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GiorGio Marini “Florentia refloret”. Per gli esordi di roberto Papini nella critica d’arte figurativa e l’incisione d’inizio novecento in Toscana* È che l’incisione moderna, durante una rapida rinascita, che trent’anni fa poteva sembrare insperabile, ha conquistato con altrettanta rapidità il pubblico e si avvia a riprendere il posto che ebbe già nel campo dell’arte. (PaPini 1914) C ol suo ammirevole dono d’ingordo eclettismo, così felicemente interdisciplinare, e l’esemplare lezione di operosità strepitosa, basata sul doppio registro dell’eccentricità e del metodo, roberto Papini (Pistoia, 1883 - Modena, 1957) ben può rappresentare un felice modello d’intellettuale di inizio novecento, aperto ai più vari interessi da una curiosità a tutto campo. Si spiega così il suo singolare percorso culturale e professionale, che prese via via la forma del giornalista e critico, del funzionario delle ‘Belle arti’ dedito alla tutela del patrimonio, del direttore e riordinatore di musei o del docente universitario, rimanendo però sempre coerente a quello che non si fatica a definire come un vero programma intellettuale1. Con una produzione pubblicistica imponente, che univa agli intenti di un’efficace divulgazione uno specialismo profondo e mai fine a se stesso, Papini seppe infatti diffondere tra i primi le conquiste del Movimento Moderno nell’architettura e nelle arti decorative dell’italia del suo tempo, con una lucida militanza critica che s’incanalerà principalmente, dagli anni Venti e Trenta, verso un’autentica “didattica dell’architettura”. Ma se la sua figura d’informatissimo critico, docente e storico dell’architettura è ormai ben delineata2, grazie anche alla donazione del suo ricco archivio di studioso alla Biblioteca di Scienze Tecnologiche della Facolta di architettura dell’Università di Firenze3 – dove insegnò a lungo –, assai meno conosciuta ne resta, paradossalmente, l’altrettanto vasta produzione saggistica nei campi della storia dell’arte, del costume, della critica teatrale e figurativa. Le sorprese che ancora ci possono offrire le centinaia di documenti, foto e appunti, attentamente custoditi come lo stesso autore li aveva ordinati, con l’evidente passione del conservare ogni minima carta, sono quindi tanto più probabili nell’ambito della sua prodigiosa attività giovanile dei primi due decenni del secolo, vivacissimi ‘anni di apprendistato’ trascorsi tra Pisa, Firenze e roma. Vi si ritrova una sorta di mosaico in cui s’intrecciano le esperienze di un’eclettica formazione, tra studi scientifici a Pisa – dove 525 seguì corsi di Fisica, dopo quelli di ornato al Politecnico milanese, nel 1902-1903 – e quelli di storia dell’arte, come uditore alla Scuola di perfezionamento di adolfo Venturi a roma, dal 1908 al 1910, da cui uscì sorprendentemente aggiornato sulle novità internazionali grazie a viaggi a Londra e Parigi, intorno al 19114. in tale percorso certo lo agevolava l’esempio del padre Carlo, ingegnere dai molti interessi, collaboratore e poi direttore della rivista Arte e Storia fondata a Firenze da Guido Carocci, periodico di varia ma solida erudizione. Si possono così ricostruire i fulminanti esordi da poligrafo del Papini ventenne, tra poesie e cronache teatrali, come critico d’arte de Il Telegrafo di Livorno, firmate con lo pseudonimo, tutto pisano, di “Cavaliere di Tramontana”, sul Ponte di Pisa o sul Corriere Toscano. nell’aprile del 1907 compariva per esempio sul giornale livornese l’articolo Florentia refloret , che sotto la formula dell’arguta nota di costume delineava con grazia d’elzeviro molti dei temi che saranno costanti nell’impostazione teorica di Papini: dalla tendenza esterofoba del futuro critico d’arte all’equilibrio tra rinnovamento e tradizione, intesa come recupero di caratteri artistici propriamente italiani. Tale approccio rivela già da quegli anni lo stretto legame culturale e personale con Ugo ojetti, a Firenze dal 1905 e fautore di un ritorno alle radici delle