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IL POLITICO (Univ. Pavia, Italy) 2012, anno LXXVII, n. 2, pp. 100-118 IL MARGINE DELLA POLITICA: I CAUDILLOS IN AMERICA LATINA E IL PROBLEMA DEL FONDAMENTO DELLA SOVRANITÀ di Italia Cannataro L’esame del modo di far politica in America Latina durante il periodo coloniale, delle guerre di indipendenza e di formazione degli Stati nazionali, ci consente di ritenere che i relativi cambiamenti nell’organizzazione formale dell’autorità non presupposero reali trasformazioni nel funzionamento del sistema politico. Questo lavoro intende analizzare gli elementi peculiari di questa circostanza a partire dal comportamento generale degli attori nell’ambito politico e dal processo di formazione delle istituzioni e delle strutture sociali nelle quali si inquadrano le forme dell’esercizio del potere. In quest’ottica la figura del caudillo assume una prospettiva centrale nell’analisi del concetto di autorità in America Latina. L’articolo si sviluppa in tre parti: la prima riguarda la nascita del fenomeno del caudillismo e la preoccupazione relativa all’incapacità di consolidare lo sviluppo di un sistema di tipo liberale adatto alla necessità di realizzare una “moderna” articolazione tra gli Stati e le rispettive società attraverso l’identificazione nazionale 1. Nella seconda parte si prendono in esame gli elementi “tradizionali” e quelli “incidentali” nella definizione della cittadinanza e della nazione in quelle aree. Nella terza si realizza un parallelo tra due elementi storicamente primari nella formazione dello spazio pubblico nel continente: i caudillos e il sistema delle clientele. L’intento è quello di stabilire una conclusione nella quale risulti evidente l’informalità della vita politica degli Stati latinoamericani del XIX secolo e, contemporaneamente, eviUniversità di Messina, Dipartimento di Studi Giuridici, Storici e Politici. 1 Nell’immensa bibliografia sulla modernità in America Latina nel XIX secolo ricordiamo: A. ANDERLE, Modernidad e identidad en América Latina, Szeged, Editorial Hispania, 2000; H. MANSILLA, Tradición autoritaria y modernización imitativa. Dilemas de la identidad colectiva latinoamericana, La Paz, Plural editores, 1997. 100 denzi la definizione della figura del caudillo attraverso la composizione della sovranità all’epoca dell’indipendenza. 1. L’illusione del progetto liberale In America Latina né i processi di indipendenza, né gli anni delle rivoluzioni liberali generarono un cambio sostanziale delle società: il trasferimento dell’autorità dai vecchi ai nuovi sistemi politici non riuscì a superare l’aspetto formale e, in questo senso, non si realizzò una rottura con il regime precedente. Le guerre d’indipendenza, scrive Stoetzer, non furono, almeno all’inizio, uno scontro tra spagnoli e americani, piuttosto assunsero il carattere di una guerra civile. Solamente intorno al 1820, con la reintroduzione della Costituzione di Cadice, si determinò una rottura definitiva con l’Europa. Fino a quel momento si trattò di una guerra per la conquista di una maggiore autonomia amministrativa all’interno del mondo ispanico2. Durante la crisi dell’Impero, scatenata nel 1808 dalle abdicazioni della famiglia reale spagnola a favore di Bonaparte, e nei primi anni dell’indipendenza, non emersero le condizioni per la costruzione degli Stati nazionali. Il nascente liberalismo latinoamericano adottò una concezione della sovranità e dello Stato molto simile a quella francese rivoluzionaria. Questa scelta però contrastava con la tradizione asburgica che, al momento della crisi imperiale, era ancora molto radicata nei territori americani e che aveva, tra il XVII e il XVIII secolo, favorito lo sviluppo di un Impero di tipo federale. Con le riforme borboniche della metà del Settecento si tentò di imporre una monarchia amministrativa di stampo francese. Gli interventi di natura economica ottennero risultati incoraggianti; quelli politici furono, invece, piuttosto deludenti. Il sistema delle intendenze che avrebbe dovuto rompere il potere dei gruppi oligarchici, rendere la società più dinamica e che aveva come ultimo obiettivo la creazione di un’unica nazione ispanica, non fu 2 C. STOETZER, El pensamiento político en la América española durante el periodo de la emancipación (1789-1825), Madrid, Istituto de estudios politicos, 1966, 2 voll., tomo I p. XI; M. A. SAMANIEGO (ed.) Independencia y revoluciones en Nuestra América, Baja California, Mexicali, 2011, 2 voll. In questo lavoro si intende concentrare l’attenzione sull’America “spagnola”, rimandando la trattazione dell’area “portoghese” ad altra sede. Non si vuole con ciò tradire il senso che all’espressione “America Latina” diedero Chevalier e poi Bilbao ma, esclusivamente, circoscrivere l’area dell’analisi. 101 interamente applicato determinando, nel subcontinente, il fallimento della nuova concezione monista dell’assolutismo europeo. Gli interventi riformatori erano, in parte, falliti favorendo la persistenza di società oligarchiche e corporative3. L’incapacità della Corona spagnola di consolidare l’esperienza dello Stato assolutista non facilitò l’eliminazione dei poteri territoriali intermedi che si dimostrarono capaci di difendere quell’insieme di giurisdizioni che per tre secoli avevano garantito la coesione della società coloniale4. A causa della rapida dissoluzione dell’Impero la sovranità dei paesi latinoamericani percorse un itinerario molto più drammatico che nel resto dell’Occidente. Le articolazioni e le interdipendenze si fecero più evidenti in aree periferiche come l’America ispanica rispetto al vecchio continente; in quei territori, infatti, lo Stato si presentava come un insieme di unità territoriali situate in diverse situazioni geopolitiche e dotate di particolari autonomie e privilegi. Una definizione così frammentata del potere fu una delle cause della nascita del fenomeno dei caudillos. Nel 1933 Charles Chapman pubblicò un articolo in cui definiva il secolo XIX proprio come l’epoca dei caudillos; alle domande su chi fossero e quale fosse l’origine del loro potere rispose «I don’t know, and neighter does anybody else»5. L’incertezza di Chapman diede inizio ai primi studi sistematici sul tema. Quella evidenziatasi nel maggio del 1808 fu, secondo Portillo Valdes, la crisi della sovranità e non il desiderio dell’indipendenza «con le conseguenze di una complessa guerra che lasciava spazio ad una soluzione di tipo costituzionale»6. Le Juntas americane, tra il 1808 e il 1810, traevano la loro legittimità non solo da un’idea di tradizionale autonomia territoriale ma anche da una salda base dottrinale di matrice neo-scolastica: il pensiero di Suárez si rivelò determinante nella cultura politica americana del3 Cfr: P. RUDAN, Estado administrativo y discurso colonial. Floridablanca, Bolívar y las colonias españolas entre organización e independencia, in “Res Pública”, n. 22, 2009. 