4. Lo scavo dell’area 26
Stefano Camporeale, Gabriella Carpentiero, Francesco Martorella, Lucia Botarelli,
Domenico D’Aco, Alessandra Pecci, Eleonora Bernardoni, Valentina Bellavia, Chiara Piccoli
4.1 - I PERIODI, LE FASI E LA CRONOLOGIA PRELIMINARE
Le cronologia dei periodi e delle fasi si basa sulla sequenza delle fasi costruttive identificate
negli scavi del 2005-6 e sui materiali provenienti dalle stratificazioni. Per una definizione più
puntuale delle cronologie si è fatto riferimento anche agli scavi del 2007-8 a ridosso dei tre
ambienti che compongono l’unità abitativa e commerciale qui descritta; in altri settori di scavo si sono rinvenute strutture riferibili alle stesse fasi costruttive sotto elencate e datate con
maggiore precisione dai materiali. Finora lo studio dei reperti è stato portato a termine per
le fasi romane, tardoantiche e bizantine mentre per quanto riguarda i periodi arcaico e tardo
classico-ellenistico ci si basa su osservazioni preliminari effettuate sulle ceramiche subito dopo
lo scavo 1.
Nella pianta della figura 1 sono schematizzate le strutture di ciascun periodo (nuove costruzioni o riutilizzi), mentre il rilievo di dettaglio delle murature e degli strati compare nelle
piante di fase (v. infra).
Periodo 1: fine VIII – metà VII secolo a.C.?
Fase 1. La cronologia preliminare della fase si ricava dai riempimenti delle fosse scavate
negli angoli degli ambienti 10 e 12 (v. infra) che contenevano forme in bucchero associate a
ceramiche G2-3, datate fra la fine dell’VIII e la prima metà del VII secolo a.C. 2 Lo studio dettagliato dei reperti potrà individuare ulteriori scansioni cronologiche all’interno del periodo
anche in riferimento alle stratigrafie scavate nelle campagne successive.
Periodo 2: IV – II secolo a.C.?
Fase 1. Due muri in blocchetti edificati a est degli ambienti 10 e 12 sembrano da attribuire all’età tardo classica o ellenistica. Scarsi frammenti di ceramica a vernice nera provengono dalle fosse di fondazione scavate nel 2005-06. Nei nuovi saggi del 2007-8, altri materiali
sono stati trovati nei riempimenti di fondazione e nei piani pavimentali. Ad un primo esame, i
frammenti sembrano databili tra il IV e gli inizi del III secolo a.C., associati con altra ceramica
1) Le cronologie delle ceramiche qui riportate per la datazioni dei periodi 4 e 5 sono frutto dello studio condotto
da L. Botarelli (Università di Siena – SAIA).
2) Osservazioni di L. Danile (SAIA).
188
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 1 - Schematizzazione delle strutture riferibili ai cinque periodi individuati
(elaborazione di G. Carpentiero)
Le ricerche dell’Università di Siena
189
a vernice nera che può arrivare al II secolo a.C. 3 Solo un esame più approfondito e lo scavo di
altre stratigrafie potrà definire una cronologia più puntuale della fase.
Fase 2. Il muro nord dell’ambiente 10 è stato attribuito allo stesso periodo sulla base della
sequenza relativa delle costruzioni 4.
Periodo 3: II – III secolo d.C.?
Fase 1. La cronologia del muro ovest dell’ambiente 10 è indicata da alcuni frammenti di
Sigillata Orientale C di II-III secolo d.C. rinvenuti negli strati di fondazione 5. Nelle stratigrafie
scavate fino al 2007 questa classe ceramica è quasi sempre associata a materiali più tardi fra i
quali compare come residua. Anche in questo caso i frammenti potrebbero non essere in fase
con lo strato che, in ogni caso, fornisce solamente il termine post quem per la datazione del
muro. Solo ipoteticamente è stato definito un periodo corrispondente all’età imperiale precedente alle attività di epoca tardoantica.
Periodo 4: IV – V secolo d.C.
Fase 1. Le costruzioni di questo periodo sono state identificate solamente nei saggi di scavo
del 2007-8. Le nuove costruzioni sono rappresentate da un edificio costruito nell’arco del IV
secolo d.C. a nord dell’isolato. Come in questo caso, anche negli ambienti 10, 12 e 13 la costruzione comportò l’apertura di nuovi canali di drenaggio nei muri perimetrali, collegati alle
fognature sotto alla strada. All’interno degli ambienti 10 e 12 alcuni strati sono databili al IV
secolo, per la presenza di ceramiche e monete, fra cui un AE3 6, una moneta di Costanzo II
(355-361 d.C.) e un AE4 7.
Fase 2. All’interno dell’ambiente 13 dell’edificio venne creato nel V secolo un nuovo piano
di calpestio nel quale è stata rinvenuta una moneta di Marciano (450-457 d.C.) 8 un fondo
di Sigillata Africana D, alcune pareti di anfore LRA1 e un orlo di anfora palestinese del tipo
LRA4.
Periodo 5: fine V – inizi VII secolo d.C.
Fase 1. La costruzione dell’unità abitativa e commerciale tra la fine del V e la prima metà del
VI secolo è datata dai materiali rinvenuti nei nuovi piani pavimentali. Un termine post quem
per la definizione della cronologia è fornito dai frammenti di Sigillata Focese anteriori alla fine
del V secolo 9. Alcuni frammenti di anfore sono databili almeno al VI secolo: un orlo di LRA4
3) Osservazioni di L. Danile (SAIA).
4) Il muro US 26046 viene fondato nello strato 26194 (saggio V), nel quale era presente una moneta di Marciano
(450-457 d.C.; inv. 5932), unico reperto da ritenere evidentemente un’intrusione.
5) Osservazione di D. D’Aco (SAIA). Lo strato è stato individuato sia a est del muro 26262 (scavi 2006, US
26294) sia a ovest della struttura (scavi 2007, US 26379).
6) US 26282 (ambiente 10): moneta inv. 5971, due pareti di anfore riconducibili sono state attribuite al tipo
LRA2 (IV – VII secolo d.C.) sulla base del tipo di impasto.
7) Rispettivamente US 26213 (inv. 5933) e US 26161 (inv. 5956), entrambe nell’ambiente 12.
8) US 26264: moneta inv. 5942.
9) Questa ceramica appare negli strati più tardi della fase precedente e nei piani pavimentali in terra battuta
all’interno dell’unità abitativa e commerciale: US 26173=26260.
190
HEPHAESTIA 2000-2006
(variante B2-3, cronologicamente collocabile tra la metà del VI e il VII secolo d.C.) e uno di
LRA1 (variante B1, databile tra VI e VII secolo d.C.) 10.
Fase 2. L’ultima frequentazione dell’edificio è datata dai materiali relativi al rifacimento della fogna; incastrati fra le lastre di copertura erano alcuni frammenti di Late Roman C, dei
quali il più tardo sembra essere riferibile al tipo 3G/10A. 11
Fase 3. Alcuni frammenti di Sigillata Focese (scodelle del tipo Hayes 10A), rinvenuti negli
strati di abbandono e di crollo, indicano una cronologia almeno della seconda metà del VI
secolo d.C. (se non degli inizi del successivo), 12 così come un esemplare di vaso a listello in
sigillata africana riconducibile al tipo Hayes 91C. 13.
S. Camporeale
Periodo 1: fine VIII – metà VII secolo a.C.
Fase 1. La prima fase è testimoniata da strati parzialmente visibili all’interno dei saggi IV, V
e VII che non permettono di comprendere appieno le modalità di occupazione dell’area. Due
fosse con fondo circolare e pendenza accentuata furono scavate direttamente nello strato geologico (US 26215 e 26241), presso l’angolo NE dei saggi IV e V, tagliate dalle fondazioni degli
edifici successivi. Entrambe furono in seguito colmate da riempimenti di terra compatta, che
contenevano ceramica grigia associata a G 2-3, piedi e pareti di grandi contenitori insieme a
numerosi reperti malacologici e ossi.
La testimonianza più significativa di questo periodo è rappresentata da un muro (US 26415),
parzialmente visibile all’interno del saggio VII, visibile solo in cresta. Il primo ha direzione
E-O ed è costituito da pietre di piccole e medie dimensioni; il secondo posto in direzione N-S è
costruito con un filare di pietre di medie dimensioni. Gli strati in cui venne fondato (US 26312
e 26313) non sono stati scavati. Le altre strutture riferibili a questa fase messe in luce nelle
campagne successive potranno meglio definire l’organizzazione dell’area in questo periodo.
G. Carpentiero
Periodo 2: IV – II secolo a.C.?
Fase 1. All’età tardo classica o ellenistica risale la costruzione dell’edificio O di cui è stato
identificato solo il muro orientale (US 26047, 26143) costruito in direzione N-S in piccoli
blocchi di pietra lavorati e disposti in filari. La costruzione della struttura è testimoniata anche dalle fosse (US 26205, lungo il limite E del saggio V e 26177, lungo il limite orientale del
saggio IV) per le fondazioni (US 26203 e 26164) che furono realizzate con la stessa tecnica
dell’elevato. Le fosse furono riempite con uno strato di terra limo-sabbiosa con rari inclusi di
piccole dimensioni, compattata al momento della sua deposizione.
10) Trovati rispettivamente nelle US 26173=26260 (che fornirebbe il terminus ante quem) e nella US 26198.
11) Dall’US 26125 (lastre di copertura dello scolo) provengono un frammento pertinente a una scodella in sigillata focese del tipo Hayes 2B, evidentemente residuale, e due orli riconducibili ai tipi Hayes 3G e 3F, databili entrambi entro la metà del VI secolo d.C. Il frammento più tardo sembra dunque rappresentato da un orlo di scodella
con caratteristiche intermedie tra il tipo 3G e il tipo 10A, che potrebbe collocarsi cronologicamente anche nella
seconda metà del secolo.
12) Crolli delle strutture: US 26105, 26110; accumuli di terreno: US 26114, 26115.
13) US 26104.
Le ricerche dell’Università di Siena
191
Fig. 1 - Pianta del Periodo 1, fase 1 (elaborazione S. Camporeale)
In questa fase venne steso uno strato di livellamento del suolo geologico, utilizzato come
piano di camminamento (US 26165), analogo alla US 26279 che costituisce, invece, la preparazione di un pavimento in lastre di arenaria (US 26292). Nel saggio V fu livellato il piano (US
26223, taglio per l’asportazione dello strato sottostante), per preparare una superficie su cui
allettare le lastre di arenaria della pavimentazione (US 26224).
All’esterno dell’edificio, procedendo verso E, è stata individuata una strada parallela al limite orientale dell’isolato e a quella già individuata a O. Al centro della carreggiata fu allestita
una fogna con pendenza verso SE messa in luce per 2,7 m, realizzata dopo il livellamento del
terreno con un taglio nel suolo geologico (US 26134), poi con una fossa (US 26132) per la
messa in opera delle spallette in blocchetti del canale di scolo (US 26127 e 26128). In seguito
la strada venne pavimentata con lastre di calcare (US 26131) visibili a O e a E dello scolo,
con un’ampiezza della carreggiata di 3,5 m (circa il doppio rispetto alla strada O che ha invece un’ampiezza di 1,7 m). Sul lastricato della strada fu costruito il muro dell’edificio E (US
26133) del quale rimane solo un breve tratto di circa 0,8 m nell’angolo NE del saggio II.
192
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 2 - Pianta del Periodo 2, fase 2; in grigio gli strati e le strutture riutilizzate
(elaborazione S. Camporeale)
Fase 2. Lungo il perimetro settentrionale dell’edificio (saggio V) fu costruito un muro (US
26046) in blocchi disposti di testa con facciavista verso N e controterra verso S. La nuova
struttura corrisponde probabilmente al limite N dell’edificio precedente. A questo muro venne
appoggiata una struttura interna (US 26291), probabilmente un divisorio, con direzione N-S,
realizzata con piccole pietre.
G. Carpentiero
Periodo 3: II – III secolo d.C.?
Fase 1. Solamente due strutture sono riferibili al periodo imperiale. Il muro trovato nel saggio VII (US 26262), nella porzione visibile al di sotto dei rifacimenti dell’ultimo periodo, è
probabilmente da identificare con una fondazione, il cui elevato non è conservato. Fu costruita in appoggio al muro N dell’ambiente del periodo precedente e gli fu appoggiata una
spalletta in pietra (US 26268), con orientamento E-W disponendo un grande blocco di pietra
Le ricerche dell’Università di Siena
193
Fig. 3 - Pianta del Periodo 3, fase 1; in grigio gli strati e le strutture riutilizzate
(elaborazione S. Camporeale)
di taglio con pietrame di rincalzo contro il muro. Fra la spalletta e il muro N (US 26046) è
stato scavato uno strato composto da terra mista a frammenti di laterizi concotti, numerose
pietre arrossate dal calore e carboncini (US 26294), sopra al quale fu appoggiata la fondazione 26262. Lo stesso strato è stato identificato anche in un saggio del 2007 dalla parte opposta
della fondazione; al suo interno si sono rinvenuti frammenti di Sigillata Orientale C in base ai
quali è possibile datare la fase al II – III secolo d.C.
S. Camporeale
Periodo 4: IV – V secolo d.C.
Fase 1. Nel IV secolo fu realizzato un edificio identificato nella zona N dell’isolato solamente nei saggi del 2007-8. La funzione e la planimetria complessiva dell’edificio non sono comprensibili ma l’importanza della nuova costruzione, oltre che dalla sua estensione, è testimoniata anche dalla riorganizzazione dei condotti fognari all’interno dell’isolato. Nella zona O,
194
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 4 - Pianta del Periodo 4, fase 1; in grigio gli strati e le strutture riutilizzate
(elaborazione S. Camporeale)
dove si edificarono i muri perimetrali lungo la strada, fu prevista la creazione dei canali per il
drenaggio delle acque dall’interno degli ambienti verso le fognature sotto al selciato stradale. Le strutture del secondo periodo riutilizzate nella porzione orientale dell’edificio vennero
tagliate per l’inserimento delle nuove canalizzazioni. Il muro E dell’edificio fu tagliato (US
26225) per disporre un blocchetto di pietra in verticale come spalletta del condotto. Sul piano di camminamento a O del muro fu costruita una canaletta per convogliare le acque verso
questo passaggio. Le pietre delle spallette vennero disposte di taglio contro terra (US 26190,
26191), appoggiandole a un probabile piano pavimentale individuato ai lati della struttura
(US 26185, 26186). La canaletta ha una lunghezza massima conservata di 1,20 m e una larghezza di ca. 0,38 m con una leggera pendenza da E verso O. Nel saggio VII è stato, invece,
identificato un piano di calpestio in terra battuta (US 26282) contenente un AE3 14 e due pareti
di anfore attribuite al tipo LRA2 sulla base dell’impasto. Nel saggio IV un secondo canale di
14) Inv. 5971.
Le ricerche dell’Università di Siena
195
scolo fu creato nel muro E tramite un taglio (US 26253) con un laterizio disposto di piatto sul
fondo (US 26233). All’interno della stanza venne steso un piano in terra battuta (US 26213)
che ha restituito una moneta di Costanzo II (355-361) 15.
Fase 2. Al V secolo va assegnato un ulteriore pavimento in terra (US 26264) datato da una
moneta di Marciano (450-457 d.C.) 16. Su questo strato verrà costruito l’edificio del periodo
successivo.
S. Camporeale
Periodo 5: VI – fine VII secolo d.C.
Fase 1. In questa fase si collocano la costruzione, l’uso e il relativo abbandono di un’unità
abitativa e commerciale orientata in senso N-S, composta di tre ambienti adiacenti e comunicanti (10, 12 e 13) rispettivamente di 22,6, 16,9 e 9,4 mq. La posa in opera delle strutture
portanti dell’edificio (muri perimetrali e tramezzi interni) avvenne secondo un progetto che
previde il riuso dei muri preesistenti (v. supra) e la realizzazione di nuove costruzioni. È probabile che l’area, pianeggiante nel complesso, pur con qualche leggera pendenza, abbia richiesto alcune opere di livellamento come evidenziato all’interno dell’ambiente 12 (US 26255).
Il grande vano 10, già delimitato a N dal muro 26046 (Periodo 2, fase 2), fu completato con
il muro O US 26002 per mezzo di un prolungamento e un riallestimento della fondazione
26262 (Periodo 3) e costruendo a S il muro US 26045. Sull’altro lato della strada a E fu rifatto
il muro (US 26123) di un secondo edificio, ricostruito sullo stesso allineamento di una struttura di epoca ellenistica (Periodo 2, fase 1). Il vano 12 fu chiuso a ovest con il muro 26044.
L’ingresso che dalla strada dà accesso all’edificio fu previsto lungo la parete E dell’ambiente 10. Si conserva ancora in posizione originaria la soglia monolitica in arenaria ocra (US
26116) di 120 per 60 cm con fori laterali per l’alloggiamento dei cardini della porta che si
apriva verso l’interno. All’esterno, ai lati dell’ingresso e a ridosso del muro perimetrale E (US
26047-26143, Periodo 2, fase 1) venne allestito un bancone di 3,53 per 0,54 m in blocchi di
pietra lavorati (US 26113).
Nella costruzione del muro S (US 26045) fu tenuta in considerazione la corrispondenza
dell’assialità dei collegamenti tra i tre ambienti. Il passaggio tra l’ambiente 10 e l’ambiente 12
era garantito da una apertura di cui si conservano poche tracce nell’angolo NE dell’ambiente
12. Il nuovo vano adiacente 13 venne delimitato a O dalla costruzione del muro 26158, a S
dal muro 26189 e a E dal muro 26295. Nell’angolo NE dell’ambiente 13 sul muro E-W che
separa i due vani (US 26157) 17, le attività di scavo hanno messo in luce i resti di una soglia in
frammenti di laterizi (US 26163).
Fase 2. L’utilizzo dell’unità commerciale e abitativa è testimoniata dagli allestimenti interni
dei tre ambienti. I pavimenti degli ambienti 10 e 13 furono allestiti con semplici battuti di
terra (US 26173=26260; US 26263); i materiali più tardi ritrovati al loro interno sono databili almeno alla metà del VI secolo d.C. 18 L’ambiente centrale 12 si contraddistingue per la
presenza di un pavimento in lastre di arenaria, di cui si conservano alcuni avanzi negli angoli
15) Inv. 5933.
16) Inv. 5942.
17) Rinvenuta anche una moneta AE 3 di Costanzo II, 351-354 d.C. (Inv. 5953).
18) Nel battuto dell’ambiente 10 US 26260=26173 è stato rinvenuto un orlo di anfora LRA4, variante B2-3.
oltre a una moneta illeggibile AE4 (Inv. 5931)
196
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 5 - Pianta del Periodo 5, fase 2; in grigio gli strati e le strutture riutilizzate
(elaborazione S. Camporeale)
NE e SO (US 26153). Lungo la strada, a S dell’ingresso e lungo la parete esterna dell’ambiente
12 fu allestito un secondo bancone in pietra ancora visibile per una lunghezza di 4,70 m e una
larghezza massima di 0,70 m.
