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TRISKELES COLLANA DI STUDI ARCHEOLOGICI VIII Convegno di Studi Dal mito alla storia. La Sicilia nell’Archaiologhia di Tucidide Auditorium della Biblioteca Comunale “L.Scarabelli” Caltanissetta, 21-22 maggio 2011 Organizzato da SiciliAntica, sede di Caltanissetta Con il patrocinio di: Provincia di Caltanissetta, Assessorato alla Cultura Città di Caltanissetta, Assessorato alla Cultura Con il contributo di: Banca di Credito Cooperativo “San Michele” di Caltanissetta e Pietraperzia Amplifon Mi.Lo. di Milazzo & Lo monaco s.n.c. Impresa Venniro Calogero Zirilli regali Comitato Scientifico: Rosalba Panvini, Oscar Belvedere, Calogero Micciché Comitato organizzatore: Massimo Arnone, Marina Congiu, Calogero Miccichè, Simona Modeo, Luigi Santagati Redazione atti: Marina Congiu, Calogero Miccichè, Simona Modeo Segreteria organizzativa: Massimo Arnone, Silvana Chiara, Marina Congiu, Salvatore Marco Difrancesco Calogero Miccichè, Simona Modeo, Federica Spinelli Si ringraziano inoltre: Salvatore Sciascia Editore Istituto Professionale Alberghiero di Caltanissetta SiciliAntica Sede di Caltanissetta Dal mito alla storia. La Sicilia nell’Archaiologhia di Tucidide Atti del VIII Convegno di studi a cura di Marina Congiu Calogero Micciché Simona Modeo SALVATORE SCIASCIA EDITORE PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © Copyright 2012 by Salvatore Sciascia Editore s.a.s. Caltanissetta-Roma www.sciasciaeditore.it sciasciaeditore@virgilio.it ISBN 978-88-8241-390-3 Stampato in Italia / Printed in Italy In copertina: Ritratto in marmo di Tucidide (Royal Ontario Museum) Thuc. VI 3, 2: i Corinzi, Ortigia e Siracusa polyanthropos di Francesca Mattaliano Συρακούσας δὲ τοῦ ἐχομένου ἔτους Ἀρχίας τῶν Ἡρακλειδῶν ἐκ Κορίνθου ᾤκισε, Σικελοὺς ἐξελάσας πρῶτον ἐκ τῆς νήσου ἐν ᾗ νῦν οὐκέτι περικλυζομένῃ ἡ πόλις ἡ ἐντός ἐστιν· ὕστερον δὲ χρόνῳ καὶ ἡ ἔξω προστειχισθεῖσα πολυάνθρωπος ἐγένετο1. Siracusa la fondò l’anno seguente Archia, uno degli Eraclidi da Corinto, dopo aver cacciato in primo luogo i Siculi dall’isola sulla quale, ora che non è più tutta circondata dal mare, sorge la parte interna della città; in seguito, col passare del tempo, anche la parte esterna, inclusa all’interno delle mura, divenne assai popolosa. Nell’archaiologhia siciliana2 del VI libro Tucidide presenta le notizie relative alla fondazione di Siracusa, in accordo a un’ideale di brevitas che ne comprime i confini ai margini del più grande excursus sulla spedizione calcidese. Di Siracusa, Tucidide menziona il nome del fondatore, Archia3, un eraclide proveniente da Corinto; la data, in cronologia relativa di appena un anno successiva a quella di Naxos ritenuta la più antica fondazione siceliota; la presa di possesso del territorio in seguito alla rimozione dell’ethnos siculo e alcune indicazioni geografiche sul popolamento. Questo squilibrio narrativo, scaturito dal contrasto tra il breve paragrafo e l’importante ruolo offerto alla polis siracusana all’interno delle Storie tucididee risulta già parzialmente bilanciato dalla menzione, all’interno della stessa archaiologhia, di alcune vicende siracusane posteriori alla fondazione dell’apoikia: l’espulsione dei Megaresi ad opera del tiranno di Siracusa Gelone, le vicende dei Miletidi, esuli siracusani che in seguito a una stasis abbandonano Siracusa per prendere parte al corpo di spedizione fondatore di Imera, e la fondazione 1 Th., 6, 3, 2. 2 È risaputo come l’intera archaiologhia siciliana presenti un ampio impianto compositivo: un intreccio di stratificazioni documentarie, con una scansione per aree geografiche e un’articolata sovrapposizione cronologica. 3 Su Archia si veda Leschhorn 1984, pp. 13-16. 119 Francesca Mattaliano delle sub-colonie Acre, Casmene e Camarina (e, relativamente a quest’ultima, le vicende di colonizzazione e la distruzione da parte di Ippocrate di Gela)4. Contribuisce al riequilibrio del peso di Siracusa nell’economia narrativa lo stesso impianto cronologico utilizzato da Tucidide: come è noto, la data dell’insediamento corinzio a Siracusa assume un ruolo centrale divenendo la chiave di volta per la datazione di altre fondazioni siceliote. Le scelte compositive si basano pertanto su un preciso parametro selettivo volto a filtrare esclusivamente talune informazioni necessarie all’intelligenza degli episodi narrati e volto a presentare particolarmente le interrelazioni tra gli eventi in termini di stretti rapporti causali. I Corinzi Il paragrafo di VI 3, 2 delle Storie visualizza le principali informazioni sull’apoikia siracusana attraverso una tripartizione del testo (i Corinzi, l’isola di Ortigia e la polyanthropia siracusana) che è sembrata funzionale a un’analisi separata di tre livelli di documentazione e progressiva scansione cronologica presenti. Il primo di essi, privilegia, per l’appunto, il protagonismo ecistico dell’eraclide Archia, e l’arco di tempo individuato prende in considerazione, in una visione inglobante, la partenza da Corinto, l’espulsione dei Siculi da Ortigia e il successivo impianto nell’area: nessun cenno pertanto all’entità del corpo di spedizione siracusano, ma soltanto un riferimento alla polis di provenienza della missione, o, più precisamente, del suo condottiero. La relazione di filiazione tra apoikia siracusana e madrepatria corinzia trova così una linearità diretta che seleziona soltanto i termini estremi del percorso di fondazione. Altre tradizioni, se conosciute, non sono scartate del tutto, ma neanche prese in esame, piuttosto, relegate nel limbo di un percorso indiziario non utile ai fini della narrazione. Il riferimento più immediato a versioni alternative presenti nelle fonti è per noi certamente il testo di Strabone5, sia per la descrizione delle vicende del contingente dorico staccatosi dagli apoikoi di Megara per fondare Siracusa, sia per la contemporaneità riscontrata tra la missione di Archia e le vicende di Miscello fondatore di Crotone e di Chersicrate ecista di Corcira. Nella sesta Olimpica pindarica6, inoltre, si legge della compartecipazione alla fondazione di Siracusa di un membro degli Iamidi, nota famiglia sacerdo4 Si vedano rispettivamente Th., 6, 4, 2; 6, 5, 1; 6, 5, 2-3. 