4 B. CLAVERO, Tantas personas como estados. Por una antropologia politica de la historia europea, Madrid, Tecnos, 1986, pp. 14 sgg.; B. CLAVERO, Institución política y derecho: acerca del concepto historiografico de “Estado moderno”, in «Revista de estudios politicos» n. 19, 1981. 5 C.E. CHAPMAN, The age of the caudillos: a chapter in hispanic american history in “Hispanic American Historical Review”, 1933, vol. 12, pp. 281-282. 6 J. M. PORTILLO VALDES, Monarquía católica de estado in J. M. PORTILLO VALDES (ed.), “Revolución de nación. Orígenes de la cultura constitucional en España 1789-1812”, Madrid, Boletin oficial del estado, 2000, p.127. 102 l’epoca7. La filosofia del gesuita spagnolo, scrive Dell’Oro Maini, si diffuse in America Latina già alla fine del XVI secolo con l’arrivo in Perù di Juan de Atienza che, giovanissimo allievo di Suárez, divenne, nel 1585, il principale organizzatore dell’attività gesuita in Paraguay. Al principio del XVII secolo le province del Río de la Plata divennero la zona in cui più si diffuse il pensiero di Suárez tanto che l’intero progetto educativo del Colegio Maximo de Cordoba, fondato nel 1612, si basò sugli insegnamenti dello spagnolo8. Stoetzer dà notizia di alcuni appunti di studio dell’Università di Cordoba in cui venivano riportati degli assunti riguardanti l’origine dell’autorità di chiara matrice suareziana: «La potestà politica di un principe – è scritto – emana da Dio, però il principato politico non promana direttamente da Dio giacché Dio conferisce la potestà suprema alla comunità. La potestà, anche quando sia stata trasferita al principe, resta in possesso del popolo però esso non la può né limitare né abrogare se non in casi molto gravi» 9. La teoria del pactum traslationis elaborata dallo spagnolo – scrive la Morelli – si mostrava come la più adatta alle aspettative di rinnovamento americano10. In base a questa dottrina la comunità, disponendo della sua libertà come di un diritto soggettivo, trasmetteva il potere volontariamente e questo veniva accettato con libera decisione da colui che era destinato ad esercitarlo. Per Suárez insomma –secondo Maravall – l’atto di trasmissione del potere coincideva con l’esercizio del potere stesso; la comunità poteva perciò detenere ed esercitare la sovranità delegando cioè il potere nei fatti ma conservandolo nei principi, in modo da poterlo gestire nel rispetto del diritto positivo11. 7 8 C. STOETZER, El pensamiento político, cit., pp. 121 sgg. A. DELL’ORO MAINI, Introducción, in A. DELL’ORO MAINI (ed.) “Presencia y sugestión del filósofo Francisco Suárez. Su influencia en la Revolución de Mayo”, Buenos Aires, Espasa Calpe, 1959, p. 14. 9 C. STOETZER, El pensamiento político, cit., p. 218. 10 F. MORELLI, Territorio o Nazione. Riforme e dissoluzione dello spazio imperiale in Ecuador (1765-1830), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001, pp. 39 sgg.. Qui la dottrina di Suárez e quella di Pufendorf sono, dall’autrice, messe in relazione con la teoria della retroversione della sovranità, cioè: «se la sovranità è compartita il venir meno di uno di due contraenti implica la “retroversione della sovranità”», pp. 48-49. 11 J. A. MARAVALL, Estado moderno y mentalidad social, Siglos XV a XVII, Madrid, Revista de Occidente, 1972, 2 vols, T. I, p. 203. Sull’influenza dei gesuiti nella cultura creola in quelle aree cfr: D. BRANDING, The first America. The Spanish monarchy, creolo patriots and the liberal State (1492-1867), Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1991; A. PAGDEN, Spanish imperialism and the political imagination, New Haven and London, Yale University Press 1990. 103 Significativa fu anche l’influenza di Pufendorf sulla dottrina della sovranità in quelle aree12. Anzi, secondo Góngora, con le riforme borboniche della fine del XVIII secolo, il giusnaturalismo sostituì la neoscolastica come «principio primo dell’universo intellettuale coloniale»13. Il De Iure naturae et gentium ebbe infatti la massima diffusione in Sud America grazie alla traduzione in francese di Juan Barbeyrac del 1706. La successiva pubblicazione del De Statu imperii germanici hodie del 1712 avrebbe segnato una tappa fondamentale – secondo Huesbe – nel processo di liberazione di quelle aree 14. «Sebbene Barbeyrac – scrive Skinner – criticasse Pufendorf, la sua traduzione diede la massima diffusione all’argomento secondo il quale l’unione che crea le associazioni civili si forma quando un numero di individui si consolida in una sola Personne Morale e il nome di questa persona è l’Etat»15. I patti che Pufendorf poneva a fondamento dello Stato rappresentavano – per Annino – un chiaro corollario al ruolo del popolo, libero di esercitare, in assenza del Re, la sovranità, direttamente o tramite delegati16. Il popolo veniva perciò identificato, in America Latina, con quegli enti che potevano rappresentarlo sul territorio; così, in teoria, queste dottrine venivano interpretate come una sorta di espressione della sovranità popolare. Anche se Pufendorf non poteva certamente essere considerato – dice Huesbe – come un teorico della democrazia o della sovranità popolare, la sua opera servì come elemento di legittimazione del potere e, soprattutto, rispose alla necessità di creare un nuovo referente politico nella figura del cittadino come membro della Personne Morale17. I principi del giusnaturalismo protestante vennero adattati alla tradizionale dottrina cattolica destinando così – per la Morelli – la teoria 12 A. ANNINO, Soberanías en lucha in A. ANNINO, L. CASTRO-LEIVA, F. GUERRA (coord.) “De los Imperios a las naciones: Iberoamérica”, Zaragoza, Ediciones Universidad de Barcelona, 1994. 13 M. GÓNGORA, R. SOUTHERN, Studies in the colonial history of spanish América, Cambridge-London, Cambridge University Press, 1975, p. 179. 14 M. HUESBE, La teoría política di Samuel Pufendorf a través de su comentario a la constitución del imperio romano-germanico (1667), in “Revista de estudios históricos Juridicos”, n. 31, 2000. 15 Q. SKINNER, Una genealogía del Estado moderno, in “Estudios Públicos”, n. 118, 2010, p. 34. 