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0.cop.preca:Layout 1 19/03/15 14:54 Pagina 1 a cura di Silvia Contarini, Monica Jansen e Stefania Ricciardi È possibile trasformare il precariato da condizione subita a opportunità, fonte di energia creativa? È la questione centrale del presente volume, che si prefigge di analizzare sotto una luce inedita un tema ampiamente dibattuto negli ultimi decenni: la condizione precaria nell’Italia postfordista. I contributi qui raccolti ruotano intorno all’idea di cultura declinata al plurale in quanto espressione variegata dell’incertezza esistenziale e lavorativa. I tre approcci specifici, che costituiscono altrettante sezioni del volume, riguardano il pensiero filosofico e politico, l’estetica dell’azione e l’esito narrativo della precarietà. A corredo di questi saggi, le testimonianze di autori come Ascanio Celestini e Andrea Inglese evidenziano il risvolto emotivo della vulnerabilità dell’individuo, lacerato tra rabbia e indignazione civile. Il “coraggio dell’incertezza” potrebbe allora rappresentare l’atto indispensabile per trasformare la precarietà in una alternativa reale. MONICA JANSEN è docente di letteratura e cultura italiana contemporanea presso l’Università di Utrecht. Direttrice della rivista di studi italiani “Incontri”. STEFANIA RICCIARDI è docente a contratto alla Katholieke Universiteit Leuven e traduttrice letteraria. Ha pubblicato Gli artifici della non-fiction. La messinscena narrativa in Albinati, Franchini, Veronesi (Transeuropa, 2011). ombre corte € 18,00 Le culture del precariato SILVIA CONTARINI è professore ordinario all’Università Paris Ouest Nanterre la Défense, dove insegna Littérature et civilisation de l’Italie contemporaine. Direttrice della rivista “Narrativa”. a cura di Contarini, Jansen, Ricciardi Le culture del precariato Le culture del precariato Pensiero, azione, narrazione a cura di Silvia Contarini, Monica Jansen e Stefania Ricciardi ombre corte / culture Culture / 137 Le culture del precariato Pensiero, azione, narrazione a cura di Silvia Contarini, Monica Jansen e Stefania Ricciardi ombre corte Prima edizione: aprile 2015 © ombre corte Via Alessandro Poerio 9 - 37124 Verona Tel./fax: 045 8301735; e-mail: info@ombrecorte.it www.ombrecorte.it Progetto grafico e impaginazione: ombre corte ISBN: 9788897522973 Indice 7 INTRODUZIONE di Silvia Contarini, Monica Jansen e Stefania Ricciardi PARTE PRIMA: PER UNA FILOSOFIA PRECARIA 17 Critica del lavoratore culturale di Andrea Inglese 31 Crisi biopolitica e conflitto costituente di Dario Gentili 43 Come le falene. Precarietà e pratica della filosofia di Massimiliano Nicoli PARTE SECONDA: FORME DI ATTIVISMO PRECARIO 53 Intervista ad Ascanio Celestini di Christophe Mileschi 57 “Non confessiamo mai!”. Bartleby e la meritocrazia di Alessio Berrè 68 Azioni precarie: etica e retorica del lavoro nel caso No TAV di Sabrina Ovan 82 Il lavoro culturale di Teatro Valle Occupato: come abitare la crisi di Monica Jansen 92 Lavori postali: le missive precarie di Alighiero Boetti di Karen Pinkus PARTE TERZA: NARRAZIONI DEL PRECARIATO 105 Le responsabilità del precario di Andrea Inglese 109 Otium e precarietà come “spaesamento” conoscitivo nella scrittura di Giorgio Vasta di Vincenzo Binetti 122 Io sono quello che non ce la faccio. Precariato e disagio esistenziale di Manuela Spinelli 135 L’arsenale del futuro.Il racconto della borgata nella narrativa italiana di questi anni di Gianluigi Simonetti 154 “Attaccati alla vita”. Una riflessione su La vocazione di Cesare De Marchi di Fabio Treppiedi 162 Aldo Nove e François Bon: intervista, istruzioni per l’uso romanzesco di Stefania Ricciardi 175 Non si paga! Non si paga! Modernità di una commedia sul tragico quotidiano di Maria Pia De Paulis-Dalembert 190 Pensare il precariato e le differenze nell’Italia della globalizzazione di Silvia Contarini 201 L’aporia tragica di Bartleby di Sonja Lavaert 213 Gli autori e le autrici Introduzione di Silvia Contarini, Monica Jansen, Stefania Ricciardi Nel mondo moderno la quistione si colorisce diversamente che nel passato per ciò che la razionalizzazione coercitiva dell’esistenza colpisce sempre più le classi medie e intellettuali, in una misura inaudita; ma anche per esse si tratta non di decadenza dell’avventura, ma di troppa avventurosità della vita quotidiana, cioè di troppa