LUOGHI
DI ENERGIA
di Alessandro Coscia
I Tumuli Sacri
di Thurii
Una serie di tumuli che si ergevano nel sito dell’antica Thurii, scavati alla fine dell’Ottocento, ci hanno restituito alcune sepolture misteriose.
Chi erano gli individui venerati in quelle tombe sacre?
Q
uesta storia comincia nel
1879, agli albori dell’archeologia italiana. L’ingegnere
Francesco Saverio Cavallari,
su impulso della Direzione Generale
• 64
dei Musei e degli scavi, iniziava una serie di campagne di scavo sistematiche
nei territori “dell’antica Magna Grecia”.
La vicenda è raccontata nei dettagli dal
bel libro di Angelo Bottini, Archeologia
In apertura,
Ade e Persefone in trono, da Locri, 470 a.C. circa, Museo Nazionale di Reggio Calabria. Nella pagina seguente, in alto la piana di
Sibari, con lo sfondo delle Montagne di Orsomarso, in basso Corigliano Calabro.
della salvezza. Lo scopo dichiarato delle ricerche era quello di individuare i siti di due celebri città
greche d’Italia: Sibari, antica fondazione achea distrutta dalla rivale Crotone nel 510 a.C., e la colonia “panellenica” di Thurii, costruita sulle rovine della prima
nel 444 a.C.
Come è capitato spesso nella storia dell’archeologia, l’obiettivo
reale non fu raggiunto (l’identificazione corretta del sito sarebbe
avvenuta solo nel 1932), ma ci si
imbatté in una scoperta per molti versi straordinaria. Cavallari fu
attirato da alcune alture - dette nel
dialetto locale “timponi” - che si
stagliavano sulla riva meridionale
del fiume Crati, nell’odierno comune di Corigliano
Calabro. Un primo sondaggio in uno dei timponi,
però, non diede alcun esito. Nonostante tutto, Cavallari era convinto dell’origine artificiale di quelle colline. E i fatti gli diedero ragione: al secondo tentativo,
fatto in corrispondenza del “timpone Paladino”, lo
scavo rivelò che si trattava di un elevato non naturale,
costruito in relazione a una sepoltura, ormai vuota.
Il “timpone grande”
I lavori al timpone Paladino furono dunque interrotti e ci si concentrò su una altura detta “Timpone grande”: una collinetta con «un diametro alla base di m.
28 circa […] alta fino al vertice metri 8,00». Cavallari
realizzò al Timpone grande un’indagine esemplare
sotto il profilo metodologico – considerata l’epoca con un’attenzione minuziosa per la sequenza stratigrafica. Furono così rilevati dodici strati (alcuni dei
quali restituirono frammenti di ceramica decorati a figure rosse e altri a vernice nera, databili tra V e IV secolo a.C.) più un tredicesimo, sottile, composto di cenere mista a carbone e «ad una materia filacciosa, come fibre di legno semibruciato». Dopo vari tentativi e
un allargamento della trincea di scavo a partire dalla
sommità, si arrivò infine alla tomba. La sepoltura conteneva i resti di uno scheletro con tracce di cremazione, ma ancora riconoscibile sia nelle sue parti anatomiche che nell’orientamento. Un lenzuolo bianco
(«quasi intatto ma ridotto fragilissimo») copriva quel
che rimaneva del cadavere. I frammenti di legno, con
chiodi e pezzi di ferro ossidati, sembrano indicare peraltro che il corpo fu inumato in una cassa. Sul petto
dello scheletro furono rinvenuti alcuni oggetti integri,
in seguito scomparsi in circostanze poco chiare (tutto
il corredo fu trasferito al museo di Reggio, dove se ne
sono perse le tracce): due placche in argento, decorate con la figura di una testa femminile, probabilmente elementi decorativi di vesti o di una corazza in
cuoio; un “ago crinale” in ferro, il cui uso non fu compreso dagli scavatori, ma che può essere identificato
con uno stilo, come vedremo. Infine, il rinvenimento
più importante, per fortuna giunto fino a noi: “vicino
alla testa” del defunto, oltre ad alcune placchette che
dovevano far parte di una corona aurea, «si è raccolta
una laminetta d’oro purissimo, larga mill. 23, ripiegata sei volte». Un esame più accurato rivelò che «nella
prima piegatura della stessa» era contenuta «una laminetta più piccola, egualmente di oro, larga mill. 15,
ripiegata quattro volte». Il testo della lamina più grande rappresenta ancora un rompicapo per gli studiosi:
un miscuglio di termini comprensibili e di parole senza apparente senso. I termini intellegibili sono: «A
Protogono… alla Terra Madre, a Cibele, a Kore (figlia)
di Demetra… Zeus, Aria, Sole, Fuoco che conquista
tutto (attraverso tutte le città) Fortuna e Fanes, Moire che tutto ricordate. Tu, o demone glorioso Padre
che tutto domini… compensazione Aria, Fuoco, Madre, Nesti, notte, giorno... Digiunando per sette giorni, Zeus… che tutto vede, sempre, Madre, ascolta la
mia preghiera… Bei sacrifici Sacrifici… Demetra, Fuoco, Zeus, la sotterranea Kore Eroe… Luce nel cuore
alla Madre… Kore Terra… Aria… nel cuore». La natura enigmatica (in senso letterale) di questo scritto appare evidente se si esamina il testo originale, in greco,
qui riportato con le parole “comprensibili” trascritte in
minuscolo (vedi figura). Nella generale e voluta oscu-
65 •
I
In alto,
il timpone
grande di
Thurii
(sezione).