5 Str., 6, 2, 4. Alla medesima fonte (Eforo) sembra risalire il più succinto resoconto dello 120 Pseudo-Scimno (vv. 278-282), che riferisce, come Strabone, di un contingente di Dori di ritorno dalla Sicilia stanziatosi presso il Capo Zefiro e raccolto da Archia in procinto di fondare Siracusa. 6 Pi., O., 6, v. 6. Thuc. VI 3, 2: i Corinzi, Ortigia e Siracusa polyanthropos tale arcadica; una serie di altre tradizioni, infine, enfatizza la filiazione argiva della apoikia siracusana incrinando ulteriormente l’assolutismo dell’equazione Corinto-Siracusa7. Relativamente al problema di un’origine argiva, René Van Compernolle ha il merito di aver alimentato il dibattito sulla madrepatria siracusana in un acuto intervento dal titolo provocatorio «Siracusa colonia d’Argo (?)»8 aprendosi alla possibilità, offerta da talune testimonianze storiche e ritrovamenti archeologici, di intendere Siracusa come fondazione argiva piuttosto che siracusana. Le fonti esaminate dallo studioso sono il Marmor Parium9 (spesso rigettato dagli studiosi sulla scorta del giudizio di Jacoby10) che vorrebbe Archia figlio di Euaghetos discendente del ramo argivo degli Eraclidi, Ateneo (che riporta la notizia risalente a Ippi di Reggio11 di un Pollide argivo, basileus di Siracusa) e Ovidio12 che, nel quadro del percorso di fondazione di Crotone descrive il sogno di Myscelos, figlio dell’argivo Alèmone. Il contributo di Van Compernolle ha in effetti il merito di non relegare al rango di semplici errori di copiatura quelli che probabilmente sono i frustuli di una tradizione parallela alla tucididea. A questa controversa documentazione, rea soprattutto di incrinare la linda e tuttavia piuttosto schematica ricostruzione dello storico ateniese, è importante affiancare la testimonianza di Strabone relativa al centro di provenienza del corpo di spedizione capeggiato da Archia: il villaggio di Tenea, rinomato centro corinzio13, a metà strada tra Argo e Corinto. Secondo Pausania14, «gli abitanti del luogo dicono d’essere Troiani, e affermano che, fatti prigionieri dai Greci a Tenedo, ebbero da Agamennone il permesso di abitare qui: e per questo, fra tutti gli dei, venerano particolarmente Apollo»15. Un’ulteriore conferma del culto apollineo è nel summenzionato testo di Strabone, dove è detto che presso Tenea si trovava il santuario di Apollo Teneate. 7 Hüttl 1929, pp. 32-34, 43 ss., segnala come la vita pubblica di Siracusa ricalcasse il modello corinzio molto più delle altre colonie; contra Dunbabin 1979, p. 55, che rileva come le tribù siracusane mostrassero di essere in numero di tre come le altre colonie doriche e non otto come le corinzie. 8 Compernolle 1966. 9 FGrHist 239, A, 30 e 31. 10 Jacoby 1930, pp. 683-685. 11 Ath., 1, 56, 31 b = FGrHist 554, F 4, su cui Vanotti 2003. 12 Ov., Met., 15, vv. 19-59. 13 Str., 8, 6, 22: «Anche Tenea è un villaggio della Corinzia, dove si trova il santuario di Apollo Teneate. Si dice che la maggior parte dei coloni che accompagnarono Archia, colui che condusse la colonia a Siracusa, provenissero da qui e che, in seguito, l’insediamento di Tenea prosperasse più di ogni altro». Il sito si trova tra i moderni centri di Chiliomòdi e Klènia. 14 Paus., 2, 5, 4. 15 Traduzione di D. Musti. Cfr. Hom., Il., 1, vv. 38 e 452, dove è detto che Apollo regna sovrano su Tenedo. 121 Francesca Mattaliano In genere, la critica non sembra aver dato molto peso alla presunta “troianità” dei Tenei dal momento che la notizia trae fondamento dalla derivazione linguistica Tenea-Tenedo. Tuttavia, occorre segnalare come lo stesso Strabone riferisca che, secondo il retore Zoilo16, proverrebbero da Tenedo le acque del fiume Alfeo che scorre presso Olimpia, lo stesso fiume che, nella tradizione mitografica, affiorerebbe a Ortigia nella fonte Aretusa attraverso un canale sottomarino. Questa notizia credo possa trarre origine da un passo dell’Iliade17 in cui si fa cenno a un vasto antro situato sotto gli abissi compresi fra Tenedo e Imbro. La notizia di Zoilo, sofista del IV secolo a.C., noto oltretutto per aver criticato le favole omeriche18, sembra voler riportare, attraverso un riferimento razionalistico al mito siracusano, un accenno alle origini dei coloni siracusani, con uno slittamento erudito originato anch’esso sull’onda di una presunta associazione linguistica19. Arcadi, Argivi, Troiani, genericamente Dori, in una più tarda attestazione20: nessuna di queste tradizioni sembra aver lasciato traccia nella versione tucididea. La fondazione di Siracusa, attraverso l’espediente dell’indicazione dell’etnico del fondatore, assume la valenza di una compattezza monolitica. Sebbene non si possano aver dubbi sulla prevalenza corinzia del corpo di spedizione capeggiato da Archia, non credo ci si possa sottrarre alla suggestione, affiorante a più riprese nei testimonia antichi, di una partecipazione, o quanto meno una presenza argiva al progetto siracusano21. L’indicazione di un’esclusività corinzia ha senz’altro il pregio di ribadire, a livello storico, l’unicità del rapporto tra Siracusa e la sua madrepatria, e di selezionare, all’interno delle Storie tucididee, una chiave interpretativa essenziale per la lettura degli eventi che danno origine alla Guerra del Peloponneso; come è noto, infatti, durante l’intero conflitto appare centrale l’opposizione di Atene a Corinto, che si esplica attraverso le ingerenze ateniesi verso le apoikiai 16 Str., 6, 2, 4 = FGrHist 71, F 1. 