precarietà dell’esistenza, unita alla persuasione che contro tale precarietà non c’è modo individuale di arginamento: quindi si aspira all’avventura “bella” e interessante, perché dovuta alla propria iniziativa libera, contro l’avventura “brutta” e rivoltante, perché dovuta alle condizioni imposte da altri e non proposte. Antonio Gramsci, Quaderno 21 (XVII), 1934-1935: Letteratura popolare, § 13, Romanzi polizieschi, foglio 33, in Quaderni del carcere Nell’ambito del progetto internazionale triennale “Precarity and Postautonomia: The Global Heritage”, si è svolto a Parigi-Nanterre, nel dicembre 2012, un convegno intitolato “Avere il coraggio dell’incertezza: le culture del precariato”1. Il primo dei due incontri precedenti, tenutosi ad Amsterdam nel 2010 e legato a problematiche riguardanti il concetto di Post/autonomia, verteva più particolarmente sull’eredità del pensiero (post)operaista, mentre il secondo, nel 2012 a Chapel Hill (North Carolina, USA), incentrato sul concetto di Anomie of the Earth, introduceva la prospettiva della decolonizzazione e le tensioni tra origini primitiviste e dialettica marxista. In entrambi i casi, si era parlato anche dell’estetica della precarietà, nel quadro delle filosofie sull’immaterialità del lavoro cognitivo. Con il convegno di Paris Ouest Nanterre, a conclusione del progetto, si sono volute porre 1 Il progetto ha coinvolto partner accademici di diversi paesi: Université Paris Ouest Nanterre la Défense (Francia), le Università di Amsterdam, Leiden/Rotterdam e Utrecht (Paesi Bassi), University of North Carolina at Chapel Hill e University of Michigan – Ann Arbor (Stati Uniti), e ha ottenuto il sostegno della Netherlands Organisation for Scientific Research (NWO) per il periodo 2011-2013. Il convegno di Nanterre è stato organizzato da Silvia Contarini e Monica Jansen, con il sostegno del CRIX (Centre de Recherches Italiennes-EA 369 Etudes Romanes, Université Paris Ouest Nanterre Le Défense). 8 LE CULTURE DEL PRECARIATO al centro dell’attenzione le culture del precariato, intendendo con esse sia le forme estetiche impiegate per formulare una risposta o un’alternativa alla precarietà economica ed esistenziale che riduce sempre più gli spazi dell’autonomia individuale, sia le nuove forme di attivismo o di pensiero politico organizzate dentro e fuori le istituzioni, comprese le università stesse. Si è trattato di un incontro di rilievo, con oltre quaranta partecipanti provenienti da diverse aree geografiche (principalmente Europa e Nord-America) e vari ambiti disciplinari (sociologia, filosofia, letteratura, fotografia, danza etc.), che ha dato luogo a dibattiti e confronti proficui per un approccio multiprospettico alle culture della precarietà. I contributi in lingua francese, a carattere sociologico, economico e filosofico, sono stati raccolti nel volume Précariat. Pour une critique de la société de la précarité2, che idealmente andrebbe letto insieme a questo libro, composto invece da una selezione coerente di saggi di orientamento letterario e filosofico-estetico riguardanti l’Italia, avvalendosi non solo di contributi originali rispetto agli interventi del convegno, ma anche di testimonianze di artisti e “lavoratori della conoscenza” quali Ascanio Celestini, Giorgio Vasta e Andrea Inglese. L’espressione “avere il coraggio dell’incertezza”, ripresa nel titolo del convegno, è tratta da un articolo di Giorgio Vasta apparso nel 2009 sul quotidiano “la Repubblica”. Con questa esortazione, Vasta intendeva ribaltare provocatoriamente la scomoda posizione di una generazione di giovani narratori che subisce la precarietà senza poter contare su una prospettiva futura. Facendo di tale debolezza una forza, sembrano delinearsi due alternative che coincidono con le posizioni sostenute da Vasta e Celestini durante il convegno: affrontare una catastrofe che ha già avuto luogo nella sua metamorfosi in divenire (Vasta), oppure combattere la crisi con valori e rituali antropologici che rimangono immutati nonostante la trasformazione in corso (Celestini). Le due posizioni sono ambivalenti e, portate agli estremi, possono generare esiti contrari: vittimismo nel primo caso e conservatismo nel secondo. Insomma, anche le alternative per uscire dalla crisi sono intimamente precarie. Questa duplice incertezza (sulla posizione da assumere nei confronti del precariato e sulle soluzioni da elaborare) ha caratterizzato la maggior parte degli interventi presentati al convegno e permea, pertanto, anche la presente raccolta di saggi. 