Che cos’è la politica? Qual è il loro fine? A chi si riferiscono?
Claudia Baracchi – Manuel Berrón – Enrico Berti
Michele Di Febo – Silvia Gullino – Alberto Jori
Pietro Li Causi – Giovanni Battista Magnoli Bocchi
Francesca Masi – Marcello Zanatta
’ἐπιστήμη
terrogazione che deve sempre tenere presente la specificità
Anche per questo, piuttosto che offrire una semplice ricostru
Ricerche aristoteliche
Etica e politica in questione
A cura di Giulia Angelini
editrice petite plaisance
Prometeo legato alla colonna con Atlante che regge il cielo, VI secolo a.C.
il giogo
135
Collana diretta da Luca Grecchi
«ıpou gàr ’scùV suzugoüsi kaì díkh,
poía xunwrìV tÖnde karterwtéra;».
«Infatti, dove forza e giustizia sono allo stesso giogo,
quale coppia è più valorosa di questi?».
Eschilo, Frammento 267-268.
«tòn páqei máqoV
qénta kuríwV êcein».
«Solo il vero sapere ha
potenza sul dolore».
Eschilo, Agamennone, 177-178.
«xumjérei
swjroneïn Îpò sténei».
«È utile recuperare sapienza nel dolore».
Eschilo, Eumenidi, 520.
«Kaí mÈn sú g´oûpw swjroneïn ”pístasai».
«Eppure tu ancora non sai esser saggio».
Eschilo, Prometeo incatenato, 982.
In copertina:
Copia romana in Palazzo Altemps del busto di Aristotele di Lisippo.
Claudia Baracchi, Manuel Berrón, Enrico Berti,
Michele Di Febo, Silvia Gullino, Alberto Jori,
Pietro Li Causi, Giovanni Battista Magnoli Bocchi,
Francesca Masi, Marcello Zanatta,
Ricerche aristoteliche. Etica e politica in questione
a cura di Giulia Angelini
ISBN 978-88-7588-283-9
2021
editrice
petite plaisance
Associazione culturale senza fini di lucro
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Tel.: 0573-480013
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e-mail: info@petiteplaisance.it
Chi non spera quello
che non sembra sperabile
non potrà scoprirne la realtà,
poiché lo avrà fatto diventare,
con il suo non sperarlo,
qualcosa che non può essere trovato
e a cui non porta nessuna strada.
Eraclito
Claudia Baracchi – Manuel Berrón – Enrico Berti
Michele Di Febo – Silvia Gullino – Alberto Jori
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Francesca Masi – Marcello Zanatta
rIcerche arIstoteLIche
Etica e politica in questione
A cura di Giulia Angelini
petite plaisance
Silvia Gullino
La nozIone dI autarchIa
neL pensIero poLItIco dI arIstoteLe
daLLa Politica aLLa costituzione degli ateniesi
Nel Corpus aristotelicum la nozione di a◊tárkeia ricorre 78 volte, assumendo un significato tecnico nel De generatione animalium,
nel De caelo e nella Metafisica, ma comparendo con particolare
frequenza e rilevanza filosofica nei trattati di etica e nella Politica.1
La comprensione del significato “politico” del termine, da sempre, si è basata unicamente sull’esame di questi testi e, sebbene
negli ultimi anni sia stata posta al centro dell’attenzione dagli
studiosi, non si è assestata su di un’unica tesi universalmente
condivisa.
In passato, nel volume Aristotele e i sensi dell’autarchia, ho tentato
di riflettere sulla questione, cercando altresì di tenere conto delle
occorrenze del termine nella filosofia prima e nei trattati biologici
dello Stagirita. In questa sede, invece, si affronterà il problema
ponendo al centro dell’attenzione la Costituzione degli ateniesi che,
pur non contenendo occorrenze esplicite del termine “a◊tárkeia”,
presenta una serie di riferimenti a situazioni di autarchia.
Del resto, gli studi più recenti hanno dimostrato come tale
opera debba essere considerata come una fonte imprescindibile
per la conoscenza del pensiero politico di Aristotele. E infatti, tale
trattato e i riferimenti all’autarchia presenti in esso suscitano particolare interesse per l’originalità delle considerazioni aristoteliche
ivi esposte, che meritano opportuna riflessione e valorizzazione.
La presente indagine, pertanto, si svilupperà intorno a quattro
nuclei tematici:
1
Luoghi nei quali compare in più di 70 occorrenze. Per un approfondimento di
questi temi, cfr. s. guLLIno, Aristotele e i sensi dell’autarchia, Padova, Cleup 2013.
213
sILvIa guLLIno
1. l’esposizione dello status quaestionis relativo alla definizione
del significato politico del temine a◊tárkeia;
2. l’interpretazione dei diversi significati che la nozione assume
nelle sue molteplici occorrenze “politiche”, in funzione della teoria
˚´
aristotelica dell’“f¿∕nòV ¿
h` pròV en;
3. l’esame del rapporto esistente fra il significato politico della
nozione ed il problema sollevato da Aristotele nel libro VII della
Politica, ovvero quello della scelta della costituzione migliore;
4. il contributo che, in questo senso, può fornire la Costituzione
degli ateniesi.
Gli ultimi due punti, in particolare, consentiranno di approfondire il tema oggetto della presente indagine, confermando o smentendo le proposte interpretative formulate nei punti precedenti.
I.
La nozione di a◊tárkeia occupa un posto di primo piano nel
pensiero politico di Aristotele. È noto infatti come, all’inizio della
Politica, il filosofo abbia definito la póliV come «una comunità
perfetta di più villaggi [...] caratterizzata dall’avere raggiunto il
livello dell’autarchia»,2 e come, poco oltre, abbia giustificato tale
affermazione sulla base del carattere perfetto e finalistico della
póliV stessa, che è definita come «il fine e quanto vi è di meglio»
(kaì téloV kaì béltiston)»3 per le comunità che la costituiscono.
La póliV quindi, risulta essere perfetta in quanto autarchica e
autarchica in quanto perfetta, e tale perfezione è dovuta al fatto
di essere téloV per i suoi abitanti, in quanto condizione necessaria
per la felicità e la realizzazione della “vita buona”.
2
3
Pol. I 2, 1252 b 27-28 (trad. di C. A. Viano in arIstoteLe, Politica, Bur, Milano 2002).
Pol. I 2, 1252 b 33-1253 a 1.
214
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
Tali considerazioni trovano eco nell’Etica Nicomachea, ove Aristotele, considerando la felicità come il supremo bene pratico, la
definisce «perfetta ed autarchica (téleion […] aûtarkeV)»,4 ed in
cui identifica l’autarchia stessa con quel sommo bene che rende
l’esistenza pienamente realizzata e non manchevole di nulla.
Il concetto di autarchia, quindi, costituisce quella nozione che,
nell’ambito delle scienze pratiche di Aristotele, risulta essere la più
idonea ad indicare il carattere proprio della felicità e la caratteristica che deve possedere la póliV perfetta, intesa come il luogo in
cui l’uomo, che è uno z∏on politikón, può realizzare pienamente
se stesso e conseguire l’e◊daimonía.
A causa di questo importante valore “pratico” si comprende
come, negli anni, gli studiosi abbiano cercato di definire il significato della nozione nel modo più preciso possibile. Ne sono risultate
tre posizioni fondamentali:
– anzitutto, quelle dell’odierna filosofia anglo-americana e della cosiddetta “rinascita della filosofia pratica” che si sviluppò in
Germania;5 in tali contesti la nozione di a◊tárkeia è stata collegata
a parametri per lo più politici ed economici, ed è stata descritta
come una condizione necessaria per il vivere bene dell’uomo;
– vi è poi l’interpretazione della filosofia pratica aristotelica
riconducibile ai fautori europei e americani della rinascita dell’aristotelismo, che hanno valorizzato l’aspetto più specificamente
filosofico della “scienza pratica” aristotelica, ovvero l’interesse
Eth. Nic. I 5, 1097 b 8 (traduzione dell’Autore).
Fra gli esponenti dell’odierna cultura anglo-americana che si richiamano ad
Aristotele, vale citare a. macIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, trad.
it. di P. Capriolo, Armando, Milano 1987 e B. WILLIams, Ethics and the Limits of
Philosophy, Fontana Press, Cambridge 1985. Per quanto concerne il dibattito nel
mondo tedesco, la raccolta di saggi curata da m. rIedeL, Rehabilitierung der praktischen Philosophie, Rombach, Freiburg 1972-1974, rende conto del ricco dibattito
che ha coinvolto pensatori come H. G. Gadamer, R. Bubner, W. Hennis, J. Ritter,
G. Bien, oltre allo stesso Riedel. Per una ricostruzione articolata ed informata
del dibattito, cfr. F. voLpI, La rinascita della filosofia pratica in Germania, in C. pacchIanI (a cura di), Filosofia pratica e scienza politica, Abano Terme, Francisci 1980,
pp. 11-97.
4
5
215
sILvIa guLLIno
che l’uomo ha nei confronti della propria felicità.6 Costoro hanno
infatti considerato l’a◊tárkeia, esplicitamente, come téloV e, così
facendo, l’hanno esaminata in quanto fine precipuo dell’uomo e
come sua piena realizzazione, fino ad identificarla con la capacità
di esercitare bene la parte conoscitiva della ragione, pur con scopo
pratico;7
– una terza interpretazione è quella di coloro che, basandosi prevalentemente su Etica Nicomachea X 7, hanno assimilato
l’autarchia alla stessa vita teoretica, declassando qualunque forma
di autosufficienza “pratica”, in senso ampio e, ancor di più, quella
politica o economica.8
A tali posizioni vale poi associare quelle proprie del dibattito
che, negli anni, ha opposto i sostenitori di una visione “inclusivista” dell’autarchia a coloro che, invece, hanno optato per
un’interpretazione “esclusivista” della stessa.