espressioni culturali nazionali, che potessero recuperare lo spirito artigianale della bottega d’arte. intento che verrà poi sintetizzato da Papini nel motto “Dall’artiere all’artista”, relativo alla duplicità tra arte pura e arte decorativa, e alla loro funzione sociale nell’epoca della produzione seriale5. E sono del resto quelle stesse tematiche che, da Segretario generale, Papini avrebbe poi sviluppato in occasione del decimo Congresso internazionale di Storia dell’arte, riunito a roma da Venturi nel 1912 sotto il titolo L’Italia e l’arte straniera. Ma se, nello specifico, l’articolo su Il Telegrafo si riferiva alla difficile ripresa della città toscana – che già allora si trovava a contrastare l’imbarbarimento di un turismo sempre più internazionale – nell’auspicio sotteso al suo titolo esso può essere peraltro preso a simbolo della rinascita di Firenze come una simbolica patria-rifugio, laboratorio dello spirito per artisti e letterati, ribalta di una cultura figurativa e letteraria ancora di prim’ordine: quella che in città, tra l’otto e il novecento, ebbe per protagonisti – signori di elette dimore in collina – Böcklin e Klinger, Berenson e D’annunzio. E un inevitabile, iniziale omaggio al nume floreale dannunziano rivela infatti la prosa dei primi scritti papiniani e le pose giovanili un po’ da dandy testimoniate da due disegni anonimi del Fondo Papini [Figg. 1-2], che vanno però riconosciute come opere di Emilio Mazzoni Zarini (1869-1949), importante ma ancor poco nota fi526 gura d’incisore fiorentino che ebbe un ruolo di raccordo tra i giovani della corrente post-macchiaiola dell’accademia di Belle arti di Firenze e gli orientamenti che vi giungevano grazie ad artisti dalle aperture internazionali.6 Uno siglato e datato al dicembre 1905, l’altro riferibile a qualche anno dopo, che ritrae il giovane studioso in abito da escursione o da ciclista, queste freschissime riprese estemporanee testimoniano di una sua evidente familiarità con Mazzoni Zarini, uno dei protagonisti della scena grafica fiorentina anche grazie al magistero che avrebbe svolto negli anni della guerra nella ‘Prima scuola di incisione italiana’, voluta sotto il nume tutelare di Fattori da Francesco Gioli e guidata da Celestino Celestini all’accademia cittadina. Unendo i frammenti dei molti materiali d’archivio ancora inediti, si potrebbe quindi ricomporre pure la fisionomia, mai sinora messa a fuoco, del giovane Papini come intelligente decifratore – già intorno al 1910, e dunque in anticipo sulla critica ufficiale, con la sola eccezione di Vittorio Pica dalle pagine della rivista “Emporium”7 – dei segni di una rinascita dell’incisione in italia, fenomeno che proprio a Firenze raggiunse un respiro sovranazionale, ma che la guerra avrebbe peraltro presto soffocato. a lungo rimossa, o scarsamente recepita, tale felice, ancorché breve, stagione di fioritura toscana anche nel campo dell’incisione inizia ora lentamente a prender forma negli studi8, favoriti dalla prospettiva storica da cui ormai possiamo considerarla, a distanza di giusto un secolo, soprattutto, da quella Prima esposizione internazionale di Bianco e Nero allestita nella primavera del 1914 nelle sale della fiorentina Società di Belle arti, in via della Colonna9. Di quell’evento, eccezionale per le migliaia di opere esposte e la proporzione delle successive acquisizioni per i musei fiorentini, Papini seppe subito cogliere l’importanza, poiché la mostra era riuscita a presentare attraverso un’articolata campionatura di tecniche e di stili le migliori aspirazioni moderniste e cosmopolite della grafica europea d’inizio secolo, facendo della Firenze alla vigilia della guerra mondiale la capitale dell’arte raffinata dell’incisione10. al sistema critico-gerarchico del Papini teorico dell’approccio architettonico, negli anni Venti e Trenta, che si confronta col “parametro ojettiano dei valori razziali”, sono state dedicate, da non molto, considerazioni intelligenti11. Quella che ancora manca è invece la misura