UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI TORINO
Corso di laurea magistrale Interfacoltà di Sociologia
La flessibilità della prestazione di lavoro
Applicazione dell'analisi delle classi latenti per la definizione
di una tipologia empirica
Relatrice: prof.ssa ADRIANA LUCIANO
Correlatore: prof. ROBERTO DI MONACO
Tesi di ANDREA MANISCALCO
Anno Accademico 2010-2011
2
Indice
Pag.
Introduzione ........................................................................................................... 4
Capitolo 1 - Prestazione di lavoro e flessibilità ..................................................... 7
1.1 Origini e applicazioni .................................................................................... 7
1.1.1 Assetti economici e processi di produzione ............................................ 8
1.1.2 Il discorso europeo e la normativa italiana ........................................... 12
1.2 La flessibilità della prestazione di lavoro: verso una tipologia ................... 19
1.2.1 Le dimensioni della flessibilità ............................................................. 19
1.2.2 Misurare la flessibilità .......................................................................... 24
1.3 Stato ed evoluzione del mercato del lavoro italiano .................................... 26
1.3.1 Struttura e stocks ................................................................................... 26
1.3.2 Flessibili d’Italia ................................................................................... 35
Capitolo 2 - L'analisi delle classi latenti ............................................................. 43
2.1 Da una domanda ad una tecnica .................................................................. 43
2.2 L’approccio a classi latenti: fondazione e sviluppo .................................... 48
2.3 La scelta del software: breve recensione ..................................................... 55
2.4 Descrizione formale e applicazione in poLCA ........................................... 59
2.4.1 Terminologia e definizione del modello ............................................... 59
2.4.2 Stima dei parametri ............................................................................... 61
2.4.3 Massimo locale ed errore standard della stima ..................................... 62
2.4.4 Selezione del modello e valutazione dell’adattamento ......................... 68
2.5 Scelta e preparazione delle variabili manifeste ........................................... 70
Capitolo 3 - Tipologia della flessibilità della prestazione ................................... 92
3.1 Scelta del modello ....................................................................................... 92
3.1.1 Output ed etichettatura .......................................................................... 93
3.1.2 Identificazione e valutazione .............................................................. 104
3.2 Lavoratori flessibili della prestazione ....................................................... 110
Conclusioni ......................................................................................................... 137
Riferimenti bibliografici..................................................................................... 144
Appendice ........................................................................................................... 162
3
Introduzione
Nel corso degli ultimi due decenni i mercati del lavoro nazionali sono
profondamente mutati a seguito delle costanti richieste di flessibilizzazione poste
in
essere
dalle
imprese.
L'organizzazione
fordista-taylorista
è
stata
progressivamente superata e sostituita da organizzazioni flessibili meglio
adattabili a mercati economicamente saturi e con una domanda instabile e
differenziata. Le istituzioni sovranazionali e i governi nazionali hanno accolto le
esigenze delle imprese assecondandole attraverso una revisione della legislazione
in materia di lavoro. Essi hanno così permesso l'avvio del processo di
flessibilizzazione del mercato del lavoro. Si sono quindi diffuse forme di
occupazione distanti da quelle tipiche fino ad allora adottate. Quest'ultime sono
caratterizzate per essere a tempo indeterminato e a tempo pieno, diurne e con
monte orario costante. Le occupazioni flessibili sono quindi innanzitutto diverse
da quelle standard, tipiche del periodo fordista.
Si usa definire flessibili "quelle occupazioni che richiedono alla persona di
adattare ripetutamente l'organizzazione della propria esistenza alle esigenze delle
organizzazioni produttive"
1
. Con l'aggravarsi della situazione economica
mondiale, sconfinata nella crisi finanziaria di fine 2008, la flessibilità del lavoro è
diventata argomento centrale del dibattuto pubblico e accademico. Sempre più
frequenti sono gli articoli di denuncia delle condizioni precarie di lavoro e degli
effetti della flessibilità sulle aspettative e sulla vita dei lavoratori. Rimangono
tuttavia inalterate le richieste di flessibilizzazione da parte di imprenditori e
industriali che ripongono proprio in ulteriori misure di flessibilizzazione del
lavoro la speranza di una ripresa economica.
1
(Gallino, 2007)
4
L'interesse accademico e dei media è stato concentrato principalmente sulla
dimensione contrattuale della flessibilità del lavoro. Interessarsi unicamente della
precarietà del lavoro, tuttavia, rischia di mettere in ombra l’altra faccia della
flessibilità, quella relativa alla flessibilità della prestazione di lavoro. Quest’ultima
coinvolge buona parte dei lavoratori e delle loro famiglie e concorre, assieme ad
altri elementi, come stabilità dell’occupazione e soddisfazione nel lavoro, a
determinarne il benessere psico-fisico e socioeconomico.
La flessibilità della prestazione di lavoro si riferisce alla "modulazione da parte
delle imprese di vari parametri della situazione in cui i salariati prestano la loro
attività"2, ovvero si riferisce alle variazioni che il lavoratori sperimentano rispetto
alla condizione di lavoro standard inteso come diurno, a tempo pieno con monte
orario costante, dal lunedì al venerdì in assenza di turnazione e straordinari.
L'oggetto di analisi del lavoro di tesi è la flessibilità della prestazione di lavoro e
le forme che essa assume nel mercato di lavoro italiano. In particolare, la ricerca è
finalizzata a definire una tipologia della flessibilità della prestazione di lavoro che
consenta di descrivere ed analizzare le prestazioni di lavoro dei lavoratori
dipendenti italiani, migliorando la comprensione della struttura del mercato del
lavoro italiano.
Sotto il profilo metodologico, la ricerca propone l'utilizzo dell' Analisi delle Classi
Latenti quale metodo di individuazione della tipologia. La latent class analysis3 è
una tecnica di analisi della struttura latente - i cui input ed output sono variabili
qualitative - adatta a sviluppare tentativi di identificazione di tipologie
empiricamente determinate. Sia l'identificazione della tipologia sia le analisi
preliminari e di presentazione dei principali risultati sono realizzate sui microdati
Istat dell’Indagine Continua sulle Forze di Lavoro del 2009.
2
3
Ibidem.
In letteratura è spesso indicato per mezzo dell'acronimo, LCA.
5
La tesi si compone di tre capitoli. Nel primo capitolo sono approfondite le ragioni
economiche che hanno stimolato il percorso di flessibilizzazione del mercato del
lavoro avvenuto, su sollecitazione delle istituzioni europee, attraverso la revisione
normativa del diritto del lavoro italiano. In questo capitolo sono messa in
evidenza le principali definizioni di flessibilità e viene discussa la definizione
operativa della tipologia. A conclusione del primo capitolo sono presentate, con
l'ausilio delle elaborazioni su serie storiche di Istat, le principali evoluzioni
storiche del mercato del lavoro italiano conseguenti alla flessibilizzazione.
Il secondo capitolo è dedicato alla discussione metodologica dell'approccio
utilizzato e agli strumenti di analisi. In particolare è presentata la definizione
formale dell'analisi delle classi latenti ed è analizzata la scelta delle variabili
manifeste considerate per la realizzazione del modello e per il processo di
ricodifica.
Nel terzo capitolo sono presentati i risultati dell'analisi delle classi latenti e del
processo di selezione del modello. In questo capitolo conclusivo è esposta la
tipologia della flessibilità della prestazione attraverso la quantificazione e la
qualificazione dei lavoratori con prestazioni flessibili. A conclusione del lavoro di
tesi viene analizzata l'esistenza e l'intensità della relazione tra la tipologia di
flessibilità della prestazione e le forme di flessibilità contrattuale.
6
Capitolo 1
Prestazione di lavoro e flessibilità
In questo primo capitolo è presentata una selezione di contributi teorici legati al
tema della flessibilità del lavoro. In primis si ripercorrerà l’evoluzione del
concetto di flessibilità del lavoro nei cambiamenti economici legati al mercato e
alla sua evoluzione nel dibattito europeo e nazionale fino alle modifiche realizzate
al complesso legislativo italiano. Successivamente verrà fornita una definizione
analitica della flessibilità del lavoro e una definizione operativa per la
realizzazione della tipologia della flessibilità della prestazione di lavoro. Infine,
attraverso dati e confronti longitudinali, sarà presentato un quadro empirico del
mercato del lavoro italiano con particolare riguardo all’evoluzione della
flessibilità dagli anni ’90 ad oggi ed agli effetti della recente crisi economica.
1.1 Origini e applicazioni
Sono due gli aspetti determinanti nella maturazione e nella diffusione di pratiche
flessibili del lavoro: la struttura economica e la sovrastruttura istituzionale e
normativa. Per maggior chiarezza i due temi sono trattati separatamente ma si
invita a non considerarli indipendenti. Nonostante gli impulsi al processo di
flessibilizzazione del lavoro siano legati al mercato economico globale il
mutamento del mondo del lavoro è indissolubilmente legato agli sviluppi culturali
e normativi italiani ed europei, pertanto, sono da considerarsi legati e interrelati.
7
1.1.1 Assetti economici e processi di produzione
Nel corso degli ultimi decenni l’economia mondiale è profondamente mutata.
Sotto il profilo della produzione, più ancora che del consumo, sono stati sconvolti
gli equilibri storici tra primo mondo e paesi in via di sviluppo. Con la fine del
secolo breve, l’economia mondiale è mutata in virtù della globalizzazione e con
essa il mercato del lavoro. L’economia di stampo fordista di inizio Novecento,
caratterizzata da grandi imprese verticalmente integrate per la produzione di
massa e da un'organizzazione tayloristica del lavoro raggiunge la maturità negli
anni '50 e '60 del boom economico. A partire dagli anni '70 essa verrà
gradualmente sostituita dal modello produttivo post-fordista. Il modello fordista
della produzione di beni è entrato in crisi a seguito di una crescente saturazione
del mercato dovuta ad un sostanziale eccesso di offerta di beni. Pur essendo in
grado di garantire una produzione efficiente di beni su larga scala, la crescente
competizione a reso necessaria la riduzione dei costi di produzione e un nuovo
modo di gestire l’ottimizzazione dei processi di produzione e di vendita.
L’introduzione di nuove tecnologie elettroniche e lo sviluppo di nuovi stili di vita
e modelli di consumo hanno ulteriormente indirizzato verso questo cambiamento.
Lo sviluppo di nuovi modelli produttivi flessibili si è meglio adattato ai nuovi
trend di consumo. Il modello fordista viene quindi contaminato, e man mano
sostituito, dall’economia dell’appropriatezza, in inglese economy of scope
(Reyneri, 2005a). Quest’ultima è basata su un modello ad autorità decentrata con
unità operative orizzontali e specializzate, radicate sul mercato e flessibili alle
esigenze e ai desideri dei consumatori (Trigilia, 2009). Numerosi studi, specie
quelli di area sociologica, hanno analizzato i cambiamenti economici in termine di
variazione dei tempi di produzione e di lavoro, concentrandosi sulla durata del
monte orario effettivo e sulla presenza di orari diversificati nel giorno e nella
settimana. Ciò che emerge è la pluralità e la diversificazione dei regimi temporali.
Questo mutamento organizzativo viene ricondotto alla differenziazione dei
modelli produttivi avvenuta nei diversi settori economici. (Krings, Nierling,
Pedaci, & Piersanti, 2009) Essa è stata generata dalla struttura dei mercati, dalla
8
saturazione dei beni durevoli e standardizzati, dalla differenziazione delle scelte
dei consumatori, dalle crescenti limitazioni dei mercati ad alta competizione ed
infine dall’alto grado di conflittualità industriale. L’insieme di questi elementi
tende ad aumentare l’incertezza e mina la stabilità imprenditoriale, ovvero i due
elementi cardine su cui il modello fordista-taylorista basava gli ingenti
investimenti. L’organizzazione aziendale viene rifondata sul concetto del ―just in
time‖. Tutti i processi organizzativi legati alla produzione e alla vendita sono
realizzati contestualmente alla loro utilità. Sono pertanto ridotti al massimo i
tempi morti o gli spazi superflui e vengono limitati il più possibile i rischi legati
alla produzione. Gli sforzi di vendita anticipano gli sforzi di produzione. Questo
agire flessibile delle imprese viene inevitabilmente esteso alla componente lavoro
così da poter adattare l’agire d’impresa con i mercati ad alta frammentazione e
instabilità (Reyneri, 2005a).
Il passaggio ad un’economia dell’appropriatezza ha favorito la centralità delle
unità organizzative legate al marketing. Le analisi economiche legate al marketing
descrivono i cambiamenti economici come una evoluzione di orientamento di
prospettiva delle imprese, identificandone tre (Collesei, 2000):
A. L’orientamento delle imprese alla produzione, tipico del modello fordista,
centrato sulla produzione di beni su larga scala ed a basso costo dovuto ad
una domanda di beni superiore all’offerta.
B. L’orientamento alla vendita, tipico della fase di transizione verso un
modello post-industriale, dovuto ad una offerta di beni superiori alla
domanda e caratterizzato dal ruolo chiave dei processi di vendita
attraverso
una
espansione
delle
attività
di
comunicazione
e
reclamizzazione.
C. L’orientamento al mercato, peculiare della fase economica in corso da
qualche decennio, centrato sui desideri e bisogni dei consumatori, veri o
indotti; capace di rispondere a mercati complessi ed altamente flessibili.
9
Quali sono gli effetti sul mercato del lavoro generati dai nuovi assetti economici e
dai nuovi modelli di produzione?
A livello macro economico, il processo di globalizzazione ha portato con sé una
ridistribuzione territoriale dell'attività economica e del lavoro. Le imprese hanno
attuato delle strategie di delocalizzazione trasferendo le unità operative e
produttive maggiormente influenzate dal costo del lavoro nei paesi emergenti e in
via di sviluppo in cui il costo della forza lavoro è inferiore e in cui le aziende
possono avvantaggiarsi di una minore tutela sindacale. Vi sono in particolare due
effetti che la globalizzazione sortisce sul lavoro. Da un lato la divisione a livello
globale della produzione di beni e servizi che rende possibile l’abbattimento dei
costi di produzione. Su questo, pur essendoci distinzioni e peculiarità tipiche di
ogni paese e mercato, la tendenza è verso la delocalizzazione della produzione a
minor valore aggiunto nei paesi emergenti e il mantenimento della produzione ad
alta tecnologia ed alto valore aggiunto nei paesi occidentali. Su questa tendenza
influisce tuttavia il costo delle materie prime e l'incidenza variabile dei costi di
trasporto dovuta al valore del petrolio e alla disponibilità di infrastrutture locali
(Daveri, Manasse, & Africa, 2003). In secondo luogo vi sono gli effetti sul
mercato del lavoro internazionale e il relativo stato di precarietà e sfruttamento a
cui, spesso, sono soggetti i lavoratori nei paesi in via di sviluppo. Tale stato
aumenta il rischio di squilibrio tra domanda e offerta di lavoro favorendo pratiche
lesive di diritti e tutele dei lavoratori. Ciò può determinare, di ritorno, una
riduzione del peso contrattuale dei lavoratori occidentali, specie di quelli
―rimpiazzabili‖ 4 . Polanyi 5 (Polanyi, 1974) e Amartya Sen 6 (Sen, 1994, 2002)
confutano le analisi positive sulla ridistribuzione del benessere generata dalla
globalizzazione
economica,
mostrando
quanto
sia
erroneo
considerare
4
Il dilemma del prigioniero si addice perfettamente alle dinamiche competitive tra i lavoratori a
livello internazionale.
5
Ci si riferisce alla distinzione tra economia formale, lavoro svolto per il mercato a fini di
guadagno monetario; e economia sostanziale, finalizzata alla produzione di beni e servizi non
scambiati per mezzo del denaro.
6
Il riferimento è alla impossibilità di utilizzo di alcuni indicatori di ricchezza, ad esempio il Pil o
il reddito medio, per determinare i risultati economici in termini di miglioramento della qualità
della vita.
10
necessariamente positive tali evoluzioni7. Lo studio degli effetti del mutamento
del mercato del lavoro risulta centrale anche nella spiegazione dei teorici della
transizione (Bauman, 2007, 2008; Beck, 2000, 2007; Sennett, 2009). Questi autori
hanno avuto il merito di mostrare a partire dal concetto di rischio, quali siano gli
effetti sui lavoratori e le loro vite, declinando l’attuale transizione del lavoro come
un processo di de-standardizzazione della società industriale: dal sistema di
occupazione standardizzata, tipico dell’economia industriale fondata sul lavoro
salariato, ad un sistema di ―sotto-occupazione‖ con elevata flessibilità, attraverso
forme di lavoro de-regolato, time intensive e decentralizzato (Trigilia, 2003,
2009). Sono reintrodotte due categorie sociologiche forti: l’individualizzazione e
la riflessività (Semenza, 2004). Beck sostiene che la modernità diventa riflessiva e
l’individuazione, intesa come l’inizio di un nuovo modo di sociazione, è definita
come una sorta di metamorfosi del rapporto tra individuo e società (Beck, 2000).
Concludendo, i processi economici mondiali sono mutati rapidamente negli ultimi
decenni, diventando globalizzati e flessibili. Ciò è avvenuto in relazione
all’instabilità del mercato globale e alla saturazione del mercato di beni durevoli. I
nuovi processi produttivi necessitano di un'ampia flessibilità organizzativa per
potersi adattare ai nuovi mercati di beni diversificati. A livello macro, gli effetti
positivi sono la redistribuzione internazionale del lavoro e la potenziale
ridistribuzione della ricchezza; gli effetti negativi sono il rischio di
precarizzazione del lavoro, lo spostamento del rischio di impresa dagli
imprenditori ai lavoratori e il potenziale circolo vizioso della competizione
internazionale tra i lavoratori. Le necessità economiche di flessibilizzazione del
mercato del lavoro sono legate al più vasto processo di flessibilizzazione
dell’economia e sono il risultato naturale delle strategie di internazionalizzazione
delle imprese e di de-standardizzazione della società industriale. Compito della
politica nazionale e sovranazionale dovrebbe essere governare questi fenomeni
secondo criteri di coesione sociale, prosperità e giustizia, attraverso riforme
normative dell’economia e del mercato del lavoro. In altre parole, le istituzioni
7
Si rimanda agli stessi autori un'esposizione completa delle tesi sostenute che qui non possono
trovare spazio in modo soddisfacente.
11
politiche dovrebbero armonizzare la connessione tra flessibilità di mercato e
flessibilità sociale attraverso lo stimolo della responsabilità d'impresa (Biagioli &
Reyneri, 2004). Con responsabilità sociale dell'impresa (Semenza, 2004) si
intende la capacità dell'azienda di offrire risposta alle istanze che la flessibilità
sociale solleva. Le imprese socialmente responsabili devono impegnarsi a fornire
una buona compatibilità della sfera lavorativa con quella familiare; orari di lavoro,
che pur flessibili, si adattino alle esigenze dei lavoratori; un rapporto che concili
lavoro e formazione; prevenzione e gestione delle eventuali situazioni di crisi
aziendale.
1.1.2 Il discorso europeo e la normativa italiana
Nel paragrafo precedente si è cercato di mostrare come alla base della flessibilità
del lavoro vi siano delle esigenze prevalentemente economiche, determinate e
sostenute, dalla globalizzazione economica. In risposta alle esigenze del mercato,
si è sviluppata una vasta riflessione teorica, e politica, sia nel mondo accademico
che all’interno delle istituzioni. E’ da sottolineare, tuttavia, che la prevalenza di
analisi e contributi è prevalentemente orientata al tema della flessibilità inteso
come precarietà del lavoro. Nonostante il centro di interesse di questo lavoro sia
legato espressamente alla flessibilità nella prestazione di lavoro, si ritiene
opportuno offrire una breve introduzione sull’evoluzione del discorso pubblico e
delle normative legate al tema della flessibilità del lavoro nel suo insieme,
rimandando successivamente la distinzione tra le diverse accezioni di flessibilità.
Le politiche sul mercato del lavoro legate alla flessibilità, si possono distinguere
in tre fasi temporali (Berton, Richiardi, & Sacchi, 2009):
Anni ’40 – ’70; modello garantista dei rapporti di lavoro
Anni ’70 – ’90; modello di garantismo flessibile
Anni ’90 – in corso; ridefinizione del diritto del lavoro
12
L'attenzione sarà concentrata prevalentemente su quest’ultima fase, fornendo
un’interpretazione in parallelo, tra la normativa italiana e le sollecitazioni delle
istituzioni europee.
Luciano Gallino sostiene che le maggiori motivazioni a sostegno della
flessibilizzazione del mercato del lavoro siano da attribuire alle esigenze del
mercato e alle sollecitazioni delle istituzioni europee.: ―Ce lo chiede l’Europa‖,
―ce la chiedono i mercati‖ (Gallino, 2007). Il ruolo dello Stato Italiano è stato, per
Gallino e altri autori (Rullani, 2007), soprattutto quello di esecutore di pensieri,
politiche, perseguite nel migliore dei casi su proposta dell'Unione Europea, nel
peggiore, attuate in assenza di una riflessione programmatica e lungimirante.
Nonostante questa interpretazione non sia completamente condivisibile nella sua
assolutezza e non riscontri diffusi favori, essa garantisce una lettura lineare del
processo di flessibilizzazione del lavoro, seppur al costo di sottostimare l’azione
dei parlamento e del governo italiano.
La fine degli anni ’90 è segnata dal documento Employment Outlook del 1999
realizzato dall’OCSE 8 , (OECD, 1999) nel quale l’Italia viene classificata tra i
paesi con il più alto tasso di rigidità del mercato del lavoro. (Conte, Devillanova,
Liebman, & Morelli, 2003; Gualmini, 2001; Massimiani, 2007) Il tasso di rigidità
dei regimi di protezione dell’impiego (RPI) viene interpretato come indicatore
strategico nell’analisi dello stato di salute dei mercati del lavoro nazionali e come
responsabile di una maggiore, o minore, capacità recettiva dei sistemi economici
nazionali sugli investimenti delle imprese 9 . Il suo utilizzo permette, secondo
l'OCSE, di individuare specifici istituti responsabili della rigidità e di conseguenza
modificarli. Il discorso europeo ha basato la propria impostazione analitica su
questo rapporto dell'OCSE (Berton, 2009). Inaspettatamente, almeno da quanto
8
Organizzazione europea per la cooperazione e lo sviluppo economico.
Un RPI si caratterizza per la presenza di uno o più di questi elementi: a) pagamento di un ―buono
uscita‖ (severance payment) nei confronti del lavoratore licenziato; b) periodo minimo di
preavviso prima di terminare il rapporto; c) obbligo di reintegro del lavoratore in caso di
licenziamento ingiustificato (job property); d) procedure preventive per l’avvio di licenziamenti
collettivi; e) vincoli quantitativi o procedurali all’utilizzo di contratti a tempo. (Nannicini, 2005)
9
13
traspare dai documenti ufficiali, il discorso europeo sulla flessibilizzazione del
mercato europeo è di per sé iniziato a partire da una interpretazione netta del
fenomeno: l’indiscutibile necessità di rendere flessibile il mercato del lavoro. Pur
senza voler contestare nel merito tale approccio, sembra quantomeno
inappropriata questa impostazione di metodo, specie tenendo a mente la storia
europea e le sue peculiarità politico-sociali.
A partire dai primi anni novanta i legislatori italiani hanno intrapreso azioni per
rispondere alle esigenze di mercato dando priorità agli interventi volti a
promuovere l’occupazione flessibile nelle imprese. Come direbbe Gallino, in
direzione di una ri-mercificazione del lavoro. I tanti interventi rispondono all’idea
di accrescere la flessibilità del lavoro su una concezione di lavoro come merce,
separata ed indipendente dal soggetto, il lavoratore.
Gli anni novanta rappresentano quindi l'avvio del periodo di revisione legislativa
del diritto del lavoro, dovuto alle esigenze di flessibilità, attraverso una strategia
esplicitamente rivolta all’incremento dei livelli di occupazione. I legislatori
manifestano la certezza, per alcuni studiosi quantomeno ingenua (Ricci, Damiani,
& Pompei, 2011; Zoppoli, 2007), che al rilassamento dei vincoli contrattuali di
tutela dei lavoratori corrisponda un aumento della capacità occupazionale del
sistema economico. Queste motivazioni stimolano la modifica legislativa degli
anni ’90 (Berton, 2009; Gallino, 2007; Gualmini, 1997):
il protocollo Ciampi del 1993 apre ad importanti spazi di negoziazione
nell’ambito della flessibilità salariale e del costo del lavoro, portando alla
definizione di una nuova articolazione degli assetti contrattuali;
la legge n°451 del 1994 prevede la fiscalizzazione degli oneri sociali per le
assunzioni di lavoratori a tempo parziale e l’innalzamento dell’età
massima per i contratti di formazione e lavoro, estendendola a 32 anni,
vengono inoltre istituiti i piani di inserimento professionale e l’attivazione
dei lavori socialmente utili;
14
la legge n°335 del 1995 istituisce la Gestione separata Inps 10 rivolta ai
lavoratori autonomi sprovvisti di casse previdenziali di appartenenza e ai
titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa 11;
la legge Treu del 1997 intitolata ―Norme in materia di promozione
dell’occupazione‖ stabilisce l’orario canonico di lavoro, 40 ore
settimanali, da intendersi rispetto alla durata media delle prestazioni
lavorative in un periodo superiore all’anno (art.13) pur mantenendo la
distinzione interna ai contratti nazionali.
Una spinta ulteriore verso il processo di flessibilizzazione del lavoro viene portata
dalla Strategia di Lisbona, definita nel 2000, che si prefigge per il decennio 20002010
12
di far divenire l’Europa l’economia basata sulla conoscenza più
competitiva e dinamica del mondo, così da ―realizzare una crescita economica
sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale‖.
Tale approccio si basa a sua volta su tre pilastri portanti (Decaro, 2010;
Presidenza del consiglio dei ministri, 2010):
un approccio microeconomico ispirato al modello americano di sviluppo
che, attraverso il passaggio verso un’economia e una società basate sulla
conoscenza, migliora le politiche in materia di società dell’informazione
accelerando il processo di riforma strutturale ai fini della competitività e
dell’innovazione e completando il mercato del lavoro interno;
una politica sociale attiva che mira a modernizzare il modello sociale
europeo investendo nelle persone e combattendo l’esclusione sociale;
una visione macroeconomica coerente con il Trattato, impegnata a
sostenere un contesto economico sano e delle prospettive di crescita
favorevoli, applicando un adeguato policy-mix.
L’aliquota di riferimento per i lavoratori parasubordinati era inizialmente molto modesta rispetto
a quella applicata ai lavoratori subordinati.
11
Definiti come: ―rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera
continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato‖.
12 Nel 2005 a seguito della difficoltà di raggiungimento di alcuni obiettivi l’Unione Europea a
dato priorità agli obiettivi di sviluppo economico e occupazionale.
10
15
Nel dettaglio, la Strategia sancita dal titolo VIII del Trattato di Amsterdam si
articola su quattro dimensioni fondamentali: occupabilità, imprenditorialità,
adattabilità e pari opportunità. I conseguenti obiettivi operativi da raggiungere
per i Paesi dell’Unione Europea sono (Decaro, 2010):
un tasso di occupazione medio europeo pari al 70 per cento;
un tasso di occupazione femminile al 60 per cento;
un rapporto tra investimenti in ricerca e sviluppo pari al 3 per cento del
PIL dell'UE.
Il sistema Italia ha recepito le direttive europee, attraverso diversi provvedimenti
legislativi. I principali sono (Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2005):
il decreto legislativo n°61 del 2000 che supera la diffidenza italiana verso
il part-time istituendo il part-time orizzontale, verticale e misto, aprendo la
strada ad una flessibilizzazione degli orari di lavoro;
il decreto legislativo del 6 settembre 2001 che introduce la possibilità di
costituire dei ―contratti di lavoro subordinato a durata determinata a fronte
di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo‖;
la legge n°30 del 2003, detta Legge Biagi, poi modificata dal decreto
legislativo n°276 del 2003, che elimina i limiti di contenimento dei
contratti atipici e moltiplica le tipologie contrattuali (contratto in
somministrazione, apprendistato, contratto di lavoro ripartito, contratto di
lavoro intermittente, lavoro accessorio e lavoro occasionale, contratto a
progetto) permettendo e favorendo la contrattazione individuale dei
contratti di lavoro e istituendo le agenzie di somministrazione di lavoro.
Le modifiche al corpus normativo hanno di fatto prodotto una segmentazione del
mercato del lavoro favorendo la creazione di due separati filoni contrattuali, da un
lato la normativa del canonico contratto da dipendente subordinato a tempo pieno
e indeterminato, dall’altro una normativa multiforme di contratti atipici a bassa
tutela giuridica. Simili direttive sono state riprodotte in molti paesi europei con la
conseguenza di rendere visibili i limiti e gli eccessi di un processo di deregolazione dei contratti di lavoro. A questo proposito, la letteratura sociologica
16
parla di sistema a flessibilità dualistica (Krings et al., 2009; Reyneri, 2005a). La
forza lavoro delle imprese viene distinta in due fasce a geometrie variabili, a cui si
associano diverse qualità interaziendali e diverse tutele contrattuali:
-
una fascia fissa di lavoratori stabili con cui perseguire una politica interna
di flessibilità funzionale che, pur non costituendo necessariamente il cuore
professionale dell’azienda, è considerata strategica. Ai lavoratori di fascia
fissa è garantita una copertura totale di tutele e diritti.
-
una fascia periferica o marginale, che affianca e integra la fascia fissa,
composta
da
lavoratori
flessibili,
inclusi
professionisti
ad
alta
qualificazione, a cui viene garantita una copertura parziale, e in alcuni casi
minima, di garanzie e tutele.
In risposta ai rischi delineati, le istituzioni europee hanno gradualmente
modificato le proprie indicazioni. (Biagioli & Reyneri, 2004; Gallino, 2009)
Il Libro Verde della Commissione Europea (Houben, 2007; Massimiani, 2007;
Unione Europea, 2003) introduce il concetto di flexicurity, in italiano
flessicurezza, per indicare ―una strategia integrata destinata a migliorare allo
stesso tempo la flessibilità e la sicurezza nel mercato del lavoro‖ (Unione
Europea, 2007a). Nel documento viene mantenuta la vocazione di apertura alla
flessibilizzazione del lavoro, ma allo stesso tempo, essa viene accompagnata da
una strategia di attenuazione dei danni prodotti sulla vita dei lavoratori flessibili.
L’Unione Europea sostiene che: (Isfol, 2007; Road, 2009; Unione Europea,
2007b)
la flessicurezza è potenzialmente in grado di apportare un decisivo
miglioramento alla competitività dell’economia europea, creando livelli di
occupazione più elevati;
le aziende, i lavoratori e la società devono riuscire a raggiungere un
accordo in materia di flessicurezza, sistema in cui devono poter riporre
piena fiducia;
la sicurezza deve fondarsi sulla sicurezza dell’occupazione, e non del
posto di lavoro, fornendo un insieme di diritti e strumenti.
17
La nuova direttiva si fonda sui concetti di flessibilità e di sicurezza, posti entrambi
al centro del discorso e riferiti ai percorsi individuali dei lavoratori europei
(Houben, 2007). Vi è forse il tentativo di curare gli effetti della flessibilizzazione
del lavoro ma al tempo stesso sostenendone le cause? 13 L’obiettivo indicato dalla
Commissione Europea è nel contempo un aumento della possibilità per le imprese
di liberarsi delle prestazioni di lavoro superflue in un dato momento, un aumento
della libertà di licenziamento e inoltre, l'aumento della probabilità dei lavoratori di
spostarsi da un lavoro all’altro riducendo così al minimo i periodi di
disoccupazione.
La provocazione di Gallino, pur essendo di natura politica e quindi poco
discutibile, consente di mettere in evidenza che l’intensità con cui è stato
sostenuto il processo di flessibilizzazione del mercato del lavoro è giustificabile
solo ammettendo la subordinazione del potere politico delle istituzioni europee al
potere economico (Leonardi, 2007; Rullani, 2007, 2010). Al contrario, più
coerenti ad un’idea europea della politica e dell’economia, sono i tentativi legati
alla flexicurity che in parte rivedono le applicazioni sregolate dal contesto della
flessibilità sul mercato del lavoro
Gallino a questo proposito titola il capitolo dedicato alla flexicurity: ―La flessicurezza, o come
curare gli effetti ignorando le cause‖. Su quest’ultimo punto del titolo è richiesta una precisazione.
