli atti di disposizione. Si registra invece, come già prima segnalato, un diverso atteggiamento nei confronti dell’esercizio di attività economiche da parte delle fondazioni che perseguono uno scopo di pubblico interesse: talora più liberale, più spesso restrittivo rivolto a prescriverne il carattere sussidiario, al fine di tutelare i creditori ovvero per salvaguardare il patrimonio della fondazione da attività rischiose. 13 In proposito, cfr. la successiva nota 15. Le Fondazioni in Europa: i modelli 45 La garanzia di un certo livello di governabilità, assicurato dalla attività di controllori privati e pubblici, è assai diffusa, anche se differenziata da una realtà all’altra, ma sul punto si tornerà oltre. Anche il momento della estinzione della fondazione vede soluzioni divaricate con riguardo alla liquidazione del patrimonio residuo. In alcuni paesi membri si richiede che le risorse rimaste confluiscano in un’altra fondazione solo se simile per scopo e se ciò sia conforme alle intenzioni del fondatore; in altri, si dispone invece che esse siano trasferite ad altra istituzione di pubblico interesse; un terzo gruppo, infine, prevede che sia il fondatore a decidere circa la destinazione delle sostanze residue e in certi casi (in presenza di fondazioni non esenti da tassazione) gli è persino permesso di devolverle a se stesso. In definitiva, numerosi risultano gli aspetti che allontanano le discipline dei vari Stati, anche se non tutti hanno il medesimo peso: alcune differenze, nonostante appaiano sostanziali, sono solo di natura strutturale e spiegabili come mera conseguenza dei diversi modelli egemoni negli ordinamenti; altre sono rilevanti soltanto qualora la regola particolare giochi un ruolo fondamentale nel contesto globale preso in considerazione; altre ancora sono esclusivamente terminologiche e, quindi, affatto significative. Occorre dunque valutare, volta per volta, se lo stesso risultato sia raggiungibile sebbene attraverso il ricorso a strumenti diversi, o se invece una diversa struttura porti anche ad un differente risultato. Altrettanto frequenti appaiono peraltro anche i profili comuni, sia con riguardo alla regolamentazione privatistica, sia relativamente alla normativa fiscale, similitudini più sopra variamente segnalate. Nel contesto europeo peculiare è la disciplina contenuta nel Liechtenstein Foundation Act 14 il quale, abrogando la legislazione previgente relativa a persone e società, riguarda la materia delle fondazioni e del trust. Singolare è la possibilità di costituire una regolare fondazione anche senza provvedere alla sua registrazione, laddove questa non abbia uno scopo di pubblico interesse e non svolga attività commerciale. Quella delle fondazioni è comunque una realtà che ha registrato un notevole incremento soprattutto negli ultimi quindici anni, in particolare in ordine alla categoria delle fondazioni benefiche, presente in tutti gli ordinamenti dell’Unione (in Austria se ne contano diverse migliaia). Nonostante il diverso prodotto interno lordo, le risorse complessive delle fondazioni europee appaiono approssimativamente uguali a quelle 14 Stiftungsgesetz- StiG - Gesetz vom 26 Juni 2008 ueber die Abaenderung des Personen – und Gesellschafts, rifluito nell’art.552 sezione 1- 41 PGR, entrato in vigore il primo aprile 2009. 46 ANDREA FUSARO nordamericane; il confronto peraltro non è opportuno in quanto comprensivo di ambiti non comparabili: negli Usa, infatti, il settore è costruito essenzialmente su istituzioni di erogazione, mentre in Europa le fondazioni includono figure eterogenee che oltreoceano sarebbero considerate piuttosto società senza scopo di lucro15. 2. La governance Nella maggior parte degli ordinamenti europei si trovano regole dedicate alla “governance” della fondazione, un tema particolarmente studiato in questi ultimi anni16, spesso travasando le riflessioni maturate in ambito societario al settore non profit, finora materia trascurata del moderno diritto delle organizzazioni. Fulcro della governance delle fondazioni è il consiglio di amministrazione, del quale rilevano la struttura e la composizione, nonché i doveri e le responsabilità dei suoi membri; in ordine al suo funzionamento fondamentale risulta inoltre la presenza di organi di controllo17. Le indagini comparatistiche richiamate hanno evidenziato come quasi ovunque sia attribuita al fondatore notevole autonomia in ordine alla conformazione dell’organizzazione interna, potendosi lo stesso riservare la posizione di membro di diritto del consiglio direttivo, la nomina e revoca degli altri componenti, talora addirittura la facoltà di modificare lo statuto18. 15 La ragione di questa differente classificazione è da far risalire alla definizione contenuta nel Tax Reform Act del 1969, secondo cui le fondazioni sono istituti che godono di esenzione fiscale, ricevendo la maggior parte delle proprie risorse da una sola fonte – tanto da essere considerati controllati dal donatore –; così, non viene qualificata fondazione bensì “public charity” l’organizzazione non profit che ottenga più della metà delle entrate da fonti diverse. 16 J. Niegel, Brave New World of Foundations, cit., 261. 17 Cfr. K. J. Hopt, The Board of Nonprofit Organizations: Some Corporate Governance Thoughts from Europe, ECGI Working Paper Series in Law, Working Paper N°.125/2009, April 2009 18 In particolare, cfr. il più volte ricordato “Feasibility Study on a European Foundation Statute”, cit., p. 62: “However, in some Member States there are minor mandatory requirements regarding the board of directors”(p.63).” In some Member States only natural persons are allowed to become board members… while most Member States also accept legal persons as board members….While all Member States allow the founder to be a member of the board, only a few Member States explicitly restrict the influence of the founder within the board…Other mandatory personal requirements for board members are seldom explicitly stated in statutory law…As a general rule, in all Member States the founder is free to determine in the statutes how the board members are appointed. He usually appoints the initial Le Fondazioni in Europa: i modelli 47 Le differenze tra i diversi ordinamenti sono peraltro molteplici: in genere, non esistono disposizioni legislative dettagliate su tali aspetti; in Francia le fondazioni sono peraltro disciplinate da un modello statutario il quale contiene regole assai precise. Non univoco è il numero minimo di amministratori richiesto dalla legge: in circa la metà dei paesi esaminati si dispone la presenza di almeno tre membri; in altrettanti, l’obbligatoria previsione della figura degli uditori esterni. Nei paesi di Civil Law, come si è già sottolineato, le fondazioni non prevedono formalmente la presenza di associati; fa eccezione l’Italia dove esistono fondazioni con base associativa, quali le fondazioni bancarie, in origine organizzazioni associative. I “partecipanti” (che, con altro linguaggio possono essere chiamati anche “members,” o “supporters”) normalmente hanno la possibilità di eleggere nell’assemblea che li riunisce almeno una minoranza dei componenti dell’organo amministrativo. Salvo lo statuto espressamente lo vieti, molti sistemi consentono agli amministratori di ricevere una remunerazione “adeguata” agli impegni assolti, alle responsabilità di cui siano investiti ed alla situazione economica della fondazione 19 . Differente è la prassi invalsa negli USA, dove l’amministratore (o il trustee) della organizzazione non lucrativa è remunerato solo laddove lo statuto non preveda che la sua sia attività gratuita. Ed è proprio in quest’ultimo ambiente che è maturata l’elaborazione dei principi e delle regole relative alla responsabilità del consiglio di amministrazione, questione oggi al centro di discussioni e di studi anche nei sistemi europei. Nel “Revised Model Act for Non profit Corporations”20 sono elencati gli specifici compiti dell’amministratore che, nell’assolvere le funzioni affidategli, deve attenersi al canone di buona fede, comportarsi con l’ordinaria diligenza cui è tenuto chi è chiamato a svolgere le sue mansioni, deve perseguire l’interesse della organizzazione. Tra i doveri fonda- members of the board of directors, and may specify whatever appointment system within the formation deed (or other governing document) she/he deems suitable. Thus, the power to appoint new directors may rest with the founder herself/himself, with another natural or legal person, with the supervisory board of the foundation (if existing), or with the members of the board of directors (co-option/self-perpetuating). Mandatory specific requirements regarding the procedure of appointment are rare. Only a few Member States restrict the influence of the founder”(p. 64).” 19 Nell’Austian Private Foundation Statute del 1993 l’ammontare della remunerazione è fissato dalla corte, su richiesta di un organo della fondazione o di un suo membro; in altri ordinamenti la decisione è lasciata all’agenzia di supervisione. 20 Promulgato nel 1987. 48 ANDREA FUSARO mentali individuati21, si segnala quello di obbedienza, rilevante nelle ipotesi di mutamento dello scopo della fondazione. Nei modelli europei presi in considerazione risultano costanti alcuni di tali doveri, quali la previsione del “duty of care” – talora corredato da regole di dettaglio circa i criteri di gestione del patrimonio – nonché del “duty of loyalty”, spesso precisato con riguardo alla prevenzione di conflitti di interesse. Vale altresì la regola – generalmente condivisa – per cui gli amministratori sono ritenuti responsabili dei danni subiti dalla fondazione, se imputabili ad una violazione dei loro specifici doveri. In tale prospettiva, si può rilevare come gli obblighi dell’amministratore di una fondazione finiscano per coincidere, grossomodo, con quelli della figura omologa all’interno di una società. La materia è comunque controversa: ci si chiede, ad esempio, se gli amministratori volontari e privi di remunerazione siano soggetti ad uno standard di condotta più leggero, oppure ordinario, come negli Stati Uniti. Le analisi in materia, concentrate sull’organizzazione, funzionamento e remunerazione del consiglio direttivo, delle commissioni, nonché degli organi di controllo22, mettono specialmente a fuoco l’insufficienza delle regole di controllo sulle organizzazioni non profit, imputata, tra l’altro, all’assenza di soci ed all’inferiore pressione del mercato, registrandosi, sul punto, la mancanza negli ordinamenti europei di alcunché di simile all’americano “Revised Model Act for Non profit Corporations” del 198723. Viene a risaltare anche il problema dei beneficiari, la cui posizione è generalmente debole, essendo perlopiù impediti ad esercitare i diritti loro attribuiti dallo statuto. A questa situazione intende ovviare la bozza di Statuto della Fondazione europea che, con lungimiranza, mira ad accordare pretese azionabili e poteri consultivi - vincolanti o non- al fondatore, al beneficiario e ai terzi. Al medesimo esito giungono, peraltro, in via interpretativa, alcuni contributi24, sviluppando linee già tracciate e che sono state 21 “Obedience, Loyalty, Care, Proper Use and Administration of the Assets and Correct Accounting and Reporting”. 22 K. J. Hopt, The Board of Nonprofit Organizations: Some Corporate Governance Thoughts from Europe, ECGI Working Paper Series in Law, Working Paper N°.125/2009, April 2009. 23 Se si eccettua il Codice di condotta svizzero delle fondazioni elaborato dalla Swiss Foundation, l’associazione per le fondazioni di erogazione, nonché la proposta di raccomandazione comunitaria di un codice di condotta per le organizzazioni non lucrative, elaborata dal European Foundation Centre (EFC). 24 N. Thymm, Kontrollprobleme bei Stiftungen. Einbeziehung der Destinatäre, Haeymann, 2005. Le Fondazioni in Europa: i modelli 49 approfondite sullo sfondo del nostro ordinamento da quella dottrina che ha proposto di impiegare allo scopo lo schema della promessa al pubblico25. Il controllo sull’operato delle fondazioni, che dovrebbe tendere a tutelare sia i diretti beneficiari sia genericamente i terzi, controllo che si è detto essere di fatto generalmente insufficiente, si realizza con intensità e modalità differenti nei diversi Stati membri. Il monitoraggio può essere affidato ad enti pubblici (come ministeri), enti pubblici indipendenti (esterni rispetto alla pubblica amministrazione, ma dotati di tutte le competenze necessarie), come avviene in Inghilterra e Galles grazie alla “Charity Commission”, ed infine al lavoro parallelo di enti pubblici e autorità giudiziaria (i primi preposti al monitoraggio, le seconde competenti a prendere le decisione necessarie alla supervisione preventiva e alle misure di rafforzamento). È frequente che, con scadenza annuale, all’organo amministrativo della fondazione sia richiesto di inviare all’organo pubblico di vigilanza un rapporto circa i progressi conseguiti in corrispondenza allo scopo della fondazione, nonché la situazione finanziaria della stessa. In alcuni paesi, inoltre, l’autorità pubblica ha la possibilità di chiedere informazioni al consiglio di amministrazione ed ispezionare atti e documenti legali della fondazione. La ragione di simili distanze nei meccanismi di supervisione dell’attività delle fondazioni è spiegabile in considerazione della già segnalata maggiore o minore rilevanza del controllo statale: invero, laddove inferiore è il monitoraggio da parte dello Stato ovvero dell’organo pubblico di vigilanza, più rigorose sono le regole statutarie. In ogni caso, nonostante le differenze, i risultati sono accostabili: sebbene vengano utilizzati strumenti differenti, ogni sistema garantisce invero un minimo livello di vigilanza. In definitiva, benché la gestione delle fondazioni si accosti faticosamente a quella delle organizzazioni a scopo lucrativo, il distacco è ancora rilevante soprattutto sul versante del controllo. Un impulso verso un più efficiente monitoraggio potrebbe forse venire dalle fondazioni che svolgono attività di impresa26; tuttavia, data la loro struttura giuridica, manca una disciplina della posizione dei creditori e di coloro che operano sul mercato e difettano azionisti interessati a monitorare l’operato degli amministratori, cosicché permane ancora il problema circa il deficit di controllo. Persino negli Stati Uniti, dove la forma societaria è il più delle volte utilizzata per le organizzazioni a scopo non lucrativo, molte “charities” non hanno membri (o comunque ne hanno solo nel senso onorifico), con la conseguenza della cooptazione da parte dell’organo amministrativo. Inoltre, non vi è una 25 26 A. Zoppini, Le fondazioni, cit., p.197. Valga l’esempio di alcune fondazioni olandesi, scandinave e svizzere. 50 ANDREA FUSARO “stampa finanziaria” che osservi costantemente quel che accade, alla stregua di un cane da guardia. La mancanza di un modello legale di statuto nelle organizzazioni non lucrative di matrice europea, rende auspicabili interventi legislativi che dettino disposizioni dettagliate anche in ordine alle funzioni e ai doveri del consiglio di amministrazione; in questo senso, l’introduzione di uno “Statuto della fondazione europea” potrebbe svolgere un’importante ruolo guida. In attesa, altra strada, più rapida e flessibile, potrebbe essere il ricorso ad un codice volontario: ne è un primo esempio il Swiss Foundation Code pubblicato nel 2005 dall’associazione elvetica “Swiss Foundations”, contenente linee guida sulla governance delle fondazioni di erogazione (la disciplina è improntata su principi generali, spiegati attraverso una dettagliata descrizione della costituzione, del governo, dei finanziamenti e dell’attività). Altro problema che potrebbe investire la elaborazione di uno Statuto della fondazione europea è quello della scelta tra la tipologia di consiglio monolivello (monistico)27e quello bilivello (dualistico)28: l’esperienza di governance moderna ha, però, dimostrato che questo dibattito si sta ormai stemperando, dal momento che i due sistemi stanno lentamente convergendo (nonostante il primo mantenga ancora una maggiore praticità). Del resto, nessuno dei due modelli ha guadagnato, ad oggi, il primato assoluto sull’altro; in effetti, sebbene nelle grandi organizzazioni non profit il modello dualistico sia idoneo a separare direzione e controllo in maniera più chiara, non è comprovato che ciò sia sempre garanzia di controllo effettivo; questo sistema, d’altra parte può essere troppo gravoso per le organizzazioni di piccole dimensioni. Ulteriore questione riguarda la composizione del consiglio di amministrazione che, come si è prima sottolineato, si presenta piuttosto variegato nei diversi ordinamenti. Invero, un organo composto da un solo membro, o comunque da un numero ridotto di consiglieri, è difficile possa dirsi autonomo e in grado di realizzare una maggioranza deliberativa davvero indipendente; va tenuto altresì in considerazione l’interesse del fondatore, sia che egli stesso sieda in consiglio, sia che vi abbiano posto amici o parenti. In questa ottica, nel modello di statuto della fondazione europea si trovano regole rigide: si richiede, infatti, che il consiglio di amministrazione sia composto da almeno tre membri, i quali devono essere indipendenti e senza legami. 27 Tipico degli Stati Uniti, dell’Inghilterra e anche della Svizzera, fatte alcune modifi- 28 Come in Germania. che. Le Fondazioni in Europa: i modelli 51 Anche il rispetto del principio di trasparenza è considerato uno strumento assai utile per una migliore governance delle fondazioni; di esso si fa infatti grande utilizzo in diversi campi tanto negli Stati Uniti quanto negli ordinamenti europei (soprattutto in quello britannico). Tale principio è contenuto nello Statuto della fondazione europea, dove è richiesta specificamente la figura dell’“auditor”, il quale deve stilare un rapporto annuale ed informare l’autorità di vigilanza statale di ogni irregolarità riscontrata. Un tale controllo può essere realizzato anche attraverso certificazioni volontarie redatte dalle organizzazioni. 3. Trust internazionali e fondazione Negli ultimi anni le fondazioni hanno conquistato terreno anche in ambito internazionale29. Con espressione felice – debitrice della teorica comparatistica dei "flussi giuridici"30 – è stato definito “flusso controcorrente”31 il fenomeno che 29 Si pensi, per esempio, al Maltese Act XII del 2007 (divenuto efficace primo aprile dell’anno successivo), alla Foundation Law del Jersey del 2008, al Foundation Act dell’Anguilla (entrato in vigore anch’esso nel 2008) all’International Foundation Act dell’Antigua, divenuto legge nel gennaio 2009, e infine al recente -già citato- Foundation Act del Liechtenstein del 2009. 30 M. Lupoi, Sistemi giuridici comparati, Traccia di un corso, Napoli, 2001: “... per “flusso giuridico” intendo qualsiasi dato dell’esperienza giuridica il quale, proprio di un ordinamento, sia percepito in un altro e qui introduca un elemento di squilibrio.“Qualsiasi dato dell’esperienza giuridica”: una tesi dottrinale, un rimedio processuale, un particolare assetto delle fonti o di una fonte, un singolo termine, un principio di diritto, una tecnica di analisi, una struttura negoziale, una clausola contrattuale, una regola di qualsiasi genere, un rapporto fra istituti, una intera legge, codice o altro provvedimento, una singola disposizione, una categoria e via dicendo ... La distinzione sta nella modalità della percezione del dato giuridico, dalla quale deriva un elemento di squilibrio. La percezione del dato dell’esperienza giuridica ne fa un flusso quando se ne avverta la rilevanza; ed è allora che il contesto nel quale la percezione avviene entra in uno stato di squilibrio. Lo squilibrio prodotto dal flusso è funzione della percezione e della qualità del flusso così prodotto. Ciascun sistema tende alla stabilità e quindi il flusso giuridico viene alla fine o respinto o metabolizzato. Esistono meccanismi di reazione che impediscono ai flussi di produrre squilibrio per troppo tempo: o si attenua il bisogno che aveva chiamato il flusso o il flusso si rivela non risolutivo o si trovano mezzi per soddisfare il bisogno che prescindono dal flusso (un esempio per tutti: la multiproprietà) e in tutti questi casi il flusso è respinto; altrimenti, il flusso è metabolizzato. La nozione stessa di metabolizzazione comporta che la ricomposizione dell’equilibrio avvenga trasformando il flusso. Più precisamente, poiché il flusso è solo il dato come percepito, l’equilibrio si ricompone passando dalla percezione all’azione, e cioè alla modificazione della realtà effettuale dell’ordinamento nel quale la percezione è avvenuta”. 52 ANDREA FUSARO introduce la “international foundation” nelle giurisdizioni offshore che hanno accolto il trust32. I diversi provvedimenti legislativi che si sono susseguiti in materia prevedono una disciplina assai simile, in quanto accomunata dalla contaminazione di regole proprie della fondazione con segmenti del trust33: si segnalano la previsione del protector34, nonché di un’ampia autonomia statutaria per consentire al fondatore la massima realizzazione degli scopi prefissati, il che può condurre a riservare allo stesso il controllo della fondazione e limitare diritti e poteri dei beneficiari, conformabili dallo statuto35 e dei quali si esclude la “natura reale”36. La prima giurisdizione di offshore trust ad approvare una legislazione in materia di fondazioni private è stata Saint Kitts (nel 2003), seguita poco dopo dalle Bahamas (nel 2004) e poi, via via, da un numerose altre37. La ragione per la quale paesi paladini del trust abbiano sentito la necessità di inserire questa nuova figura nel proprio ordinamento è da ravvisare nella circostanza che la fondazione privata è dotata di soggettività e quindi è un istituto maggiormente schematico, di più agevole comprensione e perciò meno esposto al rischio di abusi. In particolare, la fondazione viene vista come una via di mezzo fra un trust e una società: come queste ultime, infatti, essa è dotata di propri diritti, è registrata, ha responsabilità limitata, non richiede necessariamente mutamenti nella proprietà qualora cambi il consiglio d’amministrazione; al pari del trust, invece, può avere beneficiari la cui identità è specificamente indicata o, al contrario, può demandare la scelta di questi alla discrezionalità dell’organo amministrativo, può essere istituita per testamento, può essere utilizzata per aggirare le leggi in materia di successione necessaria presenti alcuni ordinamenti. In ragione di ciò, il ricorso alla fondazione è consigliato a chi – soprattutto se proveniente da paesi di Civil Law dove il trust non è particolar31 P. Panico, Fondazioni private nelle giurisdizioni di common law: un flusso controcorrente?, in Trust e attività fiduciarie, 2006, 507. 32 J. Niegel, Brave New World of Foundations, in Trust &Trustees, Vol. 15, N. 5, July 2009, 260. Al lettore italiano si offre la panoramica di M. Lupoi, Trusts, Milano, 2 ediz., 2001, p. 311 ss. 33 J. Niegel, Laying a Foundation for Europe, in Trust &Trustees, Vol. 13, N. 5, July 2007, 1, 23 ss. 34 Saint Kitts, Foundation Act 2003, Part IV- The Guardian; Nevis, Multiform Foundations Ordinance 2004, Part VI- The Supervisory Board; Anguilla, Foundation Act 2008, Part 4- The Guardian. 35 Saint Kitts, Foundation act 2003, sect 15(2)(b)(iii): the right to obtain “full and accurate in-formation” is “subject to the terms of the articles and by-laws”. 36 Tranne che a Malta dove la Schedule to the Maltese Civil Code title III, art. 33(2) qualifica l’interesse dei beneficiari di una fondazione come “movable property”. 37 Citate alla nota 15. Le Fondazioni in Europa: i modelli 53 mente radicato e compreso – intende mantenere il controllo del patrimonio, riservandosi all’uopo una serie di poteri che gli consentano di continuare ad ingerirsi nelle scelte circa l’impiego delle risorse, senza pregiudicare l’integrità complessiva della struttura. Di particolare interesse è la disciplina introdotta nel 2004 nelle Bahamas, modificata in seguito con diversi emendamenti: il consiglio di amministrazione della fondazione non deve includere soggetti residenti; le linee organizzative della stessa sono tracciate nell’atto costitutivo che, al pari del “trust deed” e dello statuto di una società, detta le linee guida entro cui la fondazione deve essere condotta; il testo può essere altresì completato da clausole relative alle modalità di individuazione dei beneficiari, nonché alle forme e alle tempistiche per la distribuzione delle risorse. L’atto costitutivo della fondazione va registrato, accompagnandolo con la dichiarazione contenente l’impegno che la stessa mantenga un patrimonio minimo adeguato al Foundation Act. Occorre altresì segnalare come il concetto di “sham”, idea familiare al sistema del trust38, venga utilizzato anche per le fondazioni – specie per quanto concerne i poteri riservati al fondatore – laddove gli ordinamenti di Civil Law ricorrono al principio di buona fede (con effetti similari, nella sostanza). 38 Impiegato per alludere all’autenticità, cui si contrappone la simulazione e cioè la costituzione di un trust apparente. Lord Justice Diplock ha fornito una definizione giuridica del termine sham, in Snook v London and West Riding Investments Ltd [ 1967 ] 2 QB 786 (CA), relativa ad un caso di sale and lease back che celava in realtà un mutuo assistito da garanzia reale: sarebbero “sham transactions” gli atti compiuti e posti in essere creando un’apparenza di un’operazione diversa da quella effettivamente voluta. Altro caso noto è Midland Bank plc v. Wyatt [1995] 1 FLR 696 dove il settlor in realtà non aveva alcuna intenzione di istituire un trust, ma era mosso dall’intento di farne poi uso in caso di necessità. Per una panoramica dei casi successivi si segnala D. Hayton, Recent Trust Cases From Around The World - Casi recenti in materia di trust nel mondo, in Trusts e attività fiduciarie, 2009, fasc. 2, pp. 121 ss.; S. Moverley Smith , Fishing in foreign waters: the English Family Court squares up to the off-shore world - Pescando in acque straniere: la Corte inglese competente per il diritto di famiglia fa quadrato con il mondo straniero, in Trusts e attività fiduciarie, 2008 fasc. 5, pp. 479 ss.; A. Braun, Quando un trust è "sham": brevi riflessioni su recenti sviluppi giurisprudenziali in Inghilterra e sull’isola di Jersey, in Trusts e attività fiduciarie, 2006 fasc. 3, pp. 346 ss. ; I. Valas, "Sham trust": richiesta di istruzioni alla Corte da parte dei trustee in merito al riconoscimento a Jersey di una sentenza inglese che dichiara che un trust è "sham", in Trusts e attività fiduciarie, 2006, fasc. 2, pp. 239 ss.; B. Mark, "Sham" e altri temi centrali del diritto dei trust nella sentenza "Grupo Torras", in Trusts e attività fiduciarie, 2005 fasc. 3, pp. 384 ss.; A. Vicari, Il trust sham o simulato: questioni di diritto internazionale privato, in Trusts e attività fiduciarie, 2010, fasc.n. 6. Per cogliere la portata di questi concetti rispetto all’istituto del trust si segnala M. Graziadei, Diritti nell’interesse altrui: undisclosed agency e trust nell’esperienza giuridica inglese, Trento, 1996, p. 274 ss.. 54 ANDREA FUSARO 4. Le fondazioni di famiglia Il panorama comparatistico evidenzia come in alcuni ordinamenti si escluda l’utilizzo della fondazione quale strumento per esigenze private, espressamente prescrivendo per legge il perseguimento di finalità di interesse generale, talora senza circostanziare oltre – ed è il modello francese39 –, altra volta dettagliando le finalità, come emerge nella disciplina spagnola40 la quale, mantenendosi in linea con la normativa previgente, elenca i fini socialmente rilevanti per le fondazioni41 ed esclude che possano essere costituite per erogare prestazioni al fondatore od ai suoi congiunti42. Il primo ordinamento a riconoscere lo statuto di una fondazione familiare - o comunque a scopo privato – è il Liechtenstein, con una disposizione risalente agli anni venti43. Nondimeno, il già ricordato “Feasibility Study” rileva come oggi questo genere di fondazione sia – nella pratica – poco significativa, specie se paragonata alla risonanza della fondazione con scopo di pubblico interesse. Tipici esempi si ricavano dallo studio di ordinamenti come quello austriaco o danese: quest’ultimo, tra l’altro, contempla fondazioni di natura ibrida che perseguono entrambi gli scopi, sia pubblico che privato. I paesi che richiedono il perseguimento di uno scopo di pubblico interesse, generalmente non permettono ad una fondazione di promuovere l’interesse di un membro della famiglia del fondatore; peraltro anche molti altri che non seguono – in principio – alcuna regola contraria, hanno restrizioni in relazione agli interessi dei familiari del fondatore: per esempio, alcuni limitano la possibilità di istituire fondazioni alla sola presenza di familiari bisognosi (Italia e Paesi Bassi), di parenti stretti (Danimarca) e altri le autorizzano ma solo per limitati periodi di tempo. Come già sopra anticipato, la prima disciplina legale della fondazione di famiglia apparve in Liechtenstein negli anni venti del secolo scorso44; la 39 Art. 18 loi n. 87 - 571 del 23 luglio 1987: "La fondation est l’acte par lequel une ou plu-siersplusieurs personnes physiques ou morales decidentdécident l’affectation irrévocable de biens, droits ou ressources à la réalisation d’une oeuvre d’intéretintérêt général et à but non lucratif". 40 La legge spagnola 50/ 2002 del 26 dicembre 2002. 41 Art. 3, Ic. 42 Art. 3, Ic.: En ningún caso podrán constituirse fundaciones con la finalidad principal de destinar sus prestaciones al fundador o a los patronos, a sus cónyuges o personas ligadas con análoga relación de afectividad, o a sus parientes hasta el cuarto grado inclusive, así como a personas jurídicas singularizadas que no persigan fines de interés general.....". 43 Art. 552 della Liechtenstein Law in Person and Companies, nel 1926. 44 Art. 552 del Personen und Gesellschaftrecht – PGR del 1926 . Le Fondazioni in Europa: i modelli 55 disposizione, imitata altrove45, è stata riformata con il provvedimento entrato in vigore il primo aprile 200946. Esso prevede, in particolare, che per le fondazioni a scopo privato il controllo governativo sia facoltativo47 e neppure sia necessaria la registrazione laddove non venga esercitata attività commerciale. È, inoltre, contemplata la fondazione discrezionale, definita indirettamente attraverso i poteri assegnati all’organo amministrativo in ordine all’individuazione dei beneficiari48. Per ovviare alle critiche riguardanti l’eccessiva facilità di mutamento dello scopo e di variazione dei beneficiari49, la nuova normativa ne ha sancito la imprescindibile indicazione nello statuto50. Nella prospettiva di far cessare gli abusi a danno dei beneficiari51, ora le sezioni 5-12 li distinguono in categorie, mentre la nona sezione attribuisce loro il diritto di ispezionare i documenti e ricevere informazioni52, in assenza di contraria indicazione; al fondatore è altresì attribuito il diritto di revocare la fondazione ed indicare se medesimo quale beneficiario finale53. Merita, infine, segnalare un ridimensionamento delle restrizioni applicabili alle sostituzioni fedecommissarie54, evidentemente indotto dall’affievolirsi delle matrici, di recente attuato proprio nella terra che ne fu levatrice: in Francia, la legge n. 2006-728 del 23 giugno 2006 di riforma del diritto successorio, ha infatti introdotto le “liberalites graduelles” e le “libéralités residuelles”. Si scorge nitidamente il profilo del fedecommesso dietro la previsione secondo cui al donatario od al legatario può imporsi l’onere della conservazione in vista della trasmissione alla propria morte ad un beneficiario ulteriore, preventivamente indicato; sottolineandosi, per un verso, l’assenza di limiti quanto al novero dei beneficiari finali e, per l’altro, il vincolo alla preservazione del bene, senza accedere alla sua conversione in 45 Art 552-570 Personen und Gesellschaftrecht – PGR. T. Zwiefelhofer, Liechtenstein: the reform of foundation law, in Trust &Trustees, Vol. 15, N. 5, July 2009, 374 47 Section 2(4). 48 Section 7. 49 T. Zwiefelhofer, Liechtenstein: the reform of foundation law, cit., 377. 50 Section 16. 51 T. Zwiefelhofer, Liechtenstein: the reform of foundation law, cit., 378. 52 Section 9. 53 Section 10. 54 Una ricerca comparatistica piuttosto recente è offerta da G.L. Gretton, Fideicommisary Substitutions: Scots Law in Historical and Comparative Perspective, in K.G.C. Reid M.J. de Waal - R. Zimmermann, Exploring the Law of Succession. Studies National, Historical and Comparative, Edinburgh, 2007, p. 156 ss. 46 56 ANDREA FUSARO valore55. Disposizione in cui è stato letto il riflettersi dell’evoluzione del patrimonio di famiglia nel senso della sua parcellizzazione, concentrandolo nel vincolo di destinazione gravante su singoli cespiti56. Più in generale, comunque, sono davvero pochi gli Stati membri che non prevedono alcun tipo di restrizione alle fondazioni che perseguono uno scopo prettamente privato. Quasi tutti accettano, però, fondazioni che detengono la maggioranza delle azioni in una società. Va notato, altresì, che il solo fatto che la fondazione persegua un pubblico interesse non significa affatto che la distribuzione privata sia proibita. In Italia le fondazioni di famiglia sono circondate da cautele sulla scorta della tesi - da tempo prevalente - che le ammette nei ristretti limiti imposti alla sostituzione fedecommissaria57. Questo sfavore vanta radici lontane, fatte risalire alla prima metà del Settecento allorché i legislatori europei osteggiavano sia le fondazioni immobiliari sia quelle testamentarie, come testimonierebbe l’assenza delle fondazioni nel Code Napoléon dove figurava, invece, il divieto di fedecommessi58. In definitiva, dall’osservazione della prassi, italiana e straniera, si raccoglie la testimonianza della utilità della fondazione quale strumento di pianificazione familiare, in grado di soddisfare bisogni e compiacere sensibilità diversamente non altrettanto appagabili. Al giurista compete, allora, verificare la perdurante fondatezza di quella teorica restrittiva al fine di esplorarne la superabilità. La riflessione qui sintetizzata avvalora il verdetto positivo. Il constatato affievolirsi delle preoccupazioni a fondamento delle restrizioni opposte al fedecommesso59, insieme al progressivo rilassarsi della pretesa pubblica utilità dello scopo, inducono a sottoscrivere l’opinione recentemente avanzata, secondo cui attualmente la scarsa diffusione dell’impiego italiano della fondazione in ambito familiare è da attribuire 55 Art. 1048: "Les biens dont les père et mère ont la faculté de disposer, pourront être par eux donnés, en tout ou en partie, à un ou plusieurs de leurs enfants, par actes entre vifs ou testa-mentaires, avec la charge de rendre ces biens aux enfants nés et à naître, au premier degré seulement, desdits donataires". Alternativamente è consentito prevedere che un terzo riceva quanto rimarrà della donazione o del legato effettuati a favore di un primo beneficiario (art. 1057). 56 P. Catala, Famille et patrimoine, Paris, 2000, p. 141 ss. 57 Rinvio al mio saggio La fondazione di famiglia in Italia e all’estero, in Riv. Not., 2010, p. 17 ss. 58 Peraltro, com’è noto, Napoleone derogò al divieto dei fedecommessi con leggi speciali (si trovano indicazioni in M. Graziadei, Acquisto per conto di un comitato non riconosciuto e dissociazione della proprietà, in Riv. dir. civ., 1988, II, p. 119 ss.). 59 Per una sintesi si segnala R. Pacia, Sostituzione fedecommissaria fra tradizione e modernità, in Riv. Not., 2008, 555 ss. Le Fondazioni in Europa: i modelli 57 piuttosto ai margini di incertezza che circondano la sua disciplina, rimasta priva di implementazione in ragione dello scarso impiego . Deve quindi assecondarsi l’utilizzo della fondazione per assicurare benessere ai discendenti di una famiglia – anche senza necessariamente mirare le erogazioni al sostegno dei bisognosi e dei meritevoli, variamente intesi –, purché si abbia cura di consentire una gestione non necessariamente statica del patrimonio, immobiliare come mobiliare, così da realizzare all’occorrenza una rotazione dei cespiti, vincolando soltanto la corrispondente ricchezza60 – onde schivare il cono d’ombra della manomorta –, ed assicurando ai beneficiari il godimento delle rendite, non l’assegnazione dei beni, al fine di tenere lontano lo spettro del fedecommesso. Si tratta, allora, di completare il profilo della figura, muovendo dall’accurata redazione degli statuti, compito al quale è particolarmente adatta la classe notarile61. 5. Il pluralismo delle forme giuridiche Lo studio di fattibilità analizzato in avvio di questa ricognizione ha preso atto delle peculiarità nazionali in tema di fondazioni ed ha suggerito l’elaborazione di uno statuto di fondazione europea, piuttosto che l’armonizzazione dei diritti locali, la quale verrebbe ad impoverire lo strumentario disponibile. L’introduzione della nuova figura sarebbe funzionale alla soddisfazione di esigenze analoghe a quelle che hanno favorito la nascita della società e della cooperativa europea: il superamento delle barriere nazionali e la riduzione dei costi per le intraprese transfrontaliere. Il profilo avuto di mira è quello della fondazione rivolta al perseguimento di un fine di pubblica utilità, o comunque di ampio respiro, e la struttura è tagliata in funzione di tale indole. Al di fuori dell’ambito riguardato da tale figura rimarrebbero, dunque, le singole forme offerte da ciascun ordinamento, delle quali potrebbe ben ammettersi l’impiego in un ordinamento diverso da quello di appartenenza, replicando la vicenda che il trust sta attraversando nel nostro paese, come sempre più spesso si considera a proposito dello shopping del diritto 60 A somiglianza di quanto realizza il trust: M. Graziadei - B. Rudden, Il diritto inglese dei beni e il trust: dalle res al fund, in Quadrim., 1992, 458. 61 Esemplare il lavoro di E. Bellezza - F. Florian, Le fondazioni di partecipazione, Piacenza, 2006, dove si trova una vasta offerta di modelli. 58 ANDREA FUSARO nazionale altrui, sullo sfondo delle riflessioni sulle ricadute giuridiche della globalizzazione62 e della concorrenza tra ordinamenti63. 62 63 F. Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005, p. 77 ss. A. Zoppini ( cur.), La concorrenza tra ordinamenti giuridici, Roma, 2004. La Fondazione Europea Daniela Maffei SOMMARIO: La fondazione e l’economia sociale europea. 2. Il progetto di Fondazione Europea. 2.1 Gli aspetti giuridici preliminari: la scelta dello Statuto. 3. La disciplina della Fondazione Europea nel Progetto di Statuto. 3.1. Segue: l’interesse generale. 3.2. Segue: la componente transfrontaliera. 4. La Fondazione Europea tra “moderna filantropia e il modello delle fondazioni di comunità. Conclusioni 1. La fondazione e l’economia sociale europea Considerata da alcuni, in passato, “buona solo per soddisfare la vana aspirazione umana all’eternità,”1 la fondazione ha assunto di recente un ruolo significativo nello sviluppo dell’economia sociale europea2, affiancando gli altri protagonisti delle più attuali dinamiche di crescita affidate alle imprese sociali3. 1 R. J. Turgot, Fondation, Article de l’Enciclopédie(vol. VII, 1757), in G. Schelle (a cura di), Oeuvre de Turgot, Vol. I, Paris, 1913, 593. La vicenda dell’istituto è scandita dall’alternarsi di favore e ostilità, alimentati dalla “condanna della cultura illuministica che ne aveva determinato l’espunzione dal code civil”. In questo senso A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie. Napoli, 1995. L’Autore sottolinea che l’analisi della “tradizione e modernità” della fondazione si arricchisce delle considerazione per cui la fondazione si è sviluppata in una zona “grigia” tra il diritto privato e il diritto amministrativo, in uno schema normativo prevalentemente inadeguato e insufficiente. 2 L’«economia sociale» – che l’Unione Europea ha definito come l’insieme delle fondazioni, delle cooperative e delle associazioni che permettono ai cittadini di recitare un ruolo sempre più importante in tutte le sfere della vita pubblica – condivide con il governo e con la comunità imprenditoriale il compito di costruire la società civile. L’economia sociale alimenta l’imprenditorialità, rende possibili esperimenti sociali e suggerisce modelli che funzionano. In questo senso, le fondazioni e le associazioni costituiscono un barometro dell’opinione pubblica e, soprattutto, aiutano i cittadini a sentirsi almeno in parte responsabili del proprio benessere e di quello delle società in cui vivono. Risoluzione del Parlamento europeo del 19 febbraio 2009 sull’economia sociale (2008/2250(INI). 3 L’impresa sociale trova una prima disciplina nel d.lgs. 155/2006, con il riconoscimento delle organizzazioni a carattere aziendale che svolgano attività di impresa in settori di utilità sociale, oppure che inseriscano categorie di persone svantaggiate nell’organico. Pur mantenendo i caratteri tipici di cui all’art. 2082 c.c.: produttività, stabilità, organizzazione mediante l’impiego di fattori della produzione e metodo economico, ha come obiettivo un’esplicita finalità sociale che si traduce nella produzione di benefici diretti a favore di un’intera comunità o di soggetti svantaggiati. I settori di utilità sociale sono indicati dall’art. 2, comma 1, d.lg. n. 155/2006. Non è necessario che l’attività in questi settori sia 60 DANIELA MAFFEI Per tale ragione e sulla base della considerazione che possa trattarsi di uno strumento sinora sottovalutato, l’istituto della fondazione pretende un’attenta rilettura4. Nella veste più tradizionale, la fondazione rievoca il riferimento, a tratti romanzato, ad un ingente patrimonio destinato da un singolo magnanimo a cause benefiche, secondo una definizione probabilmente anacronistica, e non per la mancanza di grandi patrimoni in capo a singoli o per il venir meno di velleità filantropiche, quanto, piuttosto, per la recente attitudine ad affidare la beneficenza all’associazionismo5. Più modernamente intesa ed impiegata, la fondazione rientra nel novero delle emergenti tipologie di organizzazioni aziendali con attitudine altruistica, le quali, da una parte ricalcano l’evoluzione del concetto di im- esclusiva, è sufficiente che essa sia prevalente rispetto ad eventuali altre attività, nel senso che i ricavi da essa generati siano pari almeno al 70% dei ricavi complessivi. Si veda l’approfondita analisi in materia di A. Fici, Imprese cooperative e sociali. Evoluzione normativa, profili sistematici e questioni applicative, Torino, 2012, 47 ss.; A. Fici, Impresa sociale, in Digesto civ., agg. III, t. 2, Torino, 2007, 665;. C. Borzaga - F. Zandonai, L’impresa sociale in Italia. Economia e istituzioni dei beni comuni, Roma, 2009, 3 ss.; D. Carrera, Istituzioni ed aziende non profit: la classificazione economico- aziendali, i modelli di riferimento, in D. Carrera - A. Messina (a cura di), Economia e gestione delle aziende nonprofit, Roma, 2008, 56. 4 A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie. cit., 1. La marginalità dell’ istituto della fondazione trova la sua causa nell’introduzione della relativa disciplina, da parte del legislatore del 1942, nella logica del controllo tutorio, definito efficacemente dall’Autore “epigono della pia causa medioevale e dominata dal referente dell’interesse pubblico”. Di recente, le fondazioni sono protagoniste di uno studio di “riscoperta”. A. Schluter - V. Then - P. Walkenhorst, Foundations in Europe, London, 2001, 2. Sul tema delle fondazioni nel nostro ordinamento si veda, innanzitutto: A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, cit.; P. Rescigno, voce Fondazione. C) Diritto civile, in Enc. Dir., vol. XVII, Milano, 1968, 790 ss., F. Galgano, Delle persone giuridiche, in Comm. ScialojaBranca, Bologna-Roma, I ediz. 1969, II ediz., 2006; A. Fusaro, voce Fondazione, in Digesto IV, Disc. Priv. Sez. Civ., Padova, 1992; M.V. De Giorgi, Le persone giuridiche in generale, in Trattato di diritto privato, dir. da P. Rescigno, Vol. 2, tomo I, Torino, II ediz., 1999, p. 193 ss.; G. G. Ponzanelli, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, Torino, II ediz., 2000; M. Basile, Le persone giuridiche, Milano, 2003; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2005. 5 Si veda S. Zamagni, Dalla Filantropia d’impresa all’imprenditorialità sociale, da East, num. 6, 2006, 6 ss. L’Autore propone la definizione di uno dei protagonisti delle attività filantropiche: il mecenate, considerato non semplicemente un filantropo che dona parte del proprio reddito (o ricchezza) e non si cura dei modi del suo utilizzo. Mecenate è tipicamente (anche se non esclusivamente) un imprenditore che pone risorse e know-how imprenditoriale al servizio di una causa di interesse collettivo. La Fondazione Europea 61 presa riconducibile alla cooperazione sociale, pur mantenendo fede, dall’altra, ad una vocazione intrinsecamente filantropica6. Le attuali politiche europee di sviluppo economico affidano proprio alle imprese sociali un significativo compito di impulso alla crescita economica, che vince la tradizionale opinione secondo la quale i servizi sociali non producano valore e ricchezza, limitandosi tutt’al più alla redistribuzione sotto forma di servizi del valore prodotto in altri settori7. La funzione attribuita alle imprese sociali europee, nella cui categoria la fondazione può assumere un ruolo di rilievo, in ragione anche di una particolare duttilità utile alla risoluzione di differenti questioni pratiche8, trova un primo inesorabile contrasto in problematiche di ordine qualificatorio cui fanno da eco inevitabili divergenze normative nazionali. Le differenze sono delineate anche dalle vicende storiche legate allo sviluppo delle fondazioni, poiché le tradizionali categorie giuridiche di riferimento mancano spesso della distinzione tra le attività svolte nel settore pubblico e quelle rientranti nel privato, contribuendo ad accentuare le differenze tra le charities, di matrice tipicamente anglosassone e le fondazioni, la cui definizione negli altri Paesi europei a tradizione romanistica è tutt’altro che univoca9. 6 La connotazione filantropica è tutt’altro che recente nella storia europea dell’associazionismo. La fondazione trova, dunque, la propria identità tra tradizione e modernità, se si considera che anche gli impieghi più attuali conservano l’eco dell’attitudine filantropica rintracciabile nella tradizione europea, sotto forma di raccolte di fondi destinate ad un determinato fine. Platone lasciò le sue ricchezze a sostegno dell’Accademia che portava il suo nome. Epicuro volle espressamente che parte delle sue sostanze fosse utilizzata per sostenere la sua scuola, per molto tempo dopo la sua morte. Le donazioni sin dall’antichità sono state destinate a molti scopi: la costruzione di monumenti o di edifici di culto, l’assistenza ai poveri, senza tuttavia alcuna distinzione tra azioni filantropiche a carattere privato e iniziative pubbliche. Già nell’antica Persia inoltre vi erano costituzioni di trusts funds a fini caritatevoli. Cfr. M. Dowie, American Foundations. An Investigative history, Cambridge, 2001, 1 ss. 7 Le forme di impresa prive di scopo di lucro conoscono un ingente sviluppo negli ultimi anni, attribuendo così connotazioni imprenditoriali anche ai servizi sociali e di interesse generale. Emerge, dunque, l’esistenza di bisogni che possono costituire “domanda” da parte di privati o pubbliche amministrazioni, la quale tuttavia richiede un’offerta differente da quella tradizionalmente garantita dalle amministrazioni e istituzioni pubbliche. In questi termini l’analisi di C. Borzaga - F. Zandonai, L’impresa sociale in Italia. Economia e istituzioni dei beni comuni, cit. 8 Si pensi al ruolo delle fondazioni di famiglia o del trust, di cui infra e nell’analisi di A. Fusaro, Le fondazioni in Europa: i modelli, in questo volume. 9 Si veda A. Schluter - V. Then - P. Walkenhorst, Foundations in Europe, cit., 38, i cui gli Autori tracciano un quadro della diffusione e delle fondazioni sul territorio europeo. Nei Paesi nordici, le fondazioni hanno giocato un ruolo importante nelle previsioni del 62 DANIELA MAFFEI Gli ospedali medievali, i monasteri, le confraternite religiose, i colleges e le università, le associazioni a scopo mutualistico, le banche e le cooperative hanno incarnato, nel corso del tempo, le iniziative filantropiche del territorio europeo, servendosi però, spesso, di un’organizzazione assimilabile a quella delle fondazioni. Di conseguenza, la definizione univoca di fondazione per il territorio politico europeo è un compito problematico10, nel quale la disomogeneità terminologica è solo il primo, peraltro superabile, ostacolo11. welfare, della raccolta fondi e nelle relazioni internazionali. Nel Regno Unito le organizzazioni definite charities occupano un ruolo importante nel sistema di politica economica, sono relativamente numerose e operano in una vasta area di attività. In Irlanda, al contrario, le fondazioni non sono molto diffuse sul territorio, non hanno mai avuto un ruolo importante né nello sviluppo economico e sociale, né nel sistema del welfare del Paese. Pur avendo rappresentato, storicamente, un importante fattore di sviluppo, in Francia si contano poche fondazioni, anche in ragione della rigida supervisione statale cui sono sottoposte. In Svizzera le fondazioni hanno assunto un ruolo significativo per la vita socio politica, e sono ancora alla base dell’organizzazione del welfare: il sistema assicurativo sanitario, quello delle pensioni e di erogazione di servizi sociali sono del tutto assimilabili alle fondazioni. In alcuni Paesi dell’Europa orientale le fondazioni sono spesso sostenute da donazioni da parte di altri enti omologhi europei o statunitensi o dagli aiuti provenienti dai programmi di sostegno di politica europea, allo scopo di accelerare lo sviluppo economico. Ad eccezione dell’Ungheria, le fondazioni in questi Paesi sono poco numerose nonostante i finanziamenti esterni. Nell’Europa meridionale vi sono situazioni differenti: le fondazioni italiane, pur vantando radici storiche remote si sono diffuse soprattutto nel ventesimo secolo, e sono in gran numero a carattere religioso, come per la Spagna e il Portogallo. In Grecia ed in Turchia le fondazioni sono in parte a carattere religioso e, per la restante parte, organizzate come moderne istituzioni spesso connesse alla elite finanziaria emergente ed all’azione statale. Si veda l’analisi di S. Rushton - O. Williams, Partnerships and Foundations in Global Health Governance, Chippenham and Eastbourne, 2011, in cui uno degli Autori sottolinea l’importanza storica delle fondazioni private nello sviluppo della ricerca in ambito scientifico e sanitario, soprattutto in materia di creazione e diffusione di vaccini negli Stati Uniti d’America. 10 In prima analisi, le fondazioni e gli enti ad esse riconducibili presenti nel territorio europeo restituiscono l’immagine comune di un patrimonio diretto ad un fine specifico, generalmente pubblico e di carattere filantropico. I singoli ordinamenti europei definiscono e regolano le fondazioni in maniera differente; di conseguenza la registrazione, l’organizzazione pratica ed il regime di controllo sono mutevoli, anche all’interno dello stesso Paese, come nel caso della Germania. L’ente definito come fondazione in un Paese può non essere qualificato come tale in un altro. Le svedesi “company foundations” e le norvegesi “fondazioni commerciali”potrebbero incontrare difficoltà nel superare la valutazione della English Charity Commission, l’agenzia pubblica indipendente che valuta le associazioni volontarie e le fondazioni; allo stesso modo, molte fondazioni britanniche potrebbero non esistere secondo la legge francese. Infine, la fondazione privata austriaca e la fondazione di famiglia del Liechtenstein difficilmente otterrebbero l’approvazione del mi- La Fondazione Europea 63 Tutt’altro che rare nel campo dell’analisi comparativa, e generalmente considerate quale apprezzata occasione di conoscenza e riflessione, tali divergenze necessitano di un attento studio e di un superamento funzionale, alla ricerca di soluzioni armonizzatrici, volte al sostentamento del programma di economia sociale per il tramite dell’istituto, univocamente inteso, della Fondazione europea. 2. Il Progetto di Fondazione Europea L’introduzione di un progetto condiviso di Fondazione Europea è stato energicamente sostenuto dalle politiche europee di sviluppo, poiché considerato un significativo ed attuale strumento di incentivo alla crescita e, pertanto, meritevole di fiducia e destinatario di ingenti aspettative12. nistro della giustizia belga. Si veda, sul tema A. Fusaro, Le fondazioni in Europa: i modelli, cit. Inoltre, non tutte le organizzazioni denominate fondazioni, in effetti, rispondono ai medesimi requisiti e sono univocamente disciplinate. Sebbene molti ordinamenti conoscano la differenza di origine romanistica tra fondazioni basate su un patrimonio e associazioni, la prassi in alcuni Paesi non ricorre ad alcuna suddivisione. In Polonia, in Ungheria e nei Paesi dell’est Europa, molte fondazioni sono riconducibili a quelle che definiremmo associazioni o società, generalmente a responsabilità limitata. A. Schluter - V. Then- P. Walkenhorst, Foundations in Europe, cit., 40. La cultura giuridica britannica consegna, invece, l’istituto del trust in qualità di omologo della fondazione, servendosi così di uno strumento nato per proteggere l’affidamento di un patrimonio ad un soggetto capace di gestirlo, conservando però memoria del suo titolare e realizzando gli scopi da questi voluti, nel tentativo di risolvere un problema di affidamento che storicamente intrappolava le logiche fiduciarie nella rigida previsione dominicale. Lo stesso istituto ora si presta a regolare una molteplicità di rapporti giuridici in tema di protezione e gestione di patrimoni, successioni e diritto societario, nonché quelli inerenti agli scopi tipici delle fondazioni. H. B. Hansmann - U. Mattei, The Functions of Trust Law: a Comparative Legal and Economic Analysis, 73 N.Y.U. L. Rev. 434 1998, 479. Il trust privato serve una certa varietà di fini utili. Il contributo più importante della legge sul trust per la realizzazione di questi scopi è la previsione della separazione dei beni, al fine della eventuale costituzione in pegno di tali beni ai creditori. 11 Per indicare l’istituto che assolva le stesse funzioni attribuite alla fondazione la cultura giuridica francese si serve del termine fondation, così come i tedeschi di Stiftung; fundación, fundação, stifsteise e fonden sono i riferimenti degli ordinamenti spagnolo portoghese, svedese e danese. Foundation, endowment, trust, fonds, stifelse, saatio sono impiegati, negli altri Paesi, per descrivere enti giuridici privati i quali impiega le proprie risorse per finalità di interesse pubblico. A. Schluter - V. Then - P. Walkenhorst, Foundations in Europe, cit., 2. 12 Nel piano di azione della Commissione Europea del 2003 si rintraccia la prima ipotesi di definizione a livello europeo di uno statuto delle fondazioni, nell’ambito del più ge- 64 DANIELA MAFFEI L’attenzione al settore del non profit ed in particolare alle fondazioni è alimentata anche dalla valutazione empirica, francamente positiva, del ruolo sinora svolto dagli enti già operanti sul territorio europeo e delle floride opportunità di evoluzione, in termini di forza economica e opportunità di impiego13. nerale progetto di promozione dell’imprenditorialità tramite lo sviluppo dell’impresa sociale; il 4 luglio 2006 il Parlamento Europeo ha adottato la risoluzione Ultimi sviluppi e prospettive del diritto societario, con l’invito alla Commissione a portare avanti l’elaborazione di una legislazione comunitaria che prevedesse altre forme giuridiche di organizzazione imprenditoriale, come la Fondazione Europea; nel novembre 2007, il Max Planck Insitute for comparative and international private law di Amburgo e al Centre of Social Investment and Investigation dell’Università di Heidelberg sono incaricati di condurre uno studio di fattibilità relativo all’adozione di uno Statuto sulla Fondazione Europea; il 16 luglio 2009 il progetto di fondazione riceve il parere positivo del Comitato economico e sociale europeo. Il 27 ottobre 2010, con il rinnovo della legislatura, la Commissione elabora le cinquanta proposte di intervento inserite nell’Atto per il Mercato Unico, (COM 2010/608), fra le quali compare la definizione degli Statuti Europei delle mutue, delle associazioni e delle fondazioni (proposta n. 37); con la Dichiarazione n. 84/2010 il Parlamento Europeo invita la Commissione ad adottare le misure necessarie al fine di presentare proposte relative agli statuti europei per le associazioni, le mutue e le fondazioni; il 25 ottobre 2011 nella sua comunicazione sull’“iniziativa per l’imprenditoria sociale” la Commissione sottolinea l’importanza di sviluppare forme giuridiche europee per le entità operanti nel settore dell’economia sociale (ad esempio fondazioni, cooperative o mutue). L’Atto per il mercato unico adottato nell’aprile 2011 ha sottolineato la necessità di porre fine alla frammentazione del mercato, di eliminare le barriere e gli ostacoli alla circolazione dei servizi, all’innovazione e alla creatività a favore della crescita, dell’occupazione e della promozione della concorrenza, l’importanza di rafforzare la fiducia dei cittadini nel mercato unico e di garantire loro tutti i vantaggi che questo può offrire. Per quanto concerne il contributo delle fondazioni all’economia sociale e al finanziamento di iniziative innovative di pubblica utilità, ha sollecitato un intervento per eliminare gli ostacoli che le fondazioni incontrano nel loro funzionamento a livello transfrontaliero. 13 In Europa il settore delle fondazioni rappresenta una significativa forza economica con attività comprese tra 300 e 1000 miliardi circa di euro, e una spesa annua compresa tra 83 e 150 miliardi di euro. Inoltre, in molti Paesi europei questo settore registra una crescita sostenuta. Le fondazioni svolgono un ruolo di rilievo nel mercato del lavoro. Le 110.000 fondazioni censite dallo studio di fattibilità sullo statuto della fondazione europea, infatti, occupano direttamente a tempo pieno tra 750.000 e 1 milione di persone in tutta l’Unione Europea. Inoltre, attribuendo borse di studio o altre forme di sostegno finanziario a organizzazioni e persone fisiche, le fondazioni sostengono l’occupazione e il volontariato. I dati sono riportati in Feasibility Study on a European Foundation Statute, novembre 2007 a cura del Max Planck Insitute for comparative and international private law di Amburgo e del Centre of Social Investment and Investigation dell’Università di Heidelberg . Le fondazioni presenti nel territorio dell’Unione danno, inoltre, impulso a progetti di diretta utilità pubblica e contribuiscono in misura fondamentale allo sviluppo dei settori della conoscenza, della ricerca e dell’innovazione, dell’assistenza sanitaria, dell’ambiente, dell’occupazione e La Fondazione Europea 65 Definiti gli avvincenti aspetti teorici del progetto di crescita affidato alle imprese sociali, deve aggiungersi che l’attuazione del programma di promozione di tali enti a leva dell’economia sociale è concretamente frenato dagli ostacoli di carattere giuridico e fiscale alle operazioni transfrontaliere. Alcuni degli aspetti giuridici maggiormente controversi, rei di frenare la diffusione delle fondazioni dedite alle operazioni transfrontaliere, è il riconoscimento della personalità giuridica in stati membri diversi da quelli in cui ha sede la fondazione, o anche solo l’incertezza in ordine all’accertamento del carattere di “interesse generale” dell’attività necessario a legittimare lo status di organizzazioni di pubblica utilità. Le altre problematiche riguardano poi il riconoscimento del trust, il trasferimento della sede effettiva in altro Stato membro, così come il trasferimento della sede legale, e le barriere derivanti dalla legislazione fiscale nazionale, concernenti tra l'altro la tassazione e le agevolazioni fiscali per i donatori, soprattutto nelle operazioni oltre confine. La questione che resta poi sottesa a tutta la disciplina riguarda l’opportunità e i limiti dell’eventuale riferimento alle discipline legislative nazionali. L’intervento armonizzatore, giudicato necessario ad incentivare le operazioni transfrontaliere, è stato, pertanto, solertemente intrapreso dalle istituzione europee e, dopo lo studio di fattibilità sulla Fondazione Europea redatto nel 2007 dal Max Planck Insitute for comparative and international private law di Amburgo e dal Centre of Social Investment and Investigation dell'Università di Heidelberg, ha trovato un altro punto fermo nella Proposta di Regolamento del Consiglio sullo statuto della Fondazione Europea14. della formazione professionale, della tutela del patrimonio naturale e culturale, della promozione delle arti e della cultura nonché della cooperazione internazionale. Il settore conosce già da tempo un notevole sviluppo negli Stati Uniti. In una analisi del 1980 Henry B. Hansmann rileva che il settore del non profit è fondamentale per la crescita economica degli Stati Uniti. Gli ambiti in cui le istituzioni non profit sono molto presenti come l’educazione, la ricerca, la salute, sono elementi vitali dell’economia moderna. H. B. Hansmann, The Role of Nonprofit Enterprise, The Yale Law Journal, 89, 5, 1980. L’Autore sottolinea come vi sia la tendenza a considerare le organizzazioni non profit come istituzioni economiche pensate con una certa qualità etica che le pone al riparo da preoccupazioni utilitaristiche. Secondo l’opinione di Hansmann le organizzazioni non profit sono la risposta ragionevole ai bisogni sociali, che possono essere descritti anche in termini di analisi economica. 14 Proposta di REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO sullo statuto della fondazione europea (FE) /* COM/2012/035 final - 2012/0022 (APP) */. Il Parlamento Europeo ha di recente approvato il testo della Proposta di Statuto: Risoluzione del Parlamento europeo 66 DANIELA MAFFEI Il progetto si è servito dell’analisi degli elementi giuridici condivisi dalle fondazioni e dagli istituti omologhi di matrice europea, accuratamente condotta nello studio di fattibilità. La scelta di una definizione condivisibile ha dovuto orientarsi nella sapiente calibratura delle componenti della tradizione della common law, con particolare attenzione alle disposizioni fiduciarie del trust, con quelle di civil law, nella cui disciplina la distinzione connessa al riconoscimento della personalità giuridica riveste un ruolo quasi mai trascurabile15. Dall’analisi degli ordinamenti, emerge, come generalmente condivisa nel panorama europeo, la connotazione principale delle fondazioni nell’assenza dello scopo di lucro16 di un soggetto costituito autonomamente, e votato per lo più a perseguimento di scopi di interesse pubblico17, tramite il finanziamento di attività educative, culturali, religiose e sociali e tramite il sostentamento di associazioni e istituzioni benefiche. Gli altri elementi concretamente comuni alla definizione giuridica degli Stati dell’Unione sono l’organizzazione indipendente (spesso con una propria personalità giuridica), la mancanza di membri formali, la presenza di un’autorità statadel 2 luglio 2013 sulla proposta di regolamento del Consiglio relativo allo statuto della fondazione europea (FE) (COM(2012)0035 – 2012/0022(APP)) Per redigere la proposta, la Commissione ha considerato innanzitutto le caratteristiche delle fondazioni negli ordinamenti nazionali, oltre alla necessità dell’ applicazione di sentenze recenti della Corte di Giustizia (causa C-318/07) in materia di donazioni transfrontaliere e benefici fiscali. La Corte di Giustizia decide sul caso di un cittadino tedesco che si vede rifiutata la detrazione fiscale di una donazione in natura effettuata a favore di un ente riconosciuto di interesse generale, situato in Portogallo. La Corte statuisce che in relazione all’art. 56 del Trattato dell’Unione il beneficio della deducibilità fiscale deve essere accordato anche in favore di un ente stabilito in altro stato membro poiché alla materia si applicano le disposizioni relative alla libera circolazione dei capitali, anche nell’ipotesi di donazioni in natura. Nello stesso senso la pronuncia C-386/04 in tema di detrazioni di imposta per le fondazioni e C25/10 sull’ aliquota ridotta delle imposte di successione agli enti senza scopo di lucro. 15 Lo studio che prenda, invece, in considerazione gli ulteriori aspetti connessi al tipo di fondatore, alla struttura delle attività, all’ assetto o alle fonti di finanziamento rientra nel campo un’analisi più approfondita, secondaria alle esigenze emergenti dai primi tentativi di applicazione pratica dell’istituto. 16 Nel territorio europeo esistono, peraltro, ordinamenti che consentono la costituzione di persone giuridiche assimilabili ad una fondazione, aventi però scopo di lucro, ne è un esempio l’Anstalt nel Liechtenstein. Si tratta di un istituto peculiare del diritto locale, che prevede l’attribuzione della personalità giuridica ad un patrimonio, anche in mancanza di soci. Si veda anche G. Petti, Familienstiftung costituita nel principato del Liechtenstein e capacità di stare in giudizio in Svizzera, Trust, 2011, 3, 256; A. Fusaro, Le fondazioni in Europa: i modelli, cit. 17 Non tutte le fondazioni tedesche perseguono scopi di interesse pubblico, molte hanno finalità commerciali, spesso, tuttavia, non vi sono elementi per distinguere le due tipologie di fondazioni. La Fondazione Europea 67 le di supervisione, la dotazione economica e l’indicazione degli scopi da parte del fondatore o nello statuto. Nell’ambito di questa generale definizione si insinuano almeno diciotto modelli di fondazione concretamente presenti in Europa18, ed è, pertanto, evidente che l’intervento del legislatore sul tema è ragionevolmente problematico19. 2.1. Gli aspetti giuridici preliminari: la scelta dello Statuto Dalla definizione di soggetto costituito autonomamente, e votato per lo più al perseguimento di finalità di interesse pubblico senza scopo di lucro prende il via il Progetto di Statuto della Fondazione Europea, con il preliminare compito di scegliere lo strumento giuridico più adeguato all’introduzione dell’istituto negli ordinamenti europei, al fine di assicurarne l’efficiente applicazione. La valutazione delle iniziative utili alla disciplina della fondazione europea ha preso in considerazione almeno due, opposti, strumenti legislativi: l’introduzione di statuto della Fondazione Europea ovvero l’affidamento della diffusione dell’istituto alle valutazione dei singoli Stati per il tramite di campagne di informazione o iniziative di soft law (codici di condotta, procedure di accreditamento). Quest’ultima soluzione, non comportando mutamenti sostanziali nei singoli ordinamenti, è stata attentamente vagliata dalle istituzioni europee insieme, peraltro, alla prospettiva dell’armonizzazione per il tramite di trattati multilaterali o bilaterali, in ragione dei pregi, comuni ad entrambe le iniziative, di scarsa incidenza sugli ordinamenti e di relativa facilità di introduzione. La prospettiva di conclusione di trattati è stata accantonata a causa dei costi transattivi20, generalmente ingenti, connessi alla procedura. Allo stesso modo, l’iniziativa demandata ai singoli governi risente abitualmente dell’inerzia degli interventi statali, la quale spesso contribuisce a 18 Feasibility Study on a European Foundation Statute, cit. Tra gli stati europei, la Francia conta il minor numero di fondazioni, con il relativo settore poco sviluppato, nonostante abbia una vita associative alquanto dinamica. Si veda l’analisi di E. Alfandariand - A. Nardone, Les associations et les fondations en Europe: régime juridique et fiscal, Brussels, 1994; E. Archambault, The nonprofit sector in France, Manchester University Press, 1997; E. Archambault- E. Boumendil - J. Toepler: Foundations in France, in H. Anheier - S. Toepler,. (Ed.), Private Funds, Public Purpose: Philanthropic Foundations in an International Perspective, New York, 1999, 185-198. 19 Si veda l’approfondita analisi di A. Fusaro, Le fondazioni in Europa: i modelli, cit. 20 Una soluzione che imponga ulteriori costi transattivi non è auspicabile, poiché, al contrario, il ricorso alla disciplina delle fondazioni avrebbe come fine proprio la riduzione di tali costi. 