2 Silvia Contarini e Luca Marsi, Précariat. Pour une critique de la société de la précarité, Presses Universitaires de Paris Ouest, Nanterre 2014 (di prossima traduzione per ombre corte). INTRODUZIONE 9 Una duplicità tra l’altro inerente a un “mercato del lavoro duale”, che favorisce un precariato diffuso tra occupati e disoccupati3. Partendo quindi dall’ipotesi di una possibile cultura del precariato come antidoto contro l’incertezza, il volume si divide in tre sezioni imperniate rispettivamente sul pensiero, sull’arte-azione e sulle narrazioni della precarietà, scandite dalle testimonianze di Ascanio Celestini e di Andrea Inglese. Giorgio Vasta aveva presentato al convegno un racconto costruito su similitudini estranee alla logica del binarismo dialettico nel quale descriveva una metamorfosi che porta a uno stadio diverso senza coinvolgere la razionalità della coscienza critica4. La metafora principe era quella della farfalla tatuata anni addietro sulla pelle di una signora ormai di mezza età, farfalla un tempo simbolo di eterna giovinezza, ma che il naturale invecchiamento del corpo fa sembrare una falena. Con tale immagine pregnante Vasta intendeva esporre la sua ipotesi sulla destrutturazione odierna dell’esperienza della durata: tutto ciò che dovrebbe accadere nel tempo si genera immediatamente nel presente. L’assenza del divenire fa sì che il patrimonio trasmesso dalle generazioni precedenti giunga alterato ai giovani che, sprovvisti di strumenti per affrontare il presente, rimangono frustrati nelle loro aspettative. Tale incongruenza ontologica non è più comprensibile nei termini pasoliniani di mutazione antropologica, che secondo Vasta implicherebbe il persistere in un atteggiamento difensivo. Riconoscere la metamorfosi richiederebbe invece il coraggio di concepirsi all’interno del mutato e di prendere atto che l’incomprensione ne costituisce una parte immanente. Sintomo ne è il senso di umiliazione del precario, che innesca una strutturale vulnerabilità. Ed è da questa vulnerabilità etica e costitutiva che bisognerebbe partire per cambiare qualcosa nel tessuto sociale e culturale. Lo stesso vale per il mutismo del precario, soggetto svuotato del diritto di darsi un nome o una categoria: riuniti in piazza, il mutismo come la solitudine possono trasformarsi in una forza collettiva. Diversa la posizione di Celestini. Intervistato dal suo traduttore francese Christophe Mileschi in occasione del convegno parigino, saltando da un esempio all’altro di situazioni alienanti e precariato industriale, traccia anche contorni dal sapore nostalgico della precarietà 3 4 Luciano Gallino, Vite rinviate. Lo scandalo del lavoro precario, Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 114-115. I numerosi impegni di Giorgio Vasta non gli hanno purtroppo consentito di consegnarci il suo testo nei tempi previsti per la pubblicazione del presente volume. 10 LE CULTURE DEL PRECARIATO contadina: se il contadino vive la propria condizione come necessità, e quindi con naturalezza, il precario metropolitano non sa difendersi contro l’incertezza che lo assale. Ascoltando l’intervento di Celestini durante il convegno sembra si tratti soprattutto di ritrovare o reinventare dei riti che possano salvare da un male anche immaginario ma perciò non meno reale, come insegna il folklore della tarantola. Nell’intervista qui pubblicata la scuola viene aggiunta da Celestini alla televisione e ai consumi, fattori ai quali Pasolini attribuiva la mutazione antropologica. Il sapere immanente a una comunità viene dunque prospettato dall’attore e drammaturgo come l’unica via d’uscita dal generale senso di disagio attualmente vissuto come sintomo, o peggio, come un tic del malessere quotidiano. Andrea Inglese, nella testimonianza La responsabilità del precario scritta per il presente volume, parte dalla personale esperienza di precariato negli anni Novanta per introdurre anche una storicizzazione dell’attuale incertezza economica ed esistenziale che senza tale prospettiva cronologica rischierebbe di creare una competizione tra le vittime del capitalismo di oggi e del passato. I saggi introdotti dalle posizioni personali degli autori sono stati divisi in