Le cause non sono ignorate bensì accettate e sostenute, poiché ritenute necessarie, per poter
mantenere competitive le imprese europee all’interno dell’economia mondiale e globalizzata.
13
18
1.2 La flessibilità della prestazione di lavoro: verso una tipologia
La letteratura sociologica offre importanti contributi sul concetto di flessibilità
economica e del lavoro. I principali sono la tassonomia di Dore (Dore, 1988) e,
per la letteratura italiana, i contributi di Reyneri e Gallino (Gallino, 2007;
Reyneri, 2005a). Gli strumenti analitici presentati orienteranno la definizione
operativa della flessibilità della prestazione di lavoro.
1.2.1 Le dimensioni della flessibilità
Nella letteratura sociologica il termine flessibilità del lavoro è utilizzato in
relazione alla ―capacità di adattare vari aspetti del rapporto lavorativo alle
esigenze espresse dal datore di lavoro e dai lavoratori‖ (Berton, 2009). Una
definizione più critica è presentata da Gallino: flessibili sono quelle ―occupazioni
che richiedono alla persona di adattare ripetutamente l’organizzazione della
propria esistenza – nell’arco della vita, dell’anno, sovente perfino del mese o della
settimana – alle esigenze produttive che la occupano o si offrono di occuparla,
private o pubbliche che siano.‖ (Gallino, 2007). In questa definizione è centrale la
connotazione negativa sugli effetti della flessibilità sui lavoratori. A questo
proposito, si nota una visione passiva, per non dire succube, dei lavoratori rispetto
alle imprese. Questa interpretazione, connotata politicamente, è anche sostenuta
da alcuni dati empirici, almeno a livello italiano, che rilevano il netto squilibrio di
potere tra lavoratori e imprese. A titolo esemplificativo, si pensi alle difficoltà che
incontrano i lavoratori a tempo pieno nel richiedere il part-time, che qualora non
incontri il favore da parte dell’impresa, si risolve a favore di quest’ultima.
Difficoltà ancora maggiori sono registrate nel caso di un primo accordo verso il
part-time e di un successivo ripensamento del lavoratore, magari a seguito di
necessità economiche.
19
Ricorrente in tutti gli autori è il riferimento alle flessibilità, intesa al plurale, così
da sottolinearne le diverse forme. Le flessibilità nel mercato del lavoro possono
essere così distinte e definite: (Dore, 1988; Reyneri, 2005a)
A. Flessibilità salariale, composta a sua volta di una componente strutturale,
riguardante le differenze retributive determinate da diversi livelli di
produttività per territorio, settore, qualifica ed età; una componente
congiunturale, relativa all’adeguamento dei salari alle fluttuazioni cicliche
del sistema economico nazione, (macro), e relativa al collegamento delle
retribuzioni all’andamento economico dell’impresa (micro).
B. Flessibilità nell’uso della forza lavoro, composta da una componente
statica,
relativa alle differenziazione delle attività lavorative; ed una
dinamica, riguardante la capacità di aggiustamento rapito ai mutamenti. Le
aree di interesse caratteristiche sono qui l’orario di lavoro, l’ingresso e
l’uscita dall’impresa e la mobilità interna all’impresa. ―Le diverse
alternative di queste tre aree, combinandosi insieme tra loro in vario modo,
danno vita alla tipologia dei rapporti di impiego‖, mentre rispetto
all’orario di lavoro, la componente dinamica è esemplificata dalla
variabilità del monte orario prestato dal lavoratori attraverso straordinari e
variazioni di orario su base annua. Diversamente, la componente dinamica
relativa all’orario di lavoro si specifica attraverso il superamento del
tradizionale orario di lavoro diurno, rigido e su cinque giorni lavorativi,
sostituito da lavoro serale, festivo, su turni o a tempo parziale.
C. Flessibilità numerica o esterna, ovvero il grado di libertà con cui
un’impresa può adeguare il volume e le caratteristiche professionali
dell’occupazione con l’andamento della produzione o in relazione ai
mutamenti tecnologici. Gli aspetti chiave di questo tipo di flessibilità sono:
i
vincoli
normativi,
contrattuali
o
convenzionali
che
regolano
licenziamenti e assunzioni; la possibilità di ricorrere a rapporti di lavoro
20
dipendente diversa da quelli a tempo determinato, ovvero i contratti
inseriti nella normativa del diritto del lavoro a partire dalla legge Biagi in
poi (subordinati e parasubordinati); la possibilità di ricorrere a processi di
esternalizzazione o subappalto ad imprese esterne e liberi professionisti.
D. Flessibilità funzionale od organizzativa, ovvero la possibilità di spostare
dei lavoratori da un posto di lavoro all’altro, anche cambiando funzione,
all’interno dell’impresa o di variare il contenuto della prestazione.
Una diversa definizione è presentata da Gallino in ―Il lavoro non è una merce‖
(Gallino, 2007):
A. Flessibilità dell’occupazione, che consiste nella possibilità, da parte
dell’impresa di variare, positivamente o negativamente, la quantità di
lavoro utilizzata, ovvero il numero di lavoratori, consentendo così, in
relazione ai cicli produttivi, l’adeguamento in tempi rapidi della
componente di costo legata al lavoro. Ciò avverrebbe qualora siano
consentite un’ampia libertà di licenziare i lavoratori in eccesso o la
possibilità di occupare salariati14 secondo norme del diritto del lavoro il
più possibile flessibili e non definitive. La flessibilità dell’occupazione si
traduce in una variegata tipologia di contratti di lavoro. Questi contratti
sono definiti atipici, per sottolinearne la distinzione e la separazione dai
contratti di lavoro tipici, ovvero quei contratti di lavoro dipendente a
durata indeterminata e a tempo pieno. Sono quindi da considerarsi
indicatori di flessibilità dell’occupazione la varietà dei contratti: a durata
determinata, a tempo parziale, in somministrazione, ex interinale, il lavoro
parasubordinato e il lavoro ripartito, oltre le prestazioni occasionali e il
lavoro intermittente. I lavoratori contrattualizzati, secondo queste forme di
lavoro, rappresentano il bacino di riferimento da cui partire per l'analisi
della flessibilità dell’occupazione del mercato del lavoro italiano.
14
Gallino parla consapevolmente di occupati salariati e non di lavoratori assunti così da
evidenziare ancora più, la deriva precaria associata ai contratti flessibili.
21
B. Flessibilità della prestazione, si riferisce alla modulazione della qualità e
della quantità di lavoro prestata all’impresa dai lavoratori. Questo tipo di
flessibilità riguarda l'insieme dei lavoratori occupati in un'impresa, sia di
quelli con contratti tradizionali sia di quelli con contratti atipici. La
flessibilità della prestazione riguarda: l’articolazione dei salari, che
consente l’ancoramento degli stessi ai meriti individuali o alla produttività
di reparto o di impresa e l'articolazione degli orari su archi temporali
variabili, tesa ad accrescere l’utilizzo degli impianti e l’aderenza alle
singolarità del ciclo produttivo. In questo senso, la flessibilità della
prestazione può concretizzarsi in una pluralità di aspetti. Ne sono esempi il
lavoro su turni e gli orari slittanti. Le prestazioni prefestive e festive
garantiscono
una
continuità
produttiva
ed
operativa.
Gli
orari
pluriperiodali o annualizzati e il lavoro straordinario garantiscono
l'aderenza della forza lavoro alle esigenze effettive dell’impresa. La
condivisione di mezzi di produzione e le improvvise variazioni del ritmo,
del tipo e del luogo di lavoro, permettono di far fronte alle peculiarità
operative dell’attività economica o la risoluzione di occasionali
disfunzioni del ciclo produttivo.
Legislativamente, la flessibilità della prestazione è regolata da contratti
collettivi tra le imprese e i sindacati, sia a livello nazione che a livello
d'impresa, ed è regolata da norme specifiche per ciascuna tipologia
contrattuale atipica. (Gallino, 2007)
La definizione proposta da Gallino associa la condizione di part-time alla
flessibilità della condizione di lavoro. Ciò è senz’altro accettabile a seguito
dell’impatto che tale condizione ha sulle altre dimensioni della flessibilità della
condizione. Tuttavia, in questo lavoro essa sarà considerata in relazione al
significato che qualitativo che il part-time ha sulla prestazione del lavoratore.
La resa grafica della tassonomia, figura 1.1, rende apprezzabile la completezza
della definizione di Dore e la complessità della flessibilità del mercato del lavoro.
22
Il merito di questo approccio è la relativa schematicità con cui si descrive un
fenomeno molto articolato e dai tanti attori. Il riferimento a processi micro e
macro, statici e dinamici, rende possibile una lettura completa degli attori in
gioco, delle dinamiche strutturali e dei processi dinamici che caratterizzano la
flessibilità del lavoro.
Figura 1.1 - Le forme della flessibilità lavorativa, ricostruzione grafica propria sul definizione di Dore, (Dore,
1988).
Numerica
(esterna)
Adeguamenti
normativi e
contrattuali
Strutturale
FLESSIBILITÀ
(salario di ingresso)
Macro
(fluttuazioni
cicliche)
Salariale
Congiunturale
Funzionale
(organizzativa)
Polivalenza
professionale e
mobilità interna
Micro
(adeguamenti
dell’impresa)
Dinamica
(aggiustamento rapido
ai mutamenti)
Orario di lavoro,
ingresso ed uscita
dall’impresa
Statica
(differenziazione delle
situazioni di lavoro)
Orario giornalieri,
festivi, notturno, turni,
part-time
Dell’uso, della
prestazione
Nel grafico è indicata, attraverso l’utilizzo dei colori, la distinzione fornita da
Gallino tra flessibilità dell’occupazione, in rosso, e flessibilità della prestazione di
lavoro, in blu. In grigio sono segnate le dimensioni comuni che hanno
implicazioni su entrambe le dimensioni della flessibilità discusse dall'autore.
La definizione di Gallino risulta quindi meno dettagliata, ma permette, almeno in
relazione ai fini di questo lavoro, una divisione efficace e puntuale della
flessibilità della prestazione di lavoro dalla flessibilità della condizione di lavoro.
23
Riassumendo, la flessibilità della condizione viene applicata sui lavoratori
attraverso le forme atipiche di lavoro in relazione alla natura e alla durata
contrattuale. Al contrario la flessibilità della prestazione si manifesta su quei
lavoratori,
tipici
e/o
atipici,
che
vedono
variare
quantitativamente
e
qualitativamente le dimensioni sostanziali del proprio lavoro: orario e turnazioni
(straordinari, lavoro serale, notturno, su turni), composizione giornaliera di lavoro
(lavoro al sabato, domenica, festivi), luogo (lavoro da casa). In accordo con
quest'ultima definizione, i lavoratori che sperimentano forme di flessibilità legate
alla prestazione di lavoro rappresentano il soggetto analitico di ricerca.
1.2.2 Misurare la flessibilità
Data la complessità e la variabilità delle prestazioni di lavoro, si è ritenuto
opportuno fondare la definizione della tipologia, non solo su una riflessione
teorica della flessibilità, ma soprattutto in relazione alle prestazioni effettive dei
lavoratori subordinati e parasubordinati italiani. Pur meritando altrettanto
interesse, i lavoratori autonomi sono stati esclusi dall’analisi. I dati a disposizione,
oltre a considerevoli difficoltà metodologiche, non ne hanno reso possibile
l’inclusione15. Prima di poter misurare la flessibilità è dunque necessario darne
una definizione operativa.
La definizione di flessibilità della prestazione è costruita sul negativo della
definizione di prestazione standard di lavoro. Il lavoratore standard della
prestazione di lavoro presenta le seguenti caratteristiche:
lavoro a tempo pieno,
assenza di lavoro straordinario,
monte orario costante compreso tra 36 e 40 ore settimanali,
diurno nella fascia oraria 8-20,
E’ tuttavia in questo senso che sarebbe necessario muoversi per poter comprende a pieno la vera
struttura della flessibilità della prestazione di lavoro italiana.
15
24
dal lunedì al venerdì e senza turnazione,
svolto presso l’azienda.
I lavoratori standard della prestazione costituiscono quello che può essere definito
il gruppo di controllo nella definizione della tipologia di lavoro flessibile della
prestazione. L'utilizzo di una definizione per contrasto permette di definire in
modo univoco le caratteristiche di assenza di prestazioni flessibili rimandando
all'analisi empirica il compito di individuare la presenza, e la natura, delle diverse
forme di flessibilità della prestazione di lavoro. La locuzione "lavoratori flessibili
della prestazione" sarà usata nel corso del testo per identificare quei lavoratori che
sperimentano forme di flessibilità della prestazione di lavoro. Questo approccio
bene si associa all'utilizzo dei dati Istat e alla definizione di una tipologia
attraverso l'uso di tecniche di analisi della struttura latente. Come vedremo, la
ricostruzione della tipologia attraverso questo metodo consentirà di definire in
modo empirico il numero di tipi di cui la tipologia si compone e allo stesso modo
di diversificare i diversi tipi di lavoratori a seconda di pattern ricorrenti nel
mercato del lavoro italiano.
Il punto di forza di una definizione operativa siffatta è la capacità di adattarsi ai
dati a disposizione permettendo l'identificazione di una tipologia empirica, poiché
del tutto costruita a partire dalle osservazioni sulle prestazioni di lavoro rilevate
dall'indagini trimestrali sulla forza lavoro. Di contro, in questo modo, vi è il
rischio di trascurare la dimensione teoretica della tipologia. Tuttavia si è scelto di
privilegiare la vocazione analitica e descrittiva.
25
1.3 Stato ed evoluzione del mercato del lavoro italiano
Come è cambiata la struttura del mercato del lavoro a seguito dei cambiamenti
economici e normativi discussi? E’ possibile parlare di una struttura flessibile del
lavoro? Come osservare e quantificare la flessibilità della prestazione in Italia?
Quali sono gli effetti prodotti dalla crisi economica dell’ultimo triennio sui
lavoratori? In questo paragrafo si proverà a dare risposta alle questioni sollevate
attraverso l’utilizzo di dati16 sul mercato del lavoro.
1.3.1 Struttura e stocks
L’occupazione, la disoccupazione e la popolazione inattiva sono gli ―stocks‖ del
mercato del lavoro, ovvero quantità misurate in un dato istante17. La metafora dei
bacini d’acqua comunicanti (Reyneri, 2005b) rende bene il funzionamento. Gli
―stocks” rappresentano le tre unità fondamentali del mercato del lavoro e possono
essere immaginati come canali collegati ed emissari di diversa grandezza.
Come mostrato nella figura 1.2, i bacini sono collegati da una complessa rete di
flussi bidirezionali.
Le variazioni di uno stock sono determinate dal saldo dei diversi flussi in entrata e
in uscita e rappresentano il primo elemento di analisi dello stato di salute
dell’economia e della società nel suo insieme.
La principale fonte statistica italiana sul mercato del lavoro è la rilevazione
continua delle forze di lavoro, RCFL, realizzata trimestralmente dall’Istat. Il
16
La mole di dati e di analisi rintracciabili sul mercato del lavoro italiano è cospicua e spesso
ridondante. Si è scelto di riportare solo i tratti salienti privilegiando la fonte istituzionale più
accreditata.
17
La rilevazione delle forze di lavoro Istat è condotta trimestralmente. La dinamicità del fenomeno
e le peculiarità nostrane, come ad esempio l’oscillazione stagionale, ne motivano la cadenza
elevata.
26
principale obiettivo dell’indagine è rappresentato dalla produzione delle stime
ufficiali degli occupati e delle persone in cerca di occupazione.
Fig. 1.2 - Rappresentazione grafica dei flussi del mercato del lavoro
(Fonte: Repertorio delle professioni, Isfol in (Reyneri, 2005b)
La popolazione in età lavorativa (15 anni e oltre) è stata ripartita in tre gruppi
esaustivi e mutuamente esclusivi: occupati, disoccupati, inattivi. La composizione
avviene
secondo
criteri
classificatori
basati
sulle
definizioni
ispirate
dall’International Labour Office, ILO, e recepite dai regolamenti comunitari e
27
nazionali. Il risultato complessivo è una discreta uniformità metodologica a livello
europeo18.
―Nella condizione di occupato si classificano le persone (con almeno 15 anni)
che nella settimana di riferimento, quella che in generale precede la settimana in
cui viene condotta l’intervista, hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una
qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario. Nella condizione di
occupato vengono inoltre classificati coloro che, sempre nella settimana di
riferimento, hanno svolto almeno un’ora di lavoro anche non retribuito nella ditta
di un familiare nella quale collaborano abitualmente.‖ (Istat, 2006)
―L’individuazione delle persone in cerca di occupazione si fonda su requisiti
classificatori molto dettagliati, validi per le persone di età compresa tra i 15 e i 74
anni. Il primo requisito è risultare non occupato; il secondo di essere disponibile a
lavorare (o ad avviare un attività autonoma) entro le due settimane successive il
giorno dell’intervista; il terzo è avere fatto almeno un’azione di ricerca di lavoro,
tra quelle previste, nelle quattro settimane precedenti l’intervista. Quest’ultimo
criterio non viene applicato agli individui non occupati che dichiarano di aver
trovato un lavoro che inizierà entro tre mesi dalla data dell’intervista. Permane
comunque anche per questo gruppo l’osservanza del requisito sulla disponibilità
18
A completamento delle definizioni utilizzate (Reyneri, 2005a, 2005b; Trigilia, 2003):
Forze di lavoro o popolazione attiva, è la somma degli occupati e delle persone in cerca di
occupazione. Rappresentano l’offerta di lavoro.
- Domanda di lavoro, costituita dalla somma di occupati e dell’ammontare di lavoro non
soddisfatta che le imprese necessitano.
- Popolazione non attiva, i soggetti di età inferiore agli anni 15 e superiore a 64 e gli studenti,
le casalinghe, i ritirati dal lavoro e gli inabili al lavoro.
- Tasso di attività, costituito dal rapporto tra forze di in età attiva. Misura il grado di
partecipazione al mercato del lavoro di una popolazione ovvero la sua propensione a lavorare
o a cercare un lavoro.
- Tasso di inattività, rapporto tra le persone appartenenti alle forze di lavoro e la
corrispondente popolazione di riferimento.
- Tasso di disoccupazione, è dato dal rapporto tra le persone in cerca di occupazione e le forze
di lavoro. Indica la percentuale di soggetti che non trovano lavoro sul numero totale di coloro
che lo cercano.
- Tasso di occupazione, è dato dal rapporto tra occupati in età attiva e misura il livello della
domanda di lavoro e il benessere economico.
-
28
entro le due settimane qualora fosse possibili anticipare l’inizio del lavoro.‖ (Istat,
2006)
Figura 1.3 - Metodologia di individuazione degli occupati, Forze di Lavoro Istat, Fonte: (Istat, 2006)
È giunto il momento di affrontare la prima questione sollevata: come è cambiata
la struttura del mercato del lavoro italiano? Il periodo di riferimento considerato è
l’intervallo 1993-2009 e le relative serie storiche. In relazione agli effetti delle
politiche sulle flessibilità, è bene precisare che l’impatto delle modifiche
normative può essere verificato solo al lordo delle oscillazioni economiche
congiunturali o strutturali. Ciò che è possibile analizzare sono gli indici di rigidità
del mercato del lavoro prodotti dall'OCSE e come essi si siano modificati a
seguito dei cambiamenti legislativi entrati in vigore in Italia.
29
Tabella 1.1 - Indici di protezione dell'impiego permanente e temporaneo. Confronto anni 1990, 1998 e 2003.
Indice di protezione dell'impiego
permanente
Indice di protezione dell'impiego
temporaneo
1990
1998
2003
1990
1998
2003
Austria
Danimarca
2,9
1,5
2,9
1,5
2,4
1,5
1,5
3,1
1,5
1,4
1,5
1,4
Finlandia
Francia
2,8
2,3
2,3
2,3
2,2
2,5
1,9
3,1
1,9
3,6
1,9
3,6
Germania
Irlanda
2,6
1,6
2,7
1,6
2,7
1,6
3,8
0,3
2,3
0,3
1,8
0,6
Italia
Norvegia
1,8
2,3
1,8
2,3
1,8
2,3
5,4
3,5
3,6
3,1
2,1
2,9
Olanda
Portogallo
3,1
4,8
3,1
4,3
3,1
4,2
2,4
3,4
1,2
3,0
1,2
2,8
Spagna
Svezia
3,9
2,9
2,6
2,9
2,6
2,9
3,8
4,1
3,3
1,6
3,5
1,6
UK
USA
0,9
0,2
0,9
0,2
1,1
0,2
0,3
0,3
0,3
0,3
0,4
0,3
Fonte: (OECD, 2004)
I dati riportati nella tabella 1.1 mostrano che in Italia l'indice OCSE sulla
protezione dell'occupazione temporanea è diminuito più che negli altri paesi
europei passando da 5,4 a 2,1. Diversamente, l'indice relativo ai lavoratori a
tempo determinato è rimasto costante e rimane tra i più bassi dell'Europa, ad
esclusione della liberale Regno Unito. L'impatto normativo ha quindi avuto un
forte effetto sulla componente temporanea del lavoro, lasciando invariata la già
ridotta rigidità dei posti di lavoro a tempo indeterminato. I dati presentati non
motiverebbero le richieste di riduzione dei vincoli contrattuali da parte delle
imprese italiane, ma è possibile che l'indice di rigidità non sia capace di rilevare
correttamente il fenomeno che descrive.
Altro
elemento
di
indirizzo
dell'azione
dei
legislatori
è
l'aumento
dell'occupazione. Dal grafico successivo, figura 1.4, si coglie una lieve crescita
del tasso di occupazione tra il 1993 e il 2008. Il picco positivo, registrato nel 2008
è seguito dalla perdita di un punto percentuale nel 2009 a causa dell’importante
diminuzione del numero di occupati legata, presumibilmente, alla crisi economica.
30
Nonostante la crisi economica sia iniziata nel corso del 2008, palesandosi al
mondo nel mese di settembre con il crollo di alcuni colossi bancari, gli effetti
sull’economia
reale, ed in particolar modo sulla
componente
lavoro
dell’economia, si manifestano con un effetto ritardardo. In relazione al tasso di
disoccupazione si riscontra un andamento positivo fino al 1998 e una costante
riduzione negli anni successivi. Nuovamente il 2009 rompe il trend riportando il
tasso di disoccupazione ampiamente sopra i sette punti percentuali.
Figura 1.4 – Tasso di occupazione e tasso di disoccupazione, serie storica 1993-2009.
Tasso di occupazione e tasso di disoccupazione.
Serie storica 1993-2009
60,0
50,0
9,7
10,6 11,2 11,2 11,2 11,3 10,9 10,0
9,0
8,5
8,4
8,0
7,7
6,8
6,1
6,7
7,8
44,6
43,6
44,6
45,3
45,8
45,6
45,4
45,3
45,8
45,9
45,9
44,9
40,0
30,0
20,0
43,2
43,3
43,3
43,6
44,0
10,0
0,0
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
(f)
Tasso di occupazione
Tasso di disoccupazione
Fonte: dati Istat, serie storiche, Archivio della Statistica Italiana
Due precisazioni metodologiche: la prima, a partire dal 2004 l’Istat ha considerato
i soggetti con almeno quindici anni per il computo del tasso di occupazione e per
il computo del tasso di disoccupazione i soggetti di età compresa tra i quindici e i
settantacinque anni19. La seconda precisazione riguarda il tasso di disoccupazione
ed in particolare le difficoltà di una corretta lettura. Infatti, risulta poco indicativo
se analizzato separatamente dagli altri indicatori. Il numero di disoccupati, in
19
Ne grafico il cambio di definizione viene indicato con la lettera (f).
31
alcune circostanze, può diminuire per effetti di scoraggiamento dei soggetti in
cerca di occupazione. Il tasso di attività, composto dalla somma del tasso di
disoccupazione e del tasso di occupazione, mostra, in accordo con quanto detto
precedentemente, un trend negativo già a partire dalla metà degli anni duemila.
Entrando nel dettaglio dei tassi di attività disgiunti per genere, figura 1.5, si
colgono meglio alcune dinamiche. Dal 1993 al 2009 il tasso di attività femminile
cresce di sette punti percentuali mentre quello maschile rimane sostanzialmente
invariato. Le curve della serie storica mostrano una fase discendente del tasso di
attività maschile dal 1993 al 1997, una crescita fino al 2003 ed una fase instabile
prima del dato negativo del 2009. Il tasso femminile di attività è cresciuto in
modo netto fino al 2003 per poi continuare in modo meno marcato fino al 2008.
Si denota quindi un’importante crescita del tasso di attività femminile.
Figura 1.5 – Tasso di attività netto per genere, serie storica 1993-2009.
Fonte: (CNEL, 2010)
In un confronto europeo (Altieri, Ferrucci, & Dota, 2008; Mandrone & ISFOL,
2008; Reyneri, 2008) il tasso di attività femminile, nonostante la netta crescita, è
ancora lontano da quello dei principali paesi europei e dai target fissati dalla
strategia di Lisbona mentre per quello maschile non vi sono rilevanti differenze.
32
Sull’effetto scoraggiamento si osservi il dettaglio della figura 1.6 che mostra la
forbice tra il tasso ufficiale di disoccupazione e il tasso di disoccupazione de
facto, che include gli inattivi disponibili.
Figura 1.6 – Tasso di disoccupazione, area euro e Italia, 2005-2009.
Fonte: (CNEL, 2010)
A fronte di una difficoltà occupazionale crescente, degli ultimi tre anni, le
statistiche ufficiali sulla disoccupazione rilevano con difficoltà l’effettivo numero
dei soggetti disponibili al lavoro. Il grafico evidenzia come l’effetto
scoraggiamento, che è tradizionalmente legato alla componente femminile,
aumenta ulteriormente negli ultimi anni diventando un fenomeno anche maschile,
con particolare incidenza nel sud del Paese (Altieri et al., 2008).
Gli elementi peculiari della disoccupazione italiana sono (Reyneri, 2005):
-
la disoccupazione da inserimento. Essa colpisce quasi il 60% dei soggetti
in cerca della prima occupazione, a differenza dialcuni paesi europei dove
non supera il 10% ;
-
la disoccupazione di lunga durata. Essa descrive i disoccupati da oltre
dodici mesi e registra valori superiori al 60%, contro una media europea
del 45% .
Si osservi ora nel dettaglio la ripartizione geografica dell’occupazione dell’ultimo
biennio, grafico 1.7.
33
Figura 1.7 – Tasso di occupazione per area geografica, 2008 e 2009.
Fonte: (CNEL, 2010)
Nonostante il tasso di occupazione cali in modo uniforme su scala nazionale,
rimane forte il divario territoriale tra il centro-nord e il sud Italia, in quest'area il
tasso di occupazione è inferiore al 50%.
Tabella 1.8 – Offerta di lavoro al centro-nord e al sud, serie storica 1992-2009.
Fonte: (CNEL, 2010)
34
L’offerta di lavoro nel sud Italia precedentemente in linea con le altre aree
territoriali, figura 1.8, diminuisce a partire dal 2002. Il dato può essere letto in
relazione ai mutamenti demografici occorsi nell'intervallo storico preso in
considerazione unitamente all'impatto dell'effetto scoraggiamento insito all'interno
di un contesto italiano caratterizzato dall’assenza di opportunità d’impiego.
Diverso è il trend dell’offerta di lavoro nel centro-nord, caratterizzato da un
costante aumento a partire dal 2002.
1.3.2 Flessibili d’Italia
In primo luogo è opportuno soffermarsi sulla flessibilità dell’occupazione. La
letteratura in merito è ampia nonostante non vi sia spesso accordo sulla
metodologia da adottare nel calcolare la stima precisa del numero di occupati con
contratti a termine.
Sulla quantificazione dei lavoratori atipici, Berton, Richiardi e Sacchi (Berton,
2009) hanno condotto un lavoro sia teorico che analitico. Questi autori hanno
sviluppato, per primi in Italia, una definizione operativa di lavoro precario legata
alla condizione di discontinuità occupazionale, e non alla sola presenza di
contratti atipici di lavoro.
La serie storica, grafico 1.9, mostra l'evoluzione numerica degli occupati
dipendenti disaggregata per i contratti a tempo indeterminato e determinato.
La percentuale di tempi determinati, sul totale degli occupati, indica un aumento
della proporzione di lavoratori flessibili per durata contrattuale nel corso degli
anni. La crescita relativa raggiunge il suo massimo nel 2008, prima di subire gli
effetti della congiuntura economica del 2009.
35
Occupati dipendenti per carattere dell'occupazione.
Serie storica1993-2009
20.000
20,0
15.000
15,0
10.000
10,0
5.000
5,0
0
0,0
A tempo indeterminato
% tempo determinato sul totale
valori assoluti in migliaia di unità
Figura 1.9 – Occupati dipendenti per carattere dell’occupazione 1993-200920
A tempo determinato
A tempo determinato sul 100 dipendenti
Fonte: dati Istat, serie storiche, Archivio della Statistica Italiana 21
Nell'arco
temporale
preso
in
considerazione
gli
occupati
aumentano
numericamente per entrambe le contrattualizzazioni, pur con un margine relativo
maggiore per i lavoratori a tempo determinato.
La flessibilizzazione dei contratti di lavoro permette alle aziende di rispondere alla
fluttuazione del mercato attraverso l'utilizzo della forza lavoro il più possibile
rispondente ai fabbisogni produttivi.
Le fluttuazioni dell'occupazione, registrate negli ultimi anni, permettono di
verificare quali siano gli effetti sull'occupazione permanente e temporanea, figura
1.1022. Durante periodi di aumento occupazionale, dal 2005 al 2008, si riscontra
il ricorso ad entrambe le tipologie contrattuali. I contratti temporanei di natura
dipendente risultano ridotti negli anni 2007 e 2008 mentre rimangono pressoché
20
La definizione di occupato si modifica nel corso degli anni. Dal 1993 al 2003, i dati sono stati
ricostruiti tenendo conto per la prima volta della revisione della popolazione nel periodo
intercensuario 1991-2001 e sono stati resi coerenti con quelli degli anni successivi. I totali
potrebbero non coincidere con la somma delle singole voci a causa degli arrotondamenti.
21
http://seriestoriche.istat.it/fileadmin/allegati/Mercato_del_lavoro/Tavole/Tavola_10.9.xls
22
Il dato riguarda i soli occupati dipendenti escludendo quindi i contratti parasubordinati e le
prestazioni occasioni.
36
invariati i contributi all'occupazione dipendente a tempo indeterminato. Alla crisi
economica del 2009 si associa una decrescita in termini di occupazione. La quota
di lavoratori a tempo indeterminato non ha subito variazioni in relazione alle
ingenti risorse destinati alla cassa integrazione ordinaria e a quella straordinaria
finalizzate a contenere la perdita, in alcuni casi solo formale, dell'occupazione. Un
destino diverso è toccato ai lavoratori a tempo determinato in scadenza di
contratto in parte, o del tutto, esclusi da misure equiparabili.
Figura 1.10 – Contributi all’occupazione dipendente per lavoratori temporanei e a tempo indeterminato. Serie
storica 2005-2009. (CNEL, 2010)
L'impatto delle oscillazioni economiche sul mercato italiano del lavoro è declinato
in relazione al grado di tutele previste sui diversi tipi di contratti.
La figura 1.11, oltre a mostrare la quantità totale dei lavoratori italiani flessibili
per la condizione nel 2008 e nel 2009, permette di verificare le variazioni dovute
alla crisi economica rispetto al numero di lavoratori dipendenti a tempo
determinato e ai collaboratori coordinati e continuativi e ai prestatori d'opera.
Su un totale di circa due milioni e mezzo di lavoratori flessibili la gran parte è
relativa ai lavoratori subordinati a tempo determinato che sono senz’altro i
lavoratori più tutelati tra gli atipici.
37
Figura 1.11 – Quantificazione degli contratti atipici di lavoro e variazione 2008-2009, valori assoluti in
migliaia di unità (CNEL, 2010)
Il gruppo maggiormente penalizzato dalla crisi è senza dubbio quello dei
collaboratori23 con una variazione negativa di 17 punti percentuale a fronte di una
diminuzione media del 8,6%.
La prestazione d’opera occasionale, pur essendo nella gerarchia delle tutele la
forma contrattuale meno tutelata, subisce solo una diminuzione del 6,3%. La
natura stessa delle prestazioni occasionali, in aggiunta a numeri assoluti piuttosto
esigui, non consente ulteriori considerazioni.