Con il primo dei due termini ci si riferisce a un’interpretazione
dell’autarchia aristotelica vista come l’insieme o, se si vuole, la
6
Cfr., ad esempio, a. sen, Equality of What?, in Id., Choice, Welfare, and Measurement,
Oxford University Press, Oxford 1982; nonché Id., Commodities and Capabilities,
North-Holland, Dordrecht 1985.
7
Cfr. Id., Choice, Welfare, and Measurement, cit., pp. 353-372. L’economista sostiene,
in accordo con la propria interpretazione della teoria aristotelica, che il criterio
per la distribuzione dei beni e, dunque, per procurare l’autarchia, risiede nella
possibilità di rendere la gente capace di vivere in un certo modo, basato sulle sue
stesse capacità e possibilità. L’autarchia cui egli ambisce è, dunque, la libertà di
attendere a tali possibilità e, esattamente come la felicità, non può essere intesa
utilitaristicamente come soddisfazione dei desideri, ma è uno stato di pienezza
e di piena realizzazione di sé. Come si nota, lo studioso non ha solo riconosciuto,
in modo più globale rispetto ad altri filosofi contemporanei, le diverse sfumature della nozione di autarchia in Aristotele, cui fa sovente riferimento esplicito
(cfr., al riguardo, Id., Etica ed Economia, Laterza, Roma-Bari 1988), ma ha messo
in luce un’attualità del pensiero dello Stagirita che rimaneva in ombra nel caso
dei propugnatori anglo-americani e tedeschi della filosofia pratica di Aristotele.
Cfr. anche s. moceLLIn, Ripartire dalla «vita buona». La lezione aristotelica in Alasdair
MacIntyre, Martha Nussbaum e Amartya Sen, Cleup, Padova 2006.
8
Cfr. Eth. Nic. X 7, 1177 b 2-20.
216
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
somma di una serie di virtù o beni,9 mentre, col secondo termine,
la si considera come uno status completamente e specificamente
diverso da ciò che concorre a procurarla, anche dal punto di vista
qualitativo. L’interpretazione “inclusivista” vanta poi al proprio
interno la variante definita “comprensivista” e quella “inclusivista
in senso stretto” (definita anche “esclusivista moderata”); la prima
di esse, che accomuna la maggior parte degli interpreti contemporanei di formazione analitica, appare come la più “teleologica”,
perché considera la felicità (e◊daimonía), e quindi l’autarchia,
come l’insieme di tutti i beni, nel senso che non esistono beni
intrinseci poiché questi ultimi sono considerati tali “se e solo se”
procurano la felicità.10 La seconda posizione, invece, presuppone
una concezione dell’autarchia che ne fa l’insieme dei soli beni essenziali per una vita degna di scelta; in tale senso, l’attenzione è
posta sui beni che promuovono l’autarchia stessa e l’interrogativo
verte sul problema se essi siano maggiormente rappresentati dalle
virtù etiche o dianoetiche.11
9
Parallelamente, la vita felice ed autarchica diviene l’insieme di molte virtù ed
il possesso di alcune cose materiali.
10
Cfr. al riguardo J. cooper, Reason and Human Good in Aristotle, Harvard University Press, Cambridge 1975, spec. pp. 81 e 92, ove egli afferma «everybody
desires eudaimonia and desires anything else only if they believe it promotes
eudaimonia»; r. soraBJI, Aristotle on the Role of Intellect in Virtue, in a. o. rorty
(ed.), Essays on Aristotle’s Ethics, University of California Press, Berkeley 1980,
pp. 201-221, spec. p. 207, ove sostiene che «practical deliberation is rational only
if its immediate or ultimate aim is eudaimonia»; t. IrWIn, Permanent Happiness:
Aristotle and Solon, in «Oxford Studies in Ancient Philosophy», 3 (1985), pp. 103136, spec. p. 113, secondo cui un’azione è razionale solo se un agente la compie,
unicamente, per promuovere l’eudaimonia (e l’autarchia); J. cooper, Contemplation and Happiness in Aristotle: A Reconsideration, in «Synthese», 72 (1987), pp.
189-211, spec. p. 192; t. IrWIn, The Structure of Aristotelian Happiness, in «Ethics»,
102 (1991), pp. 382-391, spec. p. 383, r. heInaman, Rationality, Eudaimonia and
Kakodaimonia in Aristotle, in «Phronesis», 38 (1993), pp. 31-56, spec. p. 34 nota 8:
«“Comprehensivist” commentators give Aristotle the stronger claim: eudaimonia
is intrinsically valuable and anything else is valuable only if it is a constituent
the eudaimonia. This is based largerly on the self-sufficiency requierement for
eudaimonia (Eth. Nic. 1097 b 6-21)».
11
a. WhIte, Is Aristotelian Happiness a Good Life or Best Life?, in «Oxford Studies
217
sILvIa guLLIno
Quanto all’ultima posizione, che è stata definita da Robert
Heinaman “esclusivista” o “eudaimonismo non assiologico”, essa
presuppone, come regola generale, che ogni bene intrinseco possa
promuovere l’autarchia, ma che di quest’ultima vi siano specie
diverse qualitativamente, sia fra loro che in rapporto ai beni stessi.
In tal senso, se un bene fallisce nella sua istanza di procurare la
felicità, esso non smette di avere un proprio valore intrinseco.12
A cercare di mettere ordine in questo complicato “dedalo interpretativo” è stato uno studio 1987 dello stesso Heinaman, dal
titolo Eudaimonia and Self-sufficiency in the Nicomachean Ethics,
in cui l’autore ha esaminato il rapporto esistente fra l’autarchia e
l’e◊daimonía, attraverso una valutazione delle diverse forme di
autarchia e di felicità esistenti.13 Egli ha così sostenuto che, per Aristotele, la felicità (e◊daimonía) non vada intesa come un tutto fatto
di parti, mostrando come ogni supposizione di parere contrario
possa essere ricondotta all’argomento di Etica Nicomachea I 5 e, in
ultima analisi, proprio al suo rapporto con il concetto di autarchia.
Ha insistito poi sul fatto che il bisogno di autarchia proprio
dell’e◊daimonía, quale è descritto in Etica Nicomachea I 5, lascia
intuire l’esistenza di differenti forme di felicità e di autarchia, di
natura più o meno elevata, ma non di differenti gradi di una sola e
unica felicità, o di una sola e unica autarchia. Così facendo, egli ha
tentato di negare che l’autarchia, per Aristotele, sia identificabile
esclusivamente con la vita teoretica o, al contrario, sia da ridursi
alla somma di una serie di virtù e di risorse materiali, non negando
però a tale status l’aggettivo di “autarchico”.14
in Ancient Philosophy», 8 (1990), pp. 103-144, spec. p. 42. White sostiene che
l’autarchia non richiede ogni bene, ma ogni bene essenziale per una vita massimamente degna di scelta.
12
r. heInaman, Rationality, Eudaimonia and Kakodaimonia in Aristotle, cit., pp. 35
e 40.
13
Id., Eudaimonia and Self-Sufficiency in the Nicomachean Ethics, in «Phronesis»,
33 (1988), pp. 31-53.
14
Lo stesso studioso, in un articolo del 1992, ha poi tentato di avvalorare nuovamente questa tesi smentendo, sulla base delle affermazioni contenute nella
Politica, sia la tesi “inclusivistica” che quella “comprensivistica”.
218
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
Se queste interpretazioni della nozione non hanno agevolato
chi ha tentato di fare chiarezza sulla tematica, altrettanti problemi
sono stati sollevati da coloro che, con generalizzazioni spesso poco
rispettose della complessità delle opere dello Stagirita, hanno
cercato di risolvere il problema delle numerose occorrenze della
nozione all’interno del Corpus aristotelicum, che non sono sempre
univoche, ribadendo che, in generale, nelle Etiche, l’autarchia
sia presentata come lo status al quale l’uomo deve tendere e in
funzione del quale deve operare individualmente una “scelta
di vita”; nella Politica sia considerata in una prospettiva politica
ed economica, avente pochi rapporti con il problema dell’etica
individuale e, nella Retorica sia descritta in una prospettiva non
avente nulla a che fare con il piano morale.
Questa tipo di approccio si è rivelato assai problematico perché, sostanzialmente, ha escluso la possibilità di attribuire un
unico significato alla nozione, anche nell’ambito delle sole scienze
pratiche.15
II.
Nel mio volume del 2013, Aristotele e i sensi dell’autarchia,16 a
cui rinvio per l’approfondimento di queste tematiche, interrogandomi sul problema dell’apparente “polivocità disordinata” della
nozione di autarchia all’interno del Corpus aristotelicum, e avendo
riconosciuto l’esistenza di una forma di unità fra i suoi molteplici
sensi all’interno delle scienze pratiche (consistente nel fatto che
essa definisce sempre lo status che appartiene agli uomini quando
attualizzano l’”nérgeia che consente loro di ottenere il proprio
bene, ovvero l’e◊daimonía), ho considerato l’ipotesi dell’esistenza
di un’omonimia “f¿∕nóV ¿h
en per quanto concerne i vari
` pròV ˚´
esempi di autarchia umana.
Per quanto riguarda le occorrenze nella Metafisica e nei trattati biologici rinvio
al mio volume Aristotele e i sensi dell’autarchia, cit.
16
Ibidem.