16 A. ANNINO, Soberanías en lucha, cit., pp. 241-248. 17 M. HUESBE, Teoría, Administración y Participación en el estado moderno, Valparaísio, Ediciones Universitarias Valparaísio, 2008, p. 37. 104 contrattualista olandese all’analisi specifica dei casi di vacatio regis nelle colonie18. Come segnalato da Pufendorf, in caso di vacatio regis in un Regno vasto e formato da vari territori era possibile passare dall’autogoverno all’emancipazione dalla Corona. Il popolo poteva, perciò, esercitare autonomamente la sovranità. La decisione della Junta Central spagnola di concedere, nel 1809, la parità politica e la rappresentanza ai territori americani accelerò il processo di revisione del concetto di sovranità nelle colonie e rivelò come agli americani interessasse non l’origine del potere ma la sua gestione. La separazione dalla Corona spagnola non determinò l’effettiva formazione di comunità politiche autonome capaci di rifondare il loro destino. La continuità delle pratiche sociali e di molte delle vecchie dinamiche economiche era accompagnata dalla permanenza di pratiche politiche che, anche se formalmente sembravano trasformarsi, di fatto, nei presupposti e nei vari percorsi rimanevano legate alle logiche del periodo coloniale. Proprio queste pratiche politiche legate agli usi e ai costumi, oltre che alle istituzioni, delineano il quadro entro il quale si costituisce il potere del caudillo. L’influenza del popolo nelle rivoluzioni del 1810 – sottolinea Stoetzer – fu, in realtà, un’espressione tipica del familismo spagnolo e poco aveva a che fare con l’illuminismo e le rivoluzioni nordamericana e francese19. Ebbene, l’aspetto conservatore della guerra costituiva un elemento essenziale in un sistema nel quale la rappresentanza popolare non aveva i connotati della modernità. Dunque sia l’aspetto monista della monarchia borbonica, sia le proposte pattizie di Suárez e Pufendorf risultavano secondo Andrés Gallego, in quei contesti, assolutisti, essendo la sovranità del tutto legata all’origine divina o popolare20. L’esercizio della sovranità attraverso i 18 F. MORELLI, Territorio o Nazione. Riforme e dissoluzione dello spazio imperiale in Ecuador (1765-1830), cit., pp. 49 sgg. 19 C. STOETZER, Las raices escolásticas de la emancipación de la América española, Madrid, Centro de estudios constitucionales, 1982, pp. 31-64. 20 J. A. GALLEGO, La pluralidad de referencias políticas, in F. X. GUERRA (ed.) “Las revoluciones hispanicas: independencias americanas y liberalismo español”, Madrid, Editorial Complutense,1995; M. QUIJADA, Las dos tradiciones, soberanía popular e imaginarios compartidos en el mundo hispanico en la epoca de las grandes revoluciones atlanticas, in O. J. RODRÍGUEZ (ed.), “Revolución, independencia y las nuevas naciones de América”, Madrid, MAPFRE, 2005. Già nel 1903 l’argentino Octavio Bunge aveva colto l’ambiguità dell’idea di sovranità popolare: nel libro Nuestra América aveva scritto: «se i Re 105 pacta ebbe, perciò, anche una svolta interpretativa ampiamente conservatrice e servì a determinare, durante la crisi dell’Impero, chi fosse il detentore della sovranità in quell’area sia con riferimento al Sovrano, sia in relazione ai caudillos in una posizione dottrinaria del tutto ambigua. Con la fine dell’Impero borbonico e le guerre d’indipendenza risultò chiaro che la sovranità apparteneva solo formalmente al popolo ma, sostanzialmente, veniva gestita dagli enti territoriali che da secoli rappresentavano quelle società21. 2. La dispersione del potere Nel periodo immediatamente successivo alle guerre d’indipendenza una buona parte della élite socio-culturale dell’America Latina sembrava concordare con la necessità di costruire un modello politico ispirato alle idee di democrazia, cittadinanza e partecipazione. Queste élites liberali avevano individuato nell’organizzazione politica dei paesi “civilizzati” la rappresentazione perfetta di un regime caratterizzato dal pluralismo e dalla promessa del progresso. Questo atteggiamento portò costoro a introdurre con forza le idee di costituzionalismo e di governo rappresentativo22. comandano per diritto divino i caudillos comandano per volontà degli uomini, di uomini senza volontà»: O. BUNGE, Nuestra América, Buenos Aires, Casa Vaccaro, 1918. 21 Sembra definitivamente tramontata l’ipotesi «populista» dell’indipendenza tipica della storiografia latinoamericana della fine degli anni Quaranta. Secondo costoro la tradizione pattizia di Suárez e Pufendorf finì col confluire nella dottrina della volontà popolare roussoviana. Sull’argomento si veda l’opera principale del caposcuola M. G IMÉNEZ FERNANDEZ, Las doctrinas populistas en la independencia hispano-americana, Sevilla, Escuela de estudios hispanoamericanos, 1947. Questa particolare interpretazione sembrò riprendere quota all’inizio degli anni Novanta con G. T HOMPSON, Popular aspects of liberalism in Mexico, in “Bullettin of Latin America research”, vol. 10, n. 3, 1991 e ancora: A. ANNINO, R. BUVE, El liberalismo en México in “Cuadernos de historia Latinoamericana”, n. 1, 1993. Fu proprio Stoetzer negli anni Sessanta a confutare questa teoria. La matrice conservatrice dell’indipendenza mi pare confermata dalla teoria della retroversione della sovranità della Morelli per l’Audiencia di Quito in Ecuador; l’autrice, a tal proposito, sottolinea l’aspetto conservatore, ma non reazionario, della monarchia mista borbonica che largo spazio concedeva all’azione dei corpi intermedi, rappresentando così l’ispirazione della stessa indipendenza. In questo filone si inseriscono anche gli scritti di Huesbe, Gallego e Quijada. 22 Cfr: S. SORIANO HERNANDEZ, H. TABOADA (ed.), Visiones latinoamericanas de la nación, México, UNAM, 2009; J. LYNCH, Las revoluciones hispanoamericanas, Barcelona, Editorial Ariel, 1983, p. 40. 