Per approfondire la relazione tra fluttuazione del numero di occupati e tutele
contrattuali, servirebbe considerare anche il lavoro sommerso e irregolare che
rappresentano il riferimento limite per assenza di tutele.
Quindi, a pagare maggiormente la crisi, almeno in termini di perdita del lavoro,
sono stati i lavoratori temporanei ed in particolare quelli meno tutelati.
Nella tabella 1.12 è rappresentata la composizione degli occupati flessibili per
durata contrattuale per fasce di età in percentuale sul totale degli occupati. La
percentuale sul totale dei contratti flessibili risulta particolarmente elevata per le
fasce di età giovanili. Che l'ingresso nel mercato del lavoro passi attraverso forme
di lavoro non permanente è oramai verificato da tutta la letteratura di riferimento.
23
Le collaborazioni a progetto sono inserite in questo gruppo. Si è tuttavia mantenuto la dicitura
del grafico della fonte per conservare l’autenticità della citazione a cui si rimanda per ulteriori
precisazioni metodologiche.
38
Tabella 1.12 – Incidenza del lavoro flessibile per classi di età 2009. (CNEL, 2010)
Diversa è la situazione delle collaborazioni con una presenza relativamente
costante su tutte le fasce di età. Fanno eccezione i lavoratori anziani, soggetti a
forme contrattuali che consentono una graduale uscita dal mercato del lavoro.
Ad esclusione della presenza dei contratti a tempo parziale, la letteratura
economica e
sociologica considerata,
non presenta
dati
particolari
o
considerazioni specifiche sul tema della flessibilità della prestazione e risulta
quindi impossibile procedere, in accordo a quanto fatto fino ora,
alla
presentazione di serie storiche di dati24.
La constatazione di questa assenza analitica è alla base della ricerca svolta ed essa
giustifica il tentativo di esplorare il tema della flessibilità della prestazione di
lavoro.
La tendenza di differenziazione delle prestazioni orarie, orientata alla
individualizzazione
24
dell’orario
di
lavoro,
è
legata
alla
comparsa
e
Per i dati sul 2009 legati alla flessibilità della prestazione si rimanda al terzo capitolo.
39
all’intensificazione di orari non standard, legati a forme dell’impiego flessibili per
prestazione.
E’ il caso del part-time e delle altre forme di flessibilità legate alla prestazione di
lavoro come l’organizzazione su turni, il lavoro serale, notturno e festivo. (Pero,
1998)
Occupati dipendenti per tipologia di orario.
Serie storica 1993-2009
20,0
18,0
16,0
14,0
12,0
10,0
8,0
6,0
4,0
2,0
0,0
16.000
14.000
12.000
10.000
8.000
6.000
4.000
2.000
0
Full-time
Part-time
% tempo part-time sul totale
valori assoluti in migliaia di unità
Figura 1.13 – Occupati dipendenti full-time e part-time. Serie storica 1993-2009
Part-time su 100 dipendenti
Fonte: dati Istat, serie storiche, Archivio della Statistica Italiana
In termini assoluti il lavoro part-time rappresenta in Italia una quota poco
superiore al 14% degli occupati.
Il confronto europeo 25 evidenzia tuttavia una tendenza costante di diffusione,
figura 1.14, seppur relativa quasi unicamente alle donne. (Eurostat, 2011; OECD,
2003; Reyneri, 2008; Signorelli, 2004).
25
L'analisi comparata del part-time presenta alcune problemi di natura metodologica. La
definizione di part-time non è omogenea in Europa presentando diverse caratteristiche a secondo
dei paesi. L'OCSE utilizza nei confronti europei la soglia delle 30 ore settimanali che comporta
40
Figura 1.14 – Donne, dipendenti per tipologia di orario. Serie storica 1993-2009
5.000
4.500
4.000
3.500
3.000
2.500
2.000
1.500
1.000
500
0
72,0
70,0
68,0
66,0
64,0
62,0
60,0
58,0
56,0
54,0
52,0
Full-time
Part-time
Donne su 100 dipendenti part-time
% part-time femminile sul totale part-time
valori assoluti in migliaia di unità
Donne, dipendenti per tipologia di orario.
Serie storica 1993-2009
Fonte: dati Istat, serie storiche, Archivio della Statistica Italiana
Fino al 1993 l'Italia è stata esclusa dalla tendenza europea di aumento
dell'occupazione femminile attraverso il part-time. Nella figura 1.14 si nota un
aumento femminile del part-time costante negli anni e sempre più incidente. La
percentuale di part-time femminile, sul totale degli occupati part-time, cresce in
modo deciso a partire dagli anni 2000 raggiungendo quota 70% del totale degli
occupati a tempo parziale.
Il lavoro part-time italiano si qualifica per tre caratteristiche distintive:
-
la crescita, quale strumento di flessibilità del lavoro, nelle forme del parttime orizzontale, verticale e misto;
-
il genere, il 70% degli occupati part-time è costituito da donne;
-
il basso livello di istruzione, tra il 1993 e il 2009 i lavoratori part-time che
hanno concluso il proprio percorso di studi con la scuola dell'obbligo è
passato dal 25% al 44% (Semenza, 2004).
una sovrastima dei lavoratori italiani nel confronto europeo dato il monte ore ridotto di alcune
professioni come ad esempio gli insegnanti delle scuole.
41
Concludendo, la struttura del mercato del lavoro italiano si caratterizza per
(CNEL, 2010; Dell’Aringa, 2009; Istat, 2010a, 2010b; Reyneri, 2005a, 2005b;
Semenza, 2004):
un indice di rigidità del lavoro permanente inferiore a quello di gran parte
dei paesi europei;
sostanzialmente in linea alla media europea;
flussi migratori in entrata;
un indice di rigidità del lavoro temporaneo ridotto nel tempo e
un'offerta di lavoro in lieve contrazione, nonostante l’impatto positivo dei
una caduta dei tassi di attività molto marcata nel sud Italia, già interessato
da tassi di partecipazione molto bassi, e caratterizzata da una marcata
componente femminile e giovanile;
la crescita dell'occupazione femminile sia part-time che full-time
particolare su i giovani e le donne;
europea;
la crescita dell'occupazione flessibile in termini di durata contrattuale, in
un ricorso a contratti di lavoro part-time modesto rispetto alla media
la presenza quasi nulla di occupazione part-time maschile.
42
Capitolo 2
L’analisi delle classi latenti
2.1 Da una domanda ad una tecnica
Molti fenomeni sociali possono essere rappresentati attraverso un modello che
contraddistingua sottogruppi, tipi e categorie di individui. A questo proposito
assume rilevanza l’utilizzo di modelli a variabili latenti. Questi modelli indagano
la presenza e natura di sottogruppi omogenei di individui. Una variabile latente è
una variabile non misurata direttamente. Essa viene misurata a partire
dall’osservazione di due o più variabili manifeste. Spesso le variabili latenti
vengono chiamate costrutti, termine appropriato proprio per rendere evidente la
natura non immediatamente tangibile della loro rilevazione. Si pensi al ricercatore
interessato a scoprire quale sia il grado di religiosità di un gruppo di individui. Il
ricercatore sarà necessariamente obbligato a fare riferimento a delle opinioni,
degli atteggiamenti e dei comportamenti che rappresentino il grado di religiosità
dell’individuo senza però indagare direttamente questa dimensione che sul piano
empirico rimane invisibile, direttamente insondabile, ovvero latente. Non sarebbe
infatti verosimile affidare alla sola opinione del soggetto osservato l’indicazione
circa il proprio grado di religiosità, essa sarebbe del tutto soggettiva e poco
omogenea rispetto agli altri soggetti presi in studio. Ne consegue che, il
ricercatore, qualora si occupi di studiare una dimensione non immediatamente
classificabile, debba considerare la presenza di una dimensione latente da indagare
attraverso l’utilizzo di indicatori opportunamente selezionati. Nell'esempio
proposto si potrà ritenere utile indagare, tra gli altri, la frequenza della
43
partecipazione ad attività religiose, il grado di dedizione alle pratiche di preghiera
e frequenza, il rispetto dei dettami e delle prescrizioni religiose e così via.
Nessuno di questi indicatori sarebbe da solo in grado di misurare in modo
semanticamente appropriato e completo il grado di religiosità di un soggetto. Al
contrario tutti questi indicatori, e altri eventualmente, potrebbero permettere al
ricercatore di misurare la dimensione latente, ovvero la dimensione oggetto di
studio. L'approccio di analisi, deduttivo o induttivo, è un interrogativo
metodologico da valutare attentamente e con importanti implicazioni. Questa
scelta rappresenta approcci metodologici completamente opposti da valutare a
seconda dell'oggetto di studio e delle particolarità del caso.
Figura 2.1 - Struttura di una variabile latente
In Corbetta (Corbetta, 2003) l’attività di operativizzazione è resa peculiare nel
passaggio che avviene a partire dai concetti, intesi come contenuto semantico dei
segni linguistici e delle immagini mentali alle variabili. L’operativizzazione
avviene a seguito dell'associazione tra concetti e oggetti concreti, ovvero
attraverso trasformazione di concetti in attributi, o proprietà di oggetti, di
specifiche unità di analisi. Attraverso la definizione operativa il ricercatore
stabilisce le regole per la traduzione in osservazioni empiriche di un concetto. La
definizione operativa viene quindi operata sui casi concreti di analisi.
44
Qual è la differenza tra concetti e variabili latenti?
La distinzione è di natura puramente formale poiché legata a diverse fasi della
ricerca. Infatti se nella fase di predisposizione di uno strumento di rilevazione dei
dati non vi è ragione di parlare di variabili latenti ma al contrario è necessario
preoccuparsi dell’operativizzazione di concetti in variabili, nella fase di analisi dei
dati al ricercatore è precluso l'intervento sulle definizione operative delle variabili
e gli è consentito solo l'elaborazione e la ricodifica.
La distinzione tra concetti semplici e concetti complessi 26 può esser d'aiuto. I
concetti semplici sono quei concetti di cui è possibile esprimere il contenuto
semantico attraverso l’operativizzazione e la conseguente creazione di una ed una
sola variabile. Al contrario i concetti complessi richiedono che l’operativizzazione
dia luogo ad un numero maggiore di variabili.
Le variabili latenti, quindi, possono essere considerate la conseguenza
dell’operativizzazione di concetti complessi allo stesso modo con cui le variabili
osservate sono il frutto dell’operativizzazione dei concetti semplici.
Da un punto di vista pratico sia i concetti semplici che i concetti complessi danno
luogo a indicatori della realtà empirica ed hanno una funzione indicatrice propria,
tuttavia, è solo in relazione a quest’ultimi che si parla propriamente di variabili o
costrutti latenti.
Nel presente lavoro il riferimento alle variabili latenti è frutto dell'idea che il tema
della flessibilità del lavoro e la conseguente misurazione della flessibilità della
prestazione di lavoro può avvenire solo considerando la natura complessa e non
direttamente osservabile del fenomeno.
26
La distinzione è a soli fini metodologici. Non vi è richiamo o riferimento a distinzioni
filosofiche o filologiche.
45
Figura 2.2 - Concetti semplici e concetti complessi
I modelli a variabili latenti hanno l’obbiettivo di esplorare, o confermare, la
relazione tra le variabili osservate ed una variabile latente, ovvero un concetto
complesso. Molti metodi sono stati sviluppati a questo fine e si distinguono a
seconda della natura delle variabili a disposizione del ricercatore. A seconda della
natura delle variabili manifeste (continue o categoriche) e per le assunzione sulle
variabili latenti (continue o categoriche) sono disponibili diverse tecniche di
elaborazione dei dati. In particolare si prenderà ad esempio la distinzione tra
analisi fattoriale e analisi delle classi latenti. Ciò che accomuna le tecniche che
studiano la struttura latente è la vocazione alla semplificazione di sistemi
complessi di dati. Ad esempio, l’obiettivo dell’analisi fattoriale è di sintetizzare le
relazioni tra più variabili di tipo cardinale in poche dimensioni, anch’esse
quantitative, capaci di aiutare lo studioso a comprendere meglio il fenomeno
oggetto di studio. (De Lillo, Argentin, Lucchini, Sarti, & Terraneo, 2007).
Parallelamente l’obiettivo dell’analisi delle classi latenti è di sintetizzare le
relazioni tra più variabili categoriali in un numero ridotto di classi omogenee di
individui. L’analisi delle classi latenti ricostruisce una variabile latente avente
distribuzione multinomiale. Le classi definiscono differenze qualitative all’interno
dei gruppi presenti nel dataset utilizzato.
Lo studio delle prerogative di ciascuna tecnica è risultato necessario ai fini di una
ricognizione necessaria all'individuazione della tecnica che meglio si potesse
46
adattare ai dati in possesso e alle finalità della ricerca. I diversi metodi di analisi
della struttura latente possono essere organizzati a partire dal tipo di scala27 a cui
fanno riferimento le variabili manifeste e al tipo di scala a cui fa riferimento la
variabile latente.
Nella figura 2.3 vengono rese graficamente le principali tecniche a struttura
latente in relazione al tipo di dati su cui effettuare l'analisi.
Figura 2.3 - Classificazione delle tecniche di analisi della struttura latente
Variabili osservate
Continue
Continue
Categoriali
Analisi
Analisi del
fattoriale
tratto latente
Analisi del
Analisi della
profilo latente
classe latente
Variabili latenti
Categoriali
L’analisi della classe latente è la tecnica più adatta allo studio della struttura
latente su variabili manifeste di tipo categoriale permettendo al tempo stesso di
definire una variabile latente di tipo categoriale. Risulta quindi essere appropriata
per il dataset Istat sul quale si vuole verificare la presenza e la struttura di una
tipologia di lavoratori flessibili determinata a costruita empiricamente sui dati
rilevati.
27
Si veda la definizione di scala di Stevens (Cardano & Miceli, 1991; Ricolfi, 2002)
47
2.2 L’approccio a classi latenti: fondazione e sviluppo
Lo scopo di questo paragrafo è di offrire una descrizione agevole della tecnica
utilizzata per la definizione della tipologia della flessibilità del mercato italiano
del lavoro. In particolare verranno offerti i contributi metodologici più appropriati
per la comprensione dell’analisi delle classi latenti (abbreviazione inglese LCA) e
il suo utilizzo. La descrizione formale della tecnica di analisi verrà presentata solo
a seguito di una discussione della tecnica il più possibile accessibile e di
significato. In questo senso è necessario discutere innanzitutto le implicazioni di
utilizzo della tecnica.
L’analisi delle classi latenti è compresa nella più ampia famiglia dell’analisi della
struttura latente formulata da Lazarsfeld negli anni cinquanta e successivamente
evoluta e adattata da vari autori. Il lavoro di Lazarsfeld ha lo scopo di superare le
difficoltà dell’analisi quantitativa nello studio delle sole variabili manifeste
presenti nei dataset di norma utilizzati dai ricercatori sociali 28. Non vi è alcun
riferimento alla costruzione di strumenti che permettessero di ―misurare
oggettivamente‖ determinati fenomeni sociali. Infatti, nelle intenzioni di
Lazarsfeld era assente l’idea di voler predisporre tecniche scientiste. Su questo
punto Lazarsfeld scrive:
“Dal momento che questa formalizzazione del processo di costruzione del test è
un postulato, non è soggetto a verifica diretta, esso può essere giudicato
solamente in termini di ragionevolezza e di utilità” (Lazarsfeld, 1950, p.379).
Proprio sui criteri di ragionevolezza ed utilità andrebbe affrontato l’utilizzo
dell’analisi dei dati. In questo senso il lavoro di Lazarsfeld consente di dare nuovo
smalto e soprattutto più ragionevolezza e utilità alle analisi quantitative. Infatti
come ricorda Capecchi (Capecchi, 1964) prima dell’introduzione della tecnica di
L’importanza ricoperta dalle variabili latenti è stata tematizzata nella distinzione tra concetti
semplici e concetti complessi
28
48
analisi della struttura latente i due procedimenti usati nelle ricerche sociali per
limitare la numerosità delle classi erano deterministici e piuttosto arbitrari.
A seconda delle situazioni si poteva aggregare le classi tra loro simili, ad esempio
quando tra le due sequenze cambia una sola risposta, oppure assegnare un
punteggio arbitrario per ogni risposta positiva ad ogni domanda (Di Franco,
1999).
“Ora è appunto per ovviare a queste arbitrarietà e a queste incertezze nella
determinazione di un limitato numero di classi omogenee che è stata proposta da
Lazarsfeld e dalla sua scuola l’analisi della struttura latente. [...] E l’elemento
base costitutivo che si contrappone agli approcci precedentemente ricordati è che
l’analisi della struttura latente comprende modelli tutti di tipo probabilistico
mentre prima si trattava solo di approcci deterministici. Con l’analisi della
struttura latente non si parte quindi da una decisione deterministica e arbitraria
sulla composizione delle classi ma ci si propone di raggiungere questi obiettivi:
a) numero minimo di classi omogenee in modo da verificare il modello e
numerosità relativa dei soggetti;
b) relazione probabilistica classi - domande: si cerca di individuare
quali siano le probabilità di rispondere alle varie domande da parte dei
soggetti appartenenti ad ognuna delle diverse classi omogenee;
c) relazioni probabilistica soggetti - classi: si cerca di individuare, data
una sequenza di risposte individuale, qual è la sua diversa probabilità di
appartenere alle classi omogenee.
Questi elementi incogniti sono stati da Lazarsfeld chiamati “latenti” in
contrapposizione agli elementi noti (le frequenze di risposta) che sono definiti
come “dati manifesti”. Si parlerà perciò di classi latenti, parametri latenti e
struttura latente indicando con questo aggettivo “latente” gli obiettivi “non
manifesti” che il ricercatore si propone di raggiungere” (Capecchi, 1964).
49
A proposito del legame tra l’analisi della struttura latente e l’analisi fattoriale,
sulla natura delle variabili lo stesso Lazarsfeld afferma:
“La presente teoria ha numerose similarità e differenze con l’analisi fattoriale.
La più grande familiarità riguarda la logica. [...] E’ un dato di fatto, il presente
sistema è stato sviluppato dal desiderio di adattare l’analisi fattoriale a dati
qualitativi. Precedenti autori hanno applicato l’analisi fattoriale a dicotomie
producendo tabelle tetracoriche 29 tra tutte le coppie di items e calcolando i
coefficienti di correlazione di queste tabelle. Poi questi coefficienti sono immessi
nella matrice di correlazioni e viene effettuata l’analisi fattoriale. Questo
procedimento sembra essere ingiustificato perché ci sono altri coefficienti che
possono essere calcolati sulle tabelle tetracoriche rispetto al coefficiente di
correlazione di Pearson. L’analisi della struttura latente supera questa difficoltà
non richiedendo il calcolo di coefficienti di correlazione. L’unico concetto che è
necessario matematicamente è la nozione di indipendenza delle variabili, che ha
un significato univoco per le dicotomie. [...] L’analisi della struttura latente non è
altro che l’analisi fattoriale dove la matrice dei prodotti incrociati gioca il ruolo
dei coefficienti di correlazione. [...] Nell’analisi della struttura latente però non si
assume sempre una relazione lineare tra gli items e i fattori latenti in quanto si
usano correlazioni superiori all’ordine zero” (Lazarsfeld, 1950b)
Sintetizzando, l’analisi della struttura latente è in grado di applicare i principi
dell’analisi fattoriale superando i vincoli dovuti all’utilizzo di variabili cardinali.
Infatti, viene resa possibile l’osservazione delle relazioni esistenti tra delle
variabili manifeste senza che queste abbiano distribuzione normale. Inoltre, a
differenza dell’analisi fattoriale, non presuppone l’applicazione della rotazione
degli assi. Al contrario, analogamente all’analisi fattoriale, consente di fissare a
priori la struttura latente e di controllare successivamente la capacità di riprodurre
i dati osservati.
29
Tavole di contingenza a doppia entrata in cui ciascuna delle variabili assume unicamente due
distinti valori.
50
Prima di procedere nella spiegazione della fondazione e dell’evoluzione
dell’analisi delle classi latenti è utile presentare brevemente l’approccio generale
di Lazarsfeld a cui viene ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica un
ruolo di primo piano nello sviluppo dell’analisi dei dati e della metodologia
quantitativa. Non a caso infatti proprio Lazarsfeld viene citato da Bagnasco
(Bagnasco, 2007) a proposito della distinzione dei due paradigmi dell’analisi
sociologica: il paradigma olistico e il paradigma dell’azione. Si può lecitamente
affermare che Lazarsfeld nell’ambito della ―sociologia delle variabili‖ è tra gli
autori più fecondi e autorevoli. Tuttavia ciò che emerge dai suoi scritti è una
predisposizione all’uso strumentale dell’analisi. Da sollievo osservare che in
modo ancor più evidente di Durkheim, la lezione weberiana su spiegazione e
comprensione di un fenomeno sociale risulta più condivisa di quando
frequentemente si voglia credere in alcune ricostruzioni del pensiero sociologico.
Sembrerebbe infatti che la netta divisione tra i due paradigmi sociologici sia
isolabile al solo perimetro emozionale. Inoltre, alla luce della lezione di Boudon
(Boudon, 1985) l’utilizzo dell’analisi dei dati, anche in una forma estesa quale
può essere considerata la varietà di tecniche di inferenza come l’analisi delle
classi latenti, non sembra dare adito a teorie deterministiche che non tengono
conto del disordine dei fenomeni sociali. Proprio per le peculiarità dell’analisi
delle classi latenti, a breve descritte, la ricerca di sottogruppi omogenei a partire
dall’osservazione empirica permette di tenere conto sia delle necessità euristiche
di classificazione e analisi, sia della necessità contestuale e dinamica del
fenomeno sociale studiato. L'analisi dei dati, anche avanzata, non determina per sè
un approccio deterministico né tantomeno snatura l’intrinseca essenza
dell’oggetto di studio: l’uomo. Riconoscere l’importanza e la presenza
dell’identità dinamica dei fenomeni, il ruolo dell’interazione, le specificità del
contesto etc., non deve essere ostacolo alla ricerca di descrizioni, meglio
performanti dei dati a condizione di un utilizzo ragionevole di procedure e
risultati. Peraltro, il medesimo invito potrebbe estendersi a tutti quegli studi di tipo
qualitativo che spesso vedono elusa la tematizzazione di queste questioni.
51
Si richiama ora la distinzione tra l’approccio variable-oriented e quello personoriented (Bergman & Trost, 2006; Collins & Lanza, 2010). L’approccio orientato
alle variabili enfatizza l’identificazione della relazione tra le variabili e assume
che queste relazioni siano applicabili agli individui. Tradizionalmente l’analisi
fattoriale è un buon esempio di un approccio così orientato. L’enfasi è posta
nell’identificazione della struttura fattoriale che viene riprodotta attraverso
relazioni lineari tra le diverse variabili manifeste. In questo tipo di analisi, viene
assunto che vi sia una struttura fattoriale costante per tutti gli individui. Al
contrario, nell’approccio orientato agli individui, di cui l’analisi delle classi latenti
è esempio, l’enfasi è posta sull’individuo. Da un punto di vista statistico,
l’individuo viene studiato attraverso la sequenza di opinioni, caratteristiche e
comportamenti presi in considerazione. Solo successivamente, e a partire da
queste sequenze individuali, è possibile pervenire, attraverso l'induzione, a
conclusioni complessive e generali applicate alla totalità degli individui studiati.
Nell’analisi delle classi latenti il punto di partenza è costituito da una matrice di
dati contenente una pluralità di variabili manifeste scelte in relazione al fenomeno
che si intende descrivere. L’assunto fondamentale della LCA è che le variabili
manifeste sono interconnesse tra loro a livello di struttura dei dati, ovvero che
queste siano state scelte come indicanti di uno stesso concetto complesso. Non
tutta l’associazione rilevata tra le variabili manifeste è dovuta al rapporto con un
unico tratto latente. Considerando che, la struttura delle connessioni tra le variabili
è dovuta in modo prevalente ai legami semantici che le variabili hanno con una
comune proprietà, l'analisi delle classi latenti rende possibile ricostruire la
variabile
latente
in
modo
esatto
rendendo
possibile
l'annullamento
dell’associazione tra ogni coppia di variabile manifesta. In letteratura quanto
appena descritto, è definito principio di indipendenza locale e costituisce uno
degli assunti dell’analisi delle classi latenti (Di Franco, 1999). Utilizzando le
parole di Lazarsfeld, l’applicazione dei principio di indipendenza locale comporta:
“Un sistema dicotomico di m items è detto riducibile in λ classi se le seguenti
condizioni sono soddisfatte: a) esistono λ sistemi omogenei di m items; b)
52
un’unica corrispondenza è stabilita tra ogni frequenza nel sistema originale e una
frequenza in ognuno dei sistemi omogenei; c) addizionando i corrispondenti items
nei sistemi omogenei noi otteniamo il corrispondente item nel sistema originale‖
(Lazarsfeld, 1950a).
Parafrasando, le associazioni statistiche tra le modalità delle variabili manifeste,
verificate sulla totalità dei casi, ovvero gli individui, devono annullarsi all’interno
di ogni classe latente. Per spiegare nel dettaglio il funzionamento dell’LCA30 si
ricorre alla descrizione offerta da Di Franco (Di Franco, 1999).
Il punto di partenza della LCA consiste nell’applicazione di un modello
matematico ad un problema di misura, corrispondente ad un problema di
classificazione discusso negli scritti di Lazarsfeld. E' il problema tipico
dell’approccio psicometrico che consiste nella predisposizione di un numero di
test per la rilevazione di atteggiamenti e comportamenti in una batteria di items.
Per semplicità di esposizione si faccia riferimento alle sole rilevazioni
dicotomiche che registrano presenza o assenza di un determinato atteggiamento.
Le batterie di items vengono sottoposte ad un campione di soggetti attribuendo ad
ogni individuo, sulla base delle risposte fornite, un punteggio che rappresenta lo
stato di presenza o assenza dell’atteggiamento. Con le parole di Lazarsfeld il
primo problema che la LCA vuole risolvere è:
“[...] rendere misurabili tali serie di rilevazioni qualitative. I tipi di trattamento ai
quali si possono sottoporre tali test dettagliati sono limitati. L’analisi della
struttura latente mira a fornire modelli matematici che permettano di mettere in
relazione le risposte date ai vari test. Lo scopo principale del modello è mettere in
evidenza i presupposti impliciti in questo tipo di “misurazione”. Non si richiede
che gli esecutori della misurazione siano consapevoli di questi presupposti, né si
Abbreviazione di Latent Class Analysis. Si è scelto l’utilizzo dell’abbreviazione inglese per
coerenza con vasta letteratura, prevalentemente in inglese. Ciò consente di mettere in condizione il
lettore che voglia approfondire la letteratura di riferimento e utilizzare la tecnica, di familiarizzare
con il termine più frequentemente usato e unico a essere richiamato dai pacchetti statistici che ne
prevedono l’impiego.
30
53
richiede che un altro modello non riproduca altrettanto bene le varie operazioni
che furono eseguite o che si potrebbero ideare. Ma affermiamo che l’analisi della
struttura latente dà logica forma di assiomi alle pratiche e ai dibattiti nel campo
della misurazione, e che i suoi assiomi consentono operazioni algebriche che
inducono a relazioni non ancora osservate e precisano il significato della nozione
di misura nelle scienze sociali.” (Lazarsfeld, 1954b; tr. it., 1967)31.
I concetti sono definiti come concetti non riferibili ad indicatori osservati, alla
tendenza di mostrare particolari stati da parte degli individui.
Uno dei maggiori lavori dedicati allo studio dell’analisi delle classi latenti è il
libro di Lazarsfeld ed Henry (Lazarsfeld & Henry, 1968) che rappresenta la
tecnica in modo comprensivo e concettuale. Nonostante Lazarsfeld e Henry
abbiano dimostrano in modo efficace le potenzialità dell’utilizzo della tecnica
nell’ambito delle scienze sociali rimase il problema della mancanza di un metodo
attendibile per l’ottenimento delle stime dei parametri. Questo problema ha
costituito negli anni sessanta la principale barriera alla diffusione della tecnica.
Nel decennio successivo, Goodman (Goodman, 1974a, 1974b) sviluppò
ulteriormente la tecnica attraverso l’implementazione del metodo di massima
verosimiglianza per l’ottenimento dei coefficienti stimati. L'approccio di stima dei
parametri venne successivamente associato all’algoritmo EM ―expectationmaximization‖ (Agresti & Hitchcock, 2005; Fienberg & Linden, 2008; Fuchs &
Neumaier, 2010), lo stesso algoritmo viene usato nella gran parte dei software
utilizzati per l’analisi delle classi latenti. Negli anni ’80 la tecnica si sviluppò
ulteriormente verso una struttura log-lineare che permise ulteriori sviluppi tra cui
la possibilità di inserire nei modelli LCA una o più variabili covariate (Patterson,
Dayton, & Graubard, 2002). Inoltre fu introdotta la possibilità di ricostruire
traiettorie individuali su dati longitudinali32.
31
32
Citato in (Di Franco, 1999 pag. 15)
In letteratura definita come LTA, latent transition analysis.
54
2.3 La scelta del software: breve recensione
Prima di procedere con la descrizione matematica del modello viene presentata in
sintesi l’offerta di software e programmi statistici principali per l'utilizzo della
tecnica LCA. Per completezza, e al fine di consentire il paragone, sono messi in
rassegna i principali programmi utilizzati nelle scienze sociali (SPSS, Stata, Sas,
R-project) anche qualora non presentino la possibilità di svolgere l’analisi delle
classi latenti. Successivamente verrà presentata in breve rassegna la presenza di
programmi statistici dedicati all’analisi della struttura latente o specifici per
l’LCA (Latent GOLD e MPlus) 33.
-
SPSS (Statistical Package for Social Science) è il programma
maggiormente diffuso nel campo delle scienze sociali, consente di
realizzare le più diffuse tecniche di analisi a fronte di una necessità
minima di programmazione. Si adatta molto bene ad una utenza con
esigenze comuni o poco esperta nella redazione di script di comando. Non
presenta alcuna procedura per il trattamento dei dati per l'analisi delle
classi latenti. Anche indagando i tanti moduli aggiuntivi, ad esempio Amos
o il modulo Categories, non è stata individuata alcuna funzione specifica
per l’LCA.
-
Stata (Data Analysis and Statistical Software) è un programma statistico
largamente usato nelle scienze sociali e rappresenta la prima alternativa al
software SPSS. Rispetto alle necessità della LCA presenta la funzione
GLLAMM. I forum dedicati al programma Stata forniscono una review
tecnica della funzione sostenendo, tuttavia, che l’uso di questa funzione ai
fini della LCA non è consolidato. Sembrerebbe appunto che la procedura
GLLAMM sia stata costruita con intenti più ampi dell’analisi delle classi
latenti ma che con le dovute accortezze tecniche si possa applicare anche
Per una rassegna completa dei programmi con i quali è possibile effettuare l’analisi delle classi
latenti si faccia riferimento all’indirizzo: http://www.john-uebersax.com/stat/soft.htm nel quale
vengono descritti molti programmi anche gratuiti meno conosciuti che tuttavia non sono stati
trovati o presentavano importanti difficoltà di utilizzo o una completa mancanza di
documentazione.
33
55
ad esse. L’uso di Stata viene quindi escluso in questa sede per l’incertezza
diffusa e per il timore nella gestione di eventuali modifiche e adattamenti
statistici. Inoltre l’assenza di materiali tecnici dedicati ed esempi, non si
adatta bene a questo lavoro mosso dalla necessità di realizzare l’analisi
delle classi latenti più che addentrarsi in scelte statistiche complesse e
certamente più appropriate per statistici e matematici.
-
SAS (Statistical Analysis Software), è un programma per l’analisi dei dati
abbastanza diffuso, nonostante richieda all’utente una certa dimestichezza
con il linguaggio di programmazione, risultando infatti il più complesso
tra i programmi finora descritti. Rispetto alla LCA è da segnalare la
creazione del pacchetto PROC LCA & LTA sviluppato dal Methodology
Center della Pennsylvania State University.
Il pacchetto PROC LCA viene rilasciato direttamente sul sito
http://methodology.psu.edu/downloads/proclcalta
in
forma
gratuita.