68 DANIELA MAFFEI disattendere gli impegni relativi ad iniziative europee anche significative. Ugualmente rimessi al medesimo destino di inerzia dei governi sono poi gli interventi cosiddetti di soft law. Per tali ragioni, l’adozione di uno statuto è stata considerata la soluzione più adeguata in termini di efficienza ed abbattimento dei costi legati all’armonizzazione, oltre a costituire un espediente in grado di assecondare le difficoltà del giurista continentale a rinunciare al positivismo. L’adozione dello Statuto si legittima con riferimento all’art. 352 del trattato dell’Unione, che fornisce il fondamento normativo appropriato laddove nessun’altra disposizione del trattato attribuisca alle istituzioni dell’Unione i poteri necessari per l’adozione di un provvedimento dedicato agli obiettivi ovvero ai principi relativi alla libertà fondamentali dell’Unione, integrati, nel caso della fondazione europea, dalla circostanza che le iniziative transfrontaliere rispondono con coerenza ai principi di libertà di stabilimento e di movimento di capitali. L’articolo 352 costituisce, peraltro, la base giuridica delle discipline europee nel settore del diritto societario quali la Società europea, il Gruppo europeo di interesse economico e la Società cooperativa europea21. Nelle intenzioni del Legislatore, inoltre, lo statuto potrebbe trovare agevole applicazione anche alle fondazioni già esistenti, senza ulteriori adempimenti, purché la finalità di carattere “europeo” sia coerente con la volontà del fondatore o con le previsioni dello statuto dell’ente. 21 Con la sentenza C-436/03 sulla Società cooperativa europea, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha confermato che l’articolo 352 rappresenta il fondamento normativo corretto per la relativa disciplina. Il legislatore comunitario ha dapprima elaborato alcune previsioni settoriali in tema di cooperative e, successivamente, con il Regolamento (CE) n. 1435/2003, approvato dal Consiglio il 22 luglio 2003, ha previsto lo statuto della società cooperativa europea (SCE), unitamente alla Direttiva 2003/72/CE del Consiglio del 22 luglio 2003, recante norme relative al coinvolgimento, l’informazione, la consultazione e la partecipazione dei lavoratori dipendenti nella SCE. Sul tema specifico della base giuridica per le iniziative sullo statuto della Fondazione Europea, il Comitato delle Regioni, nella opinione 2013/C 17/13 del 10.1.2013 ha ritenuto che l’articolo 352 del Trattato sul funzionamento dell’UE, in base al quale il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta disposizioni appropriate per realizzare uno degli obiettivi previsti dai Trattati, sia l’unica base giuridica pertinente per la proposta di regolamento, dato che nei Trattati non figurano disposizioni specifiche che conferiscano espressamente competenze in tal senso alle istituzioni dell’Unione. Sottolinea inoltre che, nel quadro del sistema di allarme rapido relativo all’attuazione del principio di sussidiarietà, la proposta di regolamento è stata analizzata da 19 parlamenti nazionali ma ha formato oggetto di un solo parere motivato (si veda infra nota 66). La Fondazione Europea 69 L’intenzione di privilegiare la forma giuridica dello statuto ha, inoltre, comportato l’opportunità di valutare almeno due modelli di riferimento: uno statuto ricalcato sulla normativa della Società privata europea22 ed uno più contenuto, coerente con la scelta di regolamento previsto per la Società europea23, il quale però necessita di una integrazione con le indicazioni 22 Proposta di Regolamento del Consiglio relativo allo statuto della Società privata europea (SPE, Bruxelles, 25.6.2008 COM(2008) 3969. La proposta di normativa disciplina una nuova forma giuridica a livello comunitario destinata a rispondere alle esigenze delle piccole e medie imprese operanti in più di uno Stato membro. Il regolamento può considerarsi un utile riferimento per la normativa riguardante le fondazioni europee, poiché queste ultime condividono con le piccole e medie imprese le stesse esigenze di crescita e di abbattimento dei costi legati al rispetto delle norme relative alla creazione e al funzionamento delle imprese, connessi alle disparità tra normative. La proposta si caratterizza per la scelta di operare un rinvio limitato alle legislazioni nazionali in grado di garantire uniformità statutaria. Vi sono disciplinati gli aspetti fondamentali quali la formazione della società ed i rapporti con i terzi, il contenuto minimo dell’atto costitutivo e dello statuto. La proposta di regolamento sceglie di non disciplinare le questioni inerenti al diritto del lavoro e alla materia fiscale, alla contabilità o all’insolvenza della SPE, né si occupa dei diritti ed obblighi contrattuali della SPE o dei suoi azionisti/detentori di quote diversi da quelli derivanti dall’atto costitutivo. Tali materie restano assoggettate ai regolamenti del diritto nazionale e dagli atti comunitari vigenti, se rilevanti. La proposta della Commissione è stata approvata in prima lettura dal Parlamento Europeo (Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 10 marzo 2009 sulla proposta di regolamento del Consiglio relativo allo statuto della società privata europea (COM(2008)0396 – C6-0283/2008 – 2008/0130(CNS)). Il Consiglio discute, tuttavia, sulle divergenze in materia di capitale sociale e partecipazione dei lavoratori. La valutazione dello scarso successo di diffusione delle società private europee è, però, il tornaconto più opportuno e significativo in tema di difficoltà di applicazione, al di là delle innegabili esigenze teoriche di discussione. 23 Regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell’08.10.2001, relativo allo statuto della Società europea (SE) [Gazzetta ufficiale L 294 del 10.11.2001]; Direttiva 2001/86/CE del Consiglio, del 08.10.2001, che completa lo statuto della Società europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori. La Società europea è un tipo societario predisposto dall’Unione europea al fine di consentire la configurazione di società che possano operare senza gli ostacoli dovuti alla disparità delle legislazioni nazionali. Per le materie non disciplinate direttamente dal Regolamento istitutivo, la società europea è assoggettata alla normativa dello Stato in cui ha sede. In particolare, è regolata dalla legge nazionale per quanto concerne la costituzione (artt. 13 e 15 Reg.); il capitale sociale e la sua salvaguardia, le sue modificazioni, le disposizioni relative alle azioni, alle obbligazioni o ad altri titoli assimilabili (art. 5 Reg.); la responsabilità civile dei membri dell’organo di amministrazione per eventuali danni causati alla SE (art. 51 Reg.); l’organizzazione e lo svolgimento dell’assemblea generale, le procedure di voto e le materie di competenza (artt. 52 e 53 Reg.); la redazione, il controllo e la pubblicità dei conti annuali e dei conti consolidati (art. 61 Reg.); lo scioglimento, la liquidazione e la cessazione dei pagamenti (art. 63 Reg.). Il Regolamento nulla dice, poi, in settori quali la tassazione, la competizione, la proprietà intellettuale. 70 DANIELA MAFFEI nazionali degli stati membri nelle materie (per esempio quella fiscale) non direttamente disciplinate. Uno statuto completo dovrebbe inoltre offrire l’opportunità di definire un maggior numero di questioni problematiche, riducendo i costi di risoluzione di eventuali controversie, pur trattandosi di una integrazione con margini di complessità pregnanti se si considerano le differenze, spesso significative, tra gli ordinamenti statali. La previsione di uno statuto ristretto avrebbe, d’altro canto, il pregio di limitare sensibilmente le “frizioni” con le normative nazionali, e rendere il modello più facilmente accettabile e fruibile24. La scelta definitiva prevista nella Proposta di Regolamento del Consiglio si è appuntata su uno statuto piuttosto dettagliato, articolato secondo uno schema puntuale, coerente con la volontà di completezza in ordine agli elementi fondamentali e alla disciplina della rendicontazione, ed ha tentato di limitare la necessità di iniziative e rinvii alle discipline nazionali25. 3. La disciplina della Fondazione Europea nel Progetto di Statuto La proposta delinea, innanzitutto, il paradigma della Fondazione Europea quale soggetto di pubblica utilità con personalità e piena capacità giuridica in tutti gli Stati membri dell’Unione, caratterizzato da una dimensione transfrontaliera in termini di attività ovvero da un obiettivo statutario che preveda lo svolgimento delle attività in almeno due Stati membri. Le disposizioni generali del capo I della proposta di Regolamento definiscono l’oggetto, le norme applicabili alla Fondazione Europea e le indicazioni utili a chiarire i termini del regolamento. Tra le questioni maggiormente problematiche della disciplina generale vi è, innanzitutto, quella del riconoscimento giuridico dell’ente. Lo studio di fattibilità ha, infatti, riscontrato la prevalenza, negli ordinamenti di civil law, di fondazioni intesi quali enti giuridicamente riconosciuti, a fronte di una maggioranza di organismi privi, invece, di personali24 Semplificando del tutto la questione, potrebbe prevedersi esclusivamente un riconoscimento reciproco della personalità giuridica delle fondazioni o degli omologhi presenti in altri Paesi, purché volti a scopi leciti, con una forma di esenzione fiscale. 25 Questa scelta si giustifica anche in relazione alla circostanza che la disciplina della Società Europea è stata da molti considerata eccessivamente pregna di rinvii alle legislazioni nazionali anche su tematiche di notevole importanza. In argomento si v. infra. La Fondazione Europea 71 tà giuridica nei Paesi di common law, ed organizzati prevalentemente secondo gli schemi delle charities, delle foundations, del trust o di associazioni non riconosciute. La prassi, però, generalmente sfugge alle catalogazioni, e non fa eccezione la materia delle fondazioni, la quale conosce anche l’esistenza, in alcuni stati membri di civil law, di fondazioni senza personalità giuridica che vantano molte similitudini con il trust26. Il progetto di statuto ha privilegiato la certezza del riconoscimento della personalità giuridica in tutti gli Stati membri, predisponendone l’ acquisizione tramite l’iscrizione della fondazione in appositi registri27. Tra i requisiti di carattere generale dell’ente vi è anche quello dell’affidabilità della fondazione, utile innanzitutto a favorire la diffusione e l’impiego dell’istituto ed, in secondo luogo, ad incoraggiare le generose iniziative di potenziali donatori e a dare fiducia alle autorità governative. L’affidabilità è relazionata strettamente all’entità patrimoniale dell’ente, la quale è generalmente in grado di attestare anche la serietà dello scopo della fondazione. Nel tentativo di conciliare l’esigenza dell’affidabilità patrimoniale senza rendere gravemente onerosa la creazione dell’ente, l’art. 7 della Proposta di Regolamento prescrive un patrimonio minimo di costituzione 25.000 euro28. Il capo II della proposta di Regolamento, all’art. 12, definisce i metodi di costituzione della Fondazione, i contenuti minimi dello statuto e i requi26 In alcuni ordinamenti (come Francia, Germania) è consentita anche la costituzione di fondazioni prive di personalità giuridica. 27 Articolo 9, Proposta di Regolamento del Consiglio, cit. Nel recente Parere del Comitato delle Regioni la previsione secondo cui la Fondazione Europea ha capacità giuridica illimitata in tutti gli Stati membri va completata introducendo il seguente riferimento “fatte salve le limitazioni previste dal presente regolamento”. Tali limitazioni sono indicate nella proposta di emendamento dell’art. 11 relativo al perseguimento di un obiettivo di interesse pubblico, di cui, infra, nota 41. 28 Nel Parere del Comitato delle Regioni vi è la proposta di elevare a 50.000 Euro il requisito finanziario per il patrimonio iniziale della Fondazione Europea, con la ulteriore prescrizione che il capitale minimo sia mantenuto per l’intera esistenza della Fondazione Europea, sanzionando la mancata osservanza di questa previsione con lo scioglimento della Fondazione Europea. L’intenzione di tale proposta di revisione si giustifica con l’esigenza di rafforzare ulteriormente la solidità e l’affidabilità dell’ente. Il Parlamento Europeo, con la Risoluzione del 2 luglio 2013 sulla proposta di regolamento del Consiglio relativo allo statuto della fondazione europea (FE) (COM(2012)0035 – 2012/0022(APP)) ha suggerito che il livello minimo di capitale dovrebbe essere mantenuto a 25.000 euro per tutta la durata della fondazione. L’applicabilità di benefici fiscali non rientra, invece, tra gli elementi peculiari dell’istituto, poiché le agevolazioni sono sovente destinate anche ad altri enti (è il caso di associazioni e di aziende tedesche e olandesi. Feasibility Study on a European Foundation Statute, cit. 72 DANIELA MAFFEI siti di registrazione. La Fondazione può, pertanto, essere costituita ex nihilo (per mezzo di una disposizione testamentaria, un atto notarile, una dichiarazione scritta di una persona fisica e/o giuridica o di un ente pubblico, in conformità al diritto nazionale applicabile), per fusione di enti di pubblica utilità legalmente stabiliti in uno o più Stati membri o per trasformazione di un ente nazionale di pubblica utilità legalmente stabilito in uno Stato membro. Il capo III ospita le norme relative al consiglio di amministrazione, agli amministratori delegati e all’organo di vigilanza, anche in materia di conflitti di interesse29, predisponendo la necessità di redigere un bilancio annuale ed una relazione annuale di attività da inoltrare all’ufficio del registro nazionale competente e all’autorità di vigilanza. Il capo IV illustra la possibilità per la Fondazione di trasferire la propria sede in un altro Stato membro, conservando la personalità giuridica ed evitando di procedere alla liquidazione. Il capo V predispone le regole relative alle informazioni e alla consultazione dei lavoratori e dei volontari, escludendo per lo più la partecipazione dei lavoratori agli organi direttivi, in ragione della previsione di tale possibilità in pochi stati membri. Per quanto concerne il capo VI (Scioglimento della FE), la Proposta consente la trasformazione della Fondazione in un ente di pubblica utilità regolamentato dalle leggi dello Stato membro in cui ha la propria sede, a condizione che tale trasformazione sia ammessa dallo statuto. Prevede inoltre le ipotesi di liquidazione connesse al raggiungimento ovvero all’impossibilità dello scopo. Il capo VII attribuisce ampi poteri alle autorità nazionali di vigilanza incaricate, consentendo loro di monitorare efficacemente le attività degli enti di pubblica utilità per cui sono responsabili. Le autorità di vigilanza hanno, pertanto, la facoltà di approvare una modi29 Il Consiglio di amministrazione è composto da almeno 3 membri con piena capacità giuridica. In tema di trasparenza e rendicontazione l’art. 34 del Progetto di Statuto prevede che la Fondazione Europea tenga traccia, in maniera completa e accurata, di tutte le transazioni finanziarie. È inoltre tenuta a redigere e ad inoltrare all’ufficio del registro nazionale competente e all’autorità di vigilanza il bilancio annuale e una relazione annuale di attività. I conti annuali della FE sono sottoposti alla revisione contabile di uno o più soggetti autorizzati a espletare le revisioni legali, in base alle norme nazionali adottate in conformità alla direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. I conti annuali debitamente approvati dal consiglio di amministrazione, unitamente al parere della persona incaricata della revisione dei conti, e la relazione di attività sono soggetti a divulgazione. Le Fondazioni sono inoltre obbligate, in forza degli articoli 45 e 46 della Proposta, a designare un’autorità di vigilanza con il compito di garantire che il consiglio di amministrazione agisca in conformità allo statuto dell’ente e al diritto nazionale applicabile. La Fondazione Europea 73 fica agli scopi della Fondazione, indagare sulle attività svolte da quest’ultima, inoltrare avvertimenti al consiglio di amministrazione richiedendo a quest’ultimo di adempiere allo statuto, al regolamento e al diritto nazionale applicabile, revocare o proporre all’autorità giudiziaria la revoca di un membro del consiglio di amministrazione, ovvero liquidare o proporre la liquidazione della Fondazione all’autorità giudiziaria. Il trattamento fiscale dell’ente è affidato al capo VIII, con l’applicazione automatica per la Fondazione e i rispettivi donatori degli stessi benefici fiscali concessi agli enti nazionali di pubblica utilità. Il capo IX (Disposizioni finali) richiede agli Stati membri di definire le norme in materia di sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni del regolamento e di intraprendere tutte le misure necessarie per garantirne l’attuazione. La proposta include anche una clausola di revisione. 3.1. Segue: l’ interesse generale Gli aspetti maggiormente significativi della disciplina concreta dell’istituto riguardano le finalità da perseguire ed il carattere di “dimensione europea” delle stesse. La definizione dello scopo delle Fondazione europea costituisce, con tutta probabilità, il percorso più delicato, il quale richiede i maggiori interventi di armonizzazione dei contesti giuridici nazionali. Gli scopi della fondazione costituiscono, infatti, per taluni Stati membri, un elemento decisivo della relativa disciplina. In altre parole, nell’ambito della categoria generale di riferimento, alcuni ordinamenti europei adottano discipline differenti in ragione degli scopi prefissati dagli enti, individuando il discrimine nelle finalità a carattere privato contrapposte a quelle di interesse pubblico (è il caso dell’ Austria, del Belgio, della Bulgaria e della Grecia). L’analisi più specifica rintraccia nei vari ordinamenti anche distinzioni tra “fondazioni tradizionali” e “dotazioni di fondi” (per esempio in Austria, Repubblica Ceca, Francia), “raccolta fondi”(Svezia), fondazioni commerciali e fondazioni non commerciali (Danimarca) ovvero, ancora, “open” e “closed foundations” (Ungheria), in riferimento, inoltre, ai differenti tipi di fondazioni (per esempio Fondazioni bancarie italiane) o, nel caso della Francia, tra alcuni tipi di fondazione recentemente introdotte (fondazioni universitarie)30. 30 Nella Repubblica Ceca esistono fondazioni tradizionali, raccolte fondi ed enti riferibili un’altra tipologia giuridica: l’Anstalt, che ha molte similitudini con le fondazioni degli altri stati membri. Da un punto di vista meramente teorico queste istituzioni non sono tradizionalmente considerate come rientranti nel genere delle fondazioni bensì come una ul- 74 DANIELA MAFFEI L’analisi comparata del tema, compiuta con lo studio di fattibilità31, evidenzia come il alcuni ordinamenti resti escluso il ricorso alla fondazione destinata ad esigenze private, essendo, al contrario, espressamente richiesto il perseguimento di finalità di interesse pubblico generale. Il codice tedesco32 si limita, invece, a prescrivere che lo scopo non sia dannoso e, data la modestia dell’ indicazione, si è da tempo diffusa, nella prassi, l’interpretazione volta al attribuire alla fondazione scopi di rilevanza sociale33. Nell’ottica di una armonizzazione efficiente, la scelta di privilegiare in via definitiva le fondazioni con scopi di interesse pubblico si rivela necessaria per due ordini di ragioni: una maggiore chiarezza nell’indicazione delle funzioni tipiche della fondazione, e l’amplificata capacità di accettazione da parte degli stati membri che non riconoscono la fattispecie votata a scopi meramente privati. La definizione di “public benefit” assume, tuttavia, significati differenti sia in rapporto ai vari ordinamenti sia anche in relazione alla materia di riferimento. Il public benefit descritto in materia privatistica (e ritenuto requisito esistenziale della fondazione) si configura differentemente in materia fiscale (in quest’ambito diventa requisito per l’applicazione di benefici prettamente economici), anche se nella prassi le definizioni riconducono, sovente, a figure coincidenti34. Nel tentativo di dare una interpretazione univoca degli interessi a carattere pubblico perseguibili dalla Fondazione Europea possono rappresentarsi almeno tre soluzioni: - una definizione tipica degli scopi riconosciuti di interesse pubblico35; teriore categoria, differente sia dalle fondazioni sia dalle associazioni. Da un punto di vista funzionale, tuttavia, l’istituzione non ha membri ed è significativamente più simile alla fondazione che alle associazioni. 31 Feasibility Study on a European Foundation Statute, cit. 32 Il par. 87, I c., BGB. 33 E .Alfandari, (a cura di) Les associations et fondations en Europe. Régime juridique et fiscal - Les guides pratiques de Juri-Associations. Paris, 1990. 34 A. Fici, Imprese cooperative e sociali. Evoluzione normativa, profili sistematici e questioni applicative, cit., 59. L’Autore, in tema di impresa sociale sottolinea come non vi sia coincidenza tra scopo di interesse generale e scopo non lucrativo, “così come non v’è tra enti che agiscono nell’interesse generale ed enti che agiscono senza scopo di lucro”. Lo scopo di interesse generale costituisce una specie all’interno della categoria delle finalità non lucrative, nell’ambito delle quali possono collocarsi enti che non perseguono l’interesse generale. “L’assenza di scopo di lucro, diretto ed indiretto, in capo alle imprese sociali si spiega naturalmente proprio in ragione delle finalità di interesse generale che esse sono tenute a perseguire: ne è un necessario presupposto.” 35 Nell’ordinamento francese si coglie un generico riferimento all’interesse generale: art. 18 loi n. 87 - 571 del 23 luglio 1987: «La fondation est l’acte par lequel une ou plusieurs personnes physiques ou morales décident l’affectation irrévocable de biens, droits ou res- La Fondazione Europea 75 - una lista aperta, suscettibile di opportune integrazioni 36; - di non fornire alcuna definizione precisa. La soluzione adottata nel Progetto di statuto della Fondazione Europea è votata alla tipicità, con esplicito riferimento nel titolo dell’articolo 537, agli scopi di pubblica utilità. Una definizione tipica, ovverosia un elenco degli scopi di pubblica utilità meritevoli di tutela, favorisce una maggior certezza giuridica, generalmente consona, peraltro, alle scelte di tipicità; gli svantaggi sono, d’altra sources à la réalisation d’une oeuvre d’intérêt général et à but non lucratif.» Il legislatore spagnolo, indica invece in maniera dettagliata le attività suscettibili di rientrale nella categoria di interesse generale: Art. 3, I c.: «Las fundaciones deberán perseguir fines de interés general...» ed esclude che possano essere costituite per erogare prestazioni al fondatore od ai suoi congiunti Art. 3, III c.:«En ningún caso podrán constituirse fundaciones con la finalidad principal de destinar sus prestaciones al fundador o a los patronos, a sus cónyuges o personas ligadas con análoga relación de afectividad, o a sus parientes hasta el cuarto grado inclusive, así como a personas jurídicas singularizadas que no persigan fines de interés general ...». 36 Molti stati membri hanno scelto di non servirsi una definizione precisa, oppure di riferirsi ad una c.d. “open list”. L’Ungheria ha previsto una lista di scopi ad interesse pubblico meritevoli di tutela. Secondo la definizione, i benefici pubblici riguardano: tutela della salute e prevenzione di malattie; attività sociali di cura della famiglia e degli anziani; ricerca scientifica; istruzione ed educazione scolastica, sviluppo delle abilità personali e diffusione della cultura; conservazione dell’eredità culturale; conservazione dei monumenti storici; protezione degli animali e della natura; protezione dell’ambiente; protezione dei bambini e dei ragazzi; promozione delle pari opportunità; protezione dei diritti umani e civili; tutela dello sport non professionale; ordine pubblico e protezione dei consumatori; tutela del lavoro e promozione della formazione per gruppi svantaggiati nel mercato dl lavoro; promozione dell’integrazione europea; attività connesse con il controllo delle inondazioni e danni dell’acqua attività connesse con la costruzione, manutenzione e gestione di pubbliche strade, ponti e gallerie. 37 Art. 5, Proposta di Regolamento del Consiglio. Scopo di pubblica utilità: La FE è un ente costituito separatamente per uno scopo di pubblica utilità. 2. La FE opera al servizio dell’interesse pubblico in genere. Può essere costituita soltanto per gli scopi di seguito elencati e ai quali il suo patrimonio è irrevocabilmente destinato: (a) arte, cultura o conservazione del patrimonio storico; (b) tutela ambientale; (c) diritti civili o umani; (d) eliminazione delle discriminazioni basate su sesso, razza, etnia, credo religioso, disabilità, orientamento sessuale o altre forme di discriminazione prescritte dalla normativa; (e) assistenza sociale, inclusa la prevenzione della povertà o il soccorso ai poveri; (f) aiuti umanitari o soccorsi in caso di disastro; (g) aiuti e cooperazione allo sviluppo; (h) assistenza ai rifugiati o agli immigranti; (i) tutela e sostegno a bambini, giovani o anziani; (j) tutela o assistenza alle persone con disabilità; (k) tutela degli animali; (l) scienza, ricerca e innovazione; (m) educazione e formazione; (n) comprensione europea e internazionale; (o) salute, benessere e assistenza sanitaria; (p) tutela dei consumatori; (q) tutela o assistenza alle persone vulnerabili e svantaggiate; (r) sport amatoriali; (s) sostegno alle infrastrutture per organizzazioni di pubblica utilità. 76 DANIELA MAFFEI parte, evidenti nell’inettitudine di una definizione chiusa ad adattarsi agli sviluppi ed alle mutevoli esigenze socio economiche38. Gli inconvenienti connessi all’ inflessibilità sono presumibilmente alla base della decisione dei legislatori nazionali di limitare il ricorso alla elencazione degli scopi pubblici meritevoli di tutela. In concreto, infatti solo alcuni Stati membri che richiedono l’esistenza di un interesse pubblico nella disciplina sulle fondazioni, anche in riferimento alla normativa fiscale, ne danno una definizione capillare. Nel tentativo di assecondare l’ovvia esigenza di minimizzare le incertezze, la Proposta ha predisposto una definizione di benefici di carattere pubblico comprensiva, innanzitutto, di quelli accettati ed indicati dagli ordinamenti di tutti gli Stati membri. D’altra parte, una disciplina estremamente puntuale avrebbe potuto vanificare l’applicazione pratica, escludendo, tra le altre, alcune esigenze connesse a scienze in rapido divenire. L’ambizione all’esaustività incontra nella prassi numerose difficoltà, e pertanto l’analisi muove innanzitutto dalle considerazione per cui la realtà fenomenica imprescindibile è che la fondazione volta al perseguimento di scopi di interesse pubblico è il paradigma più rilevante e diffuso di fondazione negli stati membri, al quale può, generalmente, riferirsi ogni scopo lecito a carattere filantropico. Nel parere sul Progetto di Statuto, il Comitato delle Regioni39 suggerisce la sostituzione della definizione di pubblica utilità di cui all’art. 5 del Progetto con la locuzione “scopi interesse pubblico”, ritenuta un utile compromesso tra “pubblica utilità” e “interesse generale”, capace peraltro di limitare i rischi di confusione con i requisiti di natura fiscale o amministrativa determinanti, in alcuni Stati, per attribuire alle fondazioni agevolazioni economiche40. 38 L’aggiornamento dell’elenco degli scopi potrebbe poi rivelarsi un’operazione complessa e lunga, poiché le modifiche alla disciplina possono attuarsi esclusivamente con decisione unanime del Consiglio, previa approvazione del Parlamento europeo in occasione della prima revisione del regolamento, a sette anni dalla entrata in vigore. 39 Parere 2013/C 17/13, cit. 40 Il Comitato delle Regioni propone inoltre una definizione più precisa degli sport amatoriali di cui al numero 57 dell’art. 5, considerando tale definizione utile nella misura in cui, in funzione dello sport considerato, le pratiche variano da uno Stato all’altro e tenendo conto del fatto che taluni sport ritenuti amatoriali vengono tuttavia praticati ad un livello e a condizioni assimilabili all’esercizio di un’attività professionistica, che non rientra nell’ambito dell’interesse pubblico. Inoltre il Comitato delle Regioni giudica necessario includere nell’elenco la difesa delle vittime di ogni forma di violenza. Nel Parere del Parlamento Europeo del 2 luglio 2013, cit., vi è invece il suggerimento di inserire nell’elenco La Fondazione Europea 77 L’introduzione dell’“interesse pubblico” degli scopi presuppone, però, una definizione univoca per tutti gli Stati membri, in grado di escludere i riferimenti normativi a carattere meramente fiscale. Condivisibili perplessità sono, tuttavia, stata espresse anche dal Comitato economico e sociale europeo41 nella recente valutazione della Proposta di Regolamento, in ordine alla traducibilità della locuzione public benefit. La nozione può, al contempo, riferire sia dell’utilità pubblica sia dell’interesse generale degli scopi e, pertanto, concretarsi in fattispecie giuridiche interne già esistenti e dotate del relativo specifico corollario di obblighi e requisiti. Nella pratica, l’ambivalenza semantica crea incertezze riguardo agli enti di pubblica utilità che possano trasformarsi in una Fondazione Europea, ad esclusione dei casi in cui siano gli Stati membri a specificarlo in maniera chiara ed univoca42. degli scopi il sostegno alle vittime del terrorismo e di atti di violenza e la promozione del dialogo interreligioso. Pur dando inoltre per accertato che la Fondazione non debba perseguire scopi lucrativi, il Comitato delle Regioni evidenzia che tali enti devono poter esercitare attività economiche connesse alle funzioni di interesse pubblico. Pertanto, propone di definire meglio i limiti, previsti dall’art. 11, entro i quali una Fondazione europea può svolgere attività redditizie. L’obiettivo dell’emendamento proposto per l’art. 11 è disciplinare la capacità di una FE di esercitare attività economiche, in modo da evitare che perda il suo carattere essenziale di organismo senza fini di lucro effettuando in modo abusivo delle operazioni puramente commerciali non correlate alla sua missione. Pertanto le attività economiche non devono essere dissociabili dalle funzioni di interesse pubblico e gli utili devono essere esclusivamente impiegati per perseguire gli scopi di interesse pubblico. Nella proposta di emendamento, al secondo comma è inoltre previsto che l’esercizio di attività economiche non correlate allo scopo di interesse pubblico della Fondazione Europea possa essere autorizzato entro un limite del 10 % delle risorse annue nette della stessa, a condizione che i risultati di tali delle attività siano esposti separatamente in bilancio e vengano totalmente impiegati per perseguire gli scopi di interesse pubblico. Il secondo comma dell’art. 11 della Proposta di Regolamento prevede, invece, semplicemente che le attività economiche non correlate allo scopo di pubblica utilità della FE possono costituire al massimo il 10 % del fatturato annuo netto della stessa, a condizione che i risultati delle attività non correlate siano esposti separatamente in bilancio. 41 Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio sullo statuto della fondazione europea (FE) COM(2012) 35 final — 2012/0022 (APP) (2012/C 351/12). 42 A giudizio del CESE, spetta agli Stati membri specificare quali enti e fondazioni di pubblica utilità possano trasformarsi in una FE o fondersi per formarne una. Questo escluderebbe, per definizione, gli enti non registrati, come i trust, ma coprirebbe fondazioni con scopi di pubblica utilità che in alcuni Stati membri ospitano fondi non autonomi e fondi di dotazione di pubblica utilità. 78 DANIELA MAFFEI 3.2 Segue: la componente transfrontaliera Un altro elemento essenziale, suscettibile, tuttavia, di definizione eterogenea è la “componente transfrontaliera” della fondazione, ovverosia la vocazione europea della relativa attività non lucrativa, che ne giustifichi le esigenze connesse agli scopi transnazionali. I requisiti e i limiti della “dimensione europea” non sono agevolmente tracciabili, potendo riferirsi sia ad un criterio geografico sia ad uno sociopolitico, ovvero correlarsi esclusivamente alla prerogativa rintracciabile nella vocazione a carattere ultra nazionale delle attività, latamente intesa. In altre parole, la dimensione europea della fondazione potrebbe essere integrata da due requisiti – alternativi ovvero cumulativi – riferiti direttamente agli scopi: il primo riconducibile all’esigenza che la fondazione europea promuova un fine di interesse generale condiviso, il secondo riferito al presupposto “geografico” che conduca le proprie attività in più stati membri. Una fondazione con scopi meramente “nazionali”, infatti, non necessitando di svolgere attività transfrontaliere, non avrà l’esigenza di una veste giuridica europea in grado di valicare le barriere nazionali in materia fiscale o di diritto privato. Definire l’interesse europeo di uno scopo ovvero di un’attività svolta dalla fondazione si è rivelata un’operazione complessa. L’art. 6 (componente transfrontaliera) del progetto di Statuto richiede il requisito “geografico” dello svolgimento delle attività in almeno due Stati membri43. Questa definizione, nella prassi, si espone a numerose obiezioni, in ragione della necessaria esclusione di alcune attività dalla relativa categoria. Alcuni interessi pubblici, latamente intesi, sono, infatti, riconosciuti di valore intrinsecamente internazionale (sviluppo della scienza e delle conoscenze, tutela del patrimonio artistico), tanto da privare di importanza le valutazioni meramente geografiche della presenza dell’ente in diversi Stati membri. A titolo esemplificativo, si pensi ad una fondazione per la tutela di un bene culturale universalmente riconosciuto, ovvero ad un museo di generale interesse storico-artistico i quali perseguono indubbiamente un interesse pubblico a carattere europeo, malgrado la controversa e forse artifi- 43 Proposta di REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO sullo statuto della fondazione europea (FE) /* COM/2012/035 final - 2012/0022 (APP) */L’art. art. 6 sulla componente transfrontaliera prevede che al momento della registrazione, la FE deve svolgere le proprie attività, o avere l’obiettivo statutario di farlo, in almeno due Stati membri. La Fondazione Europea 79 ciosa questione se la fondazione sia attiva in uno solo o in più stati membri. La problematica inerente ai requisiti necessari affinché gli scopi possano considerarsi “sufficientemente europei” comporta incertezze definitorie che rischiano di invalidare, nella prassi, i tentativi di armonizzazione. La componente transfrontaliera a carattere meramente geografico, come intesa nel progetto, può concretamente disincentivare le operazioni internazionali anche solo di alienazione di immobili, per esempio. Per aggirare le difficoltà definitorie ed i relativi risvolti problematici, vi sarebbero state buone ragioni per seguire l’approccio dello statuto della società privata europea, il quale non richiede alcuna componente transfrontaliera per la costituzione dell’ente, sul presupposto che gli imprenditori fondano generalmente l’impresa nel proprio Paese d'origine prima di estendere le attività in altri Paesi. In ragione di questa valutazione, il requisito della componente transfrontaliera richiesto nel Progetto di Statuto è da alcuni stato considerato una restrizione motivata politicamente, totalmente priva di riscontri in atre fattispecie 44. Un ulteriore, ragionevole, espediente avrebbe potuto suggerire la definizione di “dimensione europea” in termini molto ampi, in grado di includere le attività più diffuse tra le fondazioni, compresa la conclusione di negozi a carattere transfrontaliero. La connotazione di carattere prettamente geografico delle attività dell’ente è stata, tuttavia, considerata, nel parere del Comitato delle Regioni, idonea alle esigenza della disciplina ed, anzi, bisognosa di rafforzamento e, pertanto, il Comitato ha suggerito che il requisito della componente transfrontaliera non sia riscontrabile esclusivamente al momento della costituzione ma permanga nel corso dell’intera esistenza dell’ente45. Nel caso di una fondazione di recente costituzione, che non abbia ancora intrapreso 44 Proposta di Regolamento del Consiglio relativo allo statuto della Società privata europea (SPE, Bruxelles, 25.6.2008 COM(2008) 3969. La proposta non subordina la creazione della società privata europea ad una rilevanza transfrontaliera (ad esempio l’appartenenza degli azionisti a vari Stati membri o la prova dell’esercizio di attività transfrontaliere). Il requisito iniziale di rilevanza transfrontaliera ridurrebbe sensibilmente il potenziale dello strumento. Inoltre, tale requisito potrebbe essere facilmente aggirato, e l’obbligo di controllarne il rispetto costituirebbe un onere irragionevole per gli Stati membri. 45 L’obiettivo dell’emendamento è potenziare la componente europea della Fondazione, garantendo che essa svolga realmente le proprie attività in più Stati membri per l’intera sua esistenza e non solo al momento della registrazione. La stessa esigenza è condivisa anche dal Comitato economico e sociale europeo nel parere COM(2012) 35 final – 2012/0022 (APP) (2012/C 351/12), del 15.11.2012., cit. e dal Parlamento Europeo, Risoluzione del 02 luglio 2013, cit. 80 DANIELA MAFFEI attività al momento della registrazione, la relativa dimensione europea deve essere sancita nell’obiettivo statutario. La trasformazione di una fondazione già esistente in una fondazione europea è, invece, pressoché interdetta da tali previsioni, a meno che il fondatore non abbia avuto la lungimiranza di riferire gli obiettivi statutari ad una dimensione transfrontaliera. 4. La Fondazione Europea tra “moderna filantropia” e il modello delle fondazione di comunità. Numerosi studi riconducono il recente florido sviluppo del non profit all’interesse suscitato dalla materia nel nord America, in ragione anche delle agevolazioni tributarie riservate alle attività degli enti di categoria46. Il fiorire dell’economia improntata su presupposti non lucrativi non può ricondursi esclusivamente ad un fenomeno di importazione- imitazione anglo-americano, essendo, al contrario, l’attitudine filantropica e gli scopi caritatevoli parte integrante della tradizione culturale continentale. Le iniziative caritatevoli hanno, però, goduto di alterne vicende, tanto da ottenere il giudizio di fenomeno di imitazione ovvero di autonoma iniziativa in relazione, anche, al contesto storico di riferimento. Un dato agevolmente rilevabile è che il tema delle fondazioni si interseca con quello del trust 47, con il quale condivide gli aspetti essenziali della 46 Si veda A. Fusaro, Le fondazioni in Europa: i modelli, cit. Il tema è stato ampiamente affrontato da H. B. Hansmann, The Role of Nonprofit Enterprise, 89 Yale L.J. 835 19791980, 835 ss. sul ruolo del settore nonprofit nello sviluppo economico statunitense, ed è occasione per tracciare anche le caratteristiche dei singoli enti protagonisti del settore. La flessibilità della normativa statunitense in materia permette alle organizzazioni non profit di assumere una certa varietà di forme. Gli enti cui l’Autore fa riferimento sono: i colleges, gli ospedali, le case di cura, gli istituti di ricerca, le orchestre, le chiese. La fondazione è, invece, considerata un intermediario filantropico che non produce beni e servizi, traducendo in questa definizione la logica del non profit sottesa alla fondazione a carattere privato, e facendo diretto riferimento alla fondazione tradizionalmente intesa e riconducibile ai desideri filantropici di un soggetto dotato di un discreto patrimonio. Cfr. anche V. Bancone, Tecniche di filantropia. Il ruolo del trust nel modello delle fondazioni di comunità, cit., 46 ss. Negli Stati Uniti all’associazionismo caritatevole già consolidato si affiancò, a partire dal Novecento, una presenza marcata di fondazioni e corporation, le prime dotate di grandi patrimoni costituiti con lasciti e donazioni mortis causa, le seconde dotate di patrimoni vincolati al perseguimento di uno scopo determinato ad opera di società for profit. 47 H. B. Hansmann - U. mattei, The Functions of Trust Law: a Comparative Legal and Economic Analysis, 73 N.Y.U. L. Rev. 434, 1998. A lungo l’istituto del trust è stato considerate uno dei maggiori elementi di distinzione tra il sistema giuridico anglosassone e quello europeo continentale. Il trust è una tra le più importanti creazioni di equity e per centinaia di anni ha avuto un ruolo importante nel sistema giuridico di common law. Negli or- La Fondazione Europea 81 trasmissione patrimoniale e del carattere fiduciario della stessa, inducendo i giuristi continentali a considerarlo referente dell’ istituto della fondazione nel panorama europeo di common law. Queste similitudini hanno ottenuto l’interesse di numerosi studi48, e sovente i provvedimenti normativi si affidano a discipline che presentano una sorta di contaminazione delle regole della fondazione con quelle del trust49. La commistione è finalizzata al privilegio degli aspetti più funzionali dei due istituti: da una parte la fondazione è una fattispecie di agevole comprensione, schematica e per certi versi meno esposta al rischio di abusi, e che si giova dei vantaggi della personalità giuridica e dell’assenza di beneficiari titolati; d’altra parte il trust è meno formalistico. Il trust conserva, tuttavia, uno scopo propriamente egoistico: storicamente è, infatti, stato utilizzato per governare interessi connessi alla singola struttura familiare, o ad un ristretto gruppo omogeneo. Lo scopo filantropico, al contrario, si assesta quale elemento delle fondazioni radicato anche nelle scelte del legislatore nazionale. Al di là dell’innegabile, recente, influenza della cultura anglosassone, l’inclinazione all’assistenza filantropica, dal Medioevo sino alla rivoluzione industriale, costituisce il più efficace sistema di assistenza sociale anche in Italia50. dinamenti di civil law invece l’istituto non è contemplato nella sua forma più generale. La common law conosce due tipologie di trust: private e charitable trusts. Mentre negli ordinamenti continentali ancora non trova diffusione il private trust, si ritrova nella fondazione un istituto assimilabile al charitable trust. 48 Si veda M. Lupoi, Sistemi giuridici comparati, traccia di un corso, Napoli, 2001: il fenomeno consistente nell’introduzione della “International foundation” nelle giurisdizioni offshore che hanno accolto il trust è stato definito flusso controcorrente, intendendo per “flusso giuridico” qualsiasi dato dell’esperienza giuridica il quale, proprio di un ordinamento, sia percepito in un altro e qui introduca un elemento di squilibrio. «La percezione del dato dell’esperienza giuridica ne fa un flusso quando se ne avverta la rilevanza; ed è allora che il contesto nel quale la percezione avviene entra in uno stato di squilibrio. Lo squilibrio prodotto dal flusso è funzione della percezione e della qualità del flusso così prodotto. Ciascun sistema tende alla stabilità e quindi il flusso giuridico viene alla fine o respinto o metabolizzato». Cfr. P. Panico, Fondazioni private nelle giurisdizioni di common law: un flusso controcorrente, in Trust e attività fiduciarie, 2006, 507 e ss. 49 Tra queste: la previsione del protector e dell’esaltazione dell’autonomia statutaria cui è consentito riservare a sé il controllo della fondazione e limitare diritti e poteri dei beneficiari. V. Bancone, Tecniche di filantropia. Il ruolo del trust nel modello delle fondazioni di comunità, 2010, 1, 46 ss. 50 In quel periodo, in tutta Europa le organizzazioni privatistiche di ispirazione sia laica sia religiosa tentavano di sopperire alla mancanza di politiche di erogazione di servizi alla persona. Si veda: F. Alleva, L’impresa sociale italiana, Milano 2007, 3 ss. 82 DANIELA MAFFEI L’attitudine solidaristica si registra nella letteratura storico-sociale e nelle conseguenti scelte legislative del nostro ordinamento sin dalla diffusione delle società di mutuo soccorso, così come della filantropia privata. Dalla fine dell’Ottocento, in Italia, le istanze di carattere umanitario intervengono ad allargare agli associati, con l’intento di fronteggiare la povertà e l’emarginazione connessa alla rivoluzione industriale: gli interventi di aiuto umanitario, e le cosiddette opere pie tentano, così, di sopperire alle lacune delle politiche governative. Successivamente, il fenomeno della c.d. manomorta, insieme alle istanze di cultura borghese veicolate dalla rivoluzione francese che consideravano intollerabili gli intermediari tra Stato e cittadino, tanto più se di origine ecclesiastica, ha contribuito al declino del settore privato nel campo sociale51. Gli interventi legislativi del XIX secolo contribuiscono ad accantonare definitivamente i cosiddetti “corpi intermedi52. Le istanze liberali connesse alla rivoluzione francese hanno, tuttavia, risparmiato alcune organizzazioni private a vocazione sociale di origine laica, tra le quali a titolo esemplificativo, la banche popolari e le casse rurali, 51 Nel Codice Civile del 1865 vi era una diffidenza esplicita nei confronti dei c.d. corpi intermedi, ovverosia gli enti collettivi che non svolgevano attività imprenditoriale. La mancanza di una connotazione economica dell’attività dell’ente collettivo ne impediva il riconoscimento, ad eccezione di quegli enti collettivi che pur non svolgendo attività imprenditoriale ricevevano un atto formale di riconoscimento governativo, pur con un invasivo controllo di legittimità e merito. È, peraltro, un provvedimento comune anche agli altri codici adottati in Europa sul modello del Code Napoleon. La diffidenza della rivoluzione francese nei confronti degli enti collettivi privi di attività imprenditoriale in tutta Europa riguarda soprattutto quelli a carattere religioso. Si veda A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli 1995, 20 ss. Le fondazioni a carattere religioso sino ai primi del Novecento non ricevettero alcun tipo di disciplina, ritrovandosi in una situazione di precarietà condivisa con gli altri enti collettivi non riconosciuti. Tra le espressioni di tale precarietà vi era il costante pericolo di espropriazione dei beni da parte delle amministrazioni pubbliche. Nei Paesi d’Europa che adottarono codici civili sul modello napoleonico si diffusero anche negozi di natura fiduciaria a favore di persone fisiche compiacenti, volti a d aggirare i divieti imposti alle organizzazioni prive di personalità giuridica, specie a carattere religioso. Si veda anche F. Galgano, Persone giuridiche, in Commentario del Codice civile, diretto da Scialoja e Branca- Bologna Roma, 125 ss. 52 Lo statuto albertino del 1848 non contemplava il diritto di associazione bensì solo quello di riunione, di conseguenza, la mancanza di una tutela costituzionale espressa consentì al legislatore di adottare provvedimenti sfavorevoli agli enti collettivi, al fine di circoscrivere il loro potere. M. Capecchi, Evoluzione del terzo settore e disciplina civilistica. Dagli enti non lucrativi alla “impresa sociale”, Padova 2005, 10 ss. La Fondazione Europea 83 alle quali però il legislatore ha imposto un corollario di obblighi e restrizioni53. Da tali organizzazioni, a seguito di numerosi interventi di Welfare State, trae origine la fondazione bancaria, la cui diffusione costituisce un’importante tappa del percorso di crescita della politica delle scelte filantropiche nazionali. Le fondazioni bancarie sono il risultato della privatizzazione del controllo statale, e si organizzano intorno ad esigenze di natura prevalentemente privata, divenendo soggetti privilegiati dei nuovi metodi di promozione benefica54. Gli scopi di natura meramente privata sono stati gradualmente affiancati a quelli a vocazione pubblica, soprattutto nell’ambito della promozione e diffusione di iniziative culturali, con una crescente attenzione agli interessi della comunità di appartenenza e del relativo territorio. Da questa diffusione traggono gradualmente origine le “fondazione di comunità” . Sulla natura di tale diffusione può, tuttavia, argomentarsi che si tratti di un’ipotesi di importazione di un modello normativo preesistente, essendo la fondazione di comunità già conosciuta in altri ordinamenti. Sebbene, dunque, la primaria diffusione di enti a carattere filantropico non è un fenomeno di imitazione, al contrario la “riscoperta” del “privato sociale” del secolo appena trascorso è di ispirazione statunitense e si presenta con una connotazione moderna, influenzata da scelte di natura capitalistica o, meglio, riferibili ai modelli di organizzazione aziendale55. 53 Oltre al riconoscimento governativo il provvedimento legislativo che contribuì a limitare la vita economica degli enti intermedi fu il r.d. 26 giugno 1864 n. 1817 esecutivo della c.d. legge Siccardi (L. 5 giugno 1850, n. 1037), che prevedeva l’obbligo della autorizzazione governativa per ogni singolo acquisto di immobili, accettazione di donazioni ed eredità e conseguimento di legati. La legge aveva l’intento di combattere e prevenire il fenomeno della manomorta degli enti ecclesiastici ma il regolamento attuativo, successivo di quattordici anni, venne esteso ad ogni tipo di persona giuridica, riconosciuta o meno. 54 V. Bancone, Tecniche di filantropia. Il ruolo del trust nel modello delle fondazioni di comunità, cit., 46 ss. 55 Si veda: S. Rushton - O. Williams, Partnerships and Foundations in Global Health Governance, cit., p. 145 ss.: la filantropia nella connotazione più moderna è caratterizzata da influenze di natura capitalistica, tanto da far riferimento al neologismo Philanthrocapitalism. Il termine talvolta utilizzato al posto di ‘new philanthropy’, ‘venture philanthropy’, e ‘profit-making philanthropy’, considera due aspetti: l’applicazione delle abilità economiche insieme alle tattiche filantropiche e inoltre lo sfruttamento del mercato per raggiungere cambiamenti sociali. Si veda S. Zamagni, Dalla Filantropia d’impresa all’imprenditorialità sociale, da East, num. 6, 2006, 6. Già intorno alla metà dell’Ottocento, in Europa dapprima e negli Stati Uniti poi, inizia a prendere corpo l’idea di filantropia d’impresa. L’Autore fa riferimento alle attività di imprenditori quali gli Schneider, i Michelin, Alessandro Rossi che ha operato nel vicentino 84 DANIELA MAFFEI Nel medesimo periodo in cui l’Europa continentale esprimeva tutta la propria diffidenza nei confronti del sistema degli enti non lucrativi, nel Regno Unito e negli Stati Uniti le charities trovavano una definizione più moderna e funzionale, rappresentata anche dalle cosiddette “community foundations”. La community foundation trova la sua originaria espressione negli Stati Uniti, agli inizi del Novecento, e persegue il principale intento di incanalare le risorse di una determinata comunità in favore di progetti filantropici inerenti ai bisogni della comunità stessa56. Le contestuali esigenze che favoriscono la nascita delle fondazioni di comunità si rintracciano nella volontà di evitare la dispersione di donazioni e di incentivare, al contrario, i generosi progetti di singoli, altrimenti dissuasi dalla scarsa fiducia nelle istituzioni (università o altri enti pubblici e privati), ovvero, ancora, dall’inesperienza. Per tali ragioni, le community foundation si diffondono per lo più in territori ad alto tasso di problematiche socio-economiche e su iniziativa, generalmente, di fondazioni private che si preoccupano di fornire le risorse necessarie al patrimonio iniziale e lasciano i successivi sovvenzionamenti ai meccanismi cosiddetti matching grants57. Dal punto di vista della qualificazione giuridica in senso stretto, l’ordinamento statunitense riconduce le community foundations al genere e di Robert Owen in Inghilterra, i quali hanno contribuito alle organizzazioni di asili, scuole società musicali e luoghi di culto, nel rispetto, però, dei principi della gerarchia di impresa. Negli Stati Uniti Carnegie e Rockefeller incarnano il moderno modello filantropico del capitalismo che spesso si serve della fondazione. Su questo modello nel 1864 J. H. Dunant ha fondato la Croce Rossa. Cfr. anche G. Passarelli, L’ordinamento del credito e il ruolo delle fondazioni filantropiche negli USA, in G. Cerrina Ferroni (a cura di) Fondazioni e banche, Torino, 2011, 180 ss. 56 G.M. Riccio, Community foundations e circolazione dei modelli giuridici, in P. Hoelscher - B. Casadei, Le fondazioni comunitarie in Italia e Germania, 67: le community foundations sono espressione della moderna dicotomia tra globale e locale. È evidente che tali enti operano in un ambito esclusivamente locale, a favore di una realtà geografica circoscritta (e, generalmente predeterminata negli statuti) e contestualmente sono il risultato di un processo di imitazione di un modello inizialmente diffuso nei sistemi di common law; solo successivamente il processo di circolazione ha coinvolto anche paesi dell’area di civil law, tra cui l’Italia e la Germania. 57 V. Bancone, Tecniche di filantropia. Il ruolo del trust nel modello delle fondazioni di comunità, cit., 46 ss. Il meccanismo dei matching grants prevede che ad ogni donazione di privati la fondazione contribuisca con una sovvenzione proporzionale all’offerta del privato. La Fondazione Europea 85 delle charities, riconosciute tali dalla section 501 (c) (3) dell’ Internal Revenue Code, purché rispettino il divieto di distribuzione degli utili58. Gli scopi delle “fondazioni comunitarie” si attestano principalmente sulla costituzione di un patrimonio per finanziare l’attività di promozione sociale della comunità in cui operano59, per lo sviluppo dei territori di riferimento, utilizzando allo scopo forme dell’istituto molteplici, accumunate, però, dalla garanzia di una forte partecipazione da parte della comunità60. Generalmente, gli elementi vitali della community foundation sono l’alto numero di donatori, i quali possono contare su numerose possibilità e differenti modi di donazione, una ampia gamma di settori di intervento, (dal welfare alla cultura, dall’istruzione all’ambiente) e la concentrazione dei progetti su un territorio definito. Nell’esperienza statunitense, inoltre, la community foundation si erge a ruolo di garante, in funzione super partes rispetto alla comunità locale e assicura così affidabilità all’investitore. 58 La previsione normativa riguarda tutti gli enti non-profit e vieta non solo la distribuzione diretta degli utili ma anche le forme di distribuzione indiretta, quali, ad esempio, l’aumento smisurato degli stipendi dei dipendenti oppure i rimborsi maggiorati. Si veda l’approfondita analisi di H. B. Hansmann, The Role of Nonprofit Enterprise, 89 Yale L.J. 835 1979-1980, 835 ss. sul ruolo del settore noprofit nello sviluppo economico statunitense. La fondazione negli Stati Uniti conosce differenti declinazioni con altrettante diverse discipline normative. Vi è la distinzione, già riferita, in fondazioni private e pubbliche: le prime generalmente godono di un regime fiscale meno favorevole; le Public Foundations possono invece contare sulle donazioni pubbliche e questo elemento le distingue dalla Private Foundations. Vi sono poi altre distinzioni: Grant – Making Foundations, Corporate Foundations, Operated Foundations e Community Foundations. Cfr. G. Passarelli, L’ordinamento del credito e il ruolo delle fondazioni filantropiche negli USA, cit., 188 ss. 59 Le previsioni normative (section 501 (c) (3) dell’Internal Revenue Code) richiedono che l’azione delle community foundations sia esclusivamente rivolta a scopi altruistici. A livello interpretativo non vi è però estrema rigidità, tanto che sono ammesse attività di natura non prettamente filantropica, ma anche solo indirettamente rivolte alle necessità degli enti non profit. H. B. Hansmann, The Role of Nonprofit Enterprise,cit. 874. L’ Internal Revenue Code prevede il requisito della non distribuzione degli utili come condizione necessaria per l’applicazione di agevolazioni fiscali. Le organizzazioni ricomprese nella normativa sono Corporations, organizzazioni di fondi, fondazioni operanti per fini religiosi, caritatevoli, scientifici, letterari, sportivi amatoriali. Le Community Foundations prevedono generalmente un elevato numero di donatori e sono prive di dominus, infatti anche la redazione dello statuto si caratterizza come attività comunitaria. G. Passarelli, L’ordinamento del credito e il ruolo delle fondazioni filantropiche negli USA, cit., 188 ss. 60 L’approccio “bottom up”, ovverosia di grande favore dell’azione del singolo, in Germania, è presente anche nella denominazione Buergerstiftung: fondazione di cittadini. Si veda: F. Ferrucci, Le fondazioni comunitarie in Italia, in P. Hoelscher - B. Casadei a cura Le Fondazioni comunitarie il Italia e in Germania Berlino, 2006, 33 ss. 86 DANIELA MAFFEI Il modello teorico della community foundation statunitense si rintraccia in Italia sul finire degli anni Novanta61, nelle fondazioni delle comunità locali costituite allo scopo – da un lato – di recepire le diverse istanze sociali ed economiche che si generano dalla comunità di cittadini e delle istituzioni e – dall’altro – di rafforzare i legami solidaristici attraverso un’attività di raccolta, gestione ed erogazione di una pluralità di fondi atti a finanziare progetti di utilità sociale. La fondazione di comunità è considerata uno strumento flessibile offerto alla comunità e dalla stessa guidato al fine di realizzare principi di solidarietà sociale62, e destinato con tutta probabilità a conoscere una maggiore diffusione . Conclusioni Il progetto di Fondazione Europea condivide con le fondazioni di comunità una prospettiva di carattere meramente concettuale, costituita dall’attitudine a rivolgersi alle esigenze di un determinato territorio, sostituendo, tuttavia, alla vocazione locale diretta a territori ristretti le necessità di intervento di una comunità coincidente con il territorio politico europeo. I vantaggi di tale iniziativa riguardano soprattutto l’opportunità di incanalare le risorse in favore di progetti di interesse generale, evitando lo spreco di risorse. Presupposto imprescindibile per l’applicazione efficace dello strumento della fondazione comunitaria alle esigenze allargate dell’Europa è il sen61 In Italia le fondazioni di comunità si sono diffuse sull’esempio della Fondazione Cariplo. Per un’analisi dettagliata si veda: A. Fici, Profili civilistici dell’attività erogativa,delle fondazioni, in Scritti per la costituzione del Dipartimento giuridico dell’Università del Molise, Ripalimosani (CB), 2012, 387-440. A seguito dell’impulso dato dalla Fondazione Cariplo, il modello è stato adottato da altre fondazioni di origine bancaria e da altri enti pubblici e privati. A partire dagli anni Novanta, il processo di riforma delle fondazioni di origine bancaria ha necessariamente condotto tali enti al ripensamento della propria identità al fine di elaborare una nuova strategia. Divincolatisi dalla banca d’origine, si trovano costretti dalle disposizioni normative ad intervenire in settori per i quali mancano di competenze specifiche. Per tale ragione gli enti scelgono sovente di svolgere una funzione di fondazione di erogazione anziché gestire in via diretta i propri progetti, sfruttando, peraltro, l’esperienza acquisita nella gestione delle casse di risparmio. Le fondazioni di origine bancaria devono quindi servirsi di organizzazioni indipendenti ed autonome e da questa necessità prende origine il primo progetto di fondazione di comunità. 62 F. Ferrucci, La promozione del welfare societario a livello locale: il ruolo delle fondazioni comunitarie, in I. Bartholini (a cura di), Capitale sociale, reti comunicative e culture di partecipazione, Milano, 2008, 91-104. La Fondazione Europea 87 so di appartenenza dei sostenitori, e l’incentivo alla propensione al dono e alla filantropia. L’aspetto filantropico, come già detto, non è mai stato trascurato dalla tradizione culturale europea, pur assumendo prerogative differenti nei vari Stati. Il senso di appartenenza degli europei è, verosimilmente, un sentimento ancora in divenire e, per tale ragione, non del tutto pronto ad asservirsi alla realizzazione di progetti condivisi per il tramite della destinazione di risorse spesso ingenti. Prima di introdurre valutazioni che, ancora prive di un riscontro pratico, rischiano di assecondare una visione meramente ed immotivatamente pessimistica, è opportuno considerare che alcuni aspetti concretamente problematici della disciplina della Fondazione Europea potrebbero contribuire a perfezionare un istituto inservibile o, semplicemente di scarso successo. D’altronde, l’effettiva valutazione della esigua presenza della società europea nel territorio63 è priva di esiti rinfrancanti, nonostante, peraltro, le 63 Alla fine di gennaio 2009 risultavano costituite 327 Società europee, con una diffusione marcatamente eterogenea, poiché per la maggior parte concentrate sui territori tedesco e ceco. Le SE classificabili come “normali”, vale a dire operative e con dipendenti, erano appena 69, dunque poco più di un quinto (21,1%); inoltre 30 imprese risultavano operative ma senza dipendenti (empty), ben 89 classificate come “shell” e infine 139 di cui non è stato ancora possibile ottenere informazioni attendibili. Nell’aprile 2013 la situazione non è mutata significativamente: vi sono 1766 Società Europee registrate nel territorio europeo. In totale 25 Paesi dell’Unione ospitano una Società Europea; solo Bulgaria, Grecia, Irlanda Romania e Slovenia ne sono prive. La maggiore concentrazione si registra ancora in Repubblica Ceca (ben 1055), la quale ospita il 68 per cento delle società europee, e la Germania il 14 per cento. Sino ad Aprile 2013 solo 244 Società europee (il 14 per cento) sono identificate come effettivamente operanti e con più di 5 dipendenti, e circa la metà di queste ultime si trova in Germania (121), 48 in Repubblica Ceca, e 13 in Olanda. I dati si rinvengono in: http:// ecdb.worker-participation. La Commissione europea ha valutato gli esiti delle iniziative normative sul tema nella relazione presentata il 17 novembre 2010, a più di nove anni dall’adozione dello statuto della Società europea, al Parlamento europeo ed al Consiglio [COM(2010) 676, Relazione dell’Unione Europea al Parlamento e al Consiglio, Applicazione del regolamento (CE) n. 2157 del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, relativo allo statuto della Società Europea (SE), sull’applicazione del Regolamento (CE) n. 2157/2001]. Lo studio fornisce una valutazione complessiva della diffusione delle società europee e del loro impatto sul territorio dell’Unione. L’ampia analisi del successo e delle criticità dell’iniziativa, già anticipata dallo studio commissionato alla società di revisione Ernst &Young (Report drawn up following call for tender from the European Commission, Study on the operation and the impacts of the Statute for a European Company (SE), 9 dicembre 2009) ha evidenziato notevoli necessità di miglioramento, persuadendo la Commissione a proporre emendamenti alla proposta di statuto. Tra gli aspetti più controversi ritenuti di ostacolo alla diffusione pratica vi è il requisito della sede sociale, necessariamen- 88 DANIELA MAFFEI velleità economiche siano generalmente un incentivo sufficientemente persuasivo ad incoraggiare il proliferare di strumenti asserviti allo scopo di lucro. Tra le cause della scarsa fortuna nella diffusione di cui risente la società europea, vi è il permanere di incertezze giuridiche connesse alle scelte normative, o l’elevato costo di costituzione e la complessità di alcune procedure, o ancora le incertezze in merito alla diretta applicazione delle leggi e alla relativa interfaccia con il diritto nazionale. La distribuzione marcatamente disomogenea delle Società Europee nel territorio dell'Unione64 è, invece, una conseguenza delle difficoltà applicative, soprattutto in ordine ai costi e alla complessità di costituzione. Obiezioni non dissimili trovano spazio anche in merito alla proposta di Regolamento sulla Fondazione Europea, alimentando un pronostico di applicazione dell’istituto perlomeno disomogeneo. La richiesta di un patrimonio minimo di 25.000 euro, che, peraltro, a parere del Parlamento andrebbe conservato per tutta la durata della vita dell’ente, è un requisito difficilmente riscontrabile nella totalità, e anche nel maggior numero, degli enti presenti negli Stati membri. Allo stesso modo, la prerogativa della dimensione transfrontaliera connessa al permanere delle attività in almeno due stati membri, pena la fine della fondazione, presuppone la cospicua presenza di fondazioni con attività assiduamente fiorenti, e con il relativo corollario di ingenti oneri ecote coincidente con la sede dell’amministrazione centrale, secondo l’ art. 69 del regolamento SE. L’iniziativa di revisione non è però stata attuata, e nel più recente piano d’azione della Commissione (/* COM/2012/0740 final */Piano d’azione: diritto europeo delle società e governo societario – una disciplina giuridica moderna a favore di azionisti più impegnati e società sostenibili), non vi è alcuna concreta proposta di emendamento della Direttiva sulla Società Europea. La Commissione prende atto delle difficoltà di adozione di iniziative in materia di diritto delle società e della conseguente assenza di progressi riguardo alla proposta di statuto della società privata europea. Pertanto, assecondando inoltre le esigenze emerse da una consultazione pubblica del 2012, la Commissione esprime l’intenzione di affidarsi agli strumenti alternativi costituiti da campagne di informazione per diffondere la conoscenza dello statuto della Società Europea. 64 Si riscontra, innanzitutto, una scarsa conoscenza di questa particolare forma giuridica anche tra gli imprenditori. Lo studio esterno e le osservazioni delle parti interessate hanno poi evidenziato come la dimensione della società nazionali possa influire sulla distribuzione delle Società Europea: negli Stati membri in cui le società sono in genere di piccole o medie dimensioni il costo e la complessità nella costituzione di una SE rappresentano un ostacolo invincibile. Per tale ragione in Polonia e nell’Europa Meridionale vi sono poche Società Europee, soprattutto in Italia e in Spagna dove mancano anche informazioni e conoscenza della materia. Non è azzardato pronosticare le stesse difficoltà di per le fondazioni di piccole dimensioni. La Fondazione Europea 89 nomici, tracciando un quadro che è, in concreto, limitato a pochi Paesi dell’Unione. La severità delle disposizioni della Proposta di regolamento in materia di trasparenza, soprattutto in tema di revisione contabile imposta ad un revisore esterno, è, inoltre, estranea a molti ordinamenti, ed appare tanto più spropositata poiché non è relazionata all’entità patrimoniale dell’ente. L’affidamento della revisione ad un esaminatore indipendente piuttosto che ad un vero e proprio revisore dei conti avrebbe potuto costituire una previsione più accettabile anche in termini di costi, al fine di preservare la vitalità di fondazioni di minori dimensioni. A questo proposito, i riscontri più severi in tema di trasparenza potrebbero essere riservati alle fondazioni maggiormente danarose, e commisurati al patrimonio dell’ente ovvero al requisito delle dimensioni, valutato in relazione al numero di dipendenti65. Un’altra questione problematica per la concreta diffusione dell’istituto riguarda la considerazione che la disciplina della Proposta non attribuisce opportune garanzie di informazione e consultazione dei lavoratori a livello transnazionale, privando, peraltro, i dipendenti di diritti di cui invece possono godere attualmente in alcuni stati membri e, pertanto, incentivando il rischio di creare un istituto estraneo, sfavorevole e difficilmente applicabile. Il Regolamento, inoltre, crea disposizioni nuove per i volontari, categoria sinora priva di una definizione giuridica univoca. È, pertanto, auspicabile l’applicazione delle normative nazionali in tema di informazione e consultazione dei volontari al fine di rispettare le discipline esistenti in materia e, al contempo, al fine di non rendere troppo complesso e oneroso l’impiego della Fondazione Europea con l’introduzione dei requisiti che non trovano riscontro né nella realtà degli ordinamenti, né nella prassi più diffusa. Su alcuni di questi punti controversi si basa il parere apertamente negativo espresso dal governo lituano 66 sull’adozione dello Statuto della 65 Otto Stati membri non richiedono revisori di conti esterni, mentre nei Paesi in cui la disciplina prevede revisioni esterne, l’obbligo è commisurato all’entità patrimoniale ed al numero di dipendenti: le soglie possono variare da oltre 15 000 EUR (Estonia) a oltre 2,5 milioni di EUR (Polonia) e a un numero di dipendenti superiore a 50. Questo approccio proporzionato in materia di revisione contabile non esime la FE dal soddisfare altre misure stabilite dal regolamento e concernenti la trasparenza e la rendicontazione, tra le quali figura, in particolare, l’obbligo di presentare una relazione pubblica annuale. Cfr. Parere del CESE FE) COM(2012) 35 final – 2012/0022 (APP) (2012/C 351/12), cit. 66 La commissione per gli affari europei del Parlamento della Repubblica di Lituania giudica la proposta innanzitutto non attuale poiché non rientra nelle priorità delle politiche governative del Paese, né ritiene che la necessità di farvi ricorso può considerarsi sufficientemente motivata in ragione della scarsa diffusione delle altre forme giuridiche valuta- 90 DANIELA MAFFEI Fondazione Europea. Nel giudizio di scarsa attualità, emesso dalla Commissione per gli Affari Europei della Repubblica lituana, trova espressione, innanzitutto, un senso di estraneità delle disposizioni della Proposta rispetto alle peculiarità dell’ordinamento lituano. A ciò si aggiunge un motivato scetticismo sulla utilità degli sforzi di adeguamento, anche in considerazione della impopolarità delle altre forme giuridiche create a livello europeo (società europea, gruppo europeo di interesse economico, società cooperativa europea). La Lituania non può annoverare società europee sul proprio territorio, e lo stesso può dirsi per la Bulgaria, la Grecia e per l’Irlanda. Le Società Europee sono per lo più raggruppate in un numero davvero esiguo di Paesi membri, nonostante a questa nuova forma giuridica siano, in passato, state affidate importanti aspettative di crescita economica e di scambi transfrontalieri, utili a tutto il territorio europeo. Il rischio connesso all’adozione della normativa sulla Fondazione come delineata sinora è, dunque, di perfezionare un istituto che trovi effettiva applicazione secondo lo schema disomogeneo che ha interessato la diffusione della società europea, alimentando nuovamente la prassi di una crescita economica disorganica, limitata ai Paesi già protagonisti degli scenari politico-economici. te capaci di veicolari importanti impulsi di crescita economica, come la società europea e la società cooperativa europea. Il governo lituano esprime inoltre il timore che la messa a disposizione di donazioni e aiuti in altri Stati membri possa eventualmente ridurre il sostegno ricevuto dai beneficiari di prestazioni nazionali, e che i mezzi finanziari previsti per la consulenza giuridica in sede di creazione di una fondazione non solo non si riducono bensì possono aumentare. Aggiunge inoltre che gli strumenti nazionali di sorveglianza e controllo esistenti potrebbero non essere sufficienti, per cui occorrerebbe creare nuove autorità di vigilanza per la Fondazione europea. Vi sono poi obiezioni strettamente correlate alle peculiarità dell’ordinamento lituano, poiché nonostante sul territorio operino organismi di pubblica utilità, nessuno di loro presenta una corrispondenza con la Fondazione europea. L’ordinamento lituano non prevede una fattispecie prima di membri né un organo di vigilanza, pertanto l’entrata in vigore della disciplina equivarrebbe all’obbligo di approvare o modificare la normativa nazionale introducendo disposizioni estranee ed inusuali di difficile applicazione pratica. Il governo italiano, di tutt’altro avviso, nel Parere motivato sulla Proposta di Statuto esprime parere positivo sull’adozione della normativa anche se sostanzialmente incentrato sulla valutazione della coerenza della proposta con i principi di sussidiarietà e proporzionalità e sulla valutazione della base giuridica, omettendo altre considerazioni sull’impatto che avrebbe nell’ordinamento. Nella prassi, al di là del parere formalmente positivo, si riscontra un disinteresse assimilabile a quello che ha coinvolto anche le iniziative sulla società europea, basti pensare che l’ Italia, insieme alla Spagna non registra la presenza di Società europee né può vantare una conoscenza della materia. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni ∗ Antonio Fici SOMMARIO: 1. Introduzione. Note preliminari sul rapporto tra fondazioni, attività erogativa e impresa. – 2. Fondazioni di erogazione e fondazioni di comunità in un’indagine empirica. – 3. Segue: Forme e modelli di attività erogativa. – 3.1. La raccolta di risorse. Le diverse tipologie di “sostenitori”; il sostenitore ente non profit; il sostenitore “una tantum” e il sostenitore “interessato”; i fondi specifici. – 3.2. Erogazioni “a sportello” e su bando. – 3.3. La fase dell’impiego: la decisione sull’an e il quomodo dell’uso delle risorse; le modalità di selezione dei progetti. Il rapporto con il beneficiario. Il monitoraggio. – 4. La natura giuridica dell’attività erogativa. – 4.1. L’erogazione come donazione. – 4.1.1. L’incapacità di donare degli enti e delle persone giuridiche. – 4.1.2. L’assenza di animus donandi: l’erogazione come atto dovuto. – 4.1.3. L’assenza di arricchimento e di impoverimento. – 5. Conclusioni parziali e premesse per gli approfondimenti successivi. – 6. L’erogazione “complessa” come prestazione in adempimento di un contratto a prestazioni corrispettive. – 6.1. Segue: L’erogazione “complessa” come contratto a favore di terzo. – 6.2. Segue: L’erogazione “complessa” come liberalità indiretta. – 7. Spunti in tema di qualificazione e modelli giuridici del sostegno alle fondazioni. Il “sostegno-dotazione” e il “sostegno-donazione”. – 7.1. Il vincolo di destinazione e la sua tutela giuridica. Fondazioni fiduciarie e trascrizione dell’atto di destinazione. – 8. Conclusioni. 1. Introduzione. Note preliminari sul rapporto tra fondazioni, attività erogativa e impresa Il settore non profit (o “terzo settore”, come oggi lo chiama anche il legislatore1) è costituito da un articolato e variegato insieme di organizLo scritto trae spunto da un rapporto di ricerca redatto per conto di Assifero – Associazione italiana delle fondazioni e degli enti di erogazione. L’Autore desidera rivolgere un sentito ringraziamento all’avv. Felice Scalvini, Presidente di Assifero, per avere in tal modo promosso la riflessione su temi di grande rilevanza, non solo scientifica. Grazie anche al notaio Mario Muschio per un confronto su alcuni aspetti di cui questo studio si occupa. 1 V. art. 5, l. 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali; art. 14, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, Decreto competitività; v. anche art. 1, d.p.c.m. 26 gennaio 2011, n. 51, che aveva modificato in “Agenzia per il terzo settore” la denominazione dell’Agenzia per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, istituita con d.p.c.m. 26 settembre 2000, e poi soppressa a norma dell’art. 8, comma 23, d.l. 2 marzo 2012, n. 16. ∗ 92 ANTONIO FICI zazioni, sostanzialmente riconducibili a due tipologie generali: a) quella degli enti imprenditoriali e b) quella degli enti non imprenditoriali, (perciò) detti anche “erogativi”. La prima dimensione del non profit ha trovato generale riconoscimento nel d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155, sull’impresa sociale. Questo decreto individua le “imprese sociali” per il fatto di svolgere attività d’impresa in determinati settori di utilità sociale oppure inserendo al lavoro particolari categorie di lavoratori svantaggiati o disabili. L’attività svolta dalle imprese sociali deve dunque in ogni caso presentare tutti i connotati che l’art. 2082, c.c., richiede perché un’attività sia qualificabile come “impresa”: essere produttiva, stabile, organizzata mediante l’impiego di fattori della produzione, e condotta con metodo economico2. La seconda dimensione del non profit non costituisce invece materia di un provvedimento legislativo organico. A quest’ultimo riguardo, la fonte più importante rimane il codice civile, là dove disciplina gli enti non societari, ovverosia le associazioni, le fondazioni e i comitati. Vi sono poi alcune leggi speciali su singoli enti o categorie di enti, quali la l. n. 266/1991 sulle organizzazioni di volontariato; la l. n. 383/2000 sulle associazioni di promozione sociale; il d.lgs. n. 153/1999 sulle cc.dd. fondazioni bancarie; il d.lgs. n. 460/1997 sulle ONLUS (quest’ultimo di natura fiscale). Nella prassi si è soliti distinguere l’attività di erogazione svolta dagli enti non profit in due tipologie: a) l’attività grant making, corrispondente all’erogazione di somme di denaro per fini di utilità sociale, e b) l’attività operating, consistente nella fornitura diretta di beni o servizi di utilità sociale. Su questa base si distinguono le grant making foundations, oggetto di questo studio, dalle operating foundations3. 2 I settori di utilità sociale sono quelli tassativamente indicati dall’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 155/2006. Non è necessario che l’attività in questi settori sia esclusiva, ma è sufficiente che essa sia prevalente rispetto ad eventuali altre attività, nel senso che i ricavi da essa generati siano pari almeno al 70% dei ricavi complessivi, secondo quanto più analiticamente prescritto nel d.m. 24 gennaio 2008, attuativo sul punto del d.lgs. n. 155/2006. Sul tema cfr. in generale A. Fici, Impresa sociale, in Digesto civ., agg. III, t. 2, Torino, 2007, 663 ss.; A. Fici - D. Galletti (a cura di), Commentario al decreto sull’impresa sociale, Torino, 2007, passim; M.V. De Giorgi (a cura di), La nuova disciplina dell’impresa sociale, Padova, 2007, passim; A. Fici, Imprese cooperative e sociali. Evoluzione normativa, profili sistematici e questioni applicative, Torino, 2012, passim. 3 La dottrina tedesca distingue tra Hauptgeldstiftung e Anstaltstiftung: le prime sono le fondazioni che si limitano ad erogare le rendite di un patrimonio; le seconde le fondazioni che danno vita ad una istituzione (anche un’impresa) mediante la quale perseguono le proprie finalità: cfr. P. Rescigno, Fondazione, in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, 809. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 93 In termini strettamente giuridici, nella misura in cui tutte e due le attività si contrappongono a quella di impresa, ambedue dovrebbero considerarsi attività erogative ovvero non imprenditoriali4. Qualora le si consideri entrambe in antitesi alle imprese sociali, non si potrebbe infatti stabilire una distinzione convincente, ad esempio, tra una fondazione che fornisca un servizio di assistenza gratuito o a prezzo simbolico e una fondazione che eroghi una somma di denaro finalizzata all’acquisto di un servizio di assistenza. L’attività erogativa, come detto, si individua in primo luogo per contrasto con quella imprenditoriale: è un’attività che difetta di uno o più dei requisiti di cui all’art. 2082, c.c., tra cui appunto l’economicità, cioè l’autosufficienza economica5. 4 Cfr. però, per quanto riguarda il diritto europeo della concorrenza, Corte di Giustizia CE, 10 gennaio 2006, n. 222, che in un giudizio relativo ad una decisione resa dalla Commissione europea, la n. 146/2003, ha affermato: «il ruolo che il legislatore nazionale affida alle fondazioni bancarie nei settori di interesse pubblico e utilità sociale, deve essere distinto tra il semplice versamento di contributi ad enti “no profit” e l’attività svolta direttamente in tali settori. Ed invero, la qualificazione delle fondazioni bancarie come imprese sarebbe esclusa rispetto ad un’attività limitata all’erogazione di sovvenzioni ad enti senza scopo di lucro. Tale attività, infatti, ha natura esclusivamente sociale e non è svolta su un mercato in concorrenza con altri operatori, sicché la fondazione bancaria si comporta come un ente di beneficenza. Viceversa, quando una fondazione bancaria, agendo direttamente negli ambiti di interesse pubblico o sociale, effettua operazioni commerciali per realizzare gli scopi di utilità sociale, essa può offrire beni o servizi sul mercato in concorrenza con altri operatori, ad esempio in settori come la ricerca scientifica, l’educazione, l’arte o la sanità. In tale ipotesi, nonostante l’offerta di beni o servizi sia fatta senza scopo di profitto, la fondazione bancaria deve essere considerata come un’impresa, in quanto svolge un’attività economica che è in concorrenza con quella di soggetti che perseguono uno scopo di lucro; è pertanto soggetta alle norme sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato». Non è chiaro se questa decisione faccia esclusivo riferimento alle imprese sociali senza scopo di lucro oppure se sia tale da poter comprendere anche gli enti erogativi di beni o servizi di utilità sociale che – come si vedrà nel testo – dalle prime si distinguono poiché tecnicamente non producono ma erogano. Se fosse vera la seconda alternativa, allora si restringerebbe notevolmente (ed erroneamente) l’ambito degli enti erogativi (che sarebbe limitato ai soli enti che erogano denaro ovvero che fanno beneficenza, come dice la Corte di Giustizia), laddove basterebbe l’operatività diretta in un settore di utilità sociale, anche se a titolo gratuito e dunque non in forma imprenditoriale, per acquisire la qualifica di impresa (per lo meno, secondo il diritto comunitario e per quanto riguarda il profilo degli aiuti di stato, di cui la decisione citata si occupa specificamente). 5 Cfr. P. Rescigno, op. cit., 810, dove richiama la distinzione di tipo economico-aziendale tra aziende di produzione ed aziende di erogazione, il cui oggetto non è la produzione o lo scambio di beni o servizi ma la distribuzione della ricchezza che pervenga da diverse fonti; per la posizione del problema e una soluzione nei medesimi termini del testo, cfr. G. F. Campobasso, Diritto commerciale. 1. Diritto dell’impresa, 6ª ed., a cura di M. Campobasso, Torino, 2008, 32, 34 ss. 94 ANTONIO FICI Ciò precisato, non soltanto la distinzione tra grant making ed operating rimane ben salda nella prassi, dove l’appellativo di “fondazioni di erogazione” è riservato alle grant making foundations (e d’ora in poi, anche in questo studio, quando si parlerà di fondazioni di erogazione lo si farà con esclusivo riferimento a quest’ultima tipologia di enti), ma effettivamente l’attività grant making e quella operating – avendo come oggetto la prima un “dare” e la seconda un “fare” – pongono problemi giuridici differenti, soprattutto sotto il profilo dei rapporti tra fondazione e beneficiari e tra fondazione e “sostenitori”. Di più incerta collocazione è la fattispecie della fondazione che svolga attività d’impresa al fine di erogarne gli utili6. Qui c’è sì un’impresa di fondazione, e dunque un’attività “operativa”, ma la fondazione non perde la sua qualifica generale di ente erogativo, dal momento che l’esercizio dell’impresa è strumentale al perseguimento della finalità istituzionale che si realizza mediante la (successiva) devoluzione degli utili. L’unica differenza tra questa fattispecie e quella della fondazione che amministra un patrimonio per erogarne le rendite risiede nella modalità di amministrazione del patrimonio (e dunque di produzione del risultato economico da distribuire): dinamica nel primo caso; statica nel secondo7. Anche nel caso della fondazione che eserciti un’impresa strumentale è presente infatti una fase istituzionale di devoluzione degli utili e dunque di attribuzione del grant (con le relative questioni giuridiche), cosicché anche questa tipologia fondazionale è da ascriversi (quanto meno per i problemi giuridici che pone) al genere delle fondazioni grant making8. 6 Fattispecie, quest’ultima, che in passato ha posto problemi di ammissibilità, ma che oggi è pacificamente considerata legittima in ragione della mancanza di espressi divieti legislativi allo svolgimento di attività d’impresa da parte di enti non societari: cfr. per tutti P. Rescigno, op. cit., 811 ss.; R. Costi, Fondazione e impresa, in Riv. dir. civ., 1968, I, 17 ss.; F. Galgano, Persone giuridiche, 2ª ed., in Commentario del codice civile ScialojaBranca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 2006, 234 s.; G.F. Campobasso, op. cit., 37, 79 ss.; M.V. De Giorgi, Associazioni, fondazioni e comitati, in Dizionari del diritto privato, promossi da Irti, Diritto civile, a cura di Martuccelli e Pescatore, Milano, 2011, 110 s., 115 s.; G. Ponzanelli, Enti non lucrativi, ivi, 709; il problema vero rimane piuttosto quello della disciplina applicabile agli enti non societari che esercitino un’impresa: sul punto cfr. in breve G. F. Campobasso, op. cit., 80 ss., e più ampiamente A. Cetra, L’impresa collettiva non societaria, Torino, 2003, passim. 7 Cfr. A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, 165: «l’amministrazione statica del patrimonio, se confrontata alla varietà dei tipi empirici, individua la forma più elementare e sostanzialmente marginale della gamma organizzativa e produttiva che conosce, invece, un ricorso sempre più frequente all’impresa». 8 Cfr. chiaramente in questo senso F. Galgano, op. cit., 278 s., nota 1, il quale, a proposito dell’art. 16, afferma: «si parla qui di “rendite” per essersi avuto riguardo all’ipotesi, Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 95 È importante comunque precisare che la fondazione che svolga attività d’impresa al fine di erogarne gli utili non potrebbe qualificarsi impresa sociale ai sensi del citato d.lgs. n. 155/2006, anche nel caso in cui l’impresa strumentale avesse ad oggetto i beni o servizi di utilità sociale di cui all’art. 2, comma 1, del citato decreto (o fosse destinata all’inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati o disabili). L’impresa sociale, infatti, è tenuta a destinare gli utili e avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività d’impresa o ad incremento del proprio patrimonio (cfr. art. 3, d.lgs. n. 155/2006), cosicché un ente che esercitasse un’impresa (ancorché, come detto, nei settori utilità sociale o inserendo i lavoratori svantaggiati o disabili di cui al citato decreto) e poi devolvesse gli utili prodotti non potrebbe acquisire (e/o conservare) la qualifica di impresa sociale9. Quanto da ultimo affermato non esclude naturalmente l’ipotesi della fondazione “impresa sociale”: l’impresa sociale può infatti, secondo il d.lgs. n. 155/2006, assumere una qualsivoglia forma giuridica, compresa quella della fondazione10. Sia la fondazione “impresa sociale” sia la fondazione che eserciti un’impresa (eventualmente anche di utilità sociale, ma) per finalità di erogazione esercitano attività d’impresa. Ma mentre nella prima l’esercizio dell’impresa costituisce ed esaurisce lo scopo istituzionale, nella seconda l’esercizio dell’impresa è solo strumentale alla successiva fase di devoluzione degli utili, cioè all’erogazione11. In conclusione, il quadro dei rapporti tra fondazione, impresa ed erogazione può sintetizzarsi nel modo seguente: normale, della fondazione che non esercita un’attività d’impresa (…); ma s’intende che la prescrizione in esame va applicata agli “utili” della fondazione nell’ipotesi, meno frequente, in cui questa si procuri i mezzi patrimoniali necessari per la realizzazione dei propri scopi mediante l’esercizio di un’impresa»; diversamente P. Rescigno, op. cit., 810, il quale sembra circoscrivere la figura delle fondazioni di erogazione alle fondazioni erogatrici di rendite (e non di utili in senso tecnico). La conclusione di cui al testo vale anche per la fondazione holding, quella cioè che si limiti a detenere partecipazioni in imprese al fine di erogare poi i dividendi percepiti. 9 A meno di non ritenere compatibile con l’art. 3 la devoluzione degli utili ai medesimi destinatari dell’impresa (come se si trattasse di un ristorno di parte del prezzo originariamente pagato): sul punto, cfr. Fici, sub art. 3, in A. Fici - D. Galletti (a cura di), Commentario, cit., 42 s., 55 s. 10 Sul punto cfr. A. Fici, Impresa sociale, cit., 665. 11 In generale, sul rapporto tra fondazione e impresa, cfr. A. Zoppini, Le fondazioni, cit., 164 ss., il quale ben distingue l’impresa esercitata dalla fondazione per finalità di erogazione (e dunque strumentale), dall’impresa che soddisfa immediatamente l’interesse programmato nello scopo statutario. 96 ANTONIO FICI i) le fondazioni di erogazione possono distinguersi in fondazioni grant making e fondazioni operating: le prime erogano somme di denaro provenienti a) da amministrazione del patrimonio (rendite) oppure b) da esercizio dell’impresa (utili); laddove le seconde erogano beni o servizi gratuitamente o ad un prezzo comunque insufficiente a compensare i costi dell’attività; ii) contrapposte alle fondazioni di erogazione sono le fondazioni imprenditoriali, che possono assumere la qualifica di “imprese sociali” se osservano il d.lgs. n. 155/2006. 2. Fondazioni di erogazione e fondazioni di comunità in un’indagine empirica Questo studio si giova dei risultati di un’indagine empirica sull’attività delle fondazioni appartenenti ad Assifero, un ente di promozione e rappresentanza di fondazioni ed enti di erogazione, che attualmente associa più di ottanta enti di questo tipo12. La ricognizione delle modalità operative degli enti in oggetto è stata soprattutto rivolta a verificare quali fossero gli aspetti di questa attività di più spiccato interesse civilistico. Le questioni fondamentali che sono emerse riguardano le erogazioni e la loro natura giuridica, il rapporto tra fondazione e beneficiari, nonché quello tra la fondazione e coloro che a vario titolo le conferiscono risorse per il perseguimento degli scopi istituzionali. La realtà degli enti di erogazione che hanno costituito oggetto di indagine empirica è infatti costituita sia da fondazioni dotate di un patrimonio più o meno ingente, che amministrano al fine di erogare le rendite ai beneficiari; sia da fondazioni “di comunità” (o “delle comunità locali”) che traggono le risorse da destinare a fini sociali da “liberalità” di privati o altri soggetti interessati allo sviluppo economico-sociale di un certo territorio (che, per comodità, chiameremo d’ora in poi “sostenitori”). Le prime sono soprattutto fondazioni che trovano origine nella responsabilità sociale di singole imprese e istituzioni o nella filantropia di individui o di famiglie, e corrispondono sostanzialmente al modello di fondazione ipotizzato dal legislatore del codice civile (cfr. art. 14, comma 2, c.c., sulla costituzione della fondazione anche per testamento; 16, comma 1, c.c., là dove prevede che l’atto costitutivo o la statuto della fondazione debbano indicare i criteri e le modalità di erogazione delle rendite). Le seconde rappresentano invece un fenomeno nuovo e per certi versi 12 Cfr. www.assifero.org. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 97 più complesso, che perciò occupa, nel novero degli enti erogativi, una posizione del tutto peculiare. La tipologia delle cosiddette fondazioni di comunità ha origine e sviluppo negli Stati Uniti sin dai primi decenni del secolo scorso, rispondendo all’idea di una fondazione benefica che, a seguito di un iniziale apporto patrimoniale da parte del fondatore, veda successivamente accrescere le proprie disponibilità economiche grazie alla partecipazione attiva e solidale dei membri della comunità di riferimento. Tratto distintivo della fondazione della comunità locale è dunque il forte radicamento in uno specifico ambito territoriale nonché la capacità di rispondere ai suoi bisogni, grazie anche alla flessibilità delle procedure organizzative ed alla conoscenza delle esigenze della comunità di riferimento. Il modello ipotizzato dovrebbe incontrare la partecipazione e l’adesione della società civile ai progetti di volta in volta portati avanti, incrementando così la cultura del dono e della filantropia nei cittadini. In Italia, il modello della fondazione di comunità nasce sul finire degli anni ’90 per impulso della Fondazione Cariplo (fondazione c.d. bancaria, ai sensi del d.lgs. n. 153/1999), della quale può dirsi che la fondazione di comunità costituisca il braccio periferico in materia di attività erogativa, operante nell’ambito di una base territoriale ristretta quale la provincia. Il progetto delle fondazioni delle comunità locali viene lanciato per il fine dichiarato di perseguire in modo più efficace sul territorio le finalità statutarie della Fondazione Cariplo. Il modello è stato peraltro adottato da altre fondazioni di origine bancaria, nonché, in alcune zone del Nord Italia, da altri enti pubblici e privati. Prescindendo in questa sede da un’analisi del concetto eminentemente sociologico di “comunità”, può dirsi che ciò che caratterizza e costituisce il presupposto del successo di un ente operante in ambito di filantropia comunitaria è il “senso di appartenenza” dei sostenitori. La fondazione mira infatti ad incentivare la naturale propensione dell’uomo al dono e alla filantropia, creando i presupposti affinché i singoli possano sentirsi effettivamente corresponsabili del benessere della comunità di appartenenza e protagonisti delle attività dirette a tale scopo. In questo contesto, la fondazione di comunità si pone come “intermediario” fra i membri della società civile disposti al sostegno di attività di interesse pubblico e gli enti del terzo settore che tali interventi si propongono di realizzare. Essa, dunque, basando tutta la sua attività sulla fiducia e sulla legittimazione sociale, si propone di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla libera esplicazione della naturale tensione dei cittadini alla solidarietà. La fondazione della comunità locale si propone inoltre come luogo 98 ANTONIO FICI ideale di confronto e di dibattito; ente promotore di una visione di lungo periodo delle esigenze della comunità. Essa costituisce, dunque, nelle intenzioni dei fondatori, strumento di coinvolgimento dell’intera comunità in progetti socialmente utili, fungendo da catalizzatore delle aspirazioni altruistiche e della “cultura del dono” dei membri della società civile e infine collettore di risorse economiche da impiegare in maniera efficiente, neutrale e svincolata da ingerenze di poteri esterni. La fondazione di comunità favorisce così la creazione di un’infrastruttura sociale che si propone come scopo quella che sinteticamente viene definita filantropia comunitaria: vera attuazione, territorialmente e socialmente localizzata, del principio di sussidiarietà costituzionalmente inteso13. 3. Segue: forme e modelli di attività erogativa L’esigenza di uno studio sull’attività delle fondazioni di erogazione si manifesta anche a seguito dell’evoluzione che il tipo fondazionale “codicistico” ha compiuto negli anni. Alla trasformazione del tipo ed alla sua frantumazione in svariate tipologie o sottotipi si è accompagnato l’evolversi di prassi operative e attività negoziali prima sconosciute che si sono affiancate ai tradizionali “metodi” di erogazione delle rendite. È necessario, quindi, al fine di qualificare giuridicamente le attività negoziali da queste poste in essere, procedere preliminarmente ad una ricognizione delle procedure operative ed organizzative che le fondazioni di erogazione hanno realizzato. 3.1. La raccolta di risorse. Le diverse tipologie di “sostenitori”; il sostenitore ente non profit; il sostenitore “una tantum” e il sostenitore “interessato”; i fondi specifici Le risorse destinate all’erogazione sono, in primo luogo, le rendite derivanti dall’amministrazione del patrimonio mobiliare e immobiliare dell’ente. 13 Il modello è ora tanto sinteticamente quanto efficacemente descritto nelle sue origini, struttura essenziale, funzione e principali modalità operative in B. Casadei, Fondazioni di comunità: novità e problematiche, in Non profit: le sfide dell’oggi e il ruolo del Notariato, Atti del Convegno di Milano, 5 novembre 2010, attualmente disponibile in http://www.assifero.org/oggetti/3415_1.pdf; cfr. più ampiamente F. Ferrucci, Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore. II. Il caso delle fondazioni di comunità, Milano, 2010, passim. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 99 A tal proposito, può notarsi come molte fondazioni distinguano, già a livello statutario, il patrimonio propriamente detto dal “fondo di gestione”, destinato alla realizzazione concreta della finalità erogativa. Ciò premesso, nell’odierno atteggiarsi della realtà operativa dell’ente erogativo, grande rilevanza assume la figura del “sostenitore”. È di tutta evidenza, infatti, come la naturale tendenza umana alla filantropia e al “dono” possa trovare concreta ed efficace realizzazione mediante il sostegno (attuato attraverso liberalità o lasciti testamentari) a favore di enti benefici, dei quali si condividano gli ideali e i progetti. Se la figura del sostenitore assume già rilevanza giuridica ed economica nell’ottica della fondazione tradizionale di tipo personale o familiare, ancor di più essa assurge ad anello portante del “ciclo dell’erogazione” delle fondazioni di comunità, le quali si offrono manifestamente come servitrici di coloro che vogliono “fare il bene” e come collettori delle loro risorse. L’attività di raccolta fondi, dunque, che già nelle fondazioni erogative di tipo tradizionale assume un importante valore come fonte aggiuntiva di risorse per la realizzazione di progetti socialmente, nella fondazione di comunità assurge, per dirla in termini aziendalistici, a core business, qualificandosi come attività caratteristica e imprescindibile. Non va dimenticato, peraltro, che contributi alla fondazione possono giungere, oltre che da privati cittadini o da altre organizzazioni non profit, anche da parte di enti pubblici per il generale perseguimento dei propri obiettivi istituzionali o perché interessati ad uno specifico progetto di utilità sociale, oppure da parte di imprenditori e società, per ragioni di responsabilità sociale. Si deve dunque porre in evidenza come sovente la fondazione erogativa rappresenti soltanto l’anello di una catena che, partendo da uno o più donatori a monte (organizzazioni non profit, enti pubblici, imprese o privati cittadini), attraverso uno o più passaggi intermedi in cui ciascun ente è beneficiario da un lato e sostenitore-erogatore dall’altro, giunge all’ente a valle (un ente normalmente operativo o quantomeno non esclusivamente grant making) che realizzerà materialmente il progetto finanziato in favore dei beneficiari finali: gli individui e/o la collettività. Il sostegno alla fondazione, in ogni caso, più che essere destinato all’immediato impiego da parte dell’ente, può anche essere realizzato mediante diretto incremento del suo patrimonio, confluendo così nella massa patrimoniale non direttamente destinata all’erogazione, ma produttiva delle rendite necessarie al compimento dell’attività istituzionale. È altresì importante sottolineare come la figura del sostenitore possa variamente atteggiarsi in relazione all’interesse che costui mira a perseguire 100 ANTONIO FICI con il suo contributo. Dal sostenitore che potremmo definire “una tantum”, interessato semplicemente a compiere una liberalità nei confronti dell’ente, fornendo genericamente il suo contributo economico al patrimonio o al fondo di gestione della fondazione, va distinto il sostenitore “interessato” al destino dell’utilità economica elargita, portatore di un legittimo interesse verso un suo determinato impiego e al rispetto da parte della fondazione del vincolo di destinazione così impresso. A tal riguardo, importante caratteristica della fondazione erogativa è la frequente istituzione di “fondi specifici”, anche alimentati da singoli sostenitori, e dedicati a particolari settori d’intervento o determinate aree geografiche. In termini meramente descrittivi (e riservando alla successiva analisi l’inquadramento giuridico della fattispecie), può già anticiparsi che questi fondi costituiscono una sorta di patrimonio separato nella disponibilità dell’ente. Il sostegno all’ente può dunque attuarsi anche mediante la costituzione di un fondo specifico presso la fondazione o essere destinato ad incremento di un fondo specifico già esistente. I fondi specifici costituiscono lo strumento più agile per contribuire, tramite una donazione o un lascito, alle attività istituzionali della fondazione, imprimendo alle risorse patrimoniali costituite in fondo una determinata destinazione ovvero una disciplina specifica, potendo anche il costituente riservarsi la facoltà di influire volta per volta sulle scelte di erogazione e sull’impiego delle risorse oggetto della liberalità. In termini volutamente descrittivi, può dirsi che ciascun fondo funziona come un piccolo ente a sé stante, con il suo scopo ed i suoi settori d’intervento. Le fondazioni stesse tendono a classificarli in varie tipologie sulla base di criteri eterogenei14 . È importante sottolineare che le erogazioni, anche quelle proveniente da fondi specifici, sono prevalentemente concesse dalle fondazioni sulla base di “progetti” presentati dalle organizzazioni aspiranti al contributo, e mediante logiche procedurali idonee a garantire efficacia, efficienza e trasparenza dell’attività erogativa. 14 Tra questi, ad esempio, i “fondi comunità”, destinati genericamente a progetti di utilità sociale da realizzarsi nell’ambito territoriale della comunità in cui la fondazione opera; i “fondi con diritto di indirizzo”, nei quali il costituente si riserva la facoltà di imprimere, con scelte più o meno vincolanti a seconda dei casi, un indirizzo nella scelta dei beneficiari e dei progetti da finanziare; i “fondi di categoria”, costituiti ad esempio dagli ordini professionali provinciali o da associazioni operanti sul territorio; i “fondi memoriali”, istituiti da persone fisiche a memoria del loro nome (finalità corrispondente spesso alla costituzione di una nuova fondazione personale, ma perseguibile più semplicemente e meno onerosamente con la costituzione di un fondo presso una fondazione già esistente). Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 101 3.2. Erogazioni “a sportello” e su bando Non è inusuale la predisposizione di appositi “regolamenti interni”, variamente denominati dalle singole organizzazioni, destinati a disciplinare lo svolgimento dell’attività di erogazione e in particolare le procedure organizzative e valutative a ciò preposte. È appena il caso di sottolineare la rilevanza di questi atti organizzativi interni, sia sul piano della rispondenza dell’attività di erogazione alle finalità statutarie (lo statuto, com’è evidente, non può scendere nel dettaglio delle procedure organizzative, e normalmente si limita ad enunciare le finalità ideali dell’organizzazione e i settori d’intervento), sia sul piano della trasparenza e serietà delle scelte effettuate dagli organi amministrativi e della terzietà e indipendenza del loro operato. Sovente i regolamenti impongono all’organo amministrativo la programmazione annuale delle attività. Entro la fine di ogni anno, quindi, il consiglio d’amministrazione procede alla redazione di un piano previsionale per l’esercizio successivo, programmando così le linee d’intervento ed i mezzi per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, e determinando contestualmente l’ammontare delle risorse destinate alle erogazioni. La programmazione dell’attività, tuttavia, così ufficialmente imposta, non sembra poter esprimere precetti del tutto vincolanti per la condotta degli amministratori nell’anno successivo, essendo talvolta previsto, con norme del resto di indubbia utilità, il potere incondizionato di questi ultimi di rivedere e modificare, nel corso dell’esercizio, quanto inizialmente programmato. I regolamenti contengono inoltre l’indicazione dei requisiti che devono possedere le organizzazioni aspiranti ai benefici, specificando che deve trattarsi di enti senza fini di lucro e privi di connotazioni politiche o sindacali. Sono dunque escluse le imprese in genere (ad eccezione delle imprese sociali), i partiti politici, i sindacati, i patronati, ecc. In generale, dunque, oltre alle persone fisiche (le erogazioni che le riguardano sono talvolta disciplinate in appositi regolamenti), beneficiari dell’attività erogativa delle fondazioni possono essere altre fondazioni, organizzazioni di volontariato, associazioni, comitati, cooperative sociali, enti pubblici territoriali e non, ed enti religiosi. Le erogazioni finanziano (anche, come già sottolineato, quando le risorse sono tratte da un fondo specifico) “progetti di utilità sociale”, correlati allo scopo dell’ente, così come enunciato nell’atto costitutivo. Le modalità con le quali l’ente erogativo può svolgere la propria attività, sollecitare le richieste di erogazioni e procedere alla scelta dei progetti più meritevoli sono molteplici. 102 ANTONIO FICI Alcune fondazioni erogano i loro contributi “a sportello”. Ciò significa che la fondazione non eroga sulla base di un precedente bando, bensì sulla base di richieste di finanziamento che gli aspiranti beneficiari presentano a sostegno di un progetto ritenuto di interesse per la fondazione e rientrante nelle sue finalità istituzionali. Periodicamente (per lo più annualmente o semestralmente) l’organo amministrativo o il comitato valutativo appositamente costituito, magari nell’ambito di una programmazione delle attività già predisposta e di un budget previsionale già approvato, procedono alla valutazione dei progetti presentati e alla scelta di quelli che ritengono più meritevoli del contributo. Questa modalità di svolgimento dell’attività erogativa non si discosta molto, quanto meno nei suoi aspetti pratici (diversa potrebbe essere la valutazione in termini giuridici), da quella dei cosiddetti “bandi aperti”. Mentre nel primo caso l’aspirante beneficiario sa dell’esistenza e dell’attività della fondazione erogativa e presenta il suo progetto conoscendo soltanto gli scopi di questa indicati nello statuto, con il sistema dei bandi aperti la fondazione rende pubblico l’avvio di una procedura di erogazione, descrivendone le modalità, i settori e i campi di maggior interesse, le risorse disponibili e tutta un’altra serie di informazioni riguardanti anche le modalità di selezione dei progetti. I bandi rimangono però, appunto, “aperti”, cioè senza una data di scadenza e dunque attivi tendenzialmente a tempo indeterminato o fino alla loro revoca. Quest’ultima caratteristica vale a distinguere i bandi aperti dai cosiddetti “bandi chiusi”, che indicano invece una data di scadenza entro la quale gli aspiranti devono far pervenire, a pena di decadenza, i progetti per i quali richiedono il contributo. È evidente che il sistema dei bandi chiusi comporta una più dettagliata programmazione dell’attività erogativa da parte dell’organo amministrativo, il quale dovrà precisamente fissare l’ammontare delle risorse da destinare a un determinato bando. È altresì intuitivo che il bando chiuso stimola una maggiore competizione concorsuale fra i diversi aspiranti, favorendo la presentazione e la scelta dei progetti più seri ed interessanti. Rientrano il più delle volte nella categoria dei bandi chiusi, i cosiddetti bandi “con raccolta”. Essi si caratterizzano per il fatto che l’erogazione viene subordinata alla capacità dell’aspirante beneficiario di raccogliere contributi pari almeno ad una predeterminata percentuale dell’erogazione richiesta, destinati specificamente al progetto presentato e versati direttamente dal sostenitore alla fondazione che ha emanato il bando. Con questo tipo di bando la fondazione si assicura di sostenere soltanto quei progetti in grado di suscitare il gradimento (e dunque il materiale sostegno) da par- Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 103 te della società civile, nel pieno rispetto della logica sottesa alle fondazioni di comunità. Oltre alle erogazioni su bando ed a quelle derivanti dall’impiego di fondi specifici, le fondazioni svolgono anche, sistematicamente o occasionalmente a seconda dei casi, attività erogativa sotto altre forme, che vengono variamente denominate dalle singole organizzazioni e così, a titolo esemplificativo: “microerogazioni”, derivanti per lo più da richieste “a sportello”, consistenti in contributi di entità modesta a favore di singoli progetti non particolarmente onerosi; “patrocini e sponsorizzazioni” di eventi e manifestazioni pubbliche, finalizzate alla diffusione dell’immagine dell’ente; “erogazioni emblematiche e progetti pluriennali”: erogazioni di entità più consistente (talvolta derivanti da risorse destinate su più esercizi) a favore di iniziative rilevanti; erogazioni del c.d. “ufficio pio”, ovverosia contributi molto modesti a favore di persone indigenti; “borse di studio” e “premi” a studenti meritevoli o ricercatori. 3.3. La fase dell’impiego: la decisione sull’an e il quomodo dell’uso delle risorse; le modalità di selezione dei progetti. Il rapporto con il beneficiario. Il monitoraggio In base alla programmazione svolta, la fondazione procede dunque all’emanazione di uno o più bandi relativi ai settori d’intervento nei quali ha deciso di operare, destinando a ciascuno di essi un determinato ammontare di risorse economiche e fissando il più delle volte un numero massimo di progetti da finanziare. È frequente che la fondazione stabilisca un tetto massimo di costo del progetto, una percentuale massima del costo che la fondazione potrà finanziare mediante l’erogazione e, nei bandi “con raccolta”, la percentuale minima del cofinanziamento da parte di terzi. Scaduto il termine di presentazione delle domande stabilito nel bando, la fondazione procede alla valutazione dei progetti presentati ed alla scelta di quelli più meritevoli. I criteri cui si ispira tale valutazione sono generalmente esplicitati nel bando. Il bando stesso talvolta attribuisce l’onere della valutazione e della scelta dei progetti da finanziare ad appositi organi, che possono essere permanenti o istituiti ad hoc per quella determinata attività valutativa. A garanzia della serietà e terzietà della valutazione, tali organi sono spesso composti, oltre che da membri dell’organo amministrativo, da personalità esterne all’organigramma permanente della fondazione, quali ad esempio membri della comunità scientifica dotati di specifiche competenze sulla materia cui i progetti si riferiscono. È spesso previsto che i comitati di valutazione, oltre a vagliare preliminarmente l’ammissibilità 104 ANTONIO FICI delle domande, procedano alla stesura di una bozza di piano d’erogazione che verrà successivamente deliberato dal consiglio d’amministrazione a suo insindacabile giudizio. In mancanza di indicazioni specifiche, comunque, la scelta s’intende rimessa esclusivamente all’organo amministrativo della fondazione. È peraltro talvolta consentito all’organo valutativo di disporre colloqui esplicativi con i rappresentanti dell’ente aspirante. Terminata questa fase, la fondazione comunica l’esito della valutazione ai soggetti interessati e normalmente pubblica sul proprio sito internet le informazioni essenziali sul progetto finanziato e sul suo valore complessivo, sull’ente beneficiario e sull’ammontare dell’erogazione deliberata. Si prevede talvolta l’obbligo per i beneficiari che siano stati selezionati di procedere alla stesura di un progetto esecutivo definitivo da sottoporre alla valutazione conclusiva della fondazione, e la sottoscrizione di un’apposita “scrittura privata finale” contenente i rispettivi impegni della fondazione erogante e dell’ente beneficiario. Nel caso in cui l’erogazione deliberata sia inferiore a quella richiesta dall’ente aspirante, questo potrà sempre rinunciare al contributo oppure richiedere, a seguito di apposita procedura, il consenso degli organi della fondazione alla modifica del progetto. Quando si tratti di bandi “con raccolta”, la materiale erogazione del contributo non potrà avvenire che dopo che l’ente beneficiario abbia sollecitato e raccolto donazioni, a favore della fondazione erogante, nella misura promessa. Tali donazioni avvengono dunque a diretto beneficio della fondazione che ha emanato il bando, con una causale di attribuzione espressa a quel determinato progetto. Raggiunto l’ammontare di donazioni prefissato, la fondazione delibererà in via definitiva l’erogazione del contributo a favore dell’ente aggiudicatario. Nel caso in cui non venga raggiunto l’ammontare prefissato o le donazioni superino tale ammontare, i bandi stabiliscono talvolta generici criteri di attribuzione delle donazioni ricevute (o di quelle in eccesso) a progetti di utilità sociale. Riguardo alla materiale erogazione del contributo, talvolta si prevede che essa avvenga al momento della presentazione da parte dell’ente beneficiario della documentazione di spesa (dunque delle fatture quietanzate) riguardante i costi del progetto finanziato. L’erogazione potrà effettuarsi a progetto realizzato ovvero, quando previsto dal bando, ad uno o più stati di avanzamento dei lavori, sempre a seguito della presentazione di idonea documentazione giustificativa dei costi sostenuti. Si procede talvolta, peraltro, a specificare le modalità di svolgimento di controlli periodici da parte della fondazione sulla regolare esecuzione del progetto e gli impegni dell’ente beneficiario in ordine a tale attività di mo- Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 105 nitoraggio, ponendosi ad esempio l’obbligo di redazione periodica di relazioni sull’avanzamento del progetto, sui risultati conseguiti e sulla relativa situazione economico-amministrativa. Rimane ovviamente inalterata la possibilità per la fondazione di revocare la concessione del grant, ad esempio nel caso in cui l’ente aggiudicatario non dia avvio alla realizzazione del progetto entro i termini concordati o promessi, oppure di ridurre l’ammontare dell’erogazione nei casi in cui il beneficiario non presenti idonea documentazione giustificativa dei costi sostenuti o comunque, per circostanze sopravvenute, sostenga dei costi inferiori a quelli pianificati. 4. La natura giuridica dell’attività erogativa La prassi operativa delle fondazioni considerate nell’ambito di questo studio presenta dunque alcuni tratti caratteristici particolarmente rilevanti ai fini dell’individuazione e della soluzione delle questioni giuridiche che l’attività di tali fondazioni pone. Innanzitutto, le erogazioni solo sono in minima parte direttamente destinate agli individui o, più genericamente, alla comunità quali beneficiari finali. Peraltro, quando così accade, si tratta per lo più di contributi di modesta entità a persone fisiche (è il caso, ad esempio, delle erogazioni dell’ufficio pio e delle borse di studio). Le erogazioni, infatti, sono rivolte principalmente ad altri enti, che sono senza scopo di lucro come le fondazioni eroganti, ma che, a differenza di queste ultime, sono operating, perché il loro obiettivo è fornire beni o servizi di utilità sociale15. In secondo luogo, l’erogazione all’ente senza scopo di lucro è destinata alla realizzazione da parte dell’ente beneficiario di uno specifico progetto di utilità sociale. Ciò è tanto più vero allorché il contributo provenga da un “fondo specifico”, quello cioè costituito all’interno della fondazione, anche su iniziativa di un “sostenitore interessato”, per uno scopo predeterminato. Emerge così la modalità operativa tipica delle fondazioni che si è soliti iscrivere nell’ambito della c.d. venture philanthropy: i contributi erogati non sono liberi, bensì vincolati ad uno specifico fine, ad una determinata destinazione, che ne costituisce la “causa” particolare. Dal punto di vista economico-sociale, l’ente beneficiario è dunque solo il destinatario mediato del grant; è solo lo strumento mediante il quale la fondazione destina ri15 Nel prosieguo, peraltro, potrebbe essere necessario distinguere a seconda che l’ente beneficiario sia un’impresa sociale o un ente erogativo. 106 ANTONIO FICI sorse in favore dei beneficiari finali, che sono gli individui o la collettività che beneficeranno del progetto di utilità sociale; se si vuole, è il partner di cui la fondazione si avvale per erogare risorse in modo più efficiente ed efficace (rispetto all’ipotesi dell’erogazione diretta)16 . In terzo luogo, si è appreso che le fondazioni di cui si tratta normalmente non selezionano gli enti beneficiari sulla base di una “trattativa diretta” (cc.dd. erogazioni “a sportello”), bensì sulla base di una procedura complessa e formale che si apre con un bando, aperto o chiuso. Ciò avviene anche perché il bando – coerentemente con i propositi di maggiore efficienza ed efficacia dell’azione filantropica – è la modalità che più di ogni altra consente di stimolare la concorrenza su base progettuale degli enti interessati al contributo, assicurando allo stesso tempo trasparenza ed imparzialità dell’azione della fondazione, la quale, ancorché soggetto privato, ha un concreto interesse al rispetto di questi due parametri nella misura in cui si propone di rivestire il ruolo di catalizzatore di risorse della comunità in favore della comunità stessa. 4.1. L’erogazione come donazione Nell’affrontare il tema della natura giuridica delle erogazioni delle fondazioni (ma anche, più in generale, degli altri enti erogativi senza scopo di lucro), un passaggio obbligato e per certi versi preliminare è quello di analizzare i rapporti tra le erogazioni e la fattispecie della donazione di cui all’art. 769, c.c., se è vero che nel linguaggio (e nel sentire) comune spesso tali erogazioni sono appunto denominate (e confuse con le) donazioni17. Non casualmente, sulla medesima falsariga, ancorché non si rinvengano nella dottrina giuridica trattazioni specifiche sull’argomento in oggetto, sovente il tema è sinteticamente discusso in studi più ampi dedicati appunto alla donazione. La qualificazione delle erogazioni come donazioni avrebbe come ri16 Sul punto, cfr. M. Scarlata - L. Alemany, Philanthropic venture capital: can the key elements of venture capital be applied successfully to social enterprises?, paper online in www.ssrn.org. Sulla “imprenditorializzazione” delle tecniche e delle modalità della beneficenza privata, cfr. D. Franceschini, Professione filantropo, in la Repubblica, 17 gennaio 2008, 27 s. 17 Talvolta, in verità, si parla ancora più genericamente di “dono”, che è termine cui non corrisponde una particolare sostanza giuridica; ma cfr. adesso il colto ed elegante tentativo di G. Resta, Doni non patrimoniali, in Enc. dir., Annali, IV, Milano, 2011, 510 ss., di assegnare alla categoria del “dono” una rilevanza giuridica autonoma rispetto a quella delle liberalità, attribuendo rilievo sistematico alla legislazione in materia di disposizione del corpo umano. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 107 flesso più importante quello della necessità, a pena di nullità, che le erogazioni siano fatte con atto pubblico (art. 782, c.c.), a meno che non si tratti di donazione manuale (cioè con consegna) di beni mobili di modico valore, da valutarsi sia oggettivamente sia in rapporto alle condizioni economiche del donante (art. 783, c.c.)18. Le erogazioni non possono però considerarsi donazioni ai sensi dell’art. 769, c.c., e ciò sulla base di diverse ragioni, che emergono anche in confronto alle numerose e contrastanti tesi sulla nozione di donazione e i suoi elementi essenziali, primo tra tutti l’animus donandi. 4.1.1. L’incapacità di donare degli enti e delle persone giuridiche Occorre innanzitutto confrontarsi con quella tesi che esclude che donante possa essere un ente giuridico, societario o non societario (e ciò a prescindere da espressi divieti di donare contenuti nello statuto e dunque da espresse, ed opponibili ai terzi, limitazioni dei poteri degli amministratori dell’ente). Accogliendo questa tesi, la natura donativa delle erogazioni delle fondazioni dovrebbe infatti negarsi per il semplice fatto che esse provengono da soggetti giuridicamente incapaci di donare. In dottrina si è infatti ritenuto che «donante non può essere che una persona fisica, dato il carattere strettamente personale dei negozi di liberalità»19; ciò probabilmente anche considerando che la disciplina sulla capacità di donare, pur essendo la donazione un contratto, «si distacca notevolmente da quella dei contratti patrimoniali e si avvicina a quella delle 18 Cfr. Cass., 30 dicembre 1994, n. 11304, in Rep. Foro it., 1994, «Donazione», n. 3: «La donazione di modico valore (art. 783 c.c.) per la quale non si richiede la forma scritta ad substantiam va accertata alla stregua di due criteri: quello oggettivo correlato al valore del bene che ne è oggetto, e quello soggettivo per il quale si tiene conto delle condizioni economiche del donante; ne consegue che l’atto di liberalità, per essere considerato di modico valore, non deve mai incidere in modo apprezzabile sul patrimonio del donante». Sul tema cfr. G. Palazzolo, Donazioni di modico valore e liberalità d’uso, in A. Palazzo (a cura di), I contratti di donazione, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno - E. Gabrielli, XI, Torino, 2009, 83 ss. Nel caso specifico al nostro esame, ammesso che l’erogazione possa qualificarsi come donazione (ma per la negazione di questa ipotesi, cfr. infra nel testo), la donazione di modico valore non sarebbe dunque da escludere almeno per quanto riguarda le erogazioni dell’“ufficio pio” e le borse di studio, fermo restando che la donazione si perfezionerebbe soltanto al momento della consegna del grant, trattandosi di contratto reale («la donazione di modico valore è valida … purché vi sia stata la tradizione»: art. 783, comma 1, c.c.). 19 Così V.R. Casulli, Donazione (dir. civ.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 974. 108 ANTONIO FICI disposizioni testamentarie»20, rispetto alle quali l’incapacità degli enti è fuori discussione. Questa tesi, così radicale e generale, è rimasta però isolata, perché la dottrina prevalente ritiene che «le persone giuridiche, in quanto aventi capacità generale, possono stipulare donazioni, salvi i limiti posti dalla legge o dall’atto costitutivo»21. In assenza di limiti statutari (che peraltro non sarebbero forieri dell’incapacità giuridica dell’ente di donare, bensì porrebbero un limite al potere di agire degli amministratori, il cui superamento andrebbe valutato secondo le regole generali, specie per ciò che riguarda l’opponibilità dell’atto ai terzi22), il problema della capacità di donare andrebbe dunque circoscritto alle sole società. Ad esse infatti la legge assegna un scopo, quello di lucro ex art. 2247 (arricchimento dei soci mediante dividendi) o quello mutualistico ex art. 2511 (arricchimento dei soci mediante scambi mutualistici), e un oggetto sociale, lo svolgimento di attività economica ex art. 2247, che paiono (almeno) a prima vista incompatibili con il compimento di atti senza corrispettivo, cioè gratuiti, per di più corroborati dall’animus donandi, quali sono le donazioni in senso stretto23. L’approfondimento di questo tema, ancorché di enorme interesse teorico (si pensi solo al tema della responsabilità sociale dell’impresa), supererebbe comunque i limiti della presente indagine, riguardando essa enti, quali le fondazioni di erogazione, che non hanno scopo di lucro, bensì 20 V.R. Casulli op. cit., 975. E si ricordi, come giustamente fa P. Morozzo Della Rocca, Profili civilistici delle «donazioni» di impresa, in Contr. impr., 2008, 227 (il quale peraltro pone in evidenza i dubbi relativi all’applicabilità di questa disposizione ai corpi morali), che l’art. 1052, c.c. del 1865, disponeva che non potesse donare chi fosse nell’impossibilità di fare testamento. 21 Così U. Carnevali, Donazione. I) Diritto civile, in Enc. giur., XII, Roma, 1990, 3; cfr. più di recente A. Carrabba, Donazioni, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2009, 192 ss., dove anche pertinenti riferimenti giurisprudenziali. Sulla capacità giuridica generale degli enti, cfr. M. Basile, Le persone giuridiche, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2003, 151. 22 Cfr. A.Carrabba, op. cit., 197. Sulla teoria dello scopo dell’ente come elemento che (anche quando definito dalla legge) delimita l’ambito non già della capacità giuridica ma della capacità di agire degli enti, cfr. M. Basile, op. cit., 151 ss. 23 Cfr. B. Biondi, Le donazioni, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, XII, t. 4, Torino, 1961, 222: «… i concetti di attività economica e di lucro sono incompatibili con quello di liberalità, che costituisce l’essenza della donazione; utilità e liberalità sono concetti contraddittori: dove c’è l’una non ci può essere l’altra. Attività economica significa vantaggio ed utile economico, liberalità vuol dire altruismo e disinteresse». Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 109 operano per il perseguimento di uno scopo di utilità sociale, di interesse generale ovvero di pubblica utilità24 . Se ostacoli si frappongono alla qualificazione come donazioni delle erogazioni delle fondazioni, essi derivano piuttosto (non già dalla incompatibilità, ma anzi) proprio dalla perfetta compatibilità delle prime con lo scopo delle seconde, come di seguito si avrà modo di chiarire. 4.1.2. L’assenza di animus donandi: l’erogazione come atto dovuto Requisito del tipo legale della donazione è lo “spirito di liberalità”, anche detto “animus donandi” (art. 769, c.c.). In dottrina si riscontrano diverse teorie sulla natura e l’essenza dello spirito di liberalità25. Secondo una dottrina superata, l’animus donandi coincide con l’intento soggettivo del donante, condiviso dal donatario, di effettuare una prestazione gratuita, cioè di arricchire il donatario. In tal senso, l’animus è il risvolto soggettivo della funzione oggettiva della donazione, che è l’arricchimento del donatario26 . Questa tesi è stata criticata innanzitutto per il fatto di attribuire un ruolo determinante ai motivi del donante che possono essere numerosi e im24 Sul punto cfr. comunque specificamente R. Sguera, Atti di disposizione a titolo gratuito da parte di società lucrative, in Riv. notar., 1992, II, 767 ss.; L. Salvatore, Capacità di donare delle società lucrative, in Contr. impr., 1998, 860 ss.; P. Morozzo Della Rocca, Profili civilistici delle «donazioni» di impresa, cit., 227 ss. Gli scopi statutari delle fondazioni che hanno costituito oggetto dell’analisi empirica strumentale a questo studio sono ovviamente formulati in vario modo, anche a seconda del settore di utilità sociale in cui tali fondazioni operano. Tutti gli statuti esaminati, però, ribadiscono l’assenza di scopo di lucro e richiamano tra gli ambiti di intervento uno o più di quei settori di utilità sociale oggi individuati dall’art. 2 del d.lgs. n. 155/2006 sull’impresa sociale. 25 Una breve sintesi delle diverse tesi ora in E. Damiani, Atto gratuito liberale e atto gratuito non liberale, in E. Del Prato - M. Costanza – P. Manes (diretto da), Donazioni, atti gratuiti, patti di famiglia e trusts successorii, Bologna, 2010, 18. 26 Cfr. F. Messineo, Manuale di diritto civile commerciale, III, p. I, t. 1, 8ª ed., Milano, 1954, 5: «lo spirito di liberalità (…) denota, non soltanto la gratuità (assenza di corrispettivo) … ma altresì, e sopra tutto, la ragione del vantaggio …: il vantaggio, cioè, è procurato per beneficare il destinatario di esso»; A. Torrente, La donazione, 2 ª ed., a cura di Carnevali - Mora, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, e continuato da Schlesinger, Milano, 2006, 221 s., secondo cui causa della donazione è l’arricchimento del donatario, mentre l’animus donandi è la causa della donazione intesa in senso soggettivo e si identifica nell’intento comune delle parti di realizzare un’attribuzione patrimoniale senza corrispettivo; V. R. Casulli, op. cit., 971; C. M. Bianca, Diritto civile. 3. Il contratto, Milano, 1987, 468, secondo cui lo spirito di liberalità è diretto a realizzare l’interesse a disporre dei propri beni a beneficio altrui. 110 ANTONIO FICI perscrutabili e comunque diversi dall’intento di beneficiare, come testimoniano l’art. 794 nel prevedere che l’onere (il cui valore può eguagliare quello della prestazione donativa, così da eliminare oggettivamente l’arricchimento e di conseguenza l’intento di beneficiare) possa essere il solo motivo determinante della donazione, e l’art. 770, comma 1, là dove pone ragioni diverse dal puro intento di beneficiare tra le possibili motivazioni della donazione27. In secondo luogo, perché essa finisce per negare autonoma rilevanza all’animus donandi, ridotto a nient’altro che alla proiezione soggettiva della funzione di arricchimento, che (non solo può in concreto mancare, ma) peraltro è comune a tutti i contratti gratuiti28. Quindi, perché ricava un elemento della nozione di donazione da un altro elemento, l’arricchimento, che non attiene alla ragione dell’atto ma piuttosto al suo risultato29 . Secondo altri autori, invece, l’animus donandi avrebbe una valenza esclusivamente negativa: esso consisterebbe nella libertà e spontaneità della donazione, ovverosia nella mancanza di costrizioni giuridiche in capo al donante30. Questa posizione trova conferma nella Relazione al c.c. in cui si descrive l’elemento soggettivo della donazione come «la coscienza di conferire ad altri un vantaggio patrimoniale senza essere costretti». Più precisamente, per chi correttamente osserva come tutti i negozi giuridici costituiscano esercizio di autonomia privata e dunque siano in tal senso “spontanei”31, la mancanza di coazione va intesa non solo in senso giuridico ma in senso più ampio e generale, come assenza di qualsiasi vin27 Per queste critiche, cfr. A. Cataudella, La donazione, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, Torino, 2005, 10 s. 28 Cfr. A. Cataudella, op. cit., 13. 29 Cfr. A. Checchini, L’interesse a donare, in Riv. dir. civ., 1976, I, 260. 30 Cfr. A. C. Jemolo, Lo spirito di liberalità, in Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, II, Torino, 1960, 973 ss.; A. Palazzo, Le donazioni, in Il codice civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 1991, 5 ss.; U. Carnevali, Gli atti di liberalità e la donazione contrattuale, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, VI, t. 2, 2ª ed., Torino, 1997, 495. 31 Cfr. già A. Torrente, op. cit., 227, il quale, commentando la mancata riproposizione nell’art. 769, c.c., della formula dell’art. 1050, c.c. del 1865, che qualificava la donazione «un atto di spontanea liberalità», osserva: «se per spontaneità dell’attribuzione si deve intendere l’assenza di coazione legale ad eseguire l’attribuzione patrimoniale, quest’elemento è già implicito nella nozione di gratuità oggettiva: l’atto compiuto in adempimento di un obbligo non è né un atto gratuito né un atto oneroso: è un atto dovuto. Perciò la spontaneità nulla aggiunge alla trama dei requisiti della donazione: costituisce una superfluità, opportunamente abolita»; A. Checchini, L’interesse, cit., 260, sottolinea come la mancanza di obbligo giuridico sia una nota comune, oltre che alle liberalità, ai negozi gratuiti e all’adempimento di obbligazione naturale. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 111 colo, anche non giuridico, a concludere il contratto32. Lo confermerebbe l’art. 770, comma 2, c.c., che esclude la natura di donazione della liberalità d’uso proprio perché l’intento di conformarsi all’uso esclude la spontaneità intesa in senso lato33. Da qui, tra l’altro, la distinzione tra donazione (anche quella rimuneratoria ex art. 770, comma 1, c.c.) e atto gratuito di adempimento di un’obbligazione naturale, cioè, come precisa la legge, di un dovere morale o sociale, la cui sussistenza esclude dunque l’animus donandi (art. 2034, comma 1, c.c.)34. Secondo una tesi molto accreditata, l’animus donandi consisterebbe invece nella non patrimonialità dell’interesse perseguito dal donante, che la donazione sarebbe diretta a soddisfare in via diretta35. Ciò consentirebbe di distinguere la donazione innanzitutto dagli atti a titolo oneroso nei quali già empiricamente, essendo posto un sacrificio economico sulla controparte, si può riconoscere l’esistenza di un interesse economico del disponente36; e in secondo luogo dagli atti a titolo gratuito, perché in questi ultimi l’arricchimento non è finalizzato a soddisfare un interesse non patrimoniale del disponente, bensì (sia pur indirettamente) un suo interesse economico37. A questa stregua, infatti, la donazione si distinguerebbe dagli atti genericamente a titolo gratuito proprio perché è un atto economicamente di32 In tal senso A. Cataudella, op. cit., 14, secondo cui, considerato che la mancanza di un vincolo giuridico costituisce (con l’eccezione del contratto preliminare) dato comune alle manifestazioni dell’autonomia privata, solo in questa accezione l’assenza di coazione (spontaneità) può assumere valore caratterizzante. 33 Cfr. A. Cataudella, op. cit., 14 s. 34 Cfr. A. Cataudella, op. cit., 17. In giurisprudenza si discute ad esempio se le elargizioni fatte da un convivente all’altro costituiscano donazione (eventualmente nulla per difetto di forma) o adempimento di obbligazione naturale (non soggetto alla regola della forma scritta): nel primo senso, cfr. Trib. Verona, 15 novembre 1991, in Rep. Foro it., 1992, «Donazione», n. 14; nel secondo, Trib. Roma, 13 maggio 1995, in Rep. Foro it., 1995, «Obbligazioni in genere», n. 78. Sulla distinzione tra donazione remuneratoria e adempimento di obbligazione naturale, cfr. Cass., 13 maggio 1987, n. 4394, in Rep. Foro it., 1987, «Fallimento», n. 303: «L’inefficacia nei confronti dei creditori degli atti a titolo gratuito, prevista dall’art. 64, l. fall., riguarda tutte le attribuzioni che implichino un depauperamento del patrimonio dal fallito senza corrispettivo, con la sola esclusione di quelle compiute in adempimento di doveri morali od a scopo di pubblica utilità, ovvero dei regali d’uso; nella suddetta previsione, pertanto, rientra la donazione remuneratoria contemplata dall’art. 770, c.c., la quale, pur se diretta a compensare servizi in precedenza resi dal beneficiario, integra un’elargizione di natura discrezionale, non essendovi il donante tenuto né in base a vincolo giuridico, né per dovere morale o consuetudine sociale». 35 Cfr. A. Checchini, L’interesse, cit., 262, 264; cui aderisce, tra gli altri, V. Roppo, Il contratto, 2ª ed., in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2011, 416. 36 Cfr. A. Checchini, L’interesse, cit., 265. 37 Cfr. A. Checchini, L’interesse, cit., 266 ss., 278 s. 112 ANTONIO FICI sinteressato, laddove gli atti a titolo gratuito (si pensi alla fideiussione prestata da un socio in favore della propria società per consentirle l’ottenimento di un mutuo; o al premio che una società commerciale elargisca alla propria clientela più affezionata; o alla sponsorizzazione di un convegno di medicina da parte di un’industria farmaceutica; ecc.) sarebbero mossi da un interesse economico oggettivamente apprezzabile della parte che arricchisce l’altra38. Secondo altra dottrina, infine, lo spirito di liberalità esprime sia l’assenza di coazione (di qualsiasi tipo, giuridica e non) sia la non patrimonialità dell’interesse perseguito: entrambi i due profili devono dunque ricorrere perché un atto possa qualificarsi come donazione tipica39 . La giurisprudenza è sostanzialmente orientata in quest’ultimo senso, poiché ritiene insussistente lo spirito di liberalità ora nel caso di mancanza di spontaneità dell’attribuzione40, ora in presenza di un interes38 Cfr. di recente in questo senso E. Damiani, op. cit., 20, anche per ulteriori riferimenti ed ipotesi applicative (ivi, 21 ss.); più ampiamente e di recente, A. Gianola, Atti gratuiti non liberali, in Digesto civ., Agg. V, Torino, 2010, 45 ss. 39 Cfr. A. Cataudella, op. cit., 19. 40 Cfr. Cass., 24 febbraio 2004, n. 3615, in Rep. Foro it., 2004, «Fallimento», n. 390: «La fideiussione prestata da una società controllata in favore della società controllante non è riconducibile ad una donazione, qualora il contratto sia stato stipulato in adempimento di direttive impartite dalla capogruppo o comunque di obblighi assunti nell’ambito di una o più vasta aggregazione imprenditoriale, in quanto in tal caso difetta lo spirito di liberalità»; Cass., 5 dicembre 1998, n. 12325, in Rep. Foro it., 1999, «Donazione», n. 15: «L’assenza di corrispettivo, se è sufficiente a caratterizzare i negozi a titolo gratuito (così distinguendoli da quelli a titolo oneroso), non basta invece ad individuare i caratteri della donazione, per la cui sussistenza sono necessari, oltre all’incremento del patrimonio altrui, la concorrenza di un elemento soggettivo (lo spirito di liberalità) consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, e di un elemento di carattere obiettivo, dato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l’obbligazione; ne consegue che, quando un atto viene posto in essere da una società “controllata”, va esclusa la ricorrenza di una donazione e non è necessaria l’osservanza delle forme richieste dall’art. 782 c.c. se l’operazione è stata posta in essere in adempimento di direttive impartite dalla capogruppo o comunque di obblighi assunti nell’ambito di una più vasta aggregazione imprenditoriale, mancando la libera scelta del donante; inoltre, al fine di verificare se l’operazione abbia comportato o meno per la società che l’ha posta in essere un depauperamento effettivo occorre tener conto della complessiva situazione che, nell’ambito del gruppo, a quella società fa capo, potendo l’eventuale pregiudizio economico che da essa sia direttamente derivato aver trovato la sua contropartita in un altro rapporto e l’atto presentarsi come preordinato al soddisfacimento di un ben preciso interesse economico, sia pure mediato e indiretto»; Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500, in Rep. Foro it., 1987, «Separazione dei coniugi», n. 40: «Allorché un coniuge, in sede di separazione consensuale, assume l’obbligo nei confronti dell’altro coniuge di provvedere al mantenimento del figlio minore, impegnandosi a tal fine a trasferirgli un Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 113 se economico (ancorché mediato o indiretto) perseguito dal disponente 41. Se si condivide che lo spirito di liberalità, come sopra interpretato, contribuisce ad individuare il tipo legale della donazione, allora, volendo tornare al nostro tema specifico, può concludersi nel senso che le erogazioni delle fondazioni non possono farsi rientrare in questo tipo, perché, sulla base di una valutazione oggettiva, non sono caratterizzate da animus donandi. Questa conclusione, a ben vedere, non concerne tanto il profilo dell’interesse non patrimoniale perseguito mediante l’atto, essendo possibile sostenere che le fondazioni, quali enti senza scopo di lucro, perseguano in effetti interessi non patrimoniali42, quanto soprattutto l’altro profilo della “spontaneità” dell’atto, benché le conclusioni cui si addiverrà in merito a questo secondo aspetto siano idonee ad influenzare anche la valutazione del primo43. bene immobile, pone in essere con il detto coniuge un contratto preliminare a favore del figlio, con la conseguenza che l’atto scritto con cui il coniuge obbligato in esecuzione di tale contratto, dichiara di trasferire al figlio quel bene, essendo privo dello spirito di liberalità, non configura una donazione, ma una proposta di contratto unilaterale, gratuito ed atipico, che, ai sensi dell’art. 1333 c.c., in mancanza del rifiuto del destinatario in un termine adeguato (alla natura dell’affare stabilito dagli usi), determina l’irrevocabilità della proposta e quindi la conclusione del contratto, nonostante che la volontà di accettazione non risulti da atto scritto, dovendosi ritenere assolto l’obbligo della forma attraverso le modalità con cui è stata formulata la proposta». 