17 Hom., Il., 13, v. 33. 18 Str., 6, 2, 4. 19 Ibico (fr. 322 Davies), invece, affermava che l’Asopo di Sicione sgorgava dalla Frigia. 20 Per Siracusa fondata dai Dori si veda schol. ad Pi., P., 1, 120 b. 21 Jean Bérard (Bérard 1963, p. 123), nella sua opera fondamentale sulla storia delle colonie 122 greche dell’Italia meridionale, non mostra di aver dubbi sull’origine corinzia di Siracusa: «Nell’antichità - afferma con decisione lo studioso francese - era universalmente ammesso che Siracusa era di origine corinzia; e non si ha nessuna ragione di dubitare di questa affermazione» scartando così ogni possibilità di porre il problema delle tradizioni su una presunta “argività” di Siracusa in un contesto di riflessione critica. Più cautamente, Asheri 1980, p. 116, segnala come Siracusa sia riconosciuta come colonia corinzia a partire dal V secolo. In effetti, particolarmente durante la Pentecontaetia, si assiste al pieno coinvolgimento di Corinto nel fronte dorico antiateniese e alla ricerca da parte dei Corinzi, della stipula di alleanza ed epimachiai con le proprie apoikiai, attraverso il naturale filtro della syngheneia. Thuc. VI 3, 2: i Corinzi, Ortigia e Siracusa polyanthropos corinzie (Corcira-Epidamno, Potidea, Ambracia22, Siracusa) o nei settori di diretta influenza della polis dorica (Megara). Inoltre, l’esasperazione di un’identità corinzia assoluta, riscontrata nel testo tucidideo, ha in sé lo svantaggio di squadrare e semplificare la dinamicità e la fluidità di un insediamento abitativo fino all’VIII a.C. certamente ancora legato a una visione arcaica di stanziamento κατὰ κώμας e scevro da schematismi poleici. In questa luce, le stesse notizie relative alla polis argiva, piuttosto che essere considerate spurie o pretestuose hanno senz’altro il merito di restituire una testimonianza importante su aspetti antichi e relativi a una forte compartecipazione di genti doriche provenienti da un’area rurale situata geograficamente alla confluenza tra due centri urbani che non hanno ancora assunto, ai tempi della partenza della missione, valenze discriminatorie così forti e separate. L’enfatizzazione della partecipazione di un particolare centro (Corinto o Argo) a esclusione dell’altro, in determinati momenti storici, potrà aver avuto scopi più o meno manifesti o aver obbedito a logiche di enfatizzazione delle identità, attraverso il naturale filtro della syngheneia, ma è opportuno ribadire come dalla ricostruzione tucididea di VI 3, 2 sembra trasparire la volontà di non fare alcuna concessione alla composizione etnica dei partecipanti. In questo modo, le fasi più antiche del popolamento siracusano divengono tappa obbligatoria di un itinerario già svolto e fissato nell’immaginario greco in un’associazione immediata tra Siracusa e Corinto. Anche la rimozione dell’ethnos siculo stanziato precedentemente nell’area di Ortigia, assume i contorni di una rubricazione degli eventi che nulla concede alla realtà storica23. Ortigia Proseguendo nell’analisi del testo di VI 3, 2, Tucidide segnala che Archia fondò Siracusa «dopo aver cacciato i Siculi dall’isola sulla quale, ora che non è più tutta circondata dal mare, sorge la parte interna della città». Ancora una 22 Nel corso della guerra archidamica, infatti, anche la regione nord-occidentale della Grecia e in particolare la potente colonia corinzia di Ambracia costituirà un fronte compatto nella lotta ad Atene. Si veda Fantasia 2010. 23 Questo “avvicendamento” avrà senz’altro assunto i contorni di una sanguinosa battaglia non priva di compromessi per gli sconfitti se pensiamo alla sussistenza in età arcaica di servi della terra noti alla tradizione aristotelica come kylliroi. Non è escluso inoltre che una realtà interculturale di unioni miste tra greci e donne indigene sia adombrata nel mito dell’unione fluviale tra Alfeo e Aretusa. Cfr. Paus., 5, 7, 3. Su queste unioni, tuttavia, la storiografia erudita di età classica sorvola indiscriminatamente alla luce di un presunto “mito” della purezza etnica ellenica; si veda Dougherty 1993, pp. 68-69, secondo cui il mito di Alfeo e Aretusa interpreta la storia delle fondazioni coloniali come l’unione tra i greci apoikoi e gli indigeni presenti sul territorio. Si veda anche Shepherd 2005, dove si esprime una certa sfiducia nella possibilità di identificazione, in contesti funerari precedentemente interpretati come “misti”, dei vari gruppi presenti nelle sepolture. 