106 Senza dubbio, al di là del confronto permanente con i nostalgici conservatori, la proposta liberale non riuscì ad assicurarsi margini reali di applicabilità. Generalmente, dopo un esperimento più o meno esteso di governo popolare, diverse forme di autoritarismo sostituirono il liberalismo come forma di governo. Le cause vanno individuate proprio nelle dinamiche del potere così come si erano costituite all’interno dello Stato misto nel mondo coloniale. I nuovi Stati mantenevano, infatti, una continua interdipendenza e interazione tra il governo centrale e i governi periferici: l’autorità statale era costantemente mediata, sul piano locale, da gruppi sociali specifici con un ruolo politicamente definito e giustificato dalle teorie contrattualiste della sovranità. Queste realtà “particolari” si facevano depositarie del potere statale in cambio di un tornaconto rappresentato dal godimento di alcuni elementi di dominio e dall’appropriazione di quote della ricchezza sociale. Le guerre di indipendenza non erano riuscite a cancellare la frammentazione territoriale e politica che da sempre aveva caratterizzato quelle aree: i cosiddetti corpi intermedi divennero gli effettivi depositari del potere. Le Juntas, gli Alcaldes, i Cabildos e poi i Fueros, i Pueblos e le Ciudades, costituzionalizzati a Cadice nel 1812, svolgevano, prima delle guerre di indipendenza, importanti funzioni legislative che limitavano e controllavano l’azione del Monarca e, dopo il 1825, non mutarono il loro ruolo23. Espressione diretta della società civile, avevano mantenuto l’esercizio di una parte del potere: in particolare le Ciudades continuavano ad eleggere i propri Alcaldes, a mantenere la natura elettiva e venale delle cariche e a rappresentare virtualmente un territorio che travalicava i limiti dello spazio urbano, comprendendo una serie di villaggi e centri minori24. Nonostante l’introduzione della rappresentanza politica di stampo liberale e l’indipendenza, dunque, i municipi continuarono a rivestire il ruolo di veri corpi sovrani del Regno e la definizione dei nuovi Sta23 Il termine castigliano fuero deriva dal latino forum, “luogo dove viene amministrata la giustizia”. Passa poi a significare la giurisprudenza o insieme di sentenze emesse dai giudici. Quindi, seguendo il cammino della formazione del diritto, passa a significare il complesso di privilegi riconosciuti dallo Stato a una città o a una categoria, per giungere infine a indicare l’insieme di norme specifiche con le quali si reggono le popolazioni spagnole. Cfr: B. CLAVERO, Emisferi di cittadinanza, in “Storica”, n. 37, 1987, p. 30. 24 Sull’argomento cfr: A. GARCÍA GALLO La ciudad americana y la indiana in A. GARCÍA GALLO (ed.), “Los origines españoles de las instituciones americanas. Estudio de derecho indiano”, Madrid, Real Academia de Jurisprudencia y Legislación, 1987. 107 ti avvenne in funzione delle città, facendo perno su di esse e sui loro Cabildos di borghesia creola, più che in base ad un’idea territoriale di nazione assai vaga. Il principio secondo cui la sovranità dei nuovi Stati risiedeva proprio nei corpi territoriali si concretizzò nell’atto di adesione di questi ultimi a Bolívar soprattutto dopo il 1828, quando il libertador assunse la carica di capo supremo dello Stato appoggiato da numerosi atti di sostegno popolare. Le comunità, i villaggi ritenevano – scrive la Morelli – che a detenere i poteri necessari per investire dell’esercizio della sovranità fosse qualunque persona o corpo adeguato ad agire per la difesa dei loro interessi25. Bolívar era dunque considerato, dalla mentalità popolare, il salvatore della patria, colui che aveva liberato il Sud del continente dal giogo spagnolo e poteva salvarlo dall’anarchia e dalle numerose lotte interne. Ci troviamo di fronte ad una immagine sostitutiva del Re, capace di organizzare lo Stato e liberarlo dai mali seguiti alla creazione della Repubblica26. La dittatura bolivariana fu perciò, in un certo senso, il risultato della transizione dallo Stato coloniale a quello repubblicano. Sostituire il Re con un’entità astratta, come la sovranità popolare o la Costituzione, era irreale nella pratica popolare; sostituirlo con quella del libertador era più semplice e immediato. La sostituzione della figura del Re con quella di Bolívar implicava un’altra conseguenza: la riaffermazione dell’autentico principio della sovranità condivisa in un contesto territoriale molto frammentato. Per una buona parte del XIX secolo, infatti, si mantenne la struttura dello spazio politico uscita dall’esperienza gaditana e dalle guerre di indipendenza: le aree periferiche, rurali e cittadine, continuarono ad esercitare una parte del potere politico. Le nuove élites dirigenti dovettero confrontarsi con il potere degli enti territoriali che disputavano alla capitale la supremazia nel nuovo Stato, obbligando i rappresentanti del potere centrale, i caudillos, ad attivare strategie di scambio e di legittimazione reciproca. 25 F. MORELLI, Territorio o Nazione. Riforme e dissoluzione dello spazio imperiale in Ecuador (1765-1830), cit., pp. 254-263. 26 Su questa interpretazione della figura di Bolívar si veda: H. T OVAR PINZÓN, Problemas de la transición del Estado colonial al Estado nacional (1810-1850) in J. P. DELER, Y. SAINT GEOURS (ed.), “Estado y Naciones en los Andes. Hacia una historia comparativa: Bolivia, Colombia, Ecuador y Perù”, Lima 1986, 2 voll., tomo 2. 108 Le nuove leggi di ispirazione liberale riconfermarono il Fuero militar e quindi, in base al modello gaditano, riaffermarono il ruolo del municipio nell’organizzazione delle milizie. L’intervento degli organi municipali nelle questioni militari divenne così ampio che «alcune volte, i municipi – scrive la Morelli – si sentirono legittimati a proporre all’esecutivo i candidati per le cariche militari, invadendo spazi che, in base al nuovo sistema politico, restavano fuori dalle loro competenze»27. Questo dimostra che le guerre non rafforzarono lo Stato ma le comunità locali e che il processo di formazione dei famosi eserciti indipendentisti continuava ad essere plasmato dalla società e non intaccava i poteri endogeni ma li andava rafforzando. 3. Genesi del fenomeno: lo spazio pubblico e quello privato La sopravvivenza del modello delle milizie territoriali e del Fuero militar offrì la possibilità agli Alcaldes municipali di detenere un doppio potere giurisdizionale poiché, oltre ad esercitare i poteri amministrativi e giudiziari, erano spesso anche ufficiali miliziani. Questo intreccio tra giurisdizione civile e militare conferì un potere straordinario a questi soggetti sul territorio. Ed è proprio da questa doppia giurisdizione a livello locale che nacque la forza dei caudillos nel XIX secolo: il potere, infatti, non derivò solo dalla forza delle armi ma dal Fuero militar e dalle pratiche di giustizia. Membri delle famiglie più prestigiose, i caudillos non provenivano affatto da ambiti rurali e incivili, come talvolta sottolineato dalla storiografia positivista latinoamericana della seconda metà dell’Ottocento28; erano, generalmente, originari delle città più importanti, acculturati, esponenti di spicco della burocrazia o dell’amministrazione locale, oltre che membri dell’esercito o delle milizie. Il fatto di detenere una doppia giurisdizione a livello locale dava loro una forte legittimità politica, in quanto il potere era ancora gestito attraverso pratiche giudiziarie. Nonostante le evidenti posizioni di privilegio, i caudillos dovettero scendere a patti con gli enti territoriali rurali e le strutture comuni27 Cfr: F. MORELLI, Territorio o Nazione. Riforme e dissoluzione dello spazio imperiale in Ecuador (1765-1830), cit., p. 207. 