Nonostante vengano forniti ottimi materiali didattici e di supporto non è
stato possibile utilizzarlo a seguito della difficoltà di accesso alla versione
9.2 o superiore del programma SAS.
-
R (R-project for Statistical Computing) è un programma rilasciato
gratuitamente dall’omonima fondazione no profit 34. Viene rilasciato con
certificazione GNU GPL ovvero di libero accesso, distribuzione e
modifica. Il programma è dal punto di vista informatico molto completo e
veloce, tuttavia necessita di una programmazione completa delle funzioni
richieste che ne costituisce il più limitante vincolo alla diffusione. Sono
state sviluppate due funzioni dedicate all’analisi delle classi latenti. Il
pacchetto e1071 (Dimitriadou et al., 2010) è stato studiato per permettere
la realizzazione di analisi delle classi latenti a partire da variabili manifeste
dicotomiche e non presenta la possibilità di inserire variabili manifeste
correlate. Si presenta con un dettagliato manuale corredato degli algoritmi
utilizzati come consuetudine per tutte le risorse collegate ad R. Risulta
34
Reperibile all'indirizzo http://www.r-project.org/
56
quindi un valido strumento anche se limitato alle sole variabili
dicotomiche. L’altro pacchetto del programma R è poLCA (polynomious
Latent Class Analysis). PoLCA è stato sviluppato specificamente per
l’utilizzo di variabili politomiche nell’analisi delle classi latenti
consentendo l’inserimento di covariate nella realizzazione del modello. Al
pari del pacchetto e1071 non consente l’utilizzo di variabili continue se
non appropriatamente ricodificate. Del pacchetto poLCA (D. A. Linzer &
J. Lewis, 2010; M. D. Linzer, 2010) è disponibile un manuale contenente
applicazioni, esempi e formule di calcolo. Proprio per queste ragioni,
gratuità del programma, e del modulo, e congruenza rispetto alle necessità
di analisi e dei dati in possesso, è scelta la soluzione poLCA. La
complessità dell’esecuzione della piattaforma R ha reso tuttavia necessario
lo studio dei rudimenti del programma (AA.VV., 2000) e si sconsiglia il
suo utilizzo a meno di mancanza di alternative e di una notevole
determinazione nell’apprendimento matematico-informatico applicato al
programma35.
Nonostante sia stato tentato l’utilizzo di applicativi statistici dedicati alla
LCA, di seguito descritti, non è stato possibile procedere a causa del costo
ingente e dell’impossibilità di reperimento in sede accademica.
-
Latent Gold è un programma dedicato all’applicazione dell’analisi delle
classi latenti, dei profili latenti e delle altre tecniche di analisi della
struttura latente36. L’interfaccia di lavoro principale è l’uso della sintassi
che pur consentendo l’agevole controllo delle statistiche richieste, non
risulta immediata. Le risorse reperibili sul sito internet del fornitore 37
Nel caso i cui si voglia effettuare l’elaborazione di banche dati molto estese, oltre i
cinquantamila casi, si consiglia di installare la versione a 64 bit sia del programma sia del sistema
operativo utilizzato, consentendo così l’utilizzo di tutta la memoria RAM disponibile sul computer
utilizzato. Infatti, al pari del programma STATA, Il programma R-project effettua il caricamento
dei dati e l’elaborazione degli stessi sulla memoria RAM. Il risultato sono elaborazioni più rapide,
questione decisamente importante nell’analisi della struttura latente.
36
Il costo di una licenza per utenza accademica si aggira intorno i seicento dollari americani.
37
http://www.statisticalinnovations.com/
35
57
consentono di usufruire di guide, manuali d’uso e video dedicati sia
all’apprendimento tecnico del programma sia all’apprendimento e
consolidamento delle procedure necessarie all’applicazione delle tecniche.
E’ stato molto utile, e se ne consiglia l’utilizzo, dei video38 e delle altre
risorse a disposizione.
-
Mplus è il programma a pagamento più completo nell’ambito delle
soluzioni informatiche dedicate allo studio della struttura latente 39.
La dotazione informatica del programma ne consente l'uso, in modo
relativamente semplice ed immediato, anche ad utenti poco esperti da un
punto di vista matematico-informatico. Infatti l’interfaccia risulta
completamente mediata graficamente ed è assimilabile all’esperienza di
utilizzo di SPSS. Nel ventaglio di scelta di programmi dedicati all’analisi
della struttura latente risulta pertanto il più semplice da utilizzare e il più
completo. Il programma consente di utilizzare nell’elaborazione dei dati
tutti i tipi di scala, anche simultaneamente. Inoltre la manualistica di
approfondimento sviluppata dalla UCLA (University of California, Los
Angeles), è reperibile on-line ed è certamente la più completa. Anche in
questo caso, si consiglia di utilizzare le risorse disponibili in rete,
specialmente i video 40 anche nel caso in cui non si intenda utilizzare
questo programma.
38
http://www.statisticalinnovations.com/products/latentgold_v4.html#video;
Il costo di una licenza per utenza accademica si aggira intorno i seicento dollari americani.
40
Si veda la pagina http://www.statmodel.com/trainhandouts.shtml dove sono presenti materiali
specifici alla realizzazione della LCA.
39
58
2.4 Descrizione formale e applicazione in poLCA
La descrizione dell’impianto formale della tecnica di analisi delle classi latenti è
riferita all’approccio utilizzato dal programma R-project e precisamente dal
pacchetto poLCA utilizzato nell’analisi dei dati Istat 2009.
2.4.1 Terminologia e definizione del modello
poLCA è la funzione del programma R che permette di stimare modelli a classi
latenti a partire da variabili manifeste politomiche, e nel caso sia necessario,
l’inserimento di covariate, per la stima delle classi latenti (D. A. Linzer & J.
Lewis, 2010; D. A. Linzer & J. B. Lewis, 2009; M. D. Linzer, 2010) 41 . A
differenza di altre funzioni di R in poLCA viene indicato con ―modelli di
regressione a classi latenti‖ (in inglese LCR models), il procedimento di calcolo
della probabilità di appartenenza ad una classe predetta da una o più covariate. Si
è ritenuto utile specificare quanto detto nonostante nel presente lavoro non si
faccia uso di covariate a seguito delle varie accezioni con cui ci si riferisce ai
modelli di regressione delle classi latenti. Tuttavia si tralasceranno le
specificazioni matematiche e i riferimenti sull'utilizzo delle covariate reperibili sui
testi di rifermento già segnalati. Data la complessità della tecnica, della sua
applicazione e dell'uso esplorativo è risultato eccessivo procedere nella
specificazione di modelli che tenessero conto anche dell’interferenza di covariate.
Si supponga di osservare J variabili categoriali politomiche, le variabili manifeste
che si intende inserire nel modello. Ognuna di questa vanterà Kj modalità
possibili, per gli individui i = 1…N. Le diverse modalità delle variabili manifeste
sono d’ora in poi indicati con j. Si osservi come Yijk valori osservati delle variabili
manifeste J siano Yijk = 1 nel caso in cui si abbia la k-ennesima risposta alla jennesima variabile, e Yijk = 0 altrimenti, dove j = 1 e k = 1 … Kj.
41
Alcuni parti a seguire sono state liberamente tradotte e integrate ai fini del presente lavoro.
59
Il modello a classi latenti approssima la distribuzione associata osservata delle
variabili manifeste come sommatoria di un numero finito, R, della tavola di
contingenza. R può fissare una stima a priori alternativamente sulla base di
ragioni teoriche o sulla base dell’adattamento del modello. Si consideri π jrk la
probabilità condizionata delle classi prodotta nell’osservazione nelle classi r = 1
del k-ennesimo risultato della j-ennesima variabile. All’interno di ogni classe, e
per ogni variabile manifesta,
. Si consideri ora pr la proporzione di
R che fornisce i pesi nella sommatoria della tabella composta, con
La
probabilità che un individuo i in una classe r produca un particolare set di J
osservazioni sulla variabile manifesta, assume l’indipendenza locale, il cui
prodotto è
(1)
La funzione della probabilità della densità tra le classi è la sommatoria
(2)
Le stime dei parametri del modello a classi latenti sono pr e
Siano le stime
e
.
di pr , rispettivamente la probabilità a posteriori che ogni
individuo appartenga ad ogni classe, condizionato dai valori osservati sulla
variabile manifesta, è possibile calcolare con la formula di Bayes:
(3)
Si ricordi che
sono le stime delle probabilità ottenute, condizionate alla classe
r. E’ importante ricordare inoltre che il numero di parametri indipendenti stimati
dal modello a classi latenti aumenta rapidamente con R, J e Kj . Dati questi valori,
il numero dei parametri è
. Se il numero supera il totale
delle osservazioni il modello a classi latenti non può essere identificato.
60
2.4.2 Stima dei parametri
Per la stima dei parametri, poLCA stima il modello massimizzando la funzione
log-lineare di massima verosimiglianza
(4)
rispetto a pr e
, usando l’algoritmo EM (expectation-maximization). La
funzione log-lineare di massima verosimiglianza è identica per forma alla
definizione del modello di log-likelihood mixture standard. L’algoritmo EM è
applicabile poiché l’appartenenza di classe di ogni individuo è sconosciuta e può
essere tratta come dato mancante. L’algoritmo EM inoltre procedendo in modo
iterativo inizia da un valore casuale di
e
, chiamandoli
e
. A
seguito del calcolo dei valori attesi, l’algoritmo calcola i valori mancanti delle
probabilità di appartenenza alle classi usando l’equazione (3). L'algoritmo,
aggiornando di volta in volta, la stima dei parametri a seguito della
massimizzazione della funzione log-lineare di verosimiglianza data dalla
probabilità di appartenenza a posteriori di
, sostituisce
con
(5)
come nuova probabilità a priori e
(6)
come nuova risultato delle probabilità condizionate alla classi. Nell’equazione (6)
è il vettore di lunghezza Kj del risultato delle probabilità condizionate dalle
classi r per la j-ennesima variabile manifesta; e Yij è la matrice
delle
osservazioni Yijk sulla stessa variabile. L’algoritmo ripete questi step, assegnando
il nuovo (new) al vecchio (old) in modo continuo fino al raggiungimento della
massimizzazione totale log-lineare di verosimiglianza; il numero di iterazioni
massimo viene definito nella specificazione del modello. poLCA utilizza la natura
61
iterativa dell’algoritmo EM al fine di rendere possibile la stima del modello a
classi latenti anche nel caso in cui alcuni valori osservati sulle variabili manifeste
siano mancanti. Infatti, poLCA rende possibili l’eliminazione dei casi mancanti
prima di procederne alla stima. Nel presente lavoro le osservazioni mancanti sono
state ricodificate come ennesima modalità delle variabili manifeste in modo da
considerare questi valori come significanti42. Inoltre, nel calcolo delle stime del
modello poLCA utilizza solo quelle modalità della variabili manifeste
effettivamente osservate.
2.4.3 Massimo locale ed errore standard della stima
A seconda del valore iniziale scelto casualmente, per
e il livello di
complessità della stima del modello a classi latenti, l’algoritmo EM può trovare il
massimo locale (local maximum) della funzione log-lineare di massima
verosimiglianza, invece del massimo globale (global maximum) della stessa
funzione. La stima dei parametri risulta in questo caso compromessa.
A partire da una stessa matrice dati e da uno stesso numero di classi latenti è
possibile identificare tanti modelli alternativi quanti sono i massimi locali. Ne
consegue che, nel caso in cui non si tenga presente questa particolarità del
modello, si corra il rischio di invalidare l’analisi in merito ad attendibilità e
riproducibilità. Si rinvia alla figura 2.4 per ulteriori commenti ed esempi.
La procedura poLCA permette inoltre di stimare gli errori standard della stima
delle probabilità di risposta condizionate alle classi
e dei parametri
utilizzando la matrice dei valori osservati
(7)
42
Per una descrizione accurata si faccia riferimento al paragrafo dedicato alla ricodifica delle
variabili manifeste utilizzate nella costruzione del modello.
62
è il risultato della funzione in relazione al vettore dei parametri
Dove
per l’i-ennesima osservazione, calcolato sulla stima di massime verosimiglianza di
;
(8)
è la probabilità a posteriori dell’osservazione i di appartenere
dove
alla classe r (3). La matrice di covarianza delle stime dei parametri viene quindi
approssimata attraverso l’inverso di
Data la costrizione di
.
tra 0 e 1 per le variabili manifeste, è utile
riparametrizzare i risultati della funzione in termini di log-ratio
/
per i risultati ottenuto dalle variabili j e dalle classi r. Quindi, per
l’l-ennesima risposta sull’h-ennesima modalità nella q-ennesima classe,
(9)
In modo simile, viene indicato
e si procede quindi con il
corrispondente log-ratio del q-ennesimo parametro,
(10)
Per trasformare la matrice di covarianza ottenuta all’unità originale di
e p viene
applicato il metodo delta- per le probabilità di risposta, sia g(
.
Considerando
VAR(
la
sottomatrice
dell’inverso
di
corrispondente ai parametri , sia
=
dove
è la costituzione Jacobiana degli elementi
63
Per i parametri misti, si renda similmente
Considerando VAR(
la sottomatrice dell’inverso di
.
corrispondente ai
parametri ,
Dove h’(
è costituzione Jacobiana degli elementi
Gli errori standard delle stime dei parametri sono uguali alla radice quadrata dei
valori della diagonale principale della matrice di covarianza
e di
. Per una rappresentazione grafica di quanto detto in relaziona al massimo
locale e globale e all’errore standard della stima si veda la figura 2.4.
Figura 2.4 - Local and global maxima 43
L’immagine è una diapositiva del corso: ―Categorical Latent Variable Modeling Using MPlus:
Cross Sectional Data‖ realizzato da Linda K. Muthén e Bengt Muthén nel 2009, argomento 5 del
corso di MPlus. Materiali reperibili su http://statmodel.com nella sezione training.
43
64
Nel grafico sono presenti quattro situazioni esemplari. Si immagini di porre
sull’asse delle ascisse la stima del parametro e sull’asse delle ordinate la stima di
massima verosimiglianza log-lineare. Nei grafici, a solo titolo esplicativo e a
ragion di semplicità, è rappresentata la stima di un solo parametro. Il numero di
dimensioni necessarie alla rappresentazione grafica è il numero di parametri meno
uno. Nel primo schema (case 1) si osservi la presenza di un solo picco
rappresentante il processo iterativo di stima del parametro. La presenza di un solo
picco informa che la struttura del nostro modello ha un'unica identificazione,
perfetta, ovvero che per qualsiasi valore iniziale scelto casualmente si otterrà
sempre
la medesima
stima
del
modello. Altro elemento informativo
immediatamente osservabile è la curvatura della parabola: maggiore è la pendenza
della parabola minore è il margine di errore della stima. Nel primo esempio ne
consegue un errore standard limitato ed è sotto ogni aspetto il modello che ogni
ricercatore vorrebbe osservare rimanendo tuttavia abbastanza raro nell’esperienza
empirica. Nel secondo schema (case 2) si osservano due distinti picchi
rappresentanti un massimo locale ed un massimo globale della funzione di
verosimiglianza sulla struttura dei dati considerata. Essi indicano che i risultati
finali a cui si perviene nel calcolo del parametro da stimare sono due, ovvero che
a partire dalla struttura dei dati sottostante il modello, è possibile identificare due
modelli alternativi con relativi valori verosimiglianza. Processando più volte i dati
si otterranno, a seconda, due distinti modelli a classi latenti. Il modello migliore è
rappresentato dalla parabola più alta ovvero dal modello che ottiene valori più
elevati nella funzione di verosimiglianza log-lineare. Nella funzione poLCA di R
questa peculiarità dell’analisi delle classi latenti viene gestita inserendo la
possibilità di riprodurre l’analisi un numero variabile di volte a partire da numeri
casuali consentendo quindi di identificare il migliore modello osservabile ovvero
il modello che massimizza le stime di massima verosimiglianza log-lineare del
modello.
Nell’esempio in questione (case 2) non si riscontrano particolari
difficoltà data la difformità dei valori di massima verosimiglianza (indicata
dall’altezza della parabola). La presenza di più soluzioni del modello può indicare
che il modello è sotto-identificato e sarà necessario, qualora sia possibile,
65
specificare diversamente il modello ad esempio aumentando il numero delle classi
latenti. L’identificazione è da considerarsi un continuum che può variare molto a
seconda delle variabili manifeste inserite a modello e al numero di classi latenti
identificate. Nel terzo esempio (case 3) si osservano nuovamente due picchi ma,
al contrario dell’esempio precedente, essi risultano molto simili nei valori della
funzione di verosimiglianza. I due picchi sono molto vicini tra loro e
conseguentemente le stime del parametro non risultano troppo dissimili,
comportando così una variazione sostantiva limitata ma pur sempre non ottimale.
Si tratta tuttavia di una struttura dei dati di complessa analisi. Nell’ultimo esempio
(case 4) si osserva la situazione di maggiore complessità a livello di struttura dei
dati: due picchi simili per altezza ma molto distanti rispetto alla stima del
parametro. Si tratta certamente dell’esempio più complesso poiché indica la
presenza di due modelli possibili sostanzialmente equiparabili rispetto a
verosimiglianza log-lineare ma che presentano, una volta identificati, valori del
parametro molto diversi.
Nella funzione poLCA di R, come detto, è possibile processare un numero
specificato di volte il modello in modo da realizzare una stima dei parametri
attendibile e replicabile rispetto al valore migliore della stima di massima
verosimiglianza log-lineare. La funzione poLCA tuttavia non consente di
realizzare uno studio preciso della presenza e della costituzione della parabole ma
altrimenti consente di identificare il numero di picchi di verosimiglianza e
attraverso un'ampia ripetizione della stima del modello, consente di verificare
l'intensità con cui si occorre su di essi. Rispetto agli esempi proposti non sarà
possibile verificare in modo preciso l’occorrenza del caso 3 o del caso 4 ma
unicamente che vi è presenza di altezze variabili di picchi e del numero di volte
che questi picchi occorrono su un numero specificato di tentativi, per i dati in
possesso è risultata sufficiente il calcolo ripetuto cento volte. In realtà, come quasi
sempre nel caso dell’analisi delle classi latenti, le indicazione fornite dagli output
del modello non consentono, in modo univoco e puntale, di definire la correttezza
del modello o la presenza di un modello migliore in assoluto. Il ricercatore ha
66
sempre la necessità di interpretare i risultati e conseguentemente agire in scelte il
più possibile consapevoli ma pur sempre arbitrarie. Non a caso la letteratura di
riferimento si esprime in modo condiviso ed a volte ridondante sul processo di
adattamento del modello alle finalità della ricerca secondo principi di
parsimonia
44
capacità significante del modello. A questo proposito sono
importanti riferimenti bibliografici e materiali video. Essi permettono di
comparare il proprio lavoro con quello di altri studiosi e poter avere sostegno
delle scelte da intraprendere. Rispetto all’identificazione del modello e alla
gestione del massimo locale sopra discusso, Linda Collins (Collins & Lanza,
2010) propone un approccio che si adatta bene alle esigenze di questo lavoro data
l’impossibilità di descrivere la struttura latente attraverso l’uso di poLCA nel
modo sopra descritto. Collins suggerisce di testare il modello a classi latenti a
partire da un discreto numero, ad esempio cento, di valori casuali iniziali e
verificare quale valore di massima verosimiglianza log-lineare risultante sia più
rappresentato. Verificando poi che il modello più frequente sia al tempo stesso
anche il modello in assoluto migliore, ovvero con valori di verosimiglianza loglineare maggiore, è possibile ritenere che esso rappresenti un modello accettabile.
Questo approccio verrà successivamente applicato al modello di classi latenti
elaborato in modo da verificarne l’aderenza alla struttura dei dati ed è consigliato
per coloro che non possono verificare diversamente la struttura dei dati
sottostante. L’algoritmo EM massimizzando i valori di verosimiglianza risale la
parabola fino a giungere al punto oltre il quale essa scende nuovamente.
L’approccio sopra descritto individua il miglior modello identificato in ragione di
un alta frequenza di identificazione e in ragione di una migliore identificazione
delle classi latenti.
44
Un modello parsimonioso è tale per la capacità di ridurre la complessità dei dati input. Nella
LCA modelli parsimoniosi saranno quelli riescono a ridurre il numero di classi latenti utili a
rappresentare la struttura latente.
67
2.4.4 Selezione del modello e valutazione dell’adattamento
Un beneficio dell’analisi delle classi latenti, specie in contrasto con altre tecniche
di cluster dei dati, è la varietà di strumenti presenti per la verifica
dell’adattamento del modello e la determinazione di un appropriato numero di
classi latenti R per una dato dataset. Nelle applicazioni confermative il numero di
classi latenti sarà specificato a partire da elementi teorici identificativi. Nelle
applicazioni esplorative il numero delle classi sarà specificato attraverso la
verifica di modelli meglio prestanti in termini di adattamento, in termini di
parsimonia
e
di
capacità
esplicativa
delle
classi
latenti.
A
partire
dall’identificazione di un modello a completa indipendenza con
aumentando progressivamente il numero di classi latenti fino a raggiungere un
modello soddisfacentemente identificato. Riducendo la parsimonia del modello,
aumentando il numero di classi, se ne aumenterà il rischio di aumentare la
componente rumore del modello e al costo di stimare un aggiuntivo
al numero di parametri del modello. Il criterio di parsimonia, infatti,
tende a bilanciare tra la sovra e la sotto identificazione del modello penalizzando
la verosimiglianza log-lineare per il numero di parametri da stimare. I due criteri
maggiormente usati per indagare la parsimonia, criteri presenti nella funzione
poLCA, sono il criterio di informazione Bayesiano BIC e il criterio di Akaike
AIC. Modelli preferibili sono indicati da valori minimizzati di BIC e/o di AIC. Se
rappresentiamo con
la massima verosimiglianza log-lineare del modello e
il
numero totale di parametri stimati, avremo
e
.
L’algoritmo di poLCA calcola questi parametri automaticamente durante la stima
del modello. Solitamente viene considerato BIC appropriato per modelli a classi
latenti semplici data la sua relativa semplicità. Per la verifica dell’adattamento del
modello viene utilizzato il
di Pearson e il rapporto di verosimiglianza
tra i
68
valori osservati rispetto al numero di celle. Consideriamo
ognuna delle celle
Indichiamo
il numero di casi in
della tavola di contingenza delle variabili manifeste.
il numero di casi attesi in ogni cella di un dato modello. La c-
ennesima cella (con
) corrisponde ad una particolare sequenza di
risultati J di una variabile manifesta. Utilizzando
corrispondente ai soli
risultati, si avrà
Inoltre i due testi statistici sono così calcolati:
e
Al pari di AIC e del BIC, queste statistiche sono presenti negli output previsti dal
programma poLCA di R. Generalmente l’obiettivo è di preferire valori minimi di
e di
senza estimare un numero eccessivo di parametri. Si noti tuttavia, che
gli assunti di distribuzione per questi test statistici non sono soddisfatti se molte
celle della tavola di contingenza dei valori osservati contengono un ridotto
numero di osservazioni. Infatti è buona prassi che non meno del 10-20% delle
celle contenga meno di cinque osservazione.
69
2.5 Scelta e preparazione delle variabili manifeste
La costruzione del modello a classi latenti è realizzato a partire dai microdati Istat
della rilevazione continua delle forze di lavoro 2009. Al fine di escludere
oscillazioni stagionali sono presi in considerazione i dati aggregati dei quattro
trimestri. Per una descrizione metodologica completa dell’indagine sulle Forze di
lavoro Istat si rimanda alla nota metodologica reperibile sul sito internet
dell’Istituto nazionale di Statistica45.
In questo paragrafo sono presentate le variabili utilizzate nell’ambito dell’analisi a
classi latenti. Alla presentazione puntuale delle osservazioni seguirà la
presentazione delle variabili ricodificate per soddisfare i requisiti tecnici,
dell'analisi delle classi latenti, e analitici per una corretta costruzione della
tipologia di lavoro flessibile della prestazione. La realizzazione dell’elaborazioni
di grafici e tabelle è stata effettuata con l’ausilio del programma SPSS.
La rilevazione Istat è costruita in modo tale da essere rappresentativa dell’intera
popolazione italiana. Nel testo i numeri assoluti faranno riferimento, se non
diversamente specificato, al numero delle osservazioni rilevate da Istat in modo da
rendere sempre disponibile il controllo statistico e metodologico. Compito delle
frequenze percentuali è fornire un’indicazione immediatamente comprensibile sul
mercato del lavoro italiano. Il questionario Istat prevede, nella sezione C, la
rilevazione della condizione degli occupati 200946.
Per prima cosa si è proceduto all’individuazione dei lavoratori su cui era possibile
effettuare l’analisi. La scelta metodologica effettuata da Istat ha previsto, in sede
di questionario, dei percorsi variabili a seconda dei profili dei rispondenti. In
questo modo sono state predisposti set di domande diversi a seconda della
posizione occupazionale.
45
http://www.istat.it/lavoro/lavret/forzedilavoro/
La sezione C è inserita in allegato per consentire al lettore un riferimento puntuale sulla
generalità delle domande presenti nella sezione dedicata alla condizione di lavoro principale del
rispondente.
46
70
I lavoratori a cui ci si riferisce sono i soli lavoratori a cui sono state poste le
domande identificate come chiave nell’indagine della flessibilità lavorativa,
successivamente presentate. Sono di conseguenza esclusi dall’indagine, oltre a
disoccupati e inoccupati, i lavoratori appartenenti alla categoria di lavoratori
autonomi (imprenditori, liberi professionisti, laboratori in proprio, coadiuvanti
familiari e soci di cooperative).
E' stato possibile prendere in considerazione senza eccessive difficoltà le tre
categorie di lavoratori subordinati o parasubordinati: lavoratori alle dipendenze,
collaboratori coordinati e continuativi con e senza progetto e prestatori d’opera
occasionale. L’intera rilevazione delle forze di lavoro a visto intervistati 659561
individui di cui 232488 identificati come occupati ovvero il 35,5% della
popolazione italiana.
Le percentuali cumulate delle tre categorie di lavoratori a cui si farà riferimento
rappresentano circa il 75% del totale dei lavoratori italiani. Altro elemento
rilevante, da tenere in considerazione, è l’enorme disparita tra il numero di
lavoratori subordinati e lavoratori parasubordinati. I soli lavoratori alle
dipendenze costituiscono il 73% degli occupati.
71
Tabella 2.1 C1 - Lei svolge:
Frequenza
Percentuale
Percentuale
valida
Percentuale
cumulata
169945
25,8
73,1
73,1
2715
,4
1,2
74,3
Prestazione d'opera
occasionale
871
,1
,4
74,6
Un lavoro autonomo
come: Imprenditore
2721
,4
1,2
75,8
Un lavoro autonomo
come: Libero
professionista
11360
1,7
4,9
80,7
Un lavoro autonomo
come: Lavoratore in
proprio
38295
5,8
16,5
97,2
Un lavoro autonomo
come: Coadiuvante
nell'az. di un fam.
4913
,7
2,1
99,3
Un lavoro autonomo
come: Socio di
cooperativa
1668
,3
,7
100,0
Totale
Mancante di sistema
232488
427073
659561
35,2
64,8
100,0
100,0
Un lavoro alle
dipendenze
Collaborazione co. e co.
(con o senza prog.)
Totale
Per semplicità l’esposizione delle variabili manifeste prese in considerazione sarà
limitata ai soli tre gruppi di occupati utilizzati per l’analisi47.
Un breve commento sulle domande del questionario non prese in considerazione
per la definizione del modello LCA.
Nella sottosezione del questionario dedicata alla ―Posizione nella professione‖
dell’occupazione principale sono presenti le domande: C5, ―Lavora per una sola
azienda e/o cliente o per più di una azienda e/o cliente? ‖; C6, ―Abitualmente
decide dove lavorare o è tenuto a lavorare presso l’azienda e/o cliente?‖; C7,
In questo modo sarà possibile semplificare l’esposizione, specie nelle tabelle. Per ridurre il
tempo di elaborazione dei dati e vista l’esclusione delle altre categorie di occupati dal dataset sono
stati eliminati tutti i soggetti non appartenenti alla categorie di subordinati e parasubordinati nella
domanda relativa alla professione principale.
47
72
‖Decide autonomamente l’orario di lavoro o è tenuto a rispettare quello
dell’azienda committente/cliente?‖.
Queste domande sono state prese in considerazione data l’inerenza al tema della
flessibilità della prestazione di lavoro. Tuttavia si è ritenuto non utile il loro
inserimento poiché sono domande ad accesso esclusivo per i lavoratori
parasubordinati: collaboratori coordinati e continuativi e prestatori d’opera.
Inserire queste tre variabili, specie tenendo in considerazione la residualità
numerica di questi lavoratori rispetto ai dipendenti, avrebbe alterato i risultati
dell’analisi in modo prevedibile ma non desiderato.
Non viene esclusa, tuttavia, la possibilità di includerle nel modello nel corso di
altre ricerche aventi diverso avviso o in relazione a future ricerche a seguito di
sostanziali cambiamenti della struttura del questionario o del mercato del lavoro
italiano.
Inoltre, sono rimaste escluse le domande dedicate alla rilevazione della durata del
lavoro dell’occupazione principale. La durata contrattuale del lavoratore, a tempo
indeterminato o determinato, non assume qui rilevanza analitica. Lo scopo della
ricerca è l'analisi è della flessibilità della prestazione lavorativa e non della
flessibilità dell'occupazione.
Per le variabili considerate coerenti alla definizione del modello si mostreranno la
distribuzione di frequenza dei soggetti secondo le modalità di risposta
dell’indagine, successivamente verrà presentata e discussa la procedura di
ricodifica e la distribuzione delle variabili ricodificate. In entrambi i casi le tavole
di contingenza consentiranno il controllo sui tre gruppi di occupati, quello dei
subordinati e i due gruppi relativi ai lavoratori parasubordinati.
Il primo set di variabili appartiene a quella che il questionario definisce
sottosezione ―Orario di lavoro‖ nella sezione ―Professione principale‖
48
48
. La
D’ora in poi il riferimento alla professione principale verrà sottinteso.
73
domanda C27 ―Lei lavora a tempo pieno o part-time (a tempo parziale)?‖ si
distribuisce come da tabella 2.2
Tabella 2.2 C27 - Lei lavora a tempo pieno o part-time (a tempo parziale)?
Lei svolge:
Un lavoro alle
dipendenze
Collaborazione co. e
co. (con o senza prog.)
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
A tempo pieno
(full-time)
A tempo parziale
(part-time)
Totale
144318
25627
169945
84,9%
15,1%
100,0%
1542
1173
2715
56,8%
43,2%
100,0%
327
544
871
37,5%
62,5%
100,0%
146187
27344
173531
84,2%
15,8%
100,0%
Si osservi il numero che il numero totale di rispondenti è 173531 e costituiscono
la popolazione di riferimento.
Nel questionario viene poi posta la domanda C28, la ragione di tale condizione.
Tabella 2.3 C28 - Lavora part-time (a tempo parziale) perché non vuole un lavoro a tempo
pieno, non ha trovato un lavoro a tempo pieno o per altri motivi?
Lei
Un lavoro alle
svolge: dipendenze
Collaborazione
co. e co.
Prestazione
d'opera
occasionale
Totale
Non vuole
Non ha trovato
Altro
Non sa
Totale
10845
11949
2794
39
25627
42,3%
46,6%
10,9%
,2%
100,0%
437
631
102
3
1173
37,3%
53,8%
8,7%
,3%
100,0%
206
285
53
0
544
37,9%
52,4%
9,7%
,0%
100,0%
11488
12865
2949
42
27344
42,0%
47,0%
10,8%
,2%
100,0%
La domanda C28 è stata posta solo a coloro hanno indicato la modalità part-time
nella precedente domanda. E’ stato così possibile suddividere i lavoratori parttime a seconda delle ragioni della condizione. Sono conseguentemente due le
domande utilizzabili nell’analisi.
74
E’ stato scelto di utilizzare una versione ricodificata di questa seconda domanda
ed stata quindi ricostruita la variabile C28new49.
Ricostruendo la variabile è stato possibile sia rilevare la condizione del lavoratore
rispetto all’orario a tempo pieno o a tempo parziale sia preservare il dato
sull’intenzionalità. La ricodifica è così avvenuta: la modalità full-time rappresenta
i casi mancanti alla domanda C28. La modalità ―part-time intenzionale‖ racchiude
coloro che: "non vogliono un lavoro a tempo pieno", "altri motivi e non sa". La
modalità ―part-time non intenzionale‖ comprende coloro che hanno indicato come
causa il fatto che non hanno trovato un lavoro a tempo pieno.