123 Francesca Mattaliano volta è da segnalare come il condottiero corinzio sia un soggetto collettivo, espressione di un gruppo mai menzionato nella sua totalità. L’ottica sottesa alla descrizione tucididea, di contro, appare espressione di una visione “locale” riscontrabile nella menzione dell’isola come città “interna”, nonostante, agli occhi di un navigatore che provenga dalla Grecia, essa possa apparire certamente come la parte più “esterna” della polis: un dato questo che conferma la presenza di informatori sicelioti alla base delle informazioni dell’archaiologhia. Occorre inoltre segnalare come Tucidide non menzioni mai il nome di Ortigia all’interno della sua opera; eppure il toponimo “Ortughìe” era noto già a Esiodo24 che, nella sezione Γῆς Περίοδοι25 del Catalogo delle Donne, lo riporta nel quadro di un erudito excursus geografico. Il frammento papiraceo contenente la menzione dell’isola prospiciente alla costa siracusana è legato, insieme ad altri nomi cari all’epica omerica (l’Etna scosceso, i Lestrigoni e il figlio di Poseidone)26 alla saga degli Argonauti: le Arpie Aellò e Ocypete, inseguite dai Boreadi, avevano rapito e portavano in volo Fìneo, discendente da Fenice. Ortigia diviene una tappa, dal sapore erudito, dell’etereo viaggio attraverso l’ecumene. Lo stato lacunoso del testo non permette tuttavia di ricostruire appieno l’intero contesto e gli editori Grenfell e Hunt27 prospettano di integrare, senza troppe esitazioni, νῆσον per il rigo dove si trova la menzione di Ortigia; del resto, al tempo di Esiodo non esisteva probabilmente ancora alcuna struttura di collegamento, e la percezione di insularità perdurò nei secoli successivi anche in seguito al congiungimento alla terraferma. Quella esiodea risulta inoltre una testimonianza importante, soprattutto per valutare appieno la precoce fama dell’isola di Ortigia, un nesonimo che risulta però piuttosto diffuso nel mondo greco (Ortigia era ad esempio la più antica denominazione dell’isola di Delo), una circostanza che probabilmente trattenne Tucidide dal menzionare una località il cui nome era probabilmente noto al suo pubblico e forse troppo carico di echi letterari per non sembrare distante nel tempo e nello spazio. Ricorrendo a un’articolata ma efficace perifrasi letteraria, Tucidide invece individua Ortigia dal punto di vista geografico ancorandola al processo storico e alla sua concreta dimensione territoriale. Anche Pindaro28, come si è detto, conosceva il nome di Ortigia e, nella sesta Olimpica, dedicata al siracusano Hagesias, vincitore col carro da mule, af24 Hes., fr. 150 Grenfell-Hunt, vv. 25-26 (= P. Oxy. 1358 fr. 2 col. i). 25 Per il titolo dell’opera, una sezione del Catalogo delle donne, la notizia proviene da varie 124 fonti tra cui Str., 7, 3, 9 (= FGrHist 70, F 42) e Str., 1, 2, 14 (= Eratosth., I B 3 Berger). Cfr. Debiasi 2008, pp. 77-79. 26 Si veda anche Str., 1, 2, 14. Sulla localizzazione occidentale dei miti dell’eschatia cfr. Anello 2008, p. 15. 27 Una integrazione del tutto fededegna se anche nella tarda testimonianza straboniana (Str., 6, 2, 4) Ortigia, in piena età augustea, è indicata come νῆσος, nonostante fosse stata, ormai definitivamente, unita alla terraferma. 28 Pi., Ol., 6, vv. 3-7. Thuc. VI 3, 2: i Corinzi, Ortigia e Siracusa polyanthropos ferma che costui era figlio di Sostratos e appartenente al ghenos sacerdotale degli Iamidai, una famiglia di antico lignaggio arcadico che aveva partecipato alla stessa fondazione di Siracusa29. In un carme segnalato dai commentatori moderni per il suo aspetto dualistico (dalla menzione dei due serpenti, alle due etimologie dell’antenato Iamos, fino alle due patrie di Hagesias), la lode per la patria di Ierone viene indirizzata a «Siracusa e a Ortigia» che30 il signore dinomenide dallo scettro intatto regge. Un dualismo confermato dal medesimo toponimo siracusano, attestato sempre al plurale, e che ha probabilmente determinato il filone mitografico che assegnava alle due figlie di Archia, i nomi, rispettivamente, di Siracusa e Ortigia31. Nel carme pindarico, l’unità ideale della polis viene smembrata e poi ricomposta all’interno di una dimensione meta-temporale il cui esito finale è l’esaltazione della potenza ieroniana attraverso il vagheggiamento delle sue origini più antiche. Tucidide sembra quasi ricomporre, attraverso una perifrasi inglobante, la visione di una “unità dimidiata” che prelude, nella sua sostanza, a un dualismo ideologico. Numerose sono infatti le staseis verificatesi sul suolo siracusano sin dalle più antiche fasi di popolamento – pensiamo alla precoce espulsione, ricordata dallo stesso Tucidide, dei Miletidi, partecipanti alla fondazione di Imera – e la separazione fisica tra le due “Siracuse” alimentò anche, nel corso dei secoli, le pretese di arroccamento di signori e gruppi politici in quella che universalmente è riconosciuta come la parte più aristocratica, più indipendente, e anche più difendibile, perché protesa verso il mare e da esso fortificata. Il confine naturale che serve a preservare una specificità territoriale sembra avere un precedente “storiografico” interno al testo tucidideo: l’isola bagnata dal mare (περικλυζομένη) richiama prepotentemente «la regione bagnata dal mare» (περίρρυτος) nel discorso di Ermocrate a Gela: «Perché non è un disonore che dei compatrioti facciano delle concessioni ad altri compatrioti: Dori ad altri Dori e Calcidesi ad altri della stessa stirpe; e che in generale si facciano concessioni a popoli vicini che abitano la stessa terra circondata dal mare, e che con un solo nome sono chiamati Sicelioti»32. Siracusa diviene infatti, nel percorso storiografico tucidideo, un’“isola nell’isola”, espressione di una particolarismo geo-fisico tale da rappresentare la Si29 Il riferimento al v. 6 potrebbe tuttavia riferirsi anche a una collaborazione alla presa del potere a Siracusa da parte di Gelone. Cfr. Lehnus 2004, p. 84. 30 Il relativo è significativamente espresso al singolare (τὰν). Cfr. Pi., Ol., 6, v. 93. 