28 D. F. SARMIENTO, Facundo, civilización y barbarie, Madrid, Espasa Calpe, 1967. 109 tarie “particolari” come quelle indie che continuavano comunque ad esercitare poteri giurisdizionali sul territorio 29. Queste difficoltà di costruzione di un nuovo spazio territoriale con piena sovranità, uno Stato nazionale insomma, finì per generare l’idea di un fallimento storico del liberalismo in America Latina. In realtà le classi dirigenti non capirono che l’emancipazione dalla Spagna aveva segnato la vittoria definitiva dei corpi intermedi dell’ex Impero e che tutto il processo che aveva condotto il Sud del continente all’indipendenza aveva una sua logica in linea con la sua storia coloniale all’epoca della crisi dell’Impero. La dispersione della sovranità in un numero elevato di strutture territoriali non solo rese difficile la governabilità delle nuove Repubbliche, ma pose un altro grave problema per la costruzione degli Stati nazionali: la loro legittimazione e la questione del fondamento dell’obbligazione politica. Il complesso passaggio da un’obbligazione politica basata sulla lealtà ad una persona, il Re, ad un’altra inedita, fondata sulla lealtà ad un ente astratto, la nazione moderna, divenne, nell’America ispanica, un problema di difficile soluzione. Il consolidamento delle autonomie locali costrinse le nuove élites dirigenti ad affrontare il problema di come riuscire a consolidare i nuovi spazi nazionali. Riorientare il campo della legittimità politica verso il centro, espropriando i poteri territoriali degli attributi della sovranità, si rivelò una operazione lunga e assai complessa. Il diverso percorso del liberalismo ispanoamericano rispetto a quello europeo può essere spiegato proprio a partire da questa differenza. Mentre in Europa la costruzione delle nazioni fu, tutto sommato, un fenomeno elitario e si sviluppò all’interno di sistemi politici censitari, in tutta l’America meridionale – scrive la Morelli – il voto non fu censitario perché la legislazione si ispirò a quella gaditana30. 29 S. PALOMEQUE, El sistema de autoridades de pueblos de índios y su trasformaciones a finales del período colonial. El partido de Cuenca, in “Memoria Americana”, n. 6, Buenos Aires, 1996. 30 F. MORELLI, Territorio o Nazione. Riforme e dissoluzione dello spazio imperiale in Ecuador (1765-1830), cit., pp. 11-13. In quei territori, sottolinea l’autrice, fin dal momento dell’indipendenza analfabeti e indios ebbero pieno diritto di voto. A proposito del legame tra le diverse razze e il fenomeno del caudillismo cfr. A. ARGUEDAS, Raza de bronce, Buenos Aires, Losada, 1945. Più che l’ambito biologico in sé, il ragionamento della Morelli ci aiuta però a cogliere come l’allargamento dello spazio politico all’intera popolazione risultasse decisivo per la manifestazione del fenomeno. Allo stesso filone interpretativo si 110 4. Lo spazio economico e la mediazione politica Il mondo rurale e la sua principale unità produttiva, l’hacienda, giocarono un ruolo fondamentale nella pratica politica del caudillo negli anni successivi alle guerre di indipendenza. I nuovi leader politici, agendo da intermediari civili, si dimostrarono capaci di definire e canalizzare le dinamiche e le domande sociali in uno spazio che ancora si stava definendo31. In quest’ottica il caudillismo era strettamente legato al fenomeno del clientelismo. Entrambi nati in strutture particolari di controllo politico ed economico, si alimentarono di relazioni sociali informali e autoritarie. Se nel periodo coloniale queste relazioni erano legate all’istituzione della encomienda, nel secolo XIX fu l’hacienda lo spazio della sua riproduzione32. Tanto l’encomienda quanto l’hacienda erano, di fatto, istituti economici dotati di potere politico. Il sistema sociale dell’encomienda prima, e poi dell’hacienda, finì col determinare i rapporti politici tra l’autorità centrale e le differenti regioni. I poteri locali riprodussero fedelmente la logica organizzativa delle due istituzioni e perciò riuscirono a mantenere un controllo assoluto sulle attività economiche e sugli abitanti. L’esercizio condiviso del potere politico diventava pratica inevitabile. La figura del caudillo si costituì perciò come interprete della legge dello Stato e negoziatore della sua applicazione sul territorio. I caudillos stabilivano una relazione “diatica” che, d’accordo con la sua definizione, consisteva in una serie di accordi volontari tra due parti (leader e popolo in questo caso) per lo scambio di favori e l’aiuto reciproco in caso di necessità33. riconducono gli scritti di G. CHIARAMONTI, Suffragio e rappresentanza nel Perù dell’800. Parte prima: gli itinerari della sovranità 1808-1860, Torino, Otto Editore, 2002 e di P. G. JORDAN (ed.), Estado, región y poder local en América Latina, siglos XIX-XX: algunas miradas sobre el estado, el poder y la participación política, Barcelona, Publicaciones Universitat de Barcelona, 2007. 31 Cfr: A. ROUQUIÉ, L’America latina. Introduzione all’estremo occidente, Milano, Mondadori, 2000, pp. 75-76. 32 Sull’argomento cfr: S. SCHMIDT, J. SCOTT, C. LANDE. L. GUASTRI, Friends, Followers and Factions, Berkeley, University of California Press, 1977; F. G UILLÉN, El poder político en Colombia, Bogotà, Editorial Planeta, 1996, p. 21; A. ROUQUIÉ, L’America latina. Introduzione all’estremo occidente, cit. 33 S. SCHMIDT, J. SCOTT, C. LANDE. L. GUASTRI, Friends, Followers and Factions, cit., pp. 211-212. 