15
219
sILvIa guLLIno
In tale senso, mi sono chiesta se vi potesse essere un ordine di
priorità fra le varie forme di autarchia umana e, dunque, se fra
esse vi fosse un’autarchia particolare, avente un certo primato,17
ricordando come, secondo Aristotele, l’aujtavrkeia umana rappresenta “ciò in vista di cui” (tò oΣ Úneka ), ovvero ciò che, fra le cose
praticabili per gli uomini, ne costituisce il fine, come è affermato
in Etica Nicomachea I 5:
«Sembra che, partendo dalla nozione di autarchia, si possa
giungere allo stesso risultato [scil.: a definire la felicità in
quanto fine ultimo]. In effetti, il bene perfetto sembra essere autarchico. [...] Per ora definiamo autarchico ciò che
rende la propria vita a sé bastante e piacevole e che non ha
bisogno di nessuno. Tale dunque pensiamo essere la natura
della felicità, cioè il bene preferibile a tutti, senza che altri
elementi gli si debbano aggiungere. [...] Insomma, la felicità
appare essere qualcosa di perfetto e autarchico, essendo il
fine delle azioni».18
Qui, Aristotele si concentra sul concetto di téloV e assimila
l’autarchia al bene perfetto, vale a dire alla felicità;19 riservandosi
però di riprendere la questione nel decimo libro dell’opera, ove
aggiungerà che la felicità perfetta coincide con la vita teoretica.
17
Tale ordine potrebbe essere dello stesso tipo che esiste, nella serie delle categorie, fra la sostanza e gli accidenti, o quello che esiste, nel campo delle attività
umane, fra i fini ed i mezzi.
18
Ovvero l’e◊daimonía. Cfr. Eth. Nic. I 5. Traduzione dell’Autore.
19
Qualche linea prima (1097 a 34-b 6) Aristotele aveva affermato l’equivalenza
del bene perfetto e della felicità in base al fatto che vi è un solo bene che l’uomo
persegue per sé: la felicità; mentre tutti gli altri, anche se perseguiti per sé, sono
perseguiti anche per altro, ovvero in vista della felicità. A tal riguardo, cfr. il
Commentaire a Eth. Nic. I 5, 1097 a 34-b 6 di r.a. gauthIer-J.y. JoLIf, a arIstote,
L’Éthique à Nicomaque, introduction, traduction et commentaire, Publications
Universitaires de Louvain, Louvain 1958-1959, t. 3, p. 52, dove si stabilisce un paragone col Simposio di Platone: cfr. pLatone, Simposio, 205 a: «C’est en effet […] par
la possession des choses bonnes que les gens heureux sont heureux. Et il n’y a
plus lieu à demander en outre: en vue de quoi souhaite-t-il d’être heureux, celui
qui le souhaite? Tout au contraire, c’est à un terme ultime que semble toucher la
réponse en question» (trad. Robin).
220
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
Ora, per comprendere il rapporto che le varie forme di
a◊tárkeia intrattengono con quella specifica della vita teoretica − che è una forma prima, principale e superiore −, vale citare
nuovamente Eth. Nic. I 5, in cui, per mezzo della distinzione fra
il fine perfetto e i fini imperfetti,20 lo Stagirita esamina il rapporto
esistente fra fini differenti, sottolineando che ciò che è fine per sé
(kaq¿a◊tó) è migliore di ciò che è fine per altrum (di¿âllo).21 Si
tratta di una dottrina già teorizzata nel libro III dei Topici, ove si
ricorda che:
«Quanto è sceglibile a causa di sé è preferibile a quanto è
sceglibile a causa di qualcos’altro. Così, l’essere in salute
è preferibile all’addestrare il corpo: la prima cosa infatti è
sceglibile a causa di se stessa, la seconda invece a causa di
qualcos’altro».22
Qui, il contesto è rappresentato dall’esposizione della differenza
fra ciò che è per sé e ciò che è per accidente,23 e sembra emergere
come alcuni predicati possano avere sensi differenti, ma comparabili: ciò che è sceglibile (a‹retón) in quanto fine ultimo, da un lato,
20
Che è uno sviluppo coerente della distinzione che Aristotele propone, in numerosi testi, fra fine e mezzi.
21
O “per accidente”.
22
Top. III 1, 116 a 29-31 (traduzione dell’Autore). Un simile argomento sembra
sia stato utilizzato da Eudosso, a proposito del piacere, cfr. Eth. Nic. I 2, 1072 b
20-23.
23
Sembra utile sottolineare la presenza del termine a‹retÓteron, lo stesso che
era stato utilizzato in rapporto alla vita da scegliere. In effetti, per Aristotele,
il bíoV a‹retÓteroV equivale al bíoV più autarchico. Ma tornando al termine
a‹retÓteron, è utile ricordare che a‹retón è ciò che merita di essere scelto, mentre a‹retÓteron è ciò che lo merita più di un’altra cosa. In lingue francese, Brunschwig traduce il primo con «souhaitable» ed il secondo con «préférable» (cfr.
arIstote, Topiques, tome I, texte établi et traduit par J. Brunschwig, Les Belles
Lettres, Paris 1967, p. 154 n.1), sottolineando che «dans l’ensemble de ce traité
du préférable que constituent les chapitres 1-3, a‹retÓteron est synonyme de
béltion; notons cependant que le tópoV 118 a 8 sq. introduit une distinction entre
les deux termes: a‹retÓteron dénote la supériorité pratique, pour nous; béltion dénote la supériorité axiologique, en soi».
221
sILvIa guLLIno
sarà a‹retón in un senso diverso rispetto alle altre cose definite
ugualmente a‹retón, ma dall’altro sarà preferibile (a‹retÓteron:
a‹retón al grado più alto) rispetto a queste stesse cose, che rappresentano solamente uno dei significati del termine stesso.24 In
Eth. Nic. I 5, 1097 a 32-b 6 Aristotele aggiunge poi che
«In assoluto è perfetto ciò che è sempre scelto per sé
(kaq¿aÎtóv), e mai a causa di altro (di¿âllo). E si stima
che tale sia soprattutto la felicità: infatti la scegliamo
sempre per sé e mai per altro, mentre scegliamo sì, onore,
piacere, intelletto e ogni altra virtù anche per loro stessi −
infatti sceglieremmo ciascuno di essi anche quando non
ne derivasse altro bene −, ma li scegliamo anche in vista
della felicità, stimando che saremo felici a causa loro. La
felicità, infatti, nessuno la sceglie in vista di quei beni, né
in generale per altro».25
Cfr. An. Post. I 2, 72 a 29-30, traduzione di J. Tricot, leggermente modificata, in
arIstote, Organon, IV : Les Seconds Analytiques, nouvelle traduction et notes par
J. Tricot, Vrin, Paris 1947, ad loc: «Toujours, en effet, la cause en vertu de laquelle
un attribut appartient à un sujet, appartient elle-même au sujet plus que cet
attribut (a’eì gàr di¿ı Îpárcei Úkaston, ”keínÜ mállon Îpárcei): comme par
exemple ce par quoi nous aimons (o±on di¿ı filoümen) est plus aimé que ce qui
est aimé». Al riguardo, Tommaso d’Aquino spiega tale passaggio proponendo
il seguente esempio, proposto da fILopono, 37, 21: «si amamus aliquem propter alterum, ut si magistrum propter discipulum, discupulum amamus magis».
Qui, come nota d.B. roBInson, Ends and means in logical priority, in p. moraux, d.
harLfInger (hrsg. von), Untersuchungen zur Eudemichen Ethik. Akten des 5. Symposium Aristotelicum (Oosterbeek, Niederlande, 21. – 29. August 1969), De
Gruyter, Berlin 1971, pp. 185-193, p. 188), i termini usati da Aristotele alla linea
30: «di¿ı» devono essere interpretati equivalenti all’espressione «oΣ Úneka», ed
aggiunge che: «Notice that the context as a whole also contains a distinction
between prÖta and ̂stera, in a sense to which the means-end distinction is
clearly taken to have some analogy, and one which is concerned with cognitive,
and not merely ‘natural’, priority».
25
Eth. Nic. I 5, 1097 a 32-b 6. La tesi di Aristotele si fonda sulla nozione di perfezione come completezza; ecco perché egli associa la nozione di felicità a quella di autarchia. Questo testo è contenuto in un passaggio più lungo, di cui si è
già trattato, poiché tratta del bene supremo, oggetto dell’etica (tò zhtoúmenon
“gaqón), cioè il bene praticabile (praktón), in vista del quale l’uomo agisce, e
ciò che, fra le cose praticabili dall’uomo, costituisce il suo fine.
24
222
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
Alla luce di queste osservazioni si può supporre che il primato
dell’autarchia teoretica derivi dalla sua completezza, dal suo essere per sé, kaq´aÎtón, e dunque dal suo essere solo “come fine” e
mai “come mezzo”.26 Al contempo, sembra che quando Aristotele
illustri le varie forma di autarchia o quando − in modo più o meno
esplicito −, faccia loro corrispondere le diverse attività umane,27
egli abbia in mente la propria esposizione del bene come praktón,
proposta in Eth. Eud. I 7, e la conseguente distinzione fra i fini ed
i mezzi delle azioni:
«Il bene pratico è la causa per cui noi agiamo [...]. Il fine in
vista del quale si fa tutto il resto e, in quanto fine, è il bene
supremo; esso è la causa di tutte le altre cose classificate al
di sotto, ed è anteriore a tutte. Conseguentemente, si potrebbe dire che il bene in sé è unicamente la causa finale, che
è alla base di tutte le azioni degli uomini. Ora, questo fine
dipende dalla scienza sovrana, al vertice di tutte le altre,
ovvero la politica».28
È possibile considerare l’a◊tárkeia umana, in quanto bene
pratico, il soggetto di questo passaggio; ma se essa può essere oggetto di una scienza, la politica − come infatti avviene nelle opere
di Aristotele −, allora essa deve possedere una certa unità, che non
è quella che deriva da una definizione comune, ma quella del focal
meaning; ed in effetti, fra le sue tipologie vi è un ordine di priorità
´ Detto altrimenti, vi è una forma di
che ne fa un omonimo pròV ˚en.
autarchia umana che, per sua natura, è autarchica in sommo grado,
mentre gli altri significati della nozione si riferiscono a forme di
essa che sono tali da permettere all’uomo di raggiungere la somma
autarchia, senza tuttavia confondersi con essa.