Tabella 2.4 C28new – Full-time, part-time e motivo del tempo parziale
Lei svolge: Un lavoro alle
dipendenze
Collaborazione co. e
co.
Prestazione d’opera
occasionale
Totale
full-time
part-time
intenzionale
part-time
non intenzionale
Totale
147112
10884
11949
169945
86,6%
6,4%
7,0%
100,0%
1644
440
631
2715
60,6%
16,2%
23,2%
100,0%
380
206
285
871
43,6%
23,7%
32,7%
100,0%
149136
11530
12865
173531
85,9%
6,6%
7,4%
100,0%
La variabile così ricodificata preserva l’informazione di entrambe le variabili e
non desta particolari motivi di preoccupazione metodologica. L’unica accortezza
in fase di lettura del dato sarà di tenere in considerazione che, a prescindere
dall’intenzionalità, la seconda e la terza modalità indicano una condizione di
lavoro a tempo parziale. Della stessa sezione è presente la domanda C31
―Considerando le ultime 4 settimane, escludendo l’interruzione per i pasti e gli
spostamenti casa-lavoro, mediamente quante ore ha lavorato a settimana?‖.
Per chiarezza viene mantenuto il nome della variabile con l’aggiunta del suffisso ―new‖ il quale
indica che si tratta di una variabile ricodificata. Il nome della variabile consente di risalire
immediatamente alla variabile di partenza sul questionario. Inoltre. il suffisso identifica le variabili
manifeste utilizzate per l’identificazione del modello a classi latenti.
49
75
L’inserimento di questa variabile risulta utile, ad integrazione della C28new,
caratterizzando maggiormente le classi individuate a seguito della LCA rispetto
alla quantità di lavoro effettuato. Più precisamente inserendo questa variabile è
possibile tenere sotto controllo il monte ore lavorato dai singoli soggetti rispetto
all’insieme dei lavoratori. La rilevazione continua delle ore di lavoro medie
settimanali nell’ultimo mese è presentata attraverso la figura 2.5.
Figura 2.5 - Media delle ore settimanalmente lavorate
Nel grafico non sono rappresentati i rispondenti che hanno segnalato un monte
orario settimanale molto variabile e coloro che hanno indicato di non saperlo.
Questa variabile è stata ricodificata in una variabile a classi ordinate che verranno,
ad ogni modo, trattate come politomiche nell’ambito del modello a classi latenti.
Si tratta della sola variabile che viene presa in considerazione ed inserita a
modello rilevata su valori discreti.
La variabile C31new è stata ricodificata nelle classi mostrate dalla tabella 2.5. E’
stato scelto di costruire una categoria contenente sia i lavoratori ad orario molto
variabile (1753 casi) sia i lavoratori che non sono stati in grado di fornire un
76
orario medio (487 casi). La mancanza di capacità definitoria del monte orario è
diretta conseguenza della variabilità dello stesso 50 . In questo modo sono state
definite sei distinte modalità.
Tabella 2.5 C31new - Orario di lavoro settimanale
Un lavoro alle
dipendenze
Collaborazione co. e
co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
da 1 a
15 ore
da 16 a
25 ore
da 26 a
35 ore
da 36 a
40 ore
da 41 a
120 ore
molto
variabile Totale
4142
24269
11475
111048
17045
1966
169945
2,4%
14,3%
6,8%
65,3%
10,0%
1,2%
100,0%
339
673
388
927
232
156
2715
12,5%
24,8%
14,3%
34,1%
8,5%
5,7%
100,0%
227
216
114
148
48
118
871
26,1%
24,8%
13,1%
17,0%
5,5%
13,5%
100,0%
4708
25158
11977
112123
17325
2240
173531
2,7%
14,5%
6,9%
64,6%
10,0%
1,3%
100,0%
Le classi della variabile C31new sono state costruite secondo criteri qualitativi. La
prima classe comprende i lavoratori a bassissima intensità oraria, la seconda i
lavoratori a bassa intensità oraria, la terza identifica il part-time tipico, la quarta fa
riferimento al lavoratore standard per monte orario e la quinta a lavoratori ad alta
ed altissima intensità oraria settimanale. La sesta categoria comprende i lavoratori
con orario molto variabile.
Successivamente sono state considerate le domande del questionario C32, ―La
settimana scorsa, ha lavorato meno ore o più ore rispetto alle ore che lavora di
solito? Ad esempio per ferie, festività, malattia, straordinario‖; C34, ―Qual è il
motivo principale per cui ha lavorato meno del solito?‖.
Nel fare riferimento alle domande sulla variabilità oraria del lavoratore si cercato
di estrapolare la condizione del lavoratore rispetto alla flessibilità, in senso stretto,
dell’orario di lavoro. Ciò a cui si è inteso pervenire è una nuova variabile che
50
Si tratta di scelta sia arbitraria e non verificabile, tuttavia necessaria. Il numero limitato di casi
(487) non giustificava tuttavia, la definizione di una ulteriore modalità.
77
accertasse l’aumento, la diminuzione o il mantenimento di regimi orari abituali a
seguito di cambiamenti riconducibile ad esigenze di flessibilità aziendale.
Tabella 2.6 C33 - Ha lavorato più o meno del solito?
Lei
svolge:
Un lavoro alle
dipendenze
Collaborazione co.
e co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
Meno del
solito
Più del
solito
Come al
solito
30835
5617
132968
525
169945
18,1%
3,3%
78,2%
,3%
100,0%
409
65
2230
11
2715
15,1%
2,4%
82,1%
,4%
100,0%
138
18
712
3
871
15,8%
2,1%
81,7%
,3%
100,0%
31382
5700
135910
539
173531
18,1%
3,3%
78,3%
,3%
100,0%
Non sa Totale
Per questa ragione la variabile C32 non consente di raggiungere questo scopo
senza aver preventivamente indagato le ragioni della diminuzione dell’orario nella
settimana di riferimento.
Le cause di un lavoro superiore al solito sono state indagate attraverso la domanda
C3351 e sono tutte riferite, come immaginabile, a necessità funzionali. E quindi
possibile argomentare che tutti coloro che hanno risposto, domanda C32, che nella
settimana di riferimento hanno lavorato più del solito lo hanno fatto per ragioni
funzionali. L’indicazione di un ―orario simile al solito‖ costituisce il riferimento
standard.
La domanda C34 fornisce invece le indicazioni necessarie per definire coloro che
hanno, per cause interne al lavoro o al datore di lavoro, lavorato meno dell’orario
contrattuale. Nella tabella 2.7 sono indicati in grigio le motivazioni della
riduzione delle ore lavorate legate all’attività lavorativa o alternativamente alla
conciliazione tra famiglia e lavoro.
51
Per un riferimento puntuale alla domanda si rimanda al questionario in allegato
78
Tabella 2.7 C34 - Qual è il motivo principale per cui ha lavorato meno del solito?
Lei svolge:
Un lavoro alle Collaborazione Prestazione d'opera
dipendenze
co. e co.
occasionale
Totale
Cassa Integrazione Guadagni
Ridotta attività dell'imp. per motivi econ.
o tecnici
Vertenza sindacale, controversia di lavoro
Maltempo
Malattia, problemi di salute personali
Ferie
Festività nella settimana
Orario variabile o flessibile
Part-time verticale
Studio o formaz. non organiz. nell’ambito
del proprio lavoro
Assenza obbligatoria per maternità
Assenza fac. fino all’8° anno del bambino
(congedo parentale)
Motivi fam. (esclusa maternità obb. e
congedo parentale)
Mancanza di occasioni di maggior lavoro
Inizio o cambiamento del lavoro nella
settimana
Ha concluso il lavoro nella settimana
Altro (specificare)
Totale
2927
0
0
2927
100,0%
,0%
,0%
100,0%
960
30
25
1015
94,6%
3,0%
2,5%
100,0%
41
2
0
43
95,3%
4,7%
,0%
100,0%
453
4
6
463
97,8%
,9%
1,3%
100,0%
2768
29
6
2803
98,8%
1,0%
,2%
100,0%
12328
137
44
12509
98,6%
1,1%
,4%
100,0%
7814
126
20
7960
98,2%
1,6%
,3%
100,0%
213
13
3
229
93,0%
5,7%
1,3%
100,0%
18
0
0
18
100,0%
,0%
,0%
100,0%
34
5
2
41
82,9%
12,2%
4,9%
100,0%
1512
12
0
1524
99,2%
,8%
,0%
100,0%
195
0
0
195
100,0%
,0%
,0%
100,0%
237
6
3
246
96,3%
2,4%
1,2%
100,0%
542
27
20
589
92,0%
4,6%
3,4%
100,0%
69
2
2
73
94,5%
2,7%
2,7%
100,0%
76
5
2
83
91,6%
6,0%
2,4%
100,0%
648
11
5
664
97,6%
1,7%
,8%
100,0%
30835
409
138
31382
98,3%
1,3%
,4%
100,0%
Si osservi tuttavia che l’incidenza della flessibilità osservata sulla conciliazione
tra famiglia e lavoro è minima in termini numerici.
79
La categoria più frequente tra quelle che concorrono alla creazione della modalità
flessibile rispetto ad una riduzione di ore lavorative è la cassa integrazione
guadagni. La variabile C34new è stata costruita secondo i criteri esposti e
permetterà di individuare, in prima istanza, i lavoratori standard, il cui orario di
lavoro varia poco, dai lavoratori flessibili. Il mantenimento della distinzione tra
variazioni positive (più ore del solito) e negative (meno ore del solito) costituisce
un dettaglio eventualmente utile per analizzare in modo sostantivo i risultati.
Tabella 2.8 C34new - Variabilità delle ore lavorate
Lei svolge: Un lavoro alle
dipendenze
Collaborazione co. e
co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
orario
abituale
meno ore del
solito
più ore
del solito
Totale
159202
5126
5617
169945
93,7%
3,0%
3,3%
100,0%
2569
81
65
2715
94,6%
3,0%
2,4%
100,0%
800
53
18
871
91,8%
6,1%
2,1%
100,0%
162571
5260
5700
173531
93,7%
3,0%
3,3%
100,0%
Il set di domande della sezione ―orario di lavoro‖ prese in considerazione per la
definizione del modello si conclude con la domanda C35 relativa agli straordinari
―Rispetto all’orario contrattuale (o accordo verbale) la settimana scorsa ha
svolto comunque ore di straordinario retribuito e/o straordinario non retribuito
(ore in più non recuperabili)?‖.
Tabella 2.9 - C35 La scorsa settimana, ha svolto straordinari (retribuiti e/o non retribuiti)?
Lei svolge:
Totale
Sì
No
Non sa
Totale
Un lavoro alle
10469
158446
1030
169945
dipendenze
6,2%
93,2%
,6%
100,0%
10469
158446
1030
169945
6,2%
93,2%
,6%
100,0%
80
La domanda C35 è stata posta ai soli lavoratori dipendenti poiché non è previsto
per contratto l'istituto del lavoro straordinario per i lavoratori parasubordinati. La
variabile è stata ricodificata nella variabile dicotomica C35new in modo da
rappresentare la presenza e l’assenza di lavoro straordinario.
Tabella 2.10 - C35new Nell'ultima settimana ha svolto straordinari?
ha fatto
straordinari
Lei svolge:
Un lavoro alle dipendenze
Collaborazione co. e co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
Non ha fatto
straordinario
Totale
11499
158446
169945
6,8%
93,2%
100,0%
2715
0
2715
100,0%
,0%
100,0%
871
0
871
100,0%
,0%
100,0%
15085
158446
173531
8,7%
91,3%
100,0%
Alla categoria di lavoro parasubordinato è stata attribuita l’assenza di lavoro
straordinario. Lo stesso è stato fatto per i lavoratori alle dipendenze che hanno
indicato di non sapere se avessero fatto o meno lavoro straordinario.
Si è ritenuto appropriato non attribuire, senza motivi ragionevoli, lo stato di
condizione flessibile nelle situazioni dubbie. Come già avvenuto in precedenza
non si è ritenuto appropriato prevedere la modalità del "non ricordo, non so". Essa
sarebbe stata numericamente irrisoria e semanticamente marginale.
Ricapitolando, le domande C28new, C31new, C34new e C35new ricodificate
raccolgono le informazioni cardine per descrivere la durata oraria della
prestazione lavorativa. La ricodifica è stata realizzata in termini di
massimizzazione della capacità informativa delle variabili. Le variabili
permettono di identificare: la distinzione tra lavoratori part-time e full-time, a
livello contrattuale; la distinzione tra lavoratori ad intensità orarie diverse, a
livello di esperienza lavorativa nel periodo di riferimento; la variabilità delle ore
lavorate in relazione a motivazioni lavorative e/o di conciliazione; prestazioni di
81
lavoro straordinario, retribuito e non. Se è vero che la variabilità contrattuale
italiana è alta, ancor più presente è la variabilità sostanziale tra i lavoratori. Lo
stesso part-time può assumere diverse dimensioni in termini di orario di lavoro,
non equivalendo necessariamente al 50% del monte orario full-time.
A partire dalle quattro variabili manifeste considerate, è possibile invece farsi un'
idea verosimilmente accettabile delle caratteristiche orarie delle prestazioni
lavorative. Il tentativo qui condotto è considerare unitamente tutte le variabili che
riescano a coprire il più possibile, e nel modo migliore, le dimensioni della
flessibilità della prestazione di lavoro.
Sono state quindi analizzate le domande inerenti il tipo di prestazione sostenuta
dai lavatori ovvero la sezione del questionario dedicata alla rilevazione di
prestazioni di lavoro in orari disagiati e turni.
In primo luogo si consideri la domanda C42, ―Nelle 4 settimane di riferimento ha
lavorato di sera? (dalle 20 alle 23 circa)‖. Con la domanda C42 Istat rileva non
solo l’occorrenza di lavoro serale ma anche la quantità di sere lavorate.
Tabella 2.11 - C42 - Nell'ultimo mese ha lavorato di sera?
Sì, 2 o più volte Sì, meno di 2
a settimana
volte a settimana
Lei
svolge:
Un lavoro alle
dipendenze
Collaborazione co. e
co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
No
Non sa Totale
22079
8181
139567
118
169945
13,0%
4,8%
82,1%
,1%
100,0%
296
134
2284
1
2715
10,9%
4,9%
84,1%
,0%
100,0%
144
58
669
0
871
16,5%
6,7%
76,8%
,0%
100,0%
22519
8373
142520
119
173531
13,0%
4,8%
82,1%
,1%
100,0%
82
Si è scelto, arbitrariamente, di considerare importante la sola presenza/assenza di
lavoro serale a scapito di questa ulteriore informazione.
Questa scelta è giustificata dall'osservazione delle frequenze relative: per tutte e
tre le tipologie di lavoro vi è un’incidenza almeno doppia di lavoratori serali per
la modalità "due o più volte a settimana".
Tabella 2.12 - C42new - Lavora la sera
Non lavora la sera
Lei svolge:
Un lavoro alle dipendenze
Collaborazione co. e co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
Lavora la sera
Totale
139685
30260
169945
82,2%
17,8%
100,0%
2285
430
84,2%
15,8%
669
202
76,8%
23,2%
100,0%
142639
30892
173531
82,2%
17,8%
100,0%
2715
100,0%
871
La questione si ripropone in altre domande dello stesso tipo (lavoro notturno,
lavoro di domenica ecc...) che saranno presentata a seguire, per le quali si è
seguito lo stesso procedimento.
Pertanto si è proceduto alla ricodifica nella variabili C42new e se ne presentano le
frequenze relative sempre mantenendo la distinzione per tipologia di lavoro.
In linea con quanto fatto finora la modalità di risposta ―non so‖ è inserita come
profilo standard, in questo caso ―non lavora la sera‖.
83
Tabella 2.13 - C43 - Nell'ultimo mese ha lavorato di notte?
Sì, 2 o più volte Sì, meno di 2
a settimana
volte a settimana
Lei svolge: Un lavoro alle
dipendenze
Non sa
Totale
13193
5692
150962
98
169945
7,8%
3,3%
88,8%
,1%
100,0%
107
43
2564
1
2715
3,9%
1,6%
94,4%
,0%
100,0%
70
27
774
0
871
8,0%
3,1%
88,9%
,0%
100,0%
13370
5762
154300
99
173531
7,7%
3,3%
88,9%
,1%
100,0%
Collaborazione co. e
co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
No
Per quanto riguarda il lavoro notturno si ci si riferisce alla domanda C43, ―Nelle
quattro settimana di riferimento ha lavorato di notte? (dopo le ore 23)‖ .
Secondo i principi sopra spiegati si è proceduto alla ricodifica nella variabile
C43new.
Tabella 2.14 - C43new - Lavora la notte
Lei svolge:
Un lavoro alle dipendenze
Collaborazione co. e co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
Non lavora la notte
Lavora la notte
Totale
151060
18885
169945
88,9%
11,1%
100,0%
2565
150
2715
94,5%
5,5%
100,0%
774
97
871
88,9%
11,1%
100,0%
154399
19132
173531
89,0%
11,0%
100,0%
Successivamente si è trattato di verificare l’occorrenza di prestazioni di lavoro
festive e prefestive con particolare riferimento a sabati e domeniche (C44 e C45),
―Nelle
quattro
settimana
di
riferimento
ha
lavorato
di
sabato
?
(indipendentemente dall’orario)‖, e ―Nelle quattro settimane di riferimento ha
lavorato di domenica? (indipendente dall’orario)‖.
84
Tabella 2.14 - C44 - Nell'ultimo mese ha lavorato di sabato?
Sì, 2 o più volte
Sì, meno di 2
volte
No
Non sa
Totale
52614
14192
102954
185
169945
31,0%
8,4%
60,6%
,1%
100,0%
682
277
1756
0
2715
25,1%
10,2%
64,7%
,0%
100,0%
304
96
471
0
871
34,9%
11,0%
54,1%
,0%
100,0%
53600
14565
105181
185
173531
30,9%
8,4%
60,6%
,1%
100,0%
Lei svolge: Un lavoro alle
dipendenze
Collaborazione co. e co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
Tabella 2.15 - C45 - Nell'ultimo mese ha lavorato di domenica?
Sì, 2 o più volte Sì, meno di 2
(nelle 4
volte (nelle 4
settimane)
settimane)
Lei
svolge:
Un lavoro alle
dipendenze
Collaborazione co. e co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
No
Non sa Totale
19736
9433
140652
124
169945
11,6%
5,6%
82,8%
,1%
100,0%
246
136
2332
1
2715
9,1%
5,0%
85,9%
,0%
100,0%
153
51
667
0
871
17,6%
5,9%
76,6%
,0%
100,0%
20135
9620
143651
125
173531
11,6%
5,5%
82,8%
,1%
100,0%
Mantenendo i criteri già utilizzati si sono costruite le relative variabili ricodificate.
Si osservi come quasi il 40% del totale dei lavoratori subordinati e parasubordinati
lavori il sabato.
In particolare la tipologia di lavoratori più colpita, come da aspettativa, sono le
prestazioni d’opera occasionali.
85
Tabella 2.16 - C44new - Lavora il sabato
Non lavora il sabato Lavora il sabato
Lei svolge:
Un lavoro alle dipendenze
103139
66806
169945
60,7%
39,3%
100,0%
1756
959
2715
64,7%
35,3%
100,0%
471
400
871
54,1%
45,9%
100,0%
105366
68165
173531
60,7%
39,3%
100,0%
Collaborazione co. e co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
Totale
Analoghe considerazioni si possono trarre per quanto riguarda il lavoro di
domenica.
Tabella 2.17 - C45new – Lavora la domenica
Non lavora la
domenica
Lavora la
domenica
Totale
140776
29169
169945
82,8%
17,2%
100,0%
2333
382
2715
85,9%
14,1%
100,0%
667
204
871
76,6%
23,4%
100,0%
143776
29755
173531
82,9%
17,1%
100,0%
Lei svolge: Un lavoro alle dipendenze
Collaborazione co. e co.
Prestazione d’opera
occasionale
Totale
Si riportano ora le ultime due domande poste all’interno del questionario di
rilevazione delle forze di lavoro prese in considerazione per la costruzione del
modello a classi latenti che vanno a completare le informazioni sulla prestazione
lavorativa.
La domanda C47 si occupa di indagare il lavoro su turni, ―Nelle quattro settimane
di riferimento lei ha svolto turni di lavoro?‖.
86
Tabella 2.18 - C47 Nell'ultimo mese ha svolto turni di lavoro?
Sì
Lei svolge:
Un lavoro alle dipendenze
Totale
No
Non sa
Totale
29161
140766
18
169945
17,2%
82,8%
,0%
100,0%
29161
140766
18
169945
17,2%
82,8%
,0%
100,0%
La domanda C47 è stata posta ai soli dipendenti, subordinati, e quindi presenta
valori mancanti per tutti i lavoratori parasubordinati. Si è scelto comunque di
considerare questa domanda valida dal momento che il gruppo di lavoratori di
maggior importanza numerica è rappresentato. Certo è che, qui come in
precedenza, la migliore condizione di partenza sarebbe stata, da un punto di vista
metodologico, aver rilevate le stesse domande, nelle stesso modo, per tutti le
categorie di rispondenti.
Tabella 2.19 - C47new2 - Lavora su turni?
Non lavora su turni Lavora su turni
Lei svolge: Un lavoro alle dipendenze
Collaborazione co. e co.
Prestazione d'opera occasionale
Totale
Totale
140784
29161
169945
82,8%
17,2%
100,0%
2715
0
2715
100,0%
,0%
100,0%
871
0
871
100,0%
,0%
100,0%
144370
29161
173531
83,2%
16,8%
100,0%
Le risposte mancanti alla domanda C47, identificanti i soggetti parasubordinati a
cui non è stata posta la domanda, sono state ricodificate come indicanti l’assenza
di lavoro su turni, C47new2, così da non impattare sull’identificazione della
struttura a classi latenti.
Per concludere viene presentata l’ultima variabile utilizzata nella costruzione della
tipologia di prestazioni lavorative di subordinati e parasubordinati. La domanda
87
C48 è riferita alla presenza o meno di prestazioni di lavoro da casa. ―Nelle quattro
settimana di riferimento le è capitato di svolgere a casa il suo lavoro? ‖. Per
mezzo di questa variabile si perviene ad un’ulteriore faccia della prestazione di
lavoro. In questo caso l’attenzione è posta sulla possibilità di conciliazione tra vita
privata e lavoro e/o sull’interferenza del lavoro nella vita privata.
Tabella 2.20 - C48 Nell'ultimo mese le è capitato di svolgere a casa il suo lavoro?
Sì, 2 o più volte Sì, meno di 2
a settimana volte a settimana
Lei
svolge:
Un lavoro alle
dipendenze
Collaborazione co. e
co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
No
Non sa
1652
947
167267
1,0%
,6%
98,4%
239
95
2379
8,8%
3,5%
87,6%
72
29
770
8,3%
3,3%
88,4%
1963
1071
170416
1,1%
,6%
98,2%
79
Totale
169945
,0% 100,0%
2
2715
,1% 100,0%
0
871
,0% 100,0%
81
173531
,0% 100,0%
Come previsto l’incidenza del lavoro a domicilio per le forme di contratto
parasubordinate è sostanzialmente superiore ai lavoratori subordinati.
Tabella 2.21 - C48new - Lavora da casa?
Non lavora da casa
Lei svolge:
Un lavoro alle dipendenze
Collaborazione co. e co.
Prestazione d'opera
occasionale
Totale
Lavora da casa
Totale
167346
2599
169945
98,5%
1,5%
100,0%
2381
334
2715
87,7%
12,3%
100,0%
770
101
871
88,4%
11,6%
100,0%
170497
3034
173531
98,3%
1,7%
100,0%
Il dato interessante, e metodologicamente importante ai fini della LCA, è dato
dalla presenza, seppur minima, di lavoratori alle dipendenze che lavorano da casa.
Si procede quindi alla ricodifica di quest’ultima variabile inserendo gli indecisi
88
nella categoria del lavoratore standard, ―no‖, e trascurando l’informazione che
quantifica l’occorrenza del lavoro da casa.
Tabella 2.21 Analisi della correlazione di Spearman tra le variabili inserite a modello
c28new c31new
full-time
orario
c34new
flex oraria
c35new c42new c43new c44new c45new c47new2 c48new
straord.
serale
notturno
sabato
domenica
turni
da casa
1
c28new
full-time
c31new
-0.670*
1
orario settimanale 0.000
c34new
-0.029*
flessibilità oraria 0.000
c35new
-0.022*
straordinari 0.000
c42new
-0.048*
lavoro serale 0.000
c43new
-0.074*
lavoro notturno 0.000
c44new
0.06
lavoro il sabato 0.017
c45new
0.090*
lavoro la domenica 0.000
c47new2
-0.026*
lavoro su turni 0.0000
c48new
0.002
lavoro da casa 0.337
0.024*
1
0.000
-0.084*
-0.347*
1
0.000
0.000
0.136*
0.032*
-0.066*
0.000
0.000
0.000
0.123*
0.020*
-0.040*
0.683*
0.000
0.000
0.000
0.000
0.085*
-0.008*
-0.076*
0.376*
0.336*
0.000
0.001
0.000
0.000
0.000
0.088*
0.011*
-0.057*
0.556*
0.545*
0.535*
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
0.032*
0.024*
-0.120*
0.541*
0.498*
0.355*
0.513*
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
-0.002
0.015*
-0.071*
0.056*
0.032*
0.037*
0.040*
0.012*
0.438
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
0.000
1
1
1
1
1
1
Elaborazione realizzata su Stata: spearman: c28new c31new c34new c35new c42new c43new c44new
c45new c47new c48new, stats(rho p) star(0.01)
Sono state quindi presentate le dieci variabili manifeste prese in considerazione
per la definizione di un modello a classi latenti per l’identificazione di una
tipologia di prestazioni di lavoro flessibile.
A conclusione delle verifiche sulle variabili è stata prodotta l’analisi della
correlazione tra le variabili selezionate, tabella 2.21. L’indice di correlazione
89
utilizzato è quello di Spearman data la natura non quantitativa delle variabili. In
rosso sono segnate le correlazioni statisticamente non significative (0.01), in verde
le correlazioni positive superiori o uguali a 0.1 e in blu quelle minori o uguali a 0.1 . Le variabili manifeste prese in esame per i modelli a classi latenti presentano
per la gran parte correlazioni statisticamente significative. Rispetto al significato
delle relazioni si può osservare due distinti gruppi aventi correlazioni non solo
significative ma di una certo significato sostantivo. Si è scelto di considerare in
questo modo le correlazioni con impatti di almeno 0,1. Emerge la presenza di tre
gruppi di variabili molto correlate: il primo è legato alle variabili relative
all’orario di lavoro (C28new, C31new e C35new), il secondo legato alle variabili
relative alla distribuzione del lavoro in orari non standard (C43new e C44new) e il
terzo è legato alle variabili che identificano prestazioni di lavoro il sabato e la
domenica (C44new e C45new).
Rispetto al primo gruppo, si noti la relazione negativa tra la presenza del full-time
e la rilevazione di numero elevato di ore medie settimanali di lavoro. Questa
relazione era attesa ma non scontata nel'insieme delle risposte. Infatti, nell'ultimo
decennio il ricorso a contratti di natura part-time si è diversificato sia in relazione
alla concentrazione delle prestazioni di lavoro, part-time verticale, sia in relazione
alla composizione oraria del part-time, che varia solitamente dal 30 al 90
percento. La seconda correlazione osservata, in questo primo gruppo, è tra
variabile rilevante la flessibilità oraria nella settimana di riferimento rispetto
all’orario settimanale medio del lavoratore e l’occorrenza di lavoro straordinario.
Questa relazione risulta negativa, indicano che a seguito di prestazioni di lavoro
straordinario non si associa un aumento del monte orario rispetto ad un monte
orario costante. Ciò indica che le richieste di lavoro straordinario, contrariamente
al significato stesso di questa pratica, sono costanti e rappresentano un elemento
tipico di alcune prestazioni di lavoro.
Il secondo gruppo di interesse è determinato dalle variabili relative al lavoro
serale e a quello notturno. Le relazioni espresse dagli indici di correlazione di
Spearman mettono in mostra una doppia relazione di queste due variabili. Le
90
variabili, oltre ad essere correlate positivamente tra loro, sono correlate in modo
positivo sia con il monte orario dei lavoratori: a monti orari elevati corrisponde la
presenza di lavoro serale e notturno; sia con le variabili che indicano la presenza
di lavoro prefestivo (sabato) e festivo (domenica) e del lavoro su turni.
Il terzo gruppo di variabili correlate tra loro è relativo alla presenza di prestazioni
lavorative durate il sabato o la domenica e del lavoro sui turni. Quest’ultimo
gruppo mette in luce la presenza di una associazione tra le diverse modalità di
flessibilità di lavoro flessibile: sono infatti correlate tra di loro il lavoro nei
tradizionali giorni di riposo settimanale e il lavoro su turni. Come si osserva dalla
figura, la principale distinzione tra queste variabili e quelle corrispondenti al
lavoro serale e notturno è che quest’ultime non presentano relazioni di un certo
significato con le variabili legate al monte orario settimanale o la presenza di
straordinari. Vi è tuttavia, una debole relazione negativa tra le prestazioni di
lavoro che prevedono i turni e gli straordinari che merita essere segnalata.
Chiariti questi aspetti metodologici preliminari è dunque possibile procedere alla
realizzazione dei modelli a classi latenti.
91
Capitolo 3
Tipologia della flessibilità della prestazione
Il capitolo è dedicato alla presentazione della tipologia di flessibilità della
prestazione di lavoro, costruita sui dati della rilevazione delle forze di lavoro Istat
2009. Il primo paragrafo è dedicato alla presentazione delle analisi della struttura
latente attraverso gli output dell'analisi a classi latenti. Viene descritta la
procedura di selezione del modello definitivo a seguito di test statistici e di
significato. Nel secondo paragrafo viene presentata la tipologia della flessibilità
della prestazione di lavoro in riferimento al mercato del lavoro italiano. Attraverso
grafici e tabelle, viene esplorato il lavoro flessibile italiano nel 2009. Il terzo e
conclusivo paragrafo offre una valutazione dello strumento realizzato e sulle
possibili applicazioni della tipologia.
3.1 Scelta del modello
Il processo di selezione del modello a classi latenti è reso fruibile così da garantire
accessibilità e ripetibilità dell'analisi. Considerando che l'analisi delle classi latenti
è per natura soggetta ad un ampio numero di scelte, in particolar modo in
relazione alla scelta del modello finale, si è ritenuto opportuno non tralasciare i
risultati intermedi ed i modelli scartati. La procedura di etichettatura e i test
statistici e di significato sostantivo dovrebbero consentire la comprensione dei
principali aspetti della selezione.
92
3.1.1 Output ed etichettatura
Lo studio delle classi latenti si è articolato attraverso la realizzazione di diverse
versioni del modello a classi latenti. Le variabili con cui è stato costruito il
modello, presentate e discusse nel primo capitolo, corrispondono alla versione che
meglio riesce a rappresentare la struttura dei dati e che viene ora presentata.
Riportare nel testo, oltre alla scelta tra modelli alterativi della stessa versione,
l'intero esame della struttura dei dati avrebbe reso la lettura del testo
eccessivamente prolissa e articolata, rischiando di non consentire la comprensione
di un procedimento già complesso.
La scelta di un modello a classi latenti non è operazione semplice. Ciò è
determinato principalmente dalla mancanza di indicatori di selezione efficaci
(Bentler, 1980; Bergman & Trost, 2006; Collins & Lanza, 2010; Dean & Raftery,
2008; Di Franco, 1999; Hagenaars, 1998; Hagenaars & McCutcheon, 2002a,
2002b; Little, Lindenberger, & Nesselroade, 1999; Lubke & Neale, 2006;
Menezes & Bartholomew, 1996; Vermunt, 2010) ed in particolare dalla struttura52
particolarmente complessa del dataset: altissimo numero di osservazioni,
cospicuo numero di variabili ed alto numero di gradi di libertà del modello. Ciò
nonostante, le verifiche statistiche sui modelli, nel loro complesso, sono
successivamente presentate, discusse e prese in considerazione per la scelta del
modello migliore, che sarà tuttavia determinata prevalentemente a partire
dall’analisi degli output di poLCA, legati alla composizione delle classi latenti e
alla loro etichettatura, secondo principi di capacità indicativa e parsimonia.