Nell’angolo NO dell’ambiente 10, la spalletta in pietra US 26268 (Periodo 3, Fase 4) insieme a un secondo blocco di pietra posto di taglio (US 26267) servirono probabilmente per l’appoggio di un tavolato; al centro dell’ambiente fu invece collocato un parallelepipedo di pietra,
probabilmente come base di un palo di sostegno per la copertura (US 26261) 19.
Gli scavi condotti all’interno dell’ambiente 12 hanno messo in luce lo zoccolo di un bancone
in pietra di 2,60 per 0,40 m conservato per un’altezza massima di 0,26 m, appoggiato alla parete O e allestito con materiale di risulta (US 26259).
19) V. PICCOLI, § 4.7.
Le ricerche dell’Università di Siena
197
L’utilizzazione degli ambienti e la funzione commerciale o di magazzino della struttura sono
attestate da frammenti di anfore LRA1 e LRA2 rinvenuti a ridosso del muro S e del muro N
dell’ambiente 12 (US 26198 e 26197) 20, oltre a numerosi dischi di terracotta ritagliati da pareti di anfore, forse usati come tappi per contenitori di minori dimensioni all’interno degli ambienti 10 e 13. Frammenti di anfore LRA1 e LRA2 sono presenti ancora negli ultimi strati di
frequentazione dell’ambiente 12 (US 26200), dell’ambiente 10 (US 26245) e nei riempimenti
di due fosse scavate nel battuto del medesimo vano (US 26239 e 26170).
Una delle ultime attività è testimoniata dal rifacimento della copertura del condotto fognario in corrispondenza della strada a E dell’edificio (US 26125). Alcuni frammenti di Sigillata
Focese sono databili alla seconda metà del VI e gli inizi del VII secolo d.C.
Fase 3. La chiusura dell’ingresso dell’edificio (26019) e la formazione di alcuni strati di terra all’interno dei tre ambienti (US 26117=26229 e 26112, amb. 10; US 26115, amb. 12; US
26146, amb. 13) segnano il definitivo abbandono dell’edificio con il conseguente disfacimento
delle strutture (US 26110, 26114, 26232, 26105, 26104) da collocare agli inizi del VII secolo
d.C come confermano i frammenti di LRC riconducibili ai tipi Hayes 3F, 3H, 5B e, in particolare, un vaso a listello in sigillata africana rinvenuto all’interno dello strato di abbandono US
26104.
F. Martorella
4.2 - LE TECNICHE EDILIZIE
Durante la campagna del 2006 è iniziato lo studio delle tecniche edilizie degli edifici scavati
nell’area 26 allo scopo di determinare il tipo di materiali impiegati, la loro lavorazione e le apparecchiature delle fondazioni e degli elevati.
In tutte le murature i materiali sono esclusivamente di natura litica 21 e provengono dagli
affioramenti sul promontorio di Hephaestia o da altre località dell’isola 22. Tramite alcune prospezioni sono stati individuati i possibili luoghi di approvvigionamento (fig. 1), mentre le apparecchiature sono state documentate con schedature completate da fotografie e rilievi delle
cortine esterne e dei nuclei interni 23.
Questa analisi non è stata condotta solamente con finalità tipologiche ma anche per mettere
in luce le fasi del processo di produzione dei paramenti murari. Analizzando le possibili correlazioni fra l’approvvigionamento, la lavorazione e la messa in opera si può comprendere come
la conformazione geologica locale abbia influito sulla morfologia finale dei materiali lapidei e
quindi delle apparecchiature. Il grado di specializzazione e l’organizzazione delle maestranze
20) Frammenti di anfore LRA1, variante B1 (US 26198) e frammenti di LR2 (US 26197). All’interno dell’US
26198 è stata rinvenuta una piccola base di colonna in marmo: v. BERNARDONI, § 4.5.
21) Non sono usate tecniche in laterizi o in pietra e laterizi, sebbene si trovino talvolta frammenti di tegole e
coppi utilizzati come zeppe o come riempitivo fra le pietre delle cortine o nei nuclei. Per l’uso dei laterizi nelle coperture, v. BERNARDONI, § 4.4.
22) Solamente il marmo, attestato nelle murature più tarde con lastre e altri manufatti di reimpiego (V. BERNARDONI, § 4.5), non è reperibile in loco.
23) Per la metodologia utilizzata e per l’elaborazione delle schedature, v. CAMPOREALE 2004-2005, 54-80.
198
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 1 - Localizzazione delle cave di pietra individuate sul promontorio: n° 1: fig. 4;
n° 2: fig. 5; n° 3: fig. 6; n° 4: fig. 7 (S. Camporeale, G. Carpentiero)
sono, invece, intuibili dalle tracce degli strumenti utilizzati 24 e dalle regole applicate nel montaggio dei paramenti 25.
La cronologia relativa degli interventi di costruzione, basata sui rapporti stratigrafici delle
murature, e le cronologie delle stratigrafie orizzontali forniscono la datazione delle tecniche
che sono riferibili ai cinque periodi individuati nell’unità abitativa e commerciale dei saggi
IV-VIII 26. Attraverso la localizzazione delle tecniche in pianta (fig. 2) e nei prospetti, questo
studio contribuisce alla comprensione della finalità dei singoli interventi – costruzione o rifacimento di tramezzi interni e muri perimetrali, tamponature di porte, rinforzi strutturali –, la
funzione degli spazi e i percorsi interni agli edifici dei diversi periodi.
Sono distinguibili 4 diversi tipi di fondazioni e 4 tipi di elevati (fig. 3) 27, attraverso i quali si
considereranno il livello tecnico e l’organizzazione delle maestranze nei cinque periodi crono-
24) La varietà e la qualità degli strumenti sono legati alle tradizioni tecniche diffuse localmente e alla qualità dei
materiali da costruzione reperibili in loco o importati. Per i problemi inerenti al rapporto fra cave e cantieri e lo
studio degli strumenti per la lavorazione della pietra, v. BESSAC 1999.
25) V. MANNONI 1997.
26) V. CAMPOREALE – CARPENTIERO – MARTORELLA, § 4.1.
27) Nella figura 3 che illustra la cronotipologia delle tecniche, ciascuna di queste è indicata da due numeri: il
primo serve a distinguere le fondazioni (identificate dal n° 1) e gli elevati (identificati dal n° 2); il secondo numero
distingue le diverse apparecchiature.
Le ricerche dell’Università di Siena
199
Fig. 2 - Pianta dell’edificio con la distribuzione delle tecniche edilizie (S. Camporeale, G. Carpentiero)
logici. La carta geologica di Lemnos 28, utilizzata come punto di partenza della ricerca, mostra
sul promontorio di Hephaestia tre affioramenti principali: 1) arenarie e conglomerati stratificati in grossi banchi nella parte centrale della collina nella zona in cui sorge la città; 2) arenarie
e lutiti intercalate in corrispondenza dell’istmo e della transizione alla punta del promontorio;
3) banchi di arenarie e localmente di calcare oolitico in giacitura orizzontale sulla punta del
promontorio. Da questi affioramenti sono derivati i litotipi prevalenti nella costruzione delle
strutture murarie dell’edificio qui analizzato.
Periodo 1, fase 1. È documentata solamente una fondazione, costruita con materiali di piccole dimensioni (fig. 3, n° 1.1).
Periodo 2, fase 1. Il muro orientale di un edificio messo in luce nei saggi IV e V fu costruito
con una tecnica in blocchetti di dimensioni abbastanza omogenee, disposti in filari (fig. 3, n°
2.1) 29. Le scaglie risultanti dalla loro lavorazione furono usate con funzione di zeppe per la
regolarizzazione dei piani di posa e come riempitivo del nucleo. La fondazione è caratterizzata
da una tecnica molto simile all’elevato sebbene con piani di posa e dimensioni dei materiali
28) V. il breve studio condotto da A. Arnoldus-Huyzenveld in PAPI – ARNOLDUS-HUYZENVELD – CAMAIANI – CERRI
2002, 995-996. È stato effettuato un nuovo campionamento dei litotipi usati nei paramenti murari ma la natura
delle rocce non è ancora stata determinata tramite analisi specifiche. Le definizioni qui adottate son pertanto preliminari e si riferiscono a quelle indicate nella carta geologica.
29) Elevati: US 26047, 26143; fondazioni: US 26203, 26164. I filari sono visibili soprattutto nelle porzioni
della muratura dove furono utilizzati blocchetti con dimensioni analoghe (prospetto del muro in corrispondenza
dell’ambiente 12). I filari presentano comunque, sdoppiamenti e andamento sub-orizzontale.
200
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 3 - Cronotipologia delle tecniche edilizie rinvenute nei saggi IV-VIII dell’area 26 (scavi 2006)
(S. Camporeale)
meno regolari (fig. 3, n° 1.2). La muratura è pertinente a un edificio la cui funzione originaria
non è identificabile ma che continuò a servire come limite orientale dell’isolato anche nelle
epoche successive. I blocchetti sono tagliati in un’arenaria di colore ocra chiaro a grana fine,
la cui area di estrazione potrebbe corrispondere agli affioramenti individuati nella zona di
Le ricerche dell’Università di Siena
201
Fig. 4 - Affioramenti di arenaria in strati sottili sul lato SE del promontorio (v. fig. 1, n° 1)
(S. Camporeale)
transizione alla punta del promontorio (fig. 4). Qui sono visibili gli strati naturali, facilmente
coltivabili per semplice sfaldatura, cioè per distacco dei blocchi lungo i piani di giacitura della
roccia, che si presentano paralleli con inclinazione verso O. Gli affioramenti sono disposti in
banchi di spessore ineguale, visibili in diversi punti del crinale della collina. Verso E si dispongono i banchi più sottili, raggiungibili in zone di facile accesso per le operazioni di cavatura.
La lavorazione dei blocchetti rivela metodi standardizzati e rapidi. Alle pietre fu conferita
una forma approssimativamente trapezoidale o triangolare per semplice sbozzatura 30. È ipotizzabile che le facce laterali e la faccia in vista venissero tagliate con uno strumento a punta
e poi regolarizzate con una martellina a lama piana 31. In particolare, la facciavista è sempre
accuratamente spianata mentre ogni pezzo è dotato di una terminazione a coda inserita verso
l’interno del muro per favorire l’ammorsatura con il nucleo. Anche laddove le murature sono
visibili solamente in cresta questa tecnica è facilmente riconoscibile per l’omogeneità del materiale e per il tipo di lavorazione.
30) Per la terminologia delle lavorazioni qui utilizzata, v. CAMPOREALE 2004-2005, 25-27; CAMPOREALE c.s.
31) BESSAC 1986, 39-52. Per la traduzione del termine, v. PARENTI 1988, 299.
202
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 5 - Cava di arenaria sul crinale NE del promontorio (v. fig. 1, n° 2)
(S. Camporeale)
Apparecchiature simili sono visibili a E del teatro, nel quartiere scavato da Adriani 32, che
sembra inserirsi nell’organizzazione urbanistica dell’abitato rivelata dalle recenti prospezioni
magnetiche 33. Alla luce delle attestazioni e delle cronologie attualmente disponibili, questa
tecnica sembra caratteristica di un’importante fase edilizia della città, quando l’apertura di
numerosi cantieri comportò l’approvvigionamento di un notevole volume di materiali, cavati
localmente, e un’organizzazione razionale e standardizzata dei sistemi di estrazione, rivelata
dalla selezione di affioramenti di spessore simile. Seguendo questa ipotesi è possibile che i
terrazzamenti visibili lungo il crinale del promontorio, proprio dove si trovano i banchi più
sottili di arenaria, siano da interpretare come fronti e piazzali di cava 34. La morfologia del terreno in questo punto del promontorio potrebbe tuttavia essere il risultato di attività estrattive
anche dei periodi successivi, quando si continuarono a usare gli stessi materiali. In questa fase
la lavorazione dei pezzi, come è già stato evidenziato, oltre ad essere standardizzata, era condotta in maniera rapida grazie alla conoscenza delle caratteristiche deposizionali della roccia e
all’uso ripetitivo di pochi strumenti.
Periodo 2, Fase 2. Ad un intervento successivo durante lo stesso periodo è da riferire una
muratura perpendicolare e in appoggio alle precedenti 35. Nell’elevato si trovano blocchi di
arenaria di colore ocra scuro, di dimensioni non omogenee, spianati sui letti di posa e nella
facciavista rivolta verso N (fig. 3, n° 2.2). I lati sono sbozzati in modo che i blocchi aderiscano
mentre la parte posteriore è sommariamente lavorata ed era probabilmente disposta contro
32) MESSINEO 2001, 44-80.
33) V. CERRI, § 3.
34) V. MARIOTTI, § 2, fig. 4, nn° 2-3.
35) Elevato: US 26046, fondazione US 26204.
Le ricerche dell’Università di Siena
203
Fig. 6 - Cava di arenaria sulla punta del promontorio (v. fig. 1, n° 3)
(S. Camporeale)
terra sul lato S. Rispetto alla fase precedente, tipo di materiali, metodi di estrazione e di lavorazione non variano, anche se le dimensioni dei blocchi sono maggiori. È probabile che all’interno di un arco cronologico comprendente entrambe le tecniche i differenti spessori degli affioramenti di arenaria siano stati sfruttati per la costruzione di strutture con funzioni diverse.
Nel secondo caso, l’elevato si imposta su una fondazione costruita con una tecnica differente
e con quota di impostazione irregolare (fig. 3, n° 1.3). Si compone di pietre di natura eterogenea, di piccole dimensioni, lavorate solo per spaccatura o non lavorate e di forma irregolare.
La stessa tecnica fu utilizzata per la costruzione del divisorio interno, del quale si conserva
solamente la fondazione, addossato alla muratura in grandi blocchi. Se si prestò minore cura
nell’allestimento delle fondazioni, i cui materiali sembrano provenire da raccolta e forse da
recupero, i grandi blocchi dell’elevato furono estratti da una cava. Il luogo di approvvigionamento principale sembra identificabile con il fronte visibile sul crinale a NE del promontorio
dove si conservano le tracce di estrazione di alcuni blocchi (fig. 5).
Periodo 3, fase 1. Nella fase datata al II - III secolo il panorama delle tecniche è sostanzialmente diverso rispetto ai periodi precedenti soprattutto per l’approvvigionamento e l’impiego
di materiali di natura eterogenea nei paramenti murari o per la realizzazione di particolari elementi strutturali. Nell’edificio qui considerato gli interventi di costruzione, nei saggi effettuati
fino al 2006, sono testimoniati solamente da brevi tratti di murature e risulta più difficoltosa
l’interpretazione dei resti per ricavare informazioni sull’organizzazione delle maestranze. Per
il periodo 3 si conserva solo una fondazione 36 che andò ad appoggiarsi al muro in blocchi già
36) US 26262.
204
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 7 - Affioramento di conglomerato in prossimità del crinale N del promontorio (v. fig. 1, n° 4)
(S. Camporeale)
esistente. La tecnica con cui fu realizzata (fig. 3, n° 1.3) è sostanzialmente identica a quella già
usata per la fondazione del muro di epoca ellenistica (Periodo 2, fase 2).
Periodo 5, fase 1. L’analisi delle tecniche dell’unità commerciale e abitativa dell’ultimo
periodo mostra una nuova cesura negli approvvigionamenti e nel livello delle maestranze.
Negli elevati si impiegarono esclusivamente materiali di recupero non rilavorati, riadattati
con rare zeppe, di diversi litotipi e dimensioni, tanto che le varie murature presentano spessori
e caratteristiche differenti, sebbene siano riconducibili a una medesima pratica costruttiva.
Il tipo di approvvigionamento dimostra che non erano più disponibili squadre di cavatori
contraddistinte, come in precedenza, da un’organizzazione razionale del lavoro di estrazione.
Due tecniche sono distinguibili, sebbene appartenenti alla stessa fase di costruzione, per una
più evidente diversità di apparecchiatura. La prima tecnica si trova nella nuova muratura 37
visibile al limite E dell’ambiente 12 (fig. 3, nn° 2.3) ed è caratterizzata da una più accurata
posa degli elementi delle cortine, chiaramente distinte dal nucleo, con dimensioni abbastanza
omogenee che rivelano un recupero di elementi preselezionati. Le altre murature dell’edificio 38
sono contraddistinte da una maggiore variabilità dimensionale delle pietre (fig. 3, nn° 2.4).
I muri sono privi di fondazione tranne dove era necessario livellare il piano di imposta delle
37) US 26044.
38) US 26002, 26045, 26113, 26123, 26144, 26145, 26154, 26157, 26158, 26162, 26163, 26189, 26259,
26295.
Le ricerche dell’Università di Siena
205
strutture; in questi casi si trovano materiali di dimensioni più piccole che negli elevati ma
sempre variabili e disposti in maniera irregolare (fig. 3, n° 1.5) 39.
Oltre all’arenaria ocra furono impiegati altri litotipi, alcuni estratti dal promontorio, altri
provenienti da aree più distanti, che testimoniano la diversificazione degli approvvigionamenti
nei periodi precedenti. Fra i primi si trovano un’arenaria di colore giallo a grana media,
proveniente dalle cave della punta promontorio (fig. 6) e un conglomerato, affiorante in
diversi punti dei crinali N e E del promontorio (fig. 7). Gli altri litotipi sono rappresentati da
una roccia di colore grigio a grana fine da cui vennero ricavati blocchetti di medie e piccole
dimensioni 40 e alcune rocce ignee non reperibili in loco 41. Gli affioramenti più vicini sembrano
trovarsi presso il paese di Romanou, a ca. 7 Km di distanza 42 da Hephaestia.
S. Camporeale
4.3 - LA CERAMICA DALLA PRIMA ETÀ IMPERIALE ALL’ETÀ PROTOBIZANTINA
4.3.1 - Premessa
Il materiale oggetto di questo contributo proviene dagli scavi dell’Area 26. 43 Di seguito saranno presentate soltanto le ceramiche più indicative per le cronologie e per la ricostruzione
degli scambi commerciali: le ceramiche sigillate e i contenitori da trasporto. Si rinvia invece ad
una pubblicazione successiva per le altre ceramiche di età romana. Questo contributo deve essere dunque considerato preliminare, non soltanto dal punto di vista ceramologico ma anche
per la ricostruzione del contesto socio-economico 44.
Lucia Botarelli
4.3.2 - Le ceramiche fini da mensa
La Sigillata Orientale C (figg. 1-2). I frammenti di Sigillata Orientale C 45 provenienti
dall’area 26 ammontano a 179: 73 orli, 54 pareti e 52 fondi.
Tra le sigillate di età imperiale è la classe maggiormente attestata rispetto alle altre sigillate
Orientali (44 frammenti) e alla Sigillata Africana (24 frammenti).
39) US 26256, 26309.
40) Non è stato ancora individuato il luogo di approvvigionamento di questa roccia che non sembrerebbe affiorare sul promontorio di Hephaestia.
41) V. BERNARDONI, § 4.5.
42) Non conoscendo la viabilità antica dell’isola, la distanza è stata misurata in linea d’aria.
43) Sarà presentata la ceramica rinvenuta in tutti i saggi di scavo, a differenza delle strutture, che si riferiscono
agli ambienti 10, 12 e 13.
