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LE FORME e LA STORIA Rivista del Dipartimento di Filologia Moderna Università degli Studi di Catania n.s. IV, , - tin o Saperi umanistici oggi a cura di Ru bb et Antonio Pioletti Rubbettino 2011 Sommario  Antonio Pioletti Saperi umanistici oggi o Aree scientifiche tin  Remo Ceserani I saperi umanistici oggi et  Pasquale Guaragnella Riflessioni su alcuni problemi riguardanti gli studi umanistici in Italia bb  Paolo Matthiae L’archeologia orientale tra passato e presente Ru  Giovanni Filoramo La situazione degli studi di Storia delle religioni oggi  Giuseppe Ruggieri Il sapere teologico  Biancamaria Scarcia Amoretti Sullo stato dell’arte degli studi islamistici oggi in Italia: una testimonianza  Francesco Citti Philologia delenda? Alcune riflessioni sullo studio dei classici  Nicolò Pasero Di fronte alla crisi: la filologia romanza fra tradizione e innovazione  Tullio De Mauro Scienze inumane e scienze inesatte? Sommario   Maria G. Lo Duca Glottodidattica, educazione linguistica, linguistica educativa… ed altro  Paolo Bertinetti Chi crede nell’utilità degli studi letterari?  Gian Mario Anselmi e Francesca Tomasi Informatica e letteratura  Francesco Benigno Cos’è la storia oggi? Riflessioni sul mutamento di una disciplina tin o  Fabio Ciaramelli Accesso alla verità o interrogazione sul significato? Una riflessione filosofico-politica sul ruolo della filosofia et  Franco Farinelli Sulla genealogia del sapere geografico (e per l’agenda geografica post-moderna) bb  Alessandro Lutri intervista Pietro Clemente Di certe idee sugli studi antropologici in Italia Ru  Marco Mazzone conversa con Vittorio Gallese e Pietro Perconti Scienza cognitiva e saperi umanistici: il caso dei neuroni specchio Saperi umanistici e lavori  Antonio Pioletti intervista Roberto Antonelli Saperi umanistici, crisi e insegnamento  Tomaso Montanari Il disastro dei Beni culturali  Mario Andreose L’editoria fra tradizione e innovazione  Antonio Pioletti intervista Francesco Merlo A proposito di informazione  Salvo Scibilia intervista Aldo Biasi La comunicazione, il commercio e l’arte Sommario   Mirella Cassarino intervista Giuliana Cacciapuoti Saperi umanistici e flussi migratori  Iain Halliday intervista Adele D’Arcangelo La traduzione fra professione e ricerca Saperi umanistici in altri Paesi  Richard Trachsler «Nous sommes ce qu’il vous faut. Nous sommes votre avenir» tin  José Manuel Lucía Megías Las Humanidades en la España de hoy o  Christoph Leidl The Point of View of an Classicist Scholar on the Humanities in Germany et  Adam Ledgeway Some Refections on the Humanities in Great Britain bb  Luciano Curreri Saperi umanistici in Belgio Ru  Niadi Cernica e Muguras Constantinescu Le savoir humaniste en Roumanie. Splendeurs et misères  Antonio Sciacovelli Saperi umanistici oggi: «O beata Ungheria, se non si lascia più malmenare!»  Raissa Raskina I saperi umanistici nella Russia post-sovietica  Matteo Miano I saperi umanistici nella Grecia di oggi  Taieb Belghazi Humanities in Morocco  Kmar Bendana Les connaissances humanistes en Tunisie aujourd’hui  Tadao Uemura Humanistic Knowledge in Japan Today Sommario   Donato Santeramo I saperi umanistici oggi in Canada  Martine Antle Transmitting Humanistic Knowledge: Challenges Ahead in the USA  John Paul Russo Field Notes on the Humanities in America  Robert Casillo e John Paul Russo The Humanities in USA Today o Recensioni tin  Sebastiano Vecchio «Scienze Umanistiche» - Rivista annuale,  () et  Salvatore Claudio Sgroi (Saperi umanistici dell’)Università in coma irreversibile? bb (A proposito de I saperi umanistici nell’Università che cambia. Atti del Convegno, Palermo - maggio , Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Lettere