111 In questa sorta di alleanza l’interesse particolare assunse l’apparenza di una reale preoccupazione per il bene comune. Per questo motivo i caudillos godettero di un diffuso appoggio politico e le guerre condotte dopo l’indipendenza ebbero un ruolo fondamentale nel processo di costruzione della lealtà popolare verso i leader. Il carattere “negoziatore” del caudillo, il suo impegno in difesa dell’interpretazione “speciale” della legge dello Stato, furono il riflesso di un’attività politica che non aveva alcun fondamento giuridico legale. Ciò comportava che l’alleanza che favoriva la sua azione poteva terminare quando i rappresentanti regionali non necessitavano più della sua mediazione o nel caso in cui costoro riuscivano a controllare direttamente il potere. Il caudillismo clientelare fu, dunque, gravemente ostativo della costruzione degli Stati nazionali latinoamericani. La configurazione di uno spazio pubblico arbitrato da uno Stato centrale divenne, in quei paesi, una chimera a causa della politica delle clientele 34. Nel secolo XIX le istituzioni convenzionali dicono, quindi, ben poco sul funzionamento delle comunità politiche in America Latina, dato che questo restava legato, in forme diverse, a rapporti di comparaggio, vicinanza o amicizia che, collettivamente, permettevano che quel mondo funzionasse35. Il caudillismo rappresentava perciò il predominio delle richieste “informali” di relazioni politiche e sociali e sanciva il disinteresse per le istituzioni formali. Il contesto propizio al rafforzamento di queste figure che, per Lynch, «non erano nulla se non potevano distribuire terra» 36, si realizzò pienamente insieme allo sviluppo dei processi di centralizzazione degli Stati e di espansione del mercato. Gli intermediari si accreditarono come i migliori interpreti dell’impatto di queste due dinamiche sulle strutture comunitarie: «i latifondisti – scrive Duncan – si convertirono in intermediari che entravano in competizione tra loro per accaparrarsi il maggior numero di sostenitori. Gli attori che dominavano la scena politica nazionale potevano formalizzare alcuni di questi sistemi di clientela in rapporto ad altri già presenti sulla scena. Per questo il pa34 «I contadini partecipavano alla politica nazionale a loro modo, senza attitudine civica, senza entusiasmi di parte, obbedienti solo ai loro leader e alle autorità tradizionali»: cfr. F. ESCALANTE, Ciudadanos Imaginarios, Ciudad de México, El Colegio de México, 1993, p. 72. 35 S. SCHMIDT, J. SCOTT, C. LANDE. L. GUASTRI, Friends, Followers and Factions, cit., p. XVII. 36 J. LYNCH, Las revoluciones, cit., p. 385. 112 drone, il caudillo più valoroso, è quello che mantiene il maggior numero di legami»37. La legittimità del caudillo era data, dunque, non solo dall’efficacia in termini di gestione istituzionale, ma anche dall’esistenza di una cultura politica nella quale la legittimità pubblica si costituiva mediante azioni private che permettevano di etichettare il capo politico come il capo del popolo, l’uomo forte. Questa tipologia di rapporti, selettivi ed esclusivi, finirono col limitare i processi di formazione degli Stati nazionali. Come conseguenza del tentativo di rendersi formalmente indipendenti dalla Corona, le élites criollas crearono una struttura statale senza preoccuparsi per tempo dei progetti nazionali ed estremizzarono la struttura centralista per controllare le espressioni di disordine regionale che limitavano l’applicazione della legge dello Stato38. Nonostante la tendenza a privilegiare il “particolare”, non bisogna però certo negare il peso delle ideologie. L’ispirazione liberale caratterizzò l’azione politica dei caudillos nel XIX secolo; le conseguenze, più riformiste che rivoluzionarie, riprodussero la logica di comportamenti tradizionali entrando in contraddizione con la logica della mobilitazione popolare. «La proclamazione individuale del mandato del pueblo – scrive Lynch – contraddice l’ideale della rivoluzione secondo il quale l’elezione dei governanti in una comunità deve essere ordinata, regolata e solennizzata da un processo pubblico di elezione»39. 37 J. DUNCAN, Peasant society and Clientelistic politics in SCHMIDT, J. SCOTT, C. LANL. GUASTRI, Friends, Followers and Factions, cit., p. 49.«Le relazioni patria-cliente – scrivono Eisenstadt e Roniger – sorsero in America Latina come il risultato di due processi: da un lato apparvero, a partire dal periodo coloniale, quando si formò un ordine sociale costruito su un forte elemento di relazione di potere tra stati e una continua preoccupazione sul loro ruolo gerarchico e quindi sul prestigio e l’onore. Dall’altro emersero a partire dall’indebolimento del controllo delle istituzioni centrali e dalla localizzazione degli ambiti del potere»: cfr. C. EISENSTADT, E. RONIGER, Patrons, Cliens and Friends: interpersonal relations and structure of trust in society, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1984, p. 100. 38 L’ostacolo era quello di non possedere elementi definiti di omogeneità culturale ma di organizzarli da un estremo all’altro del continente. L’idea di nazione in questi paesi fu il prodotto e non il fondamento dell’organizzazione socio-politica centralizzata. Sarà lo Stato a creare l’idea di nazione in tutti quei paesi. Cfr: J. C HIARAMONTE, Ciudades, Provincias, Estados. Orígines de la Nación Argentina (1800-1846), Buenos Aires, Espasa Calpe, 1997, pp. 154-162. 39 J. LYNCH, Las revoluciones, cit., p. 273. DE. 113 Le guerre del XIX secolo, inoltre, non permisero la nascita, nei rispettivi territori, di quelli che la Willis definisce Barón Mayor. Questo ha a che fare «in parte – scrive la Willis – con la formazione simultanea di distinte élites regionali, ciascuna con un proprio potere politico ed economico. Ha anche, però, a che fare con la scarsezza di mezzi fiscali» 40. Il secolo XIX e i suoi attori principali incarnarono una combinazione di pratiche politiche coloniali legate al prestigio e al potere personale, con ideali e giustificazioni propri di un contesto indipendentista. Inoltre il forte regionalismo, rafforzatosi durante la crisi dell’Impero, non permise che le guerre d’indipendenza aprissero il cammino ai Barón Mayor, capaci di promuovere una omogeneizzazione per via impositiva. La pesante eredità che la crisi imperiale e il periodo indipendentista lasciarono ai nuovi Stati impedì, per tutto il secolo, che lo Stato si identificasse con la nazione. Lo spazio dei nuovi Stati indipendenti era profondamente limitato dai vari soggetti collettivi che si erano formati durante la crisi e che avevano modificato il tessuto politico coloniale. Per questo motivo apparve insormontabile la discrepanza tra il progetto delle élites dirigenti, che aspiravano ad ampliare il loro potere e ad occupare e controllare le istituzioni dei nuovi Stati, e le realtà dei paesi iberoamericani in cui vi erano ampi spazi territoriali che si sottraevano alla sovranità dei nuovi Stati. 