Al centro,
piana di Sibari, localizzazione degli scavi di
Cavallari e
Fulvio del
1879-1880.
In basso,
piana di Sibari, uno dei
timponi ancora visibili
(da Angelo
Bottini,
Archeologia
della
salvezza).
rità emergono in maniera esplicita
i rimandi alle divinità Demetra e
Kore, titolari dei Misteri di Eleusi,
a Zeus, alla Grande Madre Cibele
e a divinità ricorrenti nelle cosmogonie orfiche: Protogono e Fanes
(spesso sovrapponibili in un’unica
figura). Si è giustamente parlato di
“encryption”: una composizione
di lettere disposte in modo da celare le parole sacre riservate agli iniziati. In altri termini, una sorta di
puzzle simile a quelli che oggi si
trovano nelle riviste enigmistiche,
in cui il lettore deve identificare parole dotate di significato in mezzo
a una massa di lettere apparentemente incoerenti. La laminetta interna, pur nel suo linguaggio allusivo, risulta invece più comprensibile. «Ma non appena l’anima abbandona la luce del sole, verso destra (procedi), serbando ogni precetto dentro te. Rallegrati, tu che
hai provato quest’esperienza, né
mai prima la provasti. Da mortale
sei divenuto dio. Capretto cadesti
nel latte. Rallegrati, rallegrati, tu
TUMULI SACRI DI
THURII
che procedi a destra verso i prati
sacri e i boschi di Persefone».
Le sepolture del
“Timpone piccolo”
Pochi giorni dopo le scoperte nel
Timpone grande, Cavallari dispose lo scavo di un altro cono, detto
«Timpone piccolo di Favella della
Corte, situato ad Occidente e discosto circa met. 265 dal Timpone grande». Il tumulo misurava 18
metri di diametro e 5 di altezza.
Purtroppo questa seconda campa-
gna archeologica, affidata ben presto ad un altro responsabile, l’ingegnere L. Fulvio, fu condotta in maniera meno accurata della precedente e i dati di scavo non furono
registrati in maniera impeccabile.
In ogni caso, furono recuperate tre
tombe a cassa: accanto alla mano
destra degli scheletri c’erano altrettante laminette d’oro, datate alla
metà del IV secolo a.C. Riportiamo il testo delle prime due (la terza è simile alla seconda): «Vengo
pura dai puri, o regina dei morti
Euklês, Eubuleus e voi altri dei
immortali: ché io dichiaro di appartenere alla vostra stirpe beata.
Mi soggiogarono con il fulmine la
Moira e il lanciatore di folgori e
volai via dalla ruota dolorosa e greve di patimenti, e salii con i piedi
veloci sull’agognata corona e riparai in grembo all’infera padrona e
discesi dalla desiderata corona con
i piedi veloci “O beato e fortunatissimo, sarai dio invece che mortale!” Capretto caddi nel latte.
Vengo pura dai puri, o regina dei
morti Euklês, Eubuleus e voi altri
dèi demoni: ché io dichiaro di appartenere alla vostra stirpe beata, e
pagai la pena di azioni per nulla
giuste, che mi soverchiasse la Moira o il bagliore delle folgori E ora
sono giunto supplice presso Persefone santa, perché benevola mi
mandi alle sedi dei puri».