´ è rappresentata dall’autarchia teoretica,
La forma prima (lo ˚en)
la cui definizione è «realizzazione dell’atto proprio dell’uomo»,
26
Va dunque considerata in quanto téloV tÖn “nqrÓpÜ praktÖn, e dunque in
quanto “gaqón.
27
Cfr. Pol. I 7.
28
Eth. Eud. I 8, 1218 b 6-14 (traduzione dell’Autore).
223
sILvIa guLLIno
intendendo con l’espressione “atto proprio dell’uomo” ciò che
permette a quest’ultimo di realizzare la propria essenza di animale dotato di lógoV.29 Le altre forme di a◊tárkeia sono legate ad
essa, nella misura in cui l’autarchia economica − come si è visto
−, rappresenta la condizione che permette all’uomo di praticare
l’a‹retÓtatoV bíoV − il bíoV qewrhtikóV −, mentre l’autarchia politica è una condizione umana naturale e desiderabile, per sé ma
anche per altrum, essendo la conditio sine qua non dell’autarchia
teoretica.30 Dunque, fra le varie forme di autarchia vi è lo stesso
rapporto che esiste fra fini e mezzi e fra fini differenti fra loro.
Infatti, l’autarchia si identifica con la felicità e, nella misura in cui quest’ultima
consiste nell’attivazione ottimale delle facoltà razionali dell’anima, la sua forma più perfetta risiederà nell’”nérgeia della componente psichica più elevata,
il noüV.
30
Per concludere tale serie di considerazioni, vale evocare l’analisi dell’omonimia
´
pròV ˚
en che Aristotele effettua in Eth. Eud. VII 2 a proposito delle tre forme di
amicizia. Quivi, egli ricorda che «necessariamente, vi sono tre forme di amicizia, che né non si definiscono tutte secondo qualche cosa di unico (kaq¿˚
en),
´
ovvero come specie rispetto ad un genere unico (V eîdh ∕nòV génouV), né tutte
in maniera semplicemente omonima (pámpan ... ›mwnúnwV), ma in riferimento
ad una di esse, che è prima (pròV mían ... tiná ... kaì prÓthn)». Ancora una
volta, Aristotele contrappone l’omonimia pròV ˚
en
en) e
´ alla sinonimia (kaq¿˚
´
all’omonimia totale (unconnected: pámpan ... ›mwnúnwV). In effetti, poco dopo,
rifiutando la teoria platonica a proposito dell’esistenza di un’idea dell’amicizia,
egli aggiunge: «Dato che una sola definizione non è applicabile, essi [scil.: gli Accademici] pensano che le altre forme di amicizia non siano “amicizie”. Ora, esse
lo sono, ma non allo stesso modo (›moíwV). Ma essi, poiché la prima definizione
non si applica alle altre forme, ritenendo che essa debba essere universale in
quanto prima, pretendono che le altre forme non siano amicizie. Ma in realtà
vi sono molteplici forme di amicizia» (Eth. Eud. VII 2, 1236 a 15-32). Sembra
dunque utile applicare questo stesso ragionamento alla nozione di a◊tárkeia
umana: in effetti, anche in questo caso, una sola definizione non potrebbe
spiegare tutti i casi attestati dall’esperienza (o◊ dúnantai pánt¿“podidónai
tà fainómena); in realtà vi sono più forme, che non sono tutte “autarchiche”
allo stesso modo (pollà eîdh a◊tárkeiaV), poichè l’autarchia si concretizza in
molti modi di vivere che non si assomigliano né solo de nomine (V ›mÓnumoi),
né per relazioni accidentali (V êtucon êcousai pròV ∕autáV), né secondo una
´
´
forma unica (kaq¿˚
en e™doV), ma in riferimento a qualcosa di unico (pròV ˚
en).
g.e.L. oWen, Logic and Metaphysics in some earlier Works of Aristotle, in I. dürIng,
g.e.L. oWen, Aristotle and plato in the Mid-fourth Century, Almqvist & Wiksell,
29
224
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
III.
Come è stato mostrato, all’interno della filosofia aristotelica,
il problema riguardante la determinazione della definizione
dell’a◊tárkeia e della sue differenti forme si collega a quello,
parallelo, delle determinazione delle differenti forme di felicità.
Aristotele riconosce poi l’esistenza di un’autarchia perfetta e
desiderabile per sé, costituita dalla vita teoretica, che trova nella
póliV una conditio sine qua non – o comunque una situazione facilitatrice – per la sua realizzazione, e quella di altre forme di autarchia che, pur non essendone l’espressione “al massimo grado”,
possono a buon diritto essere dette tali; queste ultime costituiscono
condizioni o, meglio “precondizioni” di questa “autarchia prima”
ed hanno sempre come luogo di realizzazione la póliV.
Pertanto, l’autarchia politica, pur non costituendo l’autarchia
“prima” – ovvero lo ˚
en
´ di cui si è già discusso –, costituisce comunque una forma di autosufficienza da ricercare e, del resto, il
filosofo le attribuisce una dignità tale da farne uno dei principali
oggetti di indagine Politica, come emerge da Pol. I 2, 1252 b 27-28.
Vale ora chiedersi quale sia il ruolo specifico che, in questo contesto, svolga il problema della ricerca della costituzione migliore,
a cui il filosofo consacra la propria trattazione nei libri II-VII (e
soprattutto nel VII), connettendo tale problema a quello della
vita migliore, nel senso di preferibile. In tal modo, il problema
costituzionale si collega nuovamente a quello della felicità, ed in
particolare a quello dei “beni” che concorrono a realizzarlo.
Göteborg 1960, pp. 162-190; e. Buchanan, Aristotle’s Theory of Being, Cambridge
University Press, Cambridge 1962; J. oWens, The Doctrine of Being in the Aristotelian Metaphysics, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1963, spec.
pp. 465-466; G.e.L. oWen, Aristotle’s on the Snares of Ontology, in r. BamBrough,
New Essays on Plato and Aristotle, Routledge London 1965, pp. 69-95; I. dürIng,
Aristoteles, Winter, Heidelberg 1966, pp. 596-622; e. BertI, Multiplicité et unité du
bien selon EE I 8, in P. moraux, d. harLfInger (hrsg. von), Untersuchungen zur
Eudemischen Ethik. Akten des 5. Symposium Aristotelicum (Oosterbeek, Niederlande,
21.-29. August 1969), Berlin, De Gruyter 1971, pp. 156-184.
225
sILvIa guLLIno
Del resto, già nel trattato trasmessoci col titolo Divisioni – attribuito ad Aristotele ma probabilmente di origine accademica e di
verisimile derivazione de uno scritto giovanile di Aristotele –,31 nel
proporre la classica divisione/classificazione dei beni in tre tipologie: beni dell’anima, beni del corpo e beni esterni, egli annovera
fra gli ultimi il “benessere della patria” (patrídoV e◊daimonía),32
che si identifica con l’avere una buona costituzione, che dunque
costituisce un requisito fondamentale per la felicità, dato che come
ricorda lo stesso Diogene Laerzio:
«[Aristotele] definiva la felicità come la compiuta fusione di
beni di tre specie: dei beni dell’anima, che egli chiama primi
per importanza; in secondo luogo dei beni del corpo [...], in
terzo luogo, dei beni esterni [...]. La virtù non è sufficiente
alla felicità, ma ha bisogno anche dei beni del corpo e dei
beni esterni».33
All’inizio del libro VII della Politica, poi, Aristotele cita esplicitamente una “divisione dei beni” – evidentemente quella appena
citata, che dunque va data per acquisita34 – quando, parlando dei
beni in relazione alla migliore forma di vita, sostiene che «[di beni]
ve ne sono tre specie [...] e nessuno può dubitare che chi è beato li
debba possedere tutti quanti». Vale sottolineare come tale tematica
sia evocata proprio nel libro VII, in cui è posta esplicitamente ad
oggetto la determinazione della costituzione migliore.35
31
Su questo tema si confronti lo status quaestions riportato da C. Rossitto
nell’Introduzione ad arIstoteLe e aLtrI autorI, Divisioni, a cura di C. Rossitto,
Bompiani, Milano 2005.
32
Div. 5 Mutschmann e Div. 1. Diogene Laerzio.
33
D.L. V 30 (traduzione dell’Autore).
34
Cfr. Pol. VII 1, 1323 a 21-38. A tale riguardo, cfr. il commento di C. Rossitto
ad Aristotele e altri autori, Divisioni, cit., p. 264, che riprende quando affermato
da W. W. fortenBaugh, Aristotle on Emotion, Duckworth, London 2002 (19751).
35
Già dalla giovinezza per Aristotele era dunque chiara l’imprescindibilità del
contesto di vita, sia per la felicità sia per la virtù. Ed infatti, nella Politica, egli
ribadisce come sia migliore la città meglio disposta, e che non può essere ben
disposto chi non fa del bene. Questo significa che, sia nel caso del singolo che
226
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
Pertanto, che si considerino la felicità e l’a◊tárkeia in modo
“inclusivistico” o “esclusivistico”, si dovrà fare i conti con il problema della póliV e della sua costituzione migliore, che sola è in grado
di garantirle o, quantomeno, di agevolarle rendendole possibili.