5. La politica della guerra: rottura dottrinaria e continuità costituzionale La lotta per l’indipendenza assumeva così la prospettiva hegeliana di condizione naturale dell’umanità41. La guerra doveva rompere gli equilibri dell’Antico Regime e costruirne di nuovi basati sulla storia 40 M. E. WILLIS, En contra de la marea o sobre como la violencia, a veces, produce democracía, in “Revista de Estudios Sociales”, n. 1, 2010. 41 Naturalmente il riferimento è ad Hegel della “Filosofia dello Spirito” [1803] o a quello di “Vita di Gesù” [1795] e non a quello delle “Lezioni sulla filosofia della storia” [1827] in cui la storia viene descritta come un immenso mattatoio. Nelle prime due opere prevale infatti il tema della guerra sempre posto in stretta relazione col concetto di libertà indissolubilmente connesso al progressivo sviluppo della storia umana. Non può esservi libertà ove prevale l’anelito alla mera conservazione della vita. Cfr: A. N EGRI, La maniera di trattare scientificamente il diritto naturale, posizione di questo nella filosofia pratica e suo rapporto con le scienze giuridiche positive, in G.W.F. HEGEL, Scritti di filosofia 114 della nuova America. Così la percepiva Bolívar quando dichiarava «è qui il codice che dobbiamo consultare non quello di Madrid o di Washington»42. Il sistema nato a Cadice era, perciò, considerato un limite e non un’occasione almeno fino alla fine della guerra 43. Il sacrificio di conservare l’indipendenza e la sovranità dello Stato, che coincideva in maniera del tutto informale con la figura del caudillo, esulava dagli interessi particolari del singolo, che quindi si disponeva a rinunciare alla vita pur di salvaguardare la collettività statale. Il vecino, ovvero il cittadino con diritto di voto nei nuovi Stati, era proprio colui che poteva armarsi ed entrare nelle milizie per difendere la propria comunità44. L’idea che la virtù militare fosse un completamento della virtù politica era, dunque, fortemente presente anche in Sud America. L’esaltazione delle milizie e del cittadino soldato servì a rafforzare il concetto di deferenza politica45. del diritto (1802-1803), Bari-Roma, Laterza, 1962; G. F. HEGEL, Lezioni sulla filosofia della storia, a cura di G. Calogero e C. Fatta, Firenze, La Nuova Italia, 1941. 42 Cfr: A. SCOCOZZA, Bolívar e la rivoluzione Panamericana, Milano, Dedalo, 1978, pp. 184-211. 43 Cfr: J. L. GÓMEZ MARTINEZ, El pensamiento Latinoamericano, una aproximación bibliográfica, in “Cuadernos Salmantinos de filosofía”, n. 8, 1981, p. 291. Con l’inizio dei dibattiti sulla ricostruzione il sistema gaditano rientrò in gioco: cfr. C. G ARRIGA (ed.), Historia y costitución: trayectos del constitucionalismo ispanico, México, CIDE, 2010. 44 Con l’entrata in vigore della Costituzione di Cadice, il concetto di cittadinanza spagnola, e quindi anche di quella coloniale, non si basò né sul requisito della proprietà, né su quello della fiscalità, ma su quello della vecinidad. Oltre a coloro che non possedevano i requisiti della residenza, di non aver ricevuto condanne penali e di non risultare insolvente, furono esclusi dal diritto di voto coloro che non avevano un lavoro certo e i sirvientes domesticos. La carta, tuttavia, non precisò ulteriormente il senso politico del termine lasciando ogni altra interpretazione alla volontà dei singoli Stati. La nozione di vecinidad presupponeva dunque un’identità sociale notoria, cioè riconosciuta dalla comunità sociale di appartenenza, rimandando all’immagine pubblica che ciascun membro aveva di fronte alla comunità. Sull’origine e l’evoluzione del concetto cfr:: T. H ERZOG, Defining nations. Immigrans and citizens in early modern Spain and spanish America, New Haven, Yale University Press, 2003. 45 Il vecino dell’epoca liberale spagnola si avvicina più all’esempio machiavelliano rispetto a quello di Harrington. La nozione di vecinidad non era, infatti, legata alla proprietà della terra, ma al fatto di vivere in una casa e di avere una occupazione socialmente riconosciuta. Il cittadino era tale, perciò, a prescindere dal suo contributo formale e sostanziale al progresso ma per il solo fatto di appartenere ad un territorio. Sul concetto di cittadinanza in Machiavelli e Harrington cfr. G. A. POCOCK, Il Momento machiavelliano, Bologna, il Mulino, 1980, 2 voll. Per una ulteriore riflessione cfr. F. MORELLI, Territorio o Nazione. Riforme e dissoluzione dello spazio imperiale in Ecuador (1765-1830), cit., pp. 121-174. 115 La struttura della milizia rispecchiava, in genere, l’ordine della società: la partecipazione alle milizie, come la partecipazione alla vita politica, permetteva di riconciliare il concetto di sovranità popolare con la sopravvivenza di una struttura sociale gerarchica. Il sistema militare e quello elettorale costituivano un riflesso della concezione organica del corpo politico in quelle aree in cui le relazioni di asimmetria personalizzata, nota Rouquié, erano assai più determinanti della semplice logica dei rapporti di produzione e dove la familiarità protettrice dei potenti conferiva fondamento alle aspettative degli umili 46. Il caudillo, custode di quelle realtà, rappresentava un modello supremo di Stato liberale, ovvero il mediatore degli interessi particolari degli individui, la congiunzione tra lo Stato e la società civile. In questo sistema la guerra era percepita come un mezzo necessario a conseguire e a preservare la pace e condivideva il principio etico-giuridico del bellum justum di Suárez e Pufendorf. Elementi per altro già presenti nella tradizione latinoamericana grazie alla diffusione degli scritti di Francisco de Vitoria nei quali il concetto di guerra giusta veniva interpretato come uno strumento di attuazione del diritto delle genti ed era ammesso dalle leggi e dai costumi di tutti i popoli che affermavano la loro identità contro quella del nemico47. La tesi della militarizzazione della politica di Gootemberg e della Guerra andrebbe quindi sottoposta a revisione48. Si potrebbe, infatti, parlare piuttosto di politicizzazione della guerra sulla scia della revisione concettuale della politica tipica della storiografia della fine degli anni Novanta49. L’esercito non costituiva quel corpo potente che si è spesso 46 A. ROUQUIÉ, L’America latina. Introduzione all’estremo occidente, cit., p.134. 47 Sulla teoria della guerra giusta in de Vitoria cfr: G. TOSI, La teoria della guerra giu- sta in Francisco de Vitoria e il dibattito sulla conquista in “Jura gentium”, n 1, 2006; L. FERRAJOLI, La conquista delle Americhe e la dottrina della sovranità degli Stati in “Meridiana”, 1992; per una conveniente bibliografia di tipo giuridico sull’argomento si veda A. A. CASSI, Da Salamanca allo Yucatan. Itinerari storico-giuridici del Bellum justum, in “Diritto@Storia”, n. 4, 2005. 