31 Plut. Am. N. 773b. Oltretutto si segnala l’utilizzo, in questa circostanza, del duale: un impiego del tutto eccezionale in Plutarco (venti volte soltanto sarà utilizzato nella sua vasta produzione). Cfr. Giangrande 1992, p. 54. Altri nomi riportati dalle fonti per le figlie di Archia sono Syra e Kosse (schol. Call. Aet., 2, fr. 43 28-30 Pfeiffer; Genesius, Reg., 4, p. 117 Lachmann) e Syrra e Akousa (Choerob., in Theod., 751). 32 Th., 4, 64, 3: οὐδὲν γὰρ αἰσχρὸν οἰκείους οἰκείων ἡσσᾶσθαι, ἢ Δωριᾶ τινὰ Δωριῶς ἢ Χαλκιδέα τῶν ξυγγενῶν, τὸ δὲ ξύμπαν γείτονας ὄντας καὶ ξυνοίκους μιᾶς χώρας καὶ περιρρύτου καὶ ὄνομα ἓν κεκλημένους Σικελιώτας. Traduzione di A. Favuzzi e S. Santelia. 125 Francesca Mattaliano cilia stessa con le sue diverse etnie e i debordanti avvicendamenti di popoli, una specificità che tuttavia risulta alterata e snaturata dalla congiunzione alla terraferma, simbolo di una modernità pericolosa che ha in nuce già il seme della potenza futura. Nel discorso di Ermocrate, i confini marini vengono utilizzati per invocare e rappresentare la salvaguardia di un territorio soggetto per natura a essere raggiunto da tutte le possibili direzioni. Nell’archaiologhia, la congiunzione alla terraferma è il segnale dell’avvio di un processo di modernità. Il ponte, le mura, l’aumento di popolazione: processi lenti e inarrestabili per una dynamis destinata a proiettarsi all’esterno. Prima della costruzione definitiva del ponte33 che congiungeva Ortigia alla terraferma, abbiamo notizia, in uno scolio pindarico alla prima Nemea34, della costruzione di un terrapieno litico, cantato dal poeta Ibico di Reggio35, vissuto nel VI secolo a.C. Il frammento del carme, piuttosto mutilo36, recita così: †παρὰ χέρσον λίθινον τῶν† παλάμαις βροτῶν· πρόσθεν νιν πεδ᾿ ἀναριτᾶν ἴχθυες ὠμοφάγοι νέμοντο. Lungo la costa sassosa … dalle mani degli uomini: prima, tra le conchiglie, vi abitavano i pesci carnivori37. All’attualità visibile di una costruzione umana si contrappone un passato mitico, sottomarino e pre-antropico in cui pesci e conchiglie regnano incontrastati. In particolare, il riferimento al “cannibalismo” delle specie ittiche sembra riportare a una dimensione caotica di un passato indistinto definitivamente sconfitto 33 La costruzione del molo che congiungeva Ortigia all’Acradina si dovrebbe a Gelone 126 secondo Freeman 1891, p. 139 e pp. 504-505. Lo studioso ritiene che ciò si possa ricavare dal soprannome dato a Siracusa da parte dei poeti come della polis sorta dall’unione di molte poleis (μεγαλοπόλιες). 34 Sch. Pi., N., 1, 1, 3, ll. 7-8 Drachmann. 35 Str., 1, 3, 18: ἐνταῦθα μὲν δὴ διακοπαὶ χειρότμητοι γεγόνασιν, ἀλλαχόθι δὲ προσχώσεις ἢ γεφυρώσεις, καθάπερ ἐπὶ τῆς πρὸς Συρακούσαις νήσου νῦν μὲν γέφυρά ἐστιν ἡ συνάπτουσα αὐτὴν πρὸς τὴν ἤπειρον, πρότερον δὲ χῶμα, ὥς φησιν Ἴβυκος, λογαίου λίθου, ὃν καλεῖ ἐκλεκτόν. 36 Fr. 321 Davies 1991. 37 Il riferimento al ponte si può leggere nel v. 1 dal momento che, secondo Strabone (1, 3, 18), Ibico riferiva che, al suo tempo, in luogo del molo era stato costruito un ponte di pietra scelta. Su Ibico si veda il prezioso e sempre attuale contributo di Mancuso 1912. Thuc. VI 3, 2: i Corinzi, Ortigia e Siracusa polyanthropos dall’avvento di un kosmos lineare. Inoltre, la menzione dell’ἀναρίτης (una sorta di conchiglia dal guscio spiraliforme, da identificare probabilmente con una delle specie dei Trochidi, che vive su fondali rocciosi e la cui principale caratteristica è quella di ancorarsi agli scogli in maniera simile alla patella) ci riporta all’ambiente siciliano, dal momento che anche il siracusano Epicarmo, in un frammento delle Nozze di Ebe, testimoniato da Ateneo, cita il medesimo mollusco38. In merito, è interessare segnalare che, in occasione delle indagini archeologiche svoltesi a Siracusa nel biennio 2000/2001 da parte dell’allora Sezione Beni Archeologici della Regione, sono state ritrovate nell’area di via Bengasi, una strada situata in prossimità del Porto Grande, e nell’area del Palazzo della Prefettura ad Ortigia, numerose fossette votive di varia grandezza dalla forma perfettamente circolare. Le cosiddette thysiai, già note al contesto siracusano39 e attestate per un lungo arco di tempo (dal periodo arcaico fino all’età ellenistica) hanno restituito diversi materiali riferibili a manifestazioni culturali: oltre a ossicini combusti, ricci di mare, e frammenti ceramici dalle forme arrotondate, anche vertebre di pesci e conchiglie. Beatrice Basile segnala come in una thysia di età ellenistica, la specie delle conchiglie ritrovata fosse del tipo noto come gibbula albida. Questa specie appartiene alla famiglia dei Trochidi, ossia la stessa dell’ἀναρίτης cantata da Ibico. La ricerca di circolarità, perseguita nella forma dell’orlo dei fossi, sia nelle ceramiche (specialmente fondi di kotylai) trovate all’interno delle buche sia nelle sagome dei bothroi adiacenti ribadiva la dimensione di profonda sacralità di uno spazio denso di echi mitici a ridosso del luogo dove il fiume Alfeo rifluiva nelle acque dolci della fonte Aretusa40. In questo contesto, anche la presenza delle conchiglie, attraverso le anse spiraliformi tipiche della specie, riproduceva e ricercava la perfezione di un’avvolgente circolarità: l’ἀναρίτης, la conchiglia menzionata da Ibico41, era infatti nota come «trottola marina». 38 Ath., 3, 86b. (Epich., fr. 114 Kassel-Austin). L’identificazione appare tuttavia controver- sa. Sui problemi legati alle divergenti testimonianze storiche si veda García Soler 1994, pp. 200202. 