41 Cfr. Cass., 29 settembre 1997, n. 9532, in Rep. Foro it., 1998, «Fallimento», n. 402: «Agli effetti dell’art. 64 legge fall., per qualificare un atto quale atto a titolo gratuito, non è sufficiente l’assenza di corrispettivo, che di per sé non equivale a gratuità dell’atto, ma è necessaria anche la presenza dello spirito di liberalità; gli interventi gratuiti compiuti da una società a favore di un’altra società giuridicamente autonoma dalla prima, ma ad essa collegata, debbono presumersi – qualora ricorrano particolari circostanze che rivelino unitarietà di finalità e di amministrazione – non già come espressione di spirito di condiscendenza e di liberalità, bensì come atti preordinati al soddisfacimento di un proprio interesse economico, sia pure mediato e indiretto, ma giuridicamente rilevante». 42 E, ancora più a monte, con riguardo all’atto di fondazione, cfr. A. Checchini, L’interesse, cit., 289, dove, nell’elencare ipotesi di giuridica rilevanza dell’interesse non patrimoniale, afferma: «l’interesse che muove il fondatore a costituire la fondazione non sarebbe di natura diversa». 43 Infatti, per quanto le fondazioni agiscano senz’altro per il perseguimento di interessi non patrimoniali, il fatto che, come si dirà nel testo, l’erogazione sia un atto di adempimento delle disposizioni statutarie, dovrebbe comportare che l’interesse ad erogare abbia natura patrimoniale perché è interesse alla liberazione da un vincolo obbligatorio che, come tale, non può che avere contenuto patrimoniale (art. 1174, c.c.), ancorché il vincolo obbligatorio sussista in ultima analisi per soddisfare l’interesse non patrimoniale che costituisce lo scopo della fondazione e dunque anche l’adempimento realizzi indirettamente 114 ANTONIO FICI La fondazione, infatti, non effettua “spontaneamente” le erogazioni, ma “in adempimento” dello statuto che la vincola ad operare così per il perseguimento dello scopo44. Sussiste dunque quella “coazione” (peraltro di natura giuridica45) all’atto che esclude lo spirito di liberalità del disponente, nella misura in cui «liberalità e adempimento sono concetti incompatibili: la prima che è compiuta nullo iure cogente, rappresenta la perfetta antitesi del secondo, che costituisce al contrario un atto dovuto»46 . Questa conclusione trova numerosi riscontri in dottrina. Si è infatti autorevolmente sostenuto che «l’assegnazione che fa l’ente fondazione ai destinatari non è una liberalità, ma l’adempimento obbligatorio del fine della fondazione: il che non esclude peraltro che l’acquisto del destinatario sia a titolo gratuito»47. Analogamente, secondo altri autori, non realizzano una liberalità le erogazioni degli enti con scopi di beneficenza, perché essi adempiono lo scopo statutario48, quindi manca lo spirito di liberalità, poiché «l’atto necessitato non può considerarsi in nessun caso come liberalità»49. Altra dottrina conferisce alle attribuzioni deliberate dalle fondazioni bancarie carattere di adempimento di doveri di solidarietà obbligatoria (perché imposta dalla legge), così escludendone la natura donativa, poiché manca assolutamente l’animus donandi50. interessi non patrimoniali. Cfr., per la natura patrimonialmente valutabile dell’interesse generale perseguito da un Comune il quale ceda gratuitamente un’area ad una società con l’obbligo di costruirvi uno stabilimento industriale e assumervi lavoratori locali, F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, 13ª ed., Napoli, 2007, 549. 44 Sul vincolo di destinazione allo scopo statutario (e sulla sua intangibilità) ai fini della identificazione del tipo fondazione, cfr. A. Zoppini, Le fondazioni, cit., 132 s. 45 Non condivisibile è la tesi di A. Natale, I soggetti, in La donazione, I, trattato diretto da Bonilini, Torino, 2001, 383 s. (nonché ID., Il donante, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, diretto da Bonilini, VI, Milano, 2009, 312), secondo cui gli enti non profit adempirebbero un dovere sociale e dunque l’erogazione ricadrebbe nell’ambito della disciplina delle obbligazioni naturali; infatti, il dovere sociale, se così lo si può considerare, sarebbe in tal caso calato in un preciso precetto statutario e dunque costituirebbe un dovere giuridico che esclude la spontaneità di cui all’art. 2034, c.c. Secondo P. Morozzo Della Rocca, Autonomia privata e prestazioni senza corrispettivo, Torino, 2004, 42, nota 147, questa tesi sarebbe non convincente perché renderebbe non esigibili le prestazioni erogative deliberate e promesse ma non adempiute. 46 Così U. Carnevali, Liberalità, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, 217. 47 Così F. Ferrara, Le persone giuridiche, 2ª ed., rist., Torino, 1958, 300. 48 V.R. Casulli, op. cit., 974. 49 V.R. Casulli, op. cit., 968. 50 Così A. Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 2000, 55. Allo stesso modo, con riferimento alle ipotesi in cui l’erogazione sia Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 115 Allo stesso modo, si ritiene che le erogazioni gratuite effettuate da enti pubblici, essendo giustificate dall’interesse pubblico perseguito dall’ente, non siano donazioni per mancanza dell’intento donativo. Così, ad esempio, nel caso in cui un comune trasferisca gratuitamente un terreno ad una provincia, o ad un privato, con l’obbligo di costruirvi uno stabilimento industriale ed assumervi lavoratori locali51. Né a questa teoria potrebbe obiettarsi, come pure si è fatto, che, se da una parte è vero che le disposizioni statutarie obbligano l’ente ad erogare, dall’altra non sussiste un diritto soggettivo del potenziale beneficiario all’erogazione, dal momento che le fondazioni (e più in generale gli enti di erogazione) godono di una discrezionalità più o meno ampia nella scelta del beneficiario, cosicché «un elemento di autonomia, ossia di spontaneità, è presente nell’erogazione»52. La discrezionalità nella scelta dei beneficiari, infatti, come del resto la stessa dottrina sopra riportata premette, non esclude il dovere di agire, ma costituisce soltanto la conseguenza di un dovere che ha contenuto indeterminato e che la discrezionalità dell’obbligato perciò colma. Ben può sussistere peraltro una situazione soggettiva di dovere (in questo caso, di erogare) cui, stante il contenuto discrezionale, non corrisponde una situazione (vantaggiosa) di diritto soggettivo (all’erogazione), ma solo di interesse legittimo (al rispetto delle regole dell’agire o all’uso della buona fede nell’esercizio della discrezionalità), come la dottrina più attenta ha già da tempo chiarito53. dovuta in quanto oggetto di una previsione legislativa al riguardo vincolante, G. Oppo, Sulle erogazioni “gratuite” delle aziende di credito, in Banca, borsa e tit. cred., 1982, I, 927. 51 Cfr. in questo senso, F. Gazzoni, Manuale, cit., 834; in senso analogo, insistendo sul difetto di spontaneità, R. Restuccia, La capacità di donare, in E. Del Prato - M. Costanza P. Manes (diretto da), Donazioni, atti gratuiti, cit., 323. Ma diversamente parlano di “donazione” Cass., sez. un., 26 gennaio 2000, n. 6, in Foro it., 2000, I, 2567; Cass., 18 dicembre 1996, n. 11311, in Rep. Foro it., 1996, «Contratti della p.a.», n. 293. 52 Così A. Gianola, Atto gratuito, atto liberale. Ai limiti della donazione, Milano, 2002, 218, che però poi, come diremo, nega per altra via la natura di donazione delle erogazioni (ma cfr. adesso ID., Donazione, in Dizionari del diritto privato, promossi da Irti, Diritto civile, a cura di Martuccelli e Pescatore, cit., 694, dove sembra emergere un orientamento generale di segno contrario nel momento in cui l’Autore sostiene: «… è da escludersi una donazione laddove l’attribuzione gratuita sia imposta dalla legge, dallo statuto o dalle finalità dell’ente, non sussistendo in tali casi l’elemento della spontaneità: sono i casi dell’ente non profit e dell’ente pubblico»; nonché nei medesimi termini ID., Atti gratuiti, cit.; ID., Atti liberali non donativi, in Digesto civ., Agg. V, Torino, 2010, 56). 53 Cfr. L. Bigliazzi Geri, Interesse legittimo: diritto privato, in Digesto civ., IX, Torino, 1993, 38 (dell’estratto), secondo cui l’interesse legittimo è una situazione di vantaggio inattiva, il cui soddisfacimento dipende dal comportamento di un altro soggetto, titolare di 116 ANTONIO FICI Né convince l’obiezione autorevole secondo cui le erogazioni oggetto di previsione statutaria costituirebbero liberalità poiché la loro doverosità dipende da una regola, quella statutaria, non già imposta dall’esterno ma che lo stesso ente si è data, cosicché «“predisporre” e quindi, …, “istituzionalizzare” una propria attività liberale non significa toglierle questo carattere»54. V’è infatti da precisare che autore dell’erogazione è la fondazione (mediante i suoi organi), mentre autore dell’atto di fondazione è il fondatore: dunque la regola proverrebbe comunque da fonte esterna; e che comunque l’identità soggettiva dell’autore della regola e dell’atto dovuto non muta la qualificazione di quest’ultimo, come dimostra, ad esempio, la fattispecie del contratto definitivo, che è atto dovuto anche se la fonte dell’obbligo deriva da un atto di autonomia (cioè il contratto preliminare) dello stesso soggetto obbligato. Al medesimo risultato qui accolto (erogazione come atto dovuto) si giunge sulla base della qualificazione, autorevolmente proposta in dottrina, dell’atto di fondazione come promessa al pubblico. Secondo questa dottrina, l’atto di fondazione sarebbe qualificabile come promessa al pubblico ai sensi dell’art. 1989, c.c., sia nel caso in cui i beneficiari siano determinati o determinabili sulla base dello statuto, talché agli amministratori non sia accordata facoltà di scelta, sia in quello in cui agli organi preposti della fondazione sia invece attribuita discrezionalità nella scelta del beneficiario. Segnatamente, nel caso di beneficiari determinati o determinabili, la promessa al pubblico avrebbe ad oggetto la prestazione finale; nel caso di beneficiari non immediatamente determinabili sulla base dello statuto, la promessa al pubblico avrebbe innanzitutto ad oggetto il compimento di prestazioni preliminari, quali bandire i concorsi, ammettere chi presenti i requisiti richiesti, valutare secondo i criteri statutariamente enunciati, e così via55. una situazione di diritto o di dovere, ancorché discrezionale sul quomodo. L’interesse legittimo serve a rendere discrezionale un comportamento altrimenti arbitrario oppure costituisce un ulteriore vincolo alla preesistente discrezionalità. D’altro canto, «la discrezionalità non altera la natura di una situazione di “dovere” trasformandola in una di “potere”». 54 G. Oppo, Sulle erogazioni “gratuite”, cit., 932; ID., La prestazione in adempimento di un dovere non giuridico (cinquant’anni dopo), in Riv. dir. civ., 1997, I, 523. 55 In questo senso F. Galgano, op. cit., 278 ss.; alla cui tesi mostra di aderire A. Zoppini, Le fondazioni, cit., 184 ss. Limitatamente all’ipotesi di beneficiari determinati cfr. P. Rescigno, op. cit., 813: «la situazione dei beneficiari contemplati nello statuto, quando si tratti di un gruppo specificamente delimitato, non è diversa dalla situazione in cui si trovano i destinatari di una promessa al pubblico»; laddove, secondo questa autorevole dottrina, in presenza di facoltà di scelta da parte degli organi della fondazione, i potenziali bene- Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 117 Accogliendo questa teoria, si otterrebbe che l’erogazione della fondazione (o ancor prima il bando da essa emanato) e la procedura di assegnazione del grant costituiscano atti dovuti, perché posti in essere in adempimento di una promessa al pubblico (nel nostro caso, ai sensi dell’art. 1989, c.c., si tratterebbe per lo più di promesse a favore di chi «compia una determinata azione», poiché agli enti potenziali beneficiari delle fondazioni è inizialmente richiesta la presentazione di un progetto e poi la sua esecuzione). Anche per questa via si giungerebbe dunque a qualificare l’erogazione come atto dovuto (di adempimento di una promessa al pubblico) e conseguentemente ad escluderne la natura donativa per assenza di spontaneità dell’agire. In definitiva, le erogazioni delle fondazioni, essendo atti solvendi causa, non costituiscono donazioni ai sensi dell’art. 769, c.c., e alla relativa disciplina non sono pertanto direttamente soggette56. 4.1.3. L’assenza di arricchimento e di impoverimento Requisito oggettivo della donazione, come si ricava dalla stessa definizione di cui all’art. 769, c.c., è altresì l’arricchimento del donatario (“una parte arricchisce l’altra”), o meglio la volontà comune delle parti di realizzare siffatto arricchimento, perché in concreto l’arricchimento potrebbe venire a mancare del tutto, come dimostra il fatto che il modus apposto al contratto di donazione può assorbire per intero il valore del donatum (cfr. art. 793, comma 2, c.c.). È sufficiente dunque che l’arricchimento sia stato oggetto di (volontà e) programmazione da parte dei contraenti, non essendo necessario accertare che esso poi si realizzi effettivamente, tanto è vero che, almeno secondo una dottrina, la donazione è sì contratto ficiari sarebbero titolari non già di un diritto soggettivo, bensì di un interesse legittimo, essendo equiparabili ai terzi di cui agli artt. 631, comma 2, e 778, comma 2, c.c. (cfr. ID., op. cit., 813 s.). In giurisprudenza, cfr. in questi termini Cass., sez. un., 10 ottobre 1964, n. 2622, in Foro it., 1965, I, 666. Ma perplessità al riguardo mostra M. Basile, op. cit., 328, secondo cui la riconducibilità dello statuto della fondazione al concetto di promessa al pubblico comporta un ampliamento eccessivo di questa nozione, se non anche un discutibile snaturamento del fenomeno statutario. 56 Donazioni in senso tecnico-giuridico potrebbero forse ritenersi soltanto le erogazioni estranee allo scopo statutario, e perciò “spontanee”, come nel caso di una fondazione il cui scopo fosse concedere contributi ad enti non profit per finalità di promozione culturale e che in concreto erogasse un contributo in favore di una persona fisica bisognosa. 118 ANTONIO FICI liberale, ma non già contratto necessariamente gratuito (tale infatti non sarebbe quando un onere gravasse sul donatario)57. Si è molto discusso in dottrina se per l’esistenza di una donazione, oltre all’arricchimento, sia richiesto anche il contestuale e corrispettivo impoverimento del donante58. Dalla necessità dell’impoverimento del donante muove una dottrina per negare natura di donazione all’erogazione effettuata dalla fondazione. L’acquisto del beneficiario, infatti, è senz’altro a titolo gratuito, ma non sussiste né donazione né più in generale liberalità, perché c’è l’arricchimento del beneficiario ma manca l’impoverimento dell’ente erogante, posto che esso agisce in adempimento di un obbligo59. Pertanto, è «gratuita l’erogazione dell’ente privo di scopo di lucro, nonostante le previsioni statutarie», ma al tempo stesso l’erogazione non potrebbe qualificarsi come donazione, perché questa presuppone sia l’arricchimento sia l’impoverimento che però nel caso di specie manca60. Questa dottrina, ancorché giunga alla conclusione corretta (l’erogazione non è una donazione), non lo fa però mediante un ragionamento convincente, anche a prescindere dalla difficoltà di immaginare un arricchimento senza impoverimento61 o dalle perplessità sul fatto se davvero 57 Cfr. A. Cataudella, op. cit., 54: «la donazione è un contratto non a prestazioni corrispettive ma non sempre si prospetta come contratto gratuito, dato che, quando sia modale, la presenza di una prestazione a carico del donatario osta a tale qualificazione»; cfr. per analoghe premesse anche A. Checchini, L’interesse, cit., 308 s.; ID., Liberalità (atti di). I) Diritto civile, in Enc. giur., XVIII, Roma, 1990, 3; U. Carnevali, Gli atti di liberalità, cit., 498. Con riguardo all’ipotesi in cui l’onere assorba già dall’inizio il valore della prestazione donativa, cfr. E. Damiani, op. cit., 12 s., il quale ritiene che in questo caso la fattispecie sia qualificabile non già come donazione ma come mandato a donare se vi sono beneficiari determinabili o come mandato tout court o prestazione d’opera se i beneficiari non sono determinabili, e dunque come contratto a prestazioni corrispettive. 58 Cfr. per la risposta affermativa V.R. Casulli, op. cit., 969, che su questa base distingue gli atti liberali (tra cui appunto la donazione), cui all’arricchimento corrisponde l’impoverimento, e gli atti gratuiti tipici, dove manca l’impoverimento (comodato, mandato e mutuo gratuiti, ecc.); ma contra A. Cataudella, op. cit., 6, nota 17; E. Damiani, op. cit., 9 s. 59 In questo senso A. Gianola, Atto gratuito, cit., 219; ID., Atti gratuiti, cit.; giunge, pare, alla medesima conclusione anche L. Maruzzi, Natura giuridica delle erogazioni concesse dalle fondazioni bancarie, in Enti non profit, 2008, 330, ma sulla base di una spiegazione non convincente (e cioè, che la ripartizione del reddito annualmente conseguito dalla fondazione non integrerebbe il requisito del sacrificio). 60 A. Gianola, Atto gratuito, loc. cit. 61 Nella relazione al c.c. si legge infatti che «l’essenza della donazione, …, sta appunto in ciò, che pur puro spirito di solidarietà una persona opera una diminuzione del proprio patrimonio e un incremento del patrimonio di un’altra». Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 119 l’impoverimento, in quel modo concepito, sia requisito della donazione. È vero innanzitutto che l’adempimento non è in sé né un atto a titolo oneroso né un atto a titolo gratuito per chi adempie, perché queste qualificazioni non possono riguardare un atto dovuto62. Ma l’onerosità o gratuità potrebbero essere riferite all’atto da cui discende l’obbligo, e in questo caso all’atto di fondazione che è senz’altro un atto che depaupera il fondatore perché per costituire una fondazione è necessario dotarla di risorse per il conseguimento dello scopo (c.d. dotazione)63. Sotto questo profilo, costituisce dunque forse una forzatura (o una pura formalità giuridica priva di riscontro dal punto di vista economico; e si badi, peraltro, che la nozione di arricchimento di cui all’art. 769, c.c., è nozione economica non giuridica64) affermare che l’erogazione non impoverisce. In secondo luogo, una volta ritenuto che l’erogazione sia un atto dovuto, ciò, come detto, è di per sé sufficiente ad escluderne la natura donativa per mancanza dello “spirito di liberalità”. Ancora più a monte, se si guarda al prevalente modo di operare delle fondazioni oggetto di questo studio, v’è da chiedersi se non manchi del tutto il requisito dell’arricchimento programmato del (presunto) donatario. Si è infatti precedentemente rilevato che le fondazioni in oggetto erogano in vista (o meglio, verrebbe da dire subito, in funzione) di un determinato impiego da parte del beneficiario delle somme, impiego illustrato (e promesso) in un progetto di cui l’ente beneficiario chiede e ottiene il finanziamento. Talvolta, anzi, l’erogazione segue e non già precede il compimento di determinate attività di utilità sociale, e consiste nel rimborso di spese documentate. Ora, se è vero che il tipo donazione non è incompatibile con l’imposizione di una prestazione (e dunque di un sacrificio economico) in capo al donatario, perché la donazione può contenere un modo65, è anche vero che non di donazione modale più si tratta bensì di contratto (oneroso) a prestazioni corrispettive allorché la prestazione non abbia più le caratteri62 Cfr. G. Oppo, Sulle erogazioni “gratuite”, cit., 927, che parla al riguardo di atto “neutro”; U. Carnevali, Gli atti di liberalità, cit., 490; L. Gatt, La liberalità, I, Torino, 2002, 423, nota 9. 63 Sulla necessità dell’adeguatezza della dotazione patrimoniale della fondazione già in fase di costituzione e ai fini del riconoscimento, cfr. M. Basile, op. cit., 103 ss. 64 Cfr. A. Checchini, L’interesse, cit., 308 s.; U. Carnevali, Gli atti di liberalità, cit., 493 s. 65 Che il modo costituisca un’obbligazione in senso tecnico, in favore del donante, dello stesso donatario, o di terzi, è pacifico in dottrina e in giurisprudenza: cfr. U. Carnevali, Gli atti di liberalità, cit., 553; Cass., 30 marzo 1985, n. 2237, in Arch. civ., 1985, 1086. 120 ANTONIO FICI stiche del modus ma si ponga in tutt’altro rapporto rispetto all’intenzione dei contraenti e alla prestazione attributiva. In tal caso, potrebbe non esservi donazione (ancorché della specie “modale”) per mancanza non solo (e non tanto) dell’arricchimento del donatario, ma della stessa comune volontà di realizzare l’arricchimento, intendendo i contraenti imporre al donatario (a questo punto non più tale) una prestazione corrispettiva a favore di terzo (e dunque, si dovrebbe dire, anche per difetto di spirito di liberalità, perché la struttura a prestazioni corrispettive del contratto risulterebbe incompatibile con il perseguimento di un interesse non patrimoniale66)67 . La mancanza di arricchimento del beneficiario, che può prospettarsi con riferimento a determinate “erogazioni” delle fondazioni in esame, ne escluderebbe radicalmente la natura donativa, a prescindere da qualsiasi indagine sull’animus donandi68. Ma all’analisi di quest’ultimo punto dovranno in seguito dedicarsi riflessioni più approfondite. 5. Conclusioni parziali e premesse per gli approfondimenti successivi Sulla base dell’analisi sin qui svolta, si è giunti alla conclusione per cui le erogazioni delle fondazioni non sono donazioni bensì atti dovuti di adempimento dello statuto. Segnatamente, questa qualificazione s’impone sia all’erogazione in senso proprio, sia agli eventuali atti ad essa preordinati, quali bandi, procedure di verifica, valutazione, ecc. La natura di atto dovuto esclude l’applicazione diretta della disciplina della donazione soprattutto con riguardo alla struttura necessariamente contrattuale (e dunque bilaterale) del rapporto tra fondazione e beneficiario, e alla forma di atto pubblico (ma si pensi anche alla nullità della donazione di beni futuri: art. 771, comma 1, c.c., che, se l’erogazione si qualificasse come donazione, precluderebbe alle fondazioni di impegnarsi ad erogare rendite o utili non ancora maturati). Nella sua versione più elementare (contributo in denaro, che non imponga alcun onere al beneficiario) – che peraltro, come già sottolineato, costituisce una modalità marginale nella prassi operativa delle fondazioni 66 Cfr. A. Checchini, L’interesse, cit., 265, secondo cui l’esistenza di una controprestazione soddisfa direttamente un interesse patrimoniale del disponente, escludendo così la liberalità per mancanza dello spirito di liberalità, cioè di un intento non patrimoniale. 67 Spunti in questo senso in E. Damiani, op. cit., 13. 68 Cfr. infatti A. Checchini, L’interesse, cit., 264: «è inutile accertare l’esistenza dello spirito di liberalità se non sussiste anche l’arricchimento, pur restando, questi, concetti distinti fra loro». Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 121 che ci occupano – l’erogazione (rectius: l’atto deliberativo dell’erogazione), dunque, non solo potrà avere struttura di negozio unilaterale ricettizio rifiutabile dal destinatario ex art. 1333, c.c. (il diritto sul grant concesso dalla fondazione nasce pertanto in capo al beneficiario al momento della ricezione, senza necessità della sua accettazione, salva la possibilità di rifiuto)69, ma non sarà sottoposta ad alcun vincolo formale di validità. Ciò vale anche per gli atti strumentali all’erogazione, quali i bandi, che costituendo promesse al pubblico ex art. 1989, comma 1, c.c., (in favore di chi si trovi in una determinata situazione) non sono soggetti a particolari oneri formali70. La “pubblicità” della promessa può peraltro attuarsi in qualsiasi forma idonea allo scopo (orale, informatica, ecc.), anche per acta concludentia71, tenendo presente che, scelta una forma, la eventuale revoca della promessa per giusta causa dovrà, a pena di invalidità, farsi nella medesima forma della promessa o in forma equivalente (art. 1990, comma 1, c.c.). Se si guarda alla posizione del beneficiario, dopo che l’erogazione sia stata deliberata dalla fondazione72, le erogazioni “semplici” del tipo sin qui esaminato (che sono atti dovuti per la fondazione e dunque, come detto, per quest’ultima né gratuiti né onerosi), conformemente del resto alla struttura unilaterale del negozio che le dispone, producono in capo a 69 La conclusione cui si è giunti in merito alla struttura dell’atto in questione presuppone accogliere le seguenti teorie: a) che l’art. 1333, c.c., introduca nel nostro ordinamento la figura generale del negozio unilaterale rifiutabile (in tal senso cfr. F. Gazzoni, Manuale, cit., 863 ss.), l’interesse (patrimoniale, e comunque non liberale) del promittente essendo quello all’adempimento dell’obbligo statutario di erogare; b) che un atto negoziale possa essere solvendi causa, come dimostra la figura del contratto definitivo esecutivo di preliminare. 70 Quando la fondazione eroghi tramite bandi, si pone peraltro il problema di capire se l’obbligo di prestare sorga già al momento della pubblicazione del bando (o del verificarsi della situazione, ove essa non fosse preesistente) oppure in quello successivo in cui il beneficiario comunichi alla fondazione di trovarsi nella situazione richiesta per l’ottenimento della prestazione in suo favore: nel primo senso, cfr. A. di Majo Promessa unilaterale (dir. priv.), in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 66; F. Gazzoni, Manuale, cit., 697; nel secondo, sulla base di una particolare ricostruzione complessiva dell’istituto, cfr. G. Sbisà, Promessa al pubblico, in Digesto civ., XV, Torino, 1997, 368, anche se lo stesso A. ritiene poi possibile, con riguardo alle promesse al pubblico gratuite, che sono quelle di cui ci si occupa ora nel testo, che il promittente rinunci alla comunicazione da parte del beneficiario (cfr. ID., op. cit., 370). 71 Cfr. G. Sbisà op. cit., 378; F. Gazzoni, Manuale, cit., 695. 72 Prima di questo momento, il beneficiario è titolare di un diritto soggettivo o di un mero interesse legittimo, a seconda che esso sia già predeterminato dallo statuto o sia soltanto determinabile poiché lo statuto affida agli organi della fondazione la scelta, secondo criteri statutari più o meno stringenti, dei beneficiari. 122 ANTONIO FICI quest’ultimo un acquisto a titolo gratuito: a fronte dell’arricchimento, nessun sacrificio infatti gli è imposto, né alcuna destinazione della somma ricevuta; semplicemente, egli riceve il grant per il fatto di trovarsi nella determinata situazione (di persona bisognosa o con reddito inferiore ad un certa soglia, ecc.) prevista dallo statuto della fondazione erogante o eventualmente dal bando che dello statuto costituisce particolare modalità di attuazione. Si è detto però che il più delle volte le fondazioni considerate in questa ricerca non effettuano erogazioni “semplici”, perché il loro modo di operare è (per ragioni di efficacia e di efficienza) volutamente più sofisticato, includendo l’ipotesi del tutto opposta, e perciò definibile “complessa”, di una “erogazione” ad un ente privato non profit, subordinata alla predisposizione da parte di quest’ultimo di un progetto di utilità sociale e alla successiva realizzazione degli interventi in esso contemplati. Fermo restando il risultato cui si è giunti, cioè la causa solutoria delle erogazioni, che è senz’altro riferibile anche alle erogazioni “complesse”, è all’approfondimento di quest’ultima particolare fattispecie (predominante nella prassi operativa degli enti qui esaminati) che occorrerà pertanto dedicarsi. 6. L’erogazione “complessa” come prestazione in adempimento di un contratto a prestazioni corrispettive Lo scenario empirico si offre dunque allo sguardo dell’interprete con un volto diverso allorché presenti questi elementi: a) la fondazione decida di destinare le proprie risorse ad un altro ente non profit di utilità sociale (ente erogativo o impresa sociale ex d.lgs. n. 155/2006); b) la fondazione imponga all’ente beneficiario una determinata destinazione del grant, (normalmente) in conformità ad un progetto di utilità sociale dal medesimo presentato proprio al fine di ottenerlo (di solito partecipando ad un apposito bando di selezione); c) l’ente beneficiario sia tenuto a porre in essere uno o più atti o un’attività al fine di dare al grant la destinazione promessa. A questa fattispecie non si addice certo la qualifica di negozio unilaterale rifiutabile che arricchisce il beneficiario senza oneri, qualifica che in precedenza si è attribuita all’erogazione “semplice”, non fosse altro perché il beneficiario è tenuto a compiere gli atti necessari alla realizzazione del progetto di utilità sociale. Occorre piuttosto riesaminare la vicenda nel suo complesso tenendo conto di diversi profili. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 123 Innanzitutto, nell’ipotesi descritta, il rapporto tra la fondazione e l’ente non profit beneficiario non si fonda e non si esaurisce nell’erogazione (o, se si preferisce, nel grant o nel contributo) e nella correlativa percezione di una somma di denaro, ma si basa e si concentra su un rapporto in base al quale l’ente non profit è tenuto ad un fare e la fondazione ad un dare. In secondo luogo, tra la prestazione di dare della fondazione e quella di fare dell’ente non profit beneficiario esiste un indubbio collegamento, poiché la fondazione eroga sulla base di un determinato progetto di impiego delle somme presentato dall’ente aspirante al beneficio (e per di più, come rilevato, si riserva successivi poteri di controllo sulle corrispondenza tra impiego effettivo delle somme ed impiego dovuto). Ciò emerge in maniera ancora più evidente allorché la concreta dazione delle somme erogate non preceda ma segua la effettiva realizzazione degli interventi programmati. In terzo luogo, dall’analisi empirica svolta emerge che le erogazioni non superano i costi degli interventi programmati, di cui dunque costituiscono “rimborsi” allorché la dazione sia a questi successiva (anzi, talvolta, come avviene nelle cc.dd. erogazioni “con raccolta”, la copertura offerta dalla fondazione è soltanto parziale, dunque inferiore ai costi complessivi di esecuzione del progetto). L’ente beneficiario, pertanto, non consegue un lucro oggettivo dal rapporto con la fondazione, ma soltanto gode della preventiva anticipazione o usufruisce del successivo rimborso dei costi necessari alla realizzazione di una determinata attività di utilità sociale. La qualificazione giuridica della realtà suindicata non è agevole. Cominciando dal profilo strutturale, a differenza di quanto precedentemente rilevato con riguardo alla erogazioni “semplici” (per cui si è parlato di negozio unilaterale), non v’è dubbio che il rapporto in questione debba essere bilaterale. L’ente non profit beneficiario della fondazione, infatti, è tenuto ad una prestazione, che può essere più o meno gravosa, ma che comunque dal punto di vista tecnico-giuridico costituisce una obbligazione. Ne deriva che, alla luce dei principi generali, il suo consenso al rapporto con la fondazione è sempre necessario (a nessuno può infatti essere imposto un obbligo nascente da un atto di autonomia privata cui sia rimasto estraneo, cui cioè non abbia consentito). Le erogazioni “complesse” di cui si tratta dovranno dunque avere struttura contrattuale (ma di per sé non necessariamente concludersi in forma scritta). Ciò vale anche quando, come normalmente accade, la fondazione individui l’ente non profit mediante un bando pubblico di selezione. Per maggiore precisione, occorre qui distinguere due situazioni: la prima è quella in cui il bando sia diretto soltanto all’individuazione di un 124 ANTONIO FICI ente con cui poi la fondazione (a ciò espressamente impegnandosi con dichiarazione contenuta nel bando) concluderà il contratto avente ad oggetto l’esecuzione del progetto; la seconda è quella in cui il bando contenga già il regolamento (almeno nei suoi profili essenziali: ammontare del contributo; modalità esecutive e di erogazione; ecc.) del successivo rapporto e richieda all’ente partecipante di accettare preventivamente tale regolamento (o specifichi che la partecipazione al concorso implica anche adesione al rapporto successivo alle condizioni stabilite nel bando). Nel primo caso, infatti, dovendo qualificarsi il bando come promessa al pubblico, è necessario un successivo contratto tra la fondazione e l’ente non profit risultato vincitore, contratto cui peraltro quest’ultimo ha diritto, potendo far valere i rimedi opportuni (compresa l’esecuzione specifica ex art. 2932, c.c.) là dove la fondazione si rifiutasse di contrarre73. In assenza di questo contratto, infatti, l’ente non profit vincitore non sarebbe giuridicamente obbligato a realizzare l’attività esecutiva del progetto selezionato, perché la partecipazione al bando di per sé non equivarrebbe ad accettazione del rapporto. Nel secondo caso, invece, costituendo il bando un’offerta al pubblico ai sensi dell’art. 1336, c.c., accettata mediante partecipazione al bando, il rapporto tra la fondazione e l’ente vincitore sorge già per effetto dell’espletamento del concorso, senza necessità di un successivo contratto (se non eventualmente per gli aspetti integrativi e/o modificativi del rapporto), poiché contratto è già quello che si perfeziona mediante l’emissione del bando (che vale come proposta contrattuale) e la partecipazione al concorso (che vale come accettazione della proposta)74. Concluso il concorso, dunque, la fondazione sarà tenuta ad effettuare l’erogazione e l’ente non profit ad adempiere le obbligazioni necessarie all’attuazione del progetto di utilità sociale. Ciò chiarito, il principale problema che si pone è se questi rapporti (abbiamo detto: di fonte contrattuale) debbano essere considerati rapporti gratuiti con onere (o modo) a carico del beneficiario75 oppure rapporti onerosi e a prestazioni corrispettive (ovverosia sinallagmatici o di scambio), tenendo naturalmente presente che liberalità e gratuità non sono ca73 Cfr. in questo senso G. Sbisà, op. cit., 372 ss. Per questa conclusione, cfr. G. Sbisà, ibidem. 75 Che il modus possa essere apposto non solo ai contratti, come la donazione, in cui è già previsto dal codice civile, ma a tutti i contratti gratuiti, è tesi prevalente in dottrina: cfr. F. Gazzoni, Manuale, cit., 549; nella stessa direzione in giurisprudenza, con riguardo al modus nel comodato, cfr. da ultima, Cass., 28 giugno 2005, n. 13920, in Rep. Foro it., 2005, «Comodato», n. 5. 74 Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 125 tegorie sovrapponibili e che dunque la precedente negazione della natura donativa delle erogazioni non osta ad una eventuale loro qualificazione come atti gratuiti76. La questione è centrale, perché qualificare l’obbligazione dell’ente non profit beneficiario della fondazione come obbligazione modale nell’ambito di un contratto gratuito (piuttosto che come controprestazione in un contratto oneroso di scambio) comporta applicare la disciplina particolare del modus, che implica tra l’altro: a) che all’adempimento dell’onere si sia tenuti entro i limiti di valore della prestazione ricevuta (se dunque, ad esempio, l’ente non profit riceve dalla fondazione un contributo di 100, che è tenuto ad impiegare per un progetto di utilità sociale, l’attività a tal fine necessaria può legittimamente arrestarsi allorché il suo costo sia divenuto pari a 100) (cfr. art. 793, comma 2, c.c.); b) che la risoluzione del rapporto per inadempimento dell’onere debba prevedersi espressamente nell’atto costitutivo del rapporto, poiché altrimenti esso non sarebbe risolubile (cfr. art. 793, comma 4, c.c.); c) che per l’adempimento dell’onere possa agire oltre alla fondazione erogante anche qualsiasi altro soggetto interessato alla prestazione dovuta (cfr. art. 793, comma 4, c.c.); d) che l’impossibilità (da intendersi qui come impossibilità iniziale, secondo dottrina e giurisprudenza77) o l’illiceità dell’onere non incide sulla validità dell’atto a cui esso è apposto, a meno che l’onere non abbia costituito il solo motivo determinante dell’atto (cfr. art. 794, c.c.); e) che (almeno secondo quanto sostiene la Suprema Corte) l’impossibilità sopravvenuta non imputabile dell’onere determina l’estinzione della obbligazione modale ma non anche la risoluzione del contratto in cui la disposizione modale è inserita78. 76 Sulla distinzione tra gratuità e liberalità, cfr. chiaramente Cfr. Cass., 2 febbraio 2006, n. 2325, in Rep. Foro it., 2006, «Fallimento», n. 22: «In tema di revocatoria fallimentare di atti a titolo gratuito (art. 64 l. fall.), la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio deve essere compiuta con riguardo alla causa, e non già ai motivi dello stesso, con la conseguenza che deve escludersi che atti a titolo gratuito siano quelli, e solo quelli, posti in essere per spirito di liberalità, essendo lo spirito di liberalità richiesto per la donazione (art. 769 c.c.), mentre non è indispensabile negli altri contratti a titolo gratuito, che sono quelli in cui una sola parte riceve e l’altra, sola, sopporta un sacrificio, unica essendo l’attribuzione patrimoniale». In dottrina, di recente, E. Damiani, op. cit., 3 ss. 77 Cfr. U. Carnevali, Gli atti di liberalità, cit., 560; Cass., 17 aprile 1993, n. 4560, in Foro it., 1994, I, 1114. 78 Cfr. Cass., 17 aprile 1993, n. 4560, cit., a proposito di una donazione ad un ente religioso di un fondo con l’onere di costruirvi un collegio allorché muti la disciplina urbanistica del fondo non consentendo più l’edificazione. 126 ANTONIO FICI Al contrario, se la prestazione dell’ente beneficiario si qualificasse come prestazione corrispettiva, oltre alle conseguenze di diverso ordine derivanti dalla natura onerosa dell’atto, troverebbe applicazione la disciplina ordinaria sulla corrispettività (e dunque nessun limite all’esigibilità dell’adempimento; risolubilità giudiziale del contratto per inadempimento, impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità; nullità del contratto il cui oggetto sia originariamente impossibile; ecc.), con maggiore tutela dunque degli interessi della fondazione nei confronti dell’ente non profit destinatario del grant. I rapporti tra gratuità modale, onerosità e corrispettività sono in dottrina controversi. Secondo una dottrina isolata, l’imposizione di un modus determina senz’altro la qualificazione del contratto come oneroso ancorché non a prestazioni corrispettive, perché il modus non è legato all’altra prestazione da un nesso di corrispettività, non costituendone la ragion d’essere79. Secondo altra dottrina, invece, il contratto modale sarebbe oneroso solo là dove il modo assorbisse per intero il valore dell’attribuzione, perché in caso contrario la parziale onerosità non muterebbe il carattere di gratuità dell’atto80, il modo costituendo «una semplice limitazione del vantaggio che il contratto attribuisce al beneficiario»81. Sempre secondo la medesima dottrina, la gratuità sarebbe inoltre esclusa dal rapporto di corrispettività tra il preteso modus e la pretesa prestazione gratuita, cioè quando «l’autore della prestazione nominalmente gratuita intende la prestazione modale imposta al beneficiario come mezzo per soddisfare un proprio interesse, preesistente e autonomo rispetto alla prestazione che rappresenta il suo sacrificio»82. In quest’ultimo caso si dovrebbe dunque parlare di contratto di scambio e dunque oneroso. Come si può notare, il tema ruota intorno alla definizione del modo e ai suoi rapporti con la nozione di corrispettività. Complica la situazione il non poter risolvere il problema in termini oggettivi e quantitativi, nel senso di aversi modo quando il sacrificio richiesto sia inferiore al valore della prestazione ricevuta, e controprestazione quan79 Cfr. A. Cataudella, op. cit., 52 ss. Secondo questo A., infatti, i contratti a prestazioni corrispettive sono una specie dei contratti onerosi, potendo dunque la onerosità riguardare contratti (come la donazione modale) in cui prestazioni sono poste a carico di entrambe le parti ma non sono legate da un nesso di corrispettività. 80 Cfr. C.M. Bianca, op. cit., 467; V. Roppo, op. cit., 414. 81 Così V. Roppo, ibidem. 82 V. Roppo, ibidem; analogamente, sembra, C.M. Bianca, op. cit., 468 s., allorché questo A. esclude che costituisca donazione quella in cui il fine dell’operazione sia di far pervenire un bene ad un terzo mediante l’imposizione del preteso modus al preteso donatario. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 127 do tale sacrificio sia pari o superiore. Ciò perché da un lato l’equivalenza delle prestazioni non è un connotato della corrispettività83, dall’altro la disposizione modale, come dice la legge (art. 793, comma 2, c.c.), può comportare sacrifici equivalenti al valore dell’arricchimento conseguito. Anche la prospettiva soggettivistica non è agevole, perché dire che il modus è un motivo ulteriore che si aggiunge a quello liberale o gratuito del disponente urta contro la previsione legislativa secondo cui il modo può costituire il solo motivo determinante dell’atto (art. 794, c.c.). Non è probabilmente dunque con l’affermare, come fa la giurisprudenza, che il modus è un elemento accessorio di consistenza tale da non snaturare l’essenza della donazione (o di altro contratto gratuito), che la questione può essere risolta84. Tanto è vero che la stessa Suprema Corte riconduce poi sul piano dell’accertamento di fatto l’indagine relativa a se l’onere sia un modo o una prestazione corrispettiva85. 83 Peraltro, la sproporzione (significativa) di valore tra le prestazioni corrispettive dà luogo ad una vendita mista a donazione solo quando tale sproporzione sia nota all’alienante: cfr. Cass., 29 settembre 2004, n. 19601, in Foro it., 2005, I, 2433. Conferma quanto affermato nel testo il prevalente orientamento giurisprudenziale per cui la vendita mista a donazione costituisce una liberalità indiretta (cfr. da ultima Cass., 7 giugno 2006, n. 13337, in Rep. Foro it., 2006, «donazione, n. 3: «In tema di atti di liberalità, il negotium mixtum cum donatione, costituisce una donazione indiretta in quanto, attraverso la utilizzazione della compravendita, si realizza il fine di arricchire il compratore della differenza tra il prezzo pattuito e quello effettivo; pertanto, non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per la donazione diretta, essendo, invece, sufficiente la forma dello schema negoziale adottato; poiché, l’art. 809 c.c., nel sancire l’applicabilità delle norme sulle donazioni agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione»); ma per la critica a questa teoria, cfr. A. Cataudella, op. cit., 59 ss., che qualifica la fattispecie in termini di contratto con causa mista. 84 Cfr. da ultima Cass., 28 giugno 2005, n. 13920, cit.: «In ordine alla corretta qualificazione di un contratto come comodato o come locazione di immobili, il carattere di essenziale gratuità del comodato non viene meno se si inserisce un modus, posto a carico del comodatario, purché esso non sia di consistenza tale da snaturare il rapporto, ponendosi come corrispettivo del godimento della cosa ed assumendo quindi la natura di una controprestazione (in applicazione del suindicato principio la suprema corte ha cassato la sentenza della corte di merito che aveva qualificato il rapporto come di comodato precario, omettendo peraltro di considerare l’entità dell’onere economico posto a carico della beneficiaria, consistente nel pagamento del canone, degli oneri accessori e delle utenze: elementi viceversa necessari, onde poter valutare se tale assetto contrattuale fosse compatibile o meno con il carattere di gratuità del comodato)». 85 Cfr. Cass., 28 giugno 2005, n. 13876, in Foro it., 2006, I, 777: «In tema di attribuzioni a titolo gratuito, lo spirito di liberalità è perfettamente compatibile con l’imposizione di un peso al beneficiato, purché tale peso, non assumendo il carattere di corrispettivo, costituisca una modalità del beneficio senza snaturare l’essenza di atto liberalità della dona- 128 ANTONIO FICI E allora o si conclude nel senso che la disposizione modale configuri senz’altro un contratto a prestazioni corrispettive 86 , per lo meno nell’ipotesi in cui l’attribuzione gratuita risulti nell’intento del disponente meramente strumentale all’adempimento dell’onere87, oppure – seguendo una ricostruzione dottrinaria già in precedenza considerata – s’intende “l’arricchimento” in modo soltanto soggettivo, quale (mera) programmazione contrattuale del beneficio88. Certo è che, quale che sia la posizione condivisa, in ogni caso la fattispecie sotto osservazione, quella delle erogazioni “complesse” delle fondazioni, non parrebbe potersi qualificare come contratto gratuito modale sotto ognuno dei profili considerati. Infatti, dal punto di vista quantitativo, le erogazioni non realizzano mai un arricchimento dell’ente non profit beneficiario (anche se non lo impoveriscono), né è intenzione della fondazione arricchire l’ente beneficiario (e nemmeno dell’ente beneficiario di arricchirsi) perché, come si dirà, il rapporto con quest’ultimo ha lo scopo di avvantaggiare i terzi destinatari finali del progetto di utilità sociale alla cui realizzazione l’ente beneficiario è obbligato89; dal punto di vista della funzione oggettiva del contratto, l’adempimento del presunto onere non ha rilevanza accessoria o secondaria rispetto all’erogazione, bensì l’erogazione è compiuta proprio in funzione dell’adempimento dell’onere90. Ricorrono dunque tutte le condizioni affinché si possa parlare di corrispettività (e dunque di onerosità) in senso stretto, perché per un verso la fondazione eroga delle somme affinché l’ente beneficiario realizzi un determinato progetto; per altro verso l’ente beneficiario si impegna a realizzare il progetto al fine di ottenere le somme necessarie alla copertura dei relativi costi. zione; peraltro costituisce indagine di fatto attinente all’interpretazione del negozio di donazione che, come tale, è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e correttamente motivata stabilire se l’onere imposto al donatario sia tale da porre in essere un modus oppure valga a imprimere al negozio carattere di onerosità (nella specie, è stata confermata la sentenza impugnata che, nell’escluderne la natura di vitalizio oneroso, aveva qualificato come donazione morale il contratto di trasferimento a titolo gratuito della nuda proprietà di un immobile con l’obbligo a carico dei beneficiari di prestare assistenza alla donante)». 86 Cfr. C. Grassetti, Donazione modale e fiduciaria, Milano, 1941, 9 ss. 87 Cfr. U. Carnevali, La donazione modale, Milano, 1969, 132 s., 145 s., 148; contra A. Marini, Donazione modale, in A. Palazzo (a cura di), I contratti di donazione, cit., 290 s. 88 Cfr. A. Cataudella, op. cit., 6 ss.; A. Marini, op. cit., 289. 89 Con riguardo alle erogazioni delle fondazioni bancarie, mette in luce il difetto di arricchimento del destinatario dell’erogazione L. Maruzzi, op. cit., 329 s. 90 Nello stesso senso, con riguardo alle erogazioni delle fondazioni bancarie, cfr. L. Maruzzi, op. cit., 330. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 129 Quanto si sostiene non è incompatibile con il fatto di erogare solo in seguito alla realizzazione dell’attività e sulla base di documenti adeguatamente comprovanti i costi sostenuti (fatture e altro). La modalità del “rimborso” (diffusa nella prassi operativa delle fondazioni in oggetto) non è infatti idonea ad escludere né la natura onerosa dei rapporti in questione, perché l’onerosità non implica lucratività ma è compatibile col bilanciamento dei rispettivi vantaggi e sacrifici delle parti; né la loro natura corrispettiva, perché prevedendo il “rimborso” le parti si limitano soltanto a stabilire tempi diversi (rispetto a quelli che dovrebbero derivare dalla natura del contratto) per l’adempimento delle reciproche obbligazioni, eventualmente al fine di garantire ad una di esse (in questo caso, la fondazione) la possibilità di eccepire l’inadempimento ex art. 1460, c.c. Quel che si sostiene non è neanche inconciliabile con il fatto che, come meglio si dirà, i vantaggi provenienti dall’adempimento dell’obbligazione posta in capo all’ente non profit ricadano non già sulla sua controparte contrattuale, cioè sulla fondazione, bensì su quei terzi, eventualmente riuniti nella nozione di “collettività”, che sono i destinatari finali del progetto di utilità sociale cui l’ente beneficiario si obbliga. Un’ultima notazione, che però qui non si approfondisce perché esula dagli scopi della presente indagine, riguarda il rapporto tra quanto sin qui sostenuto e le figure soggettive coinvolte nella realtà empirica di riferimento. Si allude al quesito se un contratto che preveda la sola corresponsione delle spese sostenute sia compatibile con i requisiti soggettivi che contraddistinguono l’impresa sociale ai sensi del d.lgs. n. 155/2006. Se si considera che in linea generale, ai fini della qualifica di impresa, è sufficiente che i soggetti agiscano con metodo economico (ricavi quanto meno uguali ai costi) non essendo necessario il metodo lucrativo (ricavi superiori ai costi) (cfr. art. 2082, c.c., nell’interpretazione che normalmente ne danno dottrina e giurisprudenza), allora non può che concludersi nel senso che destinatario delle erogazioni “complesse” delle fondazioni possa senz’altro essere anche un’impresa sociale e non soltanto un ente erogativo del terzo settore. In definitiva, il fatto che l’ente beneficiario “si accontenti” della copertura dei costi (purché questa copertura sia totale) non sembra ostare alla sua qualifica come impresa sociale91. 91 Nel caso di copertura parziale, bisogna valutare se l’intervento sia realizzato grazie alla copertura di altri soggetti che agiscano nel medesimo modo delle fondazioni o prevalentemente mediante donazioni, lavoro volontario, ecc.: la prima ipotesi è compatibile con la natura di impresa sociale in capo all’ente che realizza il progetto di utilità sociale (perché in questo caso la differenza sarebbe data unicamente dal fatto che i committenti 130 ANTONIO FICI In conclusione, la seconda (e più frequente) tipologia di “erogazione” delle fondazioni in oggetto, quella che per comodità si è definita “complessa”, in verità dell’erogazione ha poco o nulla, se per erogazione s’intende un contributo che arricchisce il destinatario (come era per le erogazioni “semplici” osservate in precedenza). L’erogazione “complessa”, in realtà, costituisce adempimento di un’obbligazione assunta dalla fondazione concludendo con l’ente privato “beneficiario” un contratto con funzione di scambio che vede quest’ultimo a sua volta e corrispettivamente tenuto ad adempiere un’obbligazione, quella di dare attuazione ad uno specifico progetto di utilità sociale. Il contratto tra fondazione ed ente senza scopo di lucro, in cui si sostanzia l’erogazione “complessa”, è dunque un contratto di scambio ovvero a prestazioni corrispettive92. Per quanto riguarda il suo inquadramento tipologico (e le relative conseguenze in termini di disciplina applicabile), tale contratto potrà poi qualificarsi come appalto, mandato, vendita, somministrazione, locazione, ecc., (così come del resto ben potrebbe qualificarsi atipico) in ragione della natura della prestazione dovuta in base al progetto di utilità sociale la cui realizzazione costituisce oggetto del contratto. Se ad esempio, la fondazione “finanzia” un progetto di housing sociale, potrà parlarsi di locazione; se “finanzia” un servizio di accoglienza degli extracomunitari, di appalto; ecc. 6.1. Segue: l’erogazione “complessa” come contratto a favore di terzo Solo impropriamente dunque, se si considera la realtà delle erogazioni “complesse”, l’ente privato non profit al quale la fondazione “eroga” può definirsi “beneficiario”. Esso, infatti, è parte di un contratto tecnicamente di scambio, che come tale gli impone un sacrificio corrispettivo esattamente commisurato al vantaggio che riceve, e dunque in questo senso non beneficia di alcunché. In verità, il beneficio che ottiene è unicamente quello di essere stato selezionato dalla fondazione come partner contratdel progetto sono più d’uno); la seconda sembra invece incompatibile, e richiama le modalità operative e gestionali dell’ente non imprenditoriale del terzo settore. 92 Non convince, invece, la proposta di una dottrina (cfr. P. Morozzo della Rocca, Gratuità, liberalità e solidarietà, Milano, 1998, passim; ID., Il contratto gratuito a scopo di beneficenza, in Giust civ., 2000, II, 189 ss.; ID., Autonomia privata e prestazioni senza corrispettivo, cit., 28 ss.) di ricondurre ad una terza causa non nominata, quella di solidarietà, alternativa sia alla gratuità (eventualmente modale) sia all’onerosità, le ipotesi considerate nel testo. La solidarietà (quando non abbia funzione meramente descrittiva) è infatti motivo del contrarre e rileva solo in quanto tale, non fornendo alcun concreto ausilio alla ricostruzione della disciplina applicabile alle fattispecie in esame. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 131 tuale, perché in questo modo ha la possibilità di adempiere ai propri scopi statutari (e proprio per questo partecipa ai bandi di selezione pubblicati dalle fondazioni): è il contratto con la fondazione che di per sé soddisfa il suo interesse e non dunque la prestazione che riceve. Valgono infatti anche per l’ente partner della fondazione di erogazione le medesime considerazioni già svolte per la fondazioni in merito al rapporto tra erogazioni e statuto di un ente senza scopo di lucro e a finalità sociale. Beneficiari di fatto dell’erogazione sono piuttosto il terzo o i terzi destinatari dell’intervento di natura sociale cui l’ente non profit si obbliga, e ci si deve allora chiedere se il contratto tra la fondazione e l’ente non profit non possa giuridicamente qualificarsi come contratto a favore di terzo ai sensi dell’art. 1411, c.c. Tale sua natura giuridica consentirebbe di ritenere i terzi destinatari del progetto di utilità sociale non solo beneficiari di fatto ma anche di diritto dell’intervento erogativo della fondazione. Com’è noto, infatti, inserendo in un contratto una stipulazione a favore di terzo, le parti pongono in essere una “deviazione” verso l’esterno degli effetti prodotti dal contratto, attribuendo così ad un terzo il diritto alla prestazione (che normalmente spetta alla parte del contratto)93. Nel nostro caso, ad esempio, ciò significa che il terzo maturerebbe per effetto della stipulazione in suo favore un diritto soggettivo nei confronti dell’ente non profit alla prestazione che costituisce oggetto del progetto di utilità sociale finanziato dalla fondazione. Il terzo acquisirebbe tale diritto subito ed automaticamente per effetto della conclusione del contratto tra la fondazione e l’ente non profit, senza che sia necessario che egli accetti (ma la sua dichiarazione di volere approfittare della stipulazione in suo favore la rende irrevocabile) e salva comunque la sua possibilità di rifiuto. Sembra di poter dire che non solo il contratto tra la fondazione e l’ente non profit contenga implicitamente una stipulazione a favore di terzo, ma che – per evitare ogni dubbio al riguardo – sia opportuno che questa venga esplicitata nel testo contrattuale, perché la stipulazione in favore del terzo è coerente con gli obiettivi dell’intervento delle fondazioni in materia sociale. Infatti, rendendo i terzi titolari del credito alla prestazione, la fon93 Si badi che il terzo diviene titolare del solo diritto di credito, ma non già della posizione di parte contrattuale, con la conseguenza che, nel caso di inadempimento del promittente, il terzo potrà azionare i rimedi a tutela del proprio diritto di credito (adempimento coattivo e risarcimento del danno), ma non anche i rimedi a tutela del sinallagma contrattuale (risoluzione del contratto per inadempimento). Peraltro anche la fondazione ha diritto di agire per l’adempimento della prestazione, avendo anch’essa interesse all’adempimento: cfr. Cass., 1 marzo 1993, n. 2493, in Rep. Foro it., 1993, «Contratto in genere», n. 402. 132 ANTONIO FICI dazione adempie ai propri doveri statutari nei loro confronti. In ciò sta l’“interesse” dello stipulante, cioè della fondazione, che del contratto a favore di terzo costituisce requisito di validità (cfr. art. 1411, comma 1, c.c.). Si tratta dell’interesse della fondazione ad adempiere mediante la stipulazione a favore di terzo i propri doveri verso i propri beneficiari finali. È dunque un interesse solvendi causa. Non osta alla qualificazione della fattispecie come contratto a favore di terzo il fatto che, come potrebbe in concreto accadere, i terzi beneficiari del progetto non siano determinati nel contratto tra fondazione ed ente non profit, purché essi siano quanto meno determinabili secondo criteri definiti nel medesimo contratto94. 6.2. Segue: l’erogazione “complessa” come liberalità indiretta Come emerge dalla lettura degli artt. 770, comma 2, e 809, comma 1, c.c., quella delle liberalità è una categoria normativa (di atti contrattuali e non). L’art. 770, comma 2, stabilisce infatti che «non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi»: la donazione è pertanto una liberalità, ma non l’unica liberalità. L’art. 809, comma 1, invece, sottopone ad alcune norme sulle donazioni (quelle sulla revocazione per ingratitudine e per sopravvenienza di figli e quelle sulla riduzione per reintegrazione della legittima) le liberalità che risultano da atti diversi dal contratto di donazione, facendo intendere come l’effetto di liberalità possa essere perseguito mediante atti diversi dal contratto tipico di donazione. 94 Cass., 9 luglio 1997, n. 6206, in Giust. civ., 1998, I, 105; in Giur. it., 1988, 1716; in Nuova giur. civ. comm., 1998, I, 482, ha ritenuto sufficiente la determinabilità del terzo secondo criteri fissati nel contratto (nel caso di specie, si trattava di quei terzi che fossero risultati legittimati all’assegnazione, in proprietà o locazione, di un alloggio sulla base di una graduatoria). Peraltro, là dove l’individuazione del terzo fosse rimessa alla discrezionalità del promittente (circostanza che dovrebbe ritenersi ammissibile qualora lo statuto della fondazione non lo vieti), potrebbe ipotizzarsi (sulla scorta di quanto già riferito in merito al rapporto tra fondazione e beneficiari) l’immediata nascita in favore dei terzi aspiranti alla prestazione di un interesse legittimo a che il promittente rispetti i criteri di determinazione fissati nel contratto e comunque eserciti il potere discrezionale secondo correttezza. Secondo V. Roppo, op. cit., 548, il beneficiario potrebbe anche essere inesistente al tempo della stipulazione e, finché non venga ad esistenza, il diritto spetta allo stipulante. Sul punto cfr. anche Fici, I contratti tra pubblica amministrazione ed enti non profit nel settore dei servizi alla persona, in F. Cafaggi, (a cura di), Modelli di governo, riforma dello stato sociale e ruolo del terzo settore, Bologna, 2002, 137 ss. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 133 Da queste disposizioni si ricava dunque che la donazione (rientra nel novero delle liberalità, ma) non costituisce l’unico atto di liberalità, perché vi possono essere “liberalità non donative”, e che anche atti diversi dalla donazione possono indirettamente produrre l’effetto di liberalità tipico della donazione, qualificandosi perciò come “liberalità indirette”95. La dottrina ritiene pertanto che la liberalità sia un effetto economico – consistente nell’«arricchimento senza corrispettivo della controparte vivificato dall’animus donandi» – suscettibile di essere realizzato in vario modo, anche mediante atti diversi dalla donazione, compreso un negozio oneroso a prestazioni corrispettive96. Questa dottrina individua un’ipotesi di liberalità indiretta nel contratto a favore di terzo, e fa l’esempio di una compravendita in cui il venditore (stipulante) si fa promettere dal compratore (promittente) il pagamento del corrispettivo a un terzo: quest’ultimo riceve in tal modo dallo stipulante una liberalità97. Il contratto di compravendita a favore del terzo costituisce dunque sotto il profilo della causa interna un contratto oneroso di scambio, ma realizza indirettamente anche un effetto esterno, che consiste nell’arricchimento per scopo di liberalità del terzo cui il venditore stipulante attribuisce il diritto al pagamento del prezzo98. Nel caso di specie, allora, si potrebbe ritenere che il contratto tra la fondazione di erogazione e l’ente non profit avente ad oggetto la realizzazione del progetto di utilità sociale in favore di uno o più terzi costituisca nei rapporti tra fondazione e terzi beneficiari una liberalità indiretta, potendo dunque ad esso applicarsi quelle norme sulla donazione estensibili alle liberalità indirette. Ora, a parte il fatto che – in considerazione delle norme applicabili alle liberalità indirette – la questione non è nel caso di specie di grande rilievo perché la liberalità indiretta proviene da un ente (il quale ovviamente non può avere figli né ha legittimari né potrebbe essere vittima di ingratitudine 95 «La differenza tra le donazioni dirette e le indirette non consiste, quindi, nella diversità dell’effetto pratico, ma nel mezzo con cui si attua la liberalità, che per le donazioni dirette è il contratto, per quelle indirette è un fatto o un negozio giuridico che dalle parti si utilizza per uno scopo ulteriore e diverso da quello tipico, a cui l’atto o il negozio sono normalmente diretti»: così A. Torrente, op. cit., 25. 96 Così U. Carnevali, Liberalità, cit., 216. 97 Cfr., tra gli altri, A. Torrente, op. cit., 63 ss.; U. Carnevali, Liberalità, cit., 219; V. Roppo, op. cit., 547. 98 La liberalità è qui dunque non causa (come nel contratto di donazione), ma soltanto particolare motivo del contratto per lo stipulante: cfr. A. Torrente, op. cit., 25; A. Cataudella, op. cit., 56. 134 ANTONIO FICI da parte del beneficiario della liberalità), si deve comunque escludere che l’erogazione “complessa” della fondazione configuri una liberalità indiretta, perché, pur essendo senz’altro sussistente l’arricchimento del terzo beneficiario, manca in capo alla fondazione l’animus donandi che è l’altro elemento che connota l’effetto di liberalità. Si è infatti già affermato che, essendo la fondazione vincolata ad adempiere lo statuto e prevedendo lo statuto l’attività erogativa per finalità di utilità sociale, manca lo spirito di liberalità sia sotto il profilo della spontaneità dell’agire (perché la fondazione è giuridicamente tenuta ad erogare) sia, a ben vedere, anche sotto il profilo dell’interesse non patrimoniale perseguito (perché, erogando, la fondazione soddisfa il proprio interesse all’adempimento dei doveri statutari, che deve ritenersi un interesse patrimoniale in quanto interesse alla liberazione da un vincolo obbligatorio). Piuttosto, ciò che bisogna rimarcare è che la liberalità si trova a monte: l’atto di fondazione, infatti, costituisce la liberalità in favore dei beneficiari indicati nello statuto, di cui le erogazioni deliberate dagli organi della fondazione rappresentano mera attività esecutiva solvendi causa99 . Si vuole così ribadire quanto precedentemente affermato con riguardo alle erogazioni “semplici”: da una parte l’attività erogativa (anche quella “complessa”) non costituisce per le fondazioni una attività libera nell’an (tale potrebbe invece essere nel quomodo qualora lo statuto non contenga disposizioni rigide al riguardo), essendo la fondazione obbligata nei confronti dei propri beneficiari a dare attuazione allo statuto; dall’altra, l’erogazione attua una liberalità (l’atto di fondazione), e dunque, pur non essendo per la fondazione né un atto a titolo oneroso né a titolo gratuito (bensì, da questo punto di vista, un atto “neutro”), realizza l’arricchimento dei beneficiari (nel caso di erogazioni “complesse”, dei destinatari dei progetti di utilità sociale, e non degli enti non profit obbligati a realizzarli, perché – per le surriferite ragioni – i primi e non già i secondi sono i beneficiari della fondazione). 99 Per la riconduzione dell’atto di fondazione alla categoria delle liberalità, cfr. U. Carnevali, Liberalità, cit., 220 s.; P. Rescigno, op. cit., 801, riconduce la prescrizione di forma solenne (oltre che alle ragioni per cui nel sistema è imposta per la costituzione di enti destinati ad acquisire la personalità giuridica) anche alle ragioni che ne esigono il rispetto nella donazione, quale forma tipica della liberalità tra vivi; così anche F. Galgano, op. cit., 196; di «particolare tipo di attribuzione a titolo gratuito» parla invece M.V. De Giorgi, Le fondazioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, II, t. 1, 2ª ed., Torino, 1999, 435. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 135 7. Spunti in tema di qualificazione e modelli giuridici del sostegno alle fondazioni. Il “sostegno-dotazione” e il “sostegno-donazione” Nel corso dell’analisi empirica si è avuto modo di verificare che il ciclo dell’attività delle fondazioni considerate in questo studio, soprattutto di quelle che costituiscono la tipologia delle fondazioni “di comunità” o “della comunità locale”, comprende una fase di “raccolta” delle risorse in cui un ruolo centrale assume la figura del “sostenitore”. I mezzi patrimoniali necessari all’ente per l’assolvimento della sua funzione consistono infatti non solo nella dotazione iniziale del fondatore (o dei fondatori, ché spesso la fondazione è promossa e già inizialmente costituita da più soggetti100), ma anche in successivi contributi versati a vario titolo da soggetti, pubblici e privati, individuali e collettivi, interessati all’attività e agli scopi della fondazione. Si è anche preso atto della circostanza che il “sostenitore” assume due possibili volti: quello del sostenitore “una tantum” e quello del sostenitore “interessato”, e che talvolta i contributi di quest’ultimo portano alla costituzione di fondi “specifici”, destinati cioè a particolari e predeterminati impieghi nell’ambito della generale attività erogativa della fondazioni. Se la fondazione non intende limitare il proprio ruolo a quello di (solitario) erogatore delle rendite (o degli utili) provenienti dall’amministrazione del proprio patrimonio, bensì estenderlo a quello (più attivo) di collettore di risorse della comunità da destinare a finalità sociali, allora il rapporto tra la fondazione e i suoi “sostenitori”, che si colloca a monte dell’attività erogativa vera e propria, assume una posizione centrale nel dibattito relativo a queste tipologie fondazionali. Rispetto al profilo considerato, che non costituisce l’oggetto principale di questo studio, ci si limiterà a fornire alcuni spunti, con l’obiettivo di proporre una classificazione delle modalità di intervento del “sostenitore”, di individuare le principali questioni giuridiche che tale intervento pone, e di segnalare nuovi strumenti giuridici che la legislazione più recente mette a disposizione per realizzare determinate finalità dell’intervento. Al riguardo si potrebbe innanzitutto distinguere tra “sostegno-dotazione” e “sostegno-donazione”, con la possibilità nel primo caso di configurare la fondazione quale “fondazione di partecipazione”, secondo un modello – quello della fondazione aperta a nuovi “partecipanti”, a nuove “adesioni”, a fondatori “successivi” – che, nel silenzio del legislatore, la 100 Sulla costituzione da parte di più soggetti cfr. F. Galgano, op. cit., 196. 