44) Alcuni frammenti significativi per la cronologia dei contesti di scavo sono stati pubblicati in GRECO et alii
2001-2005); la ceramica romana degli scavi di Achille Adriani è stata pubblicata in PELLEGRINO 2001a; 2001b;
2001c; 2001d; 2001e; 2001f. Per l’Egeo settentrionale fondamentale rimane la pubblicazione del materiale tardoantico di Taso (ABADIE-REYNAL - SODINI 1992), mentre si attende la pubblicazione del 20° Convegno di Studi sulla
Macedonia e Tracia dedicato proprio alla ceramica di questo periodo (Salonicco, 2-5 novembre 2006).
45) Per un’introduzione generale della Sigillata Orientale C, detta anche ceramica di Çandarli o Eastern Sigillata
C (ESC), v. LOESCHCKE 1912; HAYES 1972, 316-322; HAYES 1985. Per la denominazione delle forme e dei tipi si fa
riferimento a HAYES 1985.
206
HEPHAESTIA 2000-2006
Nel contesto dell’area 26 sono assenti i frammenti della produzione di età augustea. I tipi
riconducibili alla “serie L” sono rappresentati da 27 orli su 73. La serie tarda, o “serie H” 46,
risulta la produzione più diffusa, con 45 esemplari. Non sono stati rinvenuti pezzi decorati,
bollati o inscritti. Predominano le forme aperte, come piatti (31 esemplari) e ciotole (26 esemplari), mentre meno diffusi risultano i bacini (4 esemplari) e le coppe (1 esemplare, tipo L 8,
di incerta attribuzione). Tra i piatti è da evidenziare la quantità del tipo H4 (17 esemplari); tra
le ciotole sono presenti i tipi H3 (10 esemplari), H5 (6 esemplari), L20 (5 esemplari) e L19 (4
esemplari); tutti i bacini appartengono al tipo H1 (4 esemplari su 4 attestazioni).
La totalità della Sigillata Orientale C, ritrovata fino al 2006, è da considerarsi residua. I
frammenti provengono infatti da stratigrafie formatesi in epoche più recenti.
La maggior parte dei frammenti proviene dal saggio VI (ambiente 4): tra questi si segnalano
due frammenti di ciotola L20, databili alla seconda metà del I sec. d.C. L’esemplare tav. 1, fig.
1 si distingue per l’orlo estroflesso a sezione triangolare leggermente rientrante (US 26303),
mentre il frammento tav. 1, fig. 2 47 è provvisto di orlo leggermente rientrante, appena inclinato verso l’esterno, che si congiunge con la parete a spigolo vivo (US 26285).
Nell’US 26275 è da rilevare la presenza di un frammento di piatto, probabilmente assegnabile al tipo L26 B (tav. 1, fig. 3) 48, con orlo a breve tesa inclinato verso il basso e profilo esternamente arrotondato.
Il riempimento 26283 = 26289 = 26298 della fossa 26300 ha restituito una quantità cospicua di Sigillata Orientale C, tra cui si segnalano 24 orli. Tra i pezzi analizzati risultano interessanti due piatti L20, un piatto L9 (tav. 1, fig. 4) 49 e quattro piatti L26, tra cui si distinguono un
esemplare di L26 A (tav. 1, fig. 5) 50 e uno di L26 A-B (tav. 1, fig. 6) 51. Si segnalano inoltre 13
orli di piatto H4 52, tra cui uno con parete ricurva e orlo dritto con estremità arrotondata (tav.
1, fig. 7) e uno con parete ricurva leggermente ingrossata (tav. 2, fig. 1) 53. In tutti gli altri frammenti sono riconoscibili le caratteristiche comuni del tipo, con profilo più o meno incurvato e
l’estremità arrotondata o a spigolo vivo. Nello stesso deposito sono presenti tre frammenti di
H5, due dei quali ben conservati: uno appartiene a una ciotola carenata con orlo leggermente
46) La “serie L” è così chiamata dalla prima lettera del cognome dello studioso (Loeschke) che per primo ha individuato e classificato questa sigillata, mentre la “serie H” prende il nome da Hayes che ha elaborato la tipologia
della produzione tarda.
47) Cfr. HAYES 1985, 76 s. e tav. 17, 8 e TEKKÖK - WALLRODT - GÜNDEN - BRIAN ROSE 2001, 348 s., n. 12 e tav. 2, n.
12. In entrambi i casi il tipo è datato all’ultimo quarto del I sec. d.C.
48) Possibile variante di L 26 B, si veda LOESCHCKE 1912, 373-377 e tav. 28, n. 26 b. Le difficoltà di attribuzione
sono dovute all’assenza della carena. Per HAYES 1985, 77 questo tipo risale alla prima metà del II sec. d.C.
49) Un esemplare analogo proviene da Knossos, si veda SACKETT 1992, 231, D2,1 e tav. 173, D2,1, ritrovato in
uno strato connesso a depositi di età adrianea. Si segnala un altro confronto in ABADIE-REYNAL 2007, 118, n. 182 e
tav. 27, n. 182.1, dove si conferma la datazione di questo tipo alla prima metà del II sec. d.C.
50) Cfr. KOZAL 2001, 329, n. 29 e tav. 5, n. 29, che, come HAYES 1985, 77, data il piatto L26 A alla seconda metà
del I sec. d.C., mentre in LIPPOLIS 2001, 34 viene assegnato al periodo compreso tra il 50 e il 70 d.C.
51) Questo frammento sembra attribuibile a uno stadio di transizione tra il tipo L26 A e L26 B, cfr. SACKETT
1992, 224, T1,8 e tav. 169, T1,8, in un contesto di età traianea.
52) In HAYES 1972, 322 il piatto H4 è considerato tipo specifico di III sec. d.C. In HAYES 1985, 78 si propone,
invece, una cronologia più vasta, che va dalla fine del II sec. al III sec. d.C., senza escludere una presenza del tipo
anche in epoca successiva (della quale comunque non vengono precisati i limiti).
53) ABADIE-REYNAL - SODINI 1992, 16, CF 29 e fig. 2, CF 29: “La forme annonce la forme HAYES 1 de sigillée
phocéenne. Fin du IIIe s. au plus tôt.”
Le ricerche dell’Università di Siena
207
inclinato verso l’interno, con parete superiore ben distinta da quella inferiore (tav. 2, fig. 2) 54
e l’altro a una leggermente svasata con orlo arrotondato (tav. 2, fig. 3) 55. Si segnala anche la
presenza di un orlo riconducibile al piatto H2, dalle pareti inclinate e leggermente espanse
all’esterno (tav. 2, fig. 4) 56.
Nei saggi V e VII (ambiente 12) la Sigillata Orientale C è rappresentata da due soli frammenti ritrovati, rispettivamente, nell’US 26239 e 26282: una ciotola H3 con flangia arrotondata e
sporgente all’esterno (tav. 2, fig. 5) 57 e un piatto H4 (tav. 2, fig. 6) 58
Nel saggio IV (ambiente 12) è stato ritrovato un solo orlo riconducibile al tipo L26 B, proveniente dall’US 26115, di una fase relativa all’abbandono dell’ambiente. Le sue caratteristiche
principali sono il profilo inclinato e l’orlo leggermente estroflesso (tav. 2, fig. 7) 59.
Dai dati raccolti è possibile collocare l’inizio dell’afflusso di questa ceramica in un’epoca
compresa tra la seconda metà del I e l’inizio del II sec. d.C. Gli arrivi di Sigillata Orientale C
sembrano aumentare nel III sec. d.C., al quale si possono assegnare la maggior parte dei frammenti presi in esame.
In questa classe ceramica destinata soprattutto alla mensa l’aspetto funzionale 60 prevale nettamente su quello estetico. Rare sono infatti le decorazioni, mentre sono caratteristici i profili
semplici, le forme lisce e il repertorio limitato a pochi tipi ricorrenti, fattori determinati da
una produzione standardizzata e destinata a un mercato ampio. Tali peculiarità la distinguono dalla Sigillata Orientale B, più ricercata e ricca di decorazioni.
In un recente studio sulla presenza delle sigillate nel Mediterraneo orientale 61, la diffusione
della Sigillata Orientale C appare modesta soprattutto nel I e nel II sec. d.C. In questi due
secoli la classe subisce la “feroce concorrenza” 62 della Terra Sigillata Italica, della Sigillata
Orientale A e della Sigillata Orientale B sul mercato greco e della Sigillata Orientale B, della
Sigillata Orientale A e della Sigillata Cipriota sul mercato microasiatico. Nella seconda metà
del II sec. d.C. (in alcuni casi anche nel III secolo) si osserva uno sviluppo del mercato della Sigillata Orientale C, che moltiplica le sue attestazioni in Grecia - come osservato, ad esempio, a
54) Cfr. SACKETT 1992, 251, U27 e tav. 191, U27, rinvenuto nei cosiddetti “upper levels”, formatisi dall’epoca
post-severiana, ma che includono anche frammenti ceramici di età severiana. Caratteristiche simili possono essere
riscontrate anche in HAYES 1972, 320, fig. 64,5. La datazione suggerita per questa ciotola in HAYES 1972, 322 e in
HAYES 1985, 78 è la prima metà del III sec. d.C.
55) Cfr. HAYES 1983, 118, n. 24 e 120, fig. 3,24.
56) Cfr. MALAMIDOU 2005, 34, n. 263 e 162, fig. 48, n. 263. L’esemplare proviene da Amphipolis.
57) In HAYES 1972, 321 il tipo H3 è definito “common in mid second- to mid third-century contexts”, mentre in
HAYES 1985, 78, l’arco cronologico viene ampliato fino alla fine del III sec. d.C. Non è ancora stata individuata, se
esistente, un’evoluzione crono-morfologica lineare del profilo flangiato caratteristico del tipo.
58) ABADIE-REYNAL - SODINI 1992, 15, CF25 s. e fig. 2, CF25 s. L’esemplare CF26 è datato ipoteticamente alla
prima metà del III sec. d.C.
59) MERIÇ 2002, 66, K314 e tav. 28, K314, ritrovato a Efeso in un riempimento (D1-D2) di età compreso tra il
75 e il 125 d.C. (ibidem, 20, Abb. 2 e ibidem, 21). Considerato che la produzione del piatto L26 B comincia all’inizio del II sec. d.C., è verosimile proporre come limiti cronologici per questa variante gli anni compresi tra il 100 e
il 125.
60) ABADIE-REYNAL 2007, 131-133 mette in relazione la morfologia e la diffusione dei tipi della serie tarda di
Sigillata Orientale C con un cambiamento del regime alimentare nell’area egea. Dopo un periodo in cui è prevalsa
una dieta di derivazione italica a base di pietanze liquide (fine I sec. d.C. - fine II sec. d.C.), che coincide con un incremento della produzione di recipienti da mensa profondi come bacini e ciotole (H1 - H3), si torna dal III sec. d.C.
alla tradizionale dieta diffusa in Grecia, caratterizzata dal consumo preponderante di cibi solidi e, di conseguenza,
a una maggiore diffusione dei piatti (H4).
61) MALFITANA 2002.
62) HAYES 1985, 72.
208
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 1 - Sigillata orientale C (D. D’Aco)
Corinto 63 e a Argo 64 - e a Creta (Cnosso 65) grazie al tardivo afflusso della Terra Sigillata Africana e alla decadenza della Sigillata Orientale B. Contemporaneamente subisce in maniera
63) SLANE 1990, 52: nel santuario di Demetra e Kore a Corinto si nota una incremento graduale di Sigillata
Orientale C tra il 150 e il 250 d.C.
64) ABADIE-REYNAL 2007, 128 S.: anche a Argo tra la metà del II e la metà del III sec. d.C. si verifica un aumento
della quantità di Sigillata Orientale C, che in questo lasso di tempo diventa la ceramica da mensa maggiormente
attestata nel sito. Solo dopo la metà del III sec. d.C. inizia a subire la concorrenza della Terra Sigillata Africana.
65) SACKETT 1992, 158: la Sigillata Orientale C tra la fine del II sec. d.C. e l’età severiana diventa la ceramica fine
maggiormente attestata a Cnosso.
209
Le ricerche dell’Università di Siena
Fig. 2 - Sigillata orientale C (D. D’Aco)
210
HEPHAESTIA 2000-2006
meno grave delle altre sigillate il crollo generale della domanda che si verifica in Asia Minore,
riuscendo quindi ad emergere nel suo circoscritto bacino di utenza.
Sebbene l’area indagata sia poco estesa e il numero di frammenti ceramici rivenuti non sufficiente per proporre dati quantitativi significativi, si possono comunque ipotizzare dinamiche
economiche parziali. L’incidenza della cosiddetta “serie tarda” della Sigillata Orientale C ha
evidenziato e testimoniato un incremento dei contatti tra l’Asia Minore e l’isola di Lemnos, sicuramente a partire dal III sec. d.C. Hephaestia, in questa epoca, doveva essere inserita all’interno delle rotte che univano le città portuali dell’Asia Minore, del Ponto Eusino, della Macedonia e della Tracia, grazie soprattutto alla sua posizione. Al contrario, si osserva un numero
inferiore di attestazioni di Sigillata Orientale A e B e delle prime serie di Sigillata Orientale C
a Hephaestia, un afflusso limitato dovuto forse a una rilevanza marginale del suo porto nella
prima età imperiale.
Domenico D’Aco
La sigillata africana (fig. 3). La sigillata africana è piuttosto limitata: 24 frammenti, corrispondenti a un numero minimo di 10 esemplari. I tipi presenti, databili tra la fine del III e la
fine del VI secolo d.C., sono tra i più diffusi nel bacino del Mediterraneo; la produzione C è
rappresentata da un solo esemplare mentre la D, come in altri contesti egei, è preponderante 66. Le forme sono aperte, con una prevalenza delle grandi scodelle rispetto ai vasi di dimensioni più contenute. Pur sulla base delle scarse attestazioni, si osservano le maggiori presenze
nel IV secolo, sostituite dalla fine del secolo o dagli inizi del successivo dalle importazioni
della sigillata focese. Il vasellame africano è spesso l’unica ceramica datante rinvenuta nelle
stratigrafie e non è quindi possibile fornire cronologie più puntuali a partire da altri materiali
associati.
Tipiche del IV secolo d.C. sono le grandi scodelle prive di piede con orlo a tesa o a sezione
triangolare, riconducibili alla produzione D1. Al tipo Hayes 59 sono riferibili due esemplari
con il profilo ricostruibile (fig. 3, nn. 1-2) e alcuni frammenti di fondi, di cui quattro decorati
(fig. 3, nn. 3-6) 67. Gli esemplari sembrerebbero pertinenti alla variante B, datata tra il 320 e il
420 d.C. e caratterizzata dall’assenza di nervature sulla parete esterna 68. Più difficile è l’identificazione tipologica delle pareti di dimensioni ridotte e dei fondi. L’esemplare in fig. 3, n. 3,
in particolare, è stato rinvenuto in associazione a un orlo in sigillata focese di tipo Hayes 1A
(databile tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C.) 69.
All’inoltrato V secolo (460-500 d.C. e oltre) si può attribuire la grande scodella su basso
piede e orlo scanalato riconducibile al tipo Hayes 82B, prodotto in africana C5 (fig. 3, n. 7) 70,
66) Contando il numero minimo di esemplari da tutti i contesti di scavo (campagne 2001-2006) si ottengono le
seguenti percentuali: 14% produzione C3, 4% produzione C5, 55% produzione D1 e 27% produzione D2 (BOTARELLI 2007, 64-67).
67) US 26182 (fig. 3, nn. 1, 6), US 26246 (fig. 3, nn. 2, 4, 5), US 26212 (fig. 3, n. 3). I fondi sono decorati con
motivi impressi di tipo geometrico o vegetale che si alternano attorno al centro del piatto. Per i tre motivi presenti
si veda ATLANTE I, 125, stampo n. 10, tav. 56, n. 10 (cerchi concentrici); ivi, 126, stampo n. 92, tav. 56, n. 55 (quadrati decorati all’interno); ivi, 127, stampo n. 108, tav. 57, n. 48 (rami di palma).
68) HAYES 1972, 96-100; ATLANTE I, 82s. Per la distribuzione nell’Egeo v. ABADIE-REYNAL 2007, 163.
69) Cfr. p. 212.
70) US 26264. Su questo tipo vedi HAYES 1972, 128-131, fig. 23, n. 7; ATLANTE I, 68, tav. 29, n. 11. Esemplari di
questo tipo sono documentati a Atene (HAYES 1972, 129, n. 7) e Stobi (ANDERSON STOJANOVIĆ 1992, 58, n. 374, tav.
43). Nell’Egeo sembrano più numerosi gli esemplari riconducibili alla variante A (vedi ad es. DELLO PRIETE 1997a,
138, tav. 8, n. 8 e RIZZO 2001a, 44 per Gortina; GASSNER 1997, 149, n. 594, tav. 49 per Efeso).
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Le ricerche dell’Università di Siena
Fig. 3 - Sigillata africana (L. Botarelli)
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HEPHAESTIA 2000-2006
mentre al pieno VI secolo (530-600 d.C.) si data un vaso a listello di tipo Hayes 91C (fig. 3, n.
8), che costituisce l’esemplare in sigillata africana più tardo finora rinvenuto all’interno delle
stratigrafie 71.
I tipi ceramici presenti hanno una diffusione notevole in buona parte del Mediterraneo. La
loro fortuna è stata attribuita, oltre che alla rapidità di realizzazione, alla facilità di impilamento e di trasporto e alla possibilità di essere impiegati per il consumo di cibi sia solidi che
semiliquidi. S. Fontana ha proposto di individuare nei ceti non elevati gli acquirenti principali
di questi vasi, che si dovevano contraddistinguere per un costo piuttosto contenuto 72.
Lucia Botarelli
La sigillata focese (fig. 4-6). La sigillata focese è attestata da 36 frammenti, riconducibili ad
un numero minimo di 31 esemplari 73. Buona parte delle dieci forme della tipologia di Hayes
risulta presente, in un arco cronologico compreso tra la fine del IV e gli inizi del VII secolo
d.C. Come per la sigillata africana, anche per la sigillata focese si possono fornire poche indicazioni cronologiche di dettaglio, essendo il principale materiale datante delle stratigrafie
tardoantiche.
Il tipo più antico è rappresentato dalla prima forma fabbricata nelle officine di Focea, attive in seguito probabilmente alle crescenti esigenze di Costantinopoli 74. In particolare, sono
presenti due esemplari riconducibili alla variante 1A (fig. 4, nn. 1-2), databile tra la fine del
IV e gli inizi del V secolo d.C., e un esemplare riferibile alla variante 1D (fig. 4, n. 3), cronologicamente collocabile nei primi tre quarti del V secolo 75. Residuo in un contesto della prima
metà del VI secolo è un esemplare di dimensioni ridotte riconducibile alle scodelle con orlo
estroflesso di tipo Hayes 2B, tradizionalmente datate tra la fine del IV e la metà del V secolo
d.C. (fig. 4, n. 4) 76.
La forma 3, la più attestata, è rappresentata da una scodella con alto orlo quasi verticale e
flangia riconducibile alla forma 3C di Hayes (fig. 4, n. 5), proveniente da un contesto databile
71) US 26104. V. HAYES 1972, 140, 144, fig. 26, n. 23; ATLANTE I, 105-107, tav. 49, n. 6. Per la distribuzione di
questo tipo nell’Egeo v. YANGAKI 2005, 110s.
