FICHA TÉCNICA
Título: Caminhos da Água. Paisagens e usos na longa duração
Coordenação: Manuela Martins, Isabel Vaz de Freitas, María Isabel del Val Valdivieso
Imagem da capa: Água da Fonte da Avenida da Liberdade, Braga. Fotograia de Cristina Braga
Edição: CITCEM – Centro de Investigação Transdisciplinar «Cultura, Espaço e Memória»
Design gráico: Helena Lobo www.hldesign.pt
IsBN: 978-989-97558-8-8
Depósito Legal: 343681/12
Composição, impressão e acabamento: Candeias Artes Gráicas – Braga
Braga, Maio 2012
O CITCEM é inanciado por Fundos Nacionais através da FCT – Fundação para a Ciência e a Tecnologia no
âmbito do projeto PEsT-OE/HIsT/U14059/2011
SUMÁRIO
Apresentação . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Manuela Martins, Isabel Vaz de Freitas, María Isabel del Val Valdivieso
5
Gestão e uso da água em Bracara Augusta. Uma abordagem preliminar . . .
Manuela Martins, Maria do Carmo Ribeiro
9
Entre campos e pântanos: paisagens e gestão da água na Limagne entre
inais da Idade do Ferro e a Época Romana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Frédéric Trément
53
Boniiche e regimazioni idrauliche tra pianiicazione e gestione del
territorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pier Luigi Dall’Aglio, Carlotta Franceschelli
77
Hidráulica mineira na época romana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Carla Maria Braz Martins
105
La cultura del agua en la Castilla Medieval: aspectos inmateriales . . . . . . . .
Olatz Villanueva Zubizarreta, Juan Carlos Martín Cea
125
La cultura del agua en la Castilla Medieval: aspectos materiales . . . . . . . . . .
María Isabel del Val Valdivieso, Juan Antonio Bonachía Hernando
143
A água no Livro das Fortalezas de Duarte d’Armas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Isabel Vaz de Freitas
163
Contributo para o estudo do abastecimento de água à cidade de Braga
na Idade Moderna. O Livro da Cidade de Braga (1737) . . . . . . . . . . . . . . . . .
Maria do Carmo Ribeiro, Manuela Martins
179
Política de recursos hídricos nos mosteiros cistercienses no Minho na
época do Antigo Regime . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Salvador Magalhães Mota
223
Douro – um rio selvagem em inais de setecentos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
António Barros Cardoso
237
A Barra do Douro no século XVIII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ana Sílvia Albuquerque Nunes
253
O arquivo da Administração da Região Hidrográica do Norte.
Roteiro metodológico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Francisco da Silva Costa
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BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE
TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL
TERRITORIO
PIER LUIGI DALL’AGLIO*
CARLOTTA FRANCESCHELLI**
1. INTERVENTI DI BONIFICA E PERSISTENZA DI ZONE
UMIDE/INCOLTE IN ETÀ ROMANA
strabone, parlando della pianura padana, la descrive coperta di paludi che
sarebbero state boniicate da Marco Emilio scauro mediante dei canali navigabili «dal Po a Parma» («άπό τοῦ Πάδου μέχρι Πὰρμης», strabo, V,1,11). Questo
intervento viene di norma collocato dagli storici nell’anno del suo consolato, il
115 a.C., o in quello della sua censura, il 109 a.C. siamo comunque alla ine del
II secolo a.C., in un periodo, cioè, successivo sia alla deduzione delle colonie
romane di Parma e Mutina (Modena), nel 183 a.C., che alle assegnazioni viritane dell’ager Ligustinus et Gallicus, decise dal senato nel 173 a.C. L’intervento di
scauro va dunque collocato in questa fase della presa di possesso della pianura
emiliano-romagnola da parte dei Romani e viene di norma considerato come un
ampliamento della centuriazione del territorio di Parma verso nord. In realtà,
lo stesso strabone dice che scauro aprì i suoi canali per evitare le piene del Po
provocate dalla conluenza del Trebbia. Questo iume, infatti, è uno dei principali
corsi d’acqua dell’Appennino emiliano ed entra in Po nei pressi di Piacenza, una
sessantina di chilometri ad ovest di Parma. Le inalità perseguite da scauro e lo
stesso testo di strabone impediscono, dunque, di considerare questi canali come
** Dipartimento di Archeologia, Università degli studi di Bologna; pierluigi.dallaglio@unibo.it
** CHEC – Centre d’Histoire «Espaces et Cultures» (EA 1001), Université Blaise Pascal – Clermont
II; carlotta.franceschelli@univ-bpclermont.fr
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CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
dei cardini della centuriazione di Parma, secondo quanto è stato supposto in
passato1. se infatti fossero stati dei canali sud-nord, non solo sarebbero andati «da
Parma al Po», e quindi in senso inverso rispetto a quanto riferito da strabone, ma,
soprattutto, avrebbero avuto un efetto opposto a quello desiderato, perché avrebbero aumentato la quantità di acqua riversata in Po. Per ottenere l’efetto voluto
da scauro, questi canali dovevano invece essere dei canali scolmatori e quindi
correre da ovest ad est con un andamento subparallelo a quello del Po (Fig. 1). Per
tale motivo, pare logico supporre che essi siano stati impostati nella fascia leggermente depressa immediatamente a sud dell’area di diretta pertinenza del iume.
Questa ricostruzione sembrerebbe di primo acchito andare contro l’indicazione
«Πὰρμης» del geografo greco. In realtà, vista anche l’approssimazione della fonte
utilizzata da strabone nella sua descrizione della pianura padana 2 , nulla vieta di
interpretare il «Πὰρμης» come «ino al territorio parmense» o, addirittura, «ino
al Parma», cioè al iume che attraversa la città. scauro avrebbe dunque aperto dei
canali scolmatori di Po che dal territorio piacentino arrivavano ino al territorio
parmense: l’attuale Canale Rigosa Vecchia, nella bassa pianura identina, è forse
una persistenza di uno di questi canali. Lo farebbe supporre la sua posizione e il
fatto che, lungo di esso, si dispongono numerose fattorie romane, distribuzione
che sembra coerente con una funzione itineraria di questo canale (Dall’Aglio,
1995b).
I canali di scauro vengono dunque realizzati quando i Romani sono ormai
padroni della pianura a sud del Po e controllano anche il settore appenninico.
Questa capillare occupazione del territorio porta a radicali trasformazioni del
paesaggio. stando alla descrizione di Polibio (II, 14), alla metà del II sec. a.C. la
pianura padana è caratterizzata da aree coltivate frammiste a zone coperte da
boschi, in particolare querceti, situazione attestata per la seconda metà del III
sec. a.C. dall’episodio del pretore Lucio Manlio. Nel 218 a.C., il senato romano
decide la deduzione di due colonie di diritto latino, Placentia e Cremona, rispettivamente in territorio boico ed insubre, ma la notizia dell’imminente arrivo di
Annibale induce i Celti a ribellarsi e i triumviri che stavano dividendo il territorio
sono costretti a rifugiarsi nella piazzaforte preesistente alla colonia di Mutina.
Il pretore Lucio Manlio, che con delle truppe avrebbe dovuto proteggere la nascita delle due colonie, si muove verso Mutina, ma deve attraversare ampie zone
sull’interpretazione del brano straboniano si veda Dall’Aglio 2009 e bibliograia ivi citata.
Nella sua descrizione della pianura padana, strabone utilizza una fonte periegetica di I secolo
a.C., Artemidoro d’Efeso (Laserre 1966; Bii 1988). A questa visione, che assume come riferimento
la linea di costa, si deve ad esempio il fraintendimento sull’apertura della via Emilia tra Rimini e
Piacenza e della Flaminia «minore» tra Bologna e Arezzo nel 187 a.C. (Dall’Aglio, 1995a).
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BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
Fig. 1. La bassa pianura emiliana tra i iumi Trebbia e Parma, con l’indicazione dell’andamento dei
canali navigabili di Marco Emilio scauro.
boscate, dove viene più volte assalito dai Galli, ino a quando esce di nuovo in
campo aperto e può rifugiarsi a Tannetum, oggi sant’Ilario, lungo la via Emilia,
tra Parma e Reggio Emilia (Polyb., III, 40, 11-14; Liv., XXI, 25, 9-14). Il già citato
passo straboniano circa la boniica della pianura padana operata da scauro ci
restituisce a sua volta la presenza, ancora alla ine del II sec. a.C., di ampi settori
con problemi di drenaggio. Per il III-II sec. a.C. abbiamo dunque una situazione
ambientale fatta di zone aperte e coltivate, frammiste ad ampi spazi a bosco e a
estese aree vallive e paludose3. si tratta di un quadro ben diverso da quello delineato dalle fonti letterarie e archeologiche per i secoli seguenti, e in particolare per
la prima età imperiale, caratterizzata da un popolamento estremamente difuso
e da un’agricoltura intensiva estesa praticamente a tutta quanta la pianura, oltre
che al settore collinare. Questa intensa messa a coltura del territorio presuppone
un’eicace regimazione delle acque supericiali e dei iumi che, in pianura, viene
attuata all’interno della centuriazione. Proprio a questa forte e difusa presenza
antropica e alla sistemazione territoriale legata alla centuriazione si deve tra l’altro l’importante protendimento della linea di costa in corrispondenza della foce
del Po attestata dalle fonti. secondo lo Pseudo scilace, nel IV secolo a.C. la città
etrusca di spina si trovava a 20 stadi dalla costa, cioè a circa 3,5 km (Pseud. scyl.,
18). stando a strabone, che, come si è detto (cfr. nota 2), pur scrivendo nel I secolo
d.C., riferisce una situazione di un secolo più antica, spina nel I secolo a.C. distava
Questo quadro è confermato, per il territorio bolognese, dalle più recenti indagini paleoambientali, in particolare dalle analisi polliniche: cfr. Marchesini, Marvelli, 2009.