In riferimento alla Politica, e in particolar modo al libro VII,
Aristotele sviluppa un discorso estremamente “concreto”, in cui
illustra quali siano le caratteristiche che dovrebbe possedere una
póliV per essere autarchica e felice, e dunque affinché le si possa
attribuire la migliore delle costituzioni.
Egli afferma che, per avere una buona póliV, il legislatore
dovrebbe tenere conto di alcune fondamentali proporzioni, definendo qual è il numero di cittadini più idoneo alla città, nonché
la regione – ed il terreno – dove farla nascere.36 Dovrebbe poi
realizzare una proporzione tra le classi e i lavori, affinché nella
póliV non vi siano troppi opliti o troppi agricoltori, ricordando
che la città non dovrà mai essere troppo popolosa, dato che il suo
miglior limite è il maggior numero di abitanti compatibile con
una vita autarchica.37
Anche il territorio dovrà essere abbastanza grande da essere
autarchico e, al contempo, dovrà essere facilmente difendibile; in
tal senso la vicinanza rispetto al mare sarà un fattore importante
da prendere in considerazione. In particolare, per Aristotele, se non
fosse per gli effetti negativi del commercio,38 la vicinanza al mare
potrebbe essere vantaggiosa, poiché la città potrebbe importare
i prodotti che le mancano ed esportare quelli in eccesso. Infine,
nel caso della póliV, è ben disposto solo chi vive secondo virtù. La felicità dei
due è dello stesso tipo: se il migliore individuo è quello più virtuoso, la migliore
città è quella più felice. Da questo fatto Aristotele deduce due problemi: se sia
meglio per il singolo partecipare alla vita politica e quale sia nello specifico
la migliore costituzione per una città. Aristotele si concentra sul secondo problema, perché è quel problema che riguarda da vicino la questione politica e
comincia a dire che la costituzione migliore è quella che permette a ciascuno di
vivere beatamente.
36
Cfr. Pol. VII 4, 1325 b 33-1326 b 25.
37
Cfr. Pol. VII 4, 1326 a 35-1326 b 25.
38
Infatti, il commercio genera il vizio della brama del guadagno e del denaro.
227
sILvIa guLLIno
la póliV ideale dovrebbe essere munita di una buona flotta per
difendersi dal nemico.39
Quanto ai cittadini, la costituzione ideale dovrebbe garantire a
ciascuno di essi una mansione da svolgere, a seconda del compiti,
delle loro peculiarità e delle esigenze della póliV nel suo insieme.
Sono infatti molteplici i compiti da assumere all’interno di una
città, ed Aristotele li elenca in cibo, arti, armi, denaro, culto divino
e giudizio sui diritti.40
«Queste dunque sono le funzioni di cui si può dire che ogni
póliV deve disporre, perché la póliV è una massa di uomini
non raggruppati a casaccio (¤ gàr póliV plËqóV ”stin o◊
tò tucón), ma capaci di vita autarchica (“llà pròV zwÈn
aûtarkeV), come usiamo dire, e se manca di qualcuna di
queste funzioni, è assolutamente impossibile che possa
ancora costituire una comunità autarchica (a◊tárkh tÈn
koinwnían)».41
Inoltre, poiché ogni compito andrà diviso in parti uguali e dovrà essere svolto da una figura specifica, la società sarà divisa in
contadini, commercianti, guerrieri, sacerdoti e giudici e compito
della costituzione sarà quello di indicare chi, nello specifico, dovrà
dedicarsi a ciascuna attività, tenendo conto della costituzione del
singolo, della sua età e di molti altri fattori: è meglio che i guerrieri
siano giovani e forti, mentre che il sacerdote sia vecchio, di modo
che possa avere riposo. La proprietà, infine, non deve essere comune, ma le mense possono esserlo, poiché tutti dovranno pagare
per le mense comuni e per il culto.
Aristotele afferma anche che il territorio andrebbe diviso in due:
una parte pubblica, divisa tra le mense e il culto, e una privata,
in modo che ognuno possa avere una parte di ciascuna delle due.
39
Cfr. Pol. VII 6, 1327 a 11-b 18.
Cfr. Pol. VII 8, 1328 b 1-15.
41
Pol. VII 8, 1328 b 15-19.
40
228
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
Una città va poi collocata in un sito salubre, favorevole in caso
di guerra e in una regione dotata di corsi d’acqua abbondanti.42 Le
fortificazioni dovrebbero essere diverse a seconda della costituzione: una cittadella per il regime oligarchico e quello monarchico,
una pianura per la democrazie e una serie di posti di fortificazioni
per l’aristocrazia. Dovrà comunque essere dotata di mura, per non
lasciare campo aperto al nemico.43
Questo elenco, che giustappone consigli più generici a consigli
più puntuali, e caratteristiche universalmente applicabili a ogni
póliV ad altri che invece prevedono la presa d’atto di situazioni
più contingenti, mostra come, agli occhi di Aristotele, la sorte di
una póliV e la felicità dei suoi abitanti non dipendano dalla sorte,
ma dalla scienza del governatore e del legislatore. Quest’ultimo,
infatti, dovrà creare le condizioni per la virtù della póliV, poiché
esse sole sapranno garantire la virtù e la felicità dei singoli cittadini.
In quanto possessore della “scienza politica”, lo Stagirita
precisa anche quale sia la migliore forma costituzionale. In tale
senso, come emerge da Politica III 15, le simpatie del filosofo vanno
senz’altro a un’oligarchia moderata o, detto altrimenti, ad una
democrazia estremamente ristretta,44 ove al potere vi siano o‹ mésoi,45 per quanto concerne il possesso di ricchezze. Infatti, secondo
Aristotele, la misura e la medietà sono sempre la cosa migliore,
e pertanto un possesso medio di ricchezze dovrà considerarsi la
scelta migliore, essendo più facile obbedire alla ragione quando
42
Cfr. Pol. VII 11, 1330 a 34-1331 a 18.
Nell’ultima parte del libro VII, Aristotele discute dei matrimoni e dei figli, affermando che bisogna che i matrimoni siano combinati e che le persone sposate
abbiamo delle età precise; a suo avviso, infatti, se un uomo può procreare fino
all’età di settanta anni e la donna fino all’età di cinquanta, allora è giusto che
un trentasettenne sposi una diciottenne. Inoltre dovrà essere stabilità un’età a
partire dalla quale gli uomini e le donne potranno procreare e ogni famiglia
avrà il diritto ad avere solo un certo numero di figli, non essendo conveniente
che la póliV sia troppo popolosa.
44
Cfr. Pol. III 15, 1286 a 35 ss.
45
Cfr. Pol. IV 11, 1295 b 2-3.
43
229
sILvIa guLLIno
si è in tale condizione: non eviteranno infatti le cariche pubbliche,
né intrigheranno per ottenerle, atteggiamenti che sono pericolosi
per la póliV.46 In generale, per lo Stagirita, una póliV di poveri
(governata dai poveri) è una póliV di servi, mentre una póliV di
ricchi (governata dai soli ricchi) è una póliV di padroni, perché
solo la póliV “media” è una póliV di uomini liberi (”leuqérwn).47
Pertanto, nei limiti del possibile, una città deve essere costituita da
cittadini uguali e simili fra loro e ciò, a suo parere, accade soprattutto nel caso in cui i cittadini appartengono alle classi medie:48
«Perciò la póliV meglio governata sarà quella in cui si
realizzano queste condizioni da cui per natura deriva la
struttura politica».49
«È chiaro dunque che la migliore comunità politica è quella
che si fonda sulla classe media e che le póleiV che sono in
queste condizioni possono avere una buona costituzione,
quelle, dico, in cui la classe media è più numerosa e più
potente delle due estreme, o almeno di una di esse».50
Riassumendo quanto detto, è possibile affermare che il dettato
della Politica a proposito dell’autarchia è molto chiaro ed è fondato
sul collegamento costitutivo fra autarchia – felicità – costituzione
migliore. Infatti, interrogandosi sulla costituzione migliore, e
parallelamente sul tipo di vita da preferirsi, Aristotele correla
l’affermazione secondo cui «l’a◊tárkeia consiste nell’avere tutto e nel non avere bisogno di nulla»51 alla definizione dell’uomo
come «animale politico» (politikòn z∏on)52 proposta nel libro I,
46
Cfr. Pol. IV 11, 1295 b 3-6.
Cfr. Pol. IV 11, 1295 b 6-22.
48
Cfr. Pol. IV 11, 1295 b 25-26.
49
Pol. IV 11, 1295 b 27-28.
50
Pol. IV 11, 1295 b 34-37.
51
Pol. VII 5, 1326 b 28-30.
52
Pol. I 2, 1253 a 3. Inoltre, in Pol. I 2, 1253 a 14-17, si sottolinea come il possesso
del lógoV, ovvero della razionalità che si manifesta nella parola e nel discorso,
consenta all’uomo di individuare e di esprimere i valori sui quali si fonda la
47
230
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
sostenendo che gli uomini possono realizzare la propria compiuta
autarchia solo vivendo in una póliV dotata di particolari connotazioni fisiche, costituzionali e demografiche, citate poco fa ed
aggiungendo che la partecipazione politica adeguata può essere
garantita da una costituzione che ponga al potere o‹ mésoi.
IV.