72) FONTANA 1998, 96s.; GANDOLFI 2005, 229s.
73) Per le caratteristiche materiali e la produzione v. HAYES 1972, 323-370, con aggiornamenti in MARTIN 1998.
Per la localizzazione delle fornaci v. LANGLOTZ 1969, 379; EMPEREUR–PICON 1986, 145; MAYET–PICON 1986, 133.
Nelle stratigrafie dell’Area 26 il rapporto tra il numero di frammenti di sigillata africana e di sigillata focese è quasi
paritetico; esso è invece molto diverso se si prendono in considerazione i dati provenienti da tutti i contesti studiati:
22 esemplari in sigillata africana tra la metà del III secolo d.C. e il primo ventennio del VII e 139 esemplari in sigillata focese dalla fine del V secolo d.C. al primo trentennio del VII (BOTARELLI 2007, 64-67, 73-77).
74) HAYES 1992, 5s.
75) Variante A: US 26221 (fig. 4, n. 1) e 26246 (fig. 4, n. 2); variante D: US 26260 (fig. 4, n. 3). Sulla forma vedi
HAYES 1972, 325-327. Sulla variante 1A vedi da ultimo ABADIE-REYNAL 2007, 176-77; la variante 1D è presente a
Salonicco (HAYES 1972, 326, fig. 65, nn. 1-2), Gortina (MONACCHI 1988, 214; DELLO PRIETE 1997b, 161; tav. 18, nn.
9-10; RIZZO 2001b, 57-58; tav. 8, g-h), Corinto (WARNER SLANE 1990, 57-58, fig. 10, n. 120). La cronologia iniziale
di questa forma è ancora piuttosto dubbia: Hayes ha proposto una datazione intorno al 370/380 d.C. (HAYES 1972,
325-327). Sono note anche forme intermedie tra le produzioni di Sigillata Orientale C e di sigillata focese (ivi, 369;
un esempio in HAYES 1992, 93, deposito 11, n. 3, fig. 32).
76) US 26125. Sul tipo vedi HAYES 1972, 327-329; per la sua distribuzione da ultimo ABADIE-REYNAL 2007,
177.
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Le ricerche dell’Università di Siena
Fig. 4 - Sigillata focese (L. Botarelli)
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HEPHAESTIA 2000-2006
tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo d.C. 77, da due frammenti attribuibili alla forma 3F
(fig. 4, n. 6; fig. 5, n. 1) 78, cui si può aggiungere anche un esemplare di dimensioni ridotte (fig.
5, n. 2) 79, da una piccola scodella con breve orlo ingrossato riferibile al tipo 3G (fig. 5, n. 3) 80
e da tre esemplari caratterizzati da orli a sezione grosso modo triangolare appartenenti al tipo
3H (fig. 5, nn. 6-8) 81. Caratteristiche intermedie tra le varianti F e G sono ravvisabili nel frammento rappresentato in fig. 5, n. 4 82, mentre l’esemplare riprodotto in fig. 5, n. 5 deve essere
probabilmente attribuito ad una produzione intermedia tra i tipi 3 e 10 (3G/10A) 83.
Alla forma 4, datata in genere al secondo quarto del V secolo, va attribuito un esemplare
con pareti molto svasate, quasi rettilinee, con una sottile solcatura al di sotto dell’orlo, che
si presenta indistinto, leggermente ingrossato e squadrato (fig. 6, n. 1). Il frammento è stato
rinvenuto all’interno di uno strato il cui terminus post quem è fornito da una moneta di Marciano del 450-457 d.C. 84.
Il tipo 5, che comprende le coppe a tesa orizzontale, è rappresentato da due esemplari: il
primo, riferibile alla variante A, presenta una tesa breve e leggermente concava nella faccia inferiore (fig. 6, n. 2) 85; il secondo, appartenente alla variante B, mostra una tesa più grande, caratterizzata da una incisione in coincidenza dell’attacco della parete e, sulla faccia superiore,
77) US 26115. Su questa forma, la cui produzione si colloca tra il 450 e il 480/490 d.C., vedi HAYES 1972, 329338. La variante 3C è attestata a Atene (ivi, 333, fig. 67, nn. 7-9), Gortina (DELLO PRIETE 1997b, 165-166, 172, nn.
39-50, tav. 21, nn. 5-9, tav. 22, nn. 1-7; RIZZO 2001b, 56, 59, tav. 10, d), Eleutherna (YANGAKI 2005, 117, fig. 10a),
Aghia Galini (VOGT 1991-1993, 45, , fig. 4, n. 1), Lasaia (BLACKMAN - BRANIGAM 1975, 31-32, fig. 9, 10/1 e 10/3;
stesso esemplare replicato?), nella valle dell’Ayofarango, presso Moni Odiyitrias (BLACKMAN - BRANIGAM 1977, 62,
fig. 18), Argo (IVANTCHIK 2002, 379, nn. 110-11, fig. 14), Corinto (WILLIAMS - ZERVOS 1982, 136s., nn. 62-64; fig.
2, nn. 63s.; tav. 44 n. 62), Kenchreai (ADAMSHECK 1979, 98, LRB 33, fig. 10, P604), Taso (ABADIE-REYNAL - SODINI
1992, 19-20, CF68- CF76, figg. 3-4).
78) US 26115. Sulla forma, databile entro il 550 d.C., vedi HAYES 1972, 331, 333, 335, 338. Il tipo è presente,
nell’Egeo, a Atene (ROBINSON 1959, 117, M 351, tav. 36; HAYES 1972, 333, nn. 17-19, 25, fig. 69, nn. 17, 19), Corinto (ivi, 335, fig. 69, n. 24), Gortina (MONACCHI 1988, 215, nn. 165-167, fig. 189; DELLO PRIETE 1997b, 173-174, nn.
63-86, tav. 24, nn. 6-7, tav. 25, nn. 1-7, tav. 26, nn. 1-7, tav. 26, nn. 1-7, tav. 27, nn. 1-8; RIZZO 2001b, 60), Eleutherna (YANGAKI 2005, 117-118, figg. 10g, 12a), Aghia Galini (VOGT 1991-1993, 45-47, e , fig. 4, nn. 2-3), Cnosso (HAYES 2001, 438, A16-A17, fig. 4; 440, A42, fig. 2), Argo (AUPERT 1980, 418-419, fig. 36, nn. 127, 129), Taso
(ABADIE-REYNAL - SODINI 1992, 21-23, CF82-CF103, figg. 5-7), Anfipoli (
Α
1988-91, 139, fig. 3, nn. 1-2).
79) Su esemplari di dimensioni contenute riferibili a questo tipo vedi HAYES 1972, 335-336. Il frammento è stato
rinvenuto in associazione con una scodella di tipo 3F di grandi dimensioni (US 26115).
80) US 26102 (fig. 5, n. 2), 26125 (fig. 5, n. 3). Sulla forma vedi HAYES 1972, 335. Confronti presso Samo (ibidem, n. 27), Gortina (DELLO PRIETE 1997b, 175-177, nn. 87-103, tav. 28, nn. 1-8, tav. 29, nn. 1-8; RIZZO 2001b,
60, tav. XIII.e-f), Cnosso (HAYES 2001, 438, A18, fig. 4), Lasaia (BLACKMAN - BRANIGAM 1975, 31-32, n. 10/2, fig.
9), Corinto (SANDERS 1999, 465, nn. 1-2, fig. 7), Taso (ABADIE-REYNAL - SODINI 1992, 23, CF 104, fig. 7).
81) US 26100 (fig. 5, n. 4), US 26104 (fig. 5, n. 5), US 26115 (fig. 5, n. 6). Sulla forma vedi HAYES 1972, 335.
Esempi provengono da Atene (ibidem, fig. 68, nn. 28, 29), Gortina (DELLO PRIETE 1997b, 177, n. 104, tav. 30, n. 2,
l’esemplare è dubitativamente attribuito al tipo in questione; RIZZO 2001b, 60), Eleutherna (YANGAKI 2005, 118,
fig. 9d), Taso (ABADIE-REYNAL - SODINI 1992, 23, CF105-CF106, fig. 7).
82) US 26111. Su esemplari intermedi tra le due varianti vedi ad esempio HAYES 1992, 100, dep. 26, fig. 37, n. 2;
dep. 27, fig. 37, n. 1; 106, dep. 31, fig. 50, n. 13 per Saraçhane; DELLO PRIETE 1997b, 175, n. 85, tav. 27, n. 7; 176,
n. 100, tav. 29, n. 6 per Gortina.
83) US 26125. Su esemplari intermedi tra le due varianti vedi ad esempio DELLO PRIETE 1997b, 176, n. 99, tav.
29, n. 5; 177, n. 102, tav. 29, n. 8 per Gortina.
84) US 26264. Sul tipo v. HAYES 1972, 338. Un esemplare quasi identico è attestato a Gortina (RIZZO 2001b, 61,
tav. 13g); altri esemplari provengono da Taso (ABADIE-REYNAL - SODINI 1992, 24, CF 107, fig. 7).
85) US 26105. Su questa forma, datata tra il 460 e il 500 d.C., vedi HAYES 1972, 339. Alcuni esemplari sono
documentati presso Atene (ibidem, fig. 70, 5/1), Gortina (DELLO PRIETE 1997b, 178, n. 107, tav. 30, n. 5; RIZZO
2001b, 61, tav. 13i), SARAÇHANE (HAYES 1992, 94, deposito 14, n. 14, fig. 33). Il frammento proveniente da Hephaestia è stato rinvenuto in associazione al tipo 3F.
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Le ricerche dell’Università di Siena
Fig. 5 - Sigillata focese (L. Botarelli)
da un bordo piuttosto accentuato verso l’interno (fig. 6, n. 3) 86. Una piccola coppa con orlo
ingrossato e inferiormente obliquo appartenente alla forma 6 (fig. 6, n. 4) è stata rinvenuta in
associazione al tipo 3G 87.
86) US 26114. Sulla forma, datata alla prima metà del VI secolo d.C., vedi HAYES 1972, 339. Essa è documentata
a Atene e Lechaion (ibidem, fig. 70, 5/2-3), Gortina (DELLO PRIETE 1997b, 178, nn. 108-110, tav. XXX, nn. 6-8;
tre orli genericamente attribuibili alla forma 5, senza specificazione della variante, in RIZZO 2001b, 61), Saraçhane
(HAYES 1992, 96, deposito 18, n. 3, fig. 34).
87) US 26102. Sulla forma, datata agli inizi del VI secolo d.C., vedi HAYES 1972, 341. Confronti provengono da
Lechaion (ibidem, fig. 70, 6/1), Gortina (DELLO PRIETE 1997b, 179, tav. 31, nn. 1-3; RIZZO 2001b, 61), Saraçhane
(HAYES 1992, 94, deposito 14, n. 15, fig. 33; 97, deposito 19, n. 1, fig. 34).
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HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 6 - Sigillata focese (L. Botarelli)
Le ricerche dell’Università di Siena
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I tipi più tardi provenienti dall’Area 26 sono rappresentati da tre scodelle dall’orlo esternamente ingrossato, squadrato o arrotondato, e più o meno concavo all’interno (fig. 6, nn. 5-7).
Tutti e tre gli esemplari sono attribuibili alla variante A della forma 10, datata tra la fine del
VI e gli inizi del VII secolo d.C. 88.
Sulla base dei rinvenimenti si può osservare come la sigillata focese compaia dall’inizio della
produzione propriamente detta e continui a essere presente fino alla metà del VI secolo d.C.,
quando si registra la maggiore concentrazione. Da questo momento si notano minori importazioni, che termineranno agli inizi del VII secolo d.C., quando il quartiere sarà abbandonato 89.
Lo studio della sigillata focese proveniente da tutti i contesti di scavo ha mostrato un trend identico, conformemente a quanto è già stato rilevato per altri siti vicini, come Taso o Saraçhane 90.
Lucia Botarelli
Altre sigillate (fig. 7). Dall’Area 26 proviene un solo frammento di sigillata macedonica 91. Si
tratta di un orlo a tesa orizzontale caratterizzato superiormente da due fasci di doppie scanalature concentriche, all’interno delle quali è presente una decorazione con cerchielli e coppie
di crescenti lunari alternati (fig. 7, n. 1). Sulla base del diametro dell’esemplare si potrebbe
ipotizzare l’appartenenza alla forma 1 della classificazione della Anderson Stojanović 92. Un
esemplare da Gortina si presenta per morfologia e decorazione molto simile a quello di Hephaestia 93, e proviene da un contesto di fine IV - inizi V secolo d.C. 94.
Cinque esemplari appartengono alla ‘sigillata chiara dell’Asia Minore’ 95. Di essi, soltanto tre
hanno dimensioni significative: un piatto con orlo a tesa orizzontale superiormente decorato
da quattro rotellature di diverse dimensioni e forma circolare (fig. 7, n. 2) 96, il fondo di una
forma chiusa (fig. 7, n. 4), una forma aperta caratterizzata da orlo a tesa orizzontale, superior88) US 26115. Sulla forma vedi HAYES 1972, 343, 345-346. Confronti presso Atene e Corinto (ivi, 343, n. 1,
5-6; fig. 71, nn. 1, 6; SANDERS 1999, 465, nn. 3-4, fig. 7), Gortina (MONACCHI 1988, 216-217, nn. 170-174, 177,
fig. 189; DELLO PRIETE 1997b, 181-182, nn. 114-115, 119; RIZZO 2001b, 61, tav. 14, a-g), Agia Galini (VOGT 19911993, 47, 49, esemplari - , fig. 5, nn. 1-3), Lasaia (BLACKMAN - BRANIGAM 1975, 31-32, fig. 9, 10/5), Eleutherna
(YANGAKI 2005, 119, fig. 12b), Argo (BOMMELAER - GRANDJEAN 1972, 215, nn. inv. C. 23984, C26587, figg. 96-99;
AUPERT 1980, 419, fig. 36, foto n. 134, dis. n. 140; entrambi provengono da strati databili a prima del 585 d.C., ivi,
399-404), Taso (ABADIE-REYNAL - SODINI 1992, 24, CF109-CF113, figg. 7-8), Saraçhane (HAYES 1992, 98, deposito
22, nn. 2-4, fig. 35; 100, deposito 26, n. 3, fig. 37; deposito 27, n. 5, fig. 37).
89) Cfr. supra.
90) Hephaestia: BOTARELLI 2007, 73-77; Taso: ABADIE-REYNAL - SODINI 1992, 18-30; Saraçhane: HAYES 1992, 7.
91) In generale v. HAYES 1972, 405-407; ANDERSON STOJANOVIĆ 1984; ANDERSON STOJANOVIĆ 1992.
92) ANDERSON STOJANOVIĆ 1984, 103, fig. 1b (l’esemplare presenta un orlo simile, inclinato verso l’interno; tra i
due fasci di solcature la decorazione presenta soltanto crescenti lunari); ANDERSON STOJANOVIĆ 1992, 66s. Allo stato
attuale delle ricerche, le forme della produzione di sigillata macedonica non sembrano distinguibili dal punto di
vista cronologico e sono datate tutte tra l’ultimo quarto del IV secolo d.C. e la metà del VI (ivi, 63-65)
93) DELLO PRIETE 1997c, 198, tav. 35, n. 2, fig. 18b. La decorazione dell’esemplare di Gortina si distingue da
quella del frammento di Hephaestia per i crescenti lunari singoli invece che doppi e per le dimensioni più piccole
dei cerchielli.
94) US 26221.
95) Un primo tentativo di classificazione di questa classe, che attende ancora una sistematizzazione definitiva,
è in HAYES 1972, 408-410 (che data genericamente la produzione tra le metà del V e gli inizi del VII secolo d.C.),
con aggiornamenti in HAYES 1992, 7s. e ABADIE-REYNAL - SODINI 1992, 33-35, 87s. (dove si propone di retrodatare
l’inizio della produzione ai primi del V secolo d.C.). Per una analisi preliminare dei rinvenimenti presso Hierapolis
vedi anche COTTICA 2000.
96) Un esemplare simile, ma con orlo inclinato verso l’interno, in HAYES 1972, 408-410, fig. 92, n. 4 (da un contesto di V secolo d.C. dall’Agorà di Atene); la forma, ma non la decorazione, richiamano alcuni esemplari provenienti da contesti di VI/VII secolo d.C. di Hierapolis (COTTICA 2000, 50, fig. 2, n. 17).
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HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 7 - Sigillata macedonica (n. 1), sigillata chiara dell’Asia Minore (nn. 2–4) (L. Botarelli)
mente e inferiormente concavo (fig. 7, n. 3). Sul lato superiore della tesa sono presenti quattro
rotellature sottili con impressioni di forma triangolare o allungata. Il profilo superiore del bordo è esternamente ondulato mentre la faccia esterna del labbro presenta un’ampia rotellatura
poco profonda 97. I primi due esemplari di Hephaestia si collocano in una fase intermedia della
produzione: il piatto meglio conservato (fig. 7, n. 2) proviene infatti da uno strato databile tra
le fine del V e la prima metà del VI secolo d.C., mentre il frammento di dimensioni minori (fig.
7, n. 3) è stato rinvenuto in un contesto della seconda metà del V secolo d.C. Più dubbia è la
cronologia del fondo, che proviene da un contesto genericamente datato al VI secolo d.C. 98.
Lucia Botarelli
4.3.3 - I contenitori da trasporto
I contenitori di produzione egea sono, insieme a quelli levantini, predominanti all’interno
della casa-bottega durante il periodo tardoantico e protobizantino. Tra i più antichi tipi sono
97) Forti analogie esistono con l’esemplare proveniente dall’Agorà di Atene citato nella nota precedente; un
piatto simile, ma con orlo leggermente inclinato verso l’interno e con diverso motivo decorativo, è documentato a
Hierapolis in contesti di VI/VII secolo d.C. (ibidem, fig. 2, n. 19); un orlo simile ma non identico per morfologia e
decorazione è presente in contesti del secondo quarto del V secolo d.C. a Saraçhane (HAYES 1992, 94, n. 10, fig. 32,
n. 10).
98) Fig. 7, n. 2: US 26104; fig. 7, n. 3: US 26114; fig. 7, n. 4: US 26121.
Le ricerche dell’Università di Siena
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le Kapitän II (fig. 8, nn. 2-3) 99, attestate da quattro anse frammentarie (caratterizzate dal tipico impasto di colore arancione/rosso mattone, ricco di inclusi di colore nero e bianco) e forse
da due alti piedi anulari (dotati di un impasto povero di inclusi, il cui colore è stato alterato
dalla combustione avvenuta al momento della formazione del deposito) 100. Quest’anfora, comunemente ritenuta vinaria 101, è presente a Hephaestia in contesti databili tra il pieno III e la
fine del IV/inizi V secolo d.C.
Un’anfora quasi integra riconducibile al tipo Agora M273 è stato rinvenuto nel saggio VI,
dove era stata impiegata per foderare un forno per la cottura di carni 102. L’esemplare è caratterizzato da corpo ovoide, con diametro maggiore in prossimità del fondo, collo leggermente
rigonfio, orlo a cordoncino, brevi anse ricurve a sezione ellittica e piccolo puntale (fig. 8, n.