e Filosofia, ) Ru  Antonio Pioletti Cultura umanistica, formazione e democrazia (A proposito di M.C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, il Mulino, Bologna ) Documento  Sulla valutazione delle riviste  Gli autori  Indice dell’annata   Norme redazionali per gli autori Saperi umanistici, crisi e insegnamento Antonio Pioletti intervista Roberto Antonelli Ru bb et tin o P - L’insegnamento scolastico ha rappresentato in passato, proprio nel campo dei saperi umanistici, e di quelli storico-filologico-letterari in particolare, non solo un significativo sbocco professionale, ma uno degli assi portanti d’un paradigma formativo legato al ruolo del “classico” e della “tradizione”, e caratterizzato da una trasmissione del sapere inteso spesso come “parola autoritaria”, canonica. Un modello non da oggi in profonda crisi che ha lasciato posto a sperimentazioni di sicuro interesse, ma anche a un vuoto culturale presto riempito da disvalori fino a divenire un deserto. Qual è la tua diagnosi, quali, secondo te le direzioni da seguire per conferire un nuovo senso alla trasmissione dei saperi umanistici? A - «quali, secondo te, le direzioni da seguire per conferire un nuovo senso alla trasmissione dei saperi umanistici?»; ho ripetuto la domanda poiché veramente oggi saprei rispondere soltanto con un «Mah, … chi lo sa?». Intendo: chi lo sa veramente? chi ha un’ipotesi che possa davvero non solo essere condivisa a livello epidermico ma “andare alla radice delle cose”? E chi ha, non dico l’autorevolezza ma l’affidabilità per proporla? La prima risposta comunque che mi viene alla mente è quella di ricominciare a porre al centro di ogni riflessione e di ogni possibile proposta l’idea stessa di “Crisi”. Risposta ormai quasi banale, ma non tanto banale da essere da quasi tutti quasi sempre dimenticata o evasa o considerata appunto solo banale: tutto ciò quando, ancora oggi, in parte significativa dell’accademia tedesca, e non solo, il nome di Walter Benjamin provoca rigurgiti di rigetto viscerale, senza neppure tentare di capirne le straordinarie intuizioni. “Crisi” intanto e però non quale lamentazione sulla perdita del paradiso e dei valori della cultura umanistica (grande scoperta infine di uno strato di colti e di una funzione e ruolo degli intellettuali datati e ormai tramontati, pur se di fondamentale importanza), ma “Crisi” quale presupposto e orizzonte cognitivo e metodologico, proprio nel momento in cui, in Italia soprattutto, è evidente un movimento “reazionario”, nel senso proprio «Le forme e la storia» n.s. IV, , -, pp. - Antonio Pioletti e Roberto Antonelli  bb et tin o di ritorno all’indietro, che riscopre fantasmi e discorsi di mezzo secolo fa, senza appunto almeno sottoporli ad un riesame critico. Paradossalmente proprio gli specialismi e lo sviluppo che dagli anni Sessanta in poi ha portato il dibattito sul formalismo, lo strutturalismo, la semiologia, il relativismo, hanno scavato in profondità anche negli assetti “disciplinari” più “tradizionali” (più votati cioè alla trasmissione a-critica) e rendono possibile forse una nuova riflessione generale, di cui forse anche questa inchiesta è un segnale. Dunque, una sola direzione: la Crisi e la critica, una metodologia critica che, con Bédier (ma oltre Bédier), sia «Une discipline générale du travail, une habitude intellectuelle, un esprit […] la volonté d’observer avant d’imaginer, d’observer avant de raisonner, d’observer avant de construire, […] le parti pris de vérifier tout le vérifiable, de chercher toujours plus de vérité». A condizione naturalmente di sapere che il concetto stesso di “verità” è esso stesso “critico”, non più metafisicamente fondato, il che vuol dire che è