Nella Politica si elencano dunque le condizioni che la costituzione deve attribuire a una póliV per renderla autarchica e felice,
mentre il libro VII le descrive come parametri variabili, poiché
spetta all’autore di ogni costituzione (il nomoqéthV) il compito
di adeguarli a determinate condizioni reali, storiche, politiche e
geografiche, per mezzo della propria frónhsiV e della propria
capacità di saper cogliere il “giusto mezzo” nelle cose.53
Questo approccio alla costituzioni, basato sulla loro capacità
di rispondere a determinati “bisogni concreti e contingenti”,54 ci
consente di collegare la teoria della Politica con il contenuto della
Costituzione degli Ateniesi, opera in cui Aristotele valuta e commenta tutte le costituzioni che si sono alternate ad Atene in rapporto
alla loro adeguatezza ai tempi correnti. Vale dunque estendere
l’indagine sull’autarchia aristotelica anche a tela opera, che del
resto è ormai considerata come una fonte imprescindibile per la
conoscenza del pensiero politico di Aristotele.
In particolare, si esamineranno quei passi in cui Aristotele si
“sbilancia”, elogiando o biasimando le singole riforme costituzionali in virtù della loro capacità di garantire l’autosufficienza
alla póliV ateniese.
comunità politica. Pertanto, lo statuto dell’uomo come “animale politico” è tale
da farne un essere che, per natura e attraverso il rapporto con l’altro, mira a
conseguire l’e◊ zËn, ovvero il vivere bene e la felicità.
53
Cfr. Eth. Nic. VI 7, 1141 b 24-26.
54
Cfr. Pol. II 1, 1260 b 29-34.
231
sILvIa guLLIno
In questo contesto è opportuna una premessa, dato che
nell’opera non compare alcuna esplicita occorrenza del termine
e, pertanto, i passi che verranno citati, evocando situazioni di autarchia e autosufficienza, andranno contestualizzati ed esaminati
nella maniera più esaustiva possibile, per evitare siano fraintesi
o, peggio, strumentalizzati.
Come si vedrà, poi, l’opera fa riferimento per lo più a condizioni di autarchia economica, che costituisce solo una delle sfumatura “politiche” assunte dal termine, ma che si presenta come
l’accezione fondamentale del termine quale si rinviene negli usi
pre-aristotelici di esso.55
Nella Costituzione degli ateniesi è infatti frequente il giudizio
aristotelico sull’attività dei legislatori in rapporto alla loro capacità
di garantire l’autarchia dei singoli, fondandola su principi lontani
dalla crematistica, ma provvedendo alla sussistenza dalla póliV.56
Infine, per offrire una esauriente interpretazione degli stessi, si
cercherà di confrontare la narrazione effettuata da Aristotele nella
prima parte dell’opera con le considerazioni proposte nella seconda parte della stessa.57 Quivi, ed in particolare nel § 41, il filosofo
elenca tutte le undici costituzioni che furono attuate nella città di
Atene, giudicandole in modo serafico ma estremamente chiaro:
55
Il riferimento è, ad esempio, agli usi di erodoto, Hist. I, 32, 8 – in cui l’autarchia
designa la qualità che un territorio possiede o non possiede se esso è o non è
capace di assicurare ad una comunità la sussistenza, grazie ala sua produzione
– o Isocrate, Paneg. § 42 – ove si tratta di sapere se ogni popolo ha o meno un
territorio autosufficiente.
56
Per “sussistenza” si deve intendere, in questo caso, la capacità di procurarsi
quanto serve per sopravvivere, ovvero, per lo più, le risorse alimentari. Si
rinvengono traduzioni che rinviano esplicitamente al campo economico, come
ad esempio le traduzioni: «indépendance économique» e «autosufficienza» (cfr.,
rispettivamente, J. trIcot in arIstote, La Politique, cit. p. 27 e C. A. vIano in Id.,
Politica, cit., p. 77).
57
La raccolta di costituzioni si compone di una parte a carattere storico-istituzionale, che occupa i primi quarantuno capitoli, e di una parte più descrittiva,
che espone le istituzioni e le magistrature ateniesi. Il papiro all’inizio è mutilo
e alla fine (§ 69) si conclude bruscamente con l’esame delle modalità dello scrutinio pubblico.
232
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
«Fu allora che il popolo, divenuto padrone degli affari pubblici, istituì la costituzione che vi è adesso, sotto l’arcontato
di Pitodoro, dal momento che il partito popolare riteneva
giusto prendere il potere perché era rientrato in città con le
proprie forze. Questa di numero era l’undicesima riforma
della costituzione. Il primo cambiamento vi fu al tempo
dell’immigrazione di Ione e di coloro che si stabilirono con
lui; fu allora che per la prima volta gli Ateniesi si separarono in quattro tribù e designarono i capitribù. La seconda,
e la prima dopo questa che ebbe forma di costituzione, fu
quella fatta sotto Teseo e si allontanò di poco dal regime
monarchico. Dopo quella vi fu la riforma di Draconte,
nella quale per la prima volta misero per iscritto le leggi.
La terza, quella di Solone, si ebbe dopo la rivolta civile, e
da questa ebbe origine la tirannide di Pisistrato. La quinta
fu la costituzione di Clistene, dopo la cacciata dei tiranni,
certamente più democratica di quella di Solone. La sesta fu
quella dopo le guerre contro i Persiani, quando l’Aeropago
assunse la direzione dello stato. La settima si ebbe dopo
questa, delineata da Aristide, ma realizzata da Efialte dopo
avere sciolto il Consiglio degli Areopagiti; durante questo
periodo accadde che la città commise moltissimi errori a
causa dei demagoghi per il dominio sul mare. L’ottava fu
l’insediamento dei Quattrocento, e dopo la nona si ebbe
con il ritorno della democrazia. La decima fu la tirannide
dei Trenta e dei Dieci. L’undicesima quella dopo il rientro
da File e da Pireo, e da essa siamo giunti sempre a quella
di oggi, che attribuisce sempre il massimo potere al popolo.
Infatti lo stesso popolo si è reso direttamente padrone di
tutto e regola ogni cosa con decreti e tribunali, nei quali egli
è sovrano. Infatti le delibere del Consiglio sono passate al
popolo. E sembra che ciò sia stato fatto giustamente; infatti
pochi individui sono più facilmente corruttibili rispetto a
molti tramite denaro o favori».58
Come si nota già da questo breve brano, Aristotele non si limita a raccogliere le diverse costituzioni, ma si chiede cose porti
58
Ath. Pol. 41, 1-2 (traduzione dell’Autore).
233
sILvIa guLLIno
ai vari cambiamenti nel tempo, cosa sovverta l’ordine convenuto
generando la stásiV e quale evento (o quale agente) abbia indotto
tale trasformazione, partendo dal presupposto che qualunque
cosa generi la stásiV sia da considerarsi nocivo e alteratore di
una situazione di equilibrio ed autarchia.59 È poi chiaro come, in
tale rassegna, Aristotele mostri la propria preferenza per alcune
fasi costituzionali della storia ateniese e la propria antipatia – o
addirittura disprezzo – per altre.
Si cercherà ora di valutare se nell’opera esistono riferimenti
a situazioni di autarchia che possano fungere da sostegno e da
chiave di comprensione per i suddetti giudizi. Elencherò pertanto,
cercando di contestualizzarli, i principali passi in cui il filosofo
accenna a forma di autarchia politica tout court, ma anche economica e militare.
La successione dei passi proposti è quella con cui tali riferimenti
compaiono nei capitoli dell’opera, a partire dal testo del § 13, 4-5
della Costituzione degli Ateniesi, nel quale Aristotele enuncia le
fazioni creatasi al Atene dopo la riforma soloniana, quando fra i
cittadini erano nati i primi dissapori, prodromi di un’eventuale
guerra civile:
§ 13,4-5: «Vi erano allora tre fazioni: una dei “parali”, di cui
era a capo Megacle figlio di Alcmeone, i quali ritenevano
di dover soprattutto seguire un’organizzazione statale
moderata; un’altra di coloro che abitavano nella pianura, i
quali sostenevano un governo oligarchico e il cui capo era
Licurgo; la terza, infine, dei “diacri”, alla testa dei quali
c’era Pisistrato, che sembrava essere il più democratico.
A questi si erano aggiunti, spinti dalla povertà, coloro che
erano stati privati di tutti gli averi a causa delle difficoltà
59
Del resto, il metodo con il quale Aristotele tratta i documenti raccolti è quello
della propria “filosofia pratica”, il cui scopo è quello di conoscere la verità, ovvero «la conoscenza di come stanno effettivamente le cose», il «determinare la
causa di come effettivamente stanno» . Cfr. e. BertI, Il metodo della filosofia pratica
secondo Aristotele, in a. aLBertI (a cura di), Studi sull’etica di Aristotele, Loffredo,
Napoli 1990, spec. p.23.
234
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
economiche e quelli che non erano puri per nascita spinti
dalla paura; ciò è provato dal fatto che dopo la cacciata dei
tiranni fecero una lista di cittadini, poiché non ritenevano
opportuno che molti potessero partecipare alla vita dello
stato con gli stessi diritti. E ciascuna fazione traeva il nome
dai luoghi in cui coltivavano la terra».60
Quivi, l’espressione «prosekekósmhnto dè toútoiV oÙ “f…rhménoi tà créa dià tÈn “porían, kaì o‹ t∏ génei mÈ kaqaroì dià tòn
fóbon», che è stata tradotta con «a questi si erano aggiunti, spinti
dalla povertà, coloro che erano stati privati di tutti gli averi a causa
delle difficoltà economiche e quelli che non erano puri per nascita
spinti dalla paura», aiuta a comprendere come, per l’Aristotele
della Costituzione degli ateniesi, la mancanza di autosufficienza
economica possa costituire una causa di rivolta e di sovversione
dell’ordine preesistente.