della percezione lucidissima che lo studioso ebbe delle specificità del ‘Bianco e nero’, e del suo difficile rapporto con una tradizione ‘nazionale’, che l’italia di allora non poteva vantare se non nella versione fortemente connotata di Fattori e dei suoi eredi. Seguendo queste tracce d’archivio si riallacciano quei molti nessi che devono aver fatto di Papini 527 uno degli analisti più consapevoli e criticamente attrezzati anche sul versante della grafica, con un atteggiamento che resta tuttavia non specialistico, prima della tecnicizzazione del sapere, ma pur sempre ben cosciente delle specificità sia tecniche sia operative dell’incisione, in cui s’immagina possa esser stato edotto da Mazzoni Zarini, in una cerchia di rapporti con tutti i maggiori studiosi del suo campo. Quando nel novembre 1914, dopo l’idoneità conseguita l’anno prima, vinse il concorso come ispettore della Soprintendenza per le regie Gallerie romane, e assunse le funzioni d’ufficio a Palazzo Corsini alla Lungara – in una linea di continuità con l’interesse di Venturi per la nascita di un Gabinetto nazionale delle Stampe e per la posizione della grafica nell’ambito della moderna disciplina storico-artistica – entusiastici biglietti d’auguri e complimenti gli giunsero infatti da tutto l’establishment accademico e museale: da Giuseppe Gerola a Giulio Cantalamessa, da Mario Salmi a Ugo ojetti, Gino Fogolari, adolfo Venturi, Corrado ricci, dal fiorentino Giovanni rosadi, Sottosegretario per la Pubblica istruzione, fino ai “rallegramenti vivissimi da tutta la Ninna al nuovo collega”, inviati dai funzionari degli Uffizi dallo storico indirizzo di via della ninna: Carlo Gamba, Giovanni Poggi, nello Tarchiani e odoardo H. Giglioli, oltre all’amico Mazzoni Zarini12. Lo stesso esame di concorso, stando agli appunti ancora conservati, dovette riguardare direttamente le stampe e gli incisori da raffaello, da Marcantonio raimondi ad agostino Veneziano, da Vico a Caraglio, toccando i chiaroscuri di Ugo da Carpi, antonio Fantuzzi e andreani, e “gli acquafortisti [che] formano la gloria dell’incisione italiana13. Un discorso a parte meriterebbero i molti cataloghi di mostre conservati nel Fondo Papini, di cui alcuni fitti di commenti e notazioni manoscritte, estemporaneamente stilate davanti alle opere durante le sue visite, e che spesso si riverseranno poi nelle rispettive recensioni. Eloquente è il caso della mostra romana degli ‘amatori e Cultori’ del 1909, dove in vista della recensione su Il Telegrafo, gli appunti a margine alle descrizioni delle stampe sembrano già seguire da vicino le predilezioni di Vittorio Pica – grande educatore del gusto per la grafica contemporanea – soprattutto nell’apprezzamento dell’incisione straniera, con Edgar Chahine e anders Zorn innanzitutto, ma anche tutti gli olandesi e i belgi, da Félicien rops a Fernand Khnopff. Quel ritardo nella valutazione della grafica che Papini lamenterà poi nella sua recensione, per “questo genere d’arte che è veramente e a torto trascurato da noi”14, non è che il risvolto di una sua linea apologetica per il contributo italiano alla storia della stampa d’arte. Dalle pagine de Il Marzocco, nel febbraio 1914, recensendo con impeto polemico un volume monografico 528 di The Studio dedicato all’acquaforte nei secoli, ricordava fermamente che “la maniera di incidere con gli acidi ha preso le ali in italia e […] ha pur sempre avuto da noi una tradizione degna di gloria”15. Ma i capisaldi della pubblicistica di Papini nel campo delle stampe restano, anche simbolicamente, le due ampie recensioni pubblicate su Emporium alle due grandi occasioni espositive tenutesi a Firenze, nel 1914 e nel 1927: rispettivamente quella organizzata dalla Società di Belle arti e la sua ideale prosecuzione, tredici anni dopo, nella Seconda esposizione internazionale dell’incisione moderna, ancor più ambiziosa rassegna allestita al Parterre di San Gallo, di cui Papini era nel Comitato esecutivo, presieduto dal direttore degli Uffizi, Giovanni Poggi16. Se per