136 ANTONIO FICI prassi e la dottrina hanno di recente elaborato, ritenendolo non contrastante con le norme imperative in materia di fondazione101 . Per dotazione s’intende l’atto con cui il fondatore trasferisce alla fondazione le risorse necessarie al perseguimento del proprio scopo. In dottrina si discute in merito al rapporto tra atto di dotazione e atto di fondazione: se il primo sia parte integrante del secondo, comprendendo quest’ultimo sia il vero e proprio atto di fondazione, sia quello patrimoniale di dotazione sia ancora quello di organizzazione della persona giuridica; oppure se il primo sia un atto autonomo, ancorché collegato al secondo. Nel primo senso, parte della dottrina ritiene che l’atto di dotazione formi «parte integrante, anche se contenuto in documento separato, del negozio di fondazione»102, il quale «si presenta, in ogni caso, come negozio giuridico unitario»103 . Secondo questa dottrina, la scomposizione della fattispecie negoziale in atti distinti sarebbe in realtà solo «un artificio di costruzione teorica» mosso dall’intento di ricondurre l’effetto traslativo prodotto dal negozio di fondazione ai prototipi negoziali dell’istituzione di erede o del legato (se l’atto di dotazione è contenuto in un testamento) o della donazione (se contenuto in un atto tra vivi)104. Ma questa qualificazione sarebbe soltanto nominale poiché all’atto di dotazione, così qualificato, non potrebbero applicarsi la maggior parte delle relative norme, come la rinuncia alla dotazione patrimoniale o l’accettazione alla donazione105. L’atto di dotazione, invece, non ha la medesima causa di questi negozi, ma è un’attribuzione patrimoniale «che non ha in sé una propria causa, ma la trova nell’atto di fondazione», per cui non è un «autonomo negozio giuridico, [ma] l’elemento integrante un più complesso tipo negoziale»106. 101 Sul punto cfr., anche per ulteriori riferimenti, M. Gorgoni Le fondazioni di partecipazione, in L. Bruscuglia e E. Rossi (a cura di), Il volontariato a dieci anni dalla legge quadro, Atti del convegno di Pisa, 1819 gennaio 2001, Milano, 2002, 523 ss.; M. Basile, op. cit., 122 ss.; P. Manes, Le nuove prospettive in materia di fondazioni, in Contr. impr., 2004, 265 ss.; G. Ponzanelli, La fondazione tra autonomia dei privati ed intervento del legislatore, in Nuove leggi civ. comm., 2006, II, 419 ss.; Fondazione Italiana per il Notariato, Fondazioni di partecipazione, atti del convegno, Firenze, 25 novembre 2006, Milano, 2007; A. Angiuli, Fondazioni culturali, in Digesto civ., agg. III, t. 1, Torino, 2007, 592 s.; A. Fusaro, La Fondazione tra modello tradizionale e modello partecipativo quale strumento per la tutela delle categorie svantaggiate, in Vita not., 2011, 1089 ss. E v. anche, nella prospettiva dell’ammissibilità della figura, C. Stato, commiss. spec., 20 dicembre 2000, n. 288/00, in Cons. Stato, 2001, I, 490. 102 F. Galgano, op. cit., 203. 103 F. Galgano, op. cit., 204. 104 Cfr. F. Galgano, op. cit., 205. 105 Cfr. F. Galgano, op. cit., 206. 106 F. Galgano, op. cit., 206 s. In tal senso anche A. Palazzo, Le donazioni, cit., 569 s. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 137 Nel secondo senso, altra parte della dottrina distingue invece «l’atto di fondazione, col quale il privato dà impulso alla costituzione dell’ente, dall’atto di dotazione, che serve ad apprestargli i mezzi patrimoniali»; distinzione che va mantenuta anche quando i due atti «siano contestuali e si rinvengano in una sola ed unica manifestazione di volontà»107. Secondo alcuni l’atto di dotazione sarebbe una vera e propria donazione108 , secondo altri invece configurerebbe un negozio gratuito di destinazione del patrimonio ad uno scopo109. Né l’una né l’altra teoria giungono ad esiti soddisfacenti con riguardo all’ipotesi che ci occupa, cioè quella di tracciare una distinzione tra “sostegno-dotazione” e “sostegno-donazione”. Se infatti si aderisce alla tesi per cui l’atto di dotazione non è autonomo dall’atto di fondazione, è difficile ipotizzare dotazioni successive a quella iniziale, contestuale alla costituzione dell’ente, perché si dovrebbero immaginare atti di fondazione successivi al primo. Se invece si aderisce alla tesi dell’autonomia dell’atto di dotazione, allora è possibile delineare una distinzione tra “sostegno-dotazione” e “sostegno-donazione” solo muovendo dal presupposto che l’atto di dotazione non sia tecnicamente una donazione, perché altrimenti il primo verrebbe a confondersi con il secondo. Un’attenta dottrina ha osservato, con esplicito riferimento al modello della fondazione di partecipazione, che «la convenienza a distinguere istituzione e dotazione dell’ente trova conferma nella possibilità che soggetti pubblici o privati apportino nuovi mezzi patrimoniali nel corso della vita dell’ente»110. Ed effettivamente, non solo è possibile mantenere separati atto di fondazione (ai fini della cui efficacia, e dunque della personificazione dell’ente, è peraltro necessario un atto di dotazione di un patrimonio congruo rispetto agli obiettivi della fondazione) e atto di dotazione, ma è altresì corretto distinguere l’atto di dotazione dall’atto di donazione, se è vero che solo il primo attribuisce al suo autore un “ruolo partecipativo”, una voice, all’interno della fondazione di partecipazione, in assenza del quale si ridurrebbe ad una mera liberalità donativa111 . 107 Così P. Rescigno, op. cit., 801. Nel senso della distinzione già F. Ferrara, Le persone giuridiche, cit., 240. 108 Cfr. P. Rescigno, op. cit., 801, che riferisce di questa come la dottrina prevalente. 109 Cfr. in questo secondo senso F. Ferrara, Le persone giuridiche, cit., 240 s. 110 Così M. Basile, op. cit., 105. 111 Si è correttamente affermato che «ratio dell’istituto è consentire un coinvolgimento continuativo quanto più possibile personalizzato dei fondatori nell’attività dell’ente»: così P. Manes, op. cit., 267. L’atto di dotazione successivo, considerato il suo carattere partecipativo, che, come detto, lo distingue dalla donazione, è dunque assimilabile ai contributi 138 ANTONIO FICI Infatti, gli statuti delle fondazioni organizzate secondo il modello della fondazione di partecipazione normalmente prevedono, oltre ad un organo amministrativo (che rimane competente per la gestione)112, un organo di tipo “assembleare”, variamente denominato, nell’ambito del quale gli originari fondatori e i fondatori “successivi” (quelli cioè che abbiano dotato l’ente nel corso della sua vita) svolgono funzioni di indirizzo113. Pertanto, come anche dimostrano alcune particolari fattispecie legislative di fondazione di partecipazione114, in tanto di queste ultime è possibile parlare come fattispecie giuridica autonoma in quanto si configuri un atto di dotazione autonomo dal, e successivo all’atto di fondazione, che atversati dagli associati in un’associazione, e d’altronde il modello della fondazione di partecipazione nasce per ibridazione del modello fondazionale puro con quello associativo, tant’è che, secondo una dottrina, esso configura una “altra istituzione di carattere privato”, secondo la formula dell’abrogato art. 12, c.c., ripresa dall’art. 1, d.P.R., 10 febbraio 2000, n. 361 (cfr. M. Gorgoni, Le fondazioni di partecipazione, cit., 523). 112 Sulla necessità che gli amministratori della fondazione siano comunque i soli arbitri della gestione (anche nel modello della fondazione di partecipazione), cfr. F. Galgano, op. cit., 86, il quale, a riprova di ciò, richiama anche il d.lgs. n. 367/1996 sulle fondazioni liriche, là dove consente ai fondatori di concorrere alla nomina degli amministratori, ma allo stesso tempo prevede che gli statuti debbano garantire l’autonomia degli amministratori, i quali non rappresentano coloro che li hanno nominati né a loro rispondono. 113 Ad esempio, nello statuto tipo di fondazione di comunità, predisposto ai fini della attuazione del progetto Cariplo, si inserisce tra gli organi della fondazione il “comitato o assemblea dei sostenitori”. Questa previsione statutaria presuppone ritenere compatibile l’ingerenza del fondatore nella gestione della fondazione con lo statuto normativo di questo tipo di ente. La dottrina più recente, com’è noto, ritenuto che l’essenza della fondazione sia la destinazione di un patrimonio ad uno scopo non lucrativo e il vincolo di intangibilità di quest’ultimo, ritiene che il fondatore (e dunque anche quelli successivi, nel caso di fondazione di partecipazione) possa riservarsi statutariamente un ruolo partecipativo: cfr., ad esempio, G. Ponzanelli, La fondazione, cit., 422: «non solo l’assemblea non è incompatibile con alcuna norma imperativa in materia o con il contenuto minimo essenziale della figura della fondazione, ma il donatore interessato a far affluire mezzi finanziari freschi alla fondazione ha la possibilità di partecipare ad un’intrapresa di cui condivide in pieno le finalità e la missione, rendendo più forte il relativo progetto». 114 Cfr. ad esempio art. 10, commi 2 (dove si prevede l’intervento di altri soggetti nella fondazione) e 3 (dove si attribuiscono particolari poteri amministrativi sulla base dell’apporto), d. lgs., 29 giugno 1996, n. 367, in materia di trasformazione di enti musicali in fondazioni di diritto privato; art. 17, comma 1, lett. c) (dove si prevede che il c.d.a. della fondazione possa essere integrato da componenti designati da enti che aderiscano alla fondazione con il conferimento di rilevanti risorse), d.lgs. 4 maggio 2001, n. 207, in materia di IPAB; artt. 2, comma 3, 3, comma 2 (secondo cui lo statuto «determina i criteri in base ai quali altri soggetti, pubblici o privati, possono partecipare e i diritti e doveri a questi spettanti»), e 6, commi 2 e 3, d.P.R., 24 maggio 2001, n. 254, in materia di fondazioni universitarie. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 139 tribuisca al suo autore poteri di voice, ossia diritti amministrativi (anche solo di indirizzo) nell’ambito dell’ente dotato. Nel caso contrario, sfumerebbe la distinzione tra dotazione e donazione e ogni forma di sostegno alla fondazione dovrebbe qualificarsi come atto di donazione. In relazione a quest’ultimo punto, va peraltro chiarito che il termine donazione di cui alla formula “sostegno-donazione” va inteso in senso lato, perché di donazione in senso stretto potrà parlarsi solo nel caso in cui il sostegno alla fondazione provenga da un soggetto che agisca per scopo di liberalità ai sensi dell’art. 769, c.c. Là dove, invece, il contributo provenga da un soggetto che operi in adempimento del proprio scopo istituzionale o per soddisfare propri interessi patrimoniali, valgono le considerazioni in precedenza svolte sul carattere non donativo del contributo per assenza dello spirito di liberalità115. In definitiva, è possibile individuare due forme di sostegno alle fondazioni che ci occupano: il “sostegno-dotazione” e il “sostegno-donazione”. La prima è una forma partecipativa di sostegno, che presuppone la configurazione statutaria della fondazione come fondazione di partecipazione, aperta a successive adesioni ed attributiva ai nuovi aderenti di poteri di voice. Sotto il profilo della forma, si ritiene che questo contributo debba rivestire quella dell’atto pubblico, poiché attribuisce a chi dota la qualità di fondatore116. La seconda è una modalità non partecipativa di sostegno alla fondazione, qualificabile tecnicamente, a seconda dei casi, come donazione (se ricorre lo scopo di liberalità) o come gratuità economicamente interessata (se l’interesse di chi arricchisce è economico) o come atto solvendi causa (se chi eroga adempie un obbligo). Sotto il profilo della forma, l’atto pubblico sarà necessario solo nel caso in cui sussista una donazione in senso stretto e salvi i casi in cui lo stesso codice civile escluda la necessità di tale forma (donazione di modico valore ex art. 783 e liberalità non donative ex art. 770, comma 2, c.c.). Il contributo alla fondazione sorretto da un interesse economico o solvendi causa potrà invece non solo compiersi in qualsiasi forma, ma avere altresì struttura di negozio unilaterale (rifiutabile). 115 116 Sul punto cfr. anche A. Gianola, Atti liberali, cit. Cfr. in questo senso F. Galgano, op. cit., 197 s., 429 ss. 140 ANTONIO FICI 7.1. Il vincolo di destinazione e la sua tutela giuridica. Fondazioni fiduciarie e trascrizione dell’atto di destinazione Il “sostenitore-interessato”, si tratti il suo di “sostegno-dotazione” o di “sostegno-donazione”, nutre un interesse concreto a che il proprio contributo alla fondazione sia impiegato con determinate modalità o per particolari finalità, che abbia cioè una particolare destinazione. A tal fine vengono eventualmente istituiti, come detto, “fondi specifici” nell’ambito del patrimonio generale della fondazione. Ci si chiede come tale interesse alla destinazione del contributo possa essere protetto e come possano qualificarsi i suddetti fondi specifici. Al riguardo, se non ci si vuole limitare a sostenere la natura meramente obbligatoria della tutela del sostenitore-interessato117 ma s’intende individuare una “tutela reale” che consenta l’opponibilità del vincolo di destinazione anche ai terzi, si deve guardare a due disposizioni del codice civile: l’art. 32 e il più recente art. 2645ter, c.c. La prima prevede che «nel caso di trasformazione o di scioglimento di un ente, al quale sono stati donati o lasciati beni con destinazione a scopo diverso da quello proprio dell’ente, l’autorità governativa devolve tali beni, con lo stesso onere, ad altre persone giuridiche che hanno fini analoghi». Sebbene l’art. 32 faccia letteralmente riferimento alla donazione, al lascito testamentario e all’onere, e dunque a vicende e vincoli obbligatori, una autorevole dottrina ritiene che esso – ponendo un vincolo di destinazione inerente ai beni e dunque reale – in realtà disciplini la fattispecie della fondazione fiduciaria. In altri termini, la disposizione in favore di una fondazione con vincolo di destinazione ad uno scopo diverso da quello della fondazione beneficiaria sarebbe un atto di costituzione di un soggetto giuridico, segnatamente una fondazione fiduciaria non riconosciuta, che sarebbe amministrata dalla fondazione beneficiaria poiché priva di organizzazione118. Se dunque una disposizione in favore di una fondazione che (ex art. 32, c.c.) contenga un vincolo di destinazione dei beni è da qualificarsi come atto costitutivo di un nuovo soggetto giuridico, allora i beni conferiti costituiscono patrimonio del nuovo ente e sono giuridicamente separati dal restante patrimonio della fondazione beneficiaria e sottratti all’azione esecutiva dei suoi creditori. Accogliendo questa interpretazione della norma, si potrebbe dunque 117 Sul punto cfr., per una rassegna delle diverse teorie elaborate dalla dottrina in merito alla tutela dei “benefattori” dell’ente non profit, A. Gianola, Atti gratuiti, cit. 118 Cfr. F. Galgano, op. cit., 92 s. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 141 ritenere che i fondi “specifici” costituiti dalle fondazioni oggetto di questa ricerca sulla base di un conferimento “interessato” da parte di un “sostenitore” costituiscano fondazioni non riconosciute amministrate dalla fondazione destinataria del contributo. Con la conseguenza che l’interesse alla destinazione del sostenitore interessato della fondazione godrebbe di una tutela molto più robusta perché “reale”: la fondazione non potrebbe validamente distogliere i beni dal fine (e ove ciò avvenisse, l’atto sarebbe opponibile ai terzi); i creditori della fondazione non potrebbero aggredire quei beni perché essi costituiscono patrimonio separato all’interno del patrimonio della fondazione. In verità, questa teoria, anche se autorevolmente sostenuta, non gode del favore della restante dottrina (che per lo più ritiene che l’art. 32, c.c., si riferisca effettivamente, e non solo letteralmente, ad atti a titolo gratuito gravati da un onere e dunque a vincoli meramente obbligatori), né ha trovato precisi riscontri giurisprudenziali119. Necessario è dunque volgere lo sguardo all’altra disposizione codicistica prima citata, perché il vincolo ad efficacia reale potrebbe trovare fondamento in quest’ultima. L’art. 2645ter dispone che «gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione». Si tratta di una disposizione di enorme importanza per tutto il settore non profit, e non solo per le fondazioni (e i loro “sostenitori”) considerate in questo studio, perché introduce una deroga al principio dell’unità del patrimonio di fronte ai terzi e ai creditori (art. 2740, c.c.), per ragioni di interesse sociale. In sostanza, se con atto pubblico alcuni beni (immobili o mobili registrati) sono destinati ad un particolare uso di pubblica utilità (in tal senso va inteso infatti, secondo la migliore dottrina, il rinvio agli “interessi meritevoli di tutela” di cui all’art. 1322, comma 2, c.c.)120, s’impone sui beni destinati un vincolo che ha efficacia reale, perché può essere opposto anche ai terzi e ai creditori, se l’atto di destinazione è trascritto nei registri immobiliari. 119 Cfr. P. Rescigno, op. cit., 805 s.; M.V. De Giorgi, Le fondazioni, cit., 440 ss.; M. Basile, op. cit., 190 ss. 120 Cfr. F. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645ter, c.c., in Giust. civ., 2006, II, 169 ss. 142 ANTONIO FICI In tal modo, la destinazione gode di una protezione rafforzata rispetto all’ipotesi in cui il vincolo abbia efficacia meramente obbligatoria (come nel caso, ad esempio, di una donazione modale): se l’atto è stato trascritto, i beni destinati a finalità sociali costituiscono infatti un patrimonio separato nell’ambito del patrimonio generale della persona fisica o giuridica che di essi sia titolare, talché il vincolo di destinazione grava sui beni anche se essi siano ceduti a terzi (sulla base di un atto trascritto dopo la trascrizione dell’atto di destinazione), e i creditori del proprietario non possono rivalersi sui beni vincolati (se l’atto di destinazione è stato trascritto prima del pignoramento). Si replica insomma, nell’ambito degli enti del primo libro del codice civile, quanto previsto per le società per azioni dalle nuove norme sui patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447bis ss., c.c.). Per tornare al nostro tema, i contributi dei “sostenitori interessati” delle fondazioni (allorché naturalmente abbiano un valore economico significativo e consistano in beni immobili o mobili registrati) potrebbero dunque assumere la veste formale di cui all’art. 2645ter ed essere trascritti. Il vincolo di destinazione così impresso sui beni godrebbe di tutela reale, dandosi maggiore protezione all’interesse dei sostenitori della fondazione. I “fondi specifici” sarebbero considerati patrimonio separato della fondazione beneficiaria con effetti nei confronti dei terzi e dei creditori121. Da notare poi che “fondi specifici” separati ex art. 2645ter, c.c., potrebbero essere costituiti sia su impulso di un sostenitore interessato sia su iniziativa della stessa fondazione, che decida di separare parte del suo patrimonio per realizzare uno specifico “affare” di utilità sociale. Ma è anche importante segnalare che la legge appresta particolare tutela ai terzi beneficiari dell’atto di destinazione (a prescindere dalla eventuale qualificazione del contributo alla fondazione come contributo a favore di 121 Qualcuno in dottrina vede l’atto di destinazione di cui all’art. 2645ter, c.c., come atto di costituzione di fondazione non riconosciuta ex art. 32, c.c.: cfr. M. Maggiolo, Il tipo della fondazione non riconosciuta nell’atto di destinazione ex art. 2645ter c.c., in Riv. notar., 2007, I, 1147 ss. Sui rapporti di questa fattispecie col trust, cfr. A. Zoppini, Destinazione patrimoniale e trust: raffronti e linee per una ricostruzione sistematica, in Riv. dir. priv., 2007, 721 ss. In generale sul tema, cfr., oltre agli autori citati, M. Manuli, L’art. 2645ter. Riflessioni critiche, in Vita not., 2007, II, 383 ss.;A. Gentili, Le destinazioni patrimoniali atipiche. Esegesi dell’art. 2645 ter c.c., in Rass. dir. civ., 2007, 1 ss.; U. La Porta, L’atto di destinazione di beni allo scopo trascrivibile ai sensi dell’art. 2645ter c.c., in Riv. notar., 2007, I, 1069 ss.; R. Di Raimo, Considerazioni sull’art. 2645 ter c.c.: destinazione di patrimoni e categorie dell’iniziativa privata, in Rass. dir. civ., 2007, 945 ss.; B. Mastropietro, Profili dell’atto di destinazione, in Rass. dir. civ., 2008, 988 ss; EAD, Destinazione di beni ad uno scopo e rapporti gestori, Napoli 2011, Passim; EAD, L’atto destinazione tra codice civile italiano e modelli europei di articolazione del patrimonio, in Rass. dir. civ., 2012, 569 ss. Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 143 terzo ex art. 1411, c.c., che pure si potrebbe prospettare). L’art. 2645ter prevede infatti da un lato che «i beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione», dall’altro che «per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso». In definitiva, l’art. 2645ter, c.c., è una norma che il terzo settore non può esimersi dallo sfruttare, perché può essere di notevole ausilio nel perseguimento dei propri obiettivi istituzionali. 8. Conclusioni L’attività delle fondazioni considerate in questo studio è sostanzialmente riconducibile a due modelli giuridici: i) quello del negozio giuridico unilaterale rifiutabile, con cui la fondazione arricchisce il destinatario diretto del contributo, e ii) quello del contratto sinallagmatico tra la fondazione ed altro ente non profit, con cui l’ente non profit si impegna a realizzare un determinato progetto di utilità sociale e la fondazione a corrispondere una somma pari (o talvolta inferiore) ai costi di realizzazione del progetto, al fine di favorire i destinatari materiali di quest’ultimo. Si sono illustrate le ragioni per cui, nonostante la prima forma di erogazione produca l’arricchimento del percettore del contributo, essa non costituisca né una donazione né una liberalità, ma un atto di adempimento degli obblighi contenuti nello statuto della fondazione (la liberalità si rinviene semmai a monte, nell’atto costitutivo della fondazione). La seconda forma di erogazione (che nel testo si è per comodità definita “complessa”) non realizza invece alcun arricchimento del destinatario perché non rappresenta nient’altro che il corrispettivo di una prestazione di utilità sociale cui il destinatario si obbliga, corrispettivo peraltro esattamente commisurato ai costi della prestazione. Tale seconda forma di erogazione arricchisce semmai indirettamente i terzi destinatari della prestazione di utilità sociale (ma non può qualificarsi come liberalità indiretta nei loro confronti perché costituisce per la fondazione pagante un atto solvendi causa). Le più importanti conseguenze sul piano civilistico della suddetta qualificazione delle erogazioni delle fondazioni sono: i) l’irrilevanza della forma scritta, tanto meno di quella notarile, per la validità delle erogazioni; ii) la sottoposizione del rapporto tra fondazione ed ente non profit de- 144 ANTONIO FICI stinatario dell’erogazione “complessa” alla disciplina ordinaria dei contratti a prestazioni corrispettive, specie con riguardo all’inadempimento e ai rimedi in tal caso esperibili dalla fondazione. Ci sembra di poter dire che la snellezza delle forme e la certezza dei rapporti con i propri partner siano elementi in grado di contribuire alla maggiore efficienza ed efficacia della filantropia istituzionalizzata di cui le fondazioni e gli enti non profit dalle prime coinvolti sono esponenti e promotori122. 122 Sul piano fiscale, alla stregua del quale i risultati qui raggiunti necessitano di essere valutati, spicca la norma di cui all’art. 10, comma 2bis, d.lgs. n. 460/1997 in tema di enti non commerciali ed ONLUS. Tale disposizione è stata introdotta dall’art. 30, comma 4, d.l. n. 185/2008 ed è stata pensata appositamente per gli enti di cui questo studio si occupa. Ai sensi del citato articolo, «si considera attività di beneficenza, ai sensi del comma 1, lettera a), numero 3), anche la concessione di erogazioni gratuite in denaro con utilizzo di somme provenienti dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte, a favore di enti senza scopo di lucro che operano prevalentemente nei settori di cui al medesimo comma 1, lettera a), per la realizzazione diretta di progetti di utilità sociale»; ciò, evidentemente, apre la strada alla qualifica delle fondazioni in oggetto come ONLUS. Con riguardo invece all’attività delle fondazioni, sia dal punto di vista delle erogazioni che della “raccolta”, possono svolgersi le seguenti considerazioni: i) Rispetto alle erogazioni “semplici”, la qualifica civilistica che se ne è offerta in questo studio dovrebbe essere sufficiente ad escludere la loro eventuale soggezione all’imposta sulle donazioni, perché questa erogazione non concretizza né una donazione né una liberalità. In ogni caso, anche volendo ritenere astrattamente applicabile tale imposta, il trasferimento in favore di fondazioni, associazioni costituite per scopi di pubblica utilità e ONLUS sarebbe comunque esente ai sensi dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 346/1990, richiamato dall’art. 2, comma 47, d.l. n. 262/2006 (e cfr. anche la circolare dell’Agenzia delle entrate, 22 gennaio 2008, n. 3, par. 2, dove si afferma espressamente che ricadono nell’ambito di applicazione dell’esenzione i trasferimenti di beni e diritti a titolo gratuito, intendendosi per tali quelli che «non prevedono a carico del beneficiario alcuna controprestazione, ma sono privi dello spirito di liberalità tipico delle donazioni»). Nel caso di applicazione dell’esenzione di cui all’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 346/1990, v’è l’esenzione anche dalle imposte ipotecarie e catastali (cfr. artt. 1, comma 2, e 10, comma 3, d.lgs. n. 347/1990). ii) Quanto affermato sub i) vale anche per il “sostegno-donazione” alle fondazioni. Troverebbe poi in tal caso applicazione anche l’art. 14, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, in materia di deducibilità dal reddito delle persone fisiche e d’impresa delle liberalità in favore di enti del terzo settore (che non dovrebbe invece applicarsi alle fondazioni che effettuino erogazioni “semplici” poiché esse, non svolgendo attività d’impresa, non sono “enti soggetti all’imposta sul reddito delle società”, come richiesto dalla norma). iii) Rispetto alle erogazioni “complesse” non dovrebbe porsi neanche astrattamente il problema della applicazione dell’imposta sulle donazioni, costituendo queste corrispettivi per prestazioni rese dalla controparte ente non profit (sebbene in favore di terzi). Qui si pone semmai il problema dell’IVA, che comunque si sarebbe posto anche qualificando le erogazioni “complesse” come liberalità, «poiché, com’è noto, non sussiste alcuna alternati- Profili civilistici dell’attività erogativa delle fondazioni 145 Il presente studio ha poi lambito il tema del sostegno alle fondazioni, ritenendo plausibile anche da un punto di vista giuridico la distinzione tra “sostegno-dotazione” e “sostegno-donazione”. Il primo s’individua per il fatto di attribuire al “sostenitore” la qualità di fondatore successivo e dunque diritti partecipativi nella fondazione; esso perciò presuppone che la fondazione sia costituita secondo il modello della fondazione “di partecipazione”, e richiede la forma dell’atto pubblico (cioè la stessa forma necessaria per fondare). Il secondo, invece, è riconducibile a seconda dei casi alle categorie della liberalità o della gratuità economicamente interessata o degli atti solvendi causa, e sarà dunque soggetto alla disciplina applicabile a quella categoria a cui di volta in volta possa ascriversi. Si è detto inoltre che così il “sostenitore interessato” di una fondazione, come anche la fondazione stessa, hanno oggi a disposizione uno strumento giuridico che può rendere più efficace ed efficiente la loro azione. Si tratta della trascrizione ex art. 2645ter, c.c., degli atti di destinazione a finalità sociali di beni immobili (o mobili registrati), trascrizione che crea un patrimonio separato all’interno di quello generale della fondazione, così da assicurare al sostenitore della fondazione maggiore tutela del proprio interesse alla destinazione delle risorse conferite e alla fondazione l’opportunità di una gestione differenziata della propria attività complessiva. vità fra Iva e imposta sulle successioni e donazioni» (così G. Fransoni, Le fondazioni di partecipazione nell’imposizione diretta, in Fondazione Italiana per il Notariato, Fondazioni di partecipazione, cit., 63). La qualificazione offerta nel testo, dunque, sotto il profilo del regime IVA, non sembra mutare il quadro impositivo relativo alle fondazioni oggetto di questa ricerca. iv) Rispetto al “sostegno-dotazione”, la sua disciplina fiscale non dovrebbe essere quella delle donazioni, bensì, per analogia, quella dei contributi associativi, dal momento che il contributo è finalizzato non all’arricchimento della fondazione per scopo di liberalità, bensì all’acquisto di diritti partecipativi in seno alla fondazione medesima. Le fondazioni d’impresa Bruno Acconciaioco SOMMARIO: 1. I fallimenti del mercato: dal welfare state alla welfare society. 2. Le fondazioni e l’attività di impresa: l’assenza di un topos. 2.1 Le fondazioni d’impresa in Italia. 3. Sullo scopo e sulle attività oggetto delle fondazioni d’impresa. 4. Gli organi di una fondazione d’impresa nell’analisi di alcuni statuti. 5. Sulle modifiche alla disciplina dell’impresa sociale. 6. Conclusioni. 1. I fallimenti del mercato: dal welfare state alla welfare society I complessi mutamenti socio-politici ed economici intervenuti nell’ultimo scorcio di secolo hanno profondamente mutato la concezione del settore non profit, di talché si è progressivamente assistito ad una evoluzione prima sociale e poi politica non sempre, e diremmo quasi mai, seguita da una innovazione legislativa atta a recepire le istanze sociali. Il fenomeno dell’associazionismo privato, ed in generale del proliferare delle formazioni intermedie tra Stato e cittadino identificato tradizionalmente nel c.d. “terzo settore”1, terzo rispetto ai settori pubblico e privato, ha trovato collocazione nell’alveo della linea mediana tra la crisi dello stato sociale e la perdita di fiducia nell’economia di mercato (contract o market failure)2. L’idea che lo Stato potesse concretamente e puntualmente rispondere ai bisogni superindividuali del cittadino si trasformava in utopia; l’inefficienza dello Stato assistenziale parimenti si accompagnava all’idea che il mercato non basta a sé stesso. La crisi del capitalismo ed i fallimenti del mercato hanno portato alla proliferazione, accanto agli enti for profit, nella cui logica mercantilistica è tessuto l’impianto codicistico, degli enti non profit che assolvono alla funzione di produrre una tipologia di bene/servizio, il bene sociale, la cui “commercializzazione” non remunerando, quanto meno sotto il profilo del lucro soggettivo, gli associati rimaneva fuori dalla logica capitalistica. 1 Come afferma correttamente il sociologo Donati, con il termine terzo settore si indica un terzo attore che agisce nella stessa arena in cui si muovono lo Stato ed il mercato. Il termine Privato Sociale indica, invece, il modo in cui gli attori che non sono né di Stato né di mercato guardano alla società. 2 G. Ponzanelli, Gli Enti collettivi senza scopo di lucro, Torino, 2000; Idem, Le non profit organization, Milano, 1995. 148 BRUNO ACCONCIAIOCO Occorre brevemente ripercorrere, senza alcuna pretesa di esaustività, la storia del non profit che affonda le sue radici in una tradizione millenaria. Fin dal Medioevo ai bisogni primari quali l’istruzione, l’assistenza e la sanità hanno da sempre provveduto realtà sociali formate da persone, associazioni, confraternite non gestite nella maggioranza dei casi dallo Stato o da Enti locali. All’inizio del XX secolo, poi, il movimento operaio e ed il movimento cattolico diedero vita a un nuovo universo di organizzazioni non profit a sostegno delle istanze personali e solidaristiche minacciate dalla industrializzazione forzata: sindacati e cooperative, ma anche casse rurali, banche popolari ed enti di formazione professionale si innestavano nella realtà esistente. Gli Stati nazionali da sempre accentratori e contrari al mondo indipendente in tutta Europa contrastarono queste formazioni convinti di essere gli unici attori dell’intervento nel welfare; così vennero confiscati beni ecclesiastici e soppresse opere sociali. Lo Stato divenne l’unico e diretto gestore di educazione, sanità, assistenza ed opere sociali secondo un processo che in Italia, ad esempio nel caso della Sanità, è continuato fino al 1978, quando venne istituito il Servizio Sanitario Nazionale. Il reddito delle opere sociali rimaste in vita venne tassato, così come le donazioni a loro favore. Nel panorama italiano anche se la Costituzione aveva riconosciuto formalmente il ruolo delle formazioni sociali, si era ormai affermata la preponderante ingerenza statuale che con la sua longa manus regolamentava ogni aspetto della vita sociale ed economica. Occorreva quindi ritornare alla welfare society, ma le relative istanze furono declassate ad un semplice problema di decentramento o federalismo. Solo verso la fine degli anni settanta e, compiutamente, negli anni novanta le politiche sociali legate al tradizionale modello di Welfare State, dopo aver conosciuto un periodo di prospera evoluzione, sono entrate fortemente in crisi.3 La crescente globalizzazione, i nuovi modi di produzione postindustriale, la tendenza a frenare la dinamica espansiva della spesa pubblica unitamente alla consapevolezza della grave inefficienza delle pubbliche amministrazioni determinarono il ritorno all’antico. Si ricominciò a pensare che le ONP fossero il soggetto privilegiato per produrre servizi non standardizzati in stretta connessione con le istanze ideali della società civile. 3 Atti del convegno: “Le giornate di Bertinoro per l’Economia Civile, 14 ottobre 2006”, in http://www.aiccon.it/file/convdoc/Atti_completi_2005.pdf. Le fondazioni d’impresa 149 In tale contesto è nata la premessa per la nascita di un welfar mix ovvero un sistema in cui entità di diversa natura (statali, locali, private) diventano erogatori di servizi di pubblica utilità secondo una logica di governance concorrente e dove i singoli attori cooperano nella produzione ed erogazioni dei servizi più disparati secondo il noto modello delle cattedrale medioevale4. In questo quadro dinamico, e in continuo divenire, l’ente fondazionale operando negli angusti meandri della disciplina codicistica ha saputo adattarsi alle logiche più disparate divenendo uno strumento per la gestione dell’impresa riuscendo a coniugare la logica imprenditoriale alle finalità sociali. L’ottica di responsabilizzazione dell’attività imprenditoriale, l’eterodestinazione dei risultati d’impresa e la missione sociale dell’impresa sono i fini cui dette formazione sociali tendono a perseguire e sul cui raggiungimento, dopo un’analisi degli organi e delle attività, si darà conto nel proseguo tenendo conto delle eterogeneità delle realtà monitorate e della scarsa propensione a divulgare dati e rendiconti laddove l’assenza di uno categoria definita rende difficoltosa l’indagine ermeneutica. 2. Le fondazioni e l’attività di impresa: l’assenza di un topos Il tema affidatomi involge un’analisi che, lungi dall’essere settoriale, è di più ampio respiro. L’aggettivo impresa delinea più che una categoria giuridica una astratta qualità, possibile e realizzabile in concreto, concessa a tutti gli enti fondazionali, ma si potrebbe dire del primo libro del codice civile, di poter svolgere un’attività imprenditoriale seppure con i distinguo che appresso si esporranno. L’apertura del capitolo segna il risultato di un dibattito che ha coinvolto per decenni dottrina e giurisprudenza fino alla positiva affermazione del diritto di un ente fondazionale a svolgere attività d’impresa5. 4 Così E. Bellezza, Fondazione di partecipazione e riscoperta della comunità, in Fondazioni di partecipazione, Atti del convegno “Le fondazioni di partecipazione” tenutosi a Firenze il 25 novembre 2006, Milano, 2006, 9. 5 A. Zoppini, Profili evolutivi della fondazione nella moderna prassi e nella legislazione speciale, in Fondazione di Partecipazione, Atti del Convegno le fondazioni di partecipazioneontenutosi a Firenze il 25 novembre 2006, Milano, 2006. La giurisprudenza ha ritenuto che “associazioni e fondazioni acquistano la qualità di imprenditori commerciali, con consequenziale applicazione del relativo statuto e della legge fallimentare, quando la gestione d’impresa esaurisca l’attività dell’ente, o sia prevalente rispetto alle altre attività, in modo da assurgere, ancorché di fatto, ad oggetto esclusivo o principale dell’ente medesimo”. Così C. Appello Palermo, 7 aprile 1989, in Giur. Comm., 1992, II, 61, Non è dato compren- 150 BRUNO ACCONCIAIOCO Ma non sempre è stato così! Fermo restando il limite dello scopo ideale, gli enti fondazionali hanno la possibilità di perseguire lo scopo istituzionale esercitando qualsivoglia tipo di attività6 senza per questo essere considerate come una società di fatto, essendo ormai superato lo schema concettuale secondo il quale la società rappresenta “l’unica forma di esercizio collettivo di un’attività d’impresa”7. Lo stesso lemma fondazioni d’impresa, o corporate foundation8, si presta a frequenti anfibologie linguistiche essendo talvolta più corretto parlare di imprese di fondazione, talaltra di fondazioni nate in ambito imprenditoriale. Per sgombrare preliminarmente il campo da dubbi, tutti possibili e leciti nella misura in cui il legislatore non ha affrontato questa problematica, risulta necessario porre a fondamento dell’analisi la definizione stessa dell’ente fondazione. Secondo lo European Foundation Centre la fondazione si caratterizza come “un ente senza finalità di lucro con una propria sorgente di reddito che deriva normalmente, ma non esclusivamente, da un patrimonio”9. dere se il giudice abbia inteso l’oggetto come attività finalizzata al perseguimento dello scopo o come sinonimo dello scopo dell’ente, nel qual caso sarebbe una vistosa imprecisione. 6 In tema di fondazioni e sui rapporti con l’attività d’impresa cfr.: A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995; A. Fici, Imprese cooperative e sociali. Evoluzione normativa, profili sistematici e questioni applicative, Torino, 2012. 7 F. Loffredo, Le persone giuridiche e le organizzazioni senza personalità giuridica, Milano, 2004. 8 Cfr., sul punto, il rapporto sulle corporate foundation in Italia, in http://www.sodalitas.it/files/337/Corporate%20Foundations_9%2012.pdf. 9 Lo European Foundation Centre (breviter E.F.C.) è un'associazione indipendente internazionale non profit secondo la legge belga Essa può contare membri in oltre 30 paesi non solo europei. I membri si dividono in: membri a pieno titolo (full members) per l’Italia: Fondazione Cassa di Risparmio di Pescara e di Loreto Aprutino (CARIPE), Fondazione Cariplo, Fondazione Centro Studi Investimenti Sociali (CENSIS), Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura, Fondazione Giovanni Agnelli, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, Fondazione Salernitana Sichelgaita, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia, Ente Cassa di Risparmio di Firenze, Compagnia di San Paolo, Fondazione Eni Enrico Mattei (ENI), Fondazione Adriano Olivetti, Fondazione Europa Occupazione Impresa e Solidarietà. Membri Associati invitati ( Associate "Guests") , il cui status è attualmente riservato ad organizzazioni delle democrazie dell'Europa centrale ed orientale che non pagano una quota associativa. Associati, organizzazioni che si occupano di economia sociale tra cui cooperative ed università (per l’Italia: SODALITAS, Università di Pavia, Fondazione Peppino Vismara). Le fondazioni d’impresa 151 Elemento fondamentale, e quindi imprescindibile, è l’esistenza di un patrimonio indissolubilmente legato ad uno scopo considerato meritevole di tutela dall’ordinamento giuridico; lo scopo non profit necessita di una ulteriore caratteristica, ossia quella della stabilità. In altri termini, una volta costituito, il fondo diventa un nuovo soggetto che vive per sempre di vita propria. Il divieto di non distribuzione, né diretta, né indiretta degli utili rappresenta poi il corollario e la ragion d’essere dell’ente fondazione non profit. È possibile tracciare una prima summa divisio nel panorama fondazionale distinguendo tra fondazioni di erogazione (grantmaking foundation) 10 10 Si riportano, di seguito, alcune delle principali fondazioni d’impresa grant making statunitensi (per erogazioni effettuate in dollari americani e in ordine decrescente) con indicazione dell’anno di costituzione. Wal-Mart Foundation, 154.537.406, 31.01.2005; Aventis Pharmaceuticals Health Care Foundation, 80.734.705, 31.12.2004; Ford Motor Company Fund, 77.916.903, 31.12.2004; The Wells Fargo Foundation, 65.007.124, 31.12.2005; Exxonmobil Foundation, 63.660.965, 31.12.2005; Citigropup Foundation, 57.720.957, 31.12.2003; Verizon Foundation, 56.968.636, 31.12.2004; The JPMorgan Chase Foundation, 56.786.083, 31.12.2004; GE Foundation, 49.177.477, 31.12.2004; AT&T Foundation, 48.159.537, 31.12.2004; Fannie Mae Foundation, 47.742.454, 31.12.2004; Avon Foundation, 45.974.681, 31.12.2005; Johnson & Johnson Family of Companies Contribution Fund, 42.871.365, 31.12.2005; The Merk Company Foundation, 41.376.724, 31.12.2004; The Wachovia Foundation, 40.983.073, 31.12.2004; The MBNA Foundation, 38.914.913, 31.12.2004; The UPS Foundation, 36.552.454, 31.12.2004; Intel Foundation, 34.561.326, 31.12.2004; General Motors Foundation, 34.416.411, 31.12.2004; MetLife Foundation, 29.899.590, 31.12.2005; BP Foundation, 28.536.711, 31.12.2004; The Pfizer Foundation, 27.464.145, 31.12.2004; DaimlerChrysler Corporation Fund, 25.954.103, 31.12.2005; Eli Lilly and Company Foundation, 25.609.278, 31.12.2004; The Procter & Gamble Fund, 25.389.729, 30.06.2005; Abbott Laboratories Fund, 23.039.015, 31.12.2004; Freddie Mac Foundation, 22.790.389, 31.12.2004; NCC Charitable Foundation, 22.728.115, 30.06.2005; The Bristol-Myers Squibb Foundation, 21.955.431, 31.12.2004; The PepsiCo Foundation, 21.856.528, 31.12.2005; The Prudential Foundation, 21.818.030, 31.12.2004; The Coca Cola Foundation, 20.426.884, 31.12.2004; State Farm Companies Foundation, 20.423.725, 31.12.2005; General Mills Foundation, 20.199.900, 31.05.2005; American Express Foundation, 20.046.545, 31.12.2004; U.S. Bancorp Foundation, 19.384.053, 31.12.2004; 3M Foundation, 18.741.756, 31.12.2004; The Medtronic Foundation, 18.526.625, 30.04.2005; Merrill Lynch & Co. Foundation, 17.571.407, 31.12.2004; The Capital Group Companies Charitable Foundation, 17.093.132, 30.06.2005; Alcoa Foundation, 16.999.076, 31.12.2004; Amgen Foundation 16.279.383, 31.12.2004; The Allstate Foundation, 15.983.966, 31.12.2005; The Dow Chemical Company Foundation, 15.953.729, 31.12.2005; Emerson Charitable FouTrust, 15.907.672, 30.09.2004; Caterpillar Foundation, 15.407.405, 31.12.2004; Simpson PSB Fund, 15.297.005, 31.12.2004; Nationwide Foundation, 14.863.457, 31.12.2005; Duke Energy Foundation 14.739.126, 31.12.2004. Fonte: The Foundation Center’s annual report 2006. 152 BRUNO ACCONCIAIOCO e fondazioni operative (operating foundation); detta distinzione terminologica segnerà il confine anche per le corporate foundation che si potranno atteggiare o come operative o come semplicemente centri di erogazione e delle quali si disserterà poco più appresso. Per fondazione di erogazione (grantmaking) si fa riferimento alla caratterizzazione più tradizionale di fondazione, avuta in mente dai compilatori del codice civile, intesa come un’attività di erogazione dei frutti prodotti da un patrimonio destinati ad essere distribuiti a terzi (mediante la somministrazione di grant) secondo delle modalità e dei criteri preventivamente e statutariamente previsti e mai destinati ad arricchire il fondatore. I frutti del patrimonio, che non è possibile definire utili, sono soggetti al “non distribution constraint11” ovvero non possono essere distribuiti al fondatore/fondatori, ma sono erogati (donati in senso tecnico) a coloro che il fondatore ha inteso, costituendo la fondazione, beneficiare. La fondazione di erogazione può, a sua volta, atteggiarsi secondo tre macro figure che si differenziano quanto a governance e rapporti con il fondatore12. Il primo modello è quello classico di fondazione di erogazione dei frutti di un patrimonio: l’impresa fonda, cioè mette a disposizione i frutti di un patrimonio costituendo un apposito fondo di dotazione e stabilisce nell’atto di fondazione tutte le regole di amministrazione del capitale. Questa fondazione è definita da Iudica13 “indipendente”, nel senso che vive secondo le regole statutariamente previste e cristallizzate nell’atto di fondazione ed eroga i grant a vantaggio dei destinatari tutti indicati nello statuto secondo l’ordine identificato. L’impresa fondatrice, quindi, fonda e poi scompare avendo esaurito la propria attività nella donazione del capitale necessario alla costituzione dell’organismo che opererà autonomamente transitando lungo il binario creato dal fondatore. Nel secondo modello l’impresa fonda e alimenta, l’impresa che fornisce i capitali dopo aver costituito il fondo continua ad alimentare la fondazione stessa tramite un flusso continuo di denaro costituito da una parte degli utili aziendali. Il rapporto continuo con il fondatore, oltreché da un punto di vista economico, si riflette nelle relazioni di governance: negli statuti sono, infatti, previste clausole che attribuiscono all’impresa (fondatrice) e alimentante poteri amplissimi di designazione degli amministratori allo scopo di legare in perpetuus fondatore e fondazione. In ultima analisi vi è 11 G. Ponzanelli, Gli Enti collettivi senza scopo di lucro, cit. Cfr., G. Iudica Inquadramento dei profili di fondazione che interessano le imprese, in “Atti del convegno promosso da Sodalitas e Assolombarda con la collaborazione di European Foundation Centre”, novembre 2000. 13 Ibidem. 12 Le fondazioni d’impresa 153 la fondazione di comunità14 laddove l’impresa non fonda, ma partecipa alla gestione di una fondazione già costituita sostenendola economicamente alimentando le sue finanze. Se l’attività di erogazione delle risorse, erogazione di grant ai beneficiari, costituisce l’oggetto e nel contempo esaurisce l’attività delle fondazioni di erogazione, nelle fondazioni operative, come suggerisce il termine stesso, la fondazione opera in concreto svolgendo direttamente un’attività istituzionale15 che potrà essere commerciale (ed avremmo una fondazione di impresa) oppure no; in tal modo si persegue direttamente la missione soddisfacendo precisi bisogni sociali, realizzando cosi la c.d. “efficacia sociale”. Diversamente opinando, altri16, ritengono che la fondazione operativa sia quella che esercita essa stessa un’attività d’impresa. L’esercizio dell’impresa si ha allorquando la fondazione organizza i fattori della produzione, ma con finalità non economiche, come ad esempio nel caso della fondazione culturale per la gestione di un museo o nel caso di fondazione sanitaria. Sotto l’aspetto finanziario questo tipo di fondazione necessita di essere continuamente capitalizzata ed è, non di rado, aperta a soggetti esterni e nuovi anche pubblici ed avremo in quest’ultimo caso la fondazione di partecipazione. All’attento lettore non deve, però, sfuggire che la tipologia degli istituti giuridici del “non profit operativo” non s’esaurisce nell’archetipo fondazionale. La fondazione d’impresa operativa rappresenta una delle tipologie giuridiche appartenenti al genus testé descritto; coesistono almeno tre tipologie di istituti: il modello della cooperativa sociale, il modello della fondazione (operativa) e quello della associazione sempre operativa.17 14 Per un approfondimento sulle fondazioni di comunità, cfr. F. Ferrucci, Capitale sociale e partnership tra pubblico, privato e terzo settore Vol. II. Il caso delle fondazioni di comunità, Milano, 2010. 15 D. Guzzi., Lessico essenziale sulle fondazioni, in http://www.fga.it/uploads/media/ Per_conoscere_le_fondazioni.pdf 16 Cfr. G. Iudica, op. cit. 17 Cfr. M. Grumo, Le partnership tra fondazioni d’impresa e istituti non profit, Milano 2007, ove si afferma, a p. 64, che “gli istituti non profit riconducibili al modello della cooperativa sociale dal punto di vista economico aziendale, presentano un ciclo produttivo simile a quello delle aziende di produzione profit, e cioè, strutturato nelle seguenti fasi: acquisto dei fattori produttivi sul mercato-trasformazione vendita delle merci e servizi. La differenza rispetto alle aziende di produzione profit è rappresentata dal fatto che le cooperative sociali non profit producono servizi ad elevato contenuto sociale (ad esempio servizi socio assistenziali) oppure producono merci e servizi di largo consumo (ad esempio produzione di fiori, servizi postali conto terzi ecc. impiegando tra i fattori della produzione 154 BRUNO ACCONCIAIOCO Si può quindi cercare di superare, avendo tracciato qualche caratteristica del panorama fondazionale, lo scoglio terminologico ed abbracciare una definizione di fondazione d’impresa avendo bene in mente che il legislatore definisce l’imprenditore e l’azienda e non già l’impresa. Se l’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di una impresa (art. 2555 codice civile) e l’imprenditore è colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi (art. 2082 codice civile) l’impresa risulta essere definita, latu sensu e per assimilazione concettuale, quell’attività di organizzazione di fattori produttivi che, opportunamente e sapientemente combinati dall’imprenditore, consentono la produzione del bene o servizio che definiamo, in questa sede, sociale. Intenzionalmente chi scrive ha obliato la economicità dell’attività; è indubbio che l’aggettivo sociale crea una distonia terminologica con l’economicità dell’attività. La fondazione “esercita una impresa, perché organizza i fattori della produzione, ma con finalità non economiche”18. Il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155 (in attuazione della legge delega 13 giugno 2005, n. 118) ha, però, introdotto nel nostro ordinamento la figura dell’impresa sociale. A norma dell’art. 1, primo comma del d.lgs. n.155 del 2006 “possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione e scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4”.19 persone che si trovano in particolare stato di bisogno sociale. In questi casi, il perseguimento della finalità sociale è riconducibile non all’output prodotto, bensì al processo di input, che vede il coinvolgimento diretto di soggetti svantaggiati.[…]. Ancora differente il modello degli istituti non profit fondazioni, associazioni, organizzazioni di volontariato, organizzazioni non governative, istituti religiosi. Questi istituti infatti non presentano un ciclo gestionale simile a quello della cooperativa sociale, svolgendo un’attività istituzionale diretta al perseguimento dello scopo statutario e un’eventuale attività accessoria rivolta al mercato (attività profit a tutti gli effetti). A quest’attività si aggiungono anche la gestione patrimoniale e la gestione delle attività di fund raising. Nel caso di questi istituti non profit, soltanto le attività accessorie presentano un ciclo gestionale simile a quello delle cooperative sociali”. 18 Cfr.G. Iudica, op. cit. 19 Sull’impresa sociale cfr.: C. Buonaura., Impresa sociale e responsabilità limitata, in Giur. Comm., 2006,6, p.849; R. Costi L’impresa sociale: prime annotazioni esegetiche, in Giur. Comm. 2006,6, p.860; Fici, Impresa sociale, in Digesto civ., agg. III, t. 3, Torino, 2007, 663 ss. Le fondazioni d’impresa 155 Resta così superato il problema dell’economicità dell’attività direttamente dal legislatore. Non vi è ragione di ritenere non economica un’attività che pure non distribuendo utili, è retta da un imprenditore (sociale) che agisce economicamente sul mercato ovvero con modalità di gestione tali da remunerare i fattori della produzione impiegati coprendo i costi con i ricavi di esercizio; nessun lucro soggettivo, nessuna autodestinazione dei risultati, ma indubbiamente un forte risultato economico: presenza sul mercato, produzione e vendita di un bene e servizio realizzando il pareggio economico della gestione nel punto di equilibrio fornito dal pareggio dei costi con i ricavi20. Possiamo definire quali fondazioni d’impresa quegli istituti giuridici non profit, giuridicamente configurati come fondazione, che sono costituiti da un’impresa profit oriented, come strumento articolato di attuazione della propria strategia di responsabilità sociale (quale modello evoluto di filantropia), con un capitale autonomo fornito dalla impresa madre nella fase di start up e costantemente alimentata durante il suo funzionamento avente un organigramma aziendale proprio e strutturalmente strumentale a quello dell’impresa creatrice dalle cui politiche dipende e ne riflette gli indirizzi gestionali. Questa definizione può riguardare le non profit foundation di erogazione o anche quelle operative, tenendo presente che le fondazioni d’impresa, a differenza di quelle di origine bancaria che nascono a seguito dell’entrata in vigore nell’ordinamento italiano della Legge Amato-Carli (Legge n.218/90) e della successiva Legge Ciampi-Amato (Legge n. 461/98), non sono costituite come conseguenza diretta o indiretta di una normativa specifica, bensì di un scelta volontaria dell’impresa. La differenza sostanziale tra la fondazione d’impresa di erogazione e la fondazione d’impresa operativa risiede, oltre che nell’attività svolta, nella modalità organizzativa; è opportuno evidenziare21 che nelle fondazioni di erogazione l’organismo personale, la c.d. risorsa intangibile, è servente all’elemento patrimoniale e, generalmente, di dimensioni ridotte rispetto alla fondazione operativa, in quanto la fondazione non svolge compiti di realizzazione e gestione diretta dei suoi progetti, occupandosi solo della loro selezione, valutazione e monitoraggio. Al contrario, invece, nelle fondazioni operative i progetti sono direttamente realizzati all’interno: si pensi alle fondazioni operanti nel campo della ricerca (nel campo medicosociale), nelle attività culturali stabili (musei o strutture espositive) e nella gestione di attività in forma partecipata (tramite il modello della fondazio20 21 Cfr. A. Bucelli, Profili giuridici dell’impresa sociale, in http://eco.uninsubria.it. Cfr. M. Grumo, op.cit. 156 BRUNO ACCONCIAIOCO ne di partecipazione si costituiscono strutture fieristiche, universitarie e sanitarie22). 2.1 Le fondazioni d’impresa in Italia. Il modello fondazione, in Italia, sembra seguire una caratterizzazione ed evoluzione del tutto atipica rispetto ai contesti viciniori. Corre l’obbligo anzitutto di precisare che la creazione di questo tipo di enti non è proprio recente. Il 22 per cento, infatti, nasce tra il 1950 e il 1979, il 24 per cento durante gli anni ottanta, il 28 per cento nello scorso decennio23. L’idea filantropica di immobilizzare parte della ricchezza da sottrarre alle strategie imprenditoriali, si origina nel capitalismo familiare, fenomeno questo sì tutto nostrano, nel quale il tessuto di piccole e medie imprese compone il panorama imprenditoriale italiano le cui aziende sono gestite da una famiglia. A volte, poi, l’intervento delle aziende profit oriented non si sostanzia nella pura filantropia e nemmeno nella costituzione di fondazioni a vantaggio delle ONP, ma diversamente nella realizzazione di progetti che realizzano un vantaggio diretto per alcune categorie svantaggiate24. Fatta la dovuta precisazione sembrerebbe, come del resto sembra, preferibile parlare di fondazioni nate in ambito imprenditoriale per definire le corporate foundation nate ed operanti in Italia. L’indagine sul campo, con l’ausilio del Centro di documentazione sulle Fondazioni della Fondazione Agnelli25 (grazie al quale è stato possibile reperire informazioni e dati statistici), porta a considerare il panorama delle 22 Cfr., A. Propersi (a cura di), Il finanziamento degli enti non profit. Verso nuovi modelli organizzativi e di welfare, Milano 2005. 23 I. Lenzi – C. Raffaelli, Le origini e la natura delle fondazioni di impresa in Italia: verso la rendicontazione di responsabilità sociale. Rapporto sullo sviluppo sostenibile 4.2005, Fondazione ENI Enrico Mattei, http://www.feem.it/feem/pub/ publications/rapporti/default.htm. 24 Come si affermava, il modello della fondazione d’impresa e quello della filantropia non sono in realtà gli unici possibili modelli d’intervento delle imprese for profit a favore del sociale. Cfr., M. Grumo, Le partnership tra fondazioni d’impresa e istituti non profit, op.cit., sub nota 8, p.33, ove l’autore indica l’emblematico caso dell’impresa Snaidero che, anziché optare per il modello filantropico, ha realizzato una cucina per mamme disabili che, oltre a soddisfare un bisogno sociale, è diventata una delle cucine più vendute del gruppo. Tale progetto, poi, è si è evoluto nella creazione di una fondazione recentissima a ciò specificamente dedicata. 25 Cento di documentazione sulle Fondazioni della Fondazione Agnelli, Torino, www.fondazioni.it. Le fondazioni d’impresa 157 corporate foundation formato da cinquantaquattro fondazioni molte delle quali non rispecchiano la definizione dello E.F.C26 che a tal proposito afferma la necessarietà, in questa categoria, di una fondazione fondata dall’impresa, prevalentemente grant making, alimentata con grant periodici ed operante in un campo di attività affine a quello dell’impresa; tuttavia solo poche unità delle fondazioni operanti rispecchiano queste caratteristiche. Innanzitutto il 51 per cento delle fondazioni operanti in Italia si atteggia come operative, mentre solo il restante 49 per cento si configura come fondazione di erogazione. Il modello operativo, quindi, è certamente maggioritario nella fondazioni d’impresa italica anche se suddiviso in vari tipi di specificazione settoriale e organizzativa. Al primo posto troviamo sicuramente il centro studi che rappresenta il 34,2%, poi gli istituti di assistenza (7,3%), ed infine gli istituti di formazione (7,3%)27. Le fondazioni culturali, come musei biblioteche o archivi, rappresentano il 22% dell’operare filantropico; cultura, ricerca sociale ed economica coinvolgono oltre il 90% delle fondazioni d’impresa, ma i risultati sono ancora più inequivoci ove si consideri che, aggiungendo l’arte e i beni culturali, tutte le fondazioni d’impresa hanno anche un’attività di tipo culturale28. 26 Secondo lo E.F.C. la definizione di corporate foundation è la seguente: “In this second category, the founder and donor is a company or corporate that makes annual gifts to a separately constituted foundation, which normally has a nominal capital. However, the foundation depends on the annual gifts from the parent company and/or subsidiaries for funds that it will, in turn, distribute. In addition, the majority of trustees of the governing board are employees or board members of, or individuals retired from, the donor company. Corporate foundations usually maintain close ties with the parent company, and their giving usually reflects company interests”. 27 M. Demarie, Fondazione Giovanni Agnelli, Centro di documentazione sulle fondazioni della Fondazione Agnelli, www.fondazioni.it. 28 Si riportano, di seguito, alcune delle principali fondazioni d’impresa italiane con l’indicazione del nome della fondazione, del nome del fondatore, dell’attività del fondatore e dell’attività della fondazione stessa. Fondazione 3M, fondatore 3M, settore manifatturiero, fondazione culturale; Fondazione Accenture, fondatore Accenture, settore servizi/consulting, fondazione culturale; Fondazione Adecco per le pari opportunità, fondatore Adecco, settore servizi/consulting, assistenza; Fondazione Agnelli, fondatore FIAT, settore automobilistico, fondazione culturale; Fondazione Ansaldo, fondatore Finmeccanica, settore meccanico, fondazione culturale; Fondazione Asphi, fondatore IBM Italia, settore ICT, fondazione assistenziale; Fondazione Assicurazioni Generali, fondatore Assicurazioni Generali, settore assicurazioni, fondazione culturale; Fondazione ATM, fondatore ATM S.p.A., settore trasporti/infrastrutture, fondazione assistenziale; Fondazione Aventis unico, fondatore Aventis, settore chimico/farmaceutico, fondazione di ricerca scientifica; Fondazione Bassetti, fondatore Bassetti, settore tessile, fondazione culturale; Fondazione Benet- 158 BRUNO ACCONCIAIOCO Quanto al requisito della patrimonializzazione preme, inoltre, evidenziare come la tradizionale equazione della fondazione come patrimonio per uno scopo sembra, per le fondazioni italiane di diritto civile, essere percepita più come “scopi che non sono alla ricerca di patrimoni”. Con questa affermazione, la realtà italiana sembra realizzarsi attraverso un sistema di finanziamento che vede nell’impresa fondatrice la principale ton studi e ricerche, fondatore Benetton, settore tessile, fondazione culturale; Fondazione Beretta, fondatore Beretta, settore armamenti, fondazione di ricerca scientifica; Fondazione Camparti, fondatore Campari, settore alimentare, fondazione culturale; Fondazione Carlo Erba, fondatore Antibioticos, Ausimont, Edison e altre, settore chimicofarmaceutico, fondazione di ricerca scientifica; Fondazione Cesar, fondatore UNIPOL, settore assicurazioni, fondazione culturale; Fondazione Chierese per il tessile, fondatore 50 imprese tessili, settore tessile, fondazione di ricerca scientifica; Fondazione Corriere della Sera, fondatore RCS, settore editoriale, fondazione culturale; Fondazione Dalmine, fondatore Tenaris, settore energia, fondazione culturale; Fondazione Edison, fondatore Edison, settore energia, fondazione di (segue) ricerca scientifica; Fondazione Eni Enrico Mattei, fondatore ENI, settore energia, fondazione di ricerca scientifica; Fondazione Feltrinelli, fondatore Feltrinelli, settore editoriale, fondazione culturale; Fondazione IBM Italia, fondatore IBM Italia, settore ICT, fondazione di ricerca scientifica; Fondazione Italcementi, fondatore Italcementi, settore edilizia, fondazione di ricerca scientifica; Fondazione Johnson & Johnson, fondatore Johnson & Johnson, settore chimico-farmaceutico, non disponibile; Fondazione Einaudi, fondatore Einaudi, settore editoriale, fondazione culturale; Fondazione Antonio Mazzotta, fondatore Mazzotta, settore editoriale, fondazione culturale; Fondazione Menarini, fondatore Menarini, settore chimico-farmaceutico, fondazione di ricerca scientifica; Fondazione Aristide Merloni, fondatore Merloni Elettrodomestici, settore arredamenti, fondazione culturale; Fondazione Milan, fondatore Milan S.p.A., settore servizi vari, fondazione assistenziale; Fondazione Mc Donalds, fondatore Mc Donalds Italia, settore ristorazione, fondazione assistenziale; Fondazione Mondatori, fondatore Mondatori, settore editoriale, fondazione culturale; Fondazione Olivetti, fondatore Olivetti, settore meccanico; fondazione di ricerca scientifica; Fondazione Piaggio, fondatore FIAT, settore automobilistico, fondazione di ricerca scientifica; Fondazione Piera, Pietro e Giovanni Ferrero, fondatore Ferrero, settore alimentare, fondazione assistenziale; Fondazione Prada, fondatore Prada, settore moda, fondazione culturale; Fondazione Scovolini, fondatore Scovolini, settore arredamenti, fondazione culturale; Fondazione Sigma Tau, fondatore Sigma Tau, settore chimico-farmaceutico, fondazione di ricerca scientifica; Fondazione STM, fondatore STM Microelectronics, settore elettronico, fondazione di ricerca tecnologica; Fondazione Teseco, fondatore Teseco, settore servizi-consulting, fondazione culturale; Fondazione Trussardi, fondatore Trussardi, settore moda, fondazione culturale; Fondazione Ugo Bordoni, fondatore (oggi) Telecom Italia, settore ICT, fondazione di ricerca scientifica; Fondazione Umana-Mente, fondatore RAS, settore assicurazioni, fondazione assistenziale; Fondazione Unidea, fondatore UniCredit, settore servizi finanziari, fondazione assistenziale; Fondazione Vodafone Italia, fondatore Vodafone Omnitel, settore ICT, fondazione assistenziale. Il contributo è tratto da I. I. Lenzi- C. Raffaelli- S. Ratti, Riflessioni sulle fondazioni di origine imprenditoriale, in A. Propersi (a cura di), Il finanziamento degli non profit. Verso nuovi modelli organizzativi e di welfare, Milano 2005. Le fondazioni d’impresa 159 fonte di reddito (38%) seguita dal reddito del patrimonio (29%), da contributi della famiglia (12%), elargizione dei privati non fondatori (12%) ed in forma residuale dalla vendita di prodotti e servizi (3%); contributi pubblici ed attività commerciali, rappresentano percentualmente una bassa fonte di introiti. Le imprese familiari fondan gli enti fondazioni e continuano ad alimentare questi ultimi riflettendo, come già detto, nei rapporti di governance le dinamiche finanziarie sottese. 3. Sullo scopo e sulle attività oggetto delle fondazioni d’impresa Circa l’elemento finalistico delle fondazioni d’impresa corre l’obbligo di reindirizzarsi alla dottrina generale delle fondazioni e agli elevati contributi in materia 29 considerando, nell’analisi delle realtà operative, se e quando lo scopo ideale possa adattarsi alla natura non economica dell’ente, posto che non economico non identifica una donazione, un gift, ma significa comunque un perseguimento di un vantaggio30. Tale vantaggio è bilaterale e trova l’essenza del suo sinallagma nella contrattualità sociale. La fondazione d’impresa, sviluppata nell’ottica ad esempio di una più ampia strategia di corporate social responsibility31, e creata dalla costola del29 Tra tutti i contributi in materia, vedi R. Costi, Fondazione e impresa, in Riv. dir. civ., anno XIV, 1968, parte prima, pp. 1-49. F. Loffredo, Le persone giuridiche e le organizzazioni senza personalità giuridica, cit, p. 45, riferisce che “l’associazione ha spesso uno scopo ideale e altruistico ma può anche soddisfare interessi egoistici dei propri associati. È solo vietato lo scopo di profitto e la divisione degli utili tra i compartecipi perché in tal caso il gruppo si identifica nello schema societario[…].La fondazione, invece, non può avere per scopo l’utilità egoistica del fondatore o di determinati beneficiari”. Tale posizione è condivisa anche da F. Galgano, Delle persone giuridiche, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna, 1969; G. F. Campobasso, Diritto dell’impresa. Diritto commerciale, Vol. 1. Torino, 2006, 79. V. Buonocore, Manuale di diritto commerciale. Torino, 2001. F. Galgano Diritto commerciale. Milano, 40 ss. Ritengono, al contrario, essenziale il lucro T. Ascarelli, Corso. 189 ss; F.J. Ferrara - F.Corsi, Gli imprenditori e le società. Padova, 41 ss; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale. Torino, 55 ss., G.F. Campobasso, Associazioni e attività d’impresa, in Riv. Civ., II, 587. 30 Cfr., F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, sub artt.36-42, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja - Branca Bologna-Roma, 1976 ove si afferma che la definizione più diffusa nella qualificazione dei fenomeni associativi o fondazionali è oggi quella di enti a scopo non economico o ideale. 31 Una ricostruzione interessante della C.S.R o, come viene anche chiamata R.S.I., (Responsabilità sociale d’impresa) è tratteggiata da F.Zarri in http://www.aiccon.it/file/convdoc/corporatesocialresponsability_zarri.pdf. La CSR può essere definita come “l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle istanze 160 BRUNO ACCONCIAIOCO la impresa for profit di riferimento, può finanziare progetti in paesi emergenti realizzando un facere tangibile (costruzione dell’ospedale o della scuola di calcio) ottenendo in cambio non solo vantaggi in termini di visibilità e plusvalore sociale, ma potendosi giovare di un vantaggio competitivo rispetto ad altre imprese concorrenti, che magari non sono attive nel settore sociale nella realizzazione di partnership stabili con il paese destinatario del progetto finanziato, ottenendo così un facere altrettanto tangibile e sicuramente economico; tale impresa sociale (la impresa non profit) quindi realizza un contratto sociale a prestazioni corrispettive del tipo facio ut facias o do ut des laddove, al facere attuale ed immediato, o alla dazione attuale di danaro, corrisponde una controprestazione, suscettibile di valutazione economica ex art. 1174 codice civile, che si sostanzia in un vantaggio non attuale ma patrimoniale (dato ad esempio dalla penetrazione in un mercato nuovo oppure dall’incremento delle vendite che la impresa profit ha ottenuto dal bene o dal prodotto a causa dell’effetto economico della politica sociale). Bisogna mettere nel conto, altresì, non solo i vantaggi ottenuti dal fondatore, ma anche i vantaggi ottenuti dai membri della fondazione: si pensi ad esempio alla Fondazione Milan Onlus32, costituita dal fondatore A.C. Milan S.p.A. ove alcuni degli stessi calciatori o ex calciatori della squadra di calcio sono impegnati attivamente nella fondazione; in questo caso il vantaggio ottenuto dai membri della fondazione, nell’operare attivamente nella fondazione stessa, è da ascrivere alla seconda parte dell’art. 1174 del Codice Civile, ovvero corrisponde ad un interesse anche non patrimoniale del creditore. sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Questa è la definizione riportata da I.C.S.R. (Italian Centre for Social Responsibility). 