48 P. GOOTEMBERG, La política nacionalista del caudillismo y la construcción del estado liberal, in P. GOOTEMBERG (ed.), “Caudillos y comerciantes: la formación económica del estado peruano 1820-1860”, Cuzco, Centro de Estudios andino B. de las Casas, 2003; M. GUERRA, Caudillismo y poder, in M. GUERRA (ed.), “El hombre y los Andes, Cuzco, Pontificia Universidad del Perù, 2002. 49 Fra gli altri citiamo: F. SAFFORD, The Problem of Political Order in Early Republican Spanish America, in “Journal of Latin American Studies”, Vol. 24, 1992; J. C HASTEEN, Making sense of caudillos and revolutions in Nineteenth-Century Latin America, in J. CHASTEEN. J. TULCHIN (ed.), “Problems in Modern Latin American History: A Reader”, Wilmington-Delaware, Scholarly Resources, 1994. 116 immaginato e, per sollevarsi contro un governo, aveva bisogno, formalmente e sostanzialmente, delle comunità locali. I famosi levantamientos o pronunciamientos – ricorda la Morelli – che a prima vista potevano sembrare atti arbitrari erano, in realtà, atti estremamente formalizzati. Il proclama del caudillo era accompagnato sempre da dichiarazioni ufficiali dei municipi o delle corporazioni e dei pueblos riuniti in assemblea50. Il pronunciamento simulava, perciò, una dissoluzione del corpo politico e la sua rifondazione attraverso patti liberamente stipulati dalle comunità di base che conferivano legittimità ad un nuovo capo politico. La pianificazione e organizzazione della guerra, tra la crisi dell’Impero e l’indipendenza, si può dunque considerare uno strumento di revisione della sovranità e di costruzione di una qualche forma di autorità che, però, si sviluppava in un’area che si andava liberando della madrepatria europea ma che ne recepiva ancora i modelli politici riadattandoli ad una realtà che aveva una nuova esigenza: la creazione di un’identità. Proprio questa novità determinò una postura più aperta e flessibile verso i riferimenti europei, in virtù di quella che Zea definisce «una visione non ontologica dell’identità»51. Così il caudillo rappresentava, in quella fase, il passaggio dall’Europa all’America: questo presupponeva la sospensione della “storia civile” e la guerra diventava uno strumento di affermazione politica posto in stretta relazione col concetto di libertà. La guerra poteva determinare il trionfo della Personne Morale, e quindi dei nuovi Stati nei quali il caudillo era il rappresentante di una sovranità popolare dai contorni decisamente indeterminati. I nuovi Stati avevano, infatti, solo parzialmente incluso i cittadini nell’ambito della politica “moderna” o nazionale, filtrando e assorbendo la società civile costruita in Europa, a Cadice52. Il sistema dei patti, attraverso il quale ai nuovi leader veniva attribuito il potere, funzionava solo se gli aspetti “informali” dell’azione politica prevalevano su quelli “formali”; perciò i cittadini prestavano liberamente fiducia e obbedienza all’autorità del caudillo solo finché in essa si identificavano sulla base di qualità del tutto estranee alla politica. 50 F. MORELLI, Territorio o Nazione. Riforme e dissoluzione dello spazio imperiale in Ecuador (1765-1830), cit., pp. 206 sgg. 51 L. ZEA, Latinoamérica, cultura de culturas, México, Fondo de cultura económica, 1999, p. 11. 52 Sulla continuità costituzionale tra lo Stato borbonico e la società latinoamericana cfr: M. BELLINGERI, Dinámicas de antiguo Régimen y orden constitucional. Rapresentación, justicia y administración en Iberoamérica. Siglos XVIII-XIX, Torino, Otto, 2000. 117 La recente storiografia sul tema – suggeriscono Carmagnani e la Morelli – ha assolto la politica ispanoamericana dall’accusa di essere rimasta un soggetto passivo nel processo di occidentalizzazione: «le differenze – scrive la Morelli – non sono pensate come una degenerazione del sistema politico ma come modalità di relazione in un contesto preciso»53. Tuttavia bisogna dire che la libertà non coincise con la liberazione dalla madrepatria. Piuttosto essa fu un incessante adattamento delle nuove esigenze alle tradizionali dottrine o pratiche istituzionali. La guerra che nell’Europa di Hegel aveva costruito gli Stati nazionali non aveva liberato l’America dalle pratiche dell’Antico Regime e i corpi intermedi non avevano dato vita al federalismo “moderno” come negli Stati Uniti. Il caudillo, perciò, era un’autorità fragile, senza un potere legittimamente stabilito e indipendente in un sistema di poteri che, al contrario, erano legittimamente stabiliti e totalmente indipendenti dall’autorità centrale. I caudillos, lungi dall’essere la via verso la modernità, rappresentarono quindi il confine con la tradizione. Un confine politico che l’America Latina avrebbe pagato ancora a lungo 54. Abstract - The observation of Latin American policy of the 19th century gives us the image of anarchy and irrationality of the new republics. This view survived until the end of the century and contributed to build a new historical version of the independence: the emancipating movement had been betrayed by a new political actor, the caudillo, whose power, arbitrary and personal, was used to limit the soveregnity of the laws. The all process that goes from the imperial crisis to the birth of the independent republics has got its own logic and rationality: the informality of the political life in Latin American States and the institutional “disorder” which characterized them was the fruit of the survival of political structures typical of the colonial age and, moreover, of the crisis of the empire. The violence of the regime was, therefore, a political formality, a receptacle of the new liberal ideas. Therefore liberalism did not emerge from the past and war became part of a geographical area, where violence went hand in hand with tradition. 53 Cfr: M. CARMAGNANI, L’altro Occidente, Torino, Einaudi, 2004; F. MORELLI, Entre el antiguo y el nuevo régimen. La historia politica ispanoamericana del siglo XIX, in “Historia Crítica”, n. 3, 2007. 54 Per una diversa interpretazione sui caudillos e la modernità cfr: M. D. DEMÉLAS, El nascimento de una forma autoritaria de poder: los caudillos, in “Bolletin d’histoire contemporaine de l’Espagne”, n. 24, 1996. Qui l’autrice sostiene che il fenomeno deve essere considerato tipico della modernità proprio in quanto esso rappresenta una rottura col passato e una nuova espressione di potere. 118