tre sezioni: alcuni partono da riflessioni filosofiche, politiche ed estetiche su come concepire il nesso tra crisi e precarietà (Inglese, Gentili, Nicoli e Lavaert); altri indagano il nesso tra precarietà, arte e politica (Berrè, Ovan, Jansen, Pinkus), mentre quelli dell’ultima sezione si concentrano sulle narrazioni della precarietà, senza tralasciare escursioni verso la filosofia e la politica (Binetti, Spinelli, Simonetti, De Paulis, Ricciardi, Contarini). Andrea Inglese parte dall’identificazione del nuovo soggetto rivoluzionario, il lavoratore culturale che prenderà il posto dell’operaio tradizionale nella dinamica marxista della lotta di classe, analizzando così la figura del cosiddetto lavoratore cognitivo o lavoratore culturale. La sua critica sostiene l’idea che il concetto negriano di moltitudine, diffusosi in Italia negli anni Novanta attraverso la rivista “Luogo comune”, nonostante la sua pretesa di essere accogliente, si sia ristretto alla categoria dell’intelletto generale tipico dei lavoratori della conoscenza. In tal modo si è sottovalutata la complessità della classe rivoluzionaria, comprendendola solo in termini antisistemici, dando così occasione alle estreme destre europee di sfruttare la rabbia antisistema per i propri programmi politici antitetici a quelli della sinistra. Insomma, ci vorrebbe meno teoria e più sociologia per rendere di nuovo operativo il concetto di classe. INTRODUZIONE 11 A tal proposito, vale la pena di osservare che il precariato è stato analizzato come classe dal sociologo inglese Guy Standing in The Precariat. The New Dangerous Class (2011), approccio discusso in diversi contributi e non sempre condiviso. Un’alternativa al concetto di classe viene offerta da Lauren Berlant in Cruel Optimism (2011), analisi filosofico-estetica di un’economia degli affetti più vicina a Judith Butler, menzionata in alcuni saggi per analizzare la produzione artistica del precariato. Sul concetto di classe riflette il contributo filosofico di Dario Gentili: nella prospettiva biopolitica della crisi della civiltà, egli giunge a identificare l’alternativa di conflittualità in ciò che è comune, che tiene insieme una forma di vita politica altrimenti dispersiva e inafferrabile come quella della precarietà. Si tratta di esplorare il conflitto immanente alla vita – fliggere in greco significa comprimere – e dunque di concepire il con-flitto costituente non più tra le parti, in ciò che ci divide, ma delle parti che insieme formano una politica della vita. Per Massimiliano Nicoli l’alternativa si colloca nel percorso del ruolo-guida del filosofo-professore, esauritosi nell’autoaffermazione, verso la traiettoria orizzontale della intersoggettività. Il “regime della visibilità” del lavoro intellettuale ha trasformato la cosiddetta ‘meritocrazia’ nella volontà di misurare l’oggettivazione espropriante di prodotti scientifici, esposti come le ‘falene’ contro il faro panottico della valutazione. Se la filosofia intende contribuire all’autoimprenditorialità, può insegnarci, ai limiti dell’istituzione, come autoorganizzare altrimenti il nostro lavoro. In tale ottica, è fondamentale ripensare anche la relazione tra l’arte e le istituzioni, come fa Sonja Lavaert riconsiderando gli insegnamenti di Paolo Virno e Giorgio Agamben. L’analisi di Bartleby proposta da Agamben dimostra chiaramente come la potenza creativa si trovi sotto, e non fuori, le regole dettate dal sistema. Il personaggio Bartleby di Melville torna nel saggio di Alessio Berrè con cui si apre la sezione su arte e attivismo e diventa chiave di lettura per analizzare i processi di precarizzazione in atto nei settori dell’università e dell’industria creativa. I paradossi debilitanti della precarietà occidentale messi a nudo da Nicoli e Gentili vengono a galla prima di tutto in quei casi in cui l’arte che denuncia la precarietà si fonda con l’azione. Sabrina Ovan, prendendo ad esempio il movimento no TAV, considerato un simbolo di attivismo precario in Italia, dimostra come i manifestanti mettano in moto una retorica precaria contraria a quella delle istituzioni. Paradossalmente la precarietà in quanto forma di esistenza rivendicata da chi la vive e la combatte 12 LE CULTURE DEL PRECARIATO viene definita dalla parte istituzionale esclusivamente in termini di precarietà del lavoro, ovvero come il diritto al lavoro