I tumuli degli iniziati
Il tumulo è una struttura funeraria
che, nel mondo greco, è legata a
ben precise valenze simboliche: un
soros (tumulo, in greco) fu eretto
nel luogo dove vennero cremate le
ceneri degli ateniesi morti nella
battaglia di Maratona contro i Per-
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LUOGHI DI ENERGIA
siani (490 a.C.). Tumuli furono innalzati per conservare le spoglie di sovrani e celebrarne la memoria (Nicocreonte, re di Cipro, o le tombe della dinastia macedone, a Vergina). Dunque, una sepoltura che si colloca sotto il segno della celebrazione “eroica” di un
defunto, che lo colloca in una dimensione superumana. Nel contesto iniziatico, la valenza politico-celebrativa diventa religiosa: il termine “eroe” muta campo semantico – direbbero i linguisti – e designa il mystes che ha seguito le corrette pratiche rituali, che ha
mutato l’essenza interiore e diviene, dunque, eroe.
Una lamina d’oro, rinvenuta a Petelia (in Calabria),
sancisce questo destino, per l’iniziato: «e tu regnerai
sugli altri eroi». E in questo ambito abbiamo dei con-
mento rituale rivela l’appartenenza a un’élite e si accorda con il modello mitologico e religioso della
morte per folgorazione, evento che divinizza la vittima e che qui, forse, fu riprodotto artificialmente, eliminando col fuoco la parte corruttibile del cadavere.
L’iniziato di Thurii fu onorato, come un eroe divino
(“da uomo sei diventato dio”, dice la laminetta che lo
accompagna nell’Ade), in occasioni anche successive
alla sua tumulazione. Come scrive Burkert: «con sacrifici ripetuti, fatti con enormi fuochi e oblazioni,
questo tumulo sarà cresciuto pian piano». Gli “oggetti parlanti” (il cosiddetto ago metallico, che a questo punto conviene chiamare stilo, e le lamine iscritte) che componevano il suo corredo funebre ci dicono che la scrittura aveva un connotato sacro fondamentale per
questo individuo.
L’indovino ateniese
fronti: un tumulo circolare del diametro di 14 metri,
scavato a Kallatis (sulle sponde del Mar Nero, in Romania), negli anni ’60, restituì il corpo di un uomo,
avvolto in un semplice lenzuolo. Sul capo, l’inumato
aveva posato una corona metallica a intreccio di rami
e nella mano sinistra un rotolo di papiro iscritto, purtroppo irrimediabilmente corrotto dopo l’apertura.
Nel terreno circostante, quattro vasi riconducibili ad
atti di culto praticati dopo la tumulazione, come nel
“timpone grande”. Anche la datazione (inizi del IV
secolo a.C.) accomuna la sepoltura di Kallatis a quella di Thurii. Ma le tombe più famose – tra gli studiosi
di orfismo – sono le due scoperte a Derveni, in Macedonia, che contenevano i resti incinerati di due individui, conservati in crateri (uno dei quali è lo splendido vaso in bronzo dorato con scene dionisiache):
una sepoltura ci ha restituito, tra i vari elementi del
corredo, un contenitore con un oggetto metallico, interpretabile come uno stilo e una corona a foglie d’oro; l’altra, i resti, scampati alla cremazione, di un papiro detto “papiro di Derveni”, che contiene un importantissimo commentario filosofico a un poema
orfico che ha più di un punto di contatto con il testo
criptato del Timpone grande. Questa ricognizione di
sepolture “iniziatiche” ci aiuta a tentare un’interpretazione più approfondita dei tumuli di Thurii. Il misterioso individuo sepolto nel “timpone grande” fu
sottoposto a una semicremazione. Questo procedi-
Chi era dunque questo personaggio, mistico e intellettuale, probabilmente autore o commentatore
di hieroi logoi (libri sacri), operante e vivente a Thurii, tra la fine
del V e l’inizio del IV secolo
a.C.? Le fonti antiche – come ha
suggerito Walter Burkert - ci parlano di un individuo il cui identikit si avvicina alle caratteristiche
che abbiamo appena tratteggiato:
Lampon, un’interessante figura di
mantis (indovino e profeta) ateniese per nascita, legato ai sacerdoti eleusini ma vicino anche all’orfismo. Il nostro
mantis fu proprio uno degli ecisti (fondatori ufficiali)
di Thurii, a capo dei coloni che si installarono in Magna Grecia nel 444 a.C. Nonostante Platone parodiasse queste figure di mistici indovini che, nella Repubblica, ci descrive capaci di «persuadere città intere» presentando cataste