In modo preliminare all'analisi dei modelli, sono riportate le principali sequenze
delle variabili a maggiore ricorrenza nella struttura dati. L'insieme delle ricorrenze
costituisce la matrice target dell'analisi delle classi latenti 53 . Riprendendo il
52
Il termine struttura si riferisce allo spazio multidimensionale risultante dalle relazioni esistenti
tra le modalità delle variabili inserite a modello.
53
Si tratta di una tabella soggetto per oggetto (SxO) definita dalla matrice disgiuntiva completa
(Ricolfi, 2002) delle variabili ricodificate.
93
paragone con l'analisi fattoriale, essa è equivalente alla matrice di correlazione
delle variabili del modello54.
Tabella 3.1 - Sequenze ricorrenti tra le variabili, ordinate per frequenza 55
c28new
c31new
c34new
c35new
c42new
c43new
c44new
c45new
c47new2
c48new
observed
1
1
1
1
2
1
1
3
1
1
1
1
1
1
1
2
1
1
3
3
4
4
4
2
2
5
5
2
3
4
2
4
4
4
4
3
4
4
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
1
2
2
2
2
2
2
1
1
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
2
1
1
1
2
1
1
1
2
2
2
1
2
1
2
1
2
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
1
1
2
2
1
1
1
2
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
2
1
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
58517
14684
6977
5187
3814
3768
3719
3321
3321
2883
2855
2461
1985
1909
1735
1609
1538
1490
1450
1374
Da un punto di vista numerico, tabella 3.1., sono presenti nella prima sequenza
della matrice dati, 58.517 soggetti. Essi presentano esattamente lo stesso profilo
sulle variabili inserite a modello. Si tratta di lavoratori full-time con un monte
orario costante compreso tra le 36 e le 40 ora settimanali, che non hanno effettuato
lavoro straordinario, che non lavorano su turni, non lavorano il sabato o la
domenica, né la sera o la notte, né lavorano da casa. Questi lavoratori
rappresentano in modo perfetto la definizione standard di lavoratore flessibile per
la prestazione. Osservando la seconda stringa, si nota che il secondo gruppo a
54
Per ragioni di spazio, sono indicate solo le prime venti stringhe. Il numero complessivo di
combinazioni esistenti per il dataset Istat 2009 è 1631.
55
Il grafico è realizzato a partire dall'output poLCA$predcell e può essere richiamato
successivamente all'elaborazione dell'analisi delle classi latenti. Per la definizione delle ricorrenze
non costituisce rilevanza il numero di classi latenti elaborate bensì le variabili inserite a modello.
94
maggiore ricorrenza è composto in modo del tutto uguale al primo, ad eccezione
della presenza di prestazioni di lavoro effettuate il sabato. Se il numero di tipi
definiti dall'analisi delle classi latenti, fosse uguale al numero delle stringhe
contenenti le ricorrenze, si otterrebbe una tipologia perfetta per aderenza ai dati,
ma del tutto inadeguata a descrivere il fenomeno.
I risultati esposti nei prossimi grafici corrispondono a modelli con un numero
crescente di classi latenti. La rappresentazione grafica dei modelli consente
l’individuazione delle tipologie e rende agevole il processo di etichettatura. Data
la presenza di alcune variabili politomiche si è ritenuto necessario individuare, per
ciascuna variabile manifesta, la modalità indicante la prestazione standard di
lavoro, ovvero la negazione della flessibilità della prestazione56.
Nei grafici è rappresentata, per ogni singola modalità indicante una prestazione
standard, la probabilità di appartenenza alla classe latente. I valori tendenti a 0
indicano una probabilità minima di occorrenza della modalità standard all’interno
della classe, ovvero identificano prestazioni flessibili di lavoro. Viceversa, i valori
prossimi a 1 indicano la presenza di modalità legate a prestazioni standard di
lavoro. Una volta individuato il profilo delle classi si è proceduto all'attribuzione
di un etichetta. Questo metodo di avanzamento ha permesso di raggiungere una
comparazione dei modelli a diverse classi latenti, tenendo presente l'obiettivo
dell'analisi: identificare una tipologia della flessibilità della prestazione di lavoro
in grado di aggregare i lavoratori per tipo di articolazione della prestazione.
In accordo a quanto consigliato nei testi di riferimento, i modelli sono stati
realizzati in ordine di complessità, aggiungendo man mano un'ulteriore classe
latente. Si osservi la figura 3.1 relativa al modello a due classi latenti. Le due
classi si distinguono nettamente in relazione alla probabilità che si osservino le
modalità legate alla flessibilità oraria e dei giorni di lavoro (lavoro serale,
notturno, sabato, domenica e turnazione). Le altre variabili del modello hanno
circa la stessa probabilità di essere presenti nei due gruppi. La prima classe è
56
Analogamente al processo di definizione operativa presentato nel primo capitolo.
95
tipica dei lavoratori standard della prestazione che costituiscono la classe di
riferimento della tipologia. La seconda classe identificata con la dicitura flessibili
si riferisce ai lavoratori che presentano gli elementi, già citati, di flessibilità della
prestazione di lavoro.
Figura 3.1 Modello a due classi latenti
2 classi
0,0000
0,2500
standard
flessibili
0,5000
0,7500
1,0000
La procedura di analisi a due classi non mette in evidenza distinzioni relative alla
modalità full-time o part-time della prestazione di lavoro. Il dato è espressione del
fatto che, in relazione alle variabili inserite a modello, la dimensione del lavoro
part-time non è discriminante nell'analisi della struttura latente rispetto alle
dimensioni della flessibilità legate all'organizzazione oraria e giornaliera del
lavoro. Poiché l'analisi delle classi latenti opera modellizzando la struttura latente,
in funzione della matrice della sequenza delle osservazioni dei lavoratori che
rimane stabile, ci si attende, a seguito dell'aumento del numero di classi latenti, di
pervenire ad una identificazione migliore ed in grado di consolidare le classi
latenti elaborate su un numero inferiore di classi. Tuttavia non si tratta di un
processo garantito che ipoteticamente potrebbe portare ad una lettura del tutto
alternativa della struttura latente.
96
La descrizione qualitativa dei modelli a classi latenti viene integrata dalle
frequenze relative della tavola di contingenza tra il tipo di occupazione e la
tipologia di flessibilità della prestazione costruita sulla base del modello descritto
attraverso l'indicazione modale di appartenenza alle classi latenti.
Sono da considerarsi migliori i modelli che non registrano osservazioni
numericamente marginali tra i gruppi di lavoratori e, al tempo stesso, tra i tipi di
lavoratori caratterizzati da prestazioni flessibili.
Tabella 3.2 Tipologia 2 e tipo di occupazione.
Lei svolge:
tipologia 2
classi
Un lavoro alle
dipendenze
Collaborazione
co. e co
Prestazione d'opera
occasionale
standard
131530
2210
626
134366
flessibile
38415
169945
505
2715
245
871
39165
173531
Totale
Totale
La tipologia a due classi evidenzia la presenza di un gruppo di lavoratori
predominante, il tipo standard, con 134.366 casi e di 39.165 lavoratori tipizzati
come flessibili della prestazione. Le frequenze marginali del tipo di occupazione
non evidenziano particolari anomalie o elementi inattesi.
Figura 3.2 Modello a tre classi latenti
3 classi
0,0000
standard
part.time
0,2500
flessibili
0,5000
0,7500
1,0000
97
Il modello a tre classi, figura 3.2, riproduce in modo atteso la distinzione tra
lavoratori standard e lavoratori flessibili già osservata nel modello a due classi. La
terza classe definita dal modello, gravita sulla distinzione tra part-time e full-time
e sulla relativa diversificazione oraria dei lavoratori.
Osservare che la struttura delle classi è qualitativamente stabile rispetto al
modello a due classi, rassicura circa coerenza della matrice input nonostante essa
non sia da considerare elemento necessario.
Dalla tavola di contingenza, tabella 3.3, si ricava un'informazione positiva
sull'identificazione delle classi. Essa non mostra categorie numericamente
residuali. Poiché la tipologia è costruita sull'evidenza empirica, è necessario
verificare che il costrutto latente non sia sotto-rappresentato nella matrice dati,
ovvero che non proceda all'identificazione di una tipologia puramente formale.
Tabella 3.3 Tipologia 3 e tipo di occupazione.
Lei svolge:
Un lavoro alle
dipendenze
tipologia 3
classi
Totale
Collaborazione co. Prestazione d'opera
e co.
occasionale
Totale
standard
114495
1314
254
116063
part-time
20730
1018
438
22186
flessibile
34720
169945
383
2715
179
871
35282
173531
In merito alla ripartizione dei soggetti sui tre tipi di flessibilità, si osserva una
corrispondenza preponderante di questi lavoratori sulla categoria dei lavoratori
non flessibili per la prestazione, il tipo standard, quantificata in circa
centodiecimila unità. I lavoratori appartenenti al tipo part-time risultano essere di
poco superiori a ventiduemila unità, a fronte di circa trentacinquemila lavoratori
flessibili. Ad un analisi attenta si può individuare il percorso di provenienza dei
lavoratori definiti come part-time, ovvero della terza classe latente. Nel modello a
due classi latenti, a questi lavoratori era stata attribuita prevalentemente la dicitura
di standard. Infatti, aggiungendo una classe latente il numero di lavoratori
standard si è ridotto da circa 134 mila a 116 mila mentre la quantificazione dei
98
lavoratori flessibili si è ridotta di circa 4 mila unità. Questa osservazione non
comporta considerazioni di natura qualitativa sulla definizione della tipologia, ma
è chiave nella corretta lettura dei modelli con un numero progressivo di classi
latenti e consolida in modo diffuso, la comprensione della struttura dei dati
analizzatis.
Con la figura 3.3 si presenta il modello a quattro classi latenti. Anche per questo
modello rimangono sostanzialmente stabili le probabilità relative delle classi
standard, part-time e flessibili. L'azione di etichettatura viene rimodulata nei
confronti dei flessibili e sostituita con l'etichetta flessibili dell'organizzazione così
da rimarcare la tipicità di questi lavoratori in merito all'organizzazione temporale
della propria prestazione di lavoro (sera, notte, sabato, domenica e turni). I
flessibili ad alta intensità lavorativa, quarto costrutto latente, registrano una
probabilità elevata sull'incidenza delle variabili relative alla quantità di lavoro
prestato, monte orario elevato, molto variabile o soggetto ad variazioni positive,
presenza di straordinari. Inoltre prevede, rispetto al tipo standard, probabilità
superiori su tutte le variabili. L'etichetta di flessibili ad alta intensità lavorativa
unifica le caratteristiche riscontrante distinguendo questa classe dai flessibili per
organizzazione della prestazione.
Figura 3.3 Modello a quattro classi latenti
4 classi
standard
0,0000
0,2500
part.time
f.alta intensità
f.organizzazione
0,5000
0,7500
1,0000
99
Nonostante la separazione visiva dei flessibili ad alta intensità risulti poco
evidente nella figura 3.3, la distribuzione sulle singole variabili di questo gruppo
di lavoratori rende accettabile l'etichettatura 57. Per consentire una lettura esatta
delle probabilità relative di ogni classe su ogni modalità delle variabili inserite a
modello, viene presentata la tabella 3.4 .
Tabella 3.4 Probabilità relative delle classi latenti sulle modalità58
standard
part-time
full-time*
0,9989
0,0974
0,9960
0,9225
part-time intenz.
0,0007
0,4357
0,0006
0,029
part-time non intenz.
0,0005
0,4668
0,0035
0,0485
da 1 a 15
0,0019
0,1745
0,0000
0,0099
da 16 a 25
0,0729
0,6095
0,0635
0,0579
da 26 a 35
0,0451
0,1991
0,0463
0,0578
da 36 a 40*
0,8266
0,0006
0,5988
0,7034
da 41 a 120
0,0474
0,0000
0,2688
0,1506
molto variabile
0,0061
0,0163
0,0227
0,0204
orario abituale*
0,9574
0,9588
0,8741
0,9291
meno del solito
0,0426
0,0211
0,0099
0,0238
più del solito
0,0000
0,0201
0,1160
0,0472
svolto
straordinari:
no*
sì
0,9818
0,0182
0,9062
0,0938
0,7566
0,2434
0,8921
0,1079
lavora sera:
no*
si
0,9856
0,0144
0,9418
0,0582
0,8523
0,1477
0,0779
0,9221
lavora notte:
no*
si
0,9976
0,0024
0,9938
0,0062
0,9837
0,0163
0,2716
0,7284
lavora il
sabato:
no*
si
0,8447
0,1553
0,6502
0,3498
0,3190
0,6810
0,1175
0,8825
lavora
domenica:
no*
si
1,0000
0,0000
0,8909
0,1091
0,7781
0,2219
0,2250
0,7750
lavora su
turni:
no*
si
0,9741
0,0259
0,8991
0,1009
0,8238
0,1762
0,2699
0,7301
0,9919
0,0081
0,5141
0,9802
0,0198
0,1418
0,9680
0,0320
0,2001
0,9712
0,0288
0,144
full-time,
part-time e
intenzionalità:
monte orario:
variabilità
monte orario:
lavora da
casa:
no*
si
Stima delle probabilità
delle classi latenti
57
58
f. alta intensità f. organizzazione
Reperibili nell'appendice nell'allegato 3.
Le modalità che si riferiscono alla definizione standard sono segnate con un asterisco.
100
Tabella 3.5 Tipologia 4 e tipo di occupazione.
Lei svolge:
Un lavoro alle
dipendenze
Collaborazione
co. e co.
Prestazione
d'opera
occasionale
99307
642
86
100035
21319
1054
467
22840
f. alta intensità
25352
870
217
26439
f. organizzazione
23967
169945
149
2715
101
871
24217
173531
tipologia 4 standard
classi
part-time
Totale
Totale
La distribuzione tipologica sulla condizione contrattuale risulta ragionevolmente
distribuita. I lavoratori non flessibili per la prestazione calano ulteriormente
attestandosi a circa centomila unità; il tipo part-time rimane sostanzialmente
invariato, circa ventiduemila; i flessibili dell'organizzazione diventano circa
ventiquattromila a fronte di una quantificazione nel modello a tre classi latenti di
trentacinquemila unità. A fare numericamente le spese dei soggetti assegnati alla
nuova classe latente, i flessibili ad alta intensità, sono la classe dei lavoratori
standard e quella dei lavoratori flessibili per organizzazione. In altre parole,
l'introduzione di una ulteriore classe latente, permette di consolidare le classi
precedentemente individuate, escludendo da esse, quella parte di lavoratori che
meno si adattavano all'assegnazione precedente. Da un punto di vista numerico, la
tavola di contingenza registra frequenze marginali distribuite su tutte le modalità.
L'intenzione non è di verificare un'omogeneità nelle distribuzioni relative, bensì
come detto, di escludere la costruzione di tipizzazioni fittizzie.
Il modello a cinque classi latenti è l'ultimo modello presentato. In linea con quanto
avvenuto precedentemente le classi individuate nel modello a quattro classi latenti
sono confermate. La classe aggiuntiva permette di individuare la categoria dei
flessibili per organizzazione part-time. Questa classe si differenza da quella parttime solo in relazione alle probabilità di prestazioni di lavoro legate alla
flessibilità organizzativa (sera, notte, sabato, domenica e turni). A questo punto è
legittimo aspettarsi una diminuzione delle frequenze assolute marginali della
classe part-time, prevalentemente a scapito della nuova classe.
101
Figura 3.4 Modello a cinque classi latenti
5 classi
standard
0,0000
part-time
0,2500
f.organizzazione,
part-time
f.alta intensità
0,5000
0,7500
f.organizzazione
1,0000
Effettivamente, buona parte dei circa cinquemila lavoratori flessibili per
organizzazione part-time provengono intuitivamente dalla categoria part-time.
Tuttavia, questa nuova classe offre meno garanzie di solidità empirica: su un base
dati di circa 170.000 casi, essa rappresenta solo il 3%.
Tabella 3.6 Tipologia 5 e tipo di occupazione.
Lei svolge:
Un lavoro alle
dipendenze
tipologia 5 standard
classi
part-time
Prestazione
d'opera
occasionale
Totale
99151
574
67
99792
18328
980
405
19713
part-time f. org.
4963
182
130
5275
f. alta intensità
24007
883
223
25113
23496
169945
96
2715
46
871
23638
173531
f. organizzazione
Totale
Collaborazione
co. e co.
Al contrario, nel modello a quattro classi latenti la categoria meno popolata
rappresenta il 13% del totale. In merito a questo dato, il modello a cinque classi
latenti rappresenterebbe una scelta più appetibile in ragione di una maggior
diversificazione. Il modello a quattro classi latenti tuttavia garantisce maggiori
tutele empiriche e di solidità statistica. In forza a quanto detto, ed in relazione alla
102
natura esplorativa dell'analisi e della tecnica di analisi, pare opportuno seguire il
percorso che minimizza il rischio di costruire categorie empiricamente poco
osservabili. Inoltre, la distinzione a quattro classi latenti dovrebbe consentire di
esplorare soddisfacentemente la descrizione della flessibilità della prestazione di
lavoro in Italia.
Poiché la costruzione dei modelli a classi latenti è basata sulle effettive
osservazioni della prestazione di lavoro, è ipotizzabile che già nei prossimi anni,
in funzione di cambiamenti della struttura del mercato del lavoro italiano, si
possano consolidare le categorie identificate magari in direzione della tipologia a
cinque classi latenti.
La scelta del miglior modello a classi latenti è legata unicamente alle
considerazioni del ricercatore che, per quanto condivisibili, restano soggette ad
interpretazione e sensibilità, in funzione del rapporto dialettico tra indicazione e
parsimonia.
103
3.1.2 Identificazione e valutazione
A completamento degli elementi relativi la scelta del modello, è presentata una
breve analisi dei principali indicatori statistici legati alla valutazione dei modelli.
Fermo restante, la poca efficacia di tali test, data la loro non determinatezza nel
definire un modello accettabile o non accettabile, essi sono esposti e commentati.
Il primo elemento di verifica tecnica dei modelli è la presenza e la struttura di
massimi locali e massimi globali sui modelli a diverse classi latenti. I grafici
permettono di valutare questo aspetto in relazione all’occorrenza numerica del
massimo globale rispetto ai minimi locali identificati da poLCA su 100 tentativi di
identificazione a partire da altrettanti valori iniziali casuali59.
Figura 3.5 Massimo locale e massimo globale, frequenza sulla stima di cento modelli a due classi latenti.
2 CLASSI - Local and global max-likelihood
ML e numero di osservazioni su 100 punti di partenza casuali
-100000,0
1
5
9
13
17
21
25
29
33
37
41
45
49
53
57
61
65
69
73
77
81
85
89
93
97
0,0
-200000,0
-300000,0
-400000,0
-500000,0
-600000,0
-700000,0
-713446,2
-800000,0
-900000,0
Il risultato confermativo di una corretta procedura di stima è rappresentato da una
elevata frequenza della stima ottimizzata per il modello a classi latenti. Definita la
composizione di variabili manifeste e il numero di classi, è considerata migliore la
stima che massimizza il rapporto di massima verosimiglianza log-lineare che
rappresenta il massimo globale. Il controllo sulla frequenza di stima permette di
59
La necessità di punti di partenza multipli e casuali è stata spiegata nel secondo capitolo nel
paragrafo "Massimo locale e errore standard della stima".
104
verificare la frequenza di stime legate a massimi locali ovvero l'incidenza di stime
non corrette del modello, e verificare così la stabilità e l'attendibilità della stima
definitiva. La figura 3.5 mostra il controllo sul modello a due classi latenti. Il
grafico evidenza la presenza di due diverse stime di massima verosimiglianza loglineare rappresentate dai due picchi. Settantatre tentativi su cento dell'algoritmo di
poLCA viene stimato il massimo globale pervenendo pertanto ad una corretta
stima del modello a classi latenti. Di norma, la stima di un centinaio di modelli
alternativi rende possibile l'identificazione corretta del modello di analisi delle
classi latenti. La stabilità del modello è determinata dalla proporzione esistente tra
la stima del modello migliore e il numero di tentativi.
Figura 3.6 Massimo locale e massimo globale, frequenza sulla stima di cento modelli a tre classi latenti.
3 CLASSI - Local and global max-likelihood
ML e numero di osservazioni su 100 punti di partenza casuali
1
5
9
13
17
21
25
29
33
37
41
45
49
53
57
61
65
69
73
77
81
85
89
93
97
0,0
-100000,0
-200000,0
-300000,0
-400000,0
-500000,0
-600000,0
-700000,0
-679293,9
-800000,0
Da quanto emerge dalla letteratura e dalle ricerche reperibili, è buona prassi
considerare stabili quei modelli che presentano una frequenza di stima del
massimo globale maggiore rispetto a stime legate ai massimi locali. Tuttavia,
maggiore è il numero di classi latenti stimate, maggiore è la complessità della
struttura latente. Ci si attende quindi di verificare un aumento dell'incidenza di
massimi locali all'aumentare del numero di classi latenti stimate.
La figura 3.6 conferma l'attesa, evidenziando la presenza di cinque diverse stime
di massima verosimiglianza log-lineare. La frequenza del massimo globale, che
105
corrisponde a -679293,9, è verificata ottantuno volte su cento tentativi. La stima
del modello a tre classi latenti risulta quindi corretta e stabile.
Figura 3.7 Massimo locale e massimo globale, frequenza sulla stima di cento modelli a quattro classi latenti.
4 CLASSI - Local and global max-likelihood
ML e numero di osservazioni su 100 punti di partenza casuali
-100000,0
1
5
9
13
17
21
25
29
33
37
41
45
49
53
57
61
65
69
73
77
81
85
89
93
97
0,0
-200000,0
-300000,0
-400000,0
-500000,0
-600000,0
-700000,0
-669995,5
-800000,0
Analogamente si è proceduto per il modello a quattro classi latenti, figura 3.7. Pur
verificando un costante aumento del numero di stime legate a massimi locali ed
una riduzione rilevante della frequenza di stima del massimo globale, in
quarantasette casi su cento si è pervenuto al modello che meglio massimizzava la
stima di massima verosimiglianza. Pertanto, il modello a quattro classi soddisfa i
criteri di correttezza e stabilità consentendone l'utilizzo per la definizione della
tipologia di flessibilità della prestazione di lavoro.
Il modello a cinque classi latenti, figura 3.8, presenta una numero ancora
maggiore delle stime errate del rapporto di massima verosimiglianza log-lineare,
vedendo ridursi a ventisette su cento il numero di stime che identificano il
massimo globale. Nonostante i parametri statistici siano soddisfatti, stima del
massimo globale e maggiore frequenza del massimo globale rispetto ai massimi
locali, la proporzione tra stime errate e stime corrette è valutata come eccessiva ai
fini di una analisi di tipo esplorativo, sia in relazione alla tecnica, sia rispetto allo
studio delle dimensioni della flessibilità della prestazione di lavoro.
106
Figura 3.8 Massimo locale e massimo globale, frequenza sulla stima di cento modelli a due cinque latenti.
5 CLASSI - Local and global max-likelihood
ML e numero di osservazioni su 100 punti di partenza casuali
1
5
9
13
17
21
25
29
33
37
41
45
49
53
57
61
65
69
73
77
81
85
89
93
97
0,0
-100000,0
-200000,0
-300000,0
-400000,0
-500000,0
-600000,0
-661723,5
-700000,0
-800000,0
Come già stato evidenziato contestualmente alla comparazione sostantiva dei
modelli, il modello a cinque classi latenti può essere considerato il modello limite
sulla struttura dati su cui sono state effettuate le analisi e per prudenza analitica,
esso viene quindi scartato.
In relazione all’identificazione dei modelli viene presentata, figura 3.9, la
variazione della massima verosimiglianza log-lineare per i modelli da 2 a 5 classi.
Figura 3.9 Stime di massima verosimiglianza log-lineare, massimi globali su modelli alternativi
log-linear max-likelihood estimates
-630000,0
-640000,0
-650000,0
2
3
4
5
classi
-660000,0
-670000,0
-680000,0
-690000,0
-700000,0
-710000,0
-720000,0
107
Il valore di massima verosimiglianza log-lineare tende a crescere all’aumento del
numero di classi latenti poiché maggiore è il numero di classi latenti considerate,
minore è l’effetto di riduzione che il modello è costretto ad esercitare sulla
struttura dei dati. Valutare la sola diminuzione dell'indice in termini assoluti non
porta a considerazioni interessanti, al contrario, può essere utile fare attenzione
all'impatto che l'aggiunta marginale di una classe ha sulla massima
verosimiglianza log-lineare. Dall'analisi di questo dato, si trova indicazione di un
buon rapporto tra spiegazione e parsimonia per il modello a tre e a quattro classi
latenti. Tuttavia rimane un'indicazione poco restrittiva che non esclude il ricorso a
modelli a cinque classi o superiori.
Gli altri indicatori statistici a disposizione sono: il Chi2, il G2 e il BIC e l'AIC che
sono ora presentati. Il Chi2 e il G2 indicano in senso assoluto la capacità del
modello di rappresentare la struttura latente, e in senso comparativo, la relazione
tra i modelli con numero diverso di classi latenti, nella variazione marginale di
ogni singola classe, relativa all'aderenza con la struttura latente. E' bene ricordare
che il Chi2 e il G2 sono indicatori poco efficienti in caso di modelli molto
complessi con elevati gradi di libertà e quando è presente una base dati
particolarmente ampia. Poiché non sono da considerarsi discriminanti nella scelta
o nella verifica del modello a classi latenti, essi vengono riportati senza ulteriori
commenti.
Figura 3.10 - Chi2 dei modelli a classi latenti elaborati
Chi2
450000,0
400000,0
350000,0
300000,0
250000,0
200000,0
150000,0
100000,0
50000,0
0,0
2
3
4
5
6
classi
108
Figura 3.11 - G2 dei i modelli a classe latenti elaborati
G2
180000,0
160000,0
140000,0
120000,0
100000,0
80000,0
60000,0
40000,0
20000,0
0,0
2
3
4
5
6
classi
Analogamente sono riportati i valori del AIC e del BIC che sono degli indicatori
sintetici di adattamento e parsimonia. Entrambi presentano i medesimi problemi
del Chi2 e del G2 poiché sono calcolati in funzione dei gradi di libertà del
modello che, nell'applicazione presentata, risulta particolarmente elevata e di
conseguenza, li rende appropriati solo a verificare l'impatto marginale di ogni
classe aggiuntiva.
Figura 3.12 - AIC e BIC dei i modelli a classe latenti elaborati
AIC e BIC
1440000
1420000
1400000
1380000
1360000
1340000
1320000
1300000
1280000
1260000
1240000
2
3
4
5
6
classi
AIC
BIC
109
3.2 Lavoratori flessibili della prestazione
L'analisi delle classi latenti, sulle variabili legate alla prestazione di lavoro dei
lavoratori dipendenti subordinati e parasubordinati italiani, ha consentito di
pervenire ad una tipologia di flessibilità della prestazione di lavoro. Analizzando
la struttura latente, si è raggiunto il risultato di rappresentare il concetto di
flessibilità della prestazione attraverso una tipologia indicante quattro tipi di
lavoratori.
In particolare, la tipologia proposta è costituita da:
1. I lavoratori standard, ovvero i lavoratori non flessibili per la prestazione
di lavoro.
2. I lavoratori part-time, la cui caratteristica flessibile è determinata
unicamente da un ridotto monte orario ed una contrattualizzazione parttime.
3. I lavoratori ad alta intensità lavorativa, caratterizzati da un numero
elevato di ore lavorate, da una discreta oscillazione dell'orario di lavoro e
dalla presenza ricorrente di lavoro straordinario.
4. I lavoratori flessibili per organizzazione della prestazione di lavoro, sono
caratterizzati in modo determinante dall'occorrenza di prestazioni di lavoro
in giorni e in orari non standard ed in relazione all'articolazione su turni
delle prestazioni.
In questo paragrafo conclusivo, verrà descritto il mercato del lavoro italiano in
funzione della tipologia empiricamente costruita attraverso l'analisi delle classi
latenti. I dati su cui sono state effettuate le analisi descrittive sono i microdati Istat
2009. In particolare sarà verificata la struttura socio-demografica dei lavoratori
flessibili della prestazione e l'eventuale presenza di relazioni con la flessibilità
della condizione di lavoro. Sarà quindi possibile rispondere alla domanda
cognitiva che ha generato la ricerca: chi sono i flessibili della prestazione, quanti
sono e in quale rapporto sono con la flessibilità dell'occupazione?
110
Per agevolare la lettura dei dati, le elaborazioni in valori assoluti sono riportate
all'universo dei lavoratori subordinati e parasubordinati italiani, così da
rappresentare il mercato del lavoro italiano in modo quantitativamente puntuale. I
principali dati sono rappresentati graficamente, così da mettere in evidenza
peculiarità o tendenze degli occupati italiani in relazione alla tipologia di
flessibilità della prestazione di lavoro60.
Secondo la rilevazione Istat, media 2009, i lavoratori subordinati e
parasubordinati italiani sono 17.466.972 unità, di cui il 97,8% è relativo ai
lavoratori dipendenti. Il 2,2% del totale, corrispondente a 385044 unità, è il
numero di lavoratori parasubordinati italiani nel 2009, si tratta della somma dei
lavoratori con contratti di collaborazione e dei lavoratori con contratti di
prestazione d'opera occasionale. Subordinati e parasubordinati costituiscono la
popolazione di riferimento dello studio realizzato sulla flessibilità della
prestazione ed è solo in relazione a questi soggetti che le prossime statistiche si
riferiscono.
Per prima cosa si osservi la ripartizione dei lavoratori italiani sulla tipologia di
flessibilità della prestazione, tabella 3.7. Quasi il 58% dei lavoratori sperimenta
prestazioni di lavoro non flessibili, tipo standard. I lavoratori di tipo part-time
sono 2.244.056, i flessibili ad alta intensità oraria sono 2.705.019 e i lavoratori
flessibili per l'organizzazione sono 2.452.964 .
Tabella 3.7 - Flessibili della prestazione, frequenze
Flessibili della prestazione
Frequency
Percent
Valid Percent
standard
10064932
57,6
57,6
part-time
2244056
12,8
12,8
f. alta intensità
2705019
15,5
15,5
f. organizzazione
2452964
14,0
14,0
Total
17466972
100,0
100,0
60
Le elaborazioni statistiche e la resa grafica sono state realizzate con l'ausilio del programma
SPSS.
111
Sottraendo il numero di lavoratori di tipo standard si perviene al numero di
lavoratori flessibili della prestazione di lavoro in Italia nel 2009: circa sette
milioni e quattrocento mila unità, corrispondenti al 42,4% del totale dei lavoratori.
Figura 3.13 - Flessibili della prestazione, frequenze
Indagando il genere dei lavoratori flessibili, tabella 3.8, spicca la relazione tra il
tipo part-time e le donne. Circa una donna su quattro è descrivibile dalla categoria
part-time della tipologia. Al contrario, essa è indicativa solo del 3,9% dei
lavoratori di sesso maschile. Questo dato conferma sostanzialmente il carattere
femminile dell'occupazione part-time in Italia, dato conosciuto e ampiamente
mostrato dalle statistiche ufficiali. E' bene ricordare che il tipo part-time della
tipologia qui proposta non è risultante dal solo elemento di contrattualizzazione
part-time, bensì dall'insieme delle probabilità espresse sulle variabili considerate
nell'analisi delle classi latenti precedentemente presentate. Il label part-time è
stato attribuito per assegnare un'identificazione di senso a questo tipo di
prestazioni di lavoro, caratterizzate prevalentemente da un monte orario lavorativo
ridotto ed una sostanziale assenza di altre caratteristiche indicanti prestazioni
flessibili di lavoro.
112
Tabella 3.8 - Flessibili della prestazione per genere
sesso * Flessibili della prestazione Crosstabulation
Flessibili della prestazione
standard
Maschio
V.a.
% sesso
Femmina
V.a.
% sesso
Total
V.a.
% within
sesso
part-time
f. alta
intensità
f. organiz.