39 Basile 2009. Già Voza 1993-1994 segnalava il ritrovamento, nell’area del convento di Montevergini, sul margine meridionale dell’area di Piazza Duomo a Ortigia, di thysiai contenenti frammenti di forme ceramiche, ossa di animali, conchiglie marine, ciottoli levigati, frustuli bronzei e ferrosi, elementi carboniosi. L’arco coperto da questa documentazione andava dalla fine del VII al primo quarto del VI a.C. Analogamente Ciurcina 2000 riscontrava la presenza di resti ossei animali e di conchiglie nelle fossette votive e nel bothros del cortile del Palazzo della Prefettura ad Ortigia. «Le fossette – segnala la studiosa – del tutto simili a quelle messe in luce nel complesso di Montevergini ed in piazza Duomo testimoniano, anche in questo contesto, l’esistenza di forme cultuali, forse tipiche della colonia, a datare dall’età arcaica (VII-VI secolo a.C.)». 40 Pi., N., 1, 1-2: «Respiro sacro dell’Alfeo, Ortigia, virgulto della grande Siracusa». Trad. di E. Mandruzzato. 41 Strabone (6, 2, 4), si mostra scettico rispetto alle ricostruzioni di Pindaro e Timeo (secondo cui le acque dell’Alfeo rifluirebbero in quelle della fonte Aretusa), di Zoilo (secondo cui 127 Francesca Mattaliano È ipotesi suggestiva, ma certo non peregrina, che anche il poeta reggino poté assistere a una di queste manifestazioni sacre tipiche del luogo42, e abbia composto il proprio carme sull’onda del desiderio di ricollocare nello spazio mitico equoreo i molluschi che lo popolavano prima dell’avvento della dimensione storica rappresentata dalla congiunzione alla terraferma. Inoltre, sempre attraverso Ateneo, ci giunge una preziosa testimonianza: una citazione di Polemone relativa a un rito che si svolgeva davanti a Ortigia, durante il quale i marinai gettavano nel seno delle onde calici (kýlikes) colmi di fiori, decotti di miele, incenso e profumi43, una cerimonia che potrebbe ricollegarsi alle offerte di quelle thysiai, espressione di un rapporto diretto con i miti marini non soltanto nella presenza delle conchiglie, ma anche di alcuni oggetti legati alla pesca, come una forcella in bronzo utilizzata per il rammaglio delle reti, simbolo di profanazione dell’integrità marina, la medesima violazione che sembra significata da Ibico nel carme che celebrava il congiungimento alla terraferma come preludio di un’esecrabile espansione territoriale. Siracusa polyanthropos ὕστερον δὲ χρόνῳ καὶ ἡ ἔξω προστειχισθεῖσα πολυάνθρωπος ἐγένετο. in seguito, col passare del tempo, anche la parte esterna, inclusa all’interno delle mura, divenne assai popolosa. Nell’ultima parte del paragrafo di VI 3, 2 con un generico ὕστερον δὲ χρόνῳ, Tucidide segnala il passaggio a una fase successiva della vita della apoikia siracusana registrando, in una rapida scansione temporale, la presa di possesso del territorio prospiciente all’isola di Ortigia, l’inclusione di nuovi terreni all’interno della cinta muraria e il progressivo e consequenziale aumento di popolazione. 128 l’Alfeo – come si è detto – proverrebbe da Tenedo) e infine di Ibico che sosteneva che il corso dell’Asopo giungesse a Sicione provenendo dalla Frigia. È probabile che la notizia riportata in quest’ultimo passaggio, e che invece viene espunta da alcuni editori, potesse appartenere al medesimo carme in cui il poeta reggino cantava il mito siracusano di Alfeo e Aretusa e costituisse così anche il sostrato mitico del frammento 321, che celebrava la costruzione del ponte di pietra di Ortigia. 42 Sulla particolarità dei riti siracusani notturni legati al culto delle acque si veda De Cesare 2001. 43 Polem. Hist., ap. Ath., 11, 462 b-c: καὶ Πολέμων δ᾽ ἐν τῷ περὶ τοῦ Μορύχου ἐν Συρακούσαις φησὶν ἐπ᾽ ἄκρᾳ τῇ νήσῳ πρὸς τῷ Γῆς Ὀλυμπίας ἱερῷ ἐκτὸς τοῦ τείχους ἐσχάραν τινὰ εἶναι, ἀφ᾽ ἧς, φησί, τὴν κύλικα ναυστολοῦσιν ἀναπλέοντες μέχρι τοῦ γενέσθαι τὴν ἐπὶ τοῦ νεὼ τῆς Ἀθηνᾶς ἀόρατον ἀσπίδα: καὶ οὕτως ἀφιᾶσιν εἰς τὴν θάλασσαν κεραμέαν κύλικα, καθέντες εἰς αὐτὴν ἄνθεα καὶ κηρία καὶ λιβανωτὸν ἄτμητον καὶ ἄλλα ἄττα μετὰ τούτων ἀρώματα. Thuc. VI 3, 2: i Corinzi, Ortigia e Siracusa polyanthropos La prime testimonianze letterarie relative alla cinta muraria siracusana si riferiscono alle torri del periodo geloniano44, mentre delle primissime fortificazioni siracusane parlerebbe Ovidio nelle Metamorfosi45: et qua Bacchiadae, bimari gens orta Corintho, inter inaequales posuerunt moenia portus. e dove i Bacchiadi, gente nata da Corinto due mari posero le mura tra due insenature ineguali. In questi versi, in cui si è spesso voluta leggere una conferma dell’appartenenza degli Eraclidi di Archia all’oligarchia dei Bacchiadi, il contesto letterario risulta senz’altro prevalente: la menzione del ghenos dominante a Corinto sembra infatti uno slittamento semantico relativo ai mandanti piuttosto che ai membri dell’impresa ecistica e di valore figurato sembra da ritenersi pertanto anche il riferimento alle mura poste all’atto di fondazione in una fase senz’altro precoce per il neo-nato insediamento. Infine, il testo tucidideo segnala il dato della progressiva espansione della popolazione siracusana attraverso il termine «polyanthropos». Il composto è utilizzato solo un’altra volta nelle Storie46, in riferimento alla polis di Epidamno, apoikia diretta di Corcira, a sua volta fondazione corinzia47. Il suo ecista Falio figlio di Eratoclide proveniva da Corinto, «secondo l’antica tradizione» (κατὰ τὸν παλαιὸν νόμον)48 e, come Archia, apparteneva al ghenos degli Eraclidi. È interessante notare come Tucidide segnali che all’impresa di fondazione presero parte anche coloni Corinzi e di altre stirpi doriche: «Col tempo crebbe la potenza di Epidamno e la città divenne popolosa, ma, afflitti per mol- 44 Bacchyl., Ep., 5, v. 184; Hdt., 7, 156, 1. 