il suo carattere di vasto consuntivo delle migliori esperienze internazionali nel campo dell’incisione originale, dopo la cesura della guerra, quest’ultima rivelava una selezione operata già in chiave di organica sistemazione storicistica – tanto da far suggerire a Papini di definirla come una “antologia delle stampe d’ogni paese dall’ottocento a noi”– la mostra del 1914 era riuscita maggiormente nell’intento di presentare le effettive novità di un’arte ancora assai vitale, venendo a porsi come culmine di un processo critico, o almeno come vetrina della modernità nel campo del ‘Bianco e nero’. anche in questo caso, la copia personale di Papini del catalogo dell’esposizione, conservata nel suo archivio, rivela negli appunti fissati sulle pagine bianche di risguardo la genesi di quella recensione che dovette nascere ‘all’impronta’ davanti alle opere, e che ha già in nuce la traccia di quanto andrà poi pubblicando: “Sparita l’incisione di traduzione, non restava agli incisori altra via da seguire che quella di tradurre i loro disegni, di disegnare sulla lastra […]. L’incisore deve essere incisore con effetti speciali e con tecnica speciale. Essa è nata dal bisogno di moltiplicare una immagine e deve rimanere tale se vuole entrare efficacemente nella vita”17. E nella versione pubblicata, in forma di grande panoramica storicocritica che prende lo spunto dalla mostra, Papini rivelerà la sua non comune consapevolezza dei caratteri e delle funzioni dell’incisione, che, “non bisogna dimenticarlo, ha questa origine pratica e popolare: nasce da un bisogno di molti contro un privilegio di pochi; […] è una delle arti che più s’accostano alla vita” 18. 529 note * Queste brevi note sono profondamente debitrici alla generosa disponibilità di Gianna Frosali, responsabile del Fondo Roberto Papini presso la Biblioteca di Scienze Tecnologiche - Architettura, e all’imprescindibile sostegno di Mario Bevilacqua. 1 Per un inquadramento della figura di Papini si rimanda SaMEK LoDoViCi 1946; TErraroLi 2000; GaLLo 2007; MarGoZZi 2007; Di FaBio 2011. 2 Si veda soprattutto r. DE SiMonE 1997; iD. 2000; iD. 2008. 3 Cfr. FroSaLi 2000; EaD. 2007. 4 Firenze, Biblioteca di Scienze Tecnologiche, Fondo Roberto Papini, serie Attività professionale / 25. 5 PaPini 1907. 6 PaPini 1921. 7 Sull’artista si rimanda ora a PaCiniBaCCi Di CaPaCi 2013; Marini 2014a. 8 Su questi temi si rimanda a Marini 2009; PaLLoTTino 2009; e alla panoramica più recente contenuta in Marini 2014b. 9 Si veda soprattutto BarDaZZi 2000; iD. 2001; Marini-BraGaGLia VEnUTiMaLni PaSCoLETTi 2013; BarDaZZi 2013; Marini 2014c. 10 Sulla mostra e il suo significato si veda ora CaMPana 2014. 11 PaPini 1914a. 12 Cfr. rEGorDa 2005. 13 Firenze, Biblioteca di Scienze Tecnologiche, Fondo Roberto Papini, serie Attività professionale / 33, serie Concorsi / 21. 14 Ibidem. 15 Si veda, presso il Fondo Roberto Papini, l’esemplare del catalogo Società degli Amatori & Cultori di Belle Arti in Roma, LXXIX Esposizione internazionale di Belle Arti. Catalogo Illustrato, roma, 1909 (PaPirCaT 206); PaPini 1909. 16 PaPini 1914b. 17 PaPini 1914a; PaPini 1927; naSTaSi 2014. 18 Cfr. l’esemplare presso il Fondo Roberto Papini del volume Catalogo della I Esposizione internazionale di Bianco e Nero, Maggio-Giugno 1914, Società delle Belle arti, Firenze 1914 (PaPirCaT 211), p. 124. 19 PaPini 1914a, p. 264. 530 Bibliografia BarDaZZi 2000 E. BarDaZZi, La civiltà delle riviste e lo sviluppo della grafica, in Motivi e figure nell’arte toscana del XX secolo, a cura di C. Sisi, Pacini, ospedaletto (Pi) 2000, pp. 54-103. BarDaZZi 2001 E. BarDaZZi, Grafica italiana e straniera alle mostre degli Amatori e Cultori 1902-1929, in Bianco e Nero alle esposizioni degli Amatori e Cultori 19021929, catalogo della mostra, nuova Galleria Campo dei Fiori, roma 2001, pp. 5-39. BarDaZZi 2013 E. BarDaZZi, Le sezioni di Bianco e Nero alla Secessione romana, in Secessione Romana 1913-1923. Temi e problemi, a cura di M. 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