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CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
90 stadi (16,5 km circa) dal mare (strabo, V,1,7). Tra IV e I secolo a.C. la linea
di costa è quindi avanzata di ben 13 km, cioè mediamente più di 3 km ogni 100
anni. Oltre alla distanza di spina dal mare, in strabone c’è un altro particolare
importante per individuare i motivi di questo forte protendimento della linea di
costa. Il geografo di Amasea riferisce che, alla foce del Po, vi erano delle barre
che impedivano alle imbarcazioni di passare dal mare al iume. Avanzamento
della linea di costa e presenza delle barre di foce sono riconducibili ad un unico
fenomeno, vale a dire all’aumento della quantità di materiale solido riversato in
Adriatico dal Po, ben al di là della normale attività del iume. L’unico avvenimento che ha potuto produrre un cambiamento così radicale è il tracciamento
della centuriazione e la contemporanea capillare occupazione del territorio da
parte dei Romani, messi in atto dopo la ine della guerra annibalica. Il sempre più
massiccio sfruttamento agricolo del territorio, con conseguenti disboscamento,
dissodamento e aratura, portò nel settore montano ad un incremento dei fenomeni erosivi e, di conseguenza, ad un sensibile aumento degli apporti di materiali solidi nei collettori idrici principali. All’interno della generale sistemazione
idraulica del territorio, i vari corsi d’acqua erano ormai arginati, per cui non
potevano più spagliare liberamente nella pianura e, nel contempo, gli interventi
di boniica li avevano privati delle loro naturali casse di espansione. L’aumentato
carico solido iniva così direttamente in Po, il quale, verosimilmente anch’esso
in una qualche misura regimato, lo scaricava in Adriatico, provocando in questo
modo sia la sensibile progradazione del delta sia la formazione delle barre di foce.
Che il modello ricostruttivo qui delineato sia efettivamente valido, è dimostrato
dall’assenza di qualunque accenno a barre di foce in Polibio e dalla citazione di
Plinio (Nat. Hist., III, 119) di canali navigabili utilizzabili anche da navi di un
certo tonnellaggio tra il mare e il delta. Polibio, infatti, scrive in un momento, il
II sec. a.C., in cui la romanizzazione è all’inizio e ancora sostanzialmente limitata
alla pianura a sud del Po, per cui gli interventi sul territorio non sono ancora tali
da provocare ripercussioni nella zona del delta. A sua volta, Plinio si riferisce ad
una situazione successiva rispetto a quella descritta da strabone, situazione in cui
l’uomo è oramai intervenuto per correggere e sistemare gli efetti provocati dalla
capillare presa di possesso del territorio (Dall’Aglio, 2000).
La centuriazione, dunque, non è solo un sistema volto a deinire dei lotti di
terreno da assegnare ai coloni, ma è al tempo stesso un intervento di boniica e
valorizzazione del territorio. Lo vediamo nella pianura padana, ma lo vediamo
anche altrove, ad esempio nella pianura tra Pistoia e Firenze. Qui, nel III sec.
a.C., c’erano ampie paludi, quelle stesse paludi che a fatica Annibale attraversò
nel 217 a.C. quando scese in Italia centrale. stando a quanto narrato dai diversi
autori, in particolare da Polibio e Livio, Annibale valicò l’Appennino nel settore
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BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
modenese4 , scendendo così nella zona del Monte Albano, ad ovest di Pistoia.
Dopo aver seguito per un tratto le colline, dovette attraversare la piana per uscire,
come dicono le fonti, del tutto inatteso nella zona di Fiesole. L’attraversamento
delle paludi fu particolarmente diicile: durò quattro giorni e tre notti e Annibale
perse un occhio per un’infezione. Tutto questo perché, come dice Livio: «luvius
Arnus [paludes] per eos dies magis inundaverat» (Liv., XXII, 2). Il legame tra presenza di aree paludose e iume Arno è peraltro perfettamente giustiicato dalla
geomorfologia del settore. La pianura pistoiese-iorentina è, come gli altri bacini
della Toscana settentrionale, un antico invaso lacustre colmatosi nel Villafranchiano. A diferenza degli altri bacini, però, che si colmarono progressivamente
trasformandosi in valli luviali, qui, e soprattutto nel settore meridionale, si ebbe
un continuo alternarsi di fasi di deposizione luviali e lacustri. Questo perché
l’emissario della conca è costituito da una stretta gola, la Gola della Gonfolina, una valle sovraimposta che l’Arno ha faticosamente aperto dentro un’unità
litologica – il Macigno – particolarmente competente. La ridotta sezione della
Gonfolina provoca necessariamente problemi di delusso, con conseguenti rigurgiti e allagamenti, che diventano particolarmente importanti quando si ha
una piena contemporanea dell’Arno e dell’Ombrone, che riversa in Arno le sue
acque e quelle di tutti i suoi aluenti subito prima della Gola. Tutte le alluvioni
di Firenze, compresa quella disastrosa e celeberrima del 1966, così come quelle
che interessano il territorio pistoiese, hanno alla base questa particolare situazione. Non potendo eliminare l’ostacolo della Gonfolina, per ridurre il pericolo
di alluvioni o, quanto meno, i fenomeni di impaludamento, è necessario tenere
sotto controllo i iumi e creare e mantenere in perfetta eicienza una rete di
drenaggio e di governo delle acque supericiali. Ė ciò che fecero i Romani attraverso il disegno della centuriazione, che coprì, sia pure con orientamenti diversi,
i territori di Florentia e Pistoriae5.
D’altra parte, il fatto che la centuriazione non possa prescindere da un confronto con i corsi d’acqua è ampiamente attestato dai testi degli agrimensori latini.
Un principio di base espresso da questi autori è quello della necessità di una manutenzione eicace e razionale degli argini dei corsi d’acqua, la quale, in linea di
massima, spettava ai privati che possedessero o disponessero di fondi coninanti
con il corso d’acqua stesso, per il tratto appunto che li concerneva. Tale manutenzione doveva tra l’altro essere efettuata in modo da non arrecare alcun danno ai
4 Ė infatti in questo settore dell’Appennino emiliano che vanno cercati quei valichi alti e sconosciuti ai Romani che, secondo la narrazione di Polibio e Livio, sarebbero stati utilizzati da Annibale.
Cfr. Capecchi, Dall’Aglio, Marchetti, 1988.
5
su queste due centuriazioni si rimanda rispettivamente a Castagnoli, 1948 e Berti, 1985.
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CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
vicini6. Ciononostante, i iumi potevano rendersi protagonisti di eventi alluvionali
anche di una certa violenza, che portavano a modiicarne il percorso, con inevitabile danno per quanti possedessero o usufruissero dei terreni posti in prossimità
dell’alveo7. E’ per questo che diversi autori prescrivono la deinizione di una sorta
di area riservata al iume, che doveva naturalmente includere lo spazio occupato
dall’alveo stesso e, idealmente, una fascia «di rispetto» lungo i suoi argini, una
sorta di cassa di espansione volta ad assicurare, in caso di esondazione del iume,
che nessun privato ne ricevesse danno8.
Concretamente, come ci informa in modo puntuale siculo Flacco, si poteva
procedere in diversi modi, sia includendo il territorio di pertinenza del iume
nella divisione agraria, per poi escluderlo dalle assegnazioni, conferendogli lo
statuto giuridico di subsecivum, sia addirittura escludendolo dalla divisione9. E’
emblematico a questo proposito il caso del iume Foglia (antico Pisaurum), nel
territorio coloniale di Pesaro (Pisaurum), cui l’autore della divisione agraria assegnò, molto saggiamente secondo siculo Flacco, un territorio di pertinenza10.