ostacolato da chi si oppone al TAV. Un altro caso di arte e azione, trattato da Monica Jansen, è l’occupazione del Teatro Valle, esperimento riconosciuto a livello internazionale di teatro partecipato e di “cultura come bene comune”. Il caso analizzato da Karen Pinkus, pur senza nesso diretto con l’attualità, offre comunque un esempio di arte concettuale in interazione con il contesto economico e culturale del momento. L’arte postale di Alighiero Boetti, che risale all’epoca predigitale, permette di ricostruire la svolta verso la società postindustriale seguendo la trasformazione del lavoro negli uffici postali in un oggetto estetico che rende tangibile la sparizione di una forma di comunicazione predigitale. La connessione tra temporalità diverse non deve stupire, ed è già palesata negli scritti di Antonio Gramsci. Nel suo intervento al convegno, Stefano Colangelo – il cui contributo purtroppo non ha potuto figurare nel presente volume – osservava che il filosofo sardo aveva formulato negli anni Trenta alcune osservazioni sulla precarietà di una sorprendente attualità. Gramsci associava la condizione di precarietà prima di tutto al ceto medio e intellettuale, e in particolare alla figura del poeta, che da emblema di quella compenetrazione di sentire e sapere tipica della società non ancora meccanizzata si ritrova, al contrario, marginalizzata con il mutamento industriale. È proprio questa compenetrazione cognitivo-affettiva che viene a mancare nell’attuale momento di crisi. Anche nei vari esempi letterari di narrazioni della crisi e della metamorfosi raccolti nella terza sezione si confrontano le dimensioni di adattamento o di opposizione alla condizione precaria. Nel suo saggio su Giorgio Vasta, Vincenzo Binetti problematizza il discorso sulla precarietà prendendo spunto dalla condizione di disagio e smarrimento evocata nelle opere di questo autore, in particolare in Spaesamento (2010). Sulla figura dell’inetto, adatta per descrivere i personaggi precari che popolano i romanzi di Giuseppe Culicchia e di Paolo Nori si sofferma Manuela Spinelli, mentre nell’ottica di Gianluigi Simonetti l’analisi stilistica della metamorfosi del “borgataro” nei romanzi di Pasolini, Camarca, Siti e Giagni si presta a riflettere sulla funzionalità del concetto di mutazione. Fabio Treppiedi si confronta da filosofo con il romanzo La vocazione (2010) di Cesare De Marchi per illustrare come l’attaccamento alla vita e la vocazione entrino in conflitto, a danno del INTRODUZIONE 13 proprio corpo, con l’imperativo postfordista di frammentarsi e dislocarsi senza mai fissarsi in un divenire irrevocabile. Anche l’analisi di due “classici” della narrazione del precariato in Italia e in Francia, Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese... (2006) di Aldo Nove, e Daewoo (2004) dello scrittore ex operaio François Bon, proposta da Stefania Ricciardi, palesa che la figura del precario-testimone, colto in atteggiamento confessionale, desume la sua autenticità dal potere falsificatore della finzione più che dall’esperienza autentica della precarietà. Maria Pia De Paulis, analizzando le messe in scena di Non si paga! Non si paga! di Dario Fo e Franca Rame dall’esordio del 1974 fino alla riproposizione della commedia nel 2007-2008 con il titolo Sotto paga! Non si paga, in concomitanza con la tragedia dell’incendio nella Thyssen Krupp a Torino, dimostra inoltre che la rappresentazione della precarietà ha una memoria lunga, che va tuttavia riattualizzata e ricontestualizzata in ogni determinato momento storico. In conclusione, Silvia Contarini coniuga fattori di diverse soggettività (sesso, razza, classe) con la questione del precariato, riflettendo sul lavoro da donne e sulla femminilizzazione del lavoro su scala italiana e globale, e proponendo significative connessioni tra precarietà, migrazioni e genere / identità sessuale. Emerge con chiarezza dai contributi scorsi in rassegna che la questione da risolvere è come sottrarre la precarietà ai ritmi e tempi dettati dal neoliberalismo; alcuni si interrogano inoltre su soluzioni ‘partecipative’ che si configurano come alternativa alla democrazia istituzionale. Perciò viene aspramente criticata l’estetizzazione della figura del precario artista e imprenditore di se stesso, poiché in tal caso l’estetica sostituisce l’etica senza produrre nuove soggettività