1). L’impasto è di colore rosso mattone, fine e granuloso, con presenza di mica e inclusi bianchi e neri; un ingobbio beige ricopre uniformemente l’esterno. La diffusione di questo tipo di
contenitore è collocata in genere tra il IV e il VI secolo d.C., anche se sembrerebbero presenti
a Corinto già dalla metà del III secolo 103 e nell’Italia meridionale in due contesti della seconda
metà del II 104. L’esemplare di Hephaestia, proveniente da uno strato di fine III/IV secolo d.C.,
sembra riconducibile ad una variante documentata nell’Egeo e nel Mar Nero proprio a partire
da questo periodo 105. Le analisi chimiche effettuate su un campione del contenitore hanno
rilevato tracce di vino, nonché di proteine animali derivanti probabilmente da un riutilizzo
99) Come altri contenitori da trasporto egei di età romana e protobizantina anche le cosiddette Kapitän II debbono essere considerate più che un singolo tipo una grande famiglia di anfore. Non esistono ad oggi studi tipologici specifici su questi contenitori, ad eccezione di una breve nota riguardante alcuni esemplari provenienti dalla
Romania e della recente edizione dei materiali di Argo (NEGRU - BĂDESCU - AVRAM 2003; ABADIE-REYNAL 2007, 248).
Per un repertorio delle principali attestazioni nell’Egeo v. YANGAKI 2005, 197-199 e ABADIE-REYNAL 2007, 247-248.
Per le ipotesi circa la provenienza di quest’anfora vedi BEZECZKY 2005, 45.
100) Le anse provengono dalle US 26100, 26212, 26221. L’impasto corrisponde alla cosiddetta “fabric a” descritta di recente da Bezeczky per i materiali di Vindobona (BEZECZKY 2005, 45). I due piedi provengono dall’US
26283; l’impasto dei due frammenti si presenta di colore grigio scuro in seguito all’alterazione derivante dalla
combustione cui sono stati sottoposti. La relativa scarsità di inclusi, rispetto al classico impasto di quest’anfora,
sembrerebbe deporre a favore di quella che recentemente Th. Bezeczky ha indicato come “fabric b”, caratterizzata
da color camoscio, ingobbio grosso modo dello stesso colore e assenza dei tipici inclusi vulcanici della “fabric a”
(ibidem). I due esemplari di Hephaestia mancano dell’ingobbio esterno, forse distaccatasi a causa della combustione cui sono stati sottoposti. L’attribuzione dei due fondi a questo tipo è tuttora dubbia.
101) PANELLA 1969-1972, 599; residui di pece sono state interpretate come indizi di vino (a Caesarea di Palestina: OLESON 1994, 17, nn. A 25, A 27; 118, n. A 62; in Dobrudja: OPAI 2004, 13).
102) US 26283, 26289, 26298. Non esistono studi tipologici mirati su questi contenitori. Ad oggi il contributo
più analitico è la breve nota in ARTHUR 1998, 167s.; un repertorio delle principali attestazioni nell’area egea è in
YANGAKI 2005, 206s. Il carico del “relitto B” di Yassi Ada, databile alla seconda metà del IV secolo d.C. trasportava questo tipo di anfora (BASS - VAN DOORNINCK 1971, 34, 37). Purtroppo non si dispone di una dettagliata descrizione dell’impasto, ad eccezione del colore (definito rossastro-marrone; ibidem), che è compatibile con quello
documentato per gli esemplari rinvenuti in altre località. Un contenitore pressoché identico, per forma e impasto, è
documentato a Gortina in strati della prima metà del VI secolo d.C. (PORTALE - ROMEO 2001, 349s., tav. 79a). L’origine di queste anfore è ancora sconosciuta, anche se da alcuni è stato proposta Samo (SCORPAN 1977, 272; ARTHUR
1990).
103) A Corinto il tipo è documentato in strati datati intorno al 250 d.C. ca., ma in associazione ad un piatto in
sigillata africana del tipo Hayes 50, nella versione tarda della variante A, tradizionalmente datato tra il 300 e il 360
d.C. (WILLIAMS - ZERVOS 1983, 15, n. 28, tav. 7).
104) Brindisi e Santa Foca (AURIEMMA - QUIRI 2004, 50-51), cui sono da aggiungersi i dati del relitto di Camarina
(AURIEMMA 1997, 136).
105) ROBINSON 1959, tipo M273, 109s., tav. 29; SCORPAN 1977, 272, fig. 5, n. 1.
220
HEPHAESTIA 2000-2006
secondario 106. Il calcolo volumetrico ha evidenziato infine una capacità di 41/42 litri di acqua,
corrispondenti a 38/39 litri di vino; quantità di liquidi analoghe sono segnalate per le anfore
Agora M273 del relitto B di Yassi Ada 107.
A partire dalla fine del IV secolo d.C. fa la sua comparsa all’interno delle stratigrafie della
casa l’anfora denominata LRA 2. Ad essa sono attribuibili sette orli, un puntale, un piccolo
tappo/coperchio e numerose pareti, alcune delle quali ritagliate a formare a loro volta dei
tappi di forma grosso modo circolare 108. Gli esemplari provenienti dall’Area 26 presentano
caratteristiche morfologiche diverse. Tre esemplari hanno orli brevi, con labbro ingrossato
e concavità interna accentuata (fig. 8, nn. 5-7). Nell’esemplare meglio conservato il collo si
presenta breve e fortemente svasato, le anse sono molto inclinate e a sezione ellittica, la spalla
è attraversata da striature orizzontali. Questi esemplari sono riconducibili alla variante più
antica del tipo, che inizia ad essere prodotta nel corso del IV secolo d.C. 109. Gli esemplari di
Hephaestia provengono da contesti databili tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C. (fig.
8, nn. 6-7), ad eccezione dell’esemplare riprodotto in fig. 8, n. 5, che è stato rinvenuto durante
le operazioni di pulizia superficiale dell’area di scavo 110. Buona parte degli altri frammenti
presenta un orlo più dritto, talvolta leggermente più lungo, con la concavità interna poco accentuata. Entro la metà del VI secolo d.C. si datano gli esemplari riprodotti in fig. 9, nn. 1-2,
probabilmente ai decenni centrali dello stesso secolo si può attribuire il frammento riprodotto
in fig. 9, n. 1, genericamente al VI si data l’esemplare in fig. 8, n. 8, mentre dagli strati di crollo
e di abbandono della struttura proviene l’esemplare in fig. 9, n. 4 111. Alla variante LRA 2B si
106) V. infra.
107) La capacità di questi contenitori oscilla tra i 37 e i 40 litri (BASS - VAN DOORNINCK 1971, 34). La capacità inun esemplare di
dicata dai tituli picti su esemplari di Taso e Atene indicano dimensioni molto più piccole: 37
Atene (ROBINSON 1959, tipo M273, 109s., tav. 29); 41
un esemplare da Taso (ABADIE-REYNAL - SODINI 1992,
58-59, tipi CC343-CC344, figg. 25-26). Di capacità contenuta anche alcuni esemplari provenienti da Topraichioi
segnalati da A. Opai (35, 38 e 47
; OPAI 2004, 18). Il calcolo della capacità sull’esemplare di Hephaestia è
stato effettuato con il programma Pottery Utility 1.05©.
108) Le fornaci al momento sono localizzate presso Chio (TSARAVOPOULOS 1986, figg. 36-37; questa fornace, in
particolare, sembra produrre soltanto il prototipo Zeest 90), Kounoupi, in Argolide (ZIMMERMANN MUNN 1985,
342-343). Riley, tra i materiali di Berenice, ha distinto due varianti basandosi sul tipo di striature presenti: dritte
fino alla prima metà del VI secolo d.C., ondulate da questo momento in poi (RILEY 1979, 217). J.W. Hayes, sulla
base dei dati di Saraçhane, individua anch’egli due varianti: una caratterizzata da striature orizzontali, collo corto
e larga imboccatura; l’altra con striature ondulate, collo più lungo con imboccatura più stretta e piccola (HAYES
1992, 66). Per una rassegna dei principali contesti di rinvenimento egei vedi YANGAKI 2005, 201-203; per una analisi della morfologia, della cronologia e della diffusione di questo tipo vedi da ultimo PIÉRI 2005, 85-93.
109) HAYES 1992, 66, fig. 22, nn. 10-11; BÖTTGER 1982, tav. 17, fig. 220. L’impasto dell’esemplare in fig. 8, n. 5
si presenta arancione vivo, con grande abbondanza di inclusi di colore nero, grigio, bianco e di mica; D. Piéri mette
in relazione questo tipo di impasto con le isole di Chio e Samo (PIÉRI 2005, 92). L’impasto dei due frammenti riprodotti in fig. 8, nn. 5-6 è arancione in frattura, beige in superficie, duro e compatto e si caratterizza per la presenza di
grandi noduli di calcite, inclusi di colore bruno e presenza di mica; è possibile relazionare questo secondo impasto
con quello descritto da D. Piéri a proposito della maggior parte degli esemplari di LRA 2 rinvenuti in Gallia (PIÉRI
2005, 92).
110) US 26221 (fig. 8, nn. 6-7).
111) US 26197 (fig. 8, n. 8), US 26115 (fig. 9, n. 1), US 26110 (fig. 9, nn. 2-3), US 26229 (fig. 9, n. 4), US 26280
(fig. 9, n. 5). Gli esemplari riprodotti in fig. 8, n. 8 e fig. 9, nn. 1-3 presentano un impasto color camoscio, più scuro
in frattura, con numerosi inclusi bianchi, grigi e rosso scuro/marrone e scarsa quantità di mica bianca. Il frammento in fig. 9, n. 4 è di color arancione, più scuro in frattura, con abbondanti inclusi di colore bianco, discreta
quantità di inclusi neri e scarsa presenza di mica bianca. L’esemplare in fig. 9, n. 5 si caratterizza per un impasto più
rosato, con grande quantità di inclusi di colore bianco, discreta quantità di inclusi grigi e scarsa presenza di inclusi
neri e di mica bianca. È forse possibile mettere in relazione tutti questi impasti con la terza categoria di D. Piéri
(PIÉRI 2005, 92). Sulla variante più tarda vedi HAYES 1992, 66, fig. 22, n. 8; BONIFAY – PIÉRI 1995, 109-111, fig. 8,
nn. 52-54; PIÉRI 2005, 88.
Le ricerche dell’Università di Siena
221
deve forse attribuire l’orlo rappresentato in fig. 9, n. 5, che presenta l’imboccatura più stretta
in prossimità dell’attacco con il collo, che doveva essere quasi verticale 112.
Il fondo a bottone e il tappo/coperchio, caratterizzato da un impasto assimilabile a quello
delle LRA 2, provengono da strati databili tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo d.C. 113. Il
collo riprodotto in fig. 9, n. 7 è attribuibile alla variante A della forma 114, mentre il tappo in
fig. 9, n. 8 è stato ricavato da una parete appartenente alla variante B 115. Il contenuto di questo
tipo di anfora, per cui sono stati proposti principalmente olio di oliva e vino 116, è ancora sconosciuto. Le analisi effettuate su un campione proveniente da Hephaestia hanno identificato
la presenza di olio di ricino, probabilmente utilizzato per l’illuminazione 117.
Tra le anfore di origine egea bisogna annoverare anche un puntale cavo, con evidenti linee
di tornio interne e esterne (fig. 8, n. 4), riconducibile dubitativamente al tipo definito ‘Late
Koan’, un contenitore ancora poco conosciuto, forse vinario, prodotto a Cos grosso modo tra
il V e il VI secolo d.C. 118. L’esemplare di Hephaestia proviene da uno strato databile tra la fine
del IV e gli inizi del V secolo d.C. 119.
Piuttosto abbondanti all’interno delle stratigrafie dell’Area 26 sono le anfore di origine pontica, rappresentate interamente dalle cosiddette Zeest 80. In totale, sono stati recuperati 32
anse e un puntale (fig. 11, n. 5) 120. Questo tipo di contenitore si caratterizza per la capacità
eccezionale: Opai segnala una variante di oltre 100 litri, anche se la media si aggira intorno
ai 60-80 litri 121. L’identificazione del tipo (o dei tipi) di derrate alimentari in esso trasportate è
quindi molto importante per l’analisi delle dinamiche commerciali dei siti che, come Hephaestia, hanno restituito un numero elevato di esemplari. Recenti ricerche condotte nell’odierna
Romania, presso Micasasa, hanno messo in luce fornaci per la produzione di anfore morfologicamente molto simili alle Zeest 80 122. Gli esemplari provenienti dalla casa-bottega, purtrop112) US 26280.
113) US 26105 (fig. 9, n. 6), US 26114 (fig. 9, n. 9). Piccoli tappi simili a questo sono documentati in associazione a anfore LRA 2 anche in altri contesti, come Saraçhane (HAYES 1992, 66, fig. 22, n. 12; deposito 21, 97, fig.
35, n. 21.16; deposito 30, 102, fig. 44, n. 30.128.), Iatrus (BÖTTGER 1982, 41-42, tav. 25, nn. 309-311, 557-558),
Gradishte (SWAN 2004, 372, fig. 5), Stobi (ANDERSON STOJANOVIĆ 1992, 97, tav. 83, nn. 712-713), Nea Anchialos
(IATRIDOU 1976, tav. 139, c-f), Butrinto (REYNOLDS 2004, 371, fig. 13, n. 285). L’impasto dell’esemplare di Hephaestia si presenta color camoscio con inclusi di piccole e medie dimensioni di calcite, la presa “pizzicata” è irregolare
(caratteristiche simili anche in un esemplare di Butrinto della prima metà del VI secolo d.C. (ibidem). O. Karagiorgou ha visto nell’impiego di coperchi di questo tipo un indizio del trasporto all’interno delle LRA 2 di olio, che a
differenza del vino non si deteriora velocemente al contatto con l’aria e che quindi può tollerare chiusure non ermetiche. Questa ipotesi troverebbe conferma, sempre secondo la studiosa, nella forma a imbuto della variante più
antica di questo contenitore, che avrebbe facilitato l’inserimento di un liquido vischioso quale l’olio (mentre le altre
varianti più tarde, sprovviste di questa caratteristica morfologica sarebbero state impiegate indifferentemente sia
per il trasporto di vino che di olio; KARAGIORGOU 2001, 148-149).
114) L’esemplare è stato recuperato in seguito alle operazioni di pulizia superficiale dell’area (US 26100).
115) US 26260.
116) Da ultimo vedi KARAGIORGOU 2001, 146-149; PIÉRI 2005, 93.
117) V. infra.
118) Per una prima definizione del tipo vedi ARTHUR 1998, 166, fig. 4. Alcuni esemplari sono stati dubitativamente individuati a Gortina e provengono principalmente da contesti del VII secolo d.C. (PORTALE–ROMEO 2001,
349, tav. 67c).
119) US 26246.
120) Su questo tipo vedi ZEEST 1960, 114s.; RILEY 1979, 118s.; HAYES 1992, 155; OPAI 1987; OPAI 2004, 26;
SWAN 2004, 379s.
121) OPAI 2004, 26.
122) Comunicazione di A. Arde in occasione del XXIII Internatonal Congress Rei Cretariae Romanae Fautores
(Roma, 29 settembre-6 ottobre 2002).
222
HEPHAESTIA 2000-2006
po con morfologia non ricostruibile, provengono da strati databili tra la fine del III e gli inizi
del V secolo d.C. (ad eccezione di due anse recuperate da uno strato della seconda metà del V
e da uno strato databile tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo d.C.) 123 e si caratterizzano per
il tipico impasto rosso-marrone, grigio nel nucleo, ricco di inclusi di colore bianco e grigionero. Un orlo, recuperato in seguito alle operazioni di pulizia superficiale dell’area 124, caratterizzato dallo stesso tipo di impasto con grosse anse a sezione ellittica superiormente scanalate
può essere ricondotto alla variante tarda di questo tipo contenitore (fig. 11, n. 4) 125.
Come si è già accennato, molto numerose sono le anfore di origine levantina. Esse sono rappresentate dai tipi LRA 1, prodotto nell’area compresa tra Cilicia, Siria e Cipro 126, e LRA 4,
originarie della Palestina (e forse del Sinai, cfr. infra). Due esemplari di LRA 1, di dimensioni
molto ridotte, sono attribuibili alla variante 1A della classificazione di D. Piéri (=Egloff 169;
databile al IV/V secolo d.C.) e si caratterizzano per un piccolo orlo ingrossato dal diametro
ridotto (fig. 10, n. 2) 127. Entrambi i frammenti presentano un impasto di colore giallo chiaro,
molto sabbioso, ricco di inclusi di colore nero, rosso e bianco; la quantità di mica presente è
piuttosto ridotta.
Tre esemplari sono riconducibili alla variante 1B1 della stessa classificazione (=Egloff 164),
e si caratterizzano per l’imboccatura più ampia, il labbro ingrossato e arrotondato, l’orlo a
fascia verticale o leggermente inclinato verso l’esterno con la faccia esterna concava e le anse
impostate in parte sull’orlo (fig. 10, nn. 1, 3, 6) 128. D. Piéri propone per questa variante una
datazione compresa tra gli inizi del VI e la metà del VII secolo d.C. 129. Tutti e tre si caratterizzano per un impasto di colore arancione rosato con abbondanti inclusi di colore bianco,
nero e rosso e scarsa presenza di mica. Alcune pareti con questo impasto sono caratterizzate
da un ingobbio beige. Gli esemplari riprodotti in fig. 10, nn. 1, 3 provengono da un contesto
databile tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo d.C., mentre quello in fig. 10, n. 6 è stato
recuperato in seguito alle operazioni di pulizia dell’area 130. Altri due orli infine (fig. 10, nn.
4-5) sono simili ai precedenti, da cui si distinguono per la forma meno sagomata e, in un caso,
lo spessore maggiore. L’esemplare riprodotto in fig. 10, n. 5, in particolare, richiama alcuni
esemplari attribuiti alla variante C del tipo LIII della classificazione di S. Keay, datati al VII
123) Trattandosi di anse non è possibile stabilire se si tratti o meno di materiale residuo.
124) US 26100.
125) Opai segnala contenitori con queste caratteristiche tra la metà del IV e il VI secolo d.C. dall’area pontica e
danubiana (OPAI 1987, 247s., fig. 3; OPAI 2004, 26). Esemplari simili sono documentati a Saraçhane in un contesto della seconda metà del VII secolo d.C. (HAYES 1992, 63, tipo 4B, deposito 30; 103, fig. 47, n. 158), a Gradishte
nel deposito di distruzione del sito datato al 476/480 d.C. (SWAN 2004, 379s., fig. 27).