32 Dal sito internet, www.fondazionemilan.org, si riporta la mission aziendale: “Fondazione Milan agisce in Italia e all’estero per soddisfare i bisogni primari e per realizzare pienamente i diritti fondamentali della persona nei settori dell’assistenza sociale, dell’istruzione, della formazione e dell’avviamento allo sport. Allo stesso modo si impegna a diffondere la cultura e la pratica dell’attività sportiva come mezzo finalizzato alla salute psicofisica, all’integrazione e al miglioramento della qualità della vita. La Fondazione opera essenzialmente per sostenere progetti di ampio respiro, quali il supporto dei giovani nel loro itinerario educativo e formativo-professionale, l’aiuto umanitario in favore soprattutto dei Paesi in via di sviluppo e il mantenimento dei rapporti di collaborazione tra istituzioni nazionali e internazionali. Tale sostegno si concretizza attraverso attività di carattere promozionale ed economico. La Fondazione infatti dispone da un lato degli strumenti di comunicazione del Club (testimonials, acmilan.com, Milan Channel, Forza Milan!) per un’efficace strategia di sensibilizzazione e dall’altro pianifica, organizza e gestisce autonomamente operazioni ed eventi per il fund raising”. Le fondazioni d’impresa 161 Se è vero che la fondazione viene collocata tra gli strumenti volti ad esternalizzare l’agire filantropico, di una impresa for profit o di un individuo, nella realizzazione di un più ampio disegno personale che si colloca nell’alveo delle sue prerogative costituzionalmente garantite, è parimenti vero che l’idealità dello scopo non coincide con la non economicità dello stesso. Su tale punto, autorevole dottrina è chiara33. Bisogna, come si cennava innanzi, distinguere tra le finalità dell’ente e le finalità precipue dei singoli partecipanti. Dire che l’ente ha scopo non economico, non significa affermare tout court lo scopo altruistico dello stesso. Nel caso ad esempio della società per azioni A.C. Milan34, che controlla al 100% la Fondazione Milan Onlus, è possibile toccare con mano come l’idealità dello scopo, espressione di una più ampia strategia di C.S.R., si traduca in un vantaggio derivato non solo nell’apprezzamento per l’attività sociale, ma anche in un ritorno economico, o quantomeno economicamente valutabile. Dall’analisi del rapporto di sostenibilità dell’anno 201235 si evince come l’attività della Fondazione si sia estrinsecata in vari progetti (oltre a partnership con associazioni no profit come ‘l’Africa Chiama’), uno tra tutti il progetto Playground36. Le ricadute positive di tali progetti, oltre che in tema di apprezzabilità sociale della società for profit finanziante (Milan), è possibile rintracciarle nella possibilità di formare, selezionare e poi successivamente tesserare giovani atleti provenienti da terre svantaggiate. Ne costituisce una conferma (indiretta) il fatto che proprio su un sito internet della società vi sia un articolo intitolato ‘l’Africa rossonera37’ dove 33 R. Costi., op.cit. A.C. Milan é un vero e proprio gruppo societario che al suo interno controlla il 100% di Milan Entertainment S.r.l., Milan Real Estate S.p.A. e Fondazione Milan - Onlus; inoltre possiede il 50% di M-I Stadio S.r.l. e il 45% di Asansiro S.r.l.. E’ controllata al 99,97% da Fininvest S.p.A. 35 Tale rapporto è reperibile in http://media3.acmilan.com/assets/pdf/RAPPORT_ SOS_2012_MILAN_intH2.pdf 36 Project Playground è un organizzazione non-profit che opera in Sudafrica. L’obiettivo del progetto è quello di consolidare la presenza dell’associazione all’interno degli slums di Cape Town, attraverso la diffusione della pratica sportiva, con la convinzione che lo sport di squadra e il gioco sono elementi cruciali dell’infanzia e contribuiscono notevolmente alla formazione di un individuo (coinvolti circa 100 bambini). 37 http://www.canalemilan.it/news/lafrica-rossonera-54669. Ghana, Monrovia, Senegal, Sierra Leone, Nigeria, Costa d’Avorio sono soltanto alcuni degli Stati africani di provenienza dei calciatori. Questi stati coincidono parzialmente con i territori destinatari dei progetti benefici. 34 162 BRUNO ACCONCIAIOCO è possibile leggere del notevole numero di calciatori africani, spesso giovani o giovanissimi, provenienti da regioni africane difficili, tesserati dal club negli ultimi anni. Sempre nel rapporto di sostenibilità si legge che addirittura ben l’8,3% dei tesserati del settore giovanile proviene proprio dal continente africano e la quasi totalità di questi è diventati poi professionista38. I risultati dell’agire o dell’intrapresa possono essere indirizzati esclusivamente a vantaggio della collettività generalmente intesa e allora lo scopo sarà senz’altro altruistico. In tale caso fine ideale-altruistico e scopo non economico coincidono sia in capo all’attività dell’ente sia in capo alla destinazione dei risultati dei singoli membri della corporazione (come nel caso di enti caritatevoli o associazioni di volontariato). Nessun lucro soggettivo, nessuna autodestinazione dei risultati, nessun vantaggio economico nemmeno indiretto per gli associati: vi è solo la crescita individuale della personalità sicuramente “un interesse non patrimoniale del creditore della prestazione”. Ma se sol pensiamo ai circoli del tennis, ai circoli ricreativi, alle associazione dei consumatori, agli ordini ed alle casse previdenziali dei professionisti, alle fondazioni holding – solo per citare alcuni esempi – allora il discorso cambia. L’attività dell’ente è sicuramente non economica, non comportando una distribuzione del lucro eventualmente realizzato; è parimenti certo, però, che non si può dire che lo scopo sia altruistico laddove il vantaggio ricade in campo ai singoli membri. Medesimo discorso per i membri stessi che non si ripartiscono alcun avanzo di gestione o perdita, ma ricevano un vantaggio economico ex art. 1174 c.c. determinato o determinabile anche nel quantum. Il socio del circolo del tennis può, verso il corrispettivo della quota associativa accedere gratuitamente, o nummo uno, alle strutture del circolo; il membro della associazione/fondazione dei consumatori può ricevere una serie di vantaggi derivanti da stipule e convenzioni valide solo per gli associati ed accedere a beni e servizi prodotti con una discriminazione di prezzo inaccessibile ai non associati; similmente per gli appartenenti agli ordini professionali i quali possono stipulare polizze assicurative, comprare auto e motociclette a prezzi scontati. In tale caso la persona giuridica è si ente con scopo non economico, ma non certo ideale. 38 Il dato può sembrare dir poco o nulla, ma in realtà se lo si confronta con la provenienza degli altri giovani tesserati (eccezion fatta per l’Italia) la dice lunga sulla maggior facilità per il club di tesserare giovani promesse in terra d’Africa. Le fondazioni d’impresa 163 Alcuni autori39 osservano a tal proposito, di non confondere lo scopo non economico con quello altruistico e, soprattutto, di non confondere la non patrimonialità dello scopo con l’attività eventualmente non economica che l’ente in concreto svolgerà. Si giunge pertanto ad ammettere, confortati dall’osservazione empirica della fenomenologia fondazionale, che la fondazione riconosciuta potrà essere utilizzata, ed adattata alla concreta esigenza contrattualmente cristallizzata nel binomio atto costitutivo- statuto, per la realizzazione delle più differenti attività,40 (siano esse economiche o non economiche, imprenditoriali o imprenditorial sociali, culturali) fermo restando il limite di scopo in questa sede- inteso come barriera ideologica della corporazione, si passi il termine onnicomprensivo, e somma delle volontà dei membri della fondazione e del fondatore. Una sorta di prerequisito volontaristico, essenziale per realizzare l’accordo frutto della intesa e del raccordo delle singole volizioni individuali atte ad imprimere un vincolo di comune scopo e implicita rinuncia, ex contractu, “a non distribuirsi proventi”. Si afferma, pertanto, la neutralità delle strutture della fondazione per l’esercizio delle più disparate attività fermo il limite di scopo propriamente inteso. Raggiunto l’accordo, il contratto fondazionale41 sarà libero di determinarsi nei suoi ulteriori requisiti secondo i dettami dell’art. 1325 del codice civile. In tale ipotesi, ovvero il nuovo modello di fondazioni di partecipazione, si può azzardare l’ipotesi di un negozio complesso composto da un modello atipico ove si combinano le previsioni normative del libro I e II del codice civile riguardanti le persone giuridiche di diritto privato, con l’art. 1332 c.c. che disciplina i contratti a struttura aperta. Per ciò che concerne le attività – elencate in amplissimi statuti che sembrerebbero consentire proprio tutto – 42 restano da considerare le pre39 Tra gli altri chi bene esplicita questo concetto è G. Ponzanelli, op.cit. R. Costi., op. cit. sub pag. 17 nota 13, ricorda che già il Savigny sottolineava che nei secoli gli stessi scopi potevano essere raggiunti ora con lo strumento della corporazione ora con quello della fondazione. 41 Si è pensato alle fondazioni partecipative, ove in sede di costituzione figurano più soggetti fondatori, fermo restando la fondazione costituita unilateralmente dal fondatore sia con atto tra vivi che mortis causa. Le fondazioni si costituiscono sempre con un negozio unilaterale, inter vivos o mortis causa, con il distinguo che la fondazione costituita per atto tra vivi è possibile solo con atto pubblico che rappresenta comunque un negozio giuridico unilaterale non recettizio anche se posto in essere da una pluralità di soggetti. 42 La proliferazione dei circoli culturali anche per attività di pubblici locali di ristorazione o per attività di somministrazione di bevande è vicenda nota alla collettività ed al fisco. 40 164 BRUNO ACCONCIAIOCO clusioni dettate da un legislatore fiscale attento – e come non potrebbe- a giuridicizzare un fenomeno sociale estremamente eterogeneo sia creando palizzate per introitare materia imponibile, sia arrivando a creare nuovi istituti giuridici. 4. Gli organi di una fondazione d’impresa nell’analisi di alcuni statuti Lo scarno tessuto normativo che veste le fondazioni43 44 45 si ritrova nelle poche norme del codice civile (artt. 14-35) le quali demandano all’art. 16 la determinazione dei requisiti essenziali dell’ente fondazione; tali requisiti essenziali, contenuti nell’atto costitutivo e nello statuto, sono: la denominazione dell’ente, l’indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede nonché le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione. Quando trattasi di fondazioni, però, è necessario determinare i criteri e le modalità di erogazione delle rendite ed inoltre l’atto costitutivo e lo statuto possono [inoltre] contenere le norme relative all’estinzione dell’ente e alla devoluzione del patrimonio e, per le fondazioni, anche quelle relative alla loro trasformazione. Dal modello codicistico ai giorni nostri, legibus solutus, si é assistito e si assiste progressivamente ad un profondo ispessimento della struttura organizzativa del modello fondazionale oramai sempre più simile, nella suddivisione di compiti e competenze, ad una società di capitali. Tutto ciò non deve cagionare inutili suggestioni, poiché le attività di fund raising, i progetti finanziati, la complessità delle partnership con gli enti locali possono realizzarsi solo con un mansionamento capillare e con un controllo che si delinea nelle previsioni statutarie. Il codice civile, o meglio le poche norme 43 Cfr. art. 5 d.P.R. 10-2-2000, n.361 che dispone: «Decentramento amministrativo. -1. Le funzioni amministrative già attribuite all’autorità governativa dalle norme del capo II, titolo II, libro I del codice civile, sono esercitate dalle prefetture ovvero dalle regioni o dalle province autonome competenti». Le prefetture assumeranno la denominazione di prefetture-uffici territoriali del governo ex art. 11, d.lgs. 30-7-1999, n. 300 e relativo regolamento di attuazione emanato con d.P.R. 17-5-2001, n.287. 44 Cfr. d.lgs. 8-6-2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato degli enti e delle società anche prive di personalità giuridica). 45 Cfr. l. 11-8-1991, n. 266 per le organizzazioni di volontariato; d.lgs. 4-12-1997, n. 460 (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale – ONLUS); L. 7-12-2000 n. 383 (Associazioni di promozione sociale); d.P.R. 24-5-2001, n. 254 (Fondazioni Universitarie di diritto privato); d.lgs. 24-03-2006 n. 155 (disciplina dell’impresa sociale a norma della L. 13 giugno 2005 n.118). Le fondazioni d’impresa 165 ivi contenute, restano una guida, l’unica guida della quale si dispone e non è possibile trascurarla. Solo l’analisi empirica degli statuti delle fondazioni, che consente però di denotare un trait d’union, può suggerire una topologia degli organi della fondazione. Sono organi della fondazione: a) il consiglio di indirizzo, o collegio dei fondatori partecipanti; b) il consiglio di amministrazione detto anche consiglio di gestione; c) il comitato esecutivo, ove costituito; d) il presidente; e) il vice presidente; f) il segretario generale; g) il collegio dei revisori. L’organo assembleare, da sempre servente e svalutato nella importanza, ha di recente acquistato sempre maggior rilievo; il sostrato partecipativo dell’ente fondazionale va a connotare non solo le fondazioni di partecipazione, che sono sempre fondazioni, ma le fondazioni tout court. Esiste una assemblea dei fondatori, talvolta un’assemblea generale, talaltra un consiglio di indirizzo che coerentemente riproduce le dinamiche partecipative all’interno dell’ente sottraendosi, però, ai requisiti di democraticità (previsti per l’associazione), nonché al rischio di dover esporre l’ente a pretese di rappresentanza diretta dei soggetti aderenti nell’assemblea46. Il consiglio di indirizzo sarà composto da un membro in rappresentanza di ogni fondatore, eventualmente da un numero prefissato di membri nominati dai fondatori o da eventuali partecipanti istituzionali. Quanto alle attività, a titolo meramente esemplificativo, si occuperà di stabilire le linee generali dell’attività della fondazione in attuazione della mission aziendale e nell’ambito dell’attività e degli scopi cristallizzati nell’atto di fondazione; di approvare il bilancio di previsione e il bilancio consuntivo predisposti dal consiglio di gestione, o consiglio di amministrazione; di approvare, ove lo ritenga opportuno, il regolamento relativo all’organizzazione e funzionamento della Fondazione, predisposto dal consiglio di gestione; (di) nominare il Presidente della Fondazione, i membri del consiglio di gestione e il collegio dei revisori dei conti; (di) individuare i dipartimenti della fondazione e procedere alla nomina dei responsabili, determinandone funzione, natura durata e rapporto; infine di deliberare 46 Cfr., F. Florian, La fondazione di partecipazione: natura giuridica e legittimità, in Fondazioni di partecipazione, Atti del convegno “Le fondazioni di partecipazione” tenutosi a Firenze il 25 novembre 2006, Milano, 2006. 166 BRUNO ACCONCIAIOCO eventuali modifiche statutarie e deliberare in merito allo scioglimento della Fondazione, alla nomina dei liquidatori, e alla devoluzione del patrimonio. Corre l’obbligo di sottolineare che l’estinzione, la trasformazione e la devoluzione dei beni residui non possono essere mai decise dai fondatori o dal consiglio di amministrazione con delibera successiva all’atto di costituzione dell’ente, neanche ove fosse raggiunta l’unanimità dei consensi47. Il consiglio di gestione o di amministrazione si occupa invece di: formulare e definire gli indirizzi dell’attività della fondazione, predisporre ed eseguire i programmi; redigere e approvare (qualora non lo faccia il consiglio di indirizzo) il bilancio preventivo e consuntivo determinando la destinazione degli eventuali avanzi di gestione (in conformità dello statuto); deliberare l’accettazione dei contributi, delle donazioni e dei lasciti, nonché gli acquisti e le alienazione dei beni mobili e immobili; decidere sull’amministrazione e sulla messa a reddito del patrimonio e di ogni altro bene pervenuto alla fondazione. In alcuni statuti vi è la presenza, poi, del Comitato Esecutivo che è organo composto dal Presidente – o per delega, dal Vice Presidente – e da due a sei consiglieri, designati dal Consiglio stesso. Il comitato esecutivo esercita le attribuzioni conferite dal Consiglio di Amministrazione; estrinseca la volontà del consiglio nell’agire concreto dando esecuzione alle delibere del consiglio di amministrazione. Nella maggiori parte degli statuti sono altresì previsti anche organi come il segretario generale. Poche precisazione su questo organo sono d’obbligo alla luce dell’importanza che esso riveste nella strategia di erogazione dei fondi (grantmaking programs) in quanto ha una importanza fondamentale nell’attività di programmazione delle strategie di finanziamento. Il segretario generale viene di norma nominato dal consiglio di amministrazione, su proposta del presidente, e può essere scelto anche tra persone estranee al consiglio di amministrazione stesso e cessa la propria carica, solitamente, quando cessano le funzioni del consiglio di amministrazione. Uno sguardo fugace agli statuti consente di comprendere nel concreto la ripartizione delle competenze48. Nella Fondazione Vodafone Italia, per esempio, il Segretario Generale:“ formula la proposta dei programmi di attività della Fondazione, ne segue lo svolgimento e controlla i risultati; attua le delibere del Consiglio di Amministrazione; redige la proposta di bilancio preventivo e consuntivo. Il Segretario Generale inoltre cura la gestione dei programmi di attività della Fondazione ed è responsabile del buon andamen47 48 G. Ponzanelli, Gli Enti collettivi senza scopo di lucro, cit. Fondazione Vodafone Italia, in www.fondazionevodafone.it Le fondazioni d’impresa 167 to dell’amministrazione; dirige e coordina le attività, gli uffici della Fondazione ed il relativo personale”. Penetranti compiti ed attività reali di gestione sono attribuiti da altri statuti49 ove si legge che il segretario generale: a) dirige e coordina nel quadro dei programmi approvati e con il vincolo di bilancio l’attività della Fondazione e le attività ad essa strumentali; b) partecipa, senza diritto di voto, alle riunioni del Consiglio di Amministrazione, del Comitato Esecutivo, ove costituito, e del Collegio dei Fondatori Partecipanti; c) cura la gestione amministrativa ed economico-contabile; d) è responsabile del personale; e) provvede, in conformità agli indirizzi approvati dal Consiglio di Amministrazione o dal Comitato Esecutivo, all’assunzione del personale e a tutti i provvedimenti relativi ad esso; f) sovrintende alla realizzazione del programma annuale di attività; g) propone al Consiglio di Amministrazione gli eventuali regolamenti di funzionamento; h) propone al Consiglio di Amministrazione o al Comitato Esecutivo i budget per le attività e gli schemi di convenzione per le collaborazioni esterne; j) esercita tutti i poteri eventualmente conferitigli dal Consiglio di Amministrazione. Sempre presente, nella maggior parte degli statuti monitorati, è il collegio dei revisori con funzioni di vigilanza sulla gestione finanziaria della fondazione, controllo della regolarità delle scritture contabili, esame delle proposte di bilancio e con poteri di vigilanza sulla conformità alla legge ed allo Statuto dell’attività della fondazione. Presidente della fondazione e vice presidente sono cariche rappresentative che, oltre a esternare la volontà dell’ente nei rapporti con i terzi non assommano rilevanti poteri gestori e funzioni statutariamente rilevanti. 5. Sulle modifiche alla disciplina dell’impresa sociale Qualche breve cenno, (essendo l’argomento già trattato negli altri contributi) al solo fine di dare conto dell’impianto normativo, alla disciplina dell’impresa sociale che, come si cennava supra (paragrafo secondo), è stata introdotta in Italia dal d.lgs. 24 marzo 2006, n.155 che ha dato attuazione alla legge delega 13 giugno 2005, n. 118. A norma dell’art. 1, primo comma del d.lgs. n. 155 del 2006 “possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile un’attività economica organizzata al fine della produzione o scam49 Art. 16 dello statuto della Fondazione Milan-Onlus, in www.fondazionemilan.org. 168 BRUNO ACCONCIAIOCO bio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4”. Si assimila, quindi, qualsiasi ente lucrativo del V libro del codice civile ad associazioni, fondazioni o altro ente di carattere privato che, subordinatamente al possesso di una organizzazione esercente la produzione o lo scambio di un bene/servizio di utilità sociale, possa permettere di conseguire all’esercente l’attività la “patente” di imprenditore sociale. Come osserva la più attenta dottrina50 non esiste alcuna autorità in grado di attribuire la “patente” di imprenditore. Attualmente è al vaglio una proposta di emendamento al d.lgs. n 155/2006 che vede come primo firmatario l’onorevole Luigi Bobbia e che è stata inserita in un decreto legge51 che afferisce al programma ‘Destinazione Italia’. Qualcosa, obiettivamente, non ha funzionato52. La legge sull’impresa sociale in Italia non ha avuto molto successo: in 5 anni sono nate infatti solamente 600 imprese sociali53. 50 R. Costi, L’impresa sociale: prime annotazioni esegetiche, in Giur. comm. 2006, 6, 860; A.Fici, Impresa sociale, op.cit. 51 Un approfondimento su questo tema è possibile trovarlo su: http://www.rivistaimpresasociale.it/component/k2/item/67-riformare-la-legge-sull-impresasociale-si-puo-fare.html; http://www.rivistaimpresasociale.it/component/k2/item/66cambiare-la-norma-sull-impresa-sociale-una-proposta.html. L’emendamento non è passato ed attualmente la bozza presentata dal governo dovrebbe trasformarsi in un ddl delega. 52 La legge, in buona sostanza, è stata fallimentare. Ad oggi vi sono soltanto 765 imprese sociali su 32 mila potenziali. Come osservato da “Il fatto quotidiano” (http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/27/impresa-sociale-la-riforma-renzi-alla-prova-deifatti-dubbi-sui-controlli/1036540/) la platea delle realtà potenzialmente interessate a diventarlo è di oltre trentaduemila tra cooperative sociali, associazioni, fondazioni ed enti con un’attività commerciale, anche se non prevalente. 53 “La causa principale di questo fallimento è dovuta al fatto che le organizzazioni come Onlus e cooperative sociali, non hanno avuto convenienza ad evolversi in imprese sociali” spiega Davide Zanoni, partner di Avanzi, una società di consulenza sull’innovazione per la sostenibilità. “Inizialmente la proposta doveva essere inserita in un comma del decreto “Destinazione Italia”, ma purtroppo l’emendamento è saltato. Ora verrà iscritto nei lavori della commissione Finanze e attività produttive della camera”, spiega Luigi Bobba, deputato del Partito Democratico. “I tempi previsti per l’esame e l’approvazione sono però di alcuni mesi.” Le fondazioni d’impresa 169 Il testo proposto nel progetto Destinazione Italia proponeva le seguenti modifiche54. 54 Art. 1. Nozione. 1. Acquisiscono la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4. 2. Le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci, associati o partecipi non si considerano imprese sociali. 3. Identico. Art. 2 - Utilità sociale 1. Si considerano beni e servizi di utilità sociale quelli prodotti o scambiati nei seguenti settori: a) assistenza sociale, ai sensi della legge 8 novembre 2000, n. 328, recante legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali; b) assistenza sanitaria, per l’erogazione delle prestazioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 29 novembre 2001, recante «Definizione dei livelli essenziali di assistenza», e successive modificazioni, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell’8 febbraio 2002; c) assistenza socio-sanitaria, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 14 febbraio 2001, recante «Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001; d) educazione, istruzione e formazione, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, recante delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale; e) tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ai sensi della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione, con esclusione delle attività, esercitate abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi; f) valorizzazione del patrimonio culturale, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; g) turismo sociale, di cui all’articolo 7, comma 10, della legge 29 marzo 2001, n. 135, recante riforma della legislazione nazionale del turismo; h) formazione universitaria e post- universitaria; i) ricerca ed erogazione di servizi culturali; l) formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo; m) servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al settanta per cento da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale o da enti senza finalità di lucro. m-bis) commercio equo e solidale; m-ter) servizi al lavoro finalizzati all’inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati di cui all’articolo 2, numero 18), del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008; m-quater) alloggio sociale; m-quinquies) erogazione di microcredito da parte dei soggetti iscritti all’elenco di cui all’articolo 111 del D. Lgs. 385/93 che svolgano in modo prevalente questa attività. L’erogazione di microcredito si considera prevalente quando risulti che almeno il 70% degli impieghi dell’organizzazione esaminata sia destinato a microfinanziamenti, così come definiti dal medesimo articolo 11 del D. Lgs. 385/93. 170 BRUNO ACCONCIAIOCO Le principali innovazioni nel testo modificato riguardano, essenzial2. Indipendentemente dall’esercizio della attività di impresa nei settori di cui al comma 1, acquisiscono la qualifica di imprese sociali le organizzazioni che esercitano attività di impresa, al fine dell’inserimento lavorativo di soggetti che siano: a) lavoratori svantaggiati ai sensi dell’articolo 2, primo paragrafo, lettera f), punti i), ix) e x), del regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione, 5 dicembre 2002, della Commissione relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell’occupazione; b) lavoratori disabili ai sensi dell’articolo 2, primo paragrafo, lettera g), del citato regolamento (CE) n. 2204/2002. b-bis) lavoratori svantaggiati di cui all’articolo 1 del Decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali del 20 marzo 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale N. 153 del 2 Luglio 2013. 3. Identico 4. Identico 5. Identico Art. 3 - Assenza dello scopo di lucro 1. Identico 2. A tale fine, e salvo quanto previsto dai successivi commi 3 e 4, è vietata la distribuzione, anche in forma indiretta, di utili e avanzi di gestione, comunque denominati, nonché fondi e riserve in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori. Si considera distribuzione indiretta di utili: a) la corresponsione agli amministratori di compensi superiori a quelli previsti nelle imprese che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ed, in ogni caso, con un incremento massimo del venti per cento; b) la corresponsione ai lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori a quelli previsti dai contratti o accordi collettivi per le medesime qualifiche, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche professionalità; c) la remunerazione degli strumenti finanziari diversi dalle azioni o quote, a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, superiori di cinque punti percentuali al tasso ufficiale di riferimento. 3. L’impresa sociale costituita nelle forme societarie di cui al libro V del Codice Civile, può destinare una quota degli utili e degli avanzi di gestione ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato, nei limiti delle variazioni dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati, calcolate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) per il periodo corrispondente a quello dell’esercizio sociale in cui gli utili e gli avanzi di gestione sono stati prodotti. 4. L’impresa sociale costituita nelle forme societarie di cui al libro V del Codice Civile può destinare alla distribuzione di dividendi ai soci una quota non superiore al 50% degli utili e degli avanzi di gestione. In ogni caso non possono essere distribuiti dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato. Art. 4 - Struttura proprietaria e disciplina dei gruppi Identico Art. 5 - Costituzione Identico Le fondazioni d’impresa 171 mente: 1) l’obbligatorietà, in luogo della facoltatività, dell’assunzione Art. 6 - Responsabilità patrimoniale Identico Art. 7 - Denominazione Identico Art. 8 - Cariche sociali 1. Identico 2. Possono rivestire cariche sociali soggetti nominati dagli enti di cui all’articolo 4, comma 3, purché non rappresentino la maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione. 3. Identico Art. 9 - Ammissione ed esclusione Identico Art. 10 - Scritture contabili 1. Identico 2. L’impresa sociale deve inoltre redigere e depositare presso il registro delle imprese un bilancio sociale che rappresenti l’osservanza delle sue finalità sociali. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali promuove ed incentiva l’uso di modelli di bilancio sociale elaborati da organizzazioni di rappresentanza o da gruppi di imprese sociali tenendo conto delle diverse dimensioni e delle diverse attività delle imprese sociali. 3. Identico Art. 11 - Organi di controllo Identico Art. 12 - Coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari delle attività Identico Art. 13 - Trasformazione, fusione, scissione e cessione d’azienda e devoluzione del patrimonio 1. Per le organizzazioni che esercitano un’impresa sociale, la trasformazione, la fusione e la scissione devono essere realizzate in modo da preservare l’assenza di scopo di lucro di cui all’articolo 3 dei soggetti risultanti dagli atti posti in essere e devono essere realizzate in modo da preservare il perseguimento delle finalità di interesse generale di cui all’articolo 2; la cessione d’azienda deve essere realizzata in modo da preservare il perseguimento delle finalità di interesse generale di cui all’articolo 2 da parte del cessionario. Per gli enti di cui all’articolo 1, comma 3, la disposizione di cui al presente comma si applica limitatamente alle attività indicate nel regolamento. 2. Identico 3. Salvo quanto previsto in tema di cooperative, in caso di cessazione dell’impresa, il patrimonio residuo è devoluto ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni, comitati, fondazioni, imprese sociali di cui al presente decreto ed enti ecclesiastici, secondo le norme statutarie. La disposizione di cui al presente comma non si applica agli enti di cui all’articolo 1, comma 3. 4. Identico 5. Identico 6. Identico Art. 14 - Lavoro nell'impresa sociale 172 BRUNO ACCONCIAIOCO dello status di impresa sociale; 2) un copioso allargamento dei settori in cui le imprese sociali possono svolgere le loro attività; 3) la possibilità per le imprese sociali costituite in forma societaria di remunerare il capitale, eliminando di conseguenza l’ostacolo costituito dal “non distribution constraint55”;4) il riconoscimento delle cooperative sociali come imprese sociali di diritto; 5) semplificazione fiscale attuata attraverso il riconoscimento della natura di Onlus di diritto, ed il conseguente regime fiscale, a tutte le organizzazioni che adottano la qualifica di imprese sociali a prescindere dalla forma giuridica; 6) la semplificazione delle modalità di formazione e presentazione del bilancio. Identico Art. 15 - Procedure concorsuali Identico Art. 16 - Funzioni di monitoraggio e ricerca Identico Art. 17 - Norme di coordinamento 1. All’articolo 10, comma 8, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, dopo le parole “100% da cooperative sociali” sono inserite le seguenti “nonché le imprese sociali di cui al decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155”. Nel testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, all’articolo 111-ter (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale) dopo le parole “ad eccezione delle società cooperative” sono inserite le seguenti “e delle società che abbiano acquisito la qualifica di imprese sociali”. 2. Identico 3. Le cooperative sociali ed i loro consorzi di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, si considerano in ogni caso imprese sociali. 4. Identico 4-bis). Agli investimenti effettuati nel capitale delle imprese sociali costituite in forma societaria successivamente all’entrata in vigore della presente legge, si applicano le agevolazioni fiscali di cui all’articolo 29 comma 7 del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221. 4-ter). All’articolo 10, comma 8, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, dopo le parole “100% da cooperative sociali” sono inserite le seguenti “nonché le imprese sociali di cui al decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155”. Nel testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, all’articolo 111-ter (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale) dopo le parole “ad eccezione delle società cooperative” sono inserite le seguenti “e delle società che abbiano acquisito la qualifica di imprese sociali”. 4-quater). Il comma 1 dell’articolo 17 del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155, è abrogato. 55 Questa la vera novità che dirotterebbe investimenti verso il mondo dell’imprenditoria sociale, ma fornirebbe il destro a pericolose commistioni tra profit e no profit. Le fondazioni d’impresa 173 Non resta che attendere quali di queste modifiche verranno accolte al fine di confezionare un contenitore nuovo, e si spera più adatto, per l’impresa sociale. 6. Conclusioni Il modello fondazionale alla prova dei fatti sembra reggere, nonostante gli anni e l’archetipo normativo (ma diremmo a causa), al giudizio del tempo. Ma è pure sempre un istituto che non potrà da solo sempre rispondere a tutte le istanze e le esigenze degli scambi economici nell’economia capitalista e post-capitalista. È però strumento assai duttile, e utile, per assecondare e giuridicizzare le istanze provenienti dal sociale. La socialità dell’impresa, con le frequenti commistioni tra profit e no profit, crea non pochi problemi che attualmente anche la proposta di modifica alla disciplina dell’impresa sociale lascia, purtroppo, irrisolti. C’e’ più denaro (inteso come profitto) nel terzo settore di quanto non se ne trovi negli altri due. Ecco che la distribuzione degli utili nell’impresa sociale può essere considerata come benvenuta sempre che funzionino opportunamente gli strumenti di controllo, peraltro tuttora pressoché assenti. Il pericolo che l’impresa sociale finisca nelle mani di soci for profit o pubblici può essere, per esempio, evitato imponendo che i loro rappresentanti non costituiscano la maggioranza dei consiglieri56. Non avendo intenzione di professare una critica generalizzata al no profit57, ma avendo bene in mente i limiti e i pericoli di un settore in cui l’impresa sociale deve muoversi tra ossimoro e tautologia58, la parola passa, ancora una volta, al legislatore che dovrà sapientemente ristrutturare un settore così importante nella vita dell’uomo equamente contemperando libertà e regole. 56 In questo senso C. Borzaga, Impresa sociale 2.0, ecco la strada, in http://www.vita.it/ultimenotizie/impresa-sociale-2-0.html. 57 Un’opinione interessante sul tema la fornisce G. Moro, Contro il non profit, Bari, 2014. 58 L’espressione appartiene a M. Musella, Riformare la legge sull’impresa sociale si può fare, in http://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/item/67-riformare-la-legge-sull-impresasociale-si-puo-fare.html. Le fondazioni culturali: prospettive e problemi Alessandra Angiuli SOMMARIO: 1. Delimitazione del campo d’indagine. 2. Evoluzione storico-normativa e ruolo delle fondazioni culturali. 3. Le fondazioni di partecipazione. 4. Problematiche relative all’utilizzo dello strumento fondazionale (e, in termini ampi, della sussidiarietà orizzontale) nella valorizzazione dei beni culturali. 1. Delimitazione del campo d’indagine Il presente contributo mira ad inquadrare l’attuale stato dell’arte in materia di fondazioni culturali, con l’obiettivo di individuare le prospettive future di enti privati, senza scopo di lucro, che assumono, ai sensi dell’art. 2 Cost., la connotazione di strumenti della sussidiarietà orizzontale, che potranno adeguatamente operare solo quando saranno effettivi gli strumenti della sussidiarietà verticale e tenuto conto dei profili di criticità. Ai fini classificatori, appare opportuno delimitare l’ambito dell’indagine, precisando che quella delle fondazioni culturali non può considerarsi una “categoria”, atteso che trattasi di fenomeni autonomi e differenziati tra loro, unificati sotto il profilo teleologico, ossia dello scopo che tali enti perseguono, che deve attenere ad espressioni della cultura, intese nel senso più ampio possibile. Tra di esse, sicuramente vanno annoverate le fondazioni derivanti dalla trasformazione degli enti lirici1 – nonostante i dubbi, recentemente confermati dall’interpretazione della giurisprudenza2, sulla loro natura sostan1 V. Cerulli Irelli, Le fondazioni lirico-sinfoniche come organizzazioni pubbliche in forma privatistica, in Aedon, Rivista di arte e diritto on line, 2012, 3. 2 Corte Cost., 21 aprile 2011, n. 153, in Giur. Cost., 2001, 1925, che ha disposto che “la dimensione unitaria dell’interesse pubblico perseguito, nonché il riconoscimento della "missione" di tutela dei valori costituzionalmente protetti dello sviluppo della cultura e della salvaguardia del patrimonio storico e artistico italiano, confermano, sul versante operativo, che le attività svolte dalle fondazioni lirico-sinfoniche sono riferibili allo Stato ed impongono, dunque, che sia il legislatore statale, legittimato dall’art. 117, comma 2, lett. g), cost., a ridisegnarne il quadro ordinamentale e l’impianto organizzativo, nonché dall’art. 117, comma 2, lett. l), cost., essendo le dette fondazioni munite di personalità giuridica di diritto privato pur svolgendo funzioni di sicuro rilevo pubblicistico, e risultando quindi coinvolta anche la competenza statale in materia di ordinamento civile”; al riguardo, cfr. Santonastaso, “Riorganizzazione legislativa delle fondazioni nel settore lirico-sinfonico e qualificazione pubblicistica. 176 ALESSANDRA ANGIULI ziale privatistica o pubblicistica – le fondazioni che svolgono attività culturali connesse alla tutela e valorizzazione dei beni costituenti patrimonio storico-artistico nazionale, mentre appare dubbia la collocazione nel novero delle fondazioni culturali delle fondazioni ex bancarie, che nonostante rivolgano la maggior parte delle proprie erogazioni al settore culturale, in ragione del nesso funzionale che ancora le lega al settore bancario, non possono ancora essere senza alcun dubbio considerate rientrare nella categoria in esame, anche se la giurisprudenza ha definitivamente chiarito ogni dubbio in ordine alla loro qualificazione come enti non profit3. Le fondazioni culturali in senso stretto sono, dunque, proprio quelle nelle quali “la finalità culturale costituisce l’imprescindibile requisito della loro utilità sociale”4 . Al di là degli sforzi definitori, che possono comportare la settorializzazione dell’ambito di indagine, sotto i profili patrimoniale, personale, teleologico e del finanziamento tali fondazioni costituiscono una peculiarità rispetto al modello codicistico. Nella tradizionale sistematica del codice civile, peraltro rimasta immutata fino all’attualità, nonostante i molteplici tentativi di riforma del I libro del codice civile, gli artt. 14 ss. descrivevano una tipologia di fondazione c.d. “erogatrice”, ossia un ente dotato di ingente patrimonio, costituito da un unico fondatore, per atto tra vivi o mortis causa, al fine della mera gestione patrimoniale e dell’erogazione di premi, borse di studio o rendite a soggetti meritevoli. Verso una tecnica legislativa delle privatizzazioni non più affidata alla sola "magia delle parole"?”, in Giur. Cost., 2011, 3251. 3 Cfr. Corte Cost., 29 settembre 2003, nn. 300 e 301, in Giur. Comm., 2004, II, 477, con nota di Lomonaco, che ha precisato che le fondazioni bancarie sono soggetti privati, non equiparabili alle pubbliche Amministrazioni e non configurabili come organismi di diritto pubblico e non tenute, nello svolgimento della loro attività, a rispettare le procedure di evidenza pubblica previste per le p.A. o per i soggetti equiparati. Cfr., per la precedente teoria secondo la quale le fondazioni bancarie sono da qualificare come organismi di diritto pubblico, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 31 luglio 2007, n. 7283, in Foro Amm. T.A.R., 2007, 7-8, I, 2430, con nota di Dipace; T.A.R. Emilia Romagna, 6 ottobre 2009, n. 1757. Al riguardo, poi, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 marzo 2010, n. 1255, in Foro Amm. C.d.S., 2010, 3, 649, che richiama l’art. 1, co. 10-ter del d.l. n. 162 del 23 ottobre 2008, comma inserito dalla legge di conversione 22 dicembre 2008, n. 201, secondo il quale le fondazioni bancarie non rientrano tra gli organismi di diritto pubblico se non usufruiscono di finanziamenti pubblici o di altri ausili di carattere finanziario. Cfr., inoltre, Tanzi, Sulle c.d. fondazioni bancarie: alcune considerazioni critiche, in Banca borsa, 2013, 257. 4 Così S. Amorosino, Le fondazioni culturali “di origine” o “a vocazione” politica, in Riv. Arti e Diritto on line, www.aedon.mulino.it, 2,2010, che richiama F. Galgano, voce Fondazione – I Diritto Civile, in Enc. Giur., vol. XIV, Roma, 1989. Le fondazioni culturali: prospettive e problemi 177 La fondazione “culturale” nasce, invece, sin dall’origine come ente provvisto di un patrimonio minimo (“che risulti adeguato alla realizzazione dello scopo”5 se si tratta di ente che intenda operare come fondazione riconosciuta), che non eroga premi, borse di studio o rendite, ma svolge iniziative e attività culturali e, soprattutto, per il suo funzionamento attinge a finanziamenti pubblici. Il procedimento amministrativo di concessione del finanziamento pubblico trova il suo fondamento normativo nella legge 17 ottobre 1996, n. 5346, che prevede il necessario preventivo riconoscimento della qualità di istituzione culturale e la conseguente iscrizione degli enti che ambiscono al finanziamento nella “tabella” delle istituzioni culturali7, 5 In tali termini dispone l’art. 1 del Decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, “Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto”. 6 Legge 17 ottobre 1996, n. 534, “Nuove norme per l’erogazione di contributi statali alle istituzioni culturali”. L’art. 8 di tale disposizione normativa prevede che “il Ministro può erogare contributi annuali alle istituzioni culturali (…), le quali: a) svolgano la loro attività da almeno un triennio; b) prestino rilevanti servizi in campo culturale; c) promuovano e svolgano attività di ricerca, di organizzazione culturale e di produzione editoriale a carattere scientifico; d) svolgano la propria attività sulla base di un programma almeno triennale e dispongano di attrezzature idonee per la sua realizzazione”. Le regole per l’ammissione ai contributi statali sono contenute nella Circolare del Ministero per i Beni e le Attività Culturali 27 dicembre 2012, n. 107 (che sostituisce il precedente art. 4 della Circolare n. 16 del 4 febbraio 2002), rubricata “Nuove norme per l’erogazione di contributi statali alle istituzioni culturali”. In particolare, il contributo è concesso sulla base di una valutazione comparativa delle domande di finanziamento presentate, che tenga conto dei seguenti criteri (art. 5 della Circolare): “a) ampiezza e tipologia dei servizi offerti con particolare attenzione all’attività di promozione, divulgazione e valorizzazione; b) riconosciuto valore scientifico dell’attività pubblicistica svolta con carattere di continuità; c) partecipazione a progetti di ricerca con altri enti ed istituti, pubblici o privati, nazionali ed internazionali avvalendosi di proprie e idonee attrezzature e di una sede adeguata agli scopi istituzionali”. 7 Gli artt. 1 e 2 della l. n. 534/1996 subordinano l’ammissione al contributo ordinario dello Stato all’inserimento delle istituzioni culturali in un’apposita tabella, alla quale possono accedere, previa domanda, dimostrando il possesso dei seguenti requisiti: “a) essere state istituite con legge dello Stato e svolgere compiti stabiliti dalla stessa legge, oppure essere in possesso della personalità giuridica; b) non avere fine di lucro; c) promuovere e svolgere in modo continuativo attività di ricerca e di elaborazione culturale documentata e fruibile, volta all’ampliamento delle conoscenze e realizzata anche attraverso seminari permanenti, gruppi di studio, corsi, concorsi, attribuzione di borse di studio e attività programmate di diffusione culturale anche mediante collegamenti con istituzioni di ricerca di altri Stati; d) disporre di un rilevante patrimonio bibliografico, archivistico, museale, cinematografico, musicale, audiovisivo, qualunque sia il supporto utilizzato, pubblicamente fruibile in forma continuativa; e) svolgere e fornire servizi, di accertato e rilevante valore culturale, collegati all’attività di ricerca e al patrimonio documentario; f) sviluppare attività di catalogazione e applicazioni informatiche finalizzate alla costruzione di basi di dati e di immagini che costituiscano strumenti 178 ALESSANDRA ANGIULI al fine di ricevere i contributi ordinari dello Stato. Un altro “canale” di finanziamento di tali istituzioni è costituito dalla partecipazione a bandi pubblici nazionali o su base regionale, mediante procedure di evidenza pubblica di selezione delle istituzioni meritevoli. La procedura appena descritta attiene alla concessione di finanziamenti pubblici; le fondazioni culturali, inoltre, se intendano operare come enti riconosciuti, ai sensi della disciplina introdotta con la riforma del sistema del riconoscimento delle persone giuridiche private non lucrative8, devono attivare un meccanismo “semi automatico” di riconoscimento, mediante il silenzio-assenso, che si perfeziona decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda di iscrizione nel registro delle persone giuridiche. Con riguardo, tuttavia, agli enti di rilevanza culturale, appare opportuno sottolineare che la previsione dell’art. 1, co. 10° del d.p.r. n. 361/2000 dispone che con decreto del Ministero dei Beni Culturali, sentito il Ministero dell’Interno, sono indicati i casi in cui il riconoscimento è subordinato al parere preventivo del medesimo Ministero dei Beni Culturali. Tale decreto è stato in effetti emanato, al fine di individuare casi e requisiti9. Il sistema a grandi linee sinora descritto costituisce un tentativo di “procedimentalizzare” il regime del riconoscimento della personalità giuridica delle fondazioni che vogliano assumere la connotazione di “culturale” e che ambiscano a reperire finanziamenti pubblici per la loro attività; ai fini operativi, si tratta di un sistema che offre maggiori garanzie di svolgisignificativi per le attività di programmazione dei Ministeri competenti nei settori dei beni culturali e della ricerca scientifica; g) organizzare convegni, mostre e altre manifestazioni di valore scientifico e culturale, in relazione all’attività di ricerca svolta dall’istituzione; h) svolgere l’attività sulla base di un programma almeno triennale; i) svolgere un’attività editoriale o comunque di promozione di pubblicazioni conforme ai propri fini istituzionali; l) documentare l’attività svolta nel triennio precedente la richiesta di contributo nonché presentare i relativi conti consuntivi annuali approvati dagli organi statutari competenti; m) presentare il programma di attività per il triennio successivo; n) disporre di una sede adeguata e delle attrezzature idonee per lo svolgimento delle proprie attività”. Il Ministero svolge, inoltre, attività di vigilanza sulla verifica dell’effettività degli scopi perseguiti. 8 Trattasi del citato D.P.R. n. 361/2000. 9 Decreto del Ministro per i Beni e le Attività Culturali 7 maggio 2002, “Individuazione dei casi in cui il riconoscimento delle persone giuridiche che operano nelle materie di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali è subordinato a preventivo parere, ai sensi dell’art. 1, comma 10, del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361”. L’art. 2 di tale D.P.R. individua i requisiti che devono possedere le istituzioni culturali, richiedendo che l’ente “a) svolga attività continuativa di ricerca ed elaborazione culturale nelle materie di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali e/o sia detentore a qualsiasi titolo di archivi, di biblioteche o di raccolte di opere di interesse culturale, fruibili dal pubblico; b) abbia un patrimonio adeguato alla realizzazione dello scopo”. Le fondazioni culturali: prospettive e problemi 179 mento delle attività statutarie e del perseguimento degli scopi statutari e culturali. Il ruolo “sociale” che le fondazioni culturali possono assumere può essere espletato in attuazione delle previsioni dell’art. 2 della Costituzione, che tutela le formazioni sociali, in combinato disposto con il Titolo V della Costituzione, come riformato nel 2001. Le fondazioni culturali, infatti, si sono inserite nel processo di trasformazione della pubblica Amministrazione che è pervenuto alla revisione costituzionale del Titolo V della Costituzione10, che – con riferimento ai beni ed alle attività culturali ed unitamente ad altre riforme inaugurate da leggi ordinarie11 – ha condotto all’individuazione di due macroaree12, tutela da una parte e valorizzazione dall’altra, la prima ascritta alle competenze statali e la seconda affidata alla cooperazione tra Regioni ed Enti locali, con riserva allo Stato della determinazione dei principi fondamentali. Ed è proprio nella seconda delle aree individuate, quella della valorizzazione, che si può collocare l’intervento delle fondazioni culturali. A livello definitorio, infatti, è opportuno precisare che il bene culturale costituisce oggetto dell’interesse del giurista nella sua dimensione immateriale, in quanto quella materiale (il bene nella sua fisicità) può essere oggetto di proprietà pubblica o privata, mentre la dimensione immateriale comporta la pubblicità del regime del bene, a prescindere dalla proprietà pubblica o privata sottostante. Solo l’utilizzo del predetto angolo prospettico consente di dare un giusto peso e valore alla valorizzazione, che non ha nulla a che fare con la conservazione materiale, ma che inerisce invece a tutto quel che concerne il bene immateriale. 10 Ad opera della l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” e l. cost. 5 giugno 2003, n. 131, “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3”. 11 Il riferimento principale è al d.lgs. n. 112/1998, che per primo aveva distinto le funzioni della tutela da quella della valorizzazione, pervero introducendo altresì il concetto di gestione, poi eliminato nelle successive normative, tra cui il citato Codice dei Beni Culturali. La giurisprudenza ha ritenuto, al riguardo, che il concetto di gestione si collega sia alla tutela che alla valorizzazione, in relazione alla funzione concretamente esercitabile: cfr. Corte Cost., 12 febbraio 2004, n. 64, in Giur. Cost., 2004, 1, su cui cfr. Barbato, La valorizzazione del patrimonio culturale, in Riv. Arti e diritto online, www.aedon.mulino.it, n. 1/2004. 12 Cfr. art. 117, co. 2°, lett. s), Cost. 180 ALESSANDRA ANGIULI 2. Evoluzione storico-normativa e ruolo delle fondazioni culturali Il tema si intreccia, infatti, con quello della sussidiarietà, principio di origine comunitaria13, ma preso in considerazione dalla legislazione italiana14 anche prima della riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, nella sua doppia accezione “orizzontale” e “verticale”; quella verticale inerisce al rapporto tra Stato ed enti più vicini al cittadino, che assurgono al ruolo di interlocutori principali, destinatari delle istanze e propulsori delle iniziative, mentre quella orizzontale, oramai “costituzionalizzata” nell’art. 118, co. 4°, della Costituzione, consente ai cittadini, singolarmente o in gruppi, di contribuire allo svolgimento di attività di interesse pubblico e/o generale, ma incontra limiti sostanziali nella riserva allo Stato della tutela dei beni culturali. Nell’ambito di tale processo, l’utilizzazione di strumenti privatistici per l’attività di gestione ha investito anche il patrimonio culturale, che riveste una peculiare importanza e connotazione nel nostro Paese15 e nel quale, data la tradizionale scarsità di risorse pubbliche, il legislatore cerca di attrarre capitali privati. Mentre la tutela del bene culturale, ai sensi dell’art. 9 Cost., deve necessariamente essere assicurata dallo Stato, il che comprende anche la necessità che il bene culturale rimanga oggetto di fruizione diffusa e che non vi siano discriminazioni in ordine a tale fruizione, il ruolo dei privati è riservato alla valorizzazione, in ossequio alle disposizioni del Codice dei Beni Culturali16. La prima normativa di riferimento al riguardo fu costituita dalla c.d. “legge Ronchey”17, che consentiva ai musei ed agli istituti culturali di coinvolgere soggetti privati per la gestione di servizi “aggiuntivi” 18 , come 13 Sul punto, cfr. A. D’Atena, Il principio di sussidiarietà nella Costituzione italiana, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1997, 603. 14 Si cfr., infatti, art. 4 l. 15 marzo 1997, n. 59; art. 3, co. 5° T.U. leggi ord. EE. LL. 18 agosto 2000, n. 267; l. 24 novembre 2000, n. 340; l. 21 luglio 2000, n. 205. 15 M. Ainis - M. Fiorillo,I beni culturali, in Cassese (a cura di), Tratt. Dir. Amm., Diritto amministrativo speciale, t. II, 2a ed., Milano, 2003, 1485 ss.; G. Fidone, Il ruolo dei privati nella valorizzazione dei beni culturali: dalle sponsorizzazioni alle forme di gestione, in Aedon, Rivista di arti e diritto on line, www.aedon.mulino.it, 2012, n. 1-2. 16 Cfr. art. 6, comma 3° del Codice dei Beni Culturali (d.lgs. n. 22/2004). Sul punto, cfr. Casini, La valorizzazione dei beni culturali, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 2001, 678. 17 D.L. 14 novembre 1992, n. 433, convertito, con modificazioni, in l. 14 gennaio 1993, n. 4, “Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali”. 18 L’art. 4 del citato d.l. n. 433/1992, nel testo modificato dalla legge di conversione, recita, al co. 1°: “Presso gli istituti di cui all’art. 3 sono istituiti i seguenti servizi aggiuntivi, offerti al pubblico a pagamento: a) servizio editoriale e di vendita riguardante le riproduzioni Le fondazioni culturali: prospettive e problemi 181 l’assistenza ed ospitalità al pubblico, i servizi editoriali, la vendita di riproduzioni di beni culturali, la realizzazione di materiale informativo, servizi di caffetteria, guardaroba. Seguì un intervento normativo successivo19, che mirava ad ampliare l’ambito dei servizi affidabili a privati, precisando espressamente che i soggetti da coinvolgere fossero fondazioni culturali, bancarie, società o consorzi appositamente costituiti. Gli interventi descritti erano, tuttavia, ritenuti residuali, atteso che avrebbero potuto essere attuati soltanto in caso di convenienza finanziaria e carenza di risorse proprie dell’amministrazione. Con l’emanazione del T.U. sui beni culturali e ambientali20, gli interventi normativi su citati sono ivi confluiti, in particolare negli artt. 112 e 113, che consentivano l’affidamento dei servizi “aggiuntivi” in concessione a privati, solo quando risultasse “finanziariamente conveniente” e quando non fosse possibile assicurarli con le risorse proprie dell’amministrazione. La prima normativa che, tuttavia, coinvolgeva effettivamente enti privati nella gestione di beni culturali fu costituita dal d.lgs. n. 368/199821, il cui art. 10 consentiva al Ministero di concludere accordi con soggetti privati o costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni o società per la gestione dei servizi afferenti beni e attività culturali. Tale norma, modifica- di beni culturali e la realizzazione di cataloghi ed altro materiale informativo; a-bis) servizi riguardanti i beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito nell’ambito del prestito bibliotecario; b) servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba e di vendita di altri beni correlati all’informazione museale”. 19 Trattasi del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, “Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l’occupazione nelle aree depresse”, convertito, con modificazioni, dalla l. 23 febbraio 1995, n. 85, e successivamente integrato dalla l. 8 ottobre 1997, n. 352. In particolare, l’art. 47-quater del d.l. n. 41/95, al co. 2°, prevedeva che “i servizi affidabili in gestione ai sensi del comma 1 sono quelli indicati dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge 14 novembre 1992, n. 433, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1993, n. 4, nonchè quelli di accoglienza, di informazione, di guida e assistenza didattica e di fornitura di sussidi catalografici, audiovisivi ed informatici, di utilizzazione commerciale delle riproduzioni, di gestione dei punti vendita, dei centri di incontro e di ristoro, delle diapoteche, delle raccolte discografiche e biblioteche museali, dei servizi di pulizia, di vigilanza, di gestione dei biglietti di ingresso, dell’organizzazione delle mostre e delle altre iniziative promozionali, utili alla migliore valorizzazione del patrimonio culturale ed alla diffusione della conoscenza dello stesso”. Tale articolo è stato poi abrogato dall’art. 166, co. 1°, del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490. Le modalità di istituzione e gestione dei servizi aggiuntivi erano disciplinate da un Regolamento ministeriale, emanato con D.M. 24 marzo 1997, n. 139. 20 D.lgs. n. 490/1999, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352. 21 D.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368, “Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”. 182 ALESSANDRA ANGIULI ta e integrata nel corso degli anni22, è stata definitivamente abrogata, senza aver ricevuto adeguata attuazione, nel 2006. In applicazione di una delega legislativa, con il d.lgs. n. 42/2004, è stato emanato il c.d. “Codice dei beni culturali”, che dedica alla valorizzazione gli artt. 111-121 e vi coinvolge attivamente i soggetti privati, definendo la valorizzazione come attività “socialmente utile” e riconoscendone “la finalità di solidarietà sociale”23. Il Codice prende, ancora una volta, in considerazione i servizi “aggiuntivi”, all’art. 117, ricalcando le precedenti normative sull’affidamento in concessione a soggetti privati, anche non lucrativi, ma non limita il coinvolgimento dei privati a tali attività residuali, consentendo loro di partecipare attivamente alla valorizzazione. Gli obiettivi di tale attività possono essere definiti mediante accordi di valorizzazione, stipulati tra Stato ed Enti territoriali, che possono avere ad oggetto i “piani strategici di sviluppo culturale”, che potrebbero a loro volta essere elaborati da “appositi soggetti giuridici” costituiti dallo Stato o da altri enti pubblici24, tra cui – come meglio si vedrà nel paragrafo precedente – possono essere annoverate le fondazioni culturali25, ed in particolare le fondazioni di partecipazione. All’art. 115 del Codice dei Beni Culturali – peraltro più volte modificato – sono disciplinate le forme di gestione dei beni culturali ad iniziativa pubblica, con il coinvolgimento di soggetti privati. Tale norma consente la gestione in forma indiretta delle attività di valorizzazione dei beni culturali, mediante differenti modelli (associazione, consorzio, società di capitali, fondazioni), tutti costituiti o partecipati 22 In primo luogo, l’art. 4, co. 6°, l. 29 dicembre 2000, n. 400, che demandava l’attuazione dell’art. 10 ad un regolamento, poi effettivamente emanato con D.M. 27 novembre 2001, n. 491. Successivamente, l’art. 33 della l. 28 dicembre 2001, n. 448, che introduceva la lettera b-bis) all’art. 10, consentendo al Ministero la facoltà di dare in concessione a soggetti privati la gestione di servizi finalizzati al miglioramento della fruizione pubblica e della valorizzazione dei beni culturali. Tale previsione fu, poi, limitata nella sua sfera applicativa dal successivo art. 80, co. 52° della l. n. 289/2002, che ne riservò l’applicazione ai soli beni culturali di interesse e rilevanza nazionali, sulla base di un intervento del Consiglio di Stato (parere 26 agosto 2002, n. 1794/2002). 23 Art. 111, co. 4°, D.lgs. n 42 del 24 febbraio 2004. 24 Art. 112, co. 4° e 5°, D.lgs. n. 42 del 24 febbraio 2004. 25 La medesima norma dell’art. 112 del D.lgs. n. 42/2004 richiede, infatti, che ai soggetti giuridici costituiti ai sensi del precedente comma 5° possano partecipare persone giuridiche private, “a condizione che l’intervento in tale settore di attività sia per esse previsto dalla legge o dallo statuto”. Si possono, quindi, prendere subito in considerazione, oltre alle fondazioni culturali, anche le fondazioni bancarie, che nel settore di attività “arte e beni culturali” normalmente rivolgono la maggior parte delle erogazioni e delle attività. Le fondazioni culturali: prospettive e problemi 183 dall’amministrazione pubblica proprietaria dei beni da gestire26. Tra tali modelli, la fondazione appare quello maggiormente versatile e funzionale alle esigenze pubbliche coinvolte, oltre ad essere lo strumento sul quale il legislatore è più volte intervenuto. Il D.M. n. 491/2001, infatti, aveva – già prima rispetto all’emanazione del Codice dei Beni Culturali – attribuito alla fondazione culturale poteri di gestione, tra cui anche l’adozione di atti a contenuto generale con i quali sono individuate le modalità di partecipazione di soggetti privati, i requisiti soggettivi dei membri degli organi, le cause di incompatibilità, i parametri di gestione. Il patrimonio della fondazione, totalmente vincolato al perseguimento dello scopo, è costituito da beni (mobili o immobili) in proprietà, diritti di uso su beni immobili o mobili di proprietà statale, donazioni ed erogazioni di qualsiasi genere, anche provenienti da privati. La vigilanza sulle fondazioni è esercitata dal Ministero, che approva le modifiche statutarie, esercita ispezioni e verifiche, può annullare atti, sospendere gli organi e nominare commissari, revocare la concessione d’uso dei beni culturali conferiti, disporre l’estinzione della fondazione. 3. Le fondazioni di partecipazione Nel settore culturale, un modello peculiare di fondazione, che potrebbe trovare ampio spazio nell’esperienza concreta e che corrisponde allo schema delle “nuove” fondazioni culturali, è costituito dalla fondazione di partecipazione. Trattasi di un ente che della fondazione codicistica conserva soltanto la struttura costitutiva e gli elementi essenziali, ai quali è aggiunto l’elemento personale, atteso che – a fronte dei fondatori originari – la fondazione è aperta alla partecipazione, anche successiva, di persone fisiche e giuridiche che conferiscano denaro, beni materiali o immateriali, professionalità, servizi27. Per tale motivo, la fondazione di partecipazione può essere costituita anche con un patrimonio minimo iniziale, che sarà incrementato successi26 Il co. 3° dell’art. 115 del D.lgs. n. 42/2004 prevede che “la gestione indiretta è attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, da parte delle amministrazioni cui i beni appartengono o dei soggetti giuridici costituiti ai sensi dell’art. 112, comma 5, qualora siano conferitari dei beni ai sensi del comma 7, mediante procedure di evidenza pubblica, sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti”. 27 A. Sartore, Le fondazioni culturali e le società a partecipazione statale, in www.sspa.it. 184 ALESSANDRA ANGIULI vamente; si potrebbe addirittura sostenere che il patrimonio si formi progressivamente in virtù delle successive partecipazioni alla fondazione. Tale figura fondazionale, peraltro, può essere riconosciuta, rientrando comunque tra le “altre istituzioni di carattere privato” di cui al D.P.R. n. 361/2001. Ed è proprio il modello della fondazione di partecipazione che può meglio conformarsi alle esigenze rappresentate dal legislatore che ha consentito allo Stato ed agli enti pubblici territoriali di creare “appositi soggetti giuridici” cui affidare l’elaborazione e lo sviluppo dei piani strategici di sviluppo culturale, previsti dall’art. 112, co. 4° e 5° del Codice dei beni culturali, ai quali si è fatto riferimento nel paragrafo precedente. Tra i possibili partecipanti a tale fondazione, infatti, possono esservi enti pubblici territoriali o soggetti privati, anche lucrativi, nella veste di finanziatori. Anche gli organi sociali possono essere variamente composti, potendo essere previsti dall’atto costitutivo o dallo statuto ulteriori organi rispetto a quello assembleare e amministrativo, come il Collegio dei Revisori, il Comitato Scientifico, ecc. Il “modello” genericamente descritto della fondazione di partecipazione ha trovato un riconoscimento normativo nel regolamento recante norme sul riconoscimento delle fondazioni liriche28, che prevede che debbano essere distinti gli organi di indirizzo dagli organi di gestione e da quelli di controllo; che negli organi di indirizzo siano rappresentati i soci fondatori di diritto nonché i soci fondatori privati, in proporzione agli apporti finanziari alla gestione o al patrimonio della fondazione. È, inoltre, prevista l’approvazione ministeriale dei programmi di attività, conferendosi ampi poteri di vigilanza da parte del ministero per i Beni e le attività culturali. In materia di personale, inoltre, è previsto che la fondazione abbia facoltà di contrattare con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative un autonomo contratto di lavoro, ciò che indubbiamente costituisce una significativa manifestazione dell'autonomia dell’ente29. 28 Il regolamento è stato emanato con D.P.R. 19 maggio 2011, n. 117. V. Cerulli Irelli, Le fondazioni lirico-sinfoniche come organizzazioni pubbliche in forma privatistica, cit. 29 Le fondazioni culturali: prospettive e problemi 185 4. Problematiche relative all’utilizzo dello strumento fondazionale (e, in temini ampi, della sussidiarietà orizzontale) nella valorizzazione dei beni culturali Allo stato, nonostante se ne stia parlando ormai da un paio di decenni, e nonostante il Codice dei Beni Culturali sia del 2004, non si può ancora ritenere attuato un sistema che nelle intenzioni del legislatore avrebbe voluto conferire un ruolo fondamentale, cruciale, all’intervento delle fondazioni culturali per la valorizzazione dei beni culturali. Le ragioni vanno cercate nella diffidenza che storicamente si è maturata nei confronti degli organismi privati che, secondo l’opinione comune, perseguono l’interesse privato, in un settore per il quale – a differenza di quanto avvenuto per l’ambiente naturale – il concetto di sviluppo sostenibile non ha ancora fatto breccia30. Proprio in quanto soggetti privati che perseguono l’interesse generale, il legislatore ha cercato di “facilitare” tali enti nell’affidamento della gestione dei beni culturali ai fini della valorizzazione, spesso rischiando di porsi in contrasto con i principi comunitari della concorrenza e della parità tra i partecipanti alle gare. L’attuale sistema, quindi, come anche interpretato dalla giurisprudenza, consente di ritenere che i servizi “aggiuntivi” costituiscono una modalità, un completamento della fruizione del bene culturale e che l’amministrazione proprietaria del bene, ammettendo il pubblico alla sua fruizione, eroga agli utenti un servizio, non diverso da altri servizi pubblici, come l’istruzione31. Se l’amministrazione proprietaria si determina, quindi, a trasferire tale pubblico servizio all’esterno, attua una concessione di pubblico servizio, che – tuttavia – potrebbe assumere la connotazione di appalto pubblico di servizi32. La distinzione assume rilevanza in primo luogo in merito al rapporto tra soggetto pubblico e soggetto privato, che nel primo caso è regolato da un atto amministrativo unilaterale, pur se unito ad un disciplinare dei rapporti, e nel secondo da un vero contratto di diritto privato; in secondo luogo in relazione al riparto di giurisdizione, che è attribuito alla 30 L. Covatta, Introduzione a: I beni culturali tra tutela, mercato e territorio, in Aedon, Rivista di arti e diritto on line, www.aedon.mulino.it, 2012, n. 1-2. 31 Cass., Sez. Un., 27 maggio 2009, n. 12252. 