Erano tuttavia frequenti i casi in cui, per varie ragioni – ad esempio l’esiguità del
territorio disponibile – iumi, anche di una certa importanza (non mediocria),
erano inclusi nell’assegnazione (Agenn., De contr. agr., 43, 12-24 h.). sappiamo
dallo stesso Agennio che una situazione di questo tipo si veriicò nel territorio
della colonia di Emerita Augusta (Mérida, in spagna), attraversata dal iume Ana
Hyg., De gen. contr., 87, 4-88, 3 h., con particolare riferimento alla normativa stabilita per il
Po, e Agenn., De contr. agr., 43, 9-11 h. Per un’ampia ed esaustiva panoramica sulle fonti letterarie e
giuridiche antiche sull’argomento, con particolare riguardo all’esigenza – espressa nei testi dei giuristi
latini – di conciliare utilità individuale e interesse collettivo, si rimanda al recente Maganzani 2010,
in specie alle pp. 248 e 253-258.
7 si veda ad esempio Agenn., De contr. agr., 42, 18-43, 8 h., che riporta l’esempio del Po e dei
iumi della Gallia Togata.
8 Hyg., De cond. agr., 83, 7-12 h.: «Fluminum autem modus in aliquibus regionibus intra centurias exceptus est, id est adscriptum FLUMINI TANTUM, quod alveus occuparet. Aliquibus vero regionibus non solum quod alveus occuparet, sed etiam agrorum aliquem modum lumini adscribsit, quoniam
violens torrentior excedit frequenter circa alveum et centurias»; o ancora, in De gen. contr., 88, 4-9 h.:
«Scio enim quibusdam regionibus, cum adsignaretur agri, adscriptum aliquid per centurias et lumini.
Quod ipsum produit auctor dividendorum agrorum, ut quotiens tempestas concitasset luvium, quo[d]
excedens [alpes] alveum per regionem vagaretur, sine iniuria cuiusquam delueret».
9 sic. Flac., De cond. agr., 121, 26-122, 3 h.: «In quibusdam regionibus luminum modus assignatione cessit, in quibusdam vero tamquam subsecivus relictus est, aliis autem exceptus inscriptumque
FLUMINI ILLI TANTUM».
10 sic. Flac., De cond. agr., 122, 3-8 h.: «ut in Pisaurensi comperimus DATUM ASSIGNATMQUE
ut VETERANO, deinde REDDITUM SUUM VETERI POSSESSORI, FLUMINI PISAURO TANTUM, IN
QUO ALVEUS; deinceps et ultra ripas utrimque aliquando adscriptum modum per omnes centurias, per
quas id lumen decurret». si veda anche la menzione di Agennio Urbico, De contr. agr., 44, 22-23 h.:
«nam et in Italia Pisauro lumini latitudo est adsignata eatenus, qua usque adlavabat».
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82
BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
(l’odierno Guadiana), dove il iume fu appunto incluso nell’assegnazione. solo
in un secondo tempo, con Vespasiano, l’area prossima al iume fu recuperata e
lasciata inassegnata, in quanto area di pertinenza del iume (Agenn., De contr.
agr., 44, 5-21 h.).
I testi qui riportati mostrano peraltro l’inadeguatezza del luogo comune, iglio
di una concezione tutta moderna degli spazi umidi, in base al quale la centuriazione sarebbe stata pensata e realizzata come una boniica «integrale», allo scopo di
cancellare qualsiasi area incolta o paludosa. Quelli analizzati, come numerosi altri
passi dei Gromatici, ci mostrano che non era così e che, accanto o all’interno della
centuriazione, persistevano zone incolte o paludose, spesso lasciate ad uso comune,
che andavano ad integrare il quadro economico complessivo del territorio e che
potevano, nel corso del tempo, essere anche boniicate e destinate quindi ad usi
diversi11. Ė il caso, ad esempio, di un’area paludosa vicino a Parma che, nel I sec.
d.C., Caio Preconio Ventilio Magno boniica e trasforma in un giardino donato poi
ai «sodales» (Augustales?) perché tenessero qui le loro riunioni conviviali (susini
1960, pp. 153-155). si tratta di un’area limitata, solo 35 iugera, cioè quasi 9 ettari,
ma la sua citazione è importante, perché attesta la presenza di una palude residuale
vicino alla città e quindi in pieno territorio centuriato già all’atto della deduzione
della colonia, nel 183 a.C.
se dunque la tendenza generale era quella di recuperare all’agricoltura spazi
sempre più ampi – anche al di fuori della messa in opera della centuriazione,
come nel caso dell’intervento di Preconio – in particolare per dare risposta alle
aumentate esigenze che l’incremento della popolazione e il mercato richiedevano,
in età romana non si ha comunque una completa cancellazione delle zone incolte,
e in particolare di quelle paludose. Ad esempio, all’epoca della guerra tra Ottaviano e Antonio, la via Emilia tra Bologna e Modena attraversava delle paludi,
come si ricava dalla descrizione, fatta da Galba a Cicerone (Cic., Ad fam., 10, 30:
«Posteaquam angustias paludis et silvarum transiimus, acies est instructa a nobis»),
della battaglia combattuta nella zona di Forum Gallorum nell’aprile del 43 a.C., e
dal Bellum Civile di Appiano (III, 70). A sua volta Tacito (Hist. III, 9), narrando
le vicende della guerra tra Otone e Vitellio, dice che Cecina pose i propri accampamenti nella zona di Ostiglia, nella bassa pianura veronese, in modo che fossero
difesi alle spalle dal iume Tartaro e sull’altro lato dalle paludi formate da questo
corso d’acqua. Cambiando territorio, l’esistenza di zone paludose è indirettamente
11 sulla consistenza e il ruolo dell’incolto e, in particolare, delle zone umide, nell’antichità romana, si veda Traina 1988, che sottolinea come la loro scarsa presenza nelle fonti scritte si debba a una
rimozione mentale della «marginalità» che esse rappresentavano rispetto a una visione dello spazio
urbanocentrica, piuttosto che a una loro efettiva assenza dal paesaggio antico.
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CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
attestata, pur nella genericità delle formula giuridica, dalla rubrica LXXIX della
Lex Coloniae Genetivae Iuliae (CIL II2, 5, 1022), che sancisce il libero accesso a
«qui luvi rivi fontes lacus aquae stagna paludes sunt in agro»12. Queste zone umide,
pur essendo generalmente valutate in modo negativo nei trattati di agricoltura13,
anche per i «rischi sanitari» che comportavano14, di fatto non risultavano essere
del tutto improduttive ma, anzi, erano utilizzate per diversi scopi: dall’allevamento
alla coltivazione della canna, e, cosa per noi abbastanza strana, a quella della vite.
Particolarmente signiicativa, a questo proposito, è la menzione delle vendemmie
palustri nel territorio patavino (Plin., Nat. Hist. XIV, 110), in un’area cioè sicuramente centuriata, a dimostrazione di come, anche all’interno di aree intensamente
coltivate e regolarmente divise e assegnate, vi fossero settori che non potevano
essere interamente prosciugati.
2. PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO IN
ETÀ ROMANA
Come si vede da questi esempi, per l’età romana abbiamo attestati, da un lato,
una sistemazione complessiva della rete idrograica attraverso la centuriazione,
dall’altro, interventi puntuali di regimazione e boniica che possono riguardare sia
aree non centuriate, come quelle interessate dall’escavazione dei canali di scauro,
sia settori compresi all’interno delle maglie centuriali, come la palude boniicata
da Preconio, ma che comunque avvengono al di fuori e indipendentemente dalla centuriazione. Tra queste due diverse categorie di interventi c’è una diferenza
fondamentale di scala. La centuriazione riguarda sempre e comunque un territorio
decisamente ampio, mentre i singoli interventi di regimazione, come quello di scauro, o di boniica, come quello del prosciugamento della palude presso Parma, aree
più ridotte. siamo quindi di fronte a due diversi approcci territoriali, per i quali ci
sembra corretto utilizzare una terminologia speciica, distinguendo tra pianiicazione, nel primo caso, e gestione, nel secondo. si tratta di due termini spesso impiegati
come sinonimi quando si parla di territorio, ma che, nel moderno lessico degli
urbanisti, indicano in realtà interventi di natura diversa. Per pianiicazione territoriale, infatti, si intende di norma una sistemazione territoriale complessiva, che va
12 su questa legge si veda Mangas, Garcia Garrido, 1997, mentre sul passo in questione si rimanda
a Casciano 2004.
13 Così, ad esempio, si esprime Columella (I, 5): «Deterrima palustris, quae pigro lapsu repit.
Pestilens, quae in palude semper consistit».
14
Cfr. Varro, De re rustica, I, 12: «Advertendum etiam, siqua erunt loca palustria, et propter
easdem causas, et quod crescunt animalia quaedam minuta, quae non possunt oculi consequi, et per
aera intus in corpus per os ac nares perveniunt atque eiciunt diicilis morbos».