126) Su questo tipo di anfora v. EGLOFF 1977, 112-114, nn. 164, 169; RILEY 1979, 212-216; FULFORD - PEACOCK
1984, 20-22; EMPEREUR - PICON 1986, 236-243; BONIFAY - VILLEDIEU 1989, 23-25; PEACOCK – WILLIAMS 1991, 185187; BONIFAY - PIÉRI 1995, 108-109; ARTHUR 1998, 164s.; PIÉRI 2005, 69-85; per una rassegna dei principali contesti
egei vedi da ultimo YANGAKI 2005, 199-201. Per il contenuto di questo tipo di contenitore, prodotto in un’area
piuttosto vasta da un numero significativo di fornaci, è stato dimostrato come non si possa parlare di un’unica
derrata alimentare (ELTON 2005, 691s.). Interessante a questo proposito è lo studio condotto da P.G. van Alfen
sugli esemplari del relitto A di Yassi Ada, che lo studioso ipotizza di varie taglie destinate al trasporto di liquidi con
diverso peso specifico: vino rosso, vino bianco e olio di oliva (VAN ALFEN 1996, 206, 209, 212s.). Sulla produzione
di olio e vino nella Siria settentrionale v. DECKER 2001.
127) PIÉRI 2005, 70-74, tav. 1, n. 4 (fig. 10, n. 2); un esemplare non rappresentato proviene dall’US 26187, databile tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo d.C. Entrambi i frammenti sono quindi residuali.
128) EGLOFF 1977, 112, n. 164, tav. 57, n. 4; PIÉRI 2005, 75s., tav. 15, nn. 4, 6.
129) Ibidem.
130) US 26198. L’esemplare riprodotto in fig. 10, n. 6 è stato recuperato in seguito alle operazioni di pulizia superficiale dell’area (US 26100).
Le ricerche dell’Università di Siena
223
Fig. 8 - Contenitori da trasporto (L. Botarelli)
secolo d.C. 131 Purtroppo provengono dagli strati di humus e non se ne può quindi specificare il
contesto cronologico di rinvenimento.
Le anfore LRA4 sono rappresentate, all’interno della casa-bottega, da due orli rinvenuti in
contesti databili tra la metà del V e la metà del VI secolo d.C. (fig. 11, nn. 1-2) 132. I frammenti
presentano orli verticali o leggermente inclinati verso l’esterno, superiormente arrotondati;
l’esemplare riprodotto in fig. 11, n. 2 mostra una concavità interna poco accentuata. Il collo,
in entrambi, è praticamente inesistente e la spalla, dove conservata, appare sfuggente e molto
arrotondata. Sulla base di queste caratteristiche è possibile ricondurre gli esemplari alla variante B2-3 della tipologia di D. Piéri, datata tra la metà del VI e il VII secolo d.C. 133, e ipotizzare che il frammento in fig. 11, n. 1 sia infiltrato. L’impasto di tutti i frammenti è omogeneo
131) KEAY 1984, 268-278, fig. 120, n. 1.
132) Su questo tipo anforico vedi RILEY 1979, 219-222; BONIFAY - PIÉRI 1995, 112; ARTHUR 1998, 161-162; PIÉRI
2005, 101-114. Per una rassegna dei principali rinvenimento nell’Egeo vedi da ultimo YANGAKI 2005, 207-209.
Alcune fornaci sono state individuate recentemente presso Ashod (ADAN BAYEWITZ 1986, 98-100) e forse nel Sinai
settentrionale (ARTHUR – OREN 1998, 201). Gli esemplari di Hephaestia provengono dall’US 26264, databile a partire dalla metà del V secolo d.C. (fig. 9, n. 8) e dall’US 26260 (fig. 9, n. 9), databile tra la metà del V e la metà del VI
secolo d.C.
133) PIÉRI 2005, 106-109.
224
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 9 - Contenitori da trasporto (L. Botarelli)
e richiama fortemente quello tipico di quest’anfora: il colore varia tra il nocciola-marrone e il
marrone-rosso, la frattura è irregolare e stratificata, gli inclusi presenti sono di colore bianco
e rosso, la superficie si presenta molto ruvida al tatto e caratterizzata dalle tipiche concrezioni di argilla. Questo tipo era utilizzato per il trasporto dei vini di Gaza e Ascalona, celebrati
nell’antichità da numerosi autori 134. Lo studio di alcuni papiri ha messo in luce il probabile
134) Per una rassegna delle fonti vedi RILEY 1979, 222; sulla produzione di vino in Palestina durante la tarda
antichità vedi KINGSLEY 2001.
Le ricerche dell’Università di Siena
225
Fig. 10 - Contenitori da trasporto (L. Botarelli)
impiego di questo di contenitore anche per il trasporto di pesce marinato, confermato forse
dal rinvenimento di alcuni esemplari con resti di pesce 135. Le analisi effettuate su un campione
proveniente da Hephaestia ha messo in evidenza la presenza di vino, oltre a quella di proteine
del pesce e a probabili prodotti caseari 136. Non è possibile distinguere tra un uso primario e
uno secondario dell’anfora.
135) ZEMER 1977, 61; interessante anche il probabile uso di anfore di Gaza come unità di misura, secondo quanto documentato in alcuni papiri rinvenuti a Nessana (KRAEMER 1958, 245-247, n. 85).
136) V. infra.
226
HEPHAESTIA 2000-2006
Le presenze africane, infine, sono riconducibili ad un unico frammento di anfora Africana
IIC (fig. 11, n. 3) 137, proveniente da un contesto databile tra la fine del V e la metà del VI secolo d.C. 138. L’esemplare, che presenta un orlo a mandorla esternamente poco convesso e liscio
sembrerebbe riconducibile alla variante 2 di M. Bonifay, datata tra la fine del III e la metà del
IV secolo d.C. e deve quindi essere considerato residuo 139.
Lucia Botarelli
Risultati delle analisi chimiche dei residui di alcune anfore 140
Per identificare le sostanze conservate/trasportate nelle anfore sono stati prelevati quattro
campioni: LRA 2 (campione 1), Agorà M273 (campione 2), LRA 1(campione 3) e LRA 4
(campione 4).
I campioni prelevati dalla superficie interna sono stati macinati e pesati per ottenere la stessa
quantità (0,5 g) e quindi analizzati con gas cromatografia accoppiata a spettrometria di massa
secondo la metodica proposta da Mottram e da Guash Jané 141. Le analisi sono state eseguite
in collaborazione tra il Laboratorio Archeometrico del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Siena e il Centro per l’analisi e determinazioni strutturali della stessa Università.
In tutti i campioni sono presenti tracce di pesce (grassi di origine animale indicati dall’acido
stearico e dal colesterolo con i marker caratteristici del pesce come l’acido erucico e l’alcol cetilico 142. Nei campioni non sono presenti tracce di olio.
Nei campioni 2, 3 e 4, l’analisi effettuata secondo la metodica di Guasch Jané ha permesso
di identificare l’acido tartarico, marker del vino.
Con le analisi è possibile identificare le sostanze contenute nelle anfore ma non è possibile
stabilire quale di esse sia stata contenuta prima delle altre. È possibile che i campioni 2, 3 e 4
appartenessero a anfore utilizzare per contenere enogarum (salsa di pesce mescolata a vino o
aceto) oppure usate alternativamente per contenere vino/aceto e salse di pesce.
Nel campione 1 è presente in abbondanza acido ricinoleico, considerato il marker dell’olio
di ricino, rinvenuto anche in lucerne romane 143. Alcune analisi attualmente in corso presso
l’Università di Siena su anfore africane rinvenute nel porto di Classe, hanno permesso di identificare le tracce dell’olio di ricino in anfore tipo Keay XXVI e LVII.
Nel campione 3 l’acido C18:1 e il C18:0 sono quasi alti uguali nell’estrazione in cloroformio
metanolo, mentre nell’idrolisi alcalina la proporzione varia a vantaggio del C18:1. Questo, unito alla presenza di acido azelaico nei risultati della stessa estrazione, consentirebbe di ipotizzare la presenza di olio di oliva 144.
L’identificazione dei markers del pesce e dell’olio (di ricino nel campione 1 e forse di oliva
137) Su questo tipo di anfore vedi da ultimo BONIFAY 2004, 114s. Nell’Egeo esemplari sono documentati a Atene
(ROBINSON 1959, K116, pl. 36; GRACE 1961, fig. 37), Samo (RILEY 1979, 203), Gortina (PORTALE - ROMEO 2001,
280-281, tav. LVI d-e).
138) US 26173.
139) BONIFAY 2004, 114s.
140) Fig. 12.
141) MOTTRAM - DUDD - LAWRENCE - STOTT - EVERSHED 1999; GUASH-JANÉ - IBERNO GÓMEZ - ANDRÉS-LACUEVA - JÁUREGUI - LAMUELA-RAVENTÓS 2004.
142) ROTTLANDER 1990; MALAINEY - PRZYBYLSKI - SHERRIFF 1999.
143) COPELY - BLAND - ROSE - HORTON - EVERSHED 2005.
144) REGERT - BLAND - DUDD - VAN BERGEN - EVERSHED 1998.
227
Le ricerche dell’Università di Siena
nel campione 3) potrebbe ulteriormente un ulteriore utilizzo dei contenitori.
Nel campione 4 vi sono invece tracce di acidi a catena corta quali C6, C8, C9, insieme all’acido C14 e al colesterolo. Questi composti si trovano generalmente nelle olle e suggeriscono la
presenza di prodotti caseari (latte in particolare) o la cottura di carne di ovicaprini 145. Trattandosi di anfore, è probabile che avesse contenuto latte. Sarebbe opportuno effettuare analisi di
tipo isotopico (GC-C-IRMS) per verificare l’attendibilità di questa ipotesi 146. Tutte le anfore
erano rivestite con resina di pinaceae (non pece), indicate dalla presenza di acido deidroabietico e 7 oxodeidroabietico (manca invece il retene, marker del riscaldamento della resina avvenuto per la sua trasformazione in pece) 147.
Risultati delle analisi
vino
olio
Camp.
Tipo anfora
1
LRA 2
Pesce?
-
olio di ricino
resina di Pinaceae
2
Agorà M273
Pesce?
sì
-
resina di Pinaceae
3
LRA 1
Pesce?
sì
olio di oliva?
resina di Pinaceae
4
LRA 4
Pesce?/prodotti
caseari/ovicaprini?
sì
-
resina di Pinaceae
Grasso animale
Fig. 11. Prospetto riassuntivo dei risultati delle analisi chimiche (A. Pecci)
Riv. organico
A. Pecci
4.3.4 - Conclusioni
La ceramica proveniente dagli scavi nell’Area 26 (2005 e 2006) è numericamente piuttosto
ridotta e non consente una quantificazione delle presenze che sia rappresentativa del contesto
urbano. Si preferisce quindi per il momento concentrarsi sulle tendenze economiche generali
emerse anche alla luce delle indagini degli altri contesti indagati a partire dal 2001 148. In questa sede, considerato che buona parte della ceramica della media età imperiale proveniente
dalla casa-bottega è residuo, ci si concentrerà sull’età tardoantica e protobizantina, la meglio
documentata nel settore della città finora indagato.
Si può innanzitutto osservare come il periodo compreso tra il IV e gli inizi del VII secolo
d.C. si caratterizzi per una certa ‘povertà’ del panorama ceramico. La ceramica fine è quasi
tutta riconducibile alla produzione focese, mentre il vasellame africano, di fattura migliore, è
molto raro in ogni periodo, ad eccezione del IV secolo d.C., quando l’afflusso di questa classe
sembra colmare il vuoto produttivo intercorso tra la sigillata orientale C e la sigillata focese. Il
picco delle presenze di questa classe, riscontrabile anche negli altri settori di scavo, non sembra accompagnarsi all’importazione di altre merci africane, che, per quanto riguarda la casa-
145) ROTTLANDER 1990.
146) MOTTRAM - DUDD - LAWRENCE - STOTT - EVERSHED 1999.
147) MILLS - WHITE 1987; COLOMBINI - MODUGNO - RIBECHINI 2005.
148) BOTARELLI 2007, 193-208.
228
HEPHAESTIA 2000-2006
bottega, sono rappresentate da un unico frammento di Africana 2C 149. Il fenomeno, visibile in
varia misura in tutto l’Egeo, è stato messo in relazione con la grande crisi che investì nel corso
del III secolo le principali aree produttrici di cereali dell’area anatolica 150. Secondo questa teoria il grano africano sarebbe dunque andato a rifornire le città egee, fornendo un impulso fondamentale al commercio della sigillata africana, che, grazie alla varietà delle forme e alla buona qualità dei propri prodotti, avrebbe facilmente rimpiazzato la ceramica di Çandarli 151. La
quantità significativa di ceramica orientale all’interno delle stratigrafie di Cartagine ha fatto
inoltre ipotizzare che l’esportazione della sigillata africana discendesse almeno in parte dalla
necessità tecnica per le navi antiche di viaggiare sempre con un carico a bordo 152. Per quanto
riguarda Lemnos in particolare, se si vuole prestar fede all’Expositio Totius Mundi et Gentium, sembra che l’isola fosse autosufficiente, per lo meno nei decenni centrali del IV secolo,
quanto alla produzione di cereali 153. Riguardo alle aree limitrofe, per certo è noto che a partire
dal 332 d.C. buona parte del grano egiziano venne dirottato verso Costantinopoli, inaugurata
appena due anni prima 154.
Nel corso del IV secolo i contenitori da trasporto documentati all’interno della casa-bottega
sono sostanzialmente egei e, in misura minore, pontici. Durante questo stesso periodo si assiste inoltre alla progressiva scomparsa di anfore tipicamente medioimperiali, come le Kapitän
II o le Agora M273, e, a partire dagli ultimi decenni del secolo, all’arrivo di contenitori la cui
presenza si protrarrà per tutto il periodo tardoantico e protobizantino, come le LRA 2. La costante associazione di questi contenitori con le LRA 1 (ma non vice versa) ha fatto ipotizzare
che i primi venissero caricati durante l’attraversamento dell’Egeo all’interno dei convogli destinati al trasporto dei secondi (originari di Siria/Cilicia/Cipro) e diretti a Costantinopoli e, di
qui, all’area danubiana 155. Purtroppo i due soli orli, per quanto riguarda l’Area 26, riconducibili alla variante 1A delle anfore LRA 1 sono residui e non consentono di stabilire l’inizio delle
importazioni di questa anfora né di valutarne un eventuale rapporto con le LRA 2. Soltanto
con il VI secolo d.C. le LRA 1 sembrano divenire più frequenti all’interno delle stratigrafie
della casa-bottega 156.
Il IV secolo si caratterizza inoltre per la significativa presenza delle anfore di tipo Zeest 80,
di probabile origine pontica, la cui presenza dimostrerebbe l’esistenza di scambi commerciali
con questa regione 157. La conoscenza del tipo (o dei tipi) di derrate alimentari trasportate da
questi contenitori, ad oggi sconosciuto, si dimostrerebbe molto importante per la comprensione delle dinamiche produttive e commerciali di Lemnos durante questo periodo.
Un quadro analogo, anche se più articolato nella tipologia, si evince anche dallo studio degli
altri contesti indagati, da cui è emersa la significativa scomparsa nel corso del III secolo d.C.
149) Cfr. p. 210. In generale: BOTARELLI 2007, 64-73, 126-132, 201-208.
150) ABADIE-REYNAL 1989, 144-150; EAD. 2007, 268-271.
151) Ibidem.
152) ABADIE-REYNAL 1989, 150; REYNOLDS 1995, 133.
153) Expositio, 63; il passo è commentato in ROUGÉ 1966, 332s.
154) DAGRON 1984, 535.
155) KARAGIORGOU 2001, 154.
156) Cfr. p. 222.
157) Cfr. p. 221.
Le ricerche dell’Università di Siena
229
di una serie di anfore ancora poco note i cui confronti principali sono da ricercare proprio
nell’area levantina (confermando così indirettamente l’ipotesi di C. Abadie-Reynal circa l’interruzione del flusso di grano dalle province anatoliche) 158.
Nel corso del IV secolo, stando ancora all’Expositio, sembra che Lemnos producesse un
vino poi esportato in Tracia e Macedonia 159. Lo studio di una eventuale produzione vinaria
dell’isola durante il periodo tardoantico presenta molteplici difficoltà: da un lato questo testo
rappresenta l’unica fonte che documenti l’esistenza di un surplus vinicolo e della relativa commercializzazione durante questo periodo, dall’altro non sono note al momento fornaci per la
produzione di anfore. Se anche si ipotizzasse una circolazione del vino all’interno dell’isola in
otri in pelle, sicuramente più leggeri e funzionali al trasporto a dorso di mulo o su carri, resta
comunque aperto il problema di una individuazione del tipo di contenitore impiegato per il
trasporto transmarino 160. Sembra comunque probabile che i centri artigianali per la produzione dei contenitori da trasporto vadano ricercati, per qualsiasi periodo, nelle vicinanze del
centro urbano 161.
Le stratigrafie dell’Area 26 mostrano, per il V secolo d.C., una crescita delle importazioni
delle merci di origine regionale, come la sigillata focese e le anfore provenienti dall’area egea.
Tra le ceramiche fini da mensa è a partire da questo periodo che si registrano le prime ridotte
presenze della sigillata macedonica e della sigillata chiara dell’Asia Minore. La quasi totale
assenza della prima sembrerebbe indicare una scarsa reciprocità degli scambi tra Lemnos e
l’area macedonica, che pur doveva approvvigionarsi di merci provenienti dall’Egeo e dal Levante grazie a rotte marittime che attraversavano proprio l’Egeo settentrionale. Sappiamo che,
arrivati a Chio, i convogli annonari diretti a Costantinopoli - che proprio tra la fine del IV e gli
inizi del V secolo d.C. conosce una notevole crescita demografica e si afferma in maniera definitiva anche nel suo ruolo politico di capitale della Pars Orientis dell’impero 162 - si dirigevano
verso Tenedo, in attesa dei venti favorevoli per varcare i Dardanelli, divergendo dalla rotta per
Salonicco 163. Su questa rotta non abbiamo altre informazioni ma, a giudicare, dai venti e dalle
correnti predominanti è probabile che Lemnos costituisse una tappa del tragitto. Salonicco
doveva inoltre svolgere un ruolo di ridistribuzione delle merci verso le città balcaniche, come
158) BOTARELLI 2007, 200s.
159) Expositio, 63; il passo è commentato in ROUGÉ 1966, 332s. Già nell’Iliade si fa riferimento ad una produzione di vino sull’isola (Iliade, VII, 467), mentre Ateneo fa riferimento al vino di Lemnos assimilandolo a quello
tracio (Deipnosophistes, I, 31b). Notizie su una produzione vinicola a Lemnos si trovano anche all’interno di varie
relazioni di viaggio dell’età moderna (come ad esempio Lubenau nel 1587 – v. VINGOPOULOU 2004, 142 - o Coronelli nel 1696 – v. ARMAO 1951, 61).
160) Un esempio interessante è fornito dal sito di Domuztepe (Cilicia), dove è stata rinvenuta una pressa olearia
di dimensioni più grandi di quelle necessarie per la produzione destinata all’autoconsumo ma nessuna anfora né
all’interno della ‘fattoria’ ad essa collegata né nei villaggi limitrofi. Per il trasporto delle eccedenze di olio verso la
costa è stato dunque ipotizzato l’impiego di otri in pelle o botti (ROSSITER - FREED 1991, 173). Il sito è abbandonato
nel secondo quarto del VI secolo d.C. (ibidem). Un caso analogo è rappresentato dall’olio della Zeugitana, che raggiungeva Cartagine tramite l’impiego di otri in pelle (PEÑA 1998, 184-187).