L’attenzione aristotelica per gli aspetti economici è poi confermata da un passo del § 16, in cui il filosofo commenta le principali
caratteristiche della tirannide di Pisistrato:
§ 16, 1-3: «Dunque la tirannide di Pisistrato si affermò fin
dall’inizio in questo modo e presentò tali vicissitudini. Però
Pisistrato, come si è detto, amministrò bene lo stato con
moderazione e più come buon cittadino che come tiranno;
in generale, infatti, fu disponibile e umano, mite e comprensivo nei confronti di coloro che commettevano qualche
mancanza; addirittura prestava del denaro ai poveri per
le loro attività, di modo che si mantenessero coltivando la
terra. Faceva questo per due ragioni: perché non vivessero
in città, ma si sparpagliassero per il territorio, e perché
procurandosi quanto necessario e occupandosi dei propri
affari non si trattenessero né avessero tempo per dedicarsi
alle attività dello stato».61
60
61
Ath. Pol. 13, 4-5.
Ath. Pol. 16, 1-3.
235
sILvIa guLLIno
Queste affermazioni costituiscono per noi una testimonianza
di estrema rilevanza perché, da un lato, confermano la teoria di
Politica VII 8 a proposito della divisione del lavoro:
«bisogna […] che la póliV sia costituita secondo queste funzioni: deve cioè avere un certo numero di contadini che le
procurino il cibo, di artigiani, di guerrieri, di commercianti,
di sacerdoti e di giudici e di ciò che è necessario e utile»,62
dall’altro mostrano come per il filosofo la cittadinanza non debba
essere concessa a tutti, perché, di fatto, alcuni lavori sono onorabili
mentre altri no. Del resto, in Politica VII 9, trattando della «póliV
che ha i migliori ordinamenti politici»63 − ovvero di quella che
definisce come «la più virtuosa e quindi quella che rende la vita
più felice» −, egli ricorda che, al suo interno,
«i cittadini non devono praticare una vita da operaio o
da commerciante (oûte bánouson bíon oût¿“goraïon deï)
– vite ignobili e contrarie alla virtù – né dovranno essere
contadini (o◊dè dÈ gewrgoúV) quelli che aspirano a diventare
cittadini – perché la nascita della virtù e l’esercizio delle
funzioni politiche esigono libertà dagli impegni di lavoro
quotidiano».64
L’autarchia economica della póliV si mostra dunque essere un
ideale la cui realizzazione passa per differenti misure costituzionali ed economiche, quali la concessione della cittadinanza solo
a chi può praticare la “politica attiva”, a scapito di chi ha invece
il solo compito di provvedere all’autosufficienza economica
della città, ma anche la capacità di garantire a tutti un adeguato
sostentamento.
Nel passo successivo, tratto dai §§ 24 e 25 si espone l’operato di
Aristide, ed in particolare il suo ruolo nella fondazione e nell’evoluzione della Lega Delio-Attica (§ 23, 4-§ 24, 3) e formula alcuni
62
Pol. VII 8, 1328 b 19-23.
Pol. VII 9, 1328 b 34; 1328 a 38.
64
Pol. VII 9, 1328 b 38-1329 a 1.
63
236
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
giudizi complessivi sul suo operato all’interno della vita politica
ateniese del V secolo:
§ 24, 1- 25, 1: «In seguito, avendo la póliV acquisito fiducia
in sé stessa ed essendo state accumulate molte risorse finanziarie, Aristide consigliava di impossessarsi dell’egemonia
e di lasciare le campagne, per abitare la città vera e propria:
ci sarebbe stato sostentamento per tutti (trofÈn gàr êsesqai
päsi), per gli uni come soldati, per gli altri nelle guarnigioni,
e per altri ancora come funzionari pubblici, e così avrebbero
mantenuto l’egemonia».65
e
«convinti di questi argomenti, gli Ateniesi presero il comando e si comportarono più dispoticamente nei confronti dei
loro alleati, ad eccezione degli abitanti di Chio, di Lesbo e
di Samo […]. E, come aveva consigliato Aristide, gli Ateniesi diedero a molti la possibilità di vivere con facilità e
benessere. Accadde infatti che dai tributi, dalle tasse e dagli
alleati vennero mantenuti più di ventimila uomini. […]. A
tutti costoro provvedeva l’amministrazione dello stato dai
beni comuni. Dunque il popolo ebbe di che vivere tramite
questi provvedimenti».66
Nel primo di questi testi, di notevole rilevanza storiografica,67
Aristotele sembra portato a riflettere sulle motivazioni sottese
all’invito all’inurbamento proposto da Aristide, approfittando del
sostentamento che sarebbe giunto dagli alleati.68 L’Aristide aristo65
In questo caso, traduzione di A. Zambrini, T. Gargiulo e P. J. Rhodes, in
arIstoteLe, Costituzione degli Ateniesi, a cura di P. J. Rhodes, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 2016, p. 53, leggermente modificata.
66
Ath. Pol. 24, 1- 25, 1.
67
Ritenute per molti “false” o quanto meno “imprecise”, dal momento che
Atene, con la fondazione della Lega, aveva già ottenuto l’egemonia e per il fatto
che la creazione di una “proletariato urbano”, sostentato dallo stato, si verificò
successivamente alla morte di Aristide.
68
Cfr. p. a. tucI, Aristide “imperialista” nell’Athenaion Politeia aristotelica in C.
Bearzot, m. canevaro, t. gargIuLo, e. poddIghe (a cura di), Athenaion Politeiai
237
sILvIa guLLIno
telico, infatti, sviluppa un topos simile a quello del celebre passo
tucidideo in cui Pericle, alla vigilia della guerra del Peloponneso,
invita i propri concittadini rifugiarsi entro le mura di Atene e a tËn
gËn kaì o’kíaV “feïnai, ovvero a considerare Atene alla stregua
di un’isola, combattendo con la sola flotta e non in campo aperto
con le milizie spartane senza temere eventuali sconfitte, perché
le perdite sarebbero state compensate dalle «risorse provenienti
dagli alleati».69
Aristotele ricorda infatti, in § 24, 1-2, come, grazie alla
Lega, la città di Atene abbia acquisito fiducia in se stessa
ed accumulato ingenti risorse finanziarie (qarroúntoV Êde
tËV pólewV, kaì crhmátwn ¤qroisménwn pollÖn) e come
avesse consigliato agli ateniesi di impossessarsi dell’egemonia e
di abbandonare le campagne trasferendosi in città (suneboúleuen
“ntilambánesqai tËV ¤gemoníaV, kaì katabántaV ”k tÖn “rgÖn
o’keïn ”n tÖ âstei), poiché ci sarebbe stato sostentamento per tutti
(trofÈn gàr êsesqai päsi), tanto per coloro che erano impegnati
nella vita militare, quanto per quelli che si dedicavano alla gestione
della cosa pubblica, e al fine di mantenere l’egemonia. Seguirà nel
§ 24, 3 l’elenco di quanti, nei settori della vita politica e militare,
erano sovvenzionati col denaro alleato, elenco che si concludeva
con la considerazione secondo la quale il popolo traeva mantenimento grazia a tali risorse finanziarie.70
Qui l’autarchia di Atene sembra fondarsi sull’egemonia della
città sulla Lega e dunque basarsi su di un assistenzialismo estremamente vantaggioso per alcuni, che sembrerebbe costituire un’alternativa alle forme di a◊tárkeia cui si è fatto rinvio in precedenza
e che compare nella Politica, non passando per il contributo delle
campagne circostanti.
tra storia, politica e sociologia: Aristotele e Pseudo Senofonte, Led, Milano 2008, pp.
231-251.
69
Cfr. thuc. I 143, 5. Su questo tema, cfr. M. sordI, Se Atene fosse un’isola… Un
adynaton fra Tucidide e l’Athenaion Politeia, in «AncW», 37 (2006), pp. 153-156.
70
Cfr. p. a. tucI, Aristide “imperialista” nell’Athenaion Politeia aristotelica, cit.,
p. 234.
238
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
Nondimeno, va notato come lo stesso Aristotele assegni a questo comportamento la responsabilità della degenerazione nella gestione della Lega, dal momento che nota come gli ateniesi, persuasi
da Aristide, si comportarono dispoticamente coi propri alleati.
Se dunque questa forma di autarchia economica – pur momentaneamente brillante per l’evoluzione dei tempi e delle cose
– sembra comportare il sovvertimento di una forma di ordine e di
equilibrio – e dunque, in ultima analisi, sembra identificarsi con
il male –, non resta che rivolgersi a quella teorizzata nella Politica,
che ha il pregio di mantenere la pace e di evitare la stásiV.
Procedendo nella disamina dei passi della Costituzione degli
ateniesi si può citare il § 26, nel quale Aristotele illustra le cause
della degenerazione della situazione politica di Atene seguita alla
riforma di Efialte:
§ 26, 1: «Il Consiglio dell’Aeropago fu dunque privato
della sua funzione in tal modo. In seguito accadde che
la costituzione si rilassò maggiormente a causa di coloro
che agivano demagogicamente per il popolo. A seguito di
ciò si verificò che i cittadini più onesti non avevano più
una guida, tuttavia divenne loro capo Cimone, figlio di
Milziade, che era troppo inesperto e aveva iniziato tardi
la vita politica».71
Aristotele si mostra critico nei confronti di tale riforma, che
ritiene troppo democratica; infatti, poco oltre, affermerà che «durante questo periodo accadde che la città commise moltissimi errori a causa dei demagoghi per il dominio sul mare».72 Secondo
il filosofo, il problema risiedeva nell’avere esteso la cittadinanza
a troppe persone e, pertanto, nell’avere turbato le fondamenta
sulle quali doveva fondarsi l’autarchia della città: sostentamento
per tutti e lavoro di contadini ed artigiani per garantire ai “cittadini” tout court di poter partecipare attivamente alla vita politica
della città.