Total
6047458
379605
1725838
1660910
9813811
61,6%
3,9%
17,6%
16,9%
100,0%
4017474
1864452
979182
792054
7653162
52,5%
24,4%
12,8%
10,3%
100,0%
10064932
2244057
2705020
2452964
17466973
57,6%
12,8%
15,5%
14,0%
100,0%
Pertanto, la categoria di flessibili part-time e i lavoratori contrattualizzati parttime non sono concettualmente sovrapponibili, pur essendo sostanzialmente
simili.
Figura 3.14 - Flessibili della prestazione per genere
Risultano esclusi dal tipo part-time quei lavoratori che, pur indicando un
occupazione part-time, fanno registrare un monte orario elevato o che sono
113
caratterizzati in modo prevalente da altre forme di lavoro flessibile della
prestazione. Se, come è stato detto, le donne costituiscono quasi interamente il
tipo part-time, i lavoratori maschi sono numericamente più numerosi, anche
percentualmente, tra i lavoratori flessibili ad alta intensità e tra i flessibili per
organizzazione delle prestazioni di lavoro. Data l'importanza della distinzione di
genere, in generale nel mercato del lavoro e specificamente sulle dimensioni della
flessibilità della prestazione, si cercherà, ove possibile, di rappresentarla
graficamente. Nelle tabelle contenenti i valori assoluti riportati all'universo di
riferimento e le percentuali marginali, al contrario, il genere è analizzato in modo
aggregato così da farle risultare sintetiche ma al tempo esaustive 61.
Tabella 3.9 - Flessibili della prestazione per età
età * Flessibili della prestazione Crosstabulation
Flessibili della prestazione
standard
15-24
25-34
65-75+
Total
Total
187014
177829
180509
1175070
% età
53,6%
15,9%
15,1%
15,4%
100,0%
2431453
561910
680283
633053
4306699
56,5%
13,0%
15,8%
14,7%
100,0%
3060079
792752
855564
830963
5539358
55,2%
14,3%
15,4%
15,0%
100,0%
2773405
512028
711258
613567
4610258
60,2%
11,1%
15,4%
13,3%
100,0%
1130185
165579
262992
187584
1746340
% età
64,7%
9,5%
15,1%
10,7%
100,0%
V.a.
40091
24773
17094
7288
89246
% età
44,9%
27,8%
19,2%
8,2%
100,0%
10064931
2244056
2705020
2452964
17466971
57,6%
12,8%
15,5%
14,0%
100,0%
V.a.
V.a.
V.a.
% età
55-64
f. organiz.
629718
% età
45-54
f. alta
intensità
V.a.
% età
35-44
part-time
V.a.
V.a.
% età
61
Quando presentate, le percentuali relative ai grafici disaggregati per genere consentono,
unitamente alla lettura dei valori assoluti, di risalire al numero esatto di lavoratori flessibili nei
diversi gruppi.
114
La tabella 3.9 mostra la ripartizione dei lavoratori flessibili della prestazione a
seconda dell'età. Ad esclusione dei lavoratori anziani 62 , lavoratori con più di
sessantacinque anni, si osserva una relazione tra anzianità e prestazioni di lavoro
non flessibile. Al contrario vi è una relazione inversa per i lavoratori di tipo parttime che si riducono proporzionalmente al crescere dell'età. I lavoratori flessibili
ad alta intensità lavorativa risultano il tipo di lavoratori flessibili meno
differenziato relativamente alla variabile età. Al contrario, i lavoratori flessibili
per organizzazione, pur in modo meno netto dei part-time, si riducono di numero
nelle fasce di età più avanzate.
Figura 3.15 - Flessibili della prestazione per età, uomini
Disaggregando il genere, confronto delle figure 3.15 e 3.16, viene confermata la
prevalenza di prestazioni part-time per le donne e la prevalenza di prestazioni ad
62
Questi sono i lavoratori in uscita dal mercato, o in tardiva uscita, e meriterebbero delle analisi
specifiche sulla relazione tra prestazione di lavoro e capacità conciliative di uscita graduale dal
mercato del lavoro.
115
alta intensità e prestazioni di flessibilità organizzativa per gli uomini. In
particolare, al crescere dell'età diminuiscono progressivamente le donne
impegnate in prestazioni flessibili per l'organizzazione. I giovanissimi, 15-24 anni
presentano, nel confronto tra generi, similarità maggiori di quanto avvenga
considerando le altre fasce di età. Infatti, pur essendo presente un'evidente
distinzione legata al part-time, i restanti due tipi di prestazioni flessibili della
prestazione sono in percentuale equiparabili.
Figura 3.16 - Flessibili della prestazione per età, donne
Per concludere, la ripartizione tra le classi di età mostra una presenza maggiore di
lavoratori part-time e di lavoratori flessibili per organizzazione sulle generazioni
più giovani. Questa relazione persiste anche considerando distintamente uomini e
donne. Diversamente, alla maturità anagrafica e quindi professionale, si associano
più frequentemente prestazioni ad alta intensità.
Analogamente si considera il titolo di studio, tabella 3.10. Si è ritenuto importante
analizzare la variabile titolo di studio previa ricodifica in quattro macro categorie,
116
corrispondenti ai quattro titoli di studio principali. La categoria "laurea triennale",
nonostante il ridotto numero di soggetti, circa cinquecentomila, viene considerata
separatamente così da permettere la verifica di eventuali differenze rispetto ai
lavoratori con titoli di studio più elevati. I lavoratori con titolo di laurea triennale,
data la recente creazione di tale titolo, sono sostanzialmente giovani che, come è
stato già mostrato, presentano una elevata flessibilità della prestazione, in
particolare di quella di tipo organizzativo.
Tabella 3.10 - Flessibili della prestazione per titolo di studio
titolo di studio * Flessibili della prestazione Crosstabulation
Flessibili della prestazione
standard part-time
f. alta
intensità
f.
organiz.
Total
licenza media o
inferiore
V.a.
licenza media
superiore
V.a.
% titolo di studio
58,4%
13,1%
14,7%
13,8%
100,0%
laurea triennale
V.a.
258591
71895
72282
124865
527633
% titolo di studio
49,0%
13,6%
13,7%
23,7%
100,0%
1515060
227341
412908
260700
2416009
62,7%
9,4%
17,1%
10,8%
100,0%
laurea
specialistica o
superiore
Total
% titolo di studio
V.a.
% titolo di studio
V.a.
% titolo di studio
3402216
843502
987412
912275
6145405
55,4%
13,7%
16,1%
14,8%
100,0%
1232417 1155124
8377926
4889066 1101319
10064933 2244057
57,6%
12,8%
2705019 2452964 17466973
15,5%
14,0%
100,0%
I lavoratori laureati triennali presentano un elevato grado di flessibilità della
prestazione. Solo un lavoratore su due è definito come lavoratore standard (49%).
Inoltre, a fare la differenza nella composizione di questi lavoratori è una diffusa
presenza di prestazioni di lavoro flessibile di tipo organizzativo. Questo dato
sembra legato prevalentemente alla presenza di giovani lavoratori, o giovani
studenti-lavoratori, che hanno occupazioni saltuarie o periodiche, ad esempio di
lavoro festivo nei call centre o nei supermercati; o in relazione a lavori notturni in
locali ricreativi.63
63
Uno studio specifico della relazione tra titolo di studio e flessibilità della prestazione di lavoro è
consigliabile e di sicuro interesse.
117
In relazione ai titoli di studio più diffusi, vi è una stabilità dei lavoratori standard
per gli uomini a fronte di un aumento del titolo di studio per le donne. In
particolare, i lavoratori di sesso maschile registrano una maggiore frequenza di
prestazioni ad alta intensità lavorativa in relazione ai titoli di studio più elevati e
una diminuzione di prestazioni flessibili dell'organizzazione.
Figura 3.17 - Flessibili della prestazione per titolo di studio, uomini
Rispetto a questi due tipi di flessibilità della prestazione, sulle lavoratrici si
osserva la medesima tendenza oltre ad una diminuzione considerevole della
presenza di prestazioni part-time per i titoli di studio superiori. Le donne laureate
garantiscono prestazioni più frequentemente standard e ad alta intensità oraria, ed
in modo minore, prestazioni di tipo part-time e ad alta flessibilità organizzativa.
118
Figura 3.18 - Flessibili della prestazione per titolo di studio, donne
La ripartizione territoriale dei flessibili della prestazione costituisce un ulteriore
elemento attraverso il quale descrivere i lavoratori italiani. Si ricordi che i dati
presentati si riferiscono alla sola forza occupata con forme di lavoro subordinato o
parasubordinato. Non sono quindi presenti gli imprenditori e gli altri lavoratori
aventi forme di impiego indipendente.
Da quanto emerge dalla tabella 3.11, il centro-nord è caratterizzato da una minor
presenza di prestazioni flessibili rispetto al sud e alle isole.
In particolare è il sud Italia che presenta un'incidenza percentuale maggiore di
prestazioni organizzate in modo flessibile, 16,3% a fronte dell'equivalente 12,9%
del nord-est.
Simile struttura è osservata rispetto ai lavoratori ad alta intensità: 16,6% al sud
contro 14,7% nel nord-est.
119
Tabella 3.11 - Flessibili della prestazione per titolo area geografica
ripartizione geografica in 5 classi * Flessibili della prestazione Crosstabulation
Flessibili della prestazione
standard
Nord
ovest
V.a.
Total
Total
779662
695661
5257886
58,6%
13,3%
14,8%
13,2%
100,0%
2295537
501163
569716
500499
3866915
59,4%
13,0%
14,7%
12,9%
100,0%
2080295
490890
587007
499373
3657565
56,9%
13,4%
16,0%
13,7%
100,0%
1762880
338030
521236
512492
3134638
% ripartizione
geografica in 5 classi
56,2%
10,8%
16,6%
16,3%
100,0%
V.a.
845307
212324
247398
244939
1549968
% ripartizione
geografica in 5 classi
54,5%
13,7%
16,0%
15,8%
100,0%
% ripartizione
geografica in 5 classi
V.a.
% ripartizione
geografica in 5 classi
Isole
f.
organiz.
701650
% ripartizione
geografica in 5 classi
Sud
f. alta
intensità
3080913
Nord est V.a.
Centro
part-time
V.a.
V.a.
% ripartizione
geografica in 5 classi
10064932 2244057
57,6%
12,8%
2705019 2452964 17466972
15,5%
14,0%
100,0%
In modo opposto si registrano le prestazioni di tipo part-time, ridotte al sud e più
diffuse nel centro-nord e nelle isole. Questi elementi risultano poco comprensibili
in prima istanza e individuano un terreno fertile per ulteriore ricerche.
La retorica diffusa che identifica i lavoratori del nord come lavoratori ad elevata
intensità, in contrasto con quelli del centro-sud, non solo non è confermata da
questi dati, ma viene del tutto disattesa rispetto ai lavoratori considerati.
Certamente, lo strumento proposto, ed in modo particolare le analisi qui condotte,
non consentono una comprensione esauriente della relazione tra la flessibilità
della prestazione e la ripartizione territoriale, ma permettono di produrre alcune
sollecitazioni analitiche.
La distinzione tra uomini e donne conferma ulteriormente quanto detto, figure
3.19 e 3.20.
120
Figura 3.19 - Flessibili della prestazione per area geografica, uomini
Figura 3.20 - Flessibili della prestazione per area geografica, donne
121
La tabella 3.12 esplora la ripartizione delle forme di flessibilità della prestazione
tra i cittadini nati in Italia e i cittadini nati all'estero. Più della metà dei lavoratori
di origine straniera realizza prestazioni di lavoro flessibili rispetto a circa il 42%
dei lavoratori nati in Italia. La distinzione percentualmente maggiore è legata alle
prestazioni part-time con una differenza di circa sei punti percentuale.
Tabella 3.12 - Flessibili della prestazione per cittadinanza
E' nato in Italia o all'estero? * Flessibili della prestazione Crosstabulation
Flessibili della prestazione
standard
In Italia
V.a.
% è nato
All'estero
V.a.
% è nato
Total
V.a.
% è nato
part-time
f. alta
intensità
f. organiz.
Total
9033136
1866783
2364185
2134074
15398178
58,7%
12,1%
15,4%
13,9%
100,0%
1031796
377273
340834
318890
2068793
49,9%
18,2%
16,5%
15,4%
100,0%
10064932
2244056
2705019
2452964
17466971
57,6%
12,8%
15,5%
14,0%
100,0%
Analizzando il dato disaggregato per genere, emergono interessanti differenze tra i
lavoratori italiani e quelli di origine straniera.
Figura 3.21 - Flessibili della prestazione per cittadinanza, uomini e donne
122
Infatti, i lavoratori nati all'estero non si discostano molto dai loro colleghi italiani.
Al contrario, è la componente femminile a fare la differenza rispetto al luogo di
nascita. Le donne straniere presentano un'incidenza minima delle prestazioni
standard, 36,04%, essendo per il 33,88% dei casi occupate in prestazioni di tipo
part-time. Altro dato rilevante è la presenza maggiore tra le donne straniere di
prestazioni flessibili per organizzazione 15,73% contro il relativo 9,61% delle
lavoratrici nate in Italia.
La posizione nella professione, tabella 3.13, descrive la relazione tra la flessibilità
della prestazione e la posizione professionale.
Tabella 3.13 - Flessibili della prestazione per posizione nella professione
Posizione nella professione dettagliata * Flessibili della prestazione Crosstabulation
Flessibili della prestazione
standard
Dirigente
part-time
f. alta
intensità
f. organiz.
Total
V.a.
224296
7157
121758
107702
460913
% professione
48,7%
1,6%
26,4%
23,4%
100,0%
V.a.
784153
52418
226554
132321
1195446
% professione
65,6%
4,4%
19,0%
11,1%
100,0%
4543805
874923
920619
929128
7268475
62,5%
12,0%
12,7%
12,8%
100,0%
4282717
1130294
1287636
1236870
7937517
% professione
54,0%
14,2%
16,2%
15,6%
100,0%
V.a.
144344
24221
25425
18151
212141
% professione
68,0%
11,4%
12,0%
8,6%
100,0%
Lavoratore presso il V.a.
proprio domicilio
% professione
per un'impresa
2638
2512
1603
681
7434
35,5%
33,8%
21,6%
9,2%
100,0%
V.a.
74675
103812
100134
17395
296016
% professione
25,2%
35,1%
33,8%
5,9%
100,0%
Prestazione di opera V.a.
occasionale
% professione
8303
48719
21290
10716
89028
9,3%
54,7%
23,9%
12,0%
100,0%
10064931
2244056
2705019
2452964
17466970
57,6%
12,8%
15,5%
14,0%
100,0%
Quadro
Impiegato
V.a.
% professione
Operaio
Apprendista
Collaborazione
coordinata e
continuativa
Total
V.a.
V.a.
% professione
123
Per le posizioni dirigenziali si osservano, come atteso, prestazioni part-time
estremamente ridotte percentualmente e prestazioni non flessibili limitate. Circa
un dirigente su quattro presenta prestazioni ad alta intensità lavorativa e per il
23,4% prestazioni di lavoro in giorni e orari non standard.
Operai ed impiegati rappresentano, in numeri assoluti, la maggioranza dei
lavoratori italiani dipendenti. I primi registrano, complessivamente, una maggiore
ricorrenza di prestazioni flessibili rispetto agli impiegati, ed in modo particolare
rispetto alle prestazioni di flessibilità organizzativa e ad alta intensità oraria.
La categoria dei quadri si posiziona, coerentemente alla propria natura
tecnocratica, in modo intermedio alle professioni dirigenziali e a quelle
impiegatizie.
Figura 3.22 - Flessibili della prestazione per posizione nella professione, uomini e donne
124
La distinzione di genere, figura 3.22, conferma le tendenze finora commentate e
permette di fare alcune precisazioni sui lavoratori parasubordinati. Le differenze
relative al genere sono notevolmente ridotte su questo gruppo. Esse evidenziano
quanto la natura del contratto sia determinante, specie in relazione a prestazioni di
tipo part-time.
Tabella 3.14 - Flessibili della prestazione per attività produttive
Ateco a 12 classi * Flessibili della prestazione Crosstabulation
Flessibili della prestazione
f. alta
standard part-time intensità
f.
organiz.
Total
Agricoltura, caccia e
pesca
V.a.
244087
35893
107591
24155
411726
% ateco
59,3%
8,7%
26,1%
5,9%
100,0%
Industria dell'energia
V.a.
120008
5771
25600
30428
181807
% ateco
66,0%
3,2%
14,1%
16,7%
100,0%
2767216
219079
520431
428637
3935363
Industria della
trasformazione
V.a.
% ateco
70,3%
5,6%
13,2%
10,9%
100,0%
Industria delle
costruzioni
V.a.
993838
61624
131580
22795
1209837
% ateco
82,1%
5,1%
10,9%
1,9%
100,0%
Commercio
V.a.
1040706
357047
483370
173289
2054412
% ateco
50,7%
17,4%
23,5%
8,4%
100,0%
V.a.
107251
181011
155449
348728
792439
% ateco
13,5%
22,8%
19,6%
44,0%
100,0%
Trasporti e
comunicazioni
V.a.
517613
62149
191951
277417
1049130
% ateco
49,3%
5,9%
18,3%
26,4%
100,0%
Intermediaz. monet. e
finanz.
V.a.
477690
67419
86521
10406
642036
% ateco
74,4%
10,5%
13,5%
1,6%
100,0%
Servizi alle imprese
V.a.
822782
367953
201621
127791
1520147
% ateco
54,1%
24,2%
13,3%
8,4%
100,0%
V.a.
818479
81698
197657
336931
1434765
% ateco
57,0%
5,7%
13,8%
23,5%
100,0%
Istruzione, sanità ed altri V.a.
servizi sociali
% ateco
1678846
357588
399132
521703
2957269
56,8%
12,1%
13,5%
17,6%
100,0%
V.a.
476416
446824
204118
150685
1278043
% ateco
37,3%
35,0%
16,0%
11,8%
100,0%
Alberghi e ristoranti
Pub. amm., difesa,
assicuraz. sociali
altri servizi pubblici,
sociali e alle persone
Total
V.a.
% ateco
10064932 2244056
57,6%
12,8%
2705021 2452965 17466974
15,5%
14,0%
100,0%
125
La ripartizione delle prestazioni flessibili sull'attività economica è presentata, in
modo completo, nella tabella 3.14. Il commento viene limitato al confronto dei tre
settori a maggior rilevanza in termini di presenza assoluta di lavoratori 64.
L'industria della trasformazione registra in termini percentuali una ridotta
occorrenza di prestazioni flessibili, circa il 30% totale, composte in prevalenza da
prestazioni ad alta intensità, 13,2% e da prestazioni di flessibilità organizzativa
10,9%. Le prestazioni di tipo part-time sono, in questo settore economico,
residuali. Diversa è la composizione delle prestazioni dei lavoratori del
commercio che, in relazione alla natura del proprio settore, vede un'incidenza
percentuale superiore del tipo part-time 17,4% e delle prestazioni ad elevata
intensità, 23,5%.
Il settore istruzione, sanità e servizi sociali presenta una distribuzione media delle
prestazioni di lavoro in termini di flessibilità, evidenziando la propria
l'eterogeneità interna.
Un'ulteriore prospettiva di analisi è offerta dalla professione, tabella 3.15. Il
confronto tra professioni intellettuali e professioni tecniche registra su queste
ultime una maggiore propensione verso prestazioni flessibili di tipo part-time e,
per contro, una ridotta presenza di prestazioni ad alta intensità e di prestazioni
flessibili per organizzazione.
Per i legislatori e i dirigenti continua a valere il commento già esposto.
Il confronto tra professioni qualificate e non qualificate mostra come su queste
ultime vi sia un minore impatto della flessibilità organizzativa e delle prestazioni
flessibili ad alta intensità oraria. Al contrario essi presentano una maggiore
ricorrenza del tipo standard ed una più alta incidenza di prestazioni di tipo parttime.
64
Nella tabella sono evidenziati in grigio.
126
Il confronto tra operai specializzati, inclusi gli artigiani, e operai semi-qualificati,
mostra una differenza percentualmente rilevante sia rispetto al tipo standard,
18,1%, che in relazione alla flessibilità organizzativa, 20,4%.
Tabella 3.15 - Flessibili della prestazione per professione
professione a 1 digit attività principale * Flessibili della prestazione Crosstabulation
Flessibili della prestazione
standard
Legislatori,
dirigenti e
imprenditori
V.a.
Professioni
intellettuali
V.a.
Professioni
tecniche
V.a.
Impiegati
V.a.
% attività
principale
% attività
principale
% attività
principale
% attività
principale
part-time
f. alta
intensità
f. organiz.
Total
191054
6819
104452
46408
348733
54,8%
2,0%
30,0%
13,3%
100,0%
1005721
138324
280566
192523
1617134
62,2%
8,6%
17,3%
11,9%
100,0%
2466826
394120
519200
407366
3787512
65,1%
10,4%
13,7%
10,8%
100,0%
1676842
390849
248606
148189
2464486
68,0%
15,9%
10,1%
6,0%
100,0%
728831
519480
545537
746076
2539924
28,7%
20,5%
21,5%
29,4%
100,0%
2084242
196977
381037
192113
2854369
73,0%
6,9%
13,3%
6,7%
100,0%
906759
55588
267434
418512
1648293
55,0%
3,4%
16,2%
25,4%
100,0%
914954
541731
323739
175582
1956006
Professioni
qualificate
V.a.
Artigiani, operai
specializzati e
agricoltori
V.a.
Conduttori
impianti/operai
semiqual.
V.a.
Professioni non
qualificate
V.a.
% attività
principale
46,8%
27,7%
16,6%
9,0%
100,0%
Forze armate
V.a.
89705
169
34449
126195
250518
% t attività
principale
35,8%
,1%
13,8%
50,4%
100,0%
10064934
2244057
2705020
2452964
17466975
57,6%
12,8%
15,5%
14,0%
100,0%
Total
% attività
principale
% attività
principale
% attività
principale
V.a.
% attività
principale
Il dato sulle forze armate descrive una categoria di lavoratori che opera con
prestazioni decisamente flessibili per organizzazione. Più di un lavoratore su due è
incluso in questo tipo di flessibilità della prestazione. Per concludere, la figura
127
3.23 permette di comprendere graficamente la eterogeneità delle prestazioni a
seconda delle professioni tenendo conto del genere.
Figura 3.23 - Flessibili della prestazione per professione disaggregato per genere
Per quanto riguarda il reddito, vi è l'attesa di vedere maggiori i salari per gli
occupati che sperimentano prestazioni flessibili per organizzazione o ad alta
intensità oraria. Al contrario sono attesi salari proporzionalmente ridotti per i
lavoratori di tipo part-time, ovvero a bassa intensità oraria.
La tabella 3.16, e meglio ancora il grafico 3.24, mostrano una parziale conferma
di quanto immaginato.
Dalla distinzione tra generi emerge tuttavia, che la presenza di prestazioni di tipo
part-time sia associata a salari minori per entrambi i sessi ma che, in relazione alle
lavoratrici, ciò possa valere anche in relazione a salari maggiori.
Inoltre è particolarmente ridotta la percentuale di donne di tipo standard a cui è
associato un salario minore di seicento euro netti mensili.
128
Tabella 3.16 - Flessibili della prestazione per reddito
reddito * Flessibili della prestazione Crosstabulation
Flessibili della prestazione
standard
fino a 600 euro V.a.
part-time
f. alta
intensità
f. organiz.
Total
445339
967850
123338
137144
1673671
26,6%
57,8%
7,4%
8,2%
100,0%
2135272
866884
544532
452976
3999664
% reddito
53,4%
21,7%
13,6%
11,3%
100,0%
da 1001 a 1300 V.a.
euro
% reddito
3723270
176465
868070
759949
5527754
67,4%
3,2%
15,7%
13,7%
100,0%
da 1301 a 1800 V.a.
euro
% reddito
2714840
67955
682766
761503
4227064
64,2%
1,6%
16,2%
18,0%
100,0%
da 1801 a 2500 V.a.
euro
% reddito
750730
10481
250722
208124
1220057
61,5%
,9%
20,6%
17,1%
100,0%
da 2501 a
3000+ euro
212502
1891
114166
105157
433716
% reddito
da 601 a 1000
euro
Total
V.a.
V.a.
% reddito
V.a.
% reddito
49,0%
,4%
26,3%
24,2%
100,0%
9981953
2091526
2583594
2424853
17081926
58,4%
12,2%
15,1%
14,2%
100,0%
Figura 3.24 - Flessibili della prestazione per reddito, uomini e donne
129
Il salario medio associato ai tipi di prestazione flessibile è presentato nella figura
3.25. La relazione esaminata è tra il salario medio e il tipo di flessibilità della
prestazione. Il grafico non permette di fare un raffronto dei salari medi tra i generi
poiché non tiene conto delle variabili intervenienti.
A livello descrittivo si osservi che, mentre il salario medio dei lavoratori di sesso
maschile è maggiore di circa cento euro per i lavoratori flessibili per
organizzazione e per quelli ad alta intensità oraria, la stessa cosa non si verifica
per le colleghe donne. Mediamente le donne di tipo standard sono pagate di più
delle colleghe flessibili.
Figura 3.25 - Flessibili della prestazione per reddito, media per genere della retribuzione netta mensile
A conclusione della descrizione dei lavoratori flessibili della prestazione presenti
nel mercato del lavoro italiano nel 2009 viene analizzata la diversa composizione
dei flessibili sulla durata contrattuale. Quest'ultima analisi permetterà di
130
rispondere sul merito della relazione tra flessibilità dell'occupazione e flessibilità
della prestazione. Le due facce della flessibilità sono associate tra loro?
In primo luogo, si osservi il dato descrittivo della tabella 3.17 .
Tabella 3.17 - Flessibili della prestazione per flessibilità dell'occupazione
Contratti indeterminati e a termine * Flessibili della prestazione Crosstabulation
Flessibili della prestazione
standard
Tempo
indeterminato
V.a
A termine
V.a
% durata
% durata
Total
V.a
% durata
part-time
f. alta
intensità
f. organiz.
Total
8969920
1733524
2306751
2137882
15148077
59,2%
11,4%
15,2%
14,1%
100,0%
1095012
510533
398268
315082
2318895
47,2%
22,0%
17,2%
13,6%
100,0%
10064932
2244057
2705019
2452964
17466972
57,6%
12,8%
15,5%
14,0%
100,0%
I lavoratori flessibili a termine presentano un'incidenza minore di prestazioni di
tipo standard di 12 punti percentuali: rispettivamente 47,2% e 59,2%. I flessibili
di tipo part-time sono l'11,4% dei lavoratori a tempo indeterminato contro il 22%
dei lavoratori con contratti a termine. Stessa tendenza vale anche per i lavoratori
ad alta intensità che sono proporzionalmente più numerosi tra i lavoratori a
termine, 17,2% contro il 15,2% dei lavoratori a tempo indeterminato. L'unica
eccezione è, considerando in modo aggregato il genere, relativa alle prestazioni
flessibili per organizzazione. Esse registrano un'incidenza maggiore , seppur lieve,
tra i lavoratori a tempo indeterminato.
In generale, considerando in modo aggregato uomini e donne, i lavoratori a tempo
indeterminato si differenziano dai lavoratori flessibili per l'occupazione in ragione
di una minore occorrenza di prestazioni di tipo part-time ed di prestazioni alta
intensità. Inoltre sono caratterizzati per una maggiore presenza di prestazioni non
flessibili.
In relazione alla distinzione di genere, sono due le osservazioni: la prima riguarda
l'incidenza dei contratti a termine, che è maggiore per le donne. La seconda, è una
diversa relazione tra i generi nell'associazione tra i due tipi di flessibilità, figura
131
3.26 . Come si può vedere, mentre la percentuale di donne di tipo part-time con
contratti a termine è alta ma in linea con gli altri tipi di flessibilità della
prestazione, la percentuale relativa agli uomini è, anche visivamente, molto
maggiore, 34,54% .
Gli elementi descrittivi commentati sembrano indicare la presenza di una
relazione tra le flessibilità del lavoro, di cui sarà necessario verificarne la
significatività statistica.
Figura 3.26 - Flessibili dell'occupazione nei tipi di flessibilità della prestazione disaggregati per genere
A completamento descrittivo della relazione in esame si osservi della tabella 3.18,
e figura 3,27 attraverso cui si descrive la durata contrattuale a seconda
all'appartenenza ai diversi tipi di lavoratori flessibili per la prestazione.
132
Tabella 3.18 - Flessibili della prestazione per durata del contratto
Durata del contratto * Flessibili della prestazione Crosstabulation
Flessibili della prestazione
standard
Da 0 a 2 mesi
Da 3 a 4 mesi
Da 5 a 6 mesi
Da 7 a 11 mesi
Da 12 a 18 mesi
Da 19 a 36 mesi
Da 37 a 120 mesi
f. alta
intensità
f. organiz.
Total
V.a.
77606
59405
32722
34443
204176
% durata
38,0%
29,1%
16,0%
16,9%
100,0%
V.a.
117599
64598
52453
53878
288528
% durata
40,8%
22,4%
18,2%
18,7%
100,0%
V.a.
168924
79605
74556
62375
385460
% durata
43,8%
20,7%
19,3%
16,2%
100,0%
V.a.
135426
93862
46773
32455
308516
% durata
43,9%
30,4%
15,2%
10,5%
100,0%
V.a.
318879
145110
117508
74035
655532
% durata
48,6%
22,1%
17,9%
11,3%
100,0%
V.a.
150571
39725
41648
33682
265626
% durata
56,7%
15,0%
15,7%
12,7%
100,0%
V.a.
126009
28228
32607
24215
211059
% durata
Total
part-time
V.a.
% durata
59,7%
13,4%
15,4%
11,5%
100,0%
1095014
510533
398267
315083
2318897
47,2%
22,0%
17,2%
13,6%
100,0%
Le frequenza di prestazioni di tipo standard varia in modo considerevole a
seconda del numero di mesi di lavoro pattuiti per contratto. Infatti, mentre per il
lavoro a breve e brevissima durata il tipo standard è rappresentativo di circa il
40% dei lavoratori, per i contratti che superano l'anno e mezzo di lavoro, esso
supera ampiamente il 55%.
Una netta tendenza si verifica anche in relazione alle prestazioni flessibili per
organizzazione e di tipo part-time, le cui frequenze si riducono costantemente in
ordine alla maggior durata contrattuale.
La frequenza dei lavoratori soggetti a prestazioni di lavoro ad alta intensità non
sembra offrire chiavi di lettura altrettanto nette.
133
Figura 3.27 - Flessibili della prestazione per durata contrattuale disaggregati per genere
In considerazione alle caratteristiche del mercato del lavoro, ed in particolare del
dataset utilizzato, non si è ritenuta metodologicamente affidabile la verifica della
relazione tra flessibilità della prestazione e flessibilità della condizione attraverso
il solo uso della distinzione di genere.
L'enorme numero di casi su cui testare la significatività della relazione ha effeti
noti sul test del chi2 e su tutti i test di associazione da esso derivati. Si è pertanto
ritenuto indispensabile, sia per una maggiore correttezza analitica sia in ragione
dell'affidabilità degli strumenti di analisi, procedere con l'utilizzo della regressione
logistica binomiale65.
Il modello di regressione è quindi usato in termini di verifica causale e non a fini
predittivi. La variabile dipendente corrisponde alla tipologia di flessibilità della
prestazione. La variabile indipendente "Durata del contratto", a due modalità,
65
All'interno dell'appendice sono messi a disposizione gli output di SPSS per il modello di
regressione.
134
rappresenta la variabile indipendente. Le variabili del genere, del luogo di nascita,
del titolo di studio e dell'età, sono inserite nel modello con funzione di variabili i
controllo.
Tabella 3.19 - Regressione logistica multinomiale, la relazione tra flessibilità della prestazione e flessibilità
dell'occupazione, controllata per genere, luogo di nascita, titolo di studio ed età.
PART-TIME rispetto a STANDARD
Intercept
Dura ta del contra tto
T.indeterminato
A termine
Genere
Uomini
Donne
Nati in Italia
Na scita
Titolo di studio
Nati all'estero
Fino a medie inferiori
B
Std. Error
1,349
,089
-,796
,021
b
0
-2,091
0b
-,395
0b
,962
Sig.
,000
,000
Exp(B)
,451
.
.
.
,019
,000
,124
.
.
.
,024
,000
,674
.
.
.
,027
,000
2,616
Diploma superiore
,605
,026
,000
1,831
Laurea triennale
,386
,050
,000
1,471
0b
-1,662
.
.