161) Prospezioni magnetometriche hanno evidenziato la probabile presenza di fornaci nell’area portuale (CERRI
- MARIOTTI, § 2 e 3).
162) DAGRON 1984, 525-530; DURLIAT 1990, 255-257.
163) DURLIAT 1990, 397.
230
HEPHAESTIA 2000-2006
ad esempio Stobi, essendo la rotta adriatica estremamente più lunga di quella egea 164.
La presenza della sigillata chiara dell’Asia Minore, probabilmente prodotta nell’area sudoccidentale dell’Anatolia, deve essere ricondotta invece all’importazione di derrate alimentari
provenienti dalla stessa area e trasportate all’interno delle anfore LRA 2, prodotte per certo a
Chio e Cnido (oltre che in Argolide), e forse delle cosiddette ‘late Koan’, verosimilmente originarie dell’isola di Cos 165.
Dalla metà del V secolo il significativo incremento delle incursioni nemiche nelle regioni
danubiane, che provocarono gravi danni all’agricoltura locale, sembra correlabile all’arrivo
di una maggiore varietà di anfore, tra cui quelle africane 166. Il fenomeno, al momento non riscontrabile nelle stratigrafie dell’Area 26 (che ha restituito un solo frammento di sigillata tipo
Hayes 82B), sembra invece abbastanza evidente dall’analisi degli altri contesti urbani, da cui
si evince una crescita evidente dei contenitori di origine africana proprio durante questo periodo 167. Al contempo si assiste alla progressiva, quasi complementare, diminuzione dei contenitori di origine pontica, le anfore Zeest 80, che pur non scomparendo del tutto come nel
resto del Mediterraneo, dall’inoltrato V secolo si attestano su indici molto più bassi 168.
Da questo momento, e per buona parte del VI secolo, si assiste ad un incremento delle merci
levantine, rappresentate dalla variante B1 delle anfore LRA 1 e dalle anfore LRA 4, di origine
palestinese, la cui presenza all’interno della casa-bottega si data a partire dalla metà del secolo, ma che negli altri contesti è attestata già a partire dal V secolo 169. Recenti studi sulle LRA 1
prodotte in più località in Cilicia, in Siria e a Cipro hanno dimostrato come l’incremento della
produzione vinicola e olearia di queste aree possa essere messa in relazione alla grande richiesta di derrate alimentari per gli eserciti stanziati nell’area danubiana, per il cui approvvigionamento Giustiniano distaccò, nel 535 d.C., le isole dell’Egeo e la stessa Cipro dal controllo
della prefettura d’Oriente per affidarne la gestione ad un quaestor exercitus 170. Una conferma
a questa ipotesi proviene dalle indagini condotte nell’area balcanica e danubiana, dove le LRA
1 compaiono con indici estremamente elevati nei siti militari ma sono quasi assenti in quelli
164) KARAGIORGOU 2001, 154. La presenza a Taso di contesti equiparabili da un punto di vista ceramologico a
quelli finora noti ad Hephaestia lascerebbe immaginare un qualche rapporto di scambio tra le due isole, forse con
Lemnos che costituiva una tappa di una possibile rotta tra l’Egeo meridionale e le città stanziate lungo il tratto
tracico della via Egnatia. Un passo del commentario di Cosma ai poemi di Gregorio di Nazianzo sembra suggerire
una ricchezza dei percorsi e degli scambi maggiore di quella che si potrebbe ipotizzare dal semplice studio delle
aree di distribuzione della ceramica: apprendiamo dal brano che era prassi tra i Traci e i Goti stanziati nell’Anatolia nord-occidentale trasportare via terra le proprie imbarcazioni (evidentemente di piccole dimensioni) attraverso il tratto più breve del Chersoneso tracio al fine di evitare un lungo aggiramento del promontorio e, secondo
l’interpretazione di C. Zuckerman, di non pagare i dazi imposti a chi attraversava i Dardanelli (per una analisi del
brano vedi ZUCKERMAN 1995; ringrazio V. Prigent per la avermi segnalato il passo). È possibile che questa pratica,
documentata nella seconda metà del VII secolo d.C. (il brano fa verosimilmente riferimento al regno di Costantino
IV: 668-685 d.C.; ibidem), fosse già in uso nel periodo precedente e documenti una serie di scambi che verrebbero
così ad escludere Lemnos come possibile tappa intermedia tra la Tracia e la Propontide. A sostegno di una fitta reti
di scambi tra economia statale e locale è HALDON 2005, 37.
165) Cfr. pp. 220-221.
166) KARAGIORGOU 2001, 153 con bibliografia.
167) BOTARELLI 2007, 126-132.
168) IVI, 101-102. Sull’assenza nei contesti mediterranei della variante tarda del tipo vedi OPAIÜ 2004, 26.
169) BOTARELLI 2007, 124-126.
170) Sulla questione da ultimo ELTON 2005, con bibliografia. L’esigenza di ottimizzare i rifornimenti per Costantinopoli e le aree limitanee è evidente anche dalla costruzione voluta da Giustiniano di appositi granai nell’isola di
Tenedo, destinati allo stoccaggio dei cereali durante i periodi di attesa dei venti e delle correnti favorevoli per l’attraversamento dei Dardanelli (DURLIAT 1990, 244, con bibliografia).
Le ricerche dell’Università di Siena
231
civili 171. Ad esse si trovano sempre associate, in quantità cospicue, le anfore di produzione
egea LRA 2, che nelle stratigrafie di Hephaestia presentano costantemente indici tra i più elevati. 172 Il grande transito di merci originarie di Siria, Cilicia e Cipro può essere correlato alla
massiccia presenza di Cilici che, nei decenni centrali del VI secolo, è documentata dal cosiddetto ‘tariffario di Abido’, datato, secondo una recente proposta di C. Zuckerman, al secondo
quarto del VI secolo d.C. 173.
L’altro tipo di anfore levantine nell’Area 26, le LRA 4, erano invece impiegate per il trasporto di vini molto rinomati nell’antichità, e possono essere quindi utilizzate come indicatori di
merci di un certo pregio 174. Il loro numero limitato, unitamente all’assenza di altre merci di
lusso, come le anfore LRA 3 e i cosiddetti Late Roman Unguentaria, sembra suggerire come
gli abitanti della casa-bottega non appartenessero a ceti in grado di acquistare merci dal costo
elevato 175. L’evidenza offerta dalle caratteristiche edilizie della casa stessa, che presenta pavimenti in terra e elevati realizzati con tecniche piuttosto modeste, appare confermare il dato
ceramologico 176. Se si tiene presente che si l’edificio era in parte adibito a bottega e in parte verosimilmente abitato dallo stesso commerciante ben si giustifica la relativa povertà delle merci
importate. Sappiamo infatti che, durante il periodo tardoantico, il mestiere di negoziante non
era particolarmente remunerativo, a fronte di un costo dei manufatti relativamente elevato 177.
Dalle stratigrafie dell’Area 26, così come dagli altri contesti di scavo di Hephaestia, emerge
infine un netto calo delle presenze della ceramica di importazione a partire dalla seconda metà
del VI secolo d.C. Quanto il fenomeno sia da ricollegare con la grande ondata di pestilenze
che, a partire dal 541 d.C., si abbatté su buona parte del Mediterraneo, con particolare incidenza nella metà orientale, fino alla fine del secolo e con vari altri episodi durante tutto il
successivo è difficile a dirsi 178. Apprendiamo dalle fonti che nel 543 d.C. ci fu una carestia di
grano e vino causata dalla mancanza di manodopera durante i lavori stagionali nelle campa171) ELTON 2005, 693 e s., con bibliografia.
172) Ibidem. Su Hephaestia v. BOTARELLI 2007, 203-207.
173) ZUCKERMAN 2004, 93-96. Secondo una lettura di O. Karagiorgou i Cilici menzionati nel tariffario sarebbero tenuti a versare un tributo inferiore ai commercianti di vino e a quelli di olio di oliva, vegetali secchi e lardo in
quanto trasportano merci per l’annona. Al tempo stesso essi pagherebbero una cifra superiore ai commercianti di
grano in quanto non tutto quel che trasportano è per l’annona ma qualcosa anche per il libero commercio (KARAGIORGOU 2001, 154-155, dove si fa riferimento alla datazione del tariffario di Abido proposta da Durliat e Guillou
al 492 d.C.). La nuova cronologia suggerita da Zuckerman si sposerebbe bene con la teoria formulata dalla stessa
Karagiorgou a proposito dell’evoluzione morfologica delle anfore LRA 2 - ravvisabile a partire dalla metà del
VI secolo d.C. - che, a suo parere, discenderebbe dall’introduzione di quest’anfora anche per il libero mercato in
seguito alla degenerazione della questione della frontiera danubiana e all’estensione dei conflitti in area balcanica
(KARAGIORGOU 2001, 155).
174) Secondo una ipotesi di A. Kingsley le anfore LR 4 erano contemporaneamente oggetto di carichi annonari
destinati a Costantinopoli e di altri per il libero mercato (KINGSLEY 2001, 57).
175) Il numero delle LRA 4 è molto limitato anche all’interno degli altri contesti di scavo, così come le LRA 3 e i
Late Roman Unguentaria, rappresentati nelle altre aree da poche unità ciascuno (BOTARELLI 2007).
176) Cfr. § 4.1 (Camporeale-Carpentiero-Martorella).
177) MANGO 1991, 47-49. Le fonti non offrono esempi precisi delle entrate medie dei commercianti. Effettuando il confronto con quelli che erano i salari noti per i lavoratori semplici è evidente come in generale le categorie
medio-basse non fossero in grado di acquistare beni di pregio (volendo fare delle semplici quantificazioni a scopo
unicamente esemplificativo si può osservare come un lavoratore con impiego fisso guadagnasse tra i 10 e i 20 solidi
all’anno e il costo di una pagnotta si aggirasse intorno ai 3 folles, con un rapporto medio tra solidus e follis di 1 a
180; IVI, 47).
178) HORDEN 2005, con particolare riferimento 134-139 per la cronologia delle principali manifestazioni
dell’epidemia; 155-156 per una valutazione dell’impatto della pestilenza sull’economia bizantina, che l’autore considera trascurabile.
232
HEPHAESTIA 2000-2006
gne, così come si registra in questi stessi anni un incremento dei prezzi poi regolato da un intervento di Giustiniano 179. Per certo non sono state individuate, fino ad oggi, tracce in qualche
modo ricollegabili all’epidemia all’interno degli scavi di Hephaestia, confermando probabilmente la minore incidenza del fenomeno nelle aree rurali o marginali rispetto ai grandi centri
urbani 180.
Dal materiale ceramico si può stabilire che è a cavallo tra il VI e il VII secolo d.C. che la
casa sull’istmo e le aree limitrofe vengono definitivamente abbandonate 181. Questa situazione
è probabilmente estendibile anche al resto della città se, al concilio di Costantinopoli del 680
d.C., a rappresentare le due comunità dell’isola compare un unico vescovo definito πό
182
. Lo spopolamento dei centri urbani, derivante da un lato da un calo demografico e
dall’altro dalla dispersione della popolazione, e il tracollo economico di molte isole dell’Egeo
è un fenomeno ben evidente durante tutto il VII secolo d.C. 183 In particolare le isole più settentrionali furono le prime a subire, sembra con maggiore violenza, l’incursione sclavone del 614
d.C. 184, cui verosimilmente si può riferire l’abbandono dell’area di Hephaestia finora indagata 185.
Lucia Botarelli
4.4 - I LATERIZI
La campagna 2006 ha restituito alcuni laterizi che vengono qui presentati. Si è scelto di campionare e raccogliere gli esemplari più rappresentativi tra i frammenti sparsi in superficie e rinvenuti nei saggi di scavo, la maggior parte dei quali proviene dall’ambiente 10 e in particolare
dal crollo US 26229. Una volta raccolti, i campioni sono stati suddivisi in gruppi funzionali,
all’interno dei quali si sono identificati i tipi.
L’esiguità dei frammenti di laterizi non ha permesso di organizzare una tipologia completa
per la quale è necessario attendere il proseguimento degli scavi. All’interno dell’area 26 sono
stati individuati soltanto tre frammenti di coppi e numerosi frammenti di tegole tra i quali è
possibile identificare due tipi; i frammenti sono caratterizzati da solchi impressi con le dita
sulla superficie che variano per ogni esemplare e la cui funzione non è del tutto chiara.
179) Per una analisi dell’impatto delle Grande Peste sull’economia del VI secolo d.C. e una revisione delle principali posizioni vedi MORRISSON - SODINI 2002, 193-195, con bibliografia.
180) Ivi, 195.
181) BOTARELLI 2007, 201-208.
182) FREDRICH 1906, 5. La sede vescovile fu trasferita nell’interno dell’isola, in una zona al riparo da possibili
incursioni, non lontano dal moderno insediamento di Livadochori, in località tuttora chiamata Mitropolis (CONZE
1860, 119).
183) In quasi tutte le isole sono documentate devastazioni anche ripetute (MALAMUT 1988, 67-68). Interessanti,
se paragonati alla muratura degli ingressi alla casa-bottega scavata presso Hephaestia, sono l’abbandono dell’isola
di Citera da parte degli abitanti per timore di Arabi e Slavi e il trasferimento della popolazione di Cipro ad opera di
Giustiniano II nel 692 d.C. (ibidem, con bibliografia).
184) LEMERLE 1979-1981, I, 170, II, 91; a Taso le monete con datazione recenziore sono due folles e un mezzo
follis della zecca di Tessalonica datati al 616/617 d.C. (PICARD 1979, 451).
185) Future ricerche in altri comparti della città, oltre all’insediamento ancora in buona parte sconosciuto situato sul vicino rilievo di Kastrovouni e altri siti fortificati di età bizantina dislocati in vari parti dell’isola, contribuiranno senz’altro ad una più piena comprensione del fenomeno (sui siti fortificati di età bizantina vedi STEFANIDOU
1986, 90-93; FICUCIELLO 2003-2004, 216-219).
Le ricerche dell’Università di Siena
233
Fig. 1 - La tipologia dei laterizi rinvenuti negli scavi 2001-2006 (Area 26)
(E. Bernardoni, G. Carpentiero)
Data l’assenza di elementi integri non è possibile ricostruire le dimensioni dei tipi identificati. Nel caso delle tegole si è cercato, sulla base degli spessori, di ipotizzarne le misure lineari;
entrambi i tipi di tegola identificati sembrano avere dimensioni di ca. 80 cm per 50 cm e ca. 3
cm di spessore e sono caratterizzate dall’assenza di alette verticali sui bordi. Il primo tipo (1.3,
fig. 1) ha una sezione leggermente incurvata, simile al “tipo Laconico”; il secondo tipo (1.4,
fig. 1) è caratterizzato da una forma piatta che rimanda al “tipo Corinzio” 186. È da notare tut186) ORLANDOS 1966, 82-83.
234
HEPHAESTIA 2000-2006
tavia come le tegole appartenenti al “tipo Laconico” e “Corinzio” raggiungano una lunghezza
di ca. 1 m e uno spessore di ca. 7 cm.
I coppi rinvenuti appartengono a due tipi, il primo a sezione triangolare la cui messa in
opera prevedeva tegole piatte ad alette verticali che non sono state finora rivenute, mentre il
secondo tipo ha una sezione semicircolare e prevedeva l’uso di tegole del “tipo Laconico”, ma
è attestato da due frammenti; è probabile che la realizzazione delle coperture non avvenisse
tramite l’uso di coppi ma attraverso l’alloggiamento di tegole alternate.
Gruppo 1
Laterizi per coperture.
Tipo 1.1 (fig.1). Frammento di coppo a sezione triangolare. Rinvenimento: sporadico; misure: lungh. max. conservata. 34 cm; largh. 11,31 cm; spess. 3,89 cm
Tipo 1.2 (fig. 1). Frammento di coppo. Rinvenimento: US 26229; misure: lungh. max. conservata 18,53 cm; largh. 18,98 cm; spess. 2 cm.
Tipo 1.3 (fig. 1). Frammento di tegola. Rinvenimento: US 26229; misure: lungh. max. conservata 27,46 cm; largh. 16,84 cm; spess. 2,90 cm.
Tipo 1.4 (fig. 1). Frammento di tegola di forma piatta. Rinvenimento: in superficie; misure:
lungh. max. conservata 25,12 cm; largh. 16,30 cm; spess. 2,70 cm.
Gruppo 2
Laterizi utilizzati per murature.
Tipo 2.1 (fig. 1). Frammento di mattone di forma rettangolare caratterizzato da un notevole
spessore. Rinvenimento: sporadico; misure: lungh. max. conservata 26 cm; largh. 20,62 cm;
spess. 9,50 cm.
Tipo 2.2 (fig. 1). Frammento di mattone di forma rettangolare. Rinvenimento: US 26229;
misure: lungh. max. conservata 19,74 cm; largh. 16,68 cm; spess. 3,76 cm.
E. Bernardoni
4.5 - ELEMENTI REIMPIEGATI
Durante la campagna 2006 è iniziato lo studio degli elementi architettonici e decorativi
reimpiegati nelle strutture dell’area 26 o rinvenuti sulla superficie del terreno.
Si tratta per lo più di elementi in marmo o, in un caso, un altro tipo di pietra (n° 9), utilizzati
nella costruzione delle murature; la maggior parte dei reimpieghi è costituita da lastre, mentre
in due casi sono stati riutilizzati elementi particolari come il braccio di statua reimpiegato nel
muro US 26002 perimetrale ovest dell’ambiente 10 (n° 1), e la piccola base di colonna individuata all’interno dell’US 26198, saggio IV (n° 2).
Le ricerche dell’Università di Siena
235
Fig. 1 - Frammento di braccio di statua in marmo (E. Bernardoni)
Elementi di statua
Si conserva un solo frammento costituito da un braccio di statua.
N° 1 (fig. 1). Frammento di braccio di statua. Rinvenimento: muro US 26002; misure: lungh. max. conservata 19,24 cm; spess. max. 5,67 cm; spess. min. 2,92 cm; materiale: marmo
bianco.
Basi di colonna
Si conservano due basi con toro singolo a due elementi principali sovrapposti 187.
N° 2 (fig. 2). Base di piccole dimensioni a plinto quadrato. Unita al plinto; toro a semicerchio rovesciato, unita al fusto, segni di lavorazione realizzati a scalpello su un lato del plinto
e sul toro. Rinvenimento: saggio IV, US 26198; misure: lato plinto. 15,50 cm; altezza plinto
5,14 cm, spess. toro 2,20 cm; altezza toro 1,26 cm; diametro fusto 10,20 cm; altezza fusto
conservata 5 cm; materiale: marmo; stato di conservazione: integra.
N° 3 (fig. 3). Base di spessore sottile a plinto a disco cilindrico. Unita al plinto; filetto rovesciato, unita al fusto che è visibile solo per un piccolo tratto. Rinvenimento: sporadico; misure: diametro plinto. 24,71 cm; altezza plinto 3,23 cm, spess. quarto di cerchio 3,59 cm; altezza
187) GINOUVÈS 1992, 72.