32 Tale ricostruzione era stata sostenuta fino all’entrata in vigore del Codice dei Beni Culturali: cfr. Cons. Stato, Sez. V, 8 novembre 1995, n. 1532, i. 186 ALESSANDRA ANGIULI giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel primo caso33, al giudice ordinario nel secondo, per quanto concerne l’esecuzione del rapporto, che investe i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto34. Se si volesse optare per l’interpretazione letterale delle norme, non si potrebbe che constatare che l’art. 115 del Codice dei Beni Culturali fa espresso riferimento alla “concessione” a terzi e qualifica i terzi come “concessionari”, probabilmente nell’ottica comunitaria della definizione di concessione di servizi, come “contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo”35. Trattasi, come ognun vede, di un meccanismo farraginoso, sostanzialmente ostativo, e che si traduce in concreto nella difficoltà ad utilizzare le fondazioni come “strumenti della sussidiarietà orizzontale”. Si potrebbe, peraltro, sostenere che tali difficoltà potrebbero essere ridimensionate se si rendesse il sistema meno accentrato, mediante l’utilizzo degli strumenti della sussidiarietà verticale, come punto di partenza per avviare la sussidiarietà orizzontale. In altri termini, sarebbe necessario in primo luogo che le Regioni procedessero, in attuazione dell’art. 117, Cost., a legiferare in materia di valorizzazione dei beni culturali e che fossero proprio gli enti territoriali a coinvolgere gli attori privati (come le fondazioni culturali) nella valorizzazione. Tuttavia, al di là di qualche intervento normativo regionale in materia, non vi è ancora nel nostro ordinamento un sistema di leggi regionali sulla valorizzazione dei beni culturali e sul coinvolgimento di soggetti privati. Si potrebbe, addirittura, dire che la tradizionale ostilità verso il settore privato per la gestione dei beni culturali sia addirittura confermata dalla 33 Le controversie relative a concessioni di pubblici servizi sono oggi devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a. a mente dell’art. 133 del Codice del processo amministrativo, emanato con D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, entrato in vigore il 16 settembre 2010 e successivamente modificato. Prima dell’emanazione del c.p.a. cfr. Cass., Sez. Un., 6 luglio 2005, n. 14198, in Mass. Giust. civ., 2005, 6; Cass., Sez. Un., 20 novembre 2007, n. 24012, in Foro Amm. - C.d.S., Il, 2008, 1, I, 54; Cass., Sez. Un., 19 maggio 2008, n. 12640, in Foro Amm. C.d.S., Il, 2008, 5, I, 1396. 34 Ex plurimis, cfr. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 2005, n. 2002, in Mass. Giust. civ., 2005, 2; Cass., Sez. Un., 7 marzo 2008, n. 6171, in Mass. Giust. civ., 2008, 373. 35 In tal senso, cfr. l’art. 1 della Direttiva n. 2004/18/CE, che invece definisce l’appalto pubblico come contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto tra uno o più operatori economici ed una o più amministrazioni aggiudicatrici, avente ad oggetto l’esecuzione dei lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi. Le fondazioni culturali: prospettive e problemi 187 legge sul c.d. “federalismo demaniale”36 che, nell’individuare i beni statali che possono essere oggetto di trasferimento agli enti territoriali mediante la formulazione di “progetti di valorizzazione funzionale”, espressamente esclude i beni culturali. Non esiste, quindi, allo stato un “sistema” che consenta di sostenere che l’intervento delle fondazioni culturali nel settore dei beni culturali possa spingersi molto oltre le tradizionali erogazioni liberali, sia che si tratti di erogazione diretta di somme di denaro, sia nel caso in cui le fondazioni paghino prestazioni rese a favore delle amministrazioni, sia in presenza di una donazione diretta di beni (attrezzature, macchinari, autoveicoli, ecc.) o di servizi e lavori37. Nonostante tutti i tentativi (falliti), non molto quindi è stato fatto. 36 D. lgs. 28 maggio 2010, n. 85, “Attribuzione a comuni, province, citta' metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell' articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42”. 37 In tal senso, cfr. R. Chieppa, Il nuovo regime delle erogazioni liberali e delle sponsorizzazioni: il settore dei beni culturali e l’intervento delle fondazioni, in Aedon, Rivista di Arti e Diritto Online, 2013, 2. Appendice Statuto della fondazione europea Risoluzione del Parlamento europeo del 2 luglio 2013 sulla proposta di regolamento del Consiglio relativo allo statuto della fondazione europea (FE) (COM(2012)0035 – 2012/0022(APP)) Il Parlamento europeo, – vista la proposta di regolamento del Consiglio (COM(2012)0035), – vista la valutazione d’impatto della Commissione che accompagna la proposta di regolamento del Consiglio relativo allo statuto della fondazione europea (FE), – vista la dichiarazione del Parlamento europeo del 10 marzo 2011 sull’introduzione di statuti europei per le mutue, le associazioni e le fondazioni1, – visto lo studio di fattibilità elaborato dall’Istituto Max Planck per il diritto privato comparato e internazionale e dall’Università di Heidelberg sull’introduzione di uno statuto della fondazione europea (2008), – viste le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea nelle cause C386/04, Centro di Musicologia Walter Stauffer/Finanzamt München für Körperschaften 2 , C-318/07, Hein Persche/Finanzamt Lüdenscheid 3 e C-25/10, Missionswerk Werner Heukelbach eV/Stato belga4, – vista la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (cittadinanza europea)5, – visto il parere del Comitato economico e sociale europeo del 18 settembre 20126, – visto il parere del Comitato delle regioni del 29 novembre 20127, – visto l’articolo 81, paragrafo 3, del proprio regolamento, – visti la relazione interlocutoria della commissione giuridica e il parere della commissione per la cultura e l’istruzione (A7-0223/2013), A. considerando che nell’Unione europea si contano circa 110 000 fondazioni di pubblica utilità, che nel loro complesso possiedono un patrimonio stimato a circa 350 miliardi di euro, a fronte di spese totali pari a circa 83 miliardi di euro, e che impiegano da 750 000 a 1 milione di cittadini europei; 1 GU C 199 E del 7.7.2012, pag. 187. Raccolta 2006, pag. I-8203. 3 Raccolta 2009, pag. I-359. 4 Raccolta 2011, pag. I-497. 5 GU L 158 del 30.4.2004, pag.77. 6 GU C 351 del 15.11.2012, pag. 57. 7 GU C 17 del 19.1.2013, pag. 81. 2 APPENDICE 190 B considerando tuttavia che una parte delle persone che lavorano in seno alle fondazioni sono volontari non retribuiti per il loro impegno personale; C. considerando che l’esistenza e le attività delle fondazioni di pubblica utilità che operano in seno all’Unione sono essenziali nei settori dell’istruzione, della formazione, della ricerca, dell’azione sociale e sanitaria, della memoria storica e della riconciliazione tra i popoli, della protezione ambientale, della gioventù e dello sport, nonché dell’arte e della cultura, e che molti dei loro progetti fanno sentire il proprio impatto ben oltre i confini nazionali; D. considerando che nell’Unione esistono oltre 50 normative diverse in ambito civile e tributario per le fondazioni come pure numerose procedure amministrative complesse, che stando alle stime implicano costi fino a 100 milioni di euro l’anno in consulenze, risorse che quindi non possono più essere impiegate per scopi di pubblica utilità; E. considerando che le fondazioni, soprattutto a causa di ostacoli giuridici, tributari e amministrativi che comportano procedure lunghe e dispendiose e dell’assenza di strumenti giuridici adeguati, rifiutano o trovano difficile intraprendere o sviluppare attività in un altro Stato membro; F. considerando che, in tempi di austerità di bilancio a livello nazionale, in particolare per le attività culturali e artistiche, l’istruzione e lo sport, l’impegno finanziario e sociale delle fondazioni è fondamentale, per quanto le fondazioni possano unicamente sostenere le azioni statali di interesse pubblico ma non prenderne il posto; G. considerando che, per quanto concerne il trattamento fiscale, non si propone l’armonizzazione del diritto tributario ma l’applicazione del principio di non discriminazione, in virtù del quale le fondazioni europee e i loro donatori sono soggetti in modo automatico e in via di principio alle stesse disposizioni e agevolazioni fiscali applicate agli enti di pubblica utilità nazionali; H. considerando che l’adozione di uno statuto comune della fondazione europea potrebbe agevolare notevolmente il raggruppamento e il trasferimento di risorse, conoscenze e donazioni come pure la realizzazione di attività transeuropee; I. considerando che il Parlamento europeo plaude alla proposta della Commissione come importante contributo volto a permettere alle fondazioni di sostenere con maggiore facilità le iniziative di pubblica utilità nell’UE; J. considerando che lo statuto proposto è una forma giuridica europea opzionale che sarà disponibile per le fondazioni e i finanziatori operanti in più di uno Stato membro, ma che non sostituirà né armonizzerà le attuali leggi in materia di fondazioni; K. considerando che in periodi di difficoltà economica è sempre più importante che le fondazioni abbiano a disposizione gli strumenti adatti per perseguire finalità di pubblica utilità a livello europeo e raccogliere risorse, riducendo al contempo i costi e le incertezze giuridiche; 191 APPENDICE L. considerando che è fondamentale che le fondazioni europee (FE) operino su una base sostenibile e a lungo termine e siano effettivamente attive in almeno due Stati membri, in quanto diversamente non si giustificherebbe il loro statuto specifico; M. considerando che parte della terminologia e delle definizioni contenute nella proposta della Commissione necessitano di un chiarimento; N. considerando che appaiono necessarie integrazioni e modifiche della proposta della Commissione per rafforzare l’affidabilità e la credibilità di una FE, ad esempio per quanto concerne la conformità alle norme giuridiche ed etiche, l’esclusività degli scopi di pubblica utilità, la componente transfrontaliera, il patrimonio minimo e la necessità di mantenerlo, in linea di principio, per l’intera durata della FE, una norma sull’erogazione tempestiva, la durata minima e il pagamento delle retribuzioni ai membri del consiglio di amministrazione o degli organi della FE; O. considerando che la tutela dei creditori e dei lavoratori è fondamentale e deve essere garantita per l’intera durata della FE; P. considerando che, per quanto concerne la rappresentanza dei lavoratori, occorre rafforzare il riferimento alla direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese o nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (rifusione) 8, onde chiarire che si applicano le norme procedurali di detta direttiva; che, inoltre, andrebbero comminate sanzioni più severe per le infrazioni, ad esempio subordinando la registrazione di una FE al rispetto dei requisiti della direttiva 2009/38/CE, in linea con l’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativo allo statuto della Società cooperativa europea (SCE) 9; che occorrono altresì disposizioni concernenti il coinvolgimento dei lavoratori negli organi della FE, conformemente alla direttiva 2001/86/CE del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, che completa lo statuto della società per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori10, in modo tale che la forma di FE non possa essere utilizzata in modo improprio allo scopo di privare i lavoratori dei diritti di partecipazione o di negare tali diritti; Q. considerando che va accolta con favore una disposizione concernente la rappresentanza dei volontari nella FE, visto che nel settore sono attivi 2,5 milioni di volontari; R. considerando che la crescente presenza e il prezioso apporto dei volontari al lavoro delle fondazioni contribuiscono agli obiettivi d’interesse generale perseguiti dalle fondazioni; che, visto in particolare il numero crescente di giovani che si rivolge al volontariato per acquisire la prima esperienza lavorativa, può essere opportuno che le fondazioni considerino forme e strumenti che consentano loro di accedere alle in8 GU L 122 del 16.5.2009, pag. 28. GU L 207 del 18.8.2003, pag. 1. 10 GU L 294 del 10.11.2001, pag. 22. 9 APPENDICE 192 formazioni necessarie per lavorare in modo più efficace, ad esempio attraverso il comitato aziendale europeo; S. considerando che occorre chiarire che la sede e l’amministrazione centrale della FE devono trovarsi nello stesso Stato membro, onde evitare la dissociazione della sede e dell’amministrazione centrale o luogo principale di attività, anche per agevolare le attività di vigilanza, dato che la FE sarà soggetta alla supervisione dell’autorità di vigilanza dello Stato membro in cui ha sede; T. considerando che il finanziamento dei partiti politici europei non rientra nelle finalità della FE; U. considerando che, in materia di fiscalità, il punto di partenza deve essere l’applicazione del principio di non discriminazione elaborato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea; che il settore ha riconosciuto che l’approccio proposto di garantire l’applicazione automatica dello stesso trattamento fiscale aumenterebbe l’attrattiva dello statuto della FE, riducendo considerevolmente gli oneri fiscali e amministrativi e rendendola qualcosa in più di un semplice strumento di diritto civile; che, tuttavia, tale approccio sembra essere oggetto di forti controversie in seno al Consiglio, in quanto gli Stati membri sono riluttanti a consentire interferenze con la normativa fiscale nazionale; che pertanto risulta opportuno non scartare possibili scenari alternativi; V. considerando che è essenziale che i negoziati su questo importante testo legislativo procedano speditamente per poter fornire alle fondazioni il nuovo strumento urgentemente richiesto; 1. incoraggia gli Stati membri a sfruttare questo slancio per lavorare a favore di una rapida e completa introduzione dello statuto, con tutte le garanzie di trasparenza, per eliminare così gli ostacoli che impediscono l’attività transfrontaliera delle fondazioni e promuovere l’istituzione di nuove fondazioni che rispondano alle esigenze delle persone che risiedono nel territorio dell’Unione o perseguano fini di pubblica utilità o di interesse generale; sottolinea che la creazione dello statuto contribuisce all’attuazione della cittadinanza europea e dovrebbe essere accompagnata dall’elaborazione di uno statuto dell’associazione europea; 2. sottolinea che le FE devono contribuire allo sviluppo di una cultura e di un’identità veramente europee; 3. ricorda che con la FE si verrebbe a creare una nuova forma giuridica, la cui attuazione, secondo la proposta, dovrebbe tuttavia essere affidata a strutture già esistenti negli Stati membri; 4. accoglie con favore il fatto che lo statuto fissi norme minime in termini di trasparenza, obbligo di rendicontazione, vigilanza e utilizzo dei fondi, che a loro volta possono fungere da "marchio di qualità" per i cittadini e i donatori e, pertanto, garantire la fiducia nei confronti delle FE e stimolare lo sviluppo delle loro attività nell’Unione a beneficio di tutti i cittadini; 193 APPENDICE 5. sottolinea il potenziale offerto dalle fondazioni in termini di occupazione per i giovani, categoria in cui la disoccupazione raggiunge livelli allarmanti; 6. chiede che il regolamento precisi che lo Stato membro che esercita l’autorità finanziaria sulla fondazione è responsabile di garantire che quest’ultima sia gestita di fatto nel totale rispetto del suo statuto; 7. osserva che non è stata ancora prevista la possibilità di fusione tra FE esistenti; 8. rileva la necessità di dare la priorità ad aspetti quali la sostenibilità, la serietà e la vitalità di una fondazione, nonché l’efficacia della vigilanza, al fine di rafforzare la fiducia nella FE e, in questa ottica, chiede al Consiglio di tenere conto delle seguenti raccomandazioni e modifiche: i) il livello minimo di capitale dovrebbe essere mantenuto a 25 000 euro per tutta la durata della fondazione; ii) la durata di esistenza di una FE in uno Stato membro dovrebbe essere indeterminata o, ove espressamente stabilito nello statuto, essere fissata per uno specifico periodo di tempo non inferiore a quattro anni; la fissazione di un limite temporale più breve, non inferiore a due anni, dovrebbe essere ammissibile solo ove la limitazione sia sufficientemente giustificata e il conseguimento dell’obiettivo della fondazione sia pienamente garantito; iii) le modifiche dello statuto della fondazione, qualora lo statuto esistente sia diventato inadeguato per il funzionamento della FE, dovrebbero essere consentite se decise dal consiglio di amministrazione; se, a norma dell’articolo 31, la FE è dotata di altri organi, questi dovrebbero partecipare a tale decisione; iv) per evitare i conflitti d’interesse in seno alle fondazioni, è opportuno seguire la linea della proposta della Commissione, ricorrendo a organi indipendenti dal fondatore, ossia organi che non hanno rapporti familiari o commerciali o di altro tipo con il fondatore, ricordando tuttavia che l’istituzione di una fondazione può avvenire in un contesto familiare, per cui il rapporto di fiducia tra fondatore e membri degli organi amministrativi è un presupposto imprescindibile che garantisce al fondatore che gli scopi della fondazione saranno perseguiti anche dopo la sua morte; v) è opportuno tenere conto, per il calcolo della soglia a partire dalla quale una fondazione è tenuta a procedere a un audit dei propri conti, della totalità degli attivi, delle entrate annuali e del numero di lavoratori della fondazione; per le fondazioni al di sotto di tale soglia, è sufficiente un esame indipendente dei conti; vi) lo statuto dovrebbe prevedere l’informazione dei volontari; esso dovrebbe inoltre favorire il volontariato come principio guida; vii) occorre aggiungere una disposizione in base alla quale qualsiasi retribuzione corrisposta ai membri del consiglio di amministrazione o di altri organi della FE deve essere ragionevole e proporzionata; occorre stabilire criteri specifici per definire la ragionevolezza e la proporzionalità della retribuzione; 194 APPENDICE viii) per quanto concerne la rappresentanza dei lavoratori, la procedura negoziale che, conformemente agli articoli 38 e 39 della proposta, si riferisce unicamente all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nell’UE, dovrebbe essere estesa per includere la partecipazione dei lavoratori negli organi della FE; parallelamente al riferimento attualmente figurante negli articoli 38 e 39 alle procedure relative all’istituzione di un comitato aziendale europeo, occorre inserire un riferimento alle procedure stabilite dalla direttiva 2001/86/CE del Consiglio, al fine di coinvolgere i lavoratori negli organi della FE; ix) dovrebbe essere mantenuta la disposizione riguardante la rappresentanza dei lavoratori di cui all’articolo 38 della proposta; occorre chiarire ulteriormente la nozione di volontari e attività volontarie; x) onde consentire una vigilanza efficace, la sede legale e il centro amministrativo della FE dovrebbero trovarsi nello Stato membro in cui è costituita; xi) la proposta dovrebbe essere limitata, come proposto dal settore, a uno strumento di diritto civile, rafforzando allo stesso tempo, in linea con la proposta del Parlamento, alcuni degli elementi fondamentali del concetto di pubblica utilità quale definito negli Stati membri, così da facilitare il riconoscimento dell’equivalenza all’interno degli Stati membri; xii) la proposta di regolamento del Consiglio dovrebbe essere modificata come segue: Modifica 1 Proposta di regolamento Considerando 15 bis (nuovo) Testo della Commissione Modifica (15 bis) I membri del consi- 195 APPENDICE glio di amministrazione dovrebbero garantire l’osservanza degli obblighi previsti dal presente regolamento e dallo statuto come pure di tutte le norme giuridiche ed etiche di gestione e comportamento concernenti le FE. A tale scopo dovrebbero istituire strutture organizzative ed elaborare misure interne per prevenire e scoprire le infrazioni. Modifica 2 Proposta di regolamento Considerando 18 Testo della Commissione (18) Per consentire alla FE di beneficiare appieno del mercato unico, questa dovrebbe poter trasferire la propria sede da uno Stato membro all’altro. Modifica 3 Proposta di regolamento Articolo 2 – punto 1 Modifica (Non concerne la versione italiana) Testo della Commissione (1) "patrimonio": qualsiasi risorsa materiale o immateriale che può essere posseduta o controllata al fine di produrre valore; Modifica (1) "patrimonio": qualsiasi risorsa materiale o immateriale che può essere posseduta o controllata al fine di produrre valore economico e/o sociale; Modifica 4 Proposta di regolamento Articolo 2 – punto 2 Testo della Commissione (2) "attività economica non correlata": attività economica della FE non direttamente correlata allo scopo dell’ente di pubblica utilità; Modifica (2) "attività economica non correlata": attività economica della FE, esclusa la normale amministrazione patrimoniale come gli 196 APPENDICE investimenti in titoli, azioni o immobili, non direttamente correlata allo scopo dell’ente di pubblica utilità; Modifica 5 Proposta di regolamento Articolo 2 – punto 5 Testo della Commissione (5) "ente di pubblica utilità": fondazione con scopo di pubblica utilità e/o persona giuridica simile con scopo di pubblica utilità senza status di socio, costituita in conformità alle leggi di uno Stato membro; Modifica (5) "ente di pubblica utilità": fondazione con esclusivo scopo di pubblica utilità e/o persona giuridica simile con scopo di pubblica utilità senza status di socio, costituita in conformità alle leggi di uno Stato membro; Modifica 6 Proposta di regolamento Articolo 4 – paragrafo 2 – lettera b bis (nuova) Testo della Commissione Modifica b bis) i nomi degli amministratori delegati nominati a norma dell’articolo 30; Modifica 9 Proposta di regolamento Articolo 5 – paragrafo 2 – comma 2 – parte introduttiva Testo della Commissione Modifica Può essere costituita soltanto Può essere costituita soltanto per gli scopi di seguito elencati e per uno o più degli scopi di seguiai quali il suo patrimonio è irrevoto elencati, ai quali il suo patrimocabilmente destinato: nio è irrevocabilmente destinato: Modifica 7 Proposta di regolamento Articolo 5 – paragrafo 2 – comma 2 – lettera s bis (nuova) Testo della Commissione Modifica s bis) sostegno alle vittime del 197 APPENDICE terrorismo e di atti di violenza; Modifica 8 Proposta di regolamento Articolo 5 – paragrafo 2 – comma 2 – lettera s ter (nuova) Testo della Commissione Modifica s ter) promozione del dialogo interreligioso. Modifica 10 Proposta di regolamento Articolo 5 – paragrafo 2 bis (nuovo) Testo della Commissione Modifica 2 bis. La FE non può recare vantaggio a chicchessia attraverso compensi eccessivi o attraverso spese che non siano finalizzate allo scopo di pubblica utilità. La FE non adempie il suo scopo di pubblica utilità se opera ad esclusivo beneficio di un numero limitato di persone. Modifica 11 Proposta di regolamento Articolo 6 Testo della Commissione Al momento della registrazione, la FE deve svolgere le proprie attività, o avere l’obiettivo statutario di farlo, in almeno due Stati membri. Modifica La FE deve svolgere le proprie attività, o avere almeno l’obiettivo statutario di farlo, in almeno due Stati membri. Qualora al momento della registrazione la FE abbia unicamente l’obiettivo statutario di svolgere le proprie attività in almeno due Stati membri, deve indicare in modo convincente che sarà attiva in almeno due Stati membri entro due anni. Tale limitazione temporale non vale nei casi in cui l’avvio successivo delle 198 APPENDICE attività da parte della FE appaia giustificato e proporzionato rispetto al perseguimento del suo scopo. In ogni caso, la FE è tenuta a intraprendere e continuare a svolgere le proprie attività in almeno due Stati membri durante la sua esistenza. Modifica 12 Proposta di regolamento Articolo 7 – paragrafo 2 Testo della Commissione 2. Il patrimonio della FE ammonta ad almeno 25 000 EUR. Modifica 2. Il patrimonio della FE ammonta ad almeno 25 000 EUR. Essa mantiene tale patrimonio minimo per l’intera sua durata, fatta salva l’eventuale fissazione di un lasso di tempo specifico in virtù dell’articolo 12, paragrafo 2. Modifica 13 Proposta di regolamento Articolo 7 – paragrafo 2 – comma 1 bis (nuovo) Testo della Commissione Modifica La FE impiega il 70% delle entrate di un esercizio entro i quattro anni successivi, fatti salvi i casi in cui lo statuto prevede un progetto specifico da attuare nei sei anni successivi. Modifica 14 Proposta di regolamento Articolo 12 – paragrafo 2 Testo della Commissione 2. La FE viene costituita per un periodo indeterminato o, se esplicitamente indicato nel proprio statuto, per un lasso di tempo Modifica 2. La FE viene costituita per un periodo indeterminato o, se esplicitamente indicato nel proprio statuto, per un lasso di tempo 199 APPENDICE specificato non inferiore a due anni. specificato non inferiore a quattro anni. Qualora un lasso di tempo limitato sia sufficiente per conseguire gli obiettivi della FE e tale limitazione sia ragionevolmente motivata, la FE può essere costituita per un lasso di tempo non inferiore a due anni. Modifica 15 Proposta di regolamento Articolo 15 – paragrafo 2 – lettera d bis (nuova) Testo della Commissione Modifica d bis) informazioni circa le procedure di determinazione delle modalità del coinvolgimento dei lavoratori conformemente alla direttiva 2009/38/CE. Modifica 16 Proposta di regolamento Articolo 15 – paragrafo 3 Testo della Commissione 3. Ciascuna autorità competente gestisce la richiesta di fusione secondo gli stessi principi e procedure che sarebbero stati applicati in caso di richiesta di fusione per un ente nazionale di pubblica utilità. Modifica 17 Proposta di regolamento Modifica 3. Ciascuna autorità competente gestisce la richiesta di fusione secondo gli stessi principi e procedure che sarebbero stati applicati in caso di richiesta di fusione per un ente nazionale di pubblica utilità. L’autorità competente rifiuta la richiesta di fusione transfrontaliera obbligatoriamente ed esclusivamente a motivo della non conformità al presente regolamento dei documenti di cui al paragrafo 2 o qualora i diritti dei creditori e dei lavoratori non siano sufficientemente tutelati. 200 APPENDICE Articolo 17 – paragrafo 1 Testo della Commissione 1. La FE può essere costituita per trasformazione di un ente di pubblica utilità legalmente stabilito in uno Stato membro, a condizione che ciò sia consentito in base allo statuto dell’ente oggetto della trasformazione. Modifica 1. La FE può essere costituita per trasformazione di un ente di pubblica utilità legalmente stabilito in uno Stato membro, a condizione che la trasformazione non sia espressamente vietata dallo statuto e non sia contraria alla volontà del fondatore. Modifica 18 Proposta di regolamento Articolo 18 – paragrafo 3 Testo della Commissione 3. L’autorità competente gestisce la richiesta di trasformazione secondo gli stessi principi e procedure che sarebbero stati applicati in caso di richiesta di modifica dello statuto dell’ente di pubblica utilità. Modifica 3. L’autorità competente gestisce la richiesta di trasformazione secondo gli stessi principi e procedure che sarebbero stati applicati in caso di richiesta di modifica dello statuto dell’ente di pubblica utilità. L’autorità competente rifiuta la richiesta di trasformazione obbligatoriamente ed esclusivamente a motivo della non conformità al presente regolamento dei documenti di cui al paragrafo 2 o qualora i diritti dei creditori e dei lavoratori non siano sufficientemente tutelati. Modifica 19 Proposta di regolamento Articolo 20 – paragrafo 1 Testo della Commissione 1. Qualora lo statuto esistente sia diventato inadeguato per il funzionamento della FE, il consiglio di amministrazione può deci- Modifica 1. Qualora lo statuto esistente sia diventato inadeguato per il funzionamento della FE, il consiglio di amministrazione può deci- 201 APPENDICE dere di modificarlo. dere di modificarlo. Se, a norma dell’articolo 31, la FE è dotata di altri organi, questi partecipano alla decisione. Modifica 20 Proposta di regolamento Articolo 23 – paragrafo 1 – lettera g Testo della Commissione g) i nomi, gli scopi e gli indirizzi delle organizzazioni fondatrici laddove queste siano entità giuridiche, o informazioni inerenti simili relative agli enti pubblici; Modifica g) il nome, il cognome e l’indirizzo dei fondatori quando si tratti di persone fisiche; i nomi, gli scopi e le sedi delle organizzazioni fondatrici laddove queste siano entità giuridiche, o informazioni inerenti simili relative agli enti pubblici; Modifica 21 Proposta di regolamento Articolo 23 – paragrafo 2 bis (nuovo) Testo della Commissione Modifica 2 bis. Una FE può essere registrata soltanto previa presentazione delle prove attestanti l’osservanza degli obblighi di cui al capo V del presente regolamento in relazione al coinvolgimento dei lavoratori. Modifica 22 Proposta di regolamento Articolo 32 – paragrafo 1 Testo della Commissione 1. Il fondatore e qualsiasi altro membro del consiglio di amministrazione che possa avere un rapporto d’affari, familiare o di altro tipo con il fondatore o con altri Modifica 1. Il fondatore e qualsiasi altro membro del consiglio di amministrazione che possa avere un rapporto d’affari, familiare o di altro tipo con il fondatore o con altri 202 APPENDICE membri del consiglio di amministrazione, tale da generare un conflitto di interessi effettivo o potenziale che potrebbe pregiudicare i rispettivi giudizi e opinioni, non possono rappresentare la maggioranza del consiglio di amministrazione. membri del consiglio di amministrazione, tale da generare un conflitto di interessi che potrebbe pregiudicare i rispettivi giudizi e opinioni, non possono costituire la maggioranza del consiglio di amministrazione. Modifica 23 Proposta di regolamento Articolo 32 – paragrafo 3 Testo della Commissione 3. Nessun beneficio, sia esso diretto o indiretto, può essere distribuito a fondatori, membri del consiglio di amministrazione o dell’organo di vigilanza, amministratori delegati o revisori contabili, né può essere procurato a persone che hanno un rapporto d’affari o di stretta parentela con tali soggetti, a meno che tali benefici non siano strumentali all’espletamento delle proprie mansioni all’interno della FE. Modifica 3. Nessun beneficio può essere distribuito a fondatori, membri del consiglio di amministrazione o dell’organo di vigilanza, amministratori delegati o revisori contabili, né può essere procurato a persone che hanno un rapporto d’affari o di stretta parentela con tali soggetti, a meno che tali benefici non siano strumentali all’espletamento delle proprie mansioni all’interno della FE. Modifica 24 Proposta di regolamento Articolo 34 – paragrafo 2 Testo della Commissione 2. La FE redige e inoltra all’ufficio del registro nazionale competente e all’autorità di vigilanza il bilancio annuale e una relazione annuale di attività entro sei mesi dalla fine dell’esercizio finanziario. Modifica 2. La FE redige e inoltra all’ufficio del registro nazionale competente e all’autorità di vigilanza il bilancio annuale e una relazione annuale di attività entro sei mesi a decorrere dalla fine dell’esercizio finanziario. 203 APPENDICE Modifica 25 Proposta di regolamento Articolo 34 – paragrafo 4 Testo della Commissione 4. I conti annuali della FE sono sottoposti alla revisione contabile di uno o più soggetti autorizzati a espletare le revisioni legali in base alle norme nazionali adottate in conformità alla direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. Modifica 4. I conti annuali della FE sono sottoposti alla revisione contabile di uno o più soggetti autorizzati a espletare le revisioni legali in base alle norme nazionali adottate in conformità alla direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio qualora la FE superi uno dei seguenti criteri: a) entrate annue di 2 milioni di EUR; oppure b) patrimonio di 200 000 EUR; oppure c) numero medio di 50 dipendenti durante l’esercizio. Qualora la FE non superi nessuno di tali criteri, è possibile ricorrere a un esaminatore indipendente anziché a un revisore contabile. Modifica 26 Proposta di regolamento Articolo 34 – paragrafo 5 Testo della Commissione 5. I conti annuali debitamente approvati dal consiglio di amministrazione, unitamente al parere della persona incaricata della revisione dei conti, e la relazione di attività sono soggetti a divulgazione. Modifica 5. I conti annuali debitamente approvati dal consiglio di amministrazione e la relazione di attività sono soggetti a divulgazione. Il parere della persona incaricata della revisione dei conti è soggetto a divulgazione in conformità delle norme dello Stato membro in cui ha sede la FE. 204 APPENDICE Modifica 27 Proposta di regolamento Articolo 35 Testo della Commissione La FE ha la propria sede, nonché l’amministrazione centrale o il luogo principale di attività all’interno dell’Unione europea. Modifica La sede di una FE è istituita nell’Unione europea, nello stesso Stato membro in cui si trova l’amministrazione centrale o il luogo principale di attività. Sebbene svolga la propria attività in almeno due Stati membri, incluse le attività nello Stato membro in cui ha la propria sede e l’amministrazione centrale, la FE può svolgere attività anche al di fuori dell’UE. Modifica 28 Proposta di regolamento Articolo 37 – paragrafo 2 – lettera e bis (nuova) Testo della Commissione Modifica e bis) le eventuali implicazioni del trasferimento per il coinvolgimento dei lavoratori. Modifica 29 Proposta di regolamento Articolo 37 – paragrafo 5 – comma 2 Testo della Commissione L’autorità competente dello Stato membro ospitante può rifiutare il trasferimento solo a motivo dell’insussistenza delle condizioni di cui al comma precedente. Modifica L’autorità competente dello Stato membro ospitante può rifiutare il trasferimento solo a motivo dell’insussistenza delle condizioni di cui al comma precedente; essa rifiuta inoltre il trasferimento se i diritti dei creditori e dei lavoratori non sono sufficientemente tutelati. 205 APPENDICE Modifica 30 Proposta di regolamento Articolo 38 – paragrafo 2 – commi 1 e 2 Testo della Commissione La FE con un massimo di 200 lavoratori istituisce un comitato aziendale europeo su richiesta di almeno 20 lavoratori in almeno due Stati membri o dei loro rappresentanti. La FE con più di 200 lavoratori istituisce un comitato aziendale europeo su richiesta di almeno il 10% dei lavoratori in almeno due Stati membri o dei loro rappresentanti. Modifica 31 Proposta di regolamento Articolo 38 – paragrafo 2 – comma 3 Modifica La FE istituisce un comitato aziendale europeo su richiesta del 10% almeno dei lavoratori in almeno due Stati membri o dei loro rappresentanti. Testo della Commissione I provvedimenti nazionali relativi alle prescrizioni accessorie di cui all’allegato I, punto 1, lettere da a) ad e), della direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio si applicano all’istituzione del comitato aziendale europeo. Modifica Gli articoli 5 e 6 della direttiva 2009/38/CE e i provvedimenti nazionali relativi alle prescrizioni accessorie di cui all’allegato I, punto 1, lettere da a) ad e), della direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio si applicano all’istituzione del comitato aziendale europeo. Modifica 32 Proposta di regolamento Articolo 38 – paragrafo 3 Testo della Commissione 3. Ai rappresentanti dei volontari impegnati per un periodo prolungato in attività ufficiali di volontariato all’interno della FE Modifica soppresso 206 APPENDICE viene assegnato lo status di osservatore all’interno del comitato aziendale europeo. Il numero di tali rappresentanti è pari ad almeno uno per Stato membro in cui sono presenti almeno dieci volontari. Modifica 33 Proposta di regolamento Articolo 44 – paragrafo 2 Testo della Commissione 2. Dopo aver pagato interamente i creditori della FE, l’eventuale patrimonio residuo della stessa viene trasferito a un altro ente di pubblica utilità con uno scopo analogo o impiegato in altro modo a scopi di pubblica utilità il più affini possibile a quelli per cui era stata istituita la FE. Modifica 2. Dopo aver pagato interamente i creditori della FE, l’eventuale patrimonio residuo della stessa viene trasferito a un altro ente di pubblica utilità con uno scopo analogo avente sede nello Stato membro di registrazione della FE, o viene impiegato in altro modo a scopi di pubblica utilità il più affini possibile a quelli per cui era stata istituita la FE. Modifica 34 Proposta di regolamento Articolo 45 Testo della Commissione Ciascuno Stato membro designa un’autorità di vigilanza per il controllo delle FE registrate in tale Stato membro e provvede a darne comunicazione alla Commissione. Modifica Ciascuno Stato membro designa una o più autorità a sua scelta responsabili dell’effettivo controllo delle FE registrate in tale Stato membro e provvede a darne comunicazione alla Commissione. 9. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione. 207 APPENDICE COMMISSIONE EUROPEA Bruxelles, 8.2.2012 COM(2012) 35 final 2012/0022 (APP) Proposta di REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO sullo statuto della fondazione europea (FE) RELAZIONE CONTESTO DELLA PROPOSTA 1.1. Contesto generale Le fondazioni rivestono un ruolo importante all’interno dell’Unione europea, in particolare nella società civile. Grazie alle varie attività svolte in svariati settori, contribuiscono al raggiungimento dei valori e degli obiettivi fondamentali dell’Unione, come il rispetto dei diritti umani, la tutela delle minoranze, l’occupazione e il progresso sociale, la protezione e il miglioramento dell’ambiente o la diffusione dei progressi scientifici e tecnologici. In questo contesto forniscono un contributo fondamentale al raggiungimento degli obiettivi ambiziosi per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva definiti nella strategia Europa 20201. Inoltre, le fondazioni promuovono e agevolano un coinvolgimento più attivo dei cittadini e della società civile nel progetto europeo. Tuttavia, sono molti gli ostacoli che le fondazioni incontrano nello svolgimento delle proprie attività a livello UE. L’Atto per il mercato unico2 adottato nell’aprile 2011 ha sottolineato la necessità di porre fine alla frammentazione del mercato e di eliminare le barriere e gli ostacoli alla circolazione dei servizi, all’innovazione e alla creatività a favore della crescita, dell’occupazione e della promozione della concorrenza. Inoltre, ha evidenziato l’importanza di rafforzare la fiducia dei cittadini nel mercato unico e di garantire loro tutti i vantaggi che questo può offrire. Per quanto concerne il contributo delle fondazioni all’economia sociale e al finanziamento di iniziative innovative di pubblica ato un intervento per eliminare gli ostacoli che le fondazioni incontrano nel loro funzionamento a livello transfrontaliero. Lo stesso aspetto è stato sottolineato nella relazione 2010 sulla cittadinanza dell’Unione “Eliminare gli ostacoli all’esercizio dei diritti dei cittadini dell’Unione” 3 , che evidenzia l’importanza di rafforzare la dimensione europea delle attività svolte dalle fondazioni di pubblica utilità, promuovendo l’azione dei cittadini a livello UE. Nella sua comunicazione sull’”iniziativa per l’imprenditoria sociale” (SBI) del 25 ottobre 20114, la Commissione ha anche sottolineato l’importanza di sviluppare forme giuridiche europee per le entità operanti nel settore dell’economia sociale (ad esempio, fondazioni, cooperative o mutue). L’iniziativa per l’imprenditoria sociale mira a sostenere lo sviluppo delle imprese volte principalmente a creare un impatto sociale attraverso le proprie attività. Inoltre, le azioni proposte interessano e favoriscono quei soggetti dell’economia sociale (tra cui le fondazioni) che soddisfano i criteri generali di “imprenditoria sociale” enunciati nella comunicazione. 1 2 3 4 COM(2010) 2020. COM(2011) 206. COM(2010) 603. COM(2011) 682. RELAZIONE 210 Nella risoluzione in risposta all’Atto per il mercato unico della Commissione, il Parlamento europeo ha invocato la creazione di un quadro giuridico appropriato per le fondazioni (nonché per le mutue e le associazioni); nella dichiarazione scritta 84/2010 del marzo 2011, si è espresso a favore dell’introduzione di statuti per queste entità giuridiche, invitando la Commissione, nelle precedenti risoluzioni del 2009 e del 20065, a lavorare in questa direzione. Nel parere d’iniziativa 20106, il Comitato economico e sociale europeo si è dichiarato a favore dello statuto, esponendo le proprie riflessioni sui possibili sviluppi di uno statuto di questo tipo. Anche il Comitato delle regioni ha appoggiato l’annuncio della Commissione in merito all’iniziativa sulle fondazioni contenuta nell’Atto per il mercato unico7. 1.2. Motivazione e obiettivi della proposta Le fondazioni non sono in grado di veicolare i fondi in maniera efficiente a livello transfrontaliero nell’Unione europea. Quando le fondazioni decidono di operare a livello transfrontaliero, devono investire una parte delle risorse raccolte nella consulenza giuridica, soddisfando i requisiti legali e amministrativi definiti dai vari ordinamenti giuridici nazionali. La presente iniziativa crea una nuova forma giuridica europea, volta ad agevolare la costituzione e il funzionamento delle fondazioni nel mercato unico. Ciò consentirà alle fondazioni di veicolare i fondi privati a scopi di pubblica utilità in maniera più efficace e a livello transfrontaliero nell’Unione. Di conseguenza, questo porterebbe a un numero maggiore di fondi disponibili per le attività di pubblica utilità, ad esempio a causa dei minori costi per le fondazioni, con un impatto positivo sul bene pubblico dei cittadini europei e sull’economia globale dell’UE. La presente proposta non tratta del particolare status delle fondazioni a carattere politico, affiliate ai partiti politici a livello europeo. Questo tipo di fondazioni è disciplinato dal diritto unionale mediante norme specifiche dal 2007, con particolare riguardo al diritto di accesso ai finanziamenti dell’UE (al pari dei partiti politici a livello europeo)8. La Commissione procede attualmente a un riesame di tali norme e intende adottare, nel corso del 2012, una proposta legislativa per modificarle9. 5 Risoluzione del Parlamento europeo del 6 aprile 2011 sul mercato unico per gli europei (2010/2278(INI)); dichiarazione scritta 84/2010, P7_DCL(2010)0084; risoluzione del Parlamento europeo del 19 febbraio 2009 sull’economia sociale (2008/2250(INI)) e risoluzione del Parlamento europeo del 4 luglio 2006 sui recenti sviluppi e le prospettive in materia di diritto societario (2006/2051(INI)). 6 INT/498 - CESE 634/2010 - Aprile 2010. 7 CdR 330/2010 fin. 8 Cfr. regolamento (CE) n. 1524/2007, del 18 dicembre 2007, recante modifica del regolamento (CE) n. 2004/2003 relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici a livello europeo. 9 Programma di lavoro della Commissione per il 2012, punto 76. 211 RELAZIONE RISULTATI DELLE CONSULTAZIONI CON LE PARTI INTERESSATE E VALUTAZIONE D’IMPATTO Nella preparazione della presente proposta, la Commissione ha fatto ampio affidamento sui pareri di esperti esterni e ha coinvolto varie parti interessate. Per prima cosa, nel 2008 è stato elaborato e pubblicato uno studio di fattibilità da parte di un consorzio formato dal Max Planck Institute for Comparative and International Private Law di Amburgo e l’Università di Heidelberg (Centre for Social Investment) 10 . Secondo lo studio, uno statuto della fondazione europea (in cui vengono trattate o meno le questioni fiscali) rappresenterebbe l’opzione strategica preferibile per affrontare i problemi individuati. In secondo luogo, tra febbraio e maggio 2009 la Commissione ha tenuto una consultazione pubblica in merito alle raccomandazioni dello studio di fattibilità. Mentre le fondazioni hanno espresso un forte apprezzamento per lo statuto, le autorità nazionali e alcune organizzazioni imprenditoriali si sono mostrate più scettiche in merito alla necessità e alla fattibilità di una tale forma giuridica. Il settore non profit ha espresso un vivo interesse per lo statuto in occasione di una consultazione più generale relativa alla comunicazione “Verso un atto per il mercato unico” nel 2010-2011. Inoltre, la Commissione ha raccolto ulteriori informazioni in merito ai problemi effettivi affrontati durante le discussioni bilaterali con le fondazioni, in particolare in occasione della “settimana europea delle fondazioni” tenutasi nel giugno 2010 e attraverso i contatti con il Centro europeo delle fondazioni (CEF). La Commissione ha anche interpellato le autorità nazionali per raccogliere informazioni sulla legislazione nazionale in materia, attraverso un questionario e alcuni dibattiti successivi con il gruppo di esperti di diritto societario (CLEG)11 nel 2009, 2010 e 2011. Molti Stati membri hanno espresso riserve in merito alla necessità di nuove forme giuridiche europee, anche per le fondazioni. Per redigere la proposta, la Commissione ha tenuto conto dei commenti e delle preoccupazioni menzionate e si è basata su un’analisi delle necessità delle fondazioni e dei sistemi giuridici nazionali, optando per alcune soluzioni (ad esempio in termini di portata dell’iniziativa) per le quali potrebbe essere più facile raggiungere un compromesso vista la diversità delle leggi nazionali. La valutazione d’impatto si basa sui dati raccolti, come precedentemente indicato. Il problema generale riscontrato riguarda il fatto che la varietà di norme nazionali civili e tributarie ha reso le operazioni transfrontaliere delle fondazioni estremamente costose e inefficienti; di conseguenza, il convogliamento transfrontaliero dei fondi a 10 Cfr. http://ec.europa.eu/internal_market/company/docs/eufoundation/feasibilitystudy_en.pdf, nel prosieguo lo “studio di fattibilità”. 11 Il CLEG riunisce gli esperti di diritto societario delle amministrazioni nazionali e si riunisce tre volte l’anno sotto la presidenza della DG Mercato interno e servizi. RELAZIONE 212 scopi di pubblica utilità attraverso le fondazioni è stato sfruttato in maniera molto limitata. Tra i problemi più specifici individuati rientrano l’incertezza in merito al riconoscimento delle fondazioni di pubblica utilità in altri Stati membri, i costi per la raccolta e la distribuzione di fondi su base transfrontaliera, nonché le donazioni transfrontaliere limitate. Sono state considerate le seguenti opzioni: 1) nessuna azione politica nuova a livello UE; 2) una campagna informativa e una carta di qualità facoltativa; 3) uno statuto della fondazione europea (che tratta o meno le questioni fiscali); e 4) un’armonizzazione parziale delle leggi sulle fondazioni. L’opzione che non prevede alcuna azione politica si baserebbe sulle iniziative in corso, tra cui i casi di infrazione e le azioni nel settore fiscale, garantendo la completa attuazione della direttiva sui servizi, iniziative di carattere non legislativo nel settore della ricerca, nonché progetti del settore delle fondazioni a supporto delle donazioni transfrontaliere. L’opzione relativa alla campagna informativa andrebbe a migliorare la conoscenza delle fondazioni in merito ai propri diritti e doveri secondo le leggi nazionali in caso di operazioni transfrontaliere. Inoltre, una carta di qualità redatta dalle fondazioni su base volontaria, e un rispettivo “marchio europeo di qualità” che potrebbe essere assegnato alle fondazioni che adempiono alla carta, mirerebbero a garantire la qualità e l’affidabilità delle attività delle fondazioni. L’opzione dello statuto della fondazione europea che non tratta le questioni fiscali propone una forma giuridica alternativa per le fondazioni; non richiederebbe alcuna modifica delle forme esistenti di fondazioni nazionali e il suo impiego sarebbe facoltativo. Per diventare una fondazione europea, lo statuto andrebbe a definire alcuni requisiti (ad esempio, patrimonio minimo di costituzione, scopi di pubblica utilità così come concordato in gran parte degli Stati membri). L’opzione dello statuto della fondazione europea che tratta le questioni fiscali richiederebbe inoltre agli Stati membri di considerare la fondazione europea come una fondazione nazionale di pubblica utilità, concedendo così gli stessi benefici fiscali offerti alle fondazioni nazionali. La stessa soluzione troverebbe applicazione per i donatori e i beneficiari della fondazione europea. Un’armonizzazione parziale delle leggi sulle fondazioni richiederebbe l’armonizzazione di quei requisiti che le fondazioni devono soddisfare per potersi registrare e operare all’estero (ad esempio, gli scopi consentiti di una fondazione di pubblica utilità, il patrimonio minimo, i requisiti di registrazione e alcuni aspetti di governance interna). Gli Stati membri dovrebbero consentire alle fondazioni che soddisfano i criteri armonizzati di operare nel proprio paese senza imporre alcun requisito aggiuntivo. Sono state prese in considerazione anche le opzioni relative a una maggiore armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di fondazioni e all’armonizzazione del trattamento fiscale delle stesse e dei rispettivi donatori. 213 RELAZIONE Dall’analisi degli effetti generati dalle opzioni proposte è emerso che lo statuto della fondazione europea con applicazione diretta del trattamento fiscale non discriminatorio rappresenterebbe l’opzione più adeguata, eliminando gli ostacoli transfrontalieri per le fondazioni e i donatori e agevolando la veicolazione efficiente dei fondi per scopi di pubblica utilità. ELEMENTI GIURIDICI DELLA PROPOSTA Base giuridica Le basi giuridiche per la proposta di regolamento sullo statuto della fondazione europea sono rappresentate dall’articolo 352 TFUE, che fornisce il fondamento normativo appropriato laddove nessun’altra disposizione del trattato attribuisca alle istituzioni UE i poteri necessari per l’adozione di un provvedimento. L’articolo 352 costituisce la base giuridica prescelta per le attuali forme giuridiche europee nel settore del diritto societario (ad esempio, la Società europea, il Gruppo europeo di interesse economico e la Società cooperativa europea). Nella propria sentenza12 sulla Società cooperativa europea, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha confermato come l’articolo 352 rappresenti il fondamento normativo corretto. Sussidiarietà e proporzionalità L’azione proposta risponde pienamente al principio della sussidiarietà. L’azione UE è necessaria allo scopo di eliminare le attuali barriere e restrizioni nazionali con cui le fondazioni si scontrano nelle operazioni a livello UE. La situazione attuale mostra come il problema non venga adeguatamente affrontato a livello nazionale e come le sue peculiarità transfrontaliere richiedano un quadro comune per migliorare la mobilità delle fondazioni. La mera azione degli Stati membri non consentirebbe al mercato unico di offrire risultati ottimali ai cittadini UE. Questa iniziativa offre alle fondazioni l’opportunità di scegliere la forma giuridica europea proposta e di essere agevolate nello svolgimento delle attività transfrontaliere. L’azione proposta sarebbe adeguata e non si spingerebbe al di là di quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi prefissati in maniera soddisfacente, aderendo così al principio della proporzionalità. Inoltre, mira a creare una nuova forma giuridica in aggiunta a quelle nazionali, senza pregiudicare le varie leggi nazionali già in vigore. In questo modo, gli Stati membri avrebbero la scelta e l’opportunità di sostenere e sviluppare le proprie forme giuridiche nazionali. Inoltre, in materia di fiscalità, questa azione non andrebbe a sostituirsi alle leggi degli Stati membri sul trattamento fiscale delle fondazioni di pubblica utilità (e dei rispettivi donatori) con una nuova serie di norme armonizzate, bensì le disposizioni esistenti potrebbero essere applicate automaticamente alla fondazione europea (e ai donatori). L’azione proposta affronterebbe gli ostacoli più significativi che le fondazioni devono affrontare nelle operazioni transfrontaliere, senza per questo definire nel dettaglio 12 C-436/03 Parlamento europeo/Consiglio dell’Unione europea. RELAZIONE 214 tutte le norme applicabili alla fondazione europea e senza introdurre una nuova serie di norme fiscali. Scelta degli strumenti giuridici Il regolamento rappresenta lo strumento più adeguato per garantire l’uniformità dello statuto in tutti gli Stati membri, dal momento che una forma giuridica europea richiede l’applicazione diretta e uniforme delle norme a livello UE. SPIEGAZIONE DETTAGLIATA DELLA PROPOSTA Il capo I (Disposizioni generali) definisce l’oggetto, le norme applicabili alla FE e una serie di definizioni per chiarire i termini utilizzati ai fini del regolamento. Inoltre, descrive le caratteristiche principali della FE, ossia di un soggetto di pubblica utilità con personalità e piena capacità giuridica in tutti gli Stati membri dell’UE, caratterizzata da una dimensione transfrontaliera in termini di attività o da un obiettivo statutario che prevede lo svolgimento delle attività in almeno due Stati membri; il patrimonio di costituzione è pari ad almeno 25 000 EUR. La FE può intraprendere attività economiche nella misura in cui gli utili vengano impiegati per il perseguimento degli obiettivi di pubblica utilità, conformemente al regolamento. Per motivi di certezza del diritto, viene fornito un elenco dettagliato degli scopi di pubblica utilità riconosciuti in base al diritto civile e tributario in gran parte degli Stati membri. Il capo II (Costituzione) definisce i metodi di costituzione della FE, i contenuti minimi dello statuto e i requisiti di registrazione. Per quanto concerne la costituzione, la FE può essere costituita ex nihilo (per mezzo di una disposizione testamentaria, un atto notarile, una dichiarazione scritta di una persona fisica e/o giuridica o di un ente pubblico, in conformità al diritto nazionale applicabile), per fusione di enti di pubblica utilità legalmente stabiliti in uno o più Stati membri o per trasformazione in FE di un ente nazionale di pubblica utilità legalmente stabilito in uno Stato membro. Il capo elenca i documenti e le informazioni che devono essere contenuti nelle richieste di registrazione e che sono soggetti a divulgazione. Inoltre, allo scopo di facilitare la registrazione, gli uffici del registro devono collaborare tra loro per quanto concerne i documenti e le informazioni della FE. Il capo III (Organizzazione della fondazione europea) definisce le norme relative al consiglio di amministrazione, agli amministratori delegati e all’organo di vigilanza, anche in materia di conflitti di interesse. A garanzia della credibilità e dell’affidabilità, la FE deve applicare standard elevati di trasparenza e rendicontazione. Il capo IV (Sede e trasferimento) illustra la possibilità per la FE di trasferire la propria sede in un altro Stato membro, conservando la propria personalità giuridica ed evitando di procedere alla liquidazione. Il capo V (Coinvolgimento dei lavoratori e dei volontari) contiene le norme relative alle informazioni e alla consultazione dei lavoratori e dei volontari, conformemente al 215 RELAZIONE rispettivo acquis dell’UE. La proposta non contiene norme sulla partecipazione dei lavoratori agli organi direttivi, dal momento che sono pochissimi gli Stati membri che prevedono la partecipazione a tali organi negli enti di pubblica utilità. Per quanto concerne il capo VI (Scioglimento della FE), il regolamento consente la trasformazione della FE in un ente di pubblica utilità regolamentato dalle leggi dello Stato membro in cui ha la propria sede, a condizione che tale trasformazione sia ammessa in base allo statuto della FE. Inoltre, contiene alcune norme sulla liquidazione nei casi in cui lo scopo della FE sia stato raggiunto o non sia stato possibile raggiungerlo, la durata per cui è stata istituita sia giunta al termine o la FE abbia perso tutto il proprio patrimonio. Il capo VII (Vigilanza dello Stato membro) attribuisce ampi poteri alle autorità nazionali di vigilanza incaricate, consentendo loro di monitorare efficacemente le attività degli enti di pubblica utilità per cui sono responsabili. Ad esempio, hanno il potere di approvare una modifica allo scopo della FE, indagare sulle attività svolte da quest’ultima, inoltrare avvertimenti al consiglio di amministrazione richiedendo a quest’ultimo di adempiere allo statuto della FE, al regolamento e al diritto nazionale applicabile, revocare o proporre a un tribunale la revoca di un membro del consiglio di amministrazione oppure liquidare o proporre la liquidazione della FE a un tribunale. Alle autorità di vigilanza è richiesto anche di collaborare e di scambiarsi reciprocamente le informazioni; inoltre, vengono definite alcune norme in materia di cooperazione degli uffici del registro e degli organi di vigilanza con le autorità fiscali. Per quanto concerne il capo VIII (Trattamento fiscale), il regolamento definisce l’applicazione automatica per la FE e i rispettivi donatori degli stessi benefici fiscali concessi agli enti nazionali di pubblica utilità, dal momento che agli Stati membri verrebbe richiesto di considerare la FE come un ente di pubblica utilità costituito in conformità alla legislazione degli Stati membri in questione. I donatori e i beneficiari della FE dovrebbero essere trattati secondo lo stesso principio. Il capo IX (Disposizioni finali) richiede agli Stati membri di definire norme in materia di sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni del presente regolamento e di intraprendere tutte le misure necessarie per garantirne l’attuazione. La proposta include anche una clausola di revisione. INCIDENZA SUL BILANCIO La proposta non ha alcuna incidenza sul bilancio dell’Unione europea. INFORMAZIONI AGGIUNTIVE Il regolamento proposto è d’interesse per lo Spazio economico europeo. RELAZIONE 216 2012/0022 (APP) Proposta di REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO sullo statuto della fondazione europea (FE) (Testo rilevante ai fini del SEE) IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare l’articolo 352, vista la proposta della Commissione europea, previa trasmissione del progetto di atto legislativo ai parlamenti nazionali, vista l’approvazione del Parlamento europeo13, visto il parere del Comitato economico e sociale europeo14, visto il parere del Comitato delle regioni15, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, considerando quanto segue: (1) Grazie alle attività svolte in vari settori, gli enti di pubblica utilità contribuiscono al raggiungimento dei valori e degli obiettivi fondamentali dell’Unione, come il rispetto dei diritti umani, la tutela delle minoranze, l’occupazione e il progresso sociale, la protezione, la salvaguardia e il miglioramento dell’ambiente o la diffusione dei progressi scientifici e tecnologici. (2) Il quadro normativo in cui gli enti di pubblica utilità svolgono le proprie attività nell’Unione si basa sul diritto nazionale e non è soggetto ad armonizzazione a livello UE. Inoltre, sussistono differenze sostanziali tra il diritto civile e quello tributario dei vari Stati membri. Tali differenze rendono costose e complesse le operazioni transfrontaliere degli enti di pubblica utilità. Di conseguenza, la veicolazione transfrontaliera di fondi per scopi di pubblica utilità rimane ampiamente sottosfruttata. (3) In considerazione dei problemi affrontati dagli enti di pubblica utilità e del fatto che non esiste un’altra forma giuridica europea che tali enti possano utilizzare per le proprie attività, è necessario creare una forma europea specificatamente pensata per tali entità a livello UE. Questa forma giuridica dovrebbe essere il più uniforme possibile a livello dell’Unione, allo scopo di promuovere al meglio le attività transfrontaliere di pubblica utilità. (4) Il Parlamento europeo ha adottato alcune risoluzioni: il 6 aprile 2011 sul mercato unico per gli europei16, il 19 febbraio 2009 sull’economia sociale17, il 4 luglio 13 14 15 16 17 GU C […] del […], pag. […]. GU C […] del […], pag. […]. GU C […] del […], pag. […]. 2010/2278(INI). 2008/2250(INI). 217 RELAZIONE 2006 sui recenti sviluppi e le prospettive in materia di diritto societario18 e, in data 10 marzo 2011, ha emesso una dichiarazione scritta sull’introduzione di statuti europei per le mutue, le associazioni e le fondazioni19, in cui viene invocato uno statuto della fondazione europea. (5) Il 28 aprile 2010 il Comitato economico e sociale europeo ha emesso un parere sullo statuto della fondazione europea20, mentre il Comitato delle regioni ha emesso il proprio parere sull’Atto per il mercato unico in data 1° aprile 201121. Entrambi i pareri hanno supportato l’iniziativa della Commissione volta a istituire uno statuto della fondazione europea. (6) La fondazione europea (in prosieguo “FE”) dovrebbe essere regolamentata dalle norme sostanziali definite nel presente regolamento e nello statuto della FE. Le disposizioni del diritto nazionale applicabili agli enti di pubblica utilità troveranno applicazione per le questioni non disciplinate dal regolamento o dallo statuto della FE o per gli aspetti regolamentati solo parzialmente. (7) La FE dovrebbe promuovere esclusivamente scopi di pubblica utilità, intesi a favore di un ampio gruppo di beneficiari. Dal momento che le attività degli enti di pubblica utilità si concentrano su settori cruciali per i cittadini e l’economia europei, tale ambito apporterebbe i massimi benefici in termini sociali, economici e ambientali. A garanzia della certezza del diritto, lo scopo di pubblica utilità dovrebbe essere definito in base a un elenco completo di scopi. (8) L’obiettivo principale dello statuto è quello di eliminare gli ostacoli che le fondazioni devono affrontare durante le operazioni transfrontaliere a livello UE. Pertanto, l’azione dell’Unione si dovrebbe concentrare su quegli enti di pubblica utilità che svolgono già attività in altri Stati membri o che hanno l’intenzione di farlo, come indicato nel loro statuto. (9) La FE deve dotarsi di un patrimonio minimo che la renda affidabile agli occhi di donatori e autorità pubbliche, attesti la serietà del proprio scopo e prevenga l’abuso di questa forma giuridica. Tuttavia, il requisito del patrimonio minimo non deve rendere troppo onerosa la costituzione della fondazione europea, ostacolando l’attuazione di tale forma giuridica. (10) Per essere pienamente operativa, la FE deve avere personalità e piena capacità giuridica in tutti gli Stati membri ed essere capace di intraprendere quelle attività necessarie per il perseguimento dello scopo di pubblica utilità nella misura in cui siano in linea con il proprio statuto e con il presente regolamento. (11) La capacità di svolgere attività di carattere economico correlate o meno allo scopo di pubblica utilità, conferirebbe alla FE una fonte di finanziamento 18 19 20 21 2006/2051(INI). Dichiarazione scritta 84/2010, P7_DCL(2010)0084. INT/498 - CESE 634/2010 - Aprile 2010. CdR 330/2010 fin. RELAZIONE 218 fondamentale e un mezzo per incrementare i fondi disponibili per scopi di pubblica utilità; tali attività dovrebbero essere autorizzate. Tuttavia, allo scopo di garantire l’impiego adeguato del patrimonio e la tutela dei creditori, dovrebbe essere definita una soglia per le attività economiche autorizzate, ma non correlate. (12) Per consentire alla FE di perseguire le proprie attività transfrontaliere, questa dovrebbe beneficiare, se del caso, di un diritto di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. (13) Per rendere la FE ampiamente accessibile ai fondatori e alle fondazioni, questa dovrebbe poter essere costituita ex nihilo, per fusione tra enti nazionali di pubblica utilità o per trasformazione di tali enti in una FE. Per facilitare la creazione della FE per trasformazione o fusione transfrontaliera, il regolamento dovrebbe definire alcune norme procedurali. Le fusioni tra enti di pubblica utilità con sede nello stesso Stato membro dovrebbero essere regolamentate dalle leggi di tale Stato. (14) Allo scopo di evitare oneri inutili per gli enti di pubblica utilità, le formalità richieste per la registrazione della FE dovrebbero limitarsi a quei requisiti necessari per garantire la certezza del diritto. Gli uffici nazionali del registro dovrebbero comunicare alla Commissione le FE registrate. (15) Per consentire alla FE di munirsi di un quadro giuridico che possa adattarsi alle proprie esigenze e dimensioni ed evolversi di pari passo con lo svolgimento dell’attività, questa dovrebbe poter definire nel proprio statuto l’organizzazione interna più idonea. Tuttavia, il regolamento dovrebbe definire alcune norme obbligatorie in materia di governance, in particolare sui compiti e sul ruolo del consiglio di amministrazione e sul numero minimo dei suoi membri. La FE dovrebbe essere in grado di istituire un organo di vigilanza o altri organi. Per agevolare l’espressione di opinioni indipendenti e favorire il senso critico, il consiglio di amministrazione e l’organo di vigilanza della FE dovrebbero essere sufficientemente differenziati in termini di età, sesso ed esperienze formative e professionali. L’equilibrio tra uomini e donne è particolarmente importante al fine di garantire una rappresentazione adeguata della popolazione. Viste le differenze nei sistemi nazionali, la responsabilità degli amministratori sarà regolamentata dal diritto nazionale applicabile. (16) È fondamentale che il patrimonio della FE venga impiegato per il perseguimento del proprio scopo di pubblica utilità. Dovrebbero essere definite norme chiare per evitare conflitti di interessi che minerebbero tale principio. A questo proposito va rilevato che non solo un conflitto di interessi effettivo, ma anche il suo semplice insorgere, può avere un effetto sulla reputazione e sull’immagine della FE. (17) Ai fini della credibilità e dell’affidabilità, la FE dovrebbe applicare standard elevati di trasparenza e rendicontazione, nonché registrare le proprie transazioni finanziarie e i conti annuali. Tali conti dovrebbero essere soggetti a revisione contabile e resi pubblici conformemente ai requisiti definiti nella direttiva 2006/43/CE del 219 RELAZIONE Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE e abroga la direttiva 84/253/CEE del Consiglio22. (18) Per consentire alla FE di beneficiare appieno del mercato unico, questa dovrebbe poter trasferire la propria sede da uno Stato membro all’altro. (19) La FE dovrebbe essere supervisionata da un’autorità statale di vigilanza, viste le sue peculiarità specifiche. Ciò avviene già in tutti gli Stati membri per quanto riguarda gli enti nazionali di pubblica utilità. Per poter beneficiare delle procedure già attuate dalle autorità nazionali, la vigilanza dovrebbe avvenire a livello nazionale. Il regolamento dovrebbe definire poteri di controllo minimi, ma severi, allo scopo di garantire che le autorità di vigilanza dispongano di poteri adeguati e sufficientemente uniformi a livello dell’Unione. Per ottenere un controllo efficiente dovrebbe essere garantita la cooperazione tra le autorità di vigilanza degli Stati membri. (20) Gli Stati membri sono liberi di definire il trattamento fiscale applicabile agli enti di pubblica utilità e ai relativi donatori per quanto concerne le imposte sul reddito e sui redditi di capitale, le imposte sulle donazioni e sulle successioni, le imposte patrimoniali e fondiarie, nonché le imposte sui trasferimenti, di registro e simili. Al tempo stesso è necessario garantire che gli Stati membri non effettuino discriminazioni contro enti stranieri di pubblica utilità e i rispettivi donatori. (21) Molti Stati membri riservano un trattamento fiscale vantaggioso agli enti di pubblica utilità e ai loro donatori. Per questa ragione, allo scopo di garantire il massimo valore aggiunto agli enti di pubblica utilità nell’Unione, la FE dovrebbe poter beneficiare degli stessi vantaggi fiscali che lo Stato membro in cui la stessa ha sede garantisce agli enti nazionali di pubblica utilità. Questo trattamento non discriminatorio dovrebbe trovare applicazione anche per i donatori che effettuano donazioni a favore della FE e dei suoi beneficiari, a livello nazionale o transfrontaliero. In ogni caso, questo trattamento dovrebbe essere applicato senza che la FE o i suoi donatori o beneficiari debbano attestare che questa equivale a un ente nazionale di pubblica utilità. (22) Gli Stati membri dovrebbero riservare alla FE, per le sue attività economiche, comprese quelle autorizzate ma non correlate, lo stesso trattamento fiscale di cui beneficiano gli enti nazionali di pubblica utilità. Qualsiasi trattamento fiscale preferenziale per tali attività economiche, comprese quelle autorizzate ma non correlate, dovrebbe inoltre essere conforme alle disposizioni del trattato in materia di concorrenza, incluse le norme sugli aiuti di Stato. (23) Devono essere adottate alcune disposizioni per garantire il diritto ai lavoratori della FE di essere informati e consultati a livello transnazionale nel caso in cui la FE vanti un numero significativo di lavoratori in vari Stati membri. Per garantire che tali disposizioni siano adatte alla situazione specifica di ciascuna FE, le 22 GU L 157 del 9.6.2006, pag. 87. RELAZIONE 220 modalità pratiche per l’informazione e la consultazione transnazionale dei lavoratori dovrebbero essere anzitutto definite con un accordo tra le parti della FE o, in assenza di tale accordo, applicando una serie di prescrizioni accessorie contenute nella direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie23. Vista l’importanza del volontariato nelle fondazioni, i volontari di lunga durata dovrebbero essere coinvolti nel processo di informazione e consultazione della FE. (24) Ai fini di un’applicazione efficace del presente regolamento, gli Stati membri dovrebbero garantire che le disposizioni adottate in relazione al regolamento non implichino restrizioni normative sproporzionate per la FE o un trattamento discriminatorio della stessa rispetto agli enti di pubblica utilità regolamentati dalla legislazione nazionale. (25) Gli Stati membri dovrebbero definire le norme in materia di sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni del presente regolamento (inclusa la violazione dell’obbligo di regolamentare nello statuto della FE le questioni prescritte dal presente regolamento) e garantirne l’applicazione. Tali sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. (26) Ai fini dell’adozione del presente regolamento, il trattato sul funzionamento dell’Unione europea non prevede poteri diversi da quelli definiti all’articolo 352. (27) Poiché gli obiettivi dell’azione proposta per agevolare le attività transfrontaliere degli enti di pubblica utilità non possono essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri ove riguardino la creazione di una forma per enti di pubblica utilità con caratteristiche comuni a livello dell’Unione, e tali obiettivi possono essere raggiunti in modo più efficace a livello UE viste le dimensioni dell’azione, l’Unione può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea. Il presente regolamento si limita a quanto è necessario per conseguire tali obiettivi, in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo. (28) Il presente regolamento lascia impregiudicate le norme relative alle fondazioni a carattere politico a livello europeo di cui al regolamento (CE) n. 2004/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici a livello europeo24, 23 24 GU L 122 del 16.5.2009, pag. 28. GU L 297 del 15.11.2003, pag. 1. 