sociali di conflitto. L’estetica diventa invece ribelle quando riesce a rappresentare l’umiliazione, il risentimento e l’indignazione in quanto esperienze vissute (e non teorizzate o ideologizzate). Il soggetto precario, dalla propria vicenda, dovrebbe trarre lo sprone per orientarsi verso un’alternativa costitutiva di comunità, anziché scegliere l’opzione distruttiva prodotta da rabbia e frustrazione? Il problema insormontabile – ci sembra – risiede da un lato nella stratificazione delle diverse esperienze lavorative e politiche, storiche e geografiche, che si sovrappongono creando innesti paradossali, e dall’altro nelle partizioni che dividono il con-sentire della moltitudine anche quando ci si sforza di concepire il con-fliggere come una 14 LE CULTURE DEL PRECARIATO compressione delle singole parti in un conflitto immanente alla vita. E proprio qui si colloca il ruolo essenziale del linguaggio estetico-filosofico e della creazione, oltre alla prassi quotidiana della critica della società neoliberale, perché avere il coraggio di immaginare il cambiamento è l’atto indispensabile per poter trasformare la precarietà in alternativa reale. Gli autori e le autrici ALESSIO BERRÈ è dottore di ricerca, in cotutela, in Culture letterarie, filologiche e storiche presso l’Università di Bologna e l’Université Paris Ouest Nanterre la Défense. Si occupa di letteratura italiana post-unitaria e conduce una ricerca sulla costruzione della figura del criminale tra letteratura, diritto e scienze mediche. VINCENZO BINETTI è professore ordinario di “Italian Studies” presso la University of Michigan, Ann Arbor. È autore, tra l’altro, di Città nomadi. Esodo e autonomia nella metropoli contemporanea (2008) e di Cesare Pavese. Una vita imperfetta. La crisi dell’intellettuale nell’Italia del dopoguerra (1998). Tra i suoi lavori di traduzione: con C. Casarino, Giorgio Agamben, Means without End: Notes on Politics. Minneapolis: University of Minnesota Press, 2000; con A. Terradura, Bill Ayers, Fugitive Days: memorie dai Weather Underground. Milano: Cox Edizioni, 2007. I suoi interessi di ricerca riguardano anche la letteratura della migrazione, i movimenti politici degli anni Sessanta e Settanta, il rapporto tra filosofia politica e letteratura, il precariato e la post-autonomia. Sta lavorando a un libro su nozioni di “resistenza”, “diserzione” e “esclusione” nel cinema e nella letteratura. ASCANIO CELESTINI è una delle voci più note del teatro di narrazione in Italia. La sua scrittura nasce sempre da un lavoro di indagine condotto attraverso interviste e laboratori. Del 2000 sono gli spettacoli Radio Clandestina, sull’eccidio delle Fosse ardeatine, e Cacafumo, sulla fiaba. Del 2002 è Fabbrica. Del 2006 Appunti per una lotta di classe. Con Fandango ha girato i documentari Senza Paura, storie e musiche di lavoratori notturni, e Parole sante, che ha dato il titolo a un omonimo disco. Per Radio 3 ha scritto e interpretato diverse trasmissioni, tra cui Bella Ciao sul tema del lavoro e della Resistenza. Con Donzelli ha pubblicato Cecafumo, Fabbrica e la ripresa televisiva di Radio Clandestina. Per Einaudi ha pubblicato: Storie di uno scemo di guerra (2005), La pecora nera (2006), il cofanetto con DVD dello 214 LE CULTURE DEL PRECARIATO spettacolo Scemo di guerra (2006), Lotta di classe (2009), La pecora nera (“Stile libero/DVD”, 2010), Io cammino in fila indiana (2011) e Pro patria (2012). È fra gli autori di Scena padre (2013). SILVIA CONTARINI è professore ordinario all’Université Paris Ouest Nanterre la Défense, dove insegna “littéraure et civilisation de l’Italie contemporaine”. Dirige la rivista Narrativa e codirige, con Christophe Mileschi, il centro di ricerca CRIX. I suoi interessi spaziano dalle avanguardie alla letteratura femminile, agli studi di genere, alla letteratura migrante e postcoloniale. Tra le sue pubblicazioni, la monografia La femme futuriste. Mythe, modèle et représentation de la femme dans la théorie de la littérature futuriste (2006) e diversi volumi in curatela, tra cui, con Luca Marsi, Précariat. Pour une critique de la société de la précarité (2014). È partner del progetto di ricerca NWO Internationalisation Network “Precarity and Post-Autonomia: The Global Heritage (2010-2013)”. MARIA PIA DE PAULIS-DALEMBERT è professore ordinario di letteratura italiana all’Université Sorbonne