45 Ov., Met., 5, vv. 407-408. 46 Un composto analogo (ὄχλοις τε γὰρ ξυμμείκτοις πολυανδροῦσιν αἱ πόλεις) si trova però in Th., 6, 17, 2, nel logos di Alcibiade rivolto a Nicia, dove l’aggettivo sottolinea il contrasto tra la persistenza ateniese nell’abitare il proprio territorio (già espressa da Tucidide in 1, 2, 4) e le poleis della Sicilia brulicanti di masse di uomini di provenienza mista. Il modello dell’autoctonia attica è così confrontato indirettamente con la realtà migratoria descritta nell’archaiologhia siceliota. 47 Epidamno fu di almeno un secolo successiva alla fondazione di Siracusa: nel 627, secondo Eusebio. Cfr. Giuffrida 2002. 48 Th., 1, 24, 1. In questa precisazione possiamo notare quell’interferenza della madrepatria nella vita delle sub-colonie che non sembra riscontrata per Acre, Casmene o Camarina: le prime due precedenti alla fondazione di Epidamno (Acre nel 663 e Casmene nel 643), mentre Camarina successiva di quasi trent’anni (598), anche se, in questo caso, la presenza di due ecisti farebbe pensare a due diversi nuclei di fondatori, uno dei quali composto da un gruppo proveniente direttamente da Corinto. A due differenti nuclei etnici pensa invece Bérard 1963, p. 135. 129 Francesca Mattaliano ti anni da lotte civili, gli Epidamni furono vinti in un conflitto con i vicini barbari e la città perse la sua potenza»49. Una polis polyanthropos, in sede di riflessione costituzionale, è espressione di un nesso rovinoso tra plethos e chora, destinato a esplodere in una proiezione verso il territorio circostante o a implodere a causa delle staseis50. L’apoikia corinzia di Epidamno è un caso paradigmatico di polis dilaniata da contese interne a causa della sua composizione “mista” e dell’impossibilità di espansione nel territorio circostante per la presenza dei barbari Talanti. La polyanthropia siracusana, emersa, come quella di Epidamno, in una fase ultima e per questo probabilmente deteriore della parabola evolutiva poleica successiva alla fondazione, è l’implicito corollario di un’espansione oltre i propri confini a causa della rottura del delicato equilibrio che regola la fissità della corrispondenza tra oikos, kleros e polites. Relativamente a Siracusa, tuttavia, non è possibile ravvisare nel testo tucidideo la presenza di una valutazione negativa del processo di incremento demografico, come per Epidamno; piuttosto, il caso della polis siceliota, come anche per Atene, porta con sé la consequenzialità di un rapporto biunivoco tra dynamis e politai, attraverso una polyanthropia che si mantenga compatta nella sua componente costitutiva. Secondo Tucidide51, l’Attica fu esente da conflitti (ἀστασίαστος) perché abitata sempre dalle medesime genti. Un accrescimento della popolazione è registrato per Atene soltanto nelle età più antiche e furono i δυνατώτατοι, diventando πολῖται da subito, a causare un grande incremento demografico della città. Come emergerà in seguito, in maniera più evidente, nella riflessione costituzionale aristotelica52, il processo sproporzionato di ampliamento dei propri confini, con il corollario di un’estensione scriteriata dei diritti di cittadinanza, non può che rappresentare il presupposto più immediato per future recriminazioni tra nuovi e antichi cittadini, tra coloro che, rivendicando i diritti di cittadinanza nella smodata euforia di terre libere, varcavano i confini “ideali” stabiliti per una comunità, e tra i difensori di un privilegio atavico da preservare in nome del principio di diseguaglianza53. 49 Th., 1, 24, 3-4: προελθόντος δὲ τοῦ χρόνου ἐγένετο ἡ τῶν Ἐπιδαμνίων δύναμις 130 μεγάλη καὶ πολυάνθρωπος· στασιάσαντες δὲ ἐν ἀλλήλοις ἔτη πολλά, ὡς λέγεται, ἀπὸ πολέμου τινὸς τῶν προσοίκων βαρβάρων ἐφθάρησαν καὶ τῆς δυνάμεως τῆς πολλῆς ἐστερήθησαν. 50 A Siracusa, secondo Strabone, il benessere procurato dalla fertilità del suolo e dall’ottima posizione dei porti accrebbe le dimensioni della polis fornendo ai suoi abitanti un ruolo di egemonia. Cfr. Str., 6, 2,4. 51 Th., 1, 2, 5-6. 52 Arist., Pol., 1326a 25. 53 Cfr. Arist., Pol., 1303a 25 ss. che cita tra gli esempi di stasis causata dalla diversità della stirpe il caso di Sibari fondata da Achei e Trezeni e il caso di Siracusa che, dopo l’età delle tirannidi, aveva concesso la cittadinanza a stranieri e mercenari. Una significativa testimonianza proviene inoltre da una commedia aristofanea; negli Uccelli, poco dopo la fondazione della nuova Thuc. VI 3, 2: i Corinzi, Ortigia e Siracusa polyanthropos Anche Sibari, la più antica e nota fondazione peloponnesiaca italiota, secondo Diodoro, è polis polyanthropos): «Essa infatti sorgeva fra due fiumi, il Crati e il Sibari, dal quale prese il nome, e i suoi abitanti, fruendo di un territorio molto esteso e molto fertile, si procurarono grandi ricchezze e, dopo aver esteso il diritto di cittadinanza a molti, raggiunsero un tale progresso da essere considerati di gran lunga i più potenti fra i popoli stanziati in Italia e la città crebbe a tal punto per numero di abitanti da contare addirittura trecentomila cittadini»54. Giorgio Camassa55 ha mostrato con ottimi argomenti come la cifra diodorea di trecentomila abitanti e quella di centomila riportata invece dallo Pseudo-Scimno siano delle iperboli numeriche volte a indicare per contrasto un numero ben lontano rispetto