71
72
Ath. Pol. 26, 1.
Ath. Pol. 26, 4.
239
sILvIa guLLIno
A conferma di ciò si può citare il § 27, ovvero il successivo, nel
quale il filosofo, esaminando l’operato di Pericle, afferma che:
§ 27, 4: «Pericle non poteva far fronte per i suoi averi a
tale difficoltà: per consiglio di Damonide del demo di Eea
[…] propose di distribuire al popolo gli averi dello stato,
dato che non ne aveva di propri, e istituì un rimborso per
i giudici; per questo motivo alcuni lo accusano che le cose
andarono peggio, perché si sottoponevano al sorteggio
con maggior zelo più cittadini a caso che uomini onesti».73
Come si nota, ancora una volta, Aristotele pone alla base della
propria idea di costituzione una chiara spartizione dei lavori e
delle mansioni, che prevede che le cariche pubbliche siano attribuite, come vuole la Politica, ai mésoi74 che, contrariamente al
“popolo”, tendevano a non evitare le cariche pubbliche e, al contempo, non intrigavano per ottenerle.75
Ciò spiega anche perché, in più luoghi dell’opera, lo Stagirita
si dica contrario a quel rimborso indennitario che veniva attribuito a chi partecipava alle assemblee e manifesti invece il proprio
entusiasmo per il progetto costituzionale di Teramene,76 che si
caratterizza per essere un’oligarchia allargata o, se si vuole, una
democrazia ristretta:
§ 29, 5: «In seguito organizzarono la costituzione in questo
modo: “Le rendite dello stato non possono essere impiegate in attività se non nella guerra, le magistrature dovranno
essere esercitate tutte senza compenso finché ci sia la guerra, ad eccezione dei nove arconti e dei pritani in carica: a
questi toccano tre oboli ciascuno al giorno. Tutto il resto
del potere politico verrà affidato a coloro degli Ateniesi
73
Ath. Pol. 27, 4.
Cfr. Pol. IV 11, 1295 b 2-3.
75
Cfr. Pol. IV 11, 1295 b 3-6.
76
Cfr. Ath. Pol. 33, 2: «Per i tempi essi sembrano avere amministrato bene lo
stato, dal momento che era in corso una guerra e che il potere politico era in
mano agli opliti».
74
240
La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
che potevano maggiormente servire lo stato con mezzi e
ricchezze, in numero non inferiore a cinquemila cittadini».77
e:
§ 30, 4: «Prendano inoltre una decisione sul modo che a
loro sembri il migliore circa l’amministrazione delle ricchezze, affinché esse siano ben salvaguardate e spese per
quanto necessario, e il resto deliberino il meglio».78
Questa breve rassegna di testi porta alla formulazione di alcune considerazioni conclusive a proposito della nozione di
a◊tárkeia all’interno delle opere politiche del Corpus aristotelicum.
Si è visto, anzitutto, che la teorizzazione di un’autarchia propriamente politica non confligge con quella di un’autarchia perfetta, identificabile con la vita teoretica, ma anzi si mostra complementare ad essa. In seguito, cercando di comprendere in che
cosa si esplichi, concretamente, tale forma di autarchia, si è mostrato il suo stretto legame con il problema della determinazione
della costituzione migliore, quale è esposto nella Politica.
Infine, dopo avere esaminato il libro VII della Politica, dedicato alle caratteristiche da attribuire alla costituzione ideale in vista
della felicità e dell’autarchia, si è tentato di vedere se la teoria
ivi contenuta si riflettesse nei giudizi formulati dal filosofo nella
Costituzione degli ateniesi a proposito delle varie costituzioni; tale
opera ha infatti mostrato come, alla base della valutazione delle
diverse costituzioni, vi sia la stessa concezione dell’autarchia che
è sottesa alla teoria del libro VII.
Infatti, Aristotele mostra di preferire un tipo di costituzione
che, da un lato, privilegi la divisione del lavoro – che sola può
garantire l’autosufficienza della póliV – ma, dall’altro, nega la
partecipazione alla vita politica a chi non fa parte dei μέσοι, a cui
77
78
Ath. Pol. 29, 5.
Ath. Pol. 30, 4.
241
sILvIa guLLIno
invece spetta il compito di approvvigionare la città di quanto è
necessario per la sua sopravvivenza.
Di lì, il biasimo a quelle forme costituzionali che, per mezzo
di compensi a chi pratica la “vita politica”, consentono a tutti
di accedere alle cariche dello stato, conformemente al principio
che Aristotele enuncia già nel libro II della Politica, ove si ricorda
che la póliV si fonda principalmente sulla differenza estrinseca
dei propri abitanti, che in alcun modo può essere ricondotta ad
unità:
«La città non soltanto è costituita da una pluralità di uomini (o◊ mónon d¿”k pleiónwn “nqrÓpwn ”stìn ¤ póliV), ma
anche da uomini differenti per specie (“llà kaì ”x eîdei
diajeróntwn), poiché non ha origine da singoli uguali».79
79
Pol. II 2, 1261 a 22-24 (trad. di F. Pezzoli in arIstoteLe, La Politica. Libro II,
direzione di L. Bertelli, M. Moggi, a cura di F. Pezzoli, M. Curnis, L’«Erma» di
Bretschneider, Roma 2012, leggermente modificata).
242
Sommario
Giulia Angelini
IntroduzIone
5
Enrico Berti
L’unItà deLLa fILosofIa pratIca In arIstoteLe
15
Alberto Jori
Praxis - ethos - Polis.
La rehabilitierung der Praktischen PhilosoPhie
e La sua InterpretazIone deLL’etIca e deLLa poLItIca dI arIstoteLe
53
Marcello Zanatta
I prIncIpI e Lo statuto epIstemoLogIco
deLLa poLItIca archItettonIca In arIstoteLe
87
Manuel Berrón
La fILosofIa pratIca e IL metodo degLI analitici
117
Claudia Baracchi
note suL Bene e suLL’uno tra pLatone e arIstoteLe
137
Francesca Masi
La vIrtù etIca deLLa gIustIzIa dIstrIButIva
e La sua rILevanza poLItIca
167
Michele Di Febo
educare aLLa moLtItudIne, educare La moLtItudIne.
aLcune consIderazIonI suL dInamIsmo deL Plethos
neLLa Politica dI arIstoteLe
189
Silvia Gullino
La nozIone dI autarchIa neL pensIero poLItIco dI arIstoteLe
daLLa Politica aLLa costituzione degli ateniesi
213
309
Sommario
Giovanni Battista Magnoli Bocchi
La retorIca, fra etIca e poLItIca
243
Pietro Li Causi
IL dILemma deLLa responsaBILItà anImaLe
neL quadro deLLa ‘eto-LogIa’ arIstoteLIca
263
Le Autrici – Gli Autori
297
Indice dei nomi
303
310
Questo volume parte da una serie di problematiche che,
riprendendo delle espressioni comunemente in uso, si addensano sull’etica e sulla politica dello Stagirita: che cos’è l’etica?
Che cos’è la politica? Qual è il loro fine? A chi si riferiscono?
Qual è il collegamento tra le due? Ma ancora, passando ai
trattati, qual è il rapporto tra le Etiche e la Politica sia in sé che
rispetto alla continuità e discontinuità di certi temi?
Oltre alla questione dell’ἐπιστήμη – che, al di là della sistematizzazione consueta, non è assolutamente scontata –, si
tratta però di concentrarsi anche su tutti quei temi che si
impongono sempre in un’interrogazione di questo tipo, interrogazione che deve sempre tenere presente la specificità
storico-categoriale del pensiero dello Stagirita.
Anche per questo, piuttosto che offrire una semplice ricostruzione, qui si cercherà di complicare il più possibile questo
nodo, che, come si vedrà, è tutto tranne che risolto.
Ricerche aristoteliche. Etica e politica in questione è la quarta di una serie
di collettanee aristoteliche uscite sempre per Petite Plaisance a cura, per
quanto riguarda i primi tre titoli, di L. Grecchi: Sistema e sistematicità in
Aristotele (2016), Immanenza e trascendenza in Aristotele (2017) e Teoria e
prassi in Aristotele (2018).
Giulia Angelini: IntroduzIone / Enrico Berti: L’unItà deLLa fILosofIa pra/ Alberto Jori: Praxis - ethos - Polis. La rehabilitierung
der Praktischen PhilosoPhie e La sua InterpretazIone deLL’etIca e deLLa
poLItIca dI arIstoteLe / Marcello Zanatta: I prIncIpI e Lo statuto epIstemoLogIco deLLa poLItIca archItettonIca In arIstoteLe / Manuel Berrón: La
fILosofIa pratIca e IL metodo degLI analitici / Claudia Baracchi: note suL
Bene e suLL’uno tra pLatone e arIstoteLe / Francesca Masi: La vIrtù etIca
deLLa gIustIzIa dIstrIButIva e La sua rILevanza poLItIca / Michele Di Febo:
educare aLLa moLtItudIne, educare La moLtItudIne. aLcune consIderazIonI
suL dInamIsmo deL Plethos neLLa Politica dI arIstoteLe / Silvia Gullino:
La nozIone dI autarchIa neL pensIero poLItIco dI arIstoteLe daLLa Politica
aLLa costituzione degli ateniesi / Giovanni Battista Magnoli Bocchi: La
retorIca, fra etIca e poLItIca / Pietro Li Causi: IL dILemma deLLa responsaBILItà anImaLe neL quadro deLLa ‘eto-LogIa’ arIstoteLIca.
tIca In arIstoteLe
ISBN 978-88-7588-283-9
€ 30