Nouvelle-Paris 3. Codirige il CIRCE (Centre interdisciplinaire de recherche sur la culture des échanges). Ha pubblicato: Giovanni Papini. Culture et identité (2007), e curato i volumi seguenti: Autour de Montale, Chroniques Italiennes 62, 2000; L’Italie entre le XXe et le XXIe siècle: la transition infinie, (2006); L’Italie en “jaune” et “noir”. La littérature policière de 1990 à nos jours (2010); Sicile(s) d’aujourd’hui (2011). Autrice di numerosi studi su autori italiani del Novecento, si occupa delle riviste letterarie di inizio XX secolo, di letteratura di genere, dei rapporti tra letteratura e storia e tra le diverse forme di espressione artistica. I suoi due saggi più recenti sono: Histoire et réalités dans le roman policier italien contemporain (2014) e Il teatro di Dario Fo tra storia, politica e società (2014). DARIO GENTILI ha conseguito il dottorato di Ricerca in Etica e filosofia politico-giuridica presso l’Università di Salerno; ha svolto nel biennio 20092010 un post-dottorato in Filosofia e storia delle idee presso il Sum (Istituto Italiano di Scienze Umane); nel 2011-2012 ha avuto una borsa post-doc DAAD presso il Walter Benjamin Archiv di Berlino; nel 2013-2014 è stato assegnista di ricerca presso il Sum; nel 2014 visiting researcher presso la Heinrich-Heine-Universität-Düsseldorf. Collabora con la cattedra di Filosofia morale dell’Università di Roma Tre. È autore delle seguenti monografie: Il tempo della storia. Le tesi “sul concetto di storia” di Walter Benjamin (2002); Topografie politiche. Spazio urbano, cittadinanza, confini in Walter Benjamin e Jacques Derrida (2009); Italian Theory. Dall’operaismo alla biopolitica (2012). GLI AUTORI E LE AUTRICI 215 ANDREA INGLESE vive vicino a Parigi. Ha pubblicato un saggio di teoria letteraria (L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, 2003), libri di poesia (Colonne d’aveugles, 2007; La distrazione, 2008; Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, 2013, La grande anitra, 2013), libri di prose (Prosa in prosa, 2009; Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2010; Commiato da Andromeda, 2011), saggi di attualità politica e culturale (La confusione è ancella della menzogna, 2012), traduzioni dal francese (Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, 2009). È membro del blog letterario Nazioneindiana e di GAMMM. È nel comitato di redazione di “alfabeta 2” e scrive per “il manifesto”. Ha lavorato come insegnante nelle carceri, educatore, docente di storia e filosofia al liceo, insegnante precario di letteratura e lingua italiana all’Università Sorbonne-Nouvelle Paris 3. Insegna attualmente in una scuola di design. MONICA JANSEN è docente di Letteratura italiana all’Università di Utrecht. I suoi ambiti di ricerca riguardano il (tardo)postmodernismo e il modernismo, con particolare attenzione ad alcuni nodi problematici della cultura italiana, tra cui la memoria culturale del precariato e della postautonomia e delle vittime di una giustizia mancata. È autrice del saggio Il dibattito sul postmoderno in Italia: In bilico tra dialettica e ambiguità (Cesati 2002) ed è co-curatrice di una serie di volumi, tra cui The History of Futurism: The Precursors, Protagonists, and Legacies (in collaborazione con G. Buelens e H. Hendrix, Lexington Books 2012). È partner del progetto di ricerca NWO Internationalisation Network “Precarity and Post-Autonomia: The Global Heritage (2010-2013)”. È direttrice di “Incontri. Rivista europea di studi italiani” e editrice di diverse collane scientifiche. SONJA LAVAERT è docente di filosofia politica moderna, cultura italiana e traduzione alla Vrije Universiteit Brussel VUB. È autrice di Het perspectief van de multitude (2011) e di numerosi saggi su Machiavelli, Spinoza, filosofia politica moderna, pensiero radicale, arte e traduzione. Le sue ricerche attuali riguardano la rappresentazione filosofica della storia e la genealogia di concetti etici e politici nell’ambito multidisciplinare della filosofia, lingua, letteratura e traduzione, tra il presente, il Seicento e il Rinascimento, e soprattutto ma non esclusivamente tra i Paesi Bassi e l’Italia. Fa parte dell’Institut Interdisciplinaire pour l’étude de la Renaissance et de l’Humanisme e dei gruppi di ricerca Centrum voor Literatuur in Vertaling CLIV e Centre for Ethics and Humanism ETHU. CHRISTOPHE MILESCHI è