all’ideale polis myriandros che, nella riflessione utopica pitagorica, non alludeva genericamente a una città di diecimila abitanti, ma alla perfezione poleica in termini di governabilità56. La ricca e potente Sibari, a causa della liberalità nella concessione del diritto di cittadinanza, si configura pertanto come una «città dell’eccesso», secondo la felice definizione di Carmine Ampolo57, colpita da un tragico destino di distruzione cui si cercò di fornire spiegazioni ex eventu riconducibili ora alla dimensione sacrale (un caso di hybris punita), ora a motivazioni politiche (dissidi di natura costituzionale con Crotone) ora infine a ragioni sociali (il proverbiale stile di vita “sibaritico”). Se questa riflessione risulta sfuggente e appena abbozzata in Tucidide non è facile sottrarsi alla suggestione di una lettura degli avvenimenti della storia greca operata dallo storico ateniese in accordo a teorie di riflessione costituzionale di matrice pitagorica e che diverranno poi care alla riflessione peripatetica. Il criterio di analisi del popolamento siracusano analizzato storicamente alcittà di Nubicuculia, un araldo annuncia che tutti gli uomini vogliono ora farne parte e che «arriveranno più di diecimila a chiedere ali e artigli» (vv. 1305-1306); così il Coro lamenta la possibilità che la nuova città divenga una πόλις πολύανωρ (vv. 1313-1314) e, in seguito, viene decisamente rigettata ogni richiesta di ingresso da parte di nuovi cittadini (un parricida, un poeta e un sicofante). La variatio del termine rispetto a polyanthropos è probabilmente motivata dalla natura non umana degli alati abitanti. 54 D.S., 12, 9, 2: κειμένης γὰρ ἀνὰ μέσον δυεῖν ποταμῶν, τοῦ τε Κράθιος καὶ τοῦ Συβάριος, ἀφ’ οὗ ταύτης ἔτυχε τῆς προσηγορίας, οἱ κατοικισθέντες νεμόμενοι πολλὴν καὶ καρποφόρον χώραν μεγάλους ἐκτήσαντο πλούτους. πολλοῖς δὲ μεταδιδόντες τῆς πολιτείας ἐπὶ τοσοῦτο προέβησαν, ὥστε δόξαι πολὺ προέχειν τῶν κατὰ τὴν Ἰταλίαν οἰκούντων, πολυανθρωπίᾳ τε τοσοῦτο διήνεγκαν, ὥστε τὴν πόλιν ἔχειν πολιτῶν τριάκοντα μυριάδας. Traduzione di C. Miccichè. 55 Camassa 1989. 56 Pl., Ep., 7, 337c. Cfr. Schaefer 1961. 57 Cfr. Ampolo 1993; Nafissi 2007. Occorre ricordare, inoltre, come anche Siracusa, nel racconto straboniano, fosse presentata come il paradigma della ricchezza allo stesso modo con cui Crotone (il cui fondatore Miscello era partito insieme ad Archia) lo era della salubrità. Cfr. Str., 6, 2, 4. 131 Francesca Mattaliano l’interno dell’archaiologhia sotto l’aspetto dell’espansionismo (la menzione del ripopolamento di Camarina da parte dei Geloi nel 461/0 è il riferimento più recente dell’intero excursus) sembrerebbe perseguito con un criterio non scevro da influssi pitagorici nella valutazione, in termini numerici di polyanthropia, del processo evolutivo poleico. Come è noto, anche se ormai sembra comprovata la derivazione da Antio58 co delle informazioni di Tucidide contenute nell’archaiologhia siciliana, l’opera del Siracusano, tuttavia, non sembra l’unica fonte utilizzata. Alla luce di queste ultime considerazioni, il nome dello storico Ippi di Reggio59, autore γεγονώς (fiorito o nato), secondo il lessico Suda60, durante le Guerre Persiane, autore di Sikelikai praxeis e conosciuto per essere stato epitomato dal pitagorico Myes e per essere stato a sua volta citato dal peripatetico Fenia di Ereso61, sembra quello che meglio si adatterebbe all’orizzonte interpretativo così tracciato62. E se è vero che Tucidide ha potuto leggere l’opera del Reggino, nella quale, come testimoniato da Ateneo, si farebbe riferimento alle vicende di un Pollide argivo basileus di Siracusa, figura certo evanescente, ma non del tutto priva di contorni storici, allora - ma siamo sempre nel campo delle ipotesi il silenzio di Tucidide sulla compresenza di Argivi o di altri Dori alla fondazione di Siracusa apparirebbe quanto mai tendenzioso e selettivo, utile soltanto a presentare i dati storici in funzione della propria versione interpretativa: una valutazione degli eventi soggetta a un criterio storiografico che risolveva nell’opposizione anti-corinzia la necessità e la realizzazione del polemos ateniese. 132 58 La consultazione dell’opera di Antioco da parte di Tucidide per l’archaiologhia siciliana è accettata pressoché concordamente dagli studiosi; in particolare, si vedano Compernolle 1959; Luraghi 2002. 59 Su Ippi si vedano De Sanctis 1958, pp. 1-8; Manni 1957; Giangiulio 1994; Vanotti 2002. 60 Suda s.v. π . 61 FGrHist 554, F 5, ap. Plut., de def. or., 23. 62 Il limite cronologico in cui avrebbe operato Ippi sembra importante perché fu proprio in seguito alle guerre persiane che si ridefinì il nuovo sistema costituzionale poleico e che il modello “arcaico” di polis dell’eccesso cominciò ad essere additato come anomalo. Come segnala Ampolo 1993, p. 222, Sibari «è anche il segno dei tempi mutati, del grande cambiamento portato soprattutto dalle guerre persiane, quando il mondo greco ridefinì i propri valori, un mondo in cui comunque l’esibizione di ricchezza privata non rappresentava più un valore positivo». Thuc. VI 3, 2: i Corinzi, Ortigia e Siracusa polyanthropos BIBLIOGRAFIA Ampolo 1993 = C. Ampolo, La città dell’eccesso: per la storia di Sibari fino al 510 a.C., in Sibari e la Sibaritide, Atti del trentaduesimo Convegno di Studi sulla Magna Grecia, (Taranto-Sibari, 7-12 ottobre 1992), Taranto 1993, pp. 213-254. Anello 2008 = P. Anello, Eracle eroe culturale tra Iberia e Sikelia, in P. Anello – J. 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