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BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
ad individuare le destinazioni d’uso delle diverse zone all’interno di un territorio
vasto15; il concetto di gestione riguarda invece interventi puntuali, messi in atto
per governare singole aree o singoli fenomeni (Petroncelli, 2005). La centuriazione,
per il fatto di disegnare un territorio nel suo complesso, individuando le aree da
coltivare, quelle che per motivi ambientali e/o economici devono rimanere incolte e
stabilendo il tipo di proprietà, rientra nelle attività di vera e propria pianiicazione.
I singoli interventi di regimazione e di sistemazione territoriale, compresi quelli
inalizzati alla compiuta realizzazione della centuriazione, sono invece interventi di
gestione del territorio. Questo diverso signiicato, legato principalmente alla diferente scala di intervento, ha delle implicazioni politiche e giuridiche decisamente
importanti, che non possono essere trascurate. Dietro a un atto di pianiicazione
territoriale deve necessariamente esserci un potere centrale forte, dato che si tratta di organizzare un territorio vasto, deinendone o rideinendone le destinazioni
d’uso e il disegno, e modiicandone quindi anche lo stato giuridico e l’assetto. Gli
interventi di gestione, invece, possono essere anch’essi attuati dal potere centrale,
sia perché relativi ad aree demaniali, sia per le loro dimensioni e inalità, com’è ad
esempio il caso dei canali scolmatori del Po, che vengono aperti da scauro nella
sua qualità di magistrato, ma possono essere realizzati anche da semplici privati,
come avviene per la palude boniicata da Preconio. Pianiicazione e gestione del
territorio non possono quindi essere confusi ed usati indiferentemente, perché
presuppongono situazioni politiche e giuridiche diverse, che spesso si riferiscono
anche a quadri storici diferenti.
3. INTERVENTI SUL TERRITORIO DI ETÀ MEDIEVALE:
PIANIFICAZIONE O GESTIONE?
se per l’età romana la distinzione tra pianiicazione e gestione è complessivamente agevole, visto l’impatto che la romanizzazione ha di norma avuto sul territorio, non altrettanto si può dire per i secoli successivi. Ciò che è chiaro è che, per
il territorio italiano, la questione si ripresenta solo con l’età comunale, quando un
potere centrale relativamente forte, il Comune, torna ad intervenire in prima persona e in modo apparentemente organico nel proprio territorio. Nei secoli precedenti
non si ha nulla di tutto questo. In età gota, ad esempio, la politica di Teoderico è
rivolta soprattutto al ripristino delle città più che ad un recupero del territorio, e
gli isolati interventi realizzati in questo settore si devono per lo più all’iniziativa
15
si predilige dunque in questa sede un’accezione tecnica del termine, legata a una programmazione complessiva del territorio, quale appunto è in uso nella moderna disciplina urbanistica, ad
una esclusivamente fondata sulla regolarità della morfologia agraria.
85
CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
di singole comunità o di privati. E’ questo, ad esempio, il caso della pianura di
Terracina, dove il prosciugamento delle paludi è attuato da Decio, che ottiene in
cambio dal re i terreni da lui boniicati (Cassiod., Variae, II, 32, 33) o di diverse
zone paludose nel territorio spoletino, anche queste concesse a dei privati (Cassiod.,
Variae, II, 21). L’unico intervento di Teoderico a livello più generale sembra essere
l’invio nelle diverse parti del regno di agrimensori, con l’incarico di recuperare i
segni degli antichi conini, soprattutto nelle zone lasciate incolte e ormai occupate
dal bosco (Cassiod., Variae, III, 52).
successivamente, la guerra greco-gotica prima e l’invasione longobarda poi,
con la continua lotta tra Longobardi e Bizantini, impediscono una politica organica di interventi sul territorio, a fronte di un progressivo e generalizzato dissesto
dovuto, da un lato, ad una sempre minore presenza antropica, dall’altro, ad un
forte peggioramento climatico (Dall’Aglio, 1998). Quando, a partire dal VII secolo,
si torna a rioccupare il territorio e a rimettere a coltura le aree abbandonate nei
secoli precedenti, saranno le grandi famiglie o gli enti religiosi, in particolare i
monasteri, che, direttamente o attraverso contratti di aitto, intraprenderanno
questa nuova opera di boniica e organizzazione del territorio. Così, ad esempio,
nella pianura emiliana occidentale sarà la potente famiglia degli Obertenghi a rimettere a coltura il settore della pianura di Fiorenzuola, nel territorio piacentino,
attraverso la Curtis Aucia o Maior, l’odierna Cortemaggiore, mentre la pianura a
NE di Modena, interessata dagli spagliamenti e dalle divagazioni del Panaro, sarà
recuperata dall’abbazia di Nonantola, fondata nel 752 da Anselmo per volere del re
longobardo Astolfo, suo cognato. Più ad est, nella pianura tra Faenza e Ravenna,
sarà probabilmente il monastero ravennate di sant’Andrea Maggiore che promuoverà la rimessa a coltura delle terre della massa Sancti Illari, corrispondenti a parte
dell’attuale territorio di Lugo, ridisegnando pragmaticamente i limiti centuriali
romani che qui erano stati cancellati da un importante e prolungato fenomeno di
impaludamento, ma che erano rimasti in funzione nelle più alte zone contermini
(Fig. 2) (Franceschelli, Marabini, 2007, pp. 151-153; Franceschelli, 2008, pp. 80-89).
Accanto a questi, non va dimenticata l’iniziativa individuale o di qualche comunità locale, anche se in pianura essa sembra avere, come rileva Menant per la zona
lombarda (Menant, 1993), un’importanza marginale.
Per quanto si tratti di interventi di un certo rilievo, che modiicano anche profondamente il paesaggio, essi rispondono ad esigenze locali e non sono inscritti in
un piano territoriale unitario e programmato. sono le diverse esigenze economiche
e le contingenti disponibilità di risorse a determinare, di volta in volta, le scelte e
a portare a questo o a quell’intervento.
sarà, come si è detto, solo con l’età comunale, e in particolare col XIII secolo,
che un potere centrale ricomincerà a intervenire direttamente sul proprio territo86
BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
Fig. 2. Persistenze della centuriazione nella pianura lughese, con indicazione
dell’idrograia e delle aree di impaludamento tardoantico/altomedievali. In
rosso è segnata la zona di ripristino centuriale, verosimilmente attuato nel
primo Medioevo.
rio. In quasi tutti gli statuti comunali16 giunti ino a noi, sono numerose le rubriche
che riguardano appunto lavori di risistemazione del territorio decisi e intrapresi
direttamente dal Comune o, più frequentemente, attraverso corveés imposte alle
comunità locali. Così, per citare un caso emiliano, il IV libro degli statuti di Parma è interamente dedicato agli interventi relativi alle infrastrutture territoriali,
come indicato dal titolo: «De viis et stratis, aquis et dugariis et pontibus et aliis
laboreriis communis». Attraverso la lettura di questo libro si assiste alla messa in
opera e regolamentazione di una vasta rete di canali, che, qui come altrove, hanno
diverse inalità: da un lato servono per assicurare la necessaria forza motrice ai
mulini, dall’altro sono indispensabili per tenere pulita la città e, soprattutto, per
evitare gli impaludamenti nella campagna (Rinaldi, 2005). Quello di Parma non
16
Per gli statuti cittadini e per il loro valore e signiicato politico si rimanda a Chittolini, 1991.
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CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
è, come si è detto, un caso isolato. Rubriche analoghe le troviamo in altri statuti,
come ad esempio, sempre in territorio emiliano, in quelli di Reggio Emilia, dove,
tra gli interventi decisi nel 1266 e 1267, ci sono la risistemazione di tutti i canali
che dal pedemonte arrivavano in pianura nella zona di Campagnola, a NO della
città (lib. III, rubr. XXIV), e l’escavazione di nuovi canali nella zona di Bagnolo
e «Gurgum», a nord di Reggio (lib. I, rubr. XLIV). La stessa dinamica si riscontra
anche negli statuti di Bologna, dove il IX libro, già nella sua redazione del 1250,
contiene 572 rubriche dedicate ad interventi su strade, ponti e corsi d’acqua, in
particolare il savena, (Rinaldi 2005), compresi numerosi raddrizzamenti ed escavazioni all’interno dei vari alvei per facilitare il delusso dell’acqua ed evitare le piene.
Interventi analoghi li abbiamo anche fuori dalla pianura padana. Ad esempio, nella
pianura iorentino-pistoiese, che, come abbiamo visto, era occupata nel III sec. a.C.
da vaste paludi boniicate poi in età romana, gli statuti di Pistoia ci mostrano come
questo Comune intervenga scavando dei nuovi alvei per i torrenti Brana, Bure e
stella, in modo da spostare più a valle la loro conluenza con l’Ombrone ed evitare
così gli impaludamenti che periodicamente si veriicavano nella zona di Piuvica,
a sE di Pistoia, a causa dei problemi di drenaggio provocati, come già si è detto,
dalla Gola della Gonfolina.