236
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 2 - Base di colonna (E. Bernardoni, G. Carpentiero)
Fig. 3 - Base di colonna (E. Bernardoni, G. Carpentiero)
237
Le ricerche dell’Università di Siena
Fig. 4 - Frammento di lastra
(E. Bernardoni, G. Carpentiero)
Fig. 5 - Frammento di lastra
(E. Bernardoni, G. Carpentiero)
quarto di cerchio 1,24 cm; diametro fusto 8,77 cm; altezza fusto 1,50 cm; materiale: marmo
bianco; stato di conservazione: fratturata in parte nel plinto.
Lastre
Si conservano 5 lastre di diversi materiali, di cui 4 frammentate e 1 intera.
N° 4 (fig. 4). Frammento di lastra con scanalature oblique sulla superficie. Rinvenimento:
sporadico; misure: lungh. max. conservata 13,82 cm; largh. max conservata 7,92 cm; spess.
max. conservato 2,04 cm; spess. min. conservato 1,51 cm; materiale: marmo bianco.
N° 5 (fig. 5). Frammento di lastra con scanalature oblique su parte della superficie. Rinvenimento: sporadico; misure: lungh. max. conservata 12,93 cm; largh. max conservata 9,19 cm;
spess. max. conservato 3,79 cm; spess. min. conservato 3,22 cm; materiale: marmo bianco.
N° 6 (fig. 6). Frammento di lastra. Rinvenimento: sporadico; misure: lungh. max. conservata 20,38 cm; largh. max conservata 11,53 cm; spess. max. conservato cm 4,95 cm; spess.
min. conservato 4,18 cm; materiale: marmo bianco; stato di conservazione: due frammenti
conservati.
N° 7 (fig. 6). Frammento di lastra. Rinvenimento: muro US 26044; misure: lungh. max. conservata 34,15 cm; largh. max conservata 19,93 cm; spess. max. 2,61 cm; spess. min. 1,93 cm;
materiale: marmo bianco.
N° 8 (fig. 6). Frammento di lastra. Rinvenimento: muro US 26044; misure: lungh. max.
conservata. 26,10 cm; largh. max conservata 10,96 cm; spess. 2,33 cm; materiale: marmo
bianco.
238
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 6 - Tipologia delle lastre ritrovate nei saggi IV-VIII (2006)
(E. Bernardoni, G. Carpentiero)
N° 9 (fig. 6). Lastra di forma rettangolare di grandi dimensioni. Rinvenimento: muro US
26,189; misure: lungh. 42,77 cm; largh. 29,78 cm; spess. 6,21 cm; materiale: probabilmente
roccia ignea; stato di conservazione: integra.
E. Bernardoni
Le ricerche dell’Università di Siena
239
4.6 - PRIMI DATI DELLE ANALISI ARCHEOBOTANICHE
In questo contributo si presentano i risultati preliminari delle analisi sui resti vegetali recuperati durante la campagna del 2006. È necessario, al fine di comprendere meglio i risultati
che si andranno a illustrare, fare un breve excursus in merito alle caratteristiche ambientali
dell’isola di Lemnos. Le isole dell’Egeo sono interessate da un clima di tipo mediterraneo, con
aridità estiva e inverni miti, piogge modeste e rare precipitazioni nevose; Lemnos presenta le
stesse caratteristiche climatiche della fascia costiera della Grecia nord orientale ed è quindi
piuttosto umida (le precipitazioni medie annue sono di circa 550 mm) con una temperatura
media annua di circa 19°C. La geologia della zona settentrionale di Lemnos è composta da
arenarie calcaree porose e conglomerati; l’area in cui sorge il sito è caratterizzata da rilievi
collinari con pendii moderatamente ripidi che, scendono verso il mare con falesie più scoscese
lungo la costa settentrionale e orientale; il rilievo non raggiunge quote superiori ai 70 metri 188.
La costruzione della città ha provocato le trasformazioni nella topografia naturale del luogo,
ad eccezione della pendice orientale che si trova al di fuori del circuito murario. Attualmente
il paesaggio intorno al sito è caratterizzato da grandi terrazzamenti artificiali realizzati dagli
abitanti del villaggio di Paleopoli per le coltivazioni anche se oggi i terreni sono del tutto incolti. Dal punto di vista bioclimatico, la vegetazione potenziale dell’isola è caratterizzata dalla
diffusa presenza di foreste; il suo territorio ricade infatti nell’ambito dell’ecoregione definita
come “Aegean and Western Turkey sclerophyllous and mixed forests”. In quest’area troviamo
formazioni vegetali di macchia dominata da arbusti sempreverdi e da una delle più importanti
popolazioni di Pinus brutia (pino calabro). Le altre specie che troviamo associate in questo
ecosistema sono l’Arbutus andrachne (corbezzolo greco), l’Arbutus unedo (corbezzolo), lo
Spartium junceum (ginestra) e la Laurus nobilis (lauro); laddove la Pinus brutia è stata eliminata troviamo formazioni arbustive sempreverdi a Quercus coccifera (quercia spinosa), Calicotome villosa (ginestra spinosa), Paliurus spina-christi (marruca) ed Erica arborea (erica). In
passato era frequente la presenza di foreste di querce decidue (Quercus cerris, Q. frainetto, Q.
pubescens, Q. ithaburensis) 189 ma sono ormai estremamente degradate. A Lemnos è possibile
osservare lembi di queste antiche foreste nei pressi delle aree umide di Alyki e Hortarolimni, situati a sud est del sito. Queste zone, quando non sono sommerse dalle acque marine, appaiono
come una distesa di sale la cui unica vegetazione è costituita da specie erbacee annue o perenni
e talvolta arbustive, per lo più adattate a vivere su substrati con elevate concentrazioni saline
(ad esempio piante infestanti della famiglia delle Chenopodiaceae, in particolare la Salicornia
arthrocnemum e la Tamarix sp. 190), oppure tipiche della macchia mediterranea (come Juncus
sp., Erica sp., Cistus sp., Euphorbia sp. e Sarcopoterium spinosum 191). Le uniche formazioni
arboree sono presenti nell’area più interna, e sono riferibili ad un’unica specie coltivata (Olea
europea, l’olivo), e a diverse specie spontanee (Vitex agnus-castus, Eleagnus angustifolia, Ficus carica, Quercus ithaburensis-macrolepis4) tipiche delle zone umide. Un paesaggio molto
diverso si presenta invece a Lesbo e Chio, dove sopravvivono ancora, nonostante i massicci
interventi antropici, lembi di foreste costituite da Pinus brutia e Quercus coccifera. I sedimenti campionati provengono dai saggi IV-VIII e la loro quantità varia a seconda dell’estensione
188) V. MARIOTTI, § 2.
189) Cerro, farnetto, roverella, vallonea.
190) Salicornia e tamerice.
191) Giunco, erica, cisto, euforbia, spinaporci, agnocasto, oleagno, fico, vallonea.
240
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 1 - Periodo I, arbusti di macchia/sottobosco (X= reperto antracologico; *= reperto carpologico)
(V. Bellavia)
ed importanza delle US campionate. Il materiale analizzato copre in modo eterogeneo contesti
databili in un arco cronologico compreso tra la fine dell’VIII sec. a. C. e l’inizio del VII d. C. I
reperti sono stati estratti mediante setacciatura in acqua per garantire un recupero pressoché
totale dei macroresti, messi quindi ad asciugare all’aria. La quantità di materiale raccolto consiste in 1063 frammenti di carbone di dimensioni variabili e 20 macroresti; sono stati analizzati 86 campioni antracologici, 15 dei quali sono risultati non identificabili e 43 attribuibili a
11 taxa arborei e arbustivi distinti 192. I resti carpologici sono stati tutti analizzati e 8 di questi
sono risultati non identificabili 193.Data la quantità esigua di materiale analizzato, non sarà
possibile fornire fin da ora ipotesi sulla composizione del paesaggio e sull’uso delle risorse, ma
avanzare solo alcune considerazioni. I primi risultati indicano tre paesaggi vegetali diversi sia
nello stesso periodo che in periodi diversi. Nel primo periodo 194 (fig. 1) (fine VIII - metà VII a.
C.) abbiamo chiare evidenze di “macchia” costituita da arbusti sempreverdi e specie xerofile
che crescono su suoli superficiali o su rupi, tipiche dell’ambiente Mediterraneo: l’Arbutus andrachne, la cui corteccia veniva utilizzata in Grecia nella concia delle pelli, e l’Erica. L’identificazione delle specie all’interno di questo genere è assai complessa e spesso impossibile per le
192) Le analisi sul materiale antracologico sono state effettuate presso il Dipartimento di Storia della Vegetazione della Facoltà di Agraria dell’Università Federico II di Portici (Napoli), sotto la supervisione di. G. Di Pasquale,
M. Marziano e E. Allevato.
193) Le analisi sul materiale carpologico sono state effettuate presso il laboratorio di Archeologia Ambientale
del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena con la collaborazione di. M. Buonincontri e di D. Moser.
194) V. CAMPOREALE, MARTORELLA, CARPENTIERO, § 4.1.
Le ricerche dell’Università di Siena
241
Fig. 2 - Periodo II, bosco a sclerofille (lecceta?) con pino d’Aleppo; coltivazione di olivo (?) e vite
(X= reperto antracologico; *= reperto carpologico) (V. Bellavia)
sottili differenze anatomiche che possono essere celate dalla variabilità morfologica dei singoli
individui. A queste specie si aggiungono due specie coltivate, la Vicia ervilia (veccia) e la Vitis
vinifera (vite).
Nel secondo periodo (fig. 2) (IV sec. a. C. - II sec. a. C. ?) troviamo l’Olea europea 195, querce sempreverdi (probabilmente Quercus ilex, leccio) e Pinus brutia-halepensis (pino calabro/
d’aleppo). Tra le specie coltivate compare ancora la vite.
Il terzo e quarto periodo (fig. 3) (II-III ?/ IV-V d. C. ?) sono caratterizzati dalla presenza
di querce, sia sempreverdi che caducifoglie, entrambe tipiche di suoli umidi e profondi. La
difficoltà di attribuzione specifica per la famiglia delle querce deriva dalle caratteristiche anatomiche indistinguibili, accentuata dalla forte vetrificazione dei reperti. Abbiamo ancora reperti riferibili all’olivo 196 e una specie di macchia aperta, l’Arbutus andrachne, oltre alle prime
tracce di infestanti (Chenopodium sp.), segnale questo di ambienti che subiscono un lento
abbandono.
Infine, per il quinto periodo, (fig. 4) (V – inizi VII sec. d. C.), oltre alla Pistacia lentiscus 197
(lentisco) e a evidenze di boschi di querce e pinete (Pinus brutia-halepensis), troviamo due
195) Non è possibile affermare con certezza che si tratti della varietà domestica sulla base delle caratteristiche
dell’anatomia del legno.
196) In questo caso il ritrovamento di frammenti di carbone associati ai semi ci indirizza verso la presenza della
specie coltivata.
197) Generalmente questa specie fa parte della macchia aperta ma in Grecia viene coltivato per ricavare il mastice (anche detto “mastice di Chio”), una linfa balsamica aromatica e astringente oggi impiegata in particolare
nell’industria alimentare; in passato i frutti venivano sottoposti a bollitura e a spremitura per estrarre un olio impiegato come combustibile per l’illuminazione.
242
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 3 - Periodi III-IV, arbusti di macchia, bosco misto di sclerofille e querce decidue; coltivazione di olivo.
Chenopodium: infestante (X= reperto antracologico; *= reperto carpologico) (V. Bellavia)
Fig. 4 - Periodo V, arbusti di macchia xerofila di ricolonizzazione di spazi abbandonati
(X= reperto antracologico; *= reperto carpologico) (V. Bellavia)
Le ricerche dell’Università di Siena
243
taxa, la Daphne/thymelaea 198 (dafne/timelea) e la Paliurus spina-christi, caratteristici anche di
ambienti abbandonati. Il ritrovamento di frammenti di carbone d’olivo pone gli stessi problemi già precedentemente illustrati.
Un dato, di carattere generale, che si ricava dalle analisi preliminari è la ricchezza di informazioni che possono essere desunte dai dati archeobotanici; in particolare pare evidente, per
l’arco cronologico indagato, il passaggio da un ambiente vegetale ancora integro dove possono essere chiaramente definite diverse componenti – la macchia, la foresta mista di querce decidue e sempreverdi, la pineta, i coltivi a olivo e vite - a un paesaggio caratterizzato da specie
tipiche di aree abbandonate. Si tratta di dati che è impossibile ricostruire dall’analisi del paesaggio attuale, caratterizzato dalla presenza di sole specie erbacee, in particolare Asteraceae e
Lamiaceae (fig. 3).
La prosecuzione delle indagini consentirà di approfondire i diversi aspetti che sono stati qui
solo brevemente affrontati.
V. Bellavia, G. Di Pasquale
4.7 - LA RICOSTRUZIONE TRIDIMENSIONALE DELL’UNITÀ COMMERCIALE E ABITATIVA
La ricostruzione tridimensionale dell’unità commerciale e abitativa (fig. 1) 199 si basa sull’elaborazione dei dati di scavo e su alcuni confronti con le abitazioni tradizionali ancora in uso
sull’isola dalle quali sono state tratte informazioni che non è possibile desumere dagli scavi,
come per esempio l’inclinazione del tetto a fronte di una presunta pluviometria analoga.
La ricostruzione qui proposta riassume le informazioni in nostro possesso fino ad ora;
queste, diversamente da altri contesti più conservati 200, sono talvolta lacunose e hanno richiesto integrazioni ipotetiche che saranno verificate con le prossime campagne di scavo.
Le fonti scritte sono parche di notizie su funzioni e collocazione spaziale degli ambienti
nella casa greca tardo antica e il rischio in cui si può incorre a causa di una sintesi di notizie
proveniente da fonti diverse è quello di creare un modello fittizio 201. Nella ricostruzione si è
quindi scelto di attenersi alle informazioni desunte dai dati archeologici, come è stato tentato in più occasioni per altri periodi storici nel mondo greco 202, anche se solitamente l’attenzione degli studiosi ha spesso preferito concentrarsi sull’edilizia pubblica piuttosto che su
quella privata 203.
È possibile che le ulteriori indagini dell’isolato di cui l’unità fa parte portino a nuovi elementi utili alla comprensione dell’edificio che andranno a integrare e a modificare l’elaborazione tridimensionale qui proposta. Sarebbe interessante per esempio indagare la relazione tra
l’impianto dell’edificio e la fornitura di acqua, elemento che condiziona in modo consistente
l’architettura privata 204. L’intento sarà quindi di contestualizzare la ricostruzione 3d per poter
198) Le caratteristiche anatomiche estremamente simili non permettono di distinguere tra le due specie.
199) Softwares utilizzati: AutoCAD 2005 ® e 3ds Max ®.
200) V. per esempio alle strutture romano – bizantine in Palestina GALOR 2003, 44-57.
201) PESANDO 1987, 15.
202) V. per esempio per Delo PESANDO 1989, 241-252.
203) MARTIN 1974, 221; MANGO 1978, 7.
204) A questo proposito v. GROS – TORELLI 1988, 356.
244
HEPHAESTIA 2000-2006
Fig. 1 - Ricostruzione della casa bottega, vista da E (C. Piccoli)
comprendere maggiormente l’edificio in rapporto con le strutture che lo circondano e le relazioni che intercorrono tra spazi pubblici e privati 205.
Le componenti del modello
Pareti. Sono state ricostruite in base ai rapporti tra i muri messi in luce dallo scavo. Per l’elevato, conservato al massimo per 40 cm, si è ipotizzata l’altezza di 1.90 m dai confronti con
l’edilizia abitativa tradizionale. L’altezza delle pareti occidentali (3 m) si è ricavata dall’inclinazione del tetto (v. infra) e dall’altezza delle pareti orientali.
Tetto. È stata ricostruita una falda unica piuttosto che il doppio spiovente perché di più facile realizzazione e in base ai confronti con altri contesti 206. Questo tipo di copertura è visibile
tuttora nell’isola (fig. 2) dove il tetto a una falda è sostenuto da un palo centrale con la funzione di frangitratta. Nell’ambiente 10 è stato trovato un blocco che poteva servire da supporto
del tetto. Lo spiovente del tetto è stato ricostruito in modo che garantisse una copertura anche
ai banconi in pietra addossati alle pareti esterne della casa. Nella ricostruzione tridimensionale
si è previsto un tetto composto da una struttura a pali di legno alternati come base per la messa
in opera delle tegole. Purtroppo i dati utilizzati per capire l’andamento del tetto sono molto la-
205) Per la situazione africana v. BROWN – PATLAGEAN – ROUCHE – THÉBERT – VEYNE 1986, 240-309.
206) Per esempio a Gortina si è tentata una ricostruzione con la copertura dell’ambiente costituita da un’unica
falda (ZANINI 2004, 763).
Le ricerche dell’Università di Siena
245
Fig. 2 - Interno con tetto a falda unica a Aghios Alèxandros (C. Piccoli)
cunosi e finora non sono state trovate tegole intere. Dal materiale rinvenuto si sono ipotizzate
dimensioni di circa 50 cm sul lato corto per circa 80 cm sul lato lungo 207; esse si presentano
leggermente curvate senza alette verticali, con bordi più spessi rispetto al corpo centrale che è
di circa 3 cm; si è dunque ipotizzato un sistema del tetto che prevedesse la messa in opera di
queste tegole alternate senza l’uso di coppi. A seguito di una quantificazione più precisa del
materiale da copertura, sarà forse possibile, considerando le dimensioni degli ambienti da ricoprire e delle tegole, confermare se il numero di materiali che abbiamo ritrovato è insufficiente e quindi identificare un’azione di spoliazione che ha segnato le ultime fasi dell’abitato 208.
Porta e finestre. Anch’esse difficili da ricostruire nel caso di pareti conservate per poche decine di centimetri d’altezza. Nel nostro caso l’entrata è segnata da una soglia monolitica in
pietra (55 x 120 x 7 cm), con presenza di alloggiamenti per i cardini, che costituiva un accesso
autonomo dalla strada su cui l’edificio si affaccia 209. L’apertura ricostruita nel modello riprende l’ampiezza della soglia e ha un’altezza di 180 cm ipotizzata in base ai confronti con l’edilizia abitativa tradizionale. Le dimensioni (45 x 50 cm) e la posizione delle finestre, in mancanza di altri dati e confronti con situazioni note, sono state ipotizzate tenendo conto della loro
funzione come fonte di illuminazione agli ambienti interni.
207) V. BERNARDONI, § 4.4.
208) V. per esempio NEGRO PONZI 1994, 54; CARDINALI 2001, 94.
209) V. BONINI 2006, 40.
246
HEPHAESTIA 2000-2006
Pavimentazioni. Lo scavo archeologico ha portato alla luce un lacerto di pavimentazione in
lastre di pietra nell’ambiente 12. Un battuto di terra costituiva invece il pavimento degli altri
due vani.
Allestimento interno. Le indagini archeologiche hanno rivelato un bancone in pietra addossato al muro occidentale dell’ambiente centrale e di una struttura con due spallette, posta
all’angolo N-O dell’ambiente 10. Entrambi questi elementi sono stati riportati nel modello
tridimensionale interpretandoli come basi di appoggio.
Chiara Piccoli
Le ricerche dell’Università di Siena
247
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