professore ordinario all’Università Paris Ouest Nanterre La Défense, co-direttore, con Silvia Contarini, del centro di ricerca CRIX. È autore di testi poetici, racconti e romanzi, e traduttore (Boine, 216 LE CULTURE DEL PRECARIATO Meneghello, Canali, Moravia, Pasolini, Celestini ecc.). Ha dedicato saggi a Campana, di cui ha tradotto i Canti orfici, a Gadda (Gadda contre Gadda, 2007) e a numerosi autori del Novecento. MASSIMILIANO NICOLI è dottore di ricerca in Filosofia, ha svolto attività di ricerca e insegnamento presso l’Università di Trieste e l’EHESS di Parigi. Si occupa soprattutto del pensiero di Michel Foucault e di critica del management, a partire dalla propria esperienza di lavoratore e attivista sindacale. Su questi temi di ricerca ha pubblicato numerosi saggi in volumi collettivi e sulla rivista “aut aut”, di cui è redattore. Una sua monografia sulla critica del management delle risorse umane è di prossima uscita per le edizioni Ediesse di Roma. SABRINA OVAN è “assistant professor of Italian and Italian Studies” allo Scripps College, Claremont, California. Dottore in letterature comparate (University of Southern California), la sua ricerca si focalizza sulla collettività nella letteratura contemporanea, in particolare nelle sue intersezioni con il pensiero post-autonomo: moltitudini, precariato e precarietà, general intellect. Il suo metodo include l’analisi linguistica, il marxismo (in particolare il marxismo italiano più recente) e le teorie sulla sovranità, la poiesis, e lo “stato d’eccezione” di Giorgio Agamben. Ha pubblicato saggi sulla letteratura collettiva, sul romanzo storico e sul cinema italiano, tra cui Milano dei Miracoli. Le cinque giornate secondo Argento e Lizzani, capitolo del volume Cinema e Risorgimento (2012). KAREN PINKUS è professore ordinario di “Italian and Comparative Literature” alla Cornell University. È autrice di numerosi libri e saggi sul pensiero italiano, sull’arte visuale, sul cinema e sulla letteratura. Recentemente si occupa del cambiamento climatico attraverso la teoria critica. Sta lavorando a un libro su automazione e autonomia nell’Italia pre-digitale. STEFANIA RICCIARDI è dottore in Italianistica e traduttrice letteraria. Specialista di letteratura italiana tra XX e XXI secolo e dei rapporti tra fiction e nonfiction, ha svolto attività di insegnamento e ricerca in Francia e in Belgio. Ha pubblicato il saggio Gli artifici della non-fiction. La messinscena narrativa in Albinati, Franchini, Veronesi (Transeuropa 2011). È docente a contratto alla Katholieke Universiteit Leuven (Campus Brussel). GIANLUIGI SIMONETTI insegna Letteratura moderna e contemporanea presso l’Università degli Studi dell’Aquila; tra il 2012 e il 2013 ha lavorato in Francia, ospite dell’IEA (Institut d’études avancées) di Parigi. Si occupa soprattutto di lirica italiana del Novecento e di romanzo postmoderno. GLI AUTORI E LE AUTRICI 217 È autore tra l’altro di un libro su Montale e la terza generazione (Dopo Montale. Le “Occasioni” e la poesia italiana del Novecento, Lucca 2002). Sta ultimando un saggio sull’assetto del campo letterario italiano degli ultimi vent’anni. MANUELA SPINELLI è attualmente ricercatrice a contratto all’Università d’Avignon et des Pays de Vaucluse. Ha conseguito un dottorato di ricerca, in cotutela tra le università Paris Ouest Nanterre e Bologna. La sua tesi verte sul personaggio dell’inetto nella letteratura italiana degli anni Ottanta. Ha dedicato ricerche alla letteratura italiana del XX secolo, in particolare a Dino Campana e alla rivista “Lacerba”. Tra le sue pubblicazioni, un saggio sugli intellettuali italiani e la Grande Guerra e alcuni articoli riguardanti autori italiani contemporanei quali Michele Mari, Daniele Del Giudice, Giuseppe Culicchia. FABIO TREPPIEDI è dottore di ricerca in filosofia presso l’Università di Palermo e insegna filosofia e storia nei licei. Ha studiato presso il centro internazionale di studi sulla filosofia francese contemporanea ( CIEPFC) dell’École Normale Supérieure di Parigi e fa parte del comitato editoriale della rivista “La Deleuziana”. Ha curato con Giuseppe Bianco la traduzione italiana degli scritti giovanili di Gilles Deleuze (Da Cristo alla borghesia e altri scritti, 2010). Finito di stampare nel mese di aprile 2015 per conto di ombre corte presso Sprint Service - Città di Castello (Perugia)