Notizie di interventi di questo genere sono riportate non solo negli statuti,
ma anche in altre fonti letterarie, quali in particolare le varie Cronache cittadine.
Negli Annales Cremonenses, ad esempio, si legge che, nel 1183, i Milanesi chiusero
un fossato aperto dai Lodigiani dal Lambro alla loro città e che, nel 1198, «lectum Murmure factum fuit et Murmura ducta et tracta fuit Cremonam»17, mentre
salimbene de Adam riferisce che, nel 1283, il Comune di Parma fece scavare un
canale tra sorbolo e Brescello per far deluire le acque del Rio Gambalone, perché
«omnes campos inferiores, qui erant sub strata, sua inundatione madefaciebat, ita
ut agricolture deservire non possent» (vol. II, p. 760)18. Da un’opera di tutt’altra
natura, il De magalibus Mediolani, composta da Bonvesin della Riva attorno al
1288, abbiamo un’immagine di Milano e del suo territorio solcati da diversi corsi
d’acqua naturali, ma anche da molti canali, come il Muzza, che venne aperto nel
1220, mentre era podestà Amizone da Lodi. Allo stesso modo, anche i documenti
d’archivio ci parlano della realizzazione di quest’ampia rete di canali e soprattutto
dell’utilizzazione dell’acqua per irrigare i campi, in un continuo e interdipendente
rapporto tra ampliamento delle aree coltivate ed estensione della rete di distribu17
Interessante è l’etimologia proposta negli Annales per «Murmura»: «et Murmura dicta est
quia homines murmurabant ex ea et nam ex expensa civium et forensium Cremonensium facta fuit».
Per i passi qui citati: Annales Cremonenses, in MGH, Scriptores, vol. 31, pp. 9-10.
18 I riferimenti all’opera di salimbene si riferiscono all’edizione del 1966 a cura di G. scalia.
88
BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
zione delle acque. In tutto questo processo, l’intervento dei Comuni si situa come
momento in un certo senso inale, che segue le operazioni di boniica attuate nei
secoli precedenti. Nella pianura padana, infatti, si riconosce una prima fase in
cui si ha la progressiva boniica delle zone umide attraverso la realizzazione di
fossati che conluiscono nei colatori naturali, per iniziative individuali o di poteri
locali, in genere poco o afatto coordinati tra loro. L’attività dei Comuni è invece
volta soprattutto alla realizzazione e/o sistemazione dei grandi collettori, che costituiscono l’ossatura della rete di navigazione e distribuzione delle acque, e alla
costruzione delle opere di arginatura dei iumi principali (Menant, 1993)19. La
maggiore ampiezza degli interventi, se da un lato è legata, come si è detto, ad una
ritrovata capacità di governare un territorio nel suo insieme, dall’altro presuppone
anche dei «saperi» tecnici che vanno al di là di una conoscenza empirica: non a
caso, nelle rubriche degli statuti si legge che, per dirigere i lavori, devono essere
scelte delle persone esperte20 e vengono istituite apposite magistrature.
Le diverse fonti ci attestano quindi un’intensa attività di regimazione delle acque, che però non porta ad una campagna interamente boniicata. Così, ad
esempio, due rubriche degli statuti parmensi riguardano la «palude de Petrabalana», posta a NO della città. Nella prima (Statuta Communis Parmae digesta anno
MCCLV, lib. IV, pp. 20-21) si parla di opere di arginatura e dell’escavazione di un
canale mediano, mentre nella seconda, più recente, (Statuta Communis Parmae
ab anno MCCLXVI ad annum circiter MCCCIV, lib. IV, p. 40) vengono concesse
esenzioni iscali a chi viveva in questa palude e in quelle, poste nella medesima
zona, di Vicomero e Castelnuovo, esenzioni che vengono date «propter utilitatem
loci», inalizzate cioè a favorire, attraverso l’insediamento, il loro recupero. Un
secolo più tardi, tra il 1312 e il 1320, è il Comune di Reggio che cerca di favorire l’insediamento di coloni nella grande palude denominata «Gurgum», che si
estendeva nella pianura a nord della città, nella zona a valle degli attuali centri
di s. Michele della Fossa, s. Tommaso della Fossa, s. Maria della Fossa, al ine di
boniicarla e riportarla sotto il pieno controllo del Comune21. Notizie di paludi le
abbiamo anche negli statuti e negli altri documenti pubblici di diversi altri Comuni
19 Un processo analogo che, partendo dall’iniziativa di proprietari e/o piccoli signori locali,
vede subentrare in un secondo momento gli stabilimenti religiosi e poi, solo in ultima istanza, il
potere regale, che interviene alla ine del processo per regolare i conlitti insorti a seguito di interventi di boniica idraulica condotti in maniera poco o per nulla coordinata, è quello descritto da
Elizabeth Zadora-Rio (2004), in particolare per il Medioevo francese.
20
Ad esempio, negli statuti di Reggio Emilia (lib. III, rubr. 35) si legge: «Quod potestas teneatur ire et videre canale Scitule a bocha dicti canalis usque Regium cum sex sapientibus et duobus
magistris qui sciant de aqua, et viso dicto canali et rupturis et frodis faciat aptari».
21 Per l’origine di questa palude e le sue vicende si rimanda a storchi, 1988.
89
CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
della nostra regione, come, ad esempio, in quelli di Bologna, per non parlare di
quelli ferraresi, per i quali si può dire che la conquista della palude sia l’elemento
centrale. Di paludi legate all’esondazione dei corsi d’acqua e alle loro divagazioni
c’è peraltro memoria anche in salibene de Adam, che narra che nel 1247 re Enzo
si accampò nella zona di Fontevivo, a NO di Parma, «iuxta Tarum mortuum»,
che era «quedam aquarum congregatio que egreditur de Taro vivo, tempore quo
superinundat et facit congregationem aquarum ad modum lacus vel stagni» (vol. I,
pp. 279-280). Lo stesso autore, parlando della distruzione nel 1250 del castello di
Busseto, nella bassa pianura identina, dice che era «fortissimum castrum … inter
aquas lacunarum in nemore» (vol. I, p. 503).
La presenza di paludi e zone vallive la possiamo inoltre desumere, sia pure
in modo più generico e cronologicamente non puntuale, anche dal dato toponomastico, attraverso toponimi come Padule, Palù, Paullo, Bagnolo, Lama, Gorgo,
Fossa, Valle, mentre suggestioni, più che vere e proprie indicazioni, ci possono
venire da altre fonti scritte che, per tema e genere, non hanno alcun legame con i
problemi qui trattati. Ė il caso, ad esempio, della famosa novella di Chichibio dal
Decamerone di Boccaccio (novella IV, giornata 6), dalla quale si ricava la presenza,
nel XIV secolo, di paludi lungo l’Arno nei pressi di Peretola, vicino a Firenze, in
zone che in età romana rientravano nell’agro centuriato. Discorso analogo si può
fare sulla base di un’opera più recente come il poema eroicomico La Secchia rapita,
scritto da Tassoni nel XVII secolo e che narra la guerra tra Modena e Bologna del
1325. Nel II libro, Tassoni fa descrivere così il territorio di Crevalcore, nella bassa
pianura tra Bologna e Modena, da un ambasciatore bolognese: «furon già stagni
e valli ime e palustri, / or son campagne arate e piagge amene; / non han però gli
agricoltori industri / tutte asciugate ancor le natíe vene, / ma vi son fondi di perpetui umori / che sogliono abitar pesci canori» (II, 16). Ė evidente che la descrizione
si riferisce all’epoca di Tassoni, ma questo conferma l’esistenza di problemi di
drenaggio particolarmente diicili da risolvere e che quindi possiamo supporre
presenti anche in precedenza.