.
15-24 anni
,087
,000
,190
25-34 anni
-1,682
,084
,000
,186
35-44 anni
-1,514
,083
,000
,220
45-54 anni
-1,903
,084
,000
,149
55-64 anni
-2,060
,086
,000
,127
65-75 +
0b
.
.
.
ALTA INTENSITA ORARIA rispetto a STANDARD
B
Std. Error
Intercept
-,511
,093
Dura ta del contra tto
T.indeterminato
-,345
,021
0b
A termine
.
Sig.
,000
,000
.
Laurea specialistica
Età
Genere
Uomini
Titolo di studio
,015
,000
1,150
0b
.
.
.
Nati in Italia
-,211
,023
,000
,810
Nati all'estero
0b
.
.
.
Fino a medie inferiori
Diploma superiore
Laurea triennale
Laurea specialistica
Età
,708
.
,140
Donne
Na scita
Exp(B)
15-24 anni
25-34 anni
35-44 anni
45-54 anni
55-64 anni
65-75 +
,039
,022
,071
1,040
-,085
,021
,000
,919
,024
,047
,603
1,025
0b
.
.
.
-,435
-,353
-,339
-,419
-,509
,092
,089
,088
,088
,090
.
,000
,000
,000
,000
,000
.
,647
,702
,712
,658
,601
.
0b
SEGUE
135
F. ORGANIZZAZIONE rispetto a STANDARD
B
Std. Error
Intercept
-1,691
,118
Dura ta del contra tto
T.indeterminato
-,171
,023
0b
A termine
.
Uomini
,317
,015
Genere
0b
Donne
.
Nati in Italia
-,253
,023
Na scita
0b
Nati all'estero
.
Titolo di studio
Fino a medie inferiori
,355
,025
Diploma superiore
,258
,024
Laurea triennale
1,052
,041
0b
Laurea specialistica
.
Età
15-24 anni
,196
,117
25-34 anni
,182
,115
35-44 anni
,319
,114
45-54 anni
,087
,114
55-64 anni
-,193
,116
0b
65-75 +
.
Sig.
,000
,000
.
,000
.
,000
.
,000
,000
,000
.
,093
,111
,005
,447
,096
.
Exp(B)
,843
.
1,373
.
,777
.
1,427
1,294
2,862
.
1,217
1,200
1,375
1,091
,824
.
Nota: la variabile dipendente "tipologia della flessibilità della prestazione" ha come riferimento la categoria
standard. La lettera b indica che il parametro è posto a 0 per evitare effetti di ridondanza. L'R2 di Nagelkerke
indica che il modello di regressione spiega il 13,7% della varianza. Il calcoli sono stati realizzati su 173531
casi. L'indice di bontà dell'adattamento di Pearson è significativo con P-value=0,000.
L'ipotesi causale della durata contrattuale sulla flessibilità della prestazione di
lavoro viene confermata su tutti e tre i tipi di flessibilità. Infatti, mantenendo
costanti le variabili di controllo, vi è una probabilità minore, beta -0,796 per i
lavoratori di tipo part-time di avere contratti a tempo indeterminato rispetto ai
lavoratori di tipo standard. Per i lavoratori ad alta intensità vi è una probabilità
minore di avere contratti a tempo indeterminato, beta -0,511, rispetto ai lavoratori
standard. Analoga condizione è appurata per i lavoratori flessibili per
organizzazione della prestazione, beta -0,171.
E' dunque verificata la relazione positiva tra flessibilità della condizione e
flessibilità della prestazione. In merito alla direzione causale è necessario un
commento. La flessibilità della prestazione non è necessariamente da considerare
come variabile dipendente. Infatti rimane da esplorare la relazione di causalità tra
i due tipi di flessibilità. L'intenzione dell'analisi effettuata è da considerarsi in
relazione alla sola verifica della relazione tra le due flessibilità in termini di
associazione positiva.
136
Conclusioni
Il lavoro di tesi è stato condotto alla luce di alcune sollecitazioni teoriche relative
allo studio della flessibilità del lavoro. Innanzitutto si è ritenuto interessante
indagare il fenomeno della prestazione di lavoro, quale elemento centrale per
l’organizzazione della vita quotidiana dei lavoratori e delle loro famiglie. Con
prestazione di lavoro si è inteso l'insieme di quelle caratteristiche che regolano le
modalità temporali di svolgimento dell’attività lavorativa. Il focus dell’analisi è
stato quindi posto sulle prestazioni flessibili di lavoro in relazione alle pratiche
effettivamente osservate nel corso delle attività dei lavoratori.
Da un punto di vista teorico, le ricerche prodotte negli ultimi anni sulla
flessibilità, si sono soffermate prevalentemente su quella che è stata definita la
flessibilità dell'occupazione, ovvero le atipicità legate a forme contrattuali diverse
dal contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato. Gli studi delle pratiche
della flessibilità della prestazione si sono spesso limitati all'analisi delle
prestazioni part-time o degli orari del lavoro. Elemento centrale dell'analisi svolta
è stata l’esplorazione approfondita del tema della flessibilità della prestazione,
complessivamente intesa, ovvero analizzando le diverse forme in cui si articolano
le prestazioni di lavoro flessibili, così da comprendere la natura e le forme che
assumono nel mercato del lavoro italiano. La domanda cognitiva ha quindi
riguardato la natura e le forme di flessibilità della
prestazione di lavoro. A
completamento dello studio sulla flessibilità della prestazione si è proceduto alla
verifica della relazione tra la questo tipo di flessibilità e la flessibilità
dell'occupazione. Il dataset Istat della rilevazione delle forze di lavoro 2009 ha
consentito di realizzare le analisi necessarie per rispondere agli interrogativi posti.
Da un punto di vista metodologico, la realizzazione di un'indagine coerente a
questi presupposti, ha richiesto un approccio metodologico specifico. Per poter
descrivere la flessibilità della prestazione si è dovuto procedere innanzitutto alla
137
definizione di una tipologia che rappresentasse i diversi tipi di lavoratori
caratterizzati da elementi di flessibilità della prestazione. Per la definizione della
tipologia si è ritenuto più appropriato procedere secondo il metodo induttivo,
persons oriented, piuttosto che per mezzo del metodo deduttivo, theory oriented.
Il migliore strumento statistico individuato a tale scopo è a latent class analysis.
L'analisi delle classi latenti (LCA), è un metodo statistico di analisi della struttura
latente che permette di individuare dei gruppi omogenei di casi, le classi latenti, a
partire dalla sequenza delle osservazioni di tipo qualitativo, ovvero inserendo
come variabili manifeste variabili di scala nominale. Il metodo individuato non è
molto diffuso in Italia ma presenta interessanti applicazioni nella definizione di
tipologie esplorative di tipo empirico. Il software statistico utilizzato per l'analisi
delle classi latenti è il pacchetto poLCA dell'applicativo R. Entrando nel merito
dell'analisi, le variabili manifeste sono state ricodificate in modo da consentire
l'operativizzazione delle dimensione della flessibilità. La ricodifica è avvenuta in
accordo con la necessità di individuare, per ogni singola variabile manifesta legata
alla prestazione di lavoro, la dimensione standard e la dimensione flessibile. Le
operazioni di ricodifica delle variabili manifeste e le analisi sul mercato del lavoro
italiano sono state realizzate con SPSS.
Teoricamente, la flessibilità della prestazione di lavoro è stata definita, nel suo
insieme, per contrasto con la definizione di lavoratore standard. E' prestazione
standard, o prestazione di lavoro non flessibile, quella prestazione che presenta:
un monte orario full-time, con orario di lavoro costante, compreso tra trentasei e
quaranta ore settimanali, non serale o notturno, non festivo o di sabato, esente da
turni di lavoro. In relazione alla presenza di proprietà non rilevabili, o non
rilevate, dall’ISTAT su una parte degli occupati italiani, l'intera analisi del lavoro
è stata realizzata sui soli lavoratori subordinati e parasubordinati italiani.
L'analisi ha portato alla definizione di una tipologia costituita da quattro tipi di
lavoratori che sono stati successivamente identificati secondo le caratteristiche di
presenza o assenza dei tratti tipici della prestazione standard. Il numero delle
classi latenti è stato definito in relazione alle indicazioni offerte dagli indicatori
138
statistici del modello e, in modo particolare, in relazione alle dimensioni di
parsimonia ed indicazione che i modelli, a diverso numero di classi latenti,
presentavano. Le classi latenti sono successivamente state etichettate in modo da
consentirne l'utilizzo analitico.
I quattro tipi della tipologia sono: il tipo standard, o tipo non flessibile, che
identifica i soggetti con un probabilità elevata di non presentare nessuno dei
caratteri definiti come flessibili; il tipo part-time, caratterizzato in modo flessibile
per la probabilità di essere contrattualmente part-time ed avere un monte orario
ridotto; il tipo ad alta intensità lavorativa che, in modo opposto al tipo part-time,
presenta un'alta probabilità di avere prestazioni caratterizzate da un elevato monte
orario, da un'alta probabilità di lavoro straordinario e da picchi positivi di
flessibilità oraria infrasettimanale; il tipo flessibile per organizzazione,
caratterizzato da alte probabilità di lavoro serale, notturno, di sabato, festivo e su
turni. La tipologia così definita, identifica tre tipi di lavoratori flessibili per
prestazione ed un tipo di lavoratore non flessibile.
In particolare sono state individuate due dimensioni responsabili della
diversificazione della flessibilità della prestazione. La prima è l'intensità della
prestazione di lavoro, bassa od alta, che corrisponde rispettivamente ai lavoratori
di tipo flessibile part-time e a quelli di tipo flessibile ad alta intensità. La seconda
dimensione è l'organizzazione dei giorni e degli orari di lavoro, responsabile della
139
classificazione dei lavoratori di tipo flessibile per organizzazione del tempo di
lavoro.
A seguito dell'assegnazione modale delle classi sugli individui, è stata costruita
una variabile a quattro modalità, su cui poter effettuare l'analisi descrittiva del
mercato del lavoro italiano. Le statistiche descrittive sono state riportate
all'universo della popolazione occupata, subordinata e parasubordinata, così da
pervenire ad una verifica puntuale della composizione del mercato del lavoro
italiano.
Il numero di lavoratori italiani flessibili per la prestazione è 7.402.040,
corrispondente al 42,4% del totale dei lavoratori subordinati e parasubordinati. Il
numero di lavoratori flessibili di tipo part-time è 2.244.056, 12,8% del totale; i
lavoratori flessibili ad alta intensità sono 2.705019, 15,5% del totale, mentre i
lavoratori flessibili per l'organizzazione della prestazione sono 2.452.964, 14% del
totale. Su un totale di 17466972 occupati, i lavoratori non flessibili per la
prestazione sono 10.064.932, corrispondenti al 57,6% del totale degli occupati
subordinati e parasubordinati italiani.
La presenza di prestazioni di tipo part-time è prevalente tra le donne ed è un tipo
di prestazione proporzionalmente più frequente tra lavoratori giovani e
giovanissimi (14-34 anni), per i soggetti con titolo di studio non superiore,
distribuiti territorialmente in modo omogeneo (escluso il sud, dove la presenza è
minore) e nati all'estero.
I lavoratori ad alta intensità sono proporzionalmente più frequenti tra gli uomini;
con una lieve prevalenza tra i lavoratori anziani (più di 65 anni), con titoli di
studio di licenza media inferiore o di laurea superiore, del centro-sud Italia e con
lieve prevalenza dei nati all'estero.
I
lavoratori
flessibili
per
l'organizzazione
della
prestazione
sono
proporzionalmente più frequenti tra gli uomini, i giovani (vi è una tendenza di
riduzione proporzionale di questo tipo di prestazioni al crescere dell'età), con
140
titolo di studio non elevato (in particolare laureati triennali) e con lieve prevalenza
dei nati all'estero.
Infine, i lavoratori non flessibili per la prestazione di lavoro sono
proporzionalmente in prevalenza uomini, più frequentemente maturi (45-64 anni)
ma non anziani (oltre i 65 anni), con titolo di studio di licenza superiore oppure
laureati superiori, del nord-est Italia e prevalentemente italiani di nascita.
La distinzione delle prestazioni di lavoro rispetto alla posizione nella professione
dettagliata (variabile Istat porpro), evidenzia una prevalenza di prestazioni
flessibili tra i dirigenti tra i collaboratori e tra le prestazioni d'opera occasionali.
Tra le posizioni professionali numericamente prevalenti, quadri, impiegati e
operai, nel primo gruppo sono più frequenti i non flessibili e i flessibili ad alta
intensità lavorativa; tra gli impiegati non vi sono differenze rilevanti nella
frequenza dei diversi tipi di flessibilità; lo stesso vale per gli operai che registrano
una maggiore incidenza di prestazioni flessibili di lavoro.
I settori economici risultano determinanti nella configurazione delle prestazioni
dei lavori a cui si riferiscono, variabile ateco12 nel dataset Istat. I lavoratori non
flessibili sono molto presenti nell'industria delle costruzioni (82,1%). I lavoratori
di tipo part-time sono particolarmente presenti nel settore alberghiero e della
ristorazione; nei servizi alle imprese e nei servizi pubblici sociali e di cura della
persona. I lavoratori con prestazioni ad alta intensità sono maggiormente presenti
tra gli occupati dell'agricoltura ed i commercianti. I lavoratori flessibili per
organizzazione sono particolarmente numerosi nel settore alberghiero e della
ristorazione; nel settore dei trasporti e nelle telecomunicazioni; nella pubblica
amministrazione in relazione al settore difesa e ai corpi di pubblica sicurezza e
controllo. La pubblica amministrazione, pur non considerando le forze armate,
non presenta un'incidenza di prestazioni di lavoro standard superiori alla media
degli altri settori economici.
Analizzando la distribuzione delle prestazioni di lavoro flessibili nella
professione, prof1 in Istat, emergono ulteriori indicazioni. Alcune professioni
141
presentano una frequenza preponderante di prestazioni flessibili: prestazioni di
tipo part-time sono molto frequenti, rispetto alla norma e solo in relazione alle
donne, nelle professioni non qualificate; le prestazioni ad alta intensità lo sono per
i
dirigenti e per le professioni qualificate; le prestazioni flessibili per
organizzazione rappresentano, come detto, oltre la metà delle prestazioni delle
forze armate e sono più frequenti sia nelle professioni qualificate che tra gli operai
semi-qualificati.
Infine, la descrizione dei lavoratori caratterizzati da forme flessibili della
prestazione di lavoro si è conclusa con la verifica della distribuzione dei redditi e
la quantificazione del reddito medio tra i tipi. La dimensione del reddito è stata
controllata in relazione al genere. Alle prestazioni di tipo part-time si associano
generalmente redditi inferiori sia per gli uomini che per le donne. Ai lavoratori ad
alta intensità si associano per gli uomini redditi più alti dei colleghi non flessibili,
per le donne redditi simili a quelli delle colleghe standard. In relazione agli
occupati flessibili per organizzazione della prestazione, si associano redditi alti
per gli uomini e redditi simili al tipo non flessibile per le donne.
Complessivamente la distribuzione dei redditi mostra che, ad esclusione del tipo
part-time che non presenta differenze di genere, per gli uomini le prestazioni di
lavoro flessibili corrispondono a salari proporzionalmente maggiori, mentre per le
lavoratrici a prestazioni di lavoro flessibili non si associa un aumento medio degli
stipendi.
Per concludere è stata analizzata la relazione tra la flessibilità della prestazione e
la flessibilità dell'occupazione al fine di verificare se i due tipi di flessibilità
fossero, o meno, collegati e quale fosse la natura della loro relazione. A questo
scopo si è reso necessario l'utilizzo della regressione logistica multinomiale,
effettuata in relazione alla verifica causale della relazione. Nella regressione sono
state inserite con funzione di controllo alcune variabili socio-demografiche, tra
cui: il sesso, l'età, il titolo di studio e il luogo di nascita. La relazione tra la
flessibilità
dell'occupazione
e
la
flessibilità
della
prestazione
risulta
142
statisticamente significativa ed associa positivamente la condizione di lavoratore a
termine a tutte le modalità che indicano prestazioni flessibili di lavoro.
Concludendo, l'analisi delle prestazioni di lavoro, condotta per mezzo dell'analisi
delle classi latenti, ha permesso di definire una tipologia della prestazione di
lavoro, capace di descrivere sinteticamente la flessibilità dei tempi di lavoro nel
mercato del lavoro italiano del 2009. In prospettiva, a fronte di ripetute future
analisi, sarà possibile sia consolidare la tipologia, sia, a seguito di eventuali
cambiamenti del mercato, modificare il numero o la connotazione delle categorie
stesse. In relazione ad un mercato del lavoro fortemente segnato dalla recente
recessione economica mondiale, non è possibile prevedere quali saranno gli
sviluppi della tipologia così definita. Proprio per questa ragione è rassicurante la
metodologia utilizzata. Infatti, il punto di forza dell'analisi delle classi latenti è
proprio la capacità di far aderire descrizione empirica e strumento analitico.
La definizione della tipologia della prestazione di lavoro e lo strumento utilizzato,
quindi consentono di rappresentare le forme assunte della prestazione di lavoro e
di attuare un monitoraggio delle evoluzioni del mercato del lavoro italiano.
143
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161
Appendice
Indice dell'appendice:
Allegato 1
La sezione C del questionario della Rilevazione delle forze di lavoro
Istat 2009.
Allegato 2
L'output del modello a quattro classi latenti di poLCA .
Allegato 3
Tavole di contingenza delle variabili manifeste utilizzate per la
costruzione dei modelli a classi latenti e la tipologia a quattro classi
latenti.
Allegato 4
L'output di SPSS della regressione logistica multinomiale
162
Allegato 1
163
164
165
166
167
168
169
170
171
172
173
Allegato 2
R Console
> polca$attempts
[1] -669995.5 -669995.5 -670718.8 -669995.5 -669995.5 -670975.8 -672970.9 -669995.5 -669995.5 -670993.0
[11] -670996.3 -669995.5 -695344.9 -670976.3 -669995.5 -697583.3 -669995.5 -670718.8 -670975.8 -670975.8
[21] -670975.8 -670718.8 -669995.5 -669995.5 -670993.0 -670720.4 -670718.8 -670993.0 -669995.5 -669995.5
[31] -669995.5 -670718.8 -669995.5 -669995.5 -669995.5 -670718.8 -670718.8 -669995.5 -669995.5 -693004.1
[41] -670718.8 -669995.5 -670993.0 -670996.3 -669995.5 -672970.9 -669995.5 -670718.8 -670976.3 -670995.0
[51] -669995.5 -669995.5 -669995.5 -670718.8 -670993.0 -669995.5 -694058.1 -669995.5 -670993.0 -669995.5
[61] -670719.2 -669995.5 -669995.5 -669995.5 -670993.0 -670975.8 -672970.9 -670975.8 -669995.5 -670718.8
[71] -672970.9 -670993.0 -672970.9 -669995.5 -669995.5 -670975.8 -670993.0 -669995.5 -670996.3 -669995.5
[81] -672970.9 -670993.0 -669995.5 -670975.8 -669995.5 -670993.0 -670718.8 -670996.3 -670718.8 -669995.5
[91] -669995.5 -670718.8 -669995.5 -669995.5 -670975.8 -669995.5 -670975.8 -670718.8 -670975.8 -669995.5
> POLCA
Conditional item response (column) probabilities, by outcome variable, for each class (row)
$c28new
Pr(1) Pr(2) Pr(3)
class 1: 0.9960 0.0006 0.0035
class 2: 0.0974 0.4357 0.4668
class 3: 0.9989 0.0007 0.0005
class 4: 0.9225 0.0290 0.0485
$c31new
Pr(1) Pr(2) Pr(3) Pr(4) Pr(5) Pr(6)
class 1: 0.0000 0.0635 0.0463 0.5988 0.2688 0.0227
class 2: 0.1745 0.6095 0.1991 0.0006 0.0000 0.0163
class 3: 0.0019 0.0729 0.0451 0.8266 0.0474 0.0061
class 4: 0.0099 0.0579 0.0578 0.7034 0.1506 0.0204
$c34new
Pr(1) Pr(2) Pr(3)
class 1: 0.8741 0.0099 0.1160
class 2: 0.9588 0.0211 0.0201
class 3: 0.9574 0.0426 0.0000
class 4: 0.9291 0.0238 0.0472
174
$c35new
Pr(1) Pr(2)
class 1: 0.2434 0.7566
class 2: 0.0938 0.9062
class 3: 0.0182 0.9818
class 4: 0.1079 0.8921
$c42new
Pr(1) Pr(2)
class 1: 0.8523 0.1477
class 2: 0.9418 0.0582
class 3: 0.9856 0.0144
class 4: 0.0779 0.9221
$c43new
Pr(1) Pr(2)
class 1: 0.9837 0.0163
class 2: 0.9938 0.0062
class 3: 0.9976 0.0024
class 4: 0.2716 0.7284
$c44new
Pr(1) Pr(2)
class 1: 0.3190 0.6810
class 2: 0.6502 0.3498
class 3: 0.8447 0.1553
class 4: 0.1175 0.8825R Console Page 2
$c45new
Pr(1) Pr(2)
class 1: 0.7781 0.2219
class 2: 0.8909 0.1091
class 3: 1.0000 0.0000
class 4: 0.2250 0.7750
$c47new2
Pr(1) Pr(2)
class 1: 0.8238 0.1762
class 2: 0.8991 0.1009
class 3: 0.9741 0.0259
class 4: 0.2699 0.7301
175
$c48new
Pr(1) Pr(2)
class 1: 0.9680 0.0320
class 2: 0.9802 0.0198
class 3: 0.9919 0.0081
class 4: 0.9712 0.0288
Estimated class population shares
0.2001 0.1418 0.5141 0.144
Predicted class memberships (by modal posterior prob.)
0.1524 0.1316 0.5765 0.1396
=========================================================
Fit for 4 latent classes:
=========================================================
number of observations: 173531
number of estimated parameters: 67
residual degrees of freedom: 6844
maximum log-likelihood: -669995.5
AIC(4): 1340125
BIC(4): 1340799
G^2(4): 68646.29 (Likelihood ratio/deviance statistic)
X^2(4): 249661.4 (Chi-square goodness of fit)
176
Allegato 3
Motivo del part-time * tipologia 4 Crosstabulation
% tipologia 4
tipologia 4
motivo del
part-time
partstandard time
f. alta
intensità f. organiz.
Total
full-time
99,9%
2,4%
99,6%
92,2%
85,9%
non vuole fulltime
,1%
46,9% ,0%
3,1%
6,6%
ha trovato solo
part-time
,0%
50,6% ,4%
4,8%
7,4%
Total
100,0% 100,0% 100,0% 100,0%
100,0%
Orario di lavoro settimanale * tipologia 4 Crosstabulation
% tipologia 4
tipologia 4
partstandard time
Orario di lavoro
settimanale
f. organiz. Total
da 1 a 15
ore
,0%
19,5%
1,0%
2,7%
da 16 a 25
ore
8,9%
59,3% 4,7%
5,9%
14,5%
da 26 a 35
ore
4,9%
19,6% 4,5%
5,6%
6,9%
da 36 a 40
ore
81,5%
52,4%
69,0%
64,6%
35,2%
16,3%
10,0%
3,2%
2,1%
1,3%
100,0%
100,0%
da 41 a 120 4,1%
ore
molto
variabile
Total
f. alta
intensità
,5%
1,6%
100,0% 100,0% 100,0%
177
Variabilità delle ore lavorate * tipologia 4 Crosstabulation
% tipologia 4
tipologia 4
Variabilità delle standard
ore lavorate
meno ore del
solito
più ore del solito
Total
partstandard time
f. alta
f.
intensità organiz.
Total
96,1%
95,8%
83,9%
92,4%
93,7%
3,9%
2,2%
,6%
2,9%
3,0%
4,8%
100,0%
3,3%
100,0%
2,0%
15,5%
100,0% 100,0% 100,0%
Straordinari * tipologia 4 Crosstabulation
% tipologia 4
tipologia 4
straordinari ha fatto
straordinario
non ha fatto
straordinario
Total
standard
parttime
f. alta
intensità f. organiz.
Total
2,1%
9,7%
31,1%
10,6%
8,7%
97,9%
90,3% 68,9%
89,4%
91,3%
100,0%
100,0% 100,0% 100,0%
100,0%
Lavora la sera * tipologia 4 Crosstabulation
% tipologia 4
tipologia 4
standard part-time
Lavora la
sera
Total
f. alta
intensità
f. organiz.
Total
Non lavora la 98,8%
sera
94,0%
81,0%
3,8%
82,2%
Lavora la
sera
6,0%
19,0%
96,2%
17,8%
100,0%
100,0%
100,0%
1,2%
100,0% 100,0%
178
Lavora la notte * tipologia 4 Crosstabulation
% tipologia 4
tipologia 4
f. alta
standard part-time intensità f. organiz.
Total
99,8%
Lavora la
notte
Non lavora la
notte
Total
Lavora la notte ,2%
100,0%
99,4%
98,6%
23,9%
89,0%
,6%
100,0%
1,4%
100,0%
76,1%
100,0%
11,0%
100,0%
Lavora il sabato * tipologia 4 Crosstabulation
% tipologia 4
tipologia 4
f. alta
standard part-time intensità
f. organiz. Total
81,1%
Lavora il
sabato
Non lavora il
sabato
Total
Lavora il sabato 18,9%
100,0%
65,8%
25,2%
10,5%
60,7%
34,2%
100,0%
74,8%
100,0%
89,5%
100,0%
39,3%
100,0%
Lavora la domenica * tipologia 4 Crosstabulation
% tipologia 4
tipologia 4
partstandard time
Lavora la
domenica
Non lavora la
domenica
100,0%
Lavora la
domenica
Total
100,0%
f. alta
intensità
f. organiz. Total
88,5% 69,6%
21,2%
82,9%
11,5% 30,4%
78,8%
17,1%
100,0% 100,0%
100,0%
100,0%
179
Lavora su turni * tipologia 4 Crosstabulation
% tipologia 4
tipologia 4
f. alta
part-time intensità
f.
organiz. Total
Lavora su Non lavora su 97,7%
turni
turni
90,3%
72,6%
28,2%
83,2%
Lavora su
turni
2,3%
9,7%
27,4%
71,8%
16,8%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0% 100,0%
standard
Total
Lavora da casa * tipologia 4 Crosstabulation
% tipologia 4
tipologia 4
partstandard time
Lavora da
casa
Total
f. alta
intensità
f. organiz.
Total
Non lavora 99,3%
da casa
98,2% 95,3%
97,1%
98,3%
Lavora da
casa
,7%
1,8%
2,9%
1,7%
100,0%
100,0% 100,0%
100,0%
100,0%
4,7%
180
Allegato 4
Case Processing Summary
N
Flessibili della prestazione
standard
100035
57,6%
part-time
22840
13,2%
f. alta intensità
26439
15,2%
24217
149938
23593
95800
77731
155406
18125
62701
82581
5167
23082
11636
36687
53457
50665
20035
1051
173531
0
173531
186a
14,0%
86,4%
13,6%
55,2%
44,8%
89,6%
10,4%
36,1%
47,6%
3,0%
13,3%
6,7%
21,1%
30,8%
29,2%
11,5%
,6%
100,0%
f. organiz.
T.indeterminato
A termine
Maschio
Femmina
In Italia
All'estero
licenza media o inferiore
licenza media superiore
laurea triennale
laurea specialistica o superiore
15-24
25-34
35-44
45-54
55-64
65-75+
indeterminati e determinati
sesso
è nato in Italia o all'estero?
titolo di studio
età
Marginal Percentage
Valid
Missing
Total
Subpopulation
a. The dependent variable has only one value observed in 13 (7,0%) subpopulations.
Model Fitting Information
Model Fitting Criteria
Likelihood Ratio Tests
-2 Log
Likelihood
Model
AIC
BIC
Chi-Square
Intercept Only
3,120E4
3,123E4
3,119E4
Final
8,468E3
8,831E3
8,396E3
2,280E4
Goodness-of-Fit
Chi-Square
df
Sig.
33
,000
Pseudo R-Square
df
Sig.
Cox and Snell
,123
Pearson
6593,043
522
,000
Nagelkerke
,137
Deviance
5932,194
522
,000
McFadden
,057
181
Parameter Estimates
95% Confidence
Interval for Exp(B)
Flessibili della
prestazionea
part-time
f. alta
intensità
Std.
Error
B
Wald
df
Intercept
1,349
,089
228,669
1
,000
[c21new2=1]
-,796
,021 1495,952
1
,000
[c21new2=2]
b
0 .
[sg11=1]
-2,091
[sg11=2]
b
.
0 .
[sg13=1]
-,395
[sg13=2]
b
0.
,019 11498,313
.
,024
0 .
1
.
1
,451
.
,000
0.
276,222
Lower
Bound
Sig. Exp(B)
,124
,000
0.
,433
.
.
,470
.
,119
.
,674
.
Upper
Bound
,128
.
,643
.
,706
.
[titolonew=1]
,962
,027 1237,726
1
,000 2,616
2,480
2,760
[titolonew=2]
,605
,026
529,420
1
,000 1,831
1,739
1,928
[titolonew=3]
,386
,050
59,075
1
,000 1,471
1,333
1,624
[titolonew=4]
b
0 .
.
0.
.
.
.
[etanew=1]
-1,662
,087
361,024
1
,000
,190
,160
,225
[etanew=2]
-1,682
,084
400,302
1
,000
,186
,158
,219
[etanew=3]
-1,514
,083
328,866
1
,000
,220
,187
,259
[etanew=4]
-1,903
,084
515,329
1
,000
,149
,127
,176
[etanew=5]
-2,060
,086
571,085
1
,000
,127
,108
,151
[etanew=6]
b
0 .
.
0.
.
Intercept
-,511
,093
30,324
1
,000
[c21new2=1]
-,345
,021
273,608
1
,000
[c21new2=2]
b
0 .
[sg11=1]
,140
[sg11=2]
b
.
,015
0 .
[sg13=1]
-,211
[sg13=2]
b
0.
92,101
.
,023
0 .
1
.
1
,708
.
.
.
,000
0.
.
,680
,000 1,150
0.
87,397
.
.
1,118
.
,810
.
,738
1,184
.
,775
.
,846
.
[titolonew=1]
,039
,022
3,252
1
,071 1,040
,997
1,086
[titolonew=2]
-,085
,021
16,128
1
,000
,919
,881
,958
[titolonew=3]
,024
,047
,270
1
,603 1,025
,935
1,123
[titolonew=4]
b
0 .
.
0.
.
.
.
[etanew=1]
-,435
,092
22,501
1
,000
,647
,541
,775
[etanew=2]
-,353
,089
15,874
1
,000
,702
,590
,836
[etanew=3]
-,339
,088
14,728
1
,000
,712
,599
,847
[etanew=4]
-,419
,088
22,486
1
,000
,658
,553
,782
[etanew=5]
-,509
,090
32,120
1
,000
[etanew=6]
0b .
.
0.
,601
.
,504
.
,717
.
182
f. organiz. Intercept
-1,691
,118
203,613
1
,000
[c21new2=1]
-,171
,023
57,098
1
,000
[c21new2=2]
b
0 .
[sg11=1]
,317
[sg11=2]
b
.
,015
0 .
[sg13=1]
-,253
[sg13=2]
b
0.
418,719
.
,023
0 .
1
.
.
1
,806
.
,000 1,373
0.
121,852
,843
.
,000
0.
.
1,332
.
,777
.
,881
1,415
.
,743
.
,812
.
[titolonew=1]
,355
,025
198,733
1
,000 1,427
1,358
1,499
[titolonew=2]
,258
,024
110,901
1
,000 1,294
1,234
1,358
[titolonew=3] 1,052
,041
649,150
1
,000 2,862
2,640
3,103
[titolonew=4]
b
0 .
.
0.
.
.
.
[etanew=1]
,196
,117
2,813
1
,093 1,217
,968
1,530
[etanew=2]
,182
,115
2,534
1
,111 1,200
,959
1,503
[etanew=3]
,319
,114
7,776
1
,005 1,375
1,099
1,721
[etanew=4]
,087
,114
,579
1
,447 1,091
,872
1,365
[etanew=5]
-,193
,116
2,777
1
,096
,657
1,035
[etanew=6]
b
0 .
.
0.
,824
.
.
.
a. The reference category is: standard.
b. This parameter is set to zero because it is redundant.
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