221 RELAZIONE HA ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO: Capo I Disposizioni generali SEZIONE 1 OGGETTO, NORME APPLICABILI E DEFINIZIONI Articolo 1 Oggetto Il presente regolamento definisce le condizioni che disciplinano la costituzione e l’operatività di una fondazione europea (Fundatio Europaea, in prosieguo “FE”). Articolo 2 Definizioni Ai fini del presente regolamento si applicano le seguenti definizioni: (1) “patrimonio”: qualsiasi risorsa materiale o immateriale che può essere posseduta o controllata al fine di produrre valore; (2) “attività economica non correlata”: attività economica della FE non direttamente correlata allo scopo dell’ente di pubblica utilità; (3) “disposizione testamentaria”: qualsiasi documento giuridico, secondo la legislazione nazionale dello Stato membro in cui risiede il de cuius, che descrive le modalità di gestione e distribuzione del patrimonio dello stesso in seguito alla sua morte; (4) “ente pubblico”: qualsiasi organismo, appartenente o meno da un punto di vista giuridico all’autorità statale, nazionale, regionale o di amministrazione locale o a un’altra autorità pubblica legalmente costituita, che fornisce servizi pubblici o svolge mansioni pubbliche su base legale; (5) “ente di pubblica utilità”: fondazione con scopo di pubblica utilità e/o persona giuridica simile con scopo di pubblica utilità senza status di socio, costituita in conformità alle leggi di uno Stato membro; (6) “Stato membro d’origine”: lo Stato membro in cui la FE ha la propria sede subito prima del trasferimento di quest’ultima in un altro Stato membro; (7) “Stato membro ospitante”: lo Stato membro in cui viene trasferita la sede della FE. Articolo 3 Norme applicabili alla FE 1. La FE è disciplinata dal presente regolamento e dallo statuto della stessa. 2. Per quanto concerne le questioni che non sono disciplinate, o che lo sono solo in parte, dal presente regolamento e/o dallo statuto della FE, quest’ultima è assoggettata alle seguenti norme: (a) le disposizioni adottate dagli Stati membri per garantire l’effettiva applicazione del presente regolamento; RELAZIONE 222 (b) per gli aspetti non regolamentati dal punto a), le disposizioni della legislazione nazionale applicabili agli enti di pubblica utilità. Articolo 4 Divulgazione 1. Le informazioni relative alla FE soggette a divulgazione in base al presente regolamento vengono rese note conformemente alla legislazione nazionale applicabile, in modo tale da essere facilmente accessibili al pubblico. 2. Le lettere e i moduli d’ordine della FE, siano essi cartacei o in formato elettronico, nonché eventuali siti internet della stessa devono riportare le seguenti indicazioni: (a) le informazioni necessarie a individuare l’ufficio del registro di cui all’articolo 22, paragrafo 1, unitamente al numero di registrazione della FE; (b) il nome della FE, lo Stato membro in cui ha sede e l’indirizzo di quest’ultima; e (c) se del caso, l’indicazione che la FE è soggetta a una procedura di insolvenza o di scioglimento. SEZIONE 2 REQUISITI GENERALI DELLA FE Articolo 5 Scopo di pubblica utilità 1. La FE è un ente costituito separatamente per uno scopo di pubblica utilità. 2. La FE opera al servizio dell’interesse pubblico in genere. Può essere costituita soltanto per gli scopi di seguito elencati e ai quali il suo patrimonio è irrevocabilmente destinato: (a) arte, cultura o conservazione del patrimonio storico; (b) tutela ambientale; (c) diritti civili o umani; (d) eliminazione delle discriminazioni basate su sesso, razza, etnia, credo religioso, disabilità, orientamento sessuale o altre forme di discriminazione prescritte dalla normativa; (e) assistenza sociale, inclusa la prevenzione della povertà o il soccorso ai poveri; (f) aiuti umanitari o soccorsi in caso di disastro; (g) aiuti e cooperazione allo sviluppo; (h) assistenza ai rifugiati o agli immigranti; (i) tutela e sostegno a bambini, giovani o anziani; (j) tutela o assistenza alle persone con disabilità; (k) tutela degli animali; (l) scienza, ricerca e innovazione; (m) educazione e formazione; 223 RELAZIONE (n) comprensione europea e internazionale; (o) salute, benessere e assistenza sanitaria; (p) tutela dei consumatori; (q) tutela o assistenza alle persone vulnerabili e svantaggiate; (r) sport amatoriali; (s) sostegno alle infrastrutture per organizzazioni di pubblica utilità. Articolo 6 Componente transfrontaliera Al momento della registrazione, la FE deve svolgere le proprie attività, o avere l’obiettivo statutario di farlo, in almeno due Stati membri. Articolo 7 Patrimonio 1. Il patrimonio della FE è espresso in euro. 2. Il patrimonio della FE ammonta ad almeno 25 000 EUR. Articolo 8 Responsabilità La responsabilità della FE è limitata al proprio patrimonio. SEZIONE 3 PERSONALITÀ E CAPACITÀ GIURIDICA Articolo 9 Personalità giuridica La FE ha personalità giuridica in tutti gli Stati membri. La FE acquisisce personalità giuridica all’atto dell’iscrizione nei registri, conformemente agli articoli 21, 22 e 23. Articolo 10 Capacità giuridica 1. La FE ha piena capacità giuridica in tutti gli Stati membri. Salvo eventuali restrizioni indicate nello statuto, la FE è in possesso di tutti i diritti necessari per svolgere le proprie attività, tra cui il diritto di possedere beni mobili e immobili, concedere sovvenzioni, raccogliere fondi, ricevere e detenere donazioni di qualsiasi tipo, incluse azioni e altri strumenti negoziabili, eredità e donazioni “in natura” da qualsiasi fonte lecita, anche da paesi terzi. Se necessario per il perseguimento delle proprie attività, la FE gode del diritto di stabilimento in un qualsiasi Stato membro. 2. Per il perseguimento del proprio scopo, la FE può agire in qualsiasi maniera lecita consentita dal proprio statuto, che sia coerente con il proprio scopo di pubblica utilità e conforme al presente regolamento. 3. Salvo eventuali restrizioni contenute nel proprio statuto, la FE può svolgere attività in un qualsiasi paese terzo. RELAZIONE 224 Articolo 11 Attività economiche 1. Salvo eventuali restrizioni contenute nel proprio statuto, la FE ha la capacità ed è libera di intraprendere attività commerciali o altre attività economiche, a condizione che gli utili vengano esclusivamente impiegati per perseguire i propri scopi di pubblica utilità. 2. Le attività economiche non correlate allo scopo di pubblica utilità della FE possono costituire al massimo il 10% del fatturato annuo netto della stessa, a condizione che i risultati delle attività non correlate siano esposti separatamente in bilancio. Capo II Costituzione SEZIONE 1 METODI DI COSTITUZIONE Articolo 12 Metodi di costituzione 1. La FE può essere costituita secondo uno dei seguenti metodi: (a) disposizione testamentaria di una persona fisica, a norma dell’articolo 13; (b) atto notarile o dichiarazione scritta di una persona fisica e/o giuridica o di un ente pubblico conformemente al diritto nazionale applicabile, a norma dell’articolo 13; (c) fusione di enti di pubblica utilità legalmente stabiliti in uno o più Stati membri, di cui agli articoli 14, 15 e 16; (d) trasformazione in una FE di un ente nazionale di pubblica utilità legalmente stabilito in uno Stato membro, a norma degli articoli 17 e 18. 2. La FE viene costituita per un periodo indeterminato o, se esplicitamente indicato nel proprio statuto, per un lasso di tempo specificato non inferiore a due anni. Articolo 13 Costituzione per disposizione testamentaria, atto notarile o dichiarazione scritta La disposizione testamentaria, l’atto notarile o la dichiarazione scritta deve almeno: (a) dichiarare l’intenzione di costituire la FE; (b) dichiarare l’intenzione di effettuare una donazione alla FE; (c) definire il patrimonio iniziale della FE; (d) definire lo scopo di pubblica utilità della FE. 225 RELAZIONE Articolo 14 Costituzione mediante fusione 1. La FE può essere costituita mediante fusione tra enti di pubblica utilità legalmente stabiliti in uno o più Stati membri, a patto che le seguenti condizioni siano soddisfatte: (a) la fusione tra enti nazionali di pubblica utilità sia consentita in base al diritto nazionale applicabile; (b) la fusione sia consentita in base allo statuto di ciascuno degli enti partecipanti alla fusione stessa. 2. Il consiglio di amministrazione di ciascun ente partecipante alla fusione decide in merito a quest’ultima. La decisione deve soddisfare i requisiti relativi al quorum e alla maggioranza applicabili a un ente nazionale di pubblica utilità che desidera procedere a fusione con un altro ente nazionale di pubblica utilità o, in assenza di tali norme, i requisiti che troverebbero applicazione per un ente nazionale di pubblica utilità che intende modificare il proprio statuto. 3. Fatto salvo l’articolo 16, la fusione tra enti di pubblica utilità legalmente stabiliti nello stesso Stato membro avviene conformemente al diritto nazionale applicabile. La fusione tra enti di pubblica utilità legalmente stabiliti in Stati membri diversi avviene in ottemperanza all’articolo 15. Articolo 15 Richiesta di fusione transfrontaliera 1. Ciascuno degli enti partecipanti alla fusione presenta, all’autorità competente dello Stato membro in cui ciascun ente è legalmente stabilito, una richiesta dettagliata di fusione deliberata dai consigli di amministrazione a norma dell’articolo 14, paragrafo 2 e, se del caso, la pubblica conformemente alle norme di tale Stato membro. 2. La richiesta di fusione include la decisione del consiglio di amministrazione di cui all’articolo 14, paragrafo 2 e il progetto comune di fusione contenente almeno le seguenti informazioni: (a) il nome e l’indirizzo di ciascuno degli enti di pubblica utilità partecipanti alla fusione; (b) il nome e l’indirizzo della sede prevista per la FE; (c) lo statuto proposto della FE; (d) le forme di tutela dei diritti dei creditori e dei lavoratori degli enti partecipanti alla fusione. 3. Ciascuna autorità competente gestisce la richiesta di fusione secondo gli stessi principi e procedure che sarebbero stati applicati in caso di richiesta di fusione per un ente nazionale di pubblica utilità. RELAZIONE 226 4. In ciascuno Stato membro interessato l’autorità competente rilascia senza indugio un certificato attestante il completamento degli atti e delle formalità preliminari alla fusione. 5. Successivamente alla registrazione della FE a norma degli articoli 21, 22 e 23, l’ufficio del registro notifica senza indugio alle autorità competenti di cui al paragrafo 1 e, se del caso, all’autorità responsabile della registrazione, gli enti di pubblica utilità sciolti con la fusione. La cancellazione della vecchia registrazione viene possibilmente effettuata senza indugio, ma non prima di aver ricevuto la notifica. Articolo 16 Conseguenze della fusione 1. In caso di fusione mediante costituzione di una nuova persona giuridica, tutte le attività e le passività di ciascun ente di pubblica utilità vengono trasferite alla nuova FE e gli enti partecipanti alla fusione si estinguono. 2. In caso di fusione per incorporazione, tutte le attività e le passività dell’ente di pubblica utilità soggetto ad incorporazione vengono trasferite all’ente incorporante, mentre l’ente incorporato si estingue e la persona giuridica incorporante diventa la FE. Articolo 17 Costituzione mediante trasformazione 1. La FE può essere costituita per trasformazione di un ente di pubblica utilità legalmente stabilito in uno Stato membro, a condizione che ciò sia consentito in base allo statuto dell’ente oggetto della trasformazione. 2. Il consiglio di amministrazione dell’ente decide in merito alla trasformazione in FE e alle necessarie modifiche dello statuto. 3. La costituzione della FE mediante trasformazione non ha per conseguenza la liquidazione dell’ente di pubblica utilità oggetto della trasformazione o l’eventuale perdita o interruzione della propria personalità giuridica, né compromette eventuali diritti od obblighi esistenti prima della trasformazione. Articolo 18 Richiesta di trasformazione 1. Una richiesta dettagliata di trasformazione deliberata dal consiglio di amministrazione a norma dell’articolo 17, paragrafo 2, è presentata all’autorità competente dello Stato membro in cui l’ente è legalmente stabilito e, se del caso, pubblicata conformemente alle norme di tale Stato membro. 2. La richiesta di trasformazione include la decisione del consiglio di amministrazione di cui all’articolo 17, paragrafo 2 e il progetto di trasformazione contenente almeno le seguenti informazioni: (a) il nome e l’indirizzo dell’ente di pubblica utilità oggetto della trasformazione; 227 RELAZIONE (b) il nome e l’indirizzo della sede legale prevista per la FE; (c) lo statuto proposto della FE; (d) le forme di tutela dei diritti dei lavoratori dell’ente di pubblica utilità oggetto della trasformazione. 3. L’autorità competente gestisce la richiesta di trasformazione secondo gli stessi principi e procedure che sarebbero stati applicati in caso di richiesta di modifica dello statuto dell’ente di pubblica utilità. 4. L’autorità competente rilascia senza indugio un certificato attestante il completamento degli atti e delle formalità preliminari alla trasformazione. 5. Successivamente alla registrazione della FE a norma degli articoli 21, 22 e 23, l’ufficio del registro notifica senza indugio l’ente di pubblica utilità oggetto della trasformazione all’autorità competente di cui al paragrafo 1 e, se del caso, all’autorità responsabile della registrazione. La cancellazione della vecchia registrazione viene possibilmente effettuata senza indugio, ma non prima di aver ricevuto la notifica. SEZIONE 2 STATUTO Articolo 19 Contenuto minimo dello statuto 1. Lo statuto della FE riporta almeno: (a) i nomi dei fondatori; (b) il nome della FE; (c) l’indirizzo della sede; (d) una descrizione degli scopi di pubblica utilità perseguiti; (e) il patrimonio al momento della costituzione; (f) l’esercizio finanziario della FE; (g) il numero di membri del consiglio di amministrazione; (h) le norme relative alla nomina e alla revoca del consiglio di amministrazione; (i) gli organi della FE diversi dal consiglio di amministrazione e le rispettive funzioni, se del caso; (j) la procedura di modifica dello statuto; (k) la durata di esistenza specificata della FE, qualora questa non sia indeterminata; (l) la distribuzione del patrimonio netto in seguito a liquidazione; (m) la data di adozione dello statuto. 2. Lo statuto della FE è redatto per iscritto e soggetto ai requisiti formali del diritto nazionale applicabile. RELAZIONE 228 Articolo 20 Modifica dello statuto 1. Qualora lo statuto esistente sia diventato inadeguato per il funzionamento della FE, il consiglio di amministrazione può decidere di modificarlo. 2. Lo scopo della FE può essere modificato soltanto se quello attuale è stato perseguito o non può essere conseguito, oppure nel caso sia evidente che lo scopo attuale non rappresenta più un modo idoneo ed efficace di impiegare il patrimonio della FE. 3. Eventuali modifiche allo statuto, qualora riguardino lo scopo della FE, sono in linea con la volontà del fondatore. 4. Il consiglio di amministrazione delibera all’unanimità in merito a eventuali modifiche dello scopo della FE e le presenta all’autorità di vigilanza per approvazione. SEZIONE 3 REGISTRAZIONE Articolo 21 Registrazione 1. La FE viene registrata in uno Stato membro. 2. La FE costituita mediante fusione tra due enti di pubblica utilità legalmente stabiliti nello stesso Stato membro viene registrata in tale Stato. 3. La FE costituita in virtù di una fusione transfrontaliera viene registrata in uno degli Stati membri in cui gli enti partecipanti alla fusione erano legalmente stabiliti. 4. La FE costituita mediante trasformazione viene registrata nello Stato membro in cui l’ente oggetto della trasformazione era originariamente stabilito. Articolo 22 Ufficio del registro 1. Ciascuno Stato membro designa un ufficio del registro per la registrazione della FE e provvede a darne comunicazione alla Commissione. 2. Gli uffici del registro incaricati secondo il paragrafo 1 sono responsabili per la memorizzazione delle informazioni relative alle FE registrate. Gli uffici del registro collaborano tra loro per quanto concerne i documenti, le informazioni e i dati relativi alle FE. 3. Entro il 31 marzo di ogni anno, gli uffici del registro comunicano alla Commissione il nome, l’indirizzo della sede, il numero di registrazione e il settore di attività della FE registrata, e cancellata, dai registri nell’anno civile precedente, nonché il numero complessivo di FE registrate al 31 dicembre dell’anno precedente. Articolo 23 Formalità correlate alla registrazione 1. Le richieste di registrazione della FE sono corredate dei seguenti documenti e informazioni, nella lingua richiesta dal diritto nazionale applicabile: 229 RELAZIONE (a) il nome della FE e l’indirizzo della sede prevista nell’Unione europea; (b) i documenti di costituzione; (c) una dichiarazione firmata indicante il patrimonio da accantonare per gli scopi della FE o un’altra prova attestante il pagamento del conferimento in denaro o il corrispettivo in natura, unitamente ai relativi estremi; (d) lo statuto della FE; (e) i nomi e gli indirizzi, unitamente a qualsiasi altra informazione utile conformemente al diritto nazionale applicabile, allo scopo di individuare: i) tutti i membri del consiglio di amministrazione e i rispettivi sostituti, ove presenti; ii) altre persone autorizzate a rappresentare la FE nei rapporti con terzi e in giudizio; iii) il revisore o i revisori contabili della FE; (f) se le persone di cui ai punti i) e ii) della lettera e) rappresentano la FE singolarmente o collettivamente; (g) i nomi, gli scopi e gli indirizzi delle organizzazioni fondatrici laddove queste siano entità giuridiche, o informazioni inerenti simili relative agli enti pubblici; (h) i nomi e gli indirizzi degli uffici della FE, ove esistenti, e le informazioni necessarie a individuare l’ufficio del registro competente e il numero di registrazione; (i) qualora la FE sia stata costituita a seguito di una fusione, i seguenti documenti: i) il progetto di fusione; ii) i certificati di cui all’articolo 15, paragrafo 4, rilasciati meno di sei mesi prima della data di presentazione della domanda; iii) le prove attestanti che sono stati osservati i requisiti del diritto nazionale applicabile in materia di tutela dei creditori e dei lavoratori; (j) qualora la FE sia stata costituita a seguito di una trasformazione, i seguenti documenti: i) l’atto di trasformazione; ii) il certificato di cui all’articolo 18, paragrafo 4, rilasciato meno di sei mesi prima della data di presentazione della domanda; iii) le prove attestanti che sono stati osservati i requisiti del diritto nazionale applicabile in materia di tutela dei lavoratori; (k) un certificato emesso dall’ufficio del casellario giudiziario e una dichiarazione dei membri del consiglio di amministrazione attestante la loro effettiva appartenenza al consiglio. Gli Stati membri non richiedono altri documenti o informazioni per la registrazione. RELAZIONE 230 L’ufficio del registro o, se del caso, le altre autorità competenti verificano la conformità dei documenti e delle informazioni con i requisiti del presente regolamento e del diritto nazionale applicabile. 2. L’ufficio del registro o, se del caso, le altre autorità competenti verificano che il richiedente adempia ai requisiti del presente regolamento. 3. L’ufficio del registro provvede a registrare la FE se questa ha presentato tutti i documenti e le informazioni di cui al paragrafo 1 e si è conformata ai requisiti del presente regolamento entro dodici settimane dalla data della domanda. In seguito alla registrazione non sono richieste altre autorizzazioni da parte dello Stato membro. 4. La decisione dell’ufficio del registro, unitamente alle informazioni di cui al paragrafo 1, lettere a) e da d) a h), del presente articolo, sono soggette a divulgazione. Articolo 24 Modifiche ai documenti e alle informazioni presentati per la registrazione 1. Il consiglio di amministrazione, o chiunque autorizzato a rappresentare la FE, presenta all’ufficio del registro eventuali modifiche ai documenti o alle informazioni di cui all’articolo 23, paragrafo 1, entro 14 giorni di calendario dalla data in cui viene apportata la modifica. 2. Successivamente a ogni modifica apportata allo statuto, la FE inoltra il testo integrale dello stesso all’ufficio del registro, nella sua versione aggiornata. La presentazione di una modifica delle informazioni registrate è accompagnata da prove documentali attestanti che la modifica è stata decisa in maniera legittima. 3. La registrazione delle modifiche relative ai documenti e alle informazioni di cui all’articolo 23, paragrafo 4 è soggetta a divulgazione. Articolo 25 Nome della FE 1. Il nome della FE include l’abbreviazione “FE”. 2. Soltanto la FE può utilizzare tale acronimo nel proprio nome. Tuttavia, gli enti il cui nome contiene l’acronimo “FE” o è seguito dalla dicitura “FE”, registrati in uno Stato membro prima della data di entrata in vigore del presente regolamento, non devono modificare i propri nomi o tale abbreviazione. Articolo 26 Responsabilità per gli atti intrapresi prima della registrazione della FE La responsabilità per gli atti intrapresi prima della registrazione della FE sono regolamentati dal diritto nazionale applicabile. 231 RELAZIONE Capo III Organizzazione della FE Articolo 27 Consiglio di amministrazione 1. La FE è amministrata da un consiglio di amministrazione composto da almeno tre membri (sempre in numero dispari), come disposto dallo statuto della FE. 2. Ciascun membro del consiglio esprime un voto in caso di deliberazione. 3. Salvo disposizioni contrarie contenute nello statuto della FE o nel presente regolamento, il consiglio decide per maggioranza dei propri membri. Articolo 28 Membri del consiglio di amministrazione 1. I membri del consiglio di amministrazione hanno piena capacità giuridica e non devono essere interdetti dall’incarico di amministratore in base alle leggi di uno Stato membro o a una decisione giudiziaria o amministrativa in uno qualsiasi degli Stati membri. 2. I membri del consiglio di amministrazione possono rassegnare le proprie dimissioni in qualsiasi momento. Un membro del consiglio di amministrazione rassegna le proprie dimissioni in una qualsiasi delle seguenti situazioni: (a) non soddisfa i requisiti di cui al paragrafo 1; (b) non soddisfa i requisiti di ammissione definiti nei documenti di costituzione o nello statuto della FE; (c) è accusato di illecito finanziario da un tribunale; (d) viene ritenuto palesemente inadatto ad adempiere ai compiti di amministratore, in considerazione degli atti o delle omissioni compiuti. 3. Se previsto dallo statuto della FE, il consiglio di amministrazione o l’organo di vigilanza possono revocare dall’incarico un membro del consiglio di amministrazione per le ragioni indicate al paragrafo 2, secondo comma. L’autorità di vigilanza può revocare un membro del consiglio di amministrazione per le ragioni indicate al paragrafo 2, secondo comma oppure, qualora previsto dal diritto nazionale applicabile, può proporre la revoca a un tribunale competente. Articolo 29 Compiti del consiglio di amministrazione e dei suoi membri 1. Il consiglio di amministrazione ha i seguenti compiti: (a) assumersi la responsabilità per la corretta amministrazione, gestione e condotta delle attività della FE; (b) garantire l’osservanza dello statuto della FE, del presente regolamento e del diritto nazionale applicabile. RELAZIONE 232 2. I membri del consiglio di amministrazione agiscono nel miglior interesse della FE e del suo scopo di pubblica utilità e adempiono a un obbligo di lealtà nell’esercizio delle proprie responsabilità. Articolo 30 Amministratori delegati 1. Il consiglio di amministrazione può nominare uno o più amministratori delegati incaricati della gestione giornaliera della FE, in ottemperanza alle indicazioni fornite. Il presidente e la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione non possono ricoprire contemporaneamente la carica di amministratore delegato. 2. Gli amministratori delegati agiscono nel miglior interesse della FE e del suo scopo di pubblica utilità e adempiono a un obbligo di lealtà nell’esercizio delle proprie responsabilità. Articolo 31 Altri organi della FE Lo statuto della FE può prevedere l’istituzione di un organo di vigilanza e di altri organi. Articolo 32 Conflitti di interesse 1. Il fondatore e qualsiasi altro membro del consiglio di amministrazione che possa avere un rapporto d’affari, familiare o di altro tipo con il fondatore o con altri membri del consiglio di amministrazione, tale da generare un conflitto di interessi effettivo o potenziale che potrebbe pregiudicare i rispettivi giudizi e opinioni, non possono rappresentare la maggioranza del consiglio di amministrazione. 2. Non è possibile ricoprire contemporaneamente la carica di membro del consiglio di amministrazione e dell’organo di vigilanza. 3. Nessun beneficio, sia esso diretto o indiretto, può essere distribuito a fondatori, membri del consiglio di amministrazione o dell’organo di vigilanza, amministratori delegati o revisori contabili, né può essere procurato a persone che hanno un rapporto d’affari o di stretta parentela con tali soggetti, a meno che tali benefici non siano strumentali all’espletamento delle proprie mansioni all’interno della FE. Articolo 33 Rappresentanza della FE dinanzi a terzi Il consiglio di amministrazione, nonché eventuali altri soggetti autorizzati dal consiglio stesso e debitamente istruiti da quest’ultimo, possono rappresentare la FE dinanzi a terzi e in giudizio. 233 RELAZIONE Articolo 34 Trasparenza e rendicontazione 1. La FE tiene traccia, in maniera completa e accurata, di tutte le transazioni finanziarie. 2. La FE redige e inoltra all’ufficio del registro nazionale competente e all’autorità di vigilanza il bilancio annuale e una relazione annuale di attività entro sei mesi dalla fine dell’esercizio finanziario. Il primo periodo di rendicontazione decorre dalla data di registrazione della FE ai sensi degli articoli 21, 22 e 23 fino all’ultimo giorno dell’esercizio finanziario come indicato nello statuto della FE. 3. La relazione annuale di attività contiene almeno i seguenti dati: (a) informazioni sulle attività della FE; (b) descrizione dei modi in cui, durante l’esercizio finanziario in questione, sono stati promossi gli scopi di pubblica utilità per cui è stata costituita la FE; (c) un elenco delle sovvenzioni assegnate, tenendo in considerazione il diritto alla privacy dei beneficiari. 4. I conti annuali della FE sono sottoposti alla revisione contabile di uno o più soggetti autorizzati a espletare le revisioni legali in base alle norme nazionali adottate in conformità alla direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. 5. I conti annuali debitamente approvati dal consiglio di amministrazione, unitamente al parere della persona incaricata della revisione dei conti, e la relazione di attività sono soggetti a divulgazione. Capo IV Sede e trasferimento Articolo 35 Sede della FE La FE ha la propria sede, nonché l’amministrazione centrale o il luogo principale di attività all’interno dell’Unione europea. Articolo 36 Trasferimento della sede 1. La FE può trasferire la propria sede da uno Stato membro ad un altro. Tale trasferimento non porta allo scioglimento della FE o alla creazione di una nuova entità giuridica, né compromette eventuali diritti od obblighi esistenti prima del trasferimento. 2. Il trasferimento ha effetto dalla data di registrazione della FE nello Stato membro ospitante. 3. La FE non trasferisce la propria sede qualora questa sia l’oggetto dell’esercizio dei poteri di controllo definiti all’articolo 46, paragrafo 2, secondo comma; si trovi in fase di scioglimento conformemente all’articolo 40; sia stato avviato un procedimento di liquidazione, insolvenza o simile, oppure qualora il trasferimento RELAZIONE 234 sia contrario allo statuto della FE o metta a rischio l’adempimento dello scopo della FE. 4. La registrazione nello Stato membro ospitante e la cancellazione dall’ufficio del registro dello Stato membro d’origine sono oggetto di divulgazione. Articolo 37 Procedura di trasferimento 1. Il consiglio di amministrazione della FE presenta una proposta di trasferimento all’autorità competente dello Stato membro d’origine. 2. La proposta di trasferimento contiene almeno le seguenti informazioni: (a) il nome della FE, l’indirizzo della sede nello Stato membro d’origine, le informazioni necessarie per identificare l’ufficio del registro di cui all’articolo 22, paragrafo 1, e il rispettivo numero di registrazione della FE; (b) il nome proposto della FE e l’indirizzo della sede prevista nello Stato membro ospitante; (c) se del caso, lo statuto modificato della FE; (d) le tempistiche proposte per il trasferimento; (e) una relazione in cui vengono illustrati e motivati gli aspetti giuridici ed economici del trasferimento proposto e in cui vengono chiarite le implicazioni di quest’ultimo per i creditori e i lavoratori della FE. 3. L’autorità competente dello Stato membro d’origine verifica che non sussista una delle situazioni elencate all’articolo 36, paragrafo 3, ed emette senza indugio un certificato attestante il completamento degli atti e delle formalità da espletare prima del trasferimento. 4. La FE presenta i seguenti documenti e informazioni all’autorità competente dello Stato membro ospitante: (a) il certificato indicato al paragrafo 3; (b) la proposta di trasferimento approvata dal consiglio di amministrazione; (c) i documenti e le informazioni elencati all’articolo 23, paragrafo 1. 5. L’autorità competente dello Stato membro ospitante verifica senza indugio se siano soddisfatte le condizioni sostanziali e formali prescritte dal presente capo per il trasferimento della sede e notifica la propria decisione all’ufficio del registro competente dello Stato membro ospitante. L’autorità competente dello Stato membro ospitante può rifiutare il trasferimento solo a motivo dell’insussistenza delle condizioni di cui al comma precedente. 6. L’ufficio del registro competente dello Stato membro ospitante procede alla registrazione della FE. L’autorità competente dello Stato membro ospitante notifica senza indugio all’ufficio del registro competente dello Stato membro d’origine l’avvenuta registrazione della FE nello Stato membro ospitante. 235 RELAZIONE L’ufficio del registro competente dello Stato membro d’origine cancella senza indugio la FE dal registro, ma non prima di aver ricevuto la notifica. Capo V Coinvolgimento dei lavoratori e dei volontari Articolo 38 Rappresentanza dei lavoratori e dei volontari 1. Nel caso in cui il numero complessivo di lavoratori assunti all’interno dell’Unione dalla FE e dai rispettivi uffici sia pari o superiore a 50, di cui almeno 10 in ciascuno degli Stati membri (almeno due), la FE istituisce un comitato aziendale europeo in rappresentanza dei lavoratori della FE, conformemente al paragrafo 2. 2. La FE con un massimo di 200 lavoratori istituisce un comitato aziendale europeo su richiesta di almeno 20 lavoratori in almeno due Stati membri o dei loro rappresentanti. La FE con più di 200 lavoratori istituisce un comitato aziendale europeo su richiesta di almeno il 10% dei lavoratori in almeno due Stati membri o dei loro rappresentanti. I provvedimenti nazionali relativi alle prescrizioni accessorie di cui all’allegato I, punto 1, lettere da a) ad e), della direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio si applicano all’istituzione del comitato aziendale europeo. 3. Ai rappresentanti dei volontari impegnati per un periodo prolungato in attività ufficiali di volontariato all’interno della FE viene assegnato lo status di osservatore all’interno del comitato aziendale europeo. Il numero di tali rappresentanti è pari ad almeno uno per Stato membro in cui sono presenti almeno dieci volontari. Articolo 39 Informazioni e consultazione dei lavoratori e dei volontari 1. I lavoratori e i volontari della FE vengono informati e consultati a livello dell’Unione in merito alla situazione, all’evoluzione, all’organizzazione e agli aspetti occupazionali della FE attraverso il comitato aziendale europeo istituito in conformità all’articolo 38. 2. Il comitato aziendale europeo e il consiglio di amministrazione o, se del caso, gli amministratori delegati della FE possono stipulare un accordo sulle modalità pratiche di informazione e consultazione dei lavoratori all’interno della FE. 3. Qualora non venga stipulato un accordo simile o in merito ad aspetti non trattati da tale accordo, si applicano i provvedimenti nazionali sulle prescrizioni accessorie di cui all’allegato I, punti da 2 a 6 della direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. RELAZIONE 236 Capo VI Scioglimento della FE Articolo 40 Metodi di scioglimento La FE può essere sciolta secondo uno dei seguenti metodi: (a) trasformazione della FE in un ente di pubblica utilità di diritto nazionale, a norma degli articoli 41 e 42; (b) liquidazione della FE, a norma degli articoli 43 e 44. Articolo 41 Scioglimento mediante trasformazione 1. La FE può essere trasformata in un ente di pubblica utilità disciplinato dalle leggi dello Stato membro in cui ha la propria sede, a condizione che tale trasformazione sia consentita in base allo statuto della FE. La trasformazione può essere effettuata solo dopo due anni dalla registrazione della FE. 2. Il consiglio di amministrazione della FE decide in merito alla trasformazione e alle modifiche necessarie da apportare allo statuto. 3. La trasformazione non porta alla liquidazione dell’ente o alla creazione di una nuova persona giuridica, né compromette eventuali diritti od obblighi in essere prima della trasformazione. Articolo 42 Richiesta di scioglimento mediante trasformazione 1. La FE presenta una richiesta dettagliata di scioglimento mediante trasformazione all’autorità competente dello Stato membro in cui ha la propria sede, conformemente alle leggi di tale Stato. 2. La richiesta di scioglimento mediante trasformazione include la decisione del consiglio di amministrazione della FE di cui all’articolo 41, paragrafo 2, il nome e l’indirizzo della sede della FE oggetto della trasformazione, il nome proposto, l’indirizzo e lo statuto del nuovo ente di pubblica utilità, nonché le forme di tutela dei diritti dei lavoratori della FE oggetto della trasformazione. 3. Qualora l’autorità competente approvi la richiesta di scioglimento mediante trasformazione, la stessa provvede a inoltrarla all’ufficio del registro e, se del caso, all’autorità responsabile della registrazione del nuovo ente di pubblica utilità. 4. Al ricevimento della richiesta approvata di scioglimento mediante trasformazione, l’ufficio del registro cancella senza indugio la FE, a condizione che la costituzione legale del nuovo ente di pubblica utilità sia stata completata. 5. La trasformazione decorre dalla data in cui la FE viene cancellata dall’ufficio del registro competente. La trasformazione è soggetta a divulgazione. 237 RELAZIONE Articolo 43 Decisione di liquidazione 1. Il consiglio di amministrazione della FE può decidere di liquidare la FE in uno dei seguenti casi: (a) lo scopo della FE è stato raggiunto o non è stato possibile raggiungerlo; (b) il periodo di tempo per cui è stata istituita è scaduto; (c) ha perso tutto il proprio patrimonio. Il consiglio di amministrazione inoltra la propria decisione di liquidazione della FE all’autorità di vigilanza per approvazione. 2. Dopo aver ascoltato il parere del consiglio di amministrazione della FE, l’autorità di vigilanza può decidere di liquidare la FE oppure, se previsto dal diritto nazionale applicabile, di proporne la liquidazione a un tribunale competente in uno dei seguenti casi: (a) qualora il consiglio di amministrazione non abbia agito nei casi elencati al paragrafo 1; (b) qualora la FE violi ripetutamente il proprio statuto, il presente regolamento o il diritto nazionale applicabile. Articolo 44 Liquidazione 1. Qualora l’autorità di vigilanza abbia approvato la decisione del consiglio di amministrazione di cui all’articolo 43, paragrafo 1, secondo comma o nel caso in cui l’autorità di vigilanza o eventualmente un tribunale abbia deciso di liquidare la FE, il patrimonio di quest’ultima viene impiegato conformemente al paragrafo 2 del presente articolo. 2. Dopo aver pagato interamente i creditori della FE, l’eventuale patrimonio residuo della stessa viene trasferito a un altro ente di pubblica utilità con uno scopo analogo o impiegato in altro modo a scopi di pubblica utilità il più affini possibile a quelli per cui era stata istituita la FE. 3. Il consiglio di amministrazione o il liquidatore responsabile trasmette all’autorità di vigilanza il bilancio finale alla data in cui ha effetto la liquidazione, unitamente a una relazione recante le informazioni sulla distribuzione del patrimonio residuo. Tali documenti sono soggetti a divulgazione. Capo VII Vigilanza dello Stato membro Articolo 45 Autorità di vigilanza Ciascuno Stato membro designa un’autorità di vigilanza per il controllo delle FE registrate in tale Stato membro e provvede a darne comunicazione alla Commissione. RELAZIONE 238 Articolo 46 Poteri e compiti dell’autorità di vigilanza 1. L’autorità di vigilanza garantisce che il consiglio di amministrazione agisca in conformità allo statuto della FE, al presente regolamento e al diritto nazionale applicabile. 2. L’autorità di vigilanza ha il potere di approvare la modifica dello scopo della FE conformemente all’articolo 20, paragrafo 4 e la liquidazione della stessa a norma dell’articolo 43, paragrafo 1, secondo comma. Ai fini del paragrafo 1, l’autorità di vigilanza detiene almeno i seguenti poteri: (a) qualora abbia motivi ragionevoli per credere che il consiglio di amministrazione della FE non stia agendo conformemente allo statuto di quest’ultima, al presente regolamento o al diritto nazionale applicabile, indagare sulle attività della FE e, a tale scopo, chiedere agli amministratori, ai lavoratori e ai revisori contabili della stessa di mettere a disposizione tutte le informazioni e le prove necessarie; (b) laddove emergano prove di illeciti finanziari, gravi casi di cattiva gestione o abusi, nominare un esperto indipendente per indagare sulle attività della FE a spese di quest’ultima; (c) laddove sussistano prove indicanti che il consiglio di amministrazione non ha agito conformemente allo statuto della FE, al presente regolamento o al diritto nazionale applicabile, inviare avvertimenti al consiglio di amministrazione e ordinare a quest’ultimo di adempiere allo statuto della FE, al presente regolamento e al diritto nazionale applicabile; (d) revocare un membro del consiglio di amministrazione o, se previsto dal diritto nazionale applicabile, proporre la revoca a un tribunale competente, in conformità all’articolo 28, paragrafo 3, secondo comma; (e) decidere di liquidare la FE o, se previsto dal diritto nazionale applicabile, proporre la liquidazione della FE a un tribunale competente, in conformità all’articolo 43, paragrafo 2. 3. Fatto salvo il paragrafo 2, l’autorità di vigilanza non ha alcun potere di agire per quanto concerne l’amministrazione della FE. Articolo 47 Cooperazione tra autorità di vigilanza 1. Al fine di esercitare i poteri di controllo e prendere le misure necessarie di cui all’articolo 46, l’autorità di vigilanza dello Stato membro in cui ha sede la FE e le autorità degli Stati membri in cui la FE svolge le proprie attività collaborano insieme. 2. Le autorità di vigilanza provvedono allo scambio di tutte le informazioni rilevanti in caso di violazioni, effettive o sospette, dello statuto, del presente regolamento o del diritto nazionale applicabile commesse dalla FE. 239 RELAZIONE 3. Su richiesta dell’autorità di vigilanza di uno Stato membro in cui la FE svolge le proprie attività, l’autorità di vigilanza dello Stato membro in cui ha sede la FE indaga in merito a sospette violazioni commesse dalla stessa. L’autorità di vigilanza interpellata informa l’autorità richiedente in merito alle conclusioni tratte dalle informazioni disponibili e ad eventuali azioni intraprese. Articolo 48 Cooperazione con le autorità fiscali 1. L’autorità di vigilanza dello Stato membro in cui ha sede la FE informa le autorità fiscali di tale Stato membro in merito all’avvio di eventuali indagini relative a presunte irregolarità a norma dell’articolo 46, paragrafo 2, secondo comma, lettera a), nonché in caso di nomina di un esperto indipendente in ottemperanza all’articolo 46, paragrafo 2, secondo comma, lettera b). 2. Inoltre, informa le autorità fiscali in merito allo stato di avanzamento e all’esito di tali indagini, nonché a eventuali avvertimenti emessi o sanzioni imposte. 3. L’ufficio del registro, nonché l’autorità di vigilanza dello Stato membro in cui ha sede la FE, mettono a disposizione dell’autorità fiscale di un qualsiasi Stato membro che ne faccia richiesta eventuali documenti o informazioni relativi alla FE. Capo VIII Trattamento fiscale Articolo 49 Trattamento fiscale della FE 1. In relazione alle imposte sul reddito e sui redditi di capitale, alle imposte sulle donazioni e sulle successioni, alle imposte patrimoniali e fondiarie, nonché alle imposte sui trasferimenti, di registro e simili, lo Stato membro in cui ha sede la FE assoggetta quest’ultima allo stesso trattamento fiscale applicabile agli enti di pubblica utilità stabiliti in tale Stato membro. 2. Con riferimento alle imposte di cui al paragrafo 1, gli Stati membri diversi da quello in cui ha sede la FE assoggettano quest’ultima allo stesso trattamento fiscale applicabile agli enti di pubblica utilità stabiliti in tali Stati membri. 3. Ai fini dei paragrafi 1 e 2, la FE viene assimilata agli enti di pubblica utilità stabiliti a norma delle leggi degli Stati membri in questione. Articolo 50 Trattamento fiscale dei donatori della FE 1. Con riferimento alle imposte sul reddito, sulle donazioni, sui trasferimenti, di registro e simili, una persona fisica o giuridica che effettua una donazione alla FE a livello nazionale o transfrontaliero è soggetta allo stesso trattamento fiscale applicabile alle donazioni effettuate a favore degli enti di pubblica utilità stabiliti nello Stato membro in cui il donatore ha la residenza fiscale. RELAZIONE 240 2. Ai fini del paragrafo 1, la FE che riceve la donazione è assimilata agli enti di pubblica utilità stabiliti a norma delle leggi dello Stato membro in cui il donatore ha la residenza fiscale. Articolo 51 Trattamento fiscale dei beneficiari della FE In relazione a sovvenzioni o altri benefici ricevuti, i beneficiari della FE vengono trattati come se tali contributi fossero erogati da un ente di pubblica utilità stabilito nello Stato membro in cui il beneficiario ha la residenza fiscale. Capo IX Disposizioni finali Articolo 52 Applicazione effettiva Gli Stati membri adottano le opportune disposizioni per assicurare l’effettiva applicazione del presente regolamento entro due anni dalla sua entrata in vigore. Articolo 53 Sanzioni Gli Stati membri adottano norme in materia di sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni del presente regolamento e prendono tutte le misure necessarie per garantirne l’esecuzione. Le sanzioni comminate devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Gli Stati membri notificano tali disposizioni alla Commissione entro [due anni dall’entrata in vigore] e comunicano senza indugio alla stessa eventuali modifiche successive. Articolo 54 Revisione del regolamento Nel settimo anno successivo all’entrata in vigore del presente regolamento, la Commissione presenta al Consiglio e al Parlamento europeo una relazione sull’applicazione del regolamento ed eventuali proposte di modifica. Articolo 55 Entrata in vigore Il presente regolamento entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Esso si applica a decorrere dal [due anni dall’entrata in vigore]. Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. Fatto a Bruxelles, il 8.2.2012 Per il Consiglio Il presidente 241 RELAZIONE Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio sullo statuto della fondazione europea (FE) COM(2012) 35 final — 2012/0022 (APP) 2012/C 351/12 Relatrice: HELLAM La Commissione europea, in data 10 maggio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla: Proposta di regolamento del Consiglio sullo statuto della fondazione europea (FE) COM(2012) 35 final — 2012/0022 (APP). La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 agosto 2012. Alla sua 483a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 settembre 2012 (seduta del 18 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 132 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni. 1. Conclusioni e raccomandazioni 1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) dà il proprio sostegno alla proposta di regolamento del Consiglio sullo statuto della fondazione europea (Fundatio Europaea, in prosieguo, "FE"), presentata dalla Commissione europea (CE), che permetterà di creare una fondazione europea. Il CESE aveva già raccomandato di adottare uno statuto [1] di questo tipo per agevolare le attività e la cooperazione transfrontaliera tra le fondazioni con scopo di pubblica utilità nell’Unione europea e contribuire così al rafforzamento della coesione economica e sociale dell’UE. 1.2 Il CESE raccomanda ora al Parlamento europeo e al Consiglio di adottare senza indugi la proposta in esame. Infatti, oggi più che mai, le fondazioni affrontano tutta una serie di problematiche che vanno al di là dei confini nazionali e richiedono una forma organizzativa efficiente. Le fondazioni a livello europeo operanti nel campo della scienza, della ricerca e delle questioni sociali hanno bisogno di una forma giuridica che sia riconosciuta in ogni Stato membro dell’UE. 1.3 Uno statuto della fondazione europea è stato ripetutamente invocato dal settore delle fondazioni stesso, nonché dalle sue reti e associazioni di categoria a livello nazionale e UE, come la soluzione più efficace in termini di costi per far fronte agli ostacoli transfrontalieri e stimolare così le attività delle fondazioni in tutta Europa. 1.4 La FE avrà carattere facoltativo e non sostituirà le legislazioni locali e nazionali. Tuttavia, essa darà alle fondazioni che optano per lo statuto la possibilità di RELAZIONE 242 operare in tutti i paesi dell’UE senza dover creare strutture locali, a condizione che esse siano riconosciute nel paese in cui sono state inizialmente costituite. 1.5 A giudizio del CESE, l’azione proposta è pienamente conforme al principio di sussidiarietà. L’intervento UE è necessario allo scopo di eliminare le barriere nazionali e le attuali restrizioni con cui le fondazioni si scontrano quando operano in diversi Stati membri. La situazione attuale mostra che il problema non viene adeguatamente affrontato dalle misure adottate a livello nazionale, e il suo carattere transfrontaliero richiede un quadro europeo per migliorare lo sviluppo di fondazioni la cui missione è quella di lavorare su scala europea. Per realizzare quest’obiettivo, un’azione adottata da uno Stato membro da solo non garantirebbe risultati ottimali nel rispetto del principio del mercato unico. 1.6 La motivazione della proposta consiste nel creare un quadro giuridico innovativo in aggiunta alle legislazioni nazionali vigenti, che resteranno invariate nella forma e nel campo di applicazione. Gli Stati membri manterranno la capacità e la possibilità di scegliere di sostenere e sviluppare forme nazionali di fondazioni. 1.7 Il CESE condivide la scelta del regolamento per questa proposta. Esso rappresenta infatti lo strumento legislativo più adeguato per garantire l’uniformità dello statuto in tutti gli Stati membri e per aumentare la fiducia, dal momento che prevede l’applicazione diretta e uniforme delle norme a livello UE. Quest’aspetto è ulteriormente rafforzato dagli articoli 47 e 48 relativi alla cooperazione, rispettivamente, tra le autorità di vigilanza e con le autorità fiscali. 1.8 Il CESE condivide altresì le caratteristiche essenziali della proposta, che è intesa a trovare un equilibrio tra, da un lato, un accesso agevole allo statuto in termini di costituzione e, dall’altro, l’affidabilità in termini di trasparenza e rendicontazione. 1.9 La proposta include degli elementi fiscali che, pur non creando un nuovo regime, collocano automaticamente la FE sullo stesso piano degli enti nazionali di pubblica utilità. Questa sezione della proposta va riveduta attentamente, per non mettere a rischio, in nessun caso, la necessaria adozione del regolamento proposto. 2. Sintesi della proposta 2.1 A livello UE, non vi è alcun modo di armonizzare i quadri normativi all’interno dei quali gli enti di pubblica utilità svolgono le proprie attività nell’Unione. È stato stimato che, in tutta l’UE, sono oltre 50 le normative che disciplinano la costituzione e il funzionamento delle fondazioni. Le differenze tra le normative civili e fiscali degli Stati membri rendono costoso e complesso il funzionamento transfrontaliero di questi enti. Inoltre, gli ostacoli giuridici, fiscali e amministrativi sono d’intralcio alle fondazioni nello svolgimento di attività transfrontaliere. Di conseguenza, la veicolazione transfrontaliera di fondi per scopi di pubblica utilità rimane ampiamente sottosfruttata. 2.2 Per affrontare questi problemi, la proposta di regolamento presentata dalla Commissione istituisce una nuova forma giuridica europea, volta ad agevolare la 243 RELAZIONE costituzione e il funzionamento delle fondazioni nel mercato unico. Essa consentirà alle fondazioni di far affluire in modo più efficace fondi privati per scopi di pubblica utilità su base transfrontaliera nell’Unione. Di conseguenza, un volume maggiore di fondi dovrebbe rendersi disponibile per le attività di pubblica utilità, con un impatto positivo sul bene pubblico dei cittadini europei e sull’economia globale dell’UE. 2.3 La proposta descrive le caratteristiche principali della fondazione europea (FE), i suoi metodi di costituzione e le regole che ne disciplinano l’organizzazione. Essa prevede inoltre, in determinati casi, la possibilità di trasformare la FE in un ente di pubblica utilità o di liquidarla. 2.4 Il regolamento stabilisce dei poteri minimi di controllo per le autorità di vigilanza di ciascuno Stato membro, in modo che esse possano monitorare efficacemente le attività delle FE registrate nel loro paese di competenza. Il regolamento definisce inoltre l’applicazione automatica alla FE e ai rispettivi donatori degli stessi benefici fiscali concessi agli enti nazionali di pubblica utilità. 3. Osservazioni generali 3.1 Nel suo precedente parere il CESE ha riconosciuto il notevole contributo dato dalle fondazioni in svariati settori, come il rispetto dei diritti umani, la tutela delle minoranze, l’occupazione e il progresso sociale, la protezione dell’ambiente e del patrimonio europeo nonché la diffusione dei progressi scientifici e tecnologici. Esse, inoltre, apportano un contributo fondamentale al raggiungimento degli obiettivi di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva stabiliti dalla strategia Europa 2020. 3.2 All’interno dell’UE, le persone, le merci, i servizi e i capitali possono in genere spostarsi liberamente attraverso i confini: una possibilità, questa, che di solito non è prevista per le azioni e le risorse destinate a scopi di pubblica utilità. Creare una possibilità del genere è l’obiettivo della costituzione di una FE, una nuova entità giuridica facoltativa che va ad affiancare le forme giuridiche già esistenti negli Stati membri. 3.3 Il CESE ritiene che, grazie allo statuto della fondazione europea, le fondazioni potranno beneficiare di condizioni più uniformi in tutta l’UE, ricorrendo a un unico strumento giuridico e a una struttura di gestione comparabile in tutti gli Stati membri, il che offrirà una certezza giuridica molto maggiore riducendo al tempo stesso i costi di messa in conformità. 3.4 Lo statuto faciliterà la condivisione e l’ampliamento delle loro competenze e risorse. Disporre di una forma giuridica europea riconoscibile per le fondazioni servirà anche a stimolare le iniziative e le donazioni transfrontaliere. È probabile che, nelle economie degli Stati membri, si registrerà un aumento dei finanziamenti disponibili per settori importanti quali la ricerca e l’istruzione, i servizi sociali e sanitari, la cultura o la protezione dell’ambiente. 3.5 Il CESE si rallegra che la proposta della CE sia incentrata unicamente sulle fondazioni con scopi di pubblica utilità. Osserva che la definizione di "scopi di RELAZIONE 244 pubblica utilità" fornita all’articolo 5 si basa su un elenco chiuso degli scopi più comunemente riscontrati nella maggior parte degli Stati membri. Un elenco del genere fornisce una maggiore certezza giuridica per definire gli scopi che rientrano nel concetto di pubblica utilità, ma può rivelarsi molto complesso da aggiornare, poiché le modifiche possono essere effettuate soltanto con decisione unanime del Consiglio e previa approvazione del Parlamento europeo in occasione della prima revisione del regolamento a sette anni dalla sua entrata in vigore. 3.6 Il CESE fa osservare che l’espressione "opera al servizio dell’interesse pubblico in genere" potrebbe essere ulteriormente precisata nel testo del regolamento specificando che la fondazione europea deve perseguire uno o più obiettivi identificabili di pubblica utilità e deve servire l’interesse pubblico generale e/o di un gruppo determinato di cittadini. Il CESE inoltre raccomanda che al momento di stabilire se un organismo opera o intende operare nell’interesse pubblico si tenga conto dei seguenti aspetti: a) in che modo gli eventuali i) benefici ottenuti o che potrebbero essere ottenuti da qualsiasi persona che opera all’interno dell’organismo o da altre persone (ma non in quanto parte della comunità in generale), e gli eventuali ii) svantaggi arrecati o che potrebbero essere arrecati ai cittadini in generale, in conseguenza dell’attività svolta dall’organismo in questione siano paragonabili ai benefici ottenuti o che potrebbero essere ottenuti dai cittadini in generale in relazione a tale circostanza, e b) laddove vi siano o potrebbero esservi benefici arrecati esclusivamente ad un gruppo di cittadini, è opportuno stabilire se una o più condizioni per l’ottenimento di tali benefici (inclusa l’imposizione di un onere o di un tributo) risultino indebitamente restrittive. 3.7 Il CESE accoglie con favore altre caratteristiche essenziali dello statuto definite nella proposta, che rispecchiano quanto esso stesso aveva raccomandato in un precedente parere: a) la dimensione europea della FE con attività in almeno due Stati membri. Tale componente transfrontaliera dovrebbe essere richiesta al momento della registrazione della FE e nel corso della sua intera esistenza; b) il metodo di costituzione della FE: ex nihilo, mediante la trasformazione di una fondazione nazionale in una fondazione europea, oppure tramite la fusione di fondazioni nazionali. La scelta di costituire una FE potrebbe essere effettuata soltanto da persone giuridiche e fisiche che abbiano sviluppato o stiano sviluppando effettivamente delle attività su scala europea, il che garantisce ad ogni Stato membro che il quadro nazionale delle fondazioni manterrà le proprie specificità; c) l’importo minimo del patrimonio della FE (25000 EUR), al fine di aumentare la tutela dei creditori senza impedire il lancio di iniziative di piccole dimensioni; 245 RELAZIONE d) un’ampia capacità giuridica, comprendente il diritto di essere titolare di beni mobili e immobili nonché di ricevere e detenere donazioni o sussidi di ogni genere, compresi titoli azionari e altri strumenti negoziabili, da qualsiasi fonte lecita; e) nel quadro dell’obiettivo di pubblica utilità della FE, la capacità di esercitare attività economiche dirette o per il tramite di un altro ente giuridico, purché qualsiasi ricavo o utile sia utilizzato per perseguire gli scopi di pubblica utilità della fondazione. 3.8 Il CESE osserva che il regolamento è inteso a facilitare l’applicazione di sentenze recenti della Corte di giustizia europea [2], dando la possibilità di effettuare donazioni transnazionali a fondazioni europee e trattando queste ultime come fondazioni con scopo di pubblica utilità ai sensi della normativa fiscale locale. Il CESE ritiene che, a fini fiscali, la FE dovrebbe ottenere automaticamente lo status di organizzazione senza scopo di lucro, nel pieno rispetto delle competenze e delle prassi delle autorità fiscali dello Stato membro in cui la FE è soggetto d’imposta, onde determinarne il trattamento fiscale in linea con la normativa fiscale vigente a livello nazionale. Anche se gli Stati membri non possono discriminare le FE rispetto alle fondazioni nazionali con scopo di pubblica utilità, poiché ciò è contrario al Trattato UE e alla giurisprudenza della CGE, essi hanno però la possibilità di scegliere quale regime fiscale sia di applicazione. Gli Stati membri dovrebbero anche specificare quale regime fiscale si applicherà alle FE qualora nella loro giurisdizione esistano diversi regimi per le organizzazioni senza scopo di lucro. 3.9 Infine, il regolamento proposto dovrebbe tenere pienamente conto delle raccomandazioni formulate dal settore delle fondazioni e garantire che lo strumento finale, da un lato, presenti un’autentica dimensione europea senza riferimenti immotivati alle disposizioni nazionali e, dall’altro, sia semplice e completo, il che ne ottimizzerà l’utilizzo futuro. 4. Osservazioni specifiche 4.1 Come evidenziato dal CESE nel suddetto parere, i principali vantaggi e benefici dello SFE rientrerebbero in quattro ambiti, ossia: efficienza e semplificazione, rendicontazione, vantaggi economici e benefici politici e per i cittadini. Il CESE ritiene che nel regolamento proposto si sia raggiunto un giusto equilibrio tra questi elementi, anche se alcune proposte potrebbero essere perfezionate, come spiegato più sotto. 4.2 Il CESE vorrebbe richiamare l’attenzione sulla traduzione di alcuni termini specifici contenuti nella proposta, in particolare il concetto di public benefit ("pubblica utilità"), che in alcune lingue può essere tradotto come utilità pubblica o interesse generale e fare riferimento a una tipologia molto specifica di forma giuridica nazionale, che va di pari passo con tutta una serie di diritti e requisiti. In particolare, ciò potrebbe creare una certa confusione riguardo a quali enti di pubblica utilità abbiano diritto di trasformarsi in una FE, a meno che questo non sia chiaramente specificato dagli Stati membri. RELAZIONE 246 4.3 A giudizio del CESE, spetta agli Stati membri specificare quali enti e fondazioni di pubblica utilità possano trasformarsi in una FE o fondersi per formarne una. Questo escluderebbe, per definizione, gli enti non registrati, come i trust, ma coprirebbe fondazioni con scopi di pubblica utilità che in alcuni Stati membri ospitano fondi non autonomi e fondi di dotazione di pubblica utilità. 4.4 Il CESE ritiene che, dato il loro carattere di pubblica utilità e il loro status fiscale, le FE create a tempo indeterminato dovrebbero investire il loro reddito annuo in un lasso di tempo ragionevole (ad es. quattro anni), garantendo al tempo stesso la possibilità di stanziare parte delle loro risorse (ad es. un terzo) per mantenere e/o accrescere il valore della loro dotazione. Il secondo requisito non sarebbe applicato alle FE create a tempo determinato o a quelle che avessero stabilito di spendere l’intera dotazione in un periodo di tempo determinato. 4.5 Il CESE desidera sottolineare che i requisiti contenuti nella proposta della CE in termini di trasparenza, in particolare riguardo alla questione della revisione esterna dei conti, sono più severi per le FE, in relazione alle dimensioni del patrimonio richiesto, rispetto ai requisiti vigenti per le fondazioni nazionali in tutta l’UE. Questo potrebbe costituire un deterrente per il futuro ricorso alla FE. I requisiti in materia di audit dovrebbero essere applicabili soltanto al di sopra di alcune soglie (ad esempio, 150000 EUR) e/o un numero medio di almeno 50 dipendenti. Per le FE con patrimoni inferiori alla soglia proposta di 150000 EUR, si potrebbe ricorrere a un esaminatore indipendente invece che a un revisore dei conti. Nei fatti, le pratiche attuali mostrano che otto Stati membri non richiedono revisioni di conti esterne, mentre in quelli che le richiedono le soglie possono variare da oltre 15000 EUR (Estonia) a oltre 2,5 milioni di EUR (Polonia) e a un numero di dipendenti superiore a 50 [3]. Questo approccio proporzionato in materia di revisione contabile non esime la FE dal soddisfare altre misure stabilite dal regolamento e concernenti la trasparenza e la rendicontazione, tra le quali figura, in particolare, l’obbligo di presentare una relazione pubblica (annuale). 4.6 Mentre la FE dovrebbe poter svolgere attività economiche "correlate", ossia legate alla sua missione di pubblica utilità, il concetto di attività economiche "non correlate" rischia di essere più difficile da definire. Potrebbe risultare più chiaro se si consentisse alla FE di intraprendere attività economiche non correlate soltanto indirettamente, tramite un altro ente giuridico. 4.7 Il CESE ritiene che il regolamento debba prevedere alcune disposizioni per garantire ai lavoratori della FE il diritto di essere informati e consultati a livello transnazionale nel caso in cui la FE conti un numero significativo di lavoratori in vari Stati membri. Si tratterebbe delle seguenti disposizioni: a) riguardo alla dimensione sociale, il regolamento dovrebbe fare riferimento, in generale, ai principi della legislazione vigente nel luogo in cui i lavoratori svolgono l’attività; 247 RELAZIONE b) riguardo ai dispositivi pratici per l’informazione e la consultazione transnazionale dei lavoratori, essi dovrebbero essere stabiliti innanzitutto tramite un accordo tra le parti della FE; c) in assenza di un accordo di questo tipo, si dovrebbero applicare le disposizioni previste all’articolo 38 del regolamento ai fini dell’informazione e della consultazione dei lavoratori; d) l’obiettivo finale dovrebbe essere quello di mantenere i diritti acquisiti di cui godono attualmente i lavoratori che operano nelle fondazioni di livello nazionale, evitando al tempo stesso di introdurre un sistema troppo complicato. 4.8 Il CESE ritiene che il regolamento, nella sua forma attuale, crei de facto alcune disposizioni completamente nuove per i volontari, mentre a livello europeo non esiste alcuno status/definizione giuridica di questi soggetti che ne stabilisca diritti e doveri. In assenza di questi elementi fondamentali, il CESE ritiene che l’informazione e la consultazione dei volontari della FE debbano essere condotte conformemente alla normativa nazionale applicabile. I dispositivi pratici per l’informazione e la consultazione transnazionale dei volontari dovrebbero essere stabiliti innanzitutto tramite un accordo tra le parti della FE. A questo proposito, l’obiettivo è quello di non aggirare le leggi esistenti sullo status dei volontari, e non rendere troppo complesso e oneroso l’impiego della FE aggiungendo dei requisiti che non trovano riscontro nella realtà. Il CESE ritiene altresì che i diritti dei volontari all’informazione e alla consultazione non siano comparabili con quelli dei lavoratori: ciò darebbe luogo a diritti inediti e a notevoli complessità giuridiche. 4.9 Il CESE si rallegra del fatto che il regolamento proposto segua le sue raccomandazioni iniziali di delegare la vigilanza sull’attività delle FE a determinati organismi competenti a livello dei singoli Stati membri, in base alle norme comuni in materia di requisiti di registrazione, informazione e vigilanza concordate a livello UE e contenute nel regolamento sullo statuto della FE. Laddove non esistano organismi di questo tipo, il CESE ritiene che tale compito potrebbe essere svolto dagli enti di registrazione delle società. Il CESE ritiene che la scelta di designare una o più autorità, in funzione delle esigenze e delle pratiche, dovrebbe essere lasciata alla discrezione degli Stati membri. 4.10 Qualora i legislatori UE volessero mantenere degli elementi fiscali nel regolamento finale, il CESE raccomanda di tenere debito conto dell’approccio raccomandato dagli operatori del settore delle fondazioni. Ciò potrebbe comportare, ad esempio, la combinazione dello strumento di diritto civile (il regolamento CE) con le disposizioni di diritto tributario che lo Stato membro considera essenziali (ad es. l’obbligo di spendere il reddito annuo in un lasso di tempo ragionevole). Bruxelles, 18 settembre 2012 Il presidente del Comitato economico e sociale europeo Staffan Nilsson RELAZIONE 248 [1] Parere CESE, GU C 18 del 19.1.2011, pag. 30. [2] "Persche" (Causa C-318/07), "Stauffer" (Causa C-386/04), "Missionswerk" (Causa C-25/10). [3] Cfr. Foundations Legal and Fiscal Country Profiles, European Foundation Centre 2011. 249 RELAZIONE Introduzione di statuti europei per le mutue, le associazioni e le fondazioni P7_TA(2011)0101 Dichiarazione del Parlamento europeo del 10 marzo 2011 sull’introduzione di statuti europei per le mutue, le associazioni e le fondazioni 2012/C 199 E/24 Il Parlamento europeo, - vista la sua risoluzione del 19 febbraio 2009 sull’economia sociale [1], - vista la sua risoluzione del 20 maggio 2010 sulla creazione di un mercato unico per i consumatori e i cittadini [2], - visto l’articolo 123 del suo regolamento, A. considerando che la ricchezza e la stabilità di una società discendono dalla sua diversità imprenditoriale e che le associazioni, le mutue e le fondazioni contribuiscono a tale diversità offrendo un modello proprio d’impresa basato su valori fondamentali, vale a dire la solidarietà, il controllo democratico e il primato degli obiettivi sociali sul profitto, B. considerando che le associazioni, le mutue e le fondazioni si sono sviluppate finora principalmente in un contesto nazionale e, al fine di massimizzare le loro potenzialità imprenditoriali nell’UE, è necessario migliorarne l’accesso transfrontaliero, 1. rileva la necessità di creare condizioni di parità che permettano alle associazioni, alle mutue e alle fondazioni di disporre degli stessi strumenti e delle stesse opportunità di cui fruiscono le altre strutture giuridiche organizzative, conferendo in tal modo una dimensione europea alla propria organizzazione e alle proprie attività; 2. invita la Commissione a adottare le misure necessarie al fine di presentare proposte relative agli statuti europei per le associazioni, le mutue e le fondazioni, proporre uno studio di fattibilità, nonché una valutazione d’impatto degli statuti delle associazioni e delle mutue, e, a tempo debito, completare quest’ultima anche per gli statuti delle fondazioni; RELAZIONE 250 3. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente dichiarazione, con l’indicazione dei nomi dei firmatari [3], al Consiglio, alla Commissione nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri. [1] GU C 76 E del 25.3.2010, pag. 16. [2] Testi approvati, P7_TA(2010)0186. [3] L’elenco dei firmatari è pubblicato nell’allegato 1 del processo verbale del 10 marzo 2011 (P7_PV(2011)03-10(ANN1)).