oggetto esso stesso di conflitto delle interpretazioni e quindi dell’uso della “forza”, ovvero del consenso costruito sul potere della comunicazione e della “politica”, ovvero del conflitto sociale (come insegnano le tristi vicende italiane). Crisi e conflitto sono due termini indissociabili e soltanto saperi umanistici che li incorporino possono porre il problema di un senso e di una nuova “direzione”, l’unica in grado di assicurare una sopravvivenza non precaria ai saperi umanistici stessi. Ru P - Le lingue cosiddette morte, il greco antico e il latino classico: è paradossale, ma a differenza di quanto avviene in altri Paesi – almeno per il latino –, in Italia il loro insegnamento e apprendimento è in profonda crisi. È un declino ineluttabile? Come riattualizzarne lo studio? A - Non credo che la crisi del latino e del greco in Italia sia ineluttabile. Certo il loro declino è un segno di un’egemonia “mercantile” e un po’ bottegaia della cultura politica e istituzionale italiana, che ha pervaso anche le università (con responsabilità peraltro gravissima anche dei docenti dell’area umanistica, spesso attardati e subalterni), ma io penso, spero, che vi sia presto una reazione positiva, proprio a causa della profondità della crisi, e della necessità inevitabile di un confronto che parta dal terreno nuovo che proprio l’ideologia “mercantile” ci ha proposto. Capire chi siamo stati e perché, significa capire anche il ruolo della Tradizione e quindi del latino e del greco che della Tradizione (umanistica) sono stati i grandi veicoli e il nocciolo duro ideologico. Ma molto è già stato fatto dai nostri colleghi classicisti (fi- Saperi umanistici, crisi e insegnamento  lologi e storici), con ottimi risultati, proprio nel confronto con quelle nuove discipline (dall’antropologia allo strutturalismo ecc.) che la crisi degli anni Sessanta ha introdotto in Italia, costringendo anche il settore antichistico a fare i conti con se stesso e la propria storia. Sono quindi ottimista. Ru bb et tin o P - Tu hai meritoriamente riproposto non solo in Italia la questione del canone letterario. Nel dibattito che è seguito hai colto novità, nuove prospettive interpretative degne di nota? A - Sì, ho notato molte risposte positive e qualche ritardo, legato a riproposizioni ideologiche delle correnti, diciamo così, “anticanoniche”, spesso coincidenti con quelle “antiautoritarie”, ovvero di coloro che pensavano di poter superare il problema del canone semplicemente rifiutandone lo stesso concetto, o proponendo altri “(anti) canoni”, come negli U.S.A. i cultural studies. Io penso che i cultural studies abbiano accettato un ruolo subalterno nella vicenda proprio in quanto, malgrado le apparenze superficiali, hanno rifiutato una riflessione politico-culturale profonda sull’idea di “canone” (e di Tradizione), al contrario di Benjamin, e sul livello di conflittualità che tale idea porta con sé. Anche qui, penso che proprio il dibattito sull’idea di un canone culturale europeo promosso “dal basso” stia pian piano portando ad un dibattito di valore strategico sulla questione, su una progettualità dagli orizzonti necessariamente non solo europei (ma, neppure in questo caso, “folkloristici”). P - Tu ti sei altresì cimentato, con Serena Sapegno e altri, nella pubblicazione di un innovativo manuale letterario per la Scuola Superiore. Quali reazioni ha suscitato? Come legare l’insegnamento della letteratura italiana a quello delle letterature europee e, in prospettiva è da sperare non biblica, di quelle extra-europee? L’Università prepara a questo i futuri insegnanti? A - Le reazioni alla nostra letteratura, L’Europa degli scrittori, sono state straordinariamente positive. Tutti gli insegnanti che hanno partecipato ai vari dibattiti hanno voluto partecipare ad un lavoro comune, sottolineando anche come sia provinciale ed emarginata l’idea di una letteratura italiana autosufficiente e non letta e studiata in dialettica continua con le altre letterature, a cominciare da quella europea ma non limitatamente ormai a quella europea. Con buona pace di chi ancora oggi pensa a Dipartimenti autosufficienti (in realtà autorela- Antonio Pioletti e Roberto Antonelli  bb et tin o zionali) di “Italianistica”: un assurdo storico-critico e un impulso a un profilo formativo, per i futuri insegnanti, di basso livello. La letteratura italiana, dalle Origini ai giorni nostri, anche nei periodi più alti della sua egemonia in Europa (un’egemonia peraltro ben lontana), è del tutto incomprensibile, sia a livello scientifico che formativo, se non è posta in costante dialettica con le altre letterature. Dunque, oggi, per effetto dei programmi ministeriali e delle spinte delle corporazioni, che intendono fra l’altro l’educazione linguistica come un fatto esclusivamente “tecnico”, registrando nei fatti, da molti anni, un clamoroso fallimento, oggi l’Università, costretta dalla camicia di forza dei regolamenti ministeriali e delle materie richieste per legge nei concorsi per la scuola, non prepara adeguatamente, anche se bisognerebbe distinguere fra sede e sede. Il problema però riveste certo aspetti generali e i recenti programmi per la scuola secondaria, avallati da illustri colleghi, con esclusione quasi totale delle letterature straniere dall’insegnamento della letteratura italiana, inducono al più nero pessimismo. Fortunatamente la scuola è ancora piena di ottimi insegnanti, che hanno facoltà di indirizzare più seriamente lo studio degli allievi. Ma che accadrà quando arriveranno i prodotti della miopia ministeriale e del corporativismo di certi accademici? Ru P - L’attuale assetto dell’Università favorisce la circolazione dei saperi? Quelli umanistici quale diversa collocazione potrebbero avere, con quali contenuti, con quali metodologie, per favorire i rapporti con il territorio e per svolgere pienamente quella funzione critica alla quale dovrebbero essere votati? A - Le proposte di riforma Gelmini stanno determinando un assetto dell’Università che favorirà il conservatorismo e le resistenze all’innovazione di molti ambienti accademici. Si torna ad una disciplinarità intesa spesso in modo acritico e ottuso, si chiudono gli esperimenti più innovativi, come quello interdisciplinare degli Atenei federati della Sapienza di Roma (ove aveva ben operato, fra mille difficoltà e boicottaggi, un originale Ateneo delle Scienze umane delle arti e dell’Ambiente, costituito dalle Facoltà di Architettura, Scienze umanistiche, Scienze delle comunicazione, Studi orientali). E dove la stessa facoltà di Scienze umanistiche rappresenta un progetto del tutto innovativo rispetto alle tradizionali Facoltà di Lettere e filosofia. C’è anche qui però da sperare che i semi gettati in questi ultimi tre decenni non vadano dispersi e che la ricerca interdisciplinare, e la sua ricaduta a li- Saperi umanistici, crisi e insegnamento  Ru bb et tin o vello formativo, prendano addirittura nuovi stimoli dalle difficoltà. Al di là del livello istituzionale (dove a volte Dipartimenti e Dottorati ipersettoriali e autorelazionali hanno giocato un ruolo negativo), molto dipenderà da noi e dai legami interdipartimentali e interuniversitari. In poche parole: pratica e critica assidua, profonda, dei saperi (disciplinari) e costituzione di reti interdisciplinari che, a partire dalle disciplinarità, riflettano anche autocriticamente sulle esperienze passate. Ogni Crisi, se affrontata criticamente, è anche una grande occasione. o tin et bb Ru