Il fatto però che in età comunale continuino a sussistere aree umide o paludose
più o meno ampie non mette minimamente in discussione il ruolo fondamentale
che ha avuto l’attività dei Comuni sulla trasformazione del paesaggio e su quella
che potremmo deinire la «razionalizzazione» del territorio. Questo anche perché i
Comuni non si limitano a regimare e gestire le acque supericiali, ma intervengono
anche sulla viabilità. Accanto infatti alle rubriche relative ai canali e, più in generale, ai corsi d’acqua, ne abbiamo anche molte altre che si riferiscono a interventi di
sistemazione delle strade, con il rifacimento della massicciata, l’escavazione o il ripristino dei fossati laterali, la costruzione di ponti, in legno e in muratura. Proprio
questo imponente e generalizzato intervento sulla rete itineraria ha fatto parlare,
90
BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
per il XIII secolo, di una vera e propria «rivoluzione stradale» (Plesner, 1979). In
realtà, va precisato che tutti gli interventi citati nei diversi statuti riguardano per
lo più assi viari preesistenti, di età romana, che sono oggetto di risanamento e
risistemazione, con limitati e occasionali cambiamenti di tracciato, che in pianura
sono di norma dovuti proprio ad interferenze tra strade e corsi d’acqua 22. Ė questo,
ad esempio, il caso della deviazione della via Emilia nel territorio piacentino tra
Fontana Fredda e Cadeo (Fig. 3), provocata dal fatto che il torrente Chiavenna ha
modiicato il proprio corso andandosi a sovrapporre all’antico tracciato della strada
consolare (Marchetti, Dall’Aglio, 1990), o degli interventi citati nella rubrica LIII
degli statuti di Bologna relativi alla strada che andava verso Budrio e Castenaso
perché «propter lumen quod est apud ipsam viam periculosum sit inde ire et multi
boves et currus iam in dicto lumine decidere». Pochi sono invece i casi di strade
aperte ex-novo. In Emilia, i soli due casi certi sono la strada per san Giovanni in
Persiceto, nel bolognese, e quella per Cremona, nel parmense23. Questi due assi
prendono il posto di strade romane interrotte o comunque non più percorribili a
causa dei dissesti avvenuti nella pianura e la loro costruzione è quindi il segno di
una risistemazione del settore da essi attraversato24.
L’età comunale, e in particolare il XIII secolo, è dunque caratterizzata da questa nuova capacità da parte del potere centrale di intervenire sulle infrastrutture
territoriali. A ben vedere, però, tale rinnovata attività non può essere considerata
tout court come una vera e propria opera di pianiicazione territoriale, perché si
tratta per lo più di interventi circoscritti, che mirano a risolvere e modiicare delle
situazioni locali, senza arrivare a ridisegnare e a rideinire complessivamente il
territorio. siamo quindi di fronte a interventi di gestione, più che a una pianiicazione paragonabile a quella legata alla centuriazione.
A questo riguardo, si osserva una tendenza – in una certa bibliograia recente
legata alla disciplina di nuovo conio nota col nome di Archéogéographie25 – a individuare l’apporto fondamentale dato dall’età comunale alla riorganizzazione dell’assetto delle campagne, non tanto in quei provvedimenti localizzati di cui riferiscono
sull’ipotesi del Plesner e sulle perplessità che essa solleva, si rimanda a Dall’Aglio, Franceschelli, 2011.
23 su queste due strade «oblique», si vedano, da ultimio, Franceschelli, 2006, pp. 147-151 e
Dall’Aglio, Franceschelli, 2011.
24
A proposito di questa strada e dei rapporti tra viabilità e acqua, va notato come, negli stessi
statuti in cui si parla della sua costruzione, si dice anche che il tratto tra il Taro e Arzenoldum
(Roccabianca) deve essere costruito su di un terrapieno in modo che «aqua nullomodo possit eam
ascondere aliquo tempore» (Statuta Communis Parmae ab anno MCCLXVI ad annum circiter MCCCIV,
lib. IV, p. 15).
25
Chouquer, 2007; Id. 2010. Per la Francia sud-occidentale, cfr. Lavigne, 2002.
22
91
CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
Fig. 3. Deviazione della via Emilia nella zona di Fontana Fredda. Legenda
della carta: 1 – Tracciato attuale della via Emilia; 2 – Presumibile tracciato
della via Aemilia; 3 – Deviazione del Torrente Chiavenna; 4 – Risorgiva;
5 – sinclinale e relativa depressione assiale.
le rubriche degli statuti o le altre fonti sopra considerate, quanto piuttosto nella
fondazione di un elevato numero di nuovi centri – le villenove – che avrebbero
comportato assegnazioni di terre e, di conseguenza, una nuova organizzazione e
un nuovo disegno del territorio. In realtà, la documentazione d’archivio disponibile mostra prima di tutto che, per quanto si voglia far ricorso anche al dato
toponomastico, tutt’altro che sicuro in questo caso, il numero delle villenove note
per la pianura padana è decisamente basso rispetto all’estensione complessiva di
questo territorio: il loro impatto sul disegno agrario generale risulta essere dunque
abbastanza limitato. Ad esempio, le «vere» villenove – vale a dire quei centri che
nascono ex-novo, escludendo quindi quelli preesistenti per i quali si ha un semplice cambiamento di statuto giuridico – che, dalla documentazione d’archivio,
sappiamo essere state fondate dal Comune di Bologna tra XII e XIII secolo, sono
solo una decina (Zanarini, 2009). Un numero pressoché analogo è attestato anche
per i Comuni di Asti e Vercelli, i due comuni più importanti di tutta l’Italia nord92
BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
-occidentale (Bordone, 2004)26, e per i Comuni lombardi di Brescia e Cremona, che
sembrano essere stati particolarmente attivi in questo senso (Menant, 1993)27. In
secondo luogo, pare scorretto considerare automaticamente tali insediamenti come
delle vere e proprie colonie, perché la loro fondazione si rivolgeva per lo più a chi
già viveva in quel territorio28. La villanova, infatti, ofrendo a chi avesse issato in
essa la propria dimora le medesime condizioni giuridiche di chi abitava in città,
mirava ad attirare coloro che vivevano nei centri vicini e che erano soggetti a qualche signore feudale: andando ad abitare nel nuovo centro, costoro si sottraevano
al rapporto di servitù che li legava al signore locale e diventavano individui completamente liberi. In tal modo, il Comune raforzava il proprio potere e il proprio
controllo sul territorio, a scapito delle grande famiglie feudali, senza arrivare ad
uno scontro militare diretto. Tutto questo meccanismo era dunque basato sullo spostamento, spesso coatto, di popolazione dai nuclei circostanti preesistenti al nuovo
centro, senza andare minimamente a incidere sull’organizzazione della campagna
(Bordone, 2003). Questo anche perché le villenove nascono per lo più in zone già
popolate, cosa che costringe il Comune ad una politica di acquisto dei terreni su
cui costruire il nuovo centro, acquisto che il Comune non sempre riesce a perfezionare in tempi brevi, con conseguenti strascichi giudiziari, come risulta per Bologna
dalla documentazione presentata da Zanarini (2009). Il fatto che il Comune abbia
già diicoltà ad acquisire il terreno necessario per la costruzione del nuovo centro
rende assai improbabile che, in settori comunque già popolati, ci possano essere
state assegnazioni di lotti di terreno ad un congruo numero di coloni inviati qui
da altre zone. Tutt’al più, là dove questi nuovi centri nascono principalmente per
un controllo militare del territorio, sono i milites che possono ricevere a titolo di
ricompensa dei lotti di terreno (Menant, 1993). si tratta però di assegnazioni estremamente ridotte, sia come estensione che come numero, e quindi non imputabili
di aver determinato un nuovo e complessivo disegno del territorio.
Villenove che sono vere e proprie colonie, e che dunque arrivano a modiicare
l’uso del suolo e il disegno del territorio, vanno cercate in zone marginali, ancora
incolte, che il nuovo centro deve appunto recuperare e boniicare. Il loro numero
26 Ė questo un numero perfettamente in linea con le 35 villenove che, secondo Higounet, sarebbero nate ex-nihilo tra XI e XIV in tutto il Piemonte (Higounet, 1970).
27
secondo François Menant (1993) Cremona e Brescia fondano ciascuno 19 borghi franchi,
mentre il Comune di Bergamo solo 4. Di questi 42, quelli sorti ex nihilo sono 19, di cui 10 a Cremona,
8 a Brescia e 1 a Bergamo.
28
Va in questa direzione quanto scritto, a proposito delle bastides della Francia meridionale, da
M. Mousnier (2004, p. 49), che sottolinea come la messa in valore del territorio sia sovente anteriore
alla creazione del nuovo centro e dunque tale creazione non presupponga necessariamente la fondazione di un parcellare organico e coerente ad essa associato.
93
CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
è però decisamente contenuto e, di conseguenza, è contenuto anche l’impatto che
il loro impianto può avere avuto alla scala del territorio comunale. In Romagna,
ad esempio, l’unica villanova di questo tipo è Massa Lombarda, nella bassa pianura
imolese (Fig. 4). Tale insediamento è fondato dal Comune di Imola nel 1251 per
sistemare dei fuoriusciti mantovani (Montanari, 2000), a ciascuno dei quali viene
assegnato un lotto di 60 tornature, in cambio, però, dell’impegno di disboscare e
mettere a coltura nuove terre: «debeat habere a comuni Imole LX tornaturias terre
et plus inter scosam et silvatam … et debeant annuatim ad minus scodere de predicta
terra eis concessa I tornaturiam, plus autem scodere possint ad suam voluntatem»
(Lazzari, 2005, doc. n. 82 del 22/5/1251)29. Ė per questi motivi che Massa Lombarda
è anche l’unica villanova di tutta la Romagna caratterizzata, non solo da una regolarità dell’impianto urbano, ma anche da un’uniformità del disegno del territorio
legata appunto a queste assegnazioni iniziali e alla progressiva messa a coltura di
un settore di pianura, probabilmente interessato da fenomeni di ristagno idrico
conseguenti alla diversione del iume santerno, tra XII e XIII secolo (Franceschelli,
Marabini, 2007, p. 139). In Veneto, dove, secondo recenti studi (Brigand, 2006),
sarebbero diverse le villenove che avrebbero comportato una pianiicazione territoriale, uno dei pochi casi analogo a quello di Massa Lombarda è da riconoscersi
in Villafranca di Verona. Questo centro nasce alla ine del XII secolo in quella che
era la «palus comunis Verone» con il preciso scopo di boniicare il territorio, oltre
che di fungere da baluardo difensivo del conine meridionale del Comune30. Ciò fa
sì che sia possibile riconoscere, come a Massa Lombarda, dei disegni territoriali caratterizzati da una certa regolarità e uniformità che potrebbero efettivamente essere
legati alla fondazione e funzione del nuovo centro. Per gli altri abitati, come quelli
sorti a presidio del conine di territori comunali, un’afermazione analoga sembra
invece essere decisamente più problematica. Ad esempio, il disegno del territorio
attorno a Cittadella, centro fondato da Padova nel 1220, sembra essere organicamente inserito all’interno della centuriazione padovana, con l’unica eccezione di
due settori ad est del paese, dove l’orientamento è leggermente divergente. si tratta
però di un’area estremamente limitata, per cui un suo collegamento diretto con la
nascita del nuovo centro (cfr. Brigand, 2006) resta tutto da provare. Ci sembra più
probabile supporre che si tratti di adeguamenti del disegno alla geograia isica della
zona, senza poterne proporre una cronologia precisa.
29 Per la costruzione dell’insediamento vengono concesse 100 tornature di bosco da cui prendere
il legname per le case. Il Comune a sua volta si impegna a costruire una strada «a strada silicis usque
ad dictam terram» (Lazzari, 2005, doc. cit.).
30
sui motivi della fondazione di questo come degli altri centri veneti citati in seguito si rimanda
a Bortolami, 1992.
94
BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
Fig. 4. Disegno regolare della campagna intorno a Massa Lombarda, legato alla nascita di questo
centro a seguito dell’invio di coloni nel 1251 (cartograia preunitaria).
In conclusione, quindi, le villenove non sembrano essere uno strumento di
pianiicazione territoriale, se non in casi eccezionali, come appunto quelli di Massa
Lombarda o Villafranca. Parlare in questi due casi di pianiicazione territoriale
pare efettivamente corretto, perché c’è l’intervento del potere centrale che deinisce l’utilizzo del territorio e va ad imporre un nuovo disegno unitario. Questo,
95
CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
però, solo se ci si riferisce alla scala del nuovo centro. se invece si ragiona alla scala
dell’intero territorio comunale, allora Massa Lombarda e Villafranca iniscono per
essere anch’essi interventi di gestione, e non di pianiicazione, che danno origine
ad un disegno che è quello di Massa Lombarda o di Villafranca, non del territorio
del Comune di Imola o di quello di Verona.
4. CONCLUSIONE
In deinitiva, dunque, tutti gli interventi infrastrutturali descritti dagli statuti
e dalle altre fonti sopra considerate per l’età medievale non arrivano a produrre,
come avviene invece con la centuriazione romana, un disegno unitario che assorba al proprio interno ogni singolo intervento. si hanno al contrario più disegni,
ognuno dei quali legato a una determinata situazione. Laddove la cartograia, moderna e contemporanea, rivela la presenza di un disegno territoriale unitario a
scala territoriale, la risposta sembra doversi di solito cercare in una «persistenza»
della centuriazione31, che ha continuato ad assorbire e inglobare i nuovi canali,
compresi i navigli32 (Fig. 5), le rettiiche delle strade o addiritura i cambiamenti
Con il termine «persistenza» non si vuole afermare che il paesaggio è rimasto immobile e
immutato nel corso del tempo, cosa concettualmente sbagliata, dato che il paesaggio è di per sé una
realtà in perenne trasformazione (Franceschelli, 2008). si vuole piuttosto sostenere, più semplicemente, che i cambiamenti che si sono veriicati non hanno modiicato o hanno modiicato poco il
disegno impresso dagli agrimensori romani, un disegno che ovviamente, oggi, non è isicamente
materializzato dai limiti tracciati da questi agrimensori, ma da segni che ricalcano l’andamento dei
cardini e dei decumani antichi. Ė vero che il fatto di usare termini come «persistenza» o «conservazione» può dare l’impressione di voler privilegiare l’età romana, ma questo ci sembra che, almeno
per i territori considerati della pianura padana, rientri nella logica delle cose, dato che comunque
la centuriazione – che ha impresso un disegno unitario e a larga scala ad ampie porzioni di territorio – è di età romana, fatto questo che non può essere modiicato anche usando una terminologia
diversa. Ci sembra peraltro che sostenere che gli studi italiani sulla centuriazione promuovano una
visione immobilistica del paesaggio, basando quest’afermazione solo su questioni terminologiche,
sia abbastanza gratuito e denoti tra l’altro una scarsa considerazione o conoscenza della situazione
e della storia degli studi.
32
I navigli di Parma e Bologna, ad esempio, corrono lungo cardini della centuriazione, forse ripercorrendo canali preesistenti, così come avverrà nel XVIII secolo per quello di Faenza (Franceschelli,
Marabini, 2002). sempre nel bolognese, anche il canale che, secondo la Chronica Parva di Riccobaldo
dell’inizio del XV secolo, collegava Ferrara a Bologna, uscendo dal Po di Primaro nella zona di san
Martino della Pontonara e passando nella zona di Lovoleto (Patitucci, 2002), seguiva un cardine
della centurizione romana. A proposito dell’utilizzo da parte dei navigli di assi della centuriazione, è
signiicativo il fatto che il Comune di Parma cerchi di costruire, nel 1283, un nuovo naviglio diretto
verso NE, allo scopo, verosimilmente, di collegare più eicacemente Parma con il porto di Brescello,
ma, secondo quanto narra salimbene de Adam (vol. II, p. 760), sia costretto a desistere proprio per
motivi geograici: «Item quoddam navigium fecerunt …, sed parvi valoris fuit … ut non iret Colurnium
sicut prius, sed per ville Frassenariae naves duceret … et per Frassenariam parvi valoris erat».
31
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BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
Fig. 5. I navigli di Faenza (in alto) e di Parma (in basso), nella cartograia preunitaria e come
appaiono oggi. Il loro tracciato riprende in entrambi i casi un cardine della centuriazione.
di corso dei iumi, come è accaduto ad esempio per il Montone, a NO di Forlì33.
Ė evidente che il fatto di sottolineare come il disegno centuriale «assorba» talora
gli interventi medievali, così come il ridimensionare il ruolo svolto dalle villenove
nella costruzione del disegno del territorio non signiica afermare che l’età medievale non abbia avuto un ruolo importante nella gestione del territorio e nella
stessa trasmissione dei segni della centuriazione. Gli esempi che abbiamo riportato
mostrano, coerentemente con quella che è l’impostazione e la tradizione degli studi
33
Qui il iume, una volta superata la via Emilia, piega verso NO, seguendo l’andamento di un
decumano, per poi descrivere una brusca curva a 90° e andare così a sovrapporsi ad un cardine della
centuriazione.
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CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
territoriali della scuola storico-topograica bolognese, come si sia perfettamente
consapevoli del fatto che, a partire dal VII secolo, ci sia una progressiva rioccupazione del territorio, con una rimessa a coltura delle campagne. In pianura questa
ripresa, laddove non c’è stata soluzione di continuità con una radicale trasformazione della geograia isica, di norma avviene mantenendo o recuperandendo le
linee e il disegno che gli agrimensori romani avevano impresso al territorio con
la centuriazione. Dove invece i cambiamenti sono stati più forti e le variazioni di
corso e di regime dei iumi hanno completamente o più profondamente modiicato la situazione ambientale e l’andamento della supericie topograica, si sono
imposti nuovi disegni e orientamenti, funzionali alla nuova geograia. Ė questo,
ad esempio, ciò che avviene nella zona di Bagnacavallo, nella pianura ad ovest di
Ravenna, dove in età altomedievale la chiesa ravennate interviene a sistemare, con
un’organizzazione agraria ex-novo, il recente dosso del santerno, dopo che il iume si è ulteriormente spostato più ad ovest34. In Emilia occidentale, nella pianura
identina e in quella limitrofa di Fiorenzuola, si registra, dopo l’abbandono di età
tardoantica, un prevalente ritracciamento dei cardini perché funzionali allo scolo
delle acque supericiali, mentre i decumani, che avevano un valore più marcatamente catastale, non essendo più coerenti con le nuove unità di misura introdotte
dai Longobardi, vengono obliterati e sostituiti da nuovi limiti. Nella pianura a nord
di Reggio Emilia, invece, dove, come si è visto, c’era un’ampia palude boniicata
solo a partire dall’età comunale, non ci sono pressoché tracce riconducibili alla
centuriazione, a diferenza di quanto avviene a nord-ovest della città, nella zona
tra la via Emilia e Poviglio, dove il disegno attuale riprende quello di età romana
perché siamo in un settore più alto, corrispondente ad un antico dosso dell’Enza,
e quindi più stabile35. Questa serie di considerazioni ci porta inevitabilmente a
dissentire con quanto scritto recentemente da Gerard Choquer secondo cui: «La
centuriation n’est pas restée forte sur les cartes parce que le Moyen Âge est inexistant. La centuriation est devenue forte sur les cartes parce que le Moyen Âge l’a
construite, là où il a été lui-même fort!» (Chouquer 2007), perché in molti dei casi
sopra citati la centuriazione è debole, pur in presenza di un Medioevo forte. Anzi,
essa è debole proprio perché il Medioevo è stato forte. La questione è dunque più
complessa e diicilmente i vari casi di studio possono essere fatti entrare a forza in
uno schema interpretativo omnicomprensivo. E’ indubbio infatti che, sia nel caso
in cui gli interventi medievali, in particolare quelli di età comunale, abbiano por34 Cfr. Franceschelli, Marabini 2007, in specie alle pp. 156-158. sull’importanza e sul ruolo della
chiesa ravennate nella gestione del territorio si rimanda ai contributi di Castagnetti, Fasoli e Galetti
nel secondo volume della storia di Ravenna (Castagnetti, 1991; Fasoli, 1991; Galetti, 1991).
35 si veda in proposito Franceschelli, 2008, con bibliograia precedente.
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BONIFICHE E REGIMAZIONI IDRAULICHE TRA PIANIFICAZIONE E GESTIONE DEL TERRITORIO
tato ad una ripresa del disegno centuriale, sia nel caso opposto in cui essi abbiano
invece prodotto una nuova organizzazione del territorio, ci troviamo comunque di
fronte ad un processo diacronico di lungo corso, che in certi casi è andato ben al
di là dell’età medievale. Non va infatti dimenticato che non si tratta di un processo
lineare, ma che esso si caratterizza per interruzioni, improvvise accelerazione e
regressi: si pensi, ad esempio, alle conseguenze della grande epidemia di peste, la
cosiddetta «peste nera», che imperversò in tutta Europa tra il 1347 e il 1350 e che,
in Italia, dimezzò la popolazione delle città. E’ proprio in questa diversa dimensione temporale che risiede una delle diferenze principali tra i pure importanti e
complessi interventi di età comunale e la centurazione. Entrambi sono frutto di
un intervento del potere centrale ed entrambi sono, in buona sostanza, diretti ad
assicurare lo sfruttamento delle risorse del territorio, ma mentre la centuriazione
è un’operazione che interessa in modo organico e cronologicamente ben deinito
uno spazio ampio36, gli interventi messi in atto dai Comuni sono puntuali, legati
a esigenze contingenti, si diluiscono in un lungo arco temporale e non arrivano a
proporre una visione completamente unitaria, come è invece quella legata all’impianto della centuriazione. sono questi i motivi che ci inducono a considerare gli
interventi sul territorio messi in atto in età comunale come interventi di gestione
più che di vera e propria pianiicazione territoriale, senza con questo nulla togliere
all’importanza di tali iniziative nel processo di deinizione e trasformazione del
paesaggio, in particolare proprio a seguito della progressiva boniica e rimessa
a coltura delle zone umide e della sistemazione e regimazione della rete idrica
(Franceschelli, 2008; Dall’Aglio, Franceschelli, 2011)37.
I dati delle fonti ci sembrano indicare chiaramente che, di norma, non vi è alcuno sfalsamento cronologico tra la decisione di dividere e assegnare un territorio e il tracciamento della centuriazione. si ritiene invece ragionevole supporre, come peraltro propone Favory, 1997, un ritardo
tra disegno centuriale e compiuta realizzazione del paesaggio agrario, anche se tale «decalage» non
può essere molto ampio, ma limitato alle normali esigenze di impianto delle strutture e dei nuovi
abitanti, dato che l’arrivo dei coloni segue immediatamente il tracciamento degli assi. Il caso di
Piacenza ci sembra, a questo proposito, particolarmente illuminante (Franceschelli, 2008, p. 81).
Ciò non esclude, naturalmente, che una pertica centuriale abbia conosciuto ampliamenti anche
molto tempo dopo il suo primo impianto, continuando a svolgere a lungo un ruolo di agente morfo-dinamico. si vedano, tra gli altri, Dall’Aglio, 1988, pp. 196-197 e Franceschelli, Marabini, 2007,
in specie a p. 145.
37
L’analisi delle fonti scritte, la toponomastica e la complessiva lettura del territorio ci restituiscono, infatti, l’immagine di un controllo e di una gestione delle acque sempre più articolata e
forte man mano che progredisce la rioccupazione delle terre abbandonate nel tardoantico. All’interno di questa sistemazione dei corsi d’acqua naturali e della creazione di una vasta rete di canali
di drenaggio e irrigazione, che, oltre a consentire l’utilizzo dei terreni per scopi agricoli, hanno la
funzione anche di assicurare la forza motrice per i mulini e le altre attività e contribuire al rifornimento idrico e alla pulizia delle città, un ruolo di primaria importanza lo hanno i navigli, vista
36
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CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
In conclusione, al di là della questione se sia più corretto parlare di pianiicazione o di gestione per quanto riguarda gli interventi territoriali di età comunale, resta
il fatto che, dopo l’età romana, è solo in questo periodo che, in Italia settentrionale,
si torna ad avere un complessivo controllo dei corsi d’acqua e una gestione delle
risorse idriche a una scala territoriale che vada al di là della singola, per quanto
ampia, proprietà o del contingente consorzio di più proprietà e, dunque, nell’ottica di un vero e proprio governo del territorio. Analizzare quanto avvenuto in età
medievale, riconoscerne le tracce nel paesaggio odierno e cogliere i rapporti con
l’organizzazione territoriale di età romana è fondamentale per ricostruire l’evoluzione dell’assetto del territorio, compreso il diverso grado di «conservazione»
di quella che, comunque, ci sembra essere l’unica vera pianiicazione territoriale
antica del territorio in esame: la centuriazione.
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la centralità che ha assunto nella nostra pianura la navigazione interna dopo la ine del mondo
romano, soprattutto per quanto riguarda il trasporto delle merci. Il venir meno della manutenzione della rete stradale di età romana, pur non portando alla sua scomparsa e alla sua sostituzione
con una rete di sentieri mal deiniti come spesso si legge, ha comunque contributo al passaggio
da un prevalente trasporto delle merci con carri ad un trasporto a dorso di animali (Dall’Aglio,
Franceschelli, 2011). Ciò ha contribuito in misura fondamentale ad un sempre maggiore utilizzo
della via d’acqua che richiedeva tempi di percorso sostanzialmente più brevi e, soprattutto, una
notevole riduzione dei costi (Ruggini, 1961). La risistemazione della viabilità operata dai Comuni
non modiica questo stato di cose, anche perché, da un lato, la situazione si è ormai consolidata,
dall’altro, la frammentazione politica dei vari territori impedisce, ancora una volta, quell’intervento
unitario su vasta scala connaturato alla rete stradale romana.
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CAMINHOS DA ÁGUA. PAISAGENS E USOS NA LONGA DURAÇÃO
RIASSUNTO: L’articolo propone una rilettura dei principali interventi sul territorio realizzati in età romana e
medievale, alla luce dei concetti, complementari ma ben distinti, di pianiicazione e di gestione
territoriale, quali sono stati formalizzati nell’ambito della moderna Urbanistica. Il settore di studio
prescelto è la pianura del Po, in Italia settentrionale, interessata da importanti interventi sul disegno del territorio messi in atto con la centuriazione romana, ma anche sostanziali trasformazioni
in età Medievale, principalmente legate all’attività dei Comuni.
Parole-chiave: Pianiicazione territoriale, Gestione territoriale, Boniica, Centuriazione, età
romana, Medioevo.
ABSTRACT: he aim of this study is to deal with the question of roman and medieval interventions on the
territory. It will be considered with regard to the ideas, complementary but distinct, of territorial
planning and territorial management, as they have recently been deined by the modern Town
Planning Discipline. he study area is the Po plain, in Northern Italy, whose agrarian morphology was radically transformed by roman centuriation. he role of medieval Commons in the
transmission or transformation of the ancient morphology has particularly been considered.
Keywords: Territorial planning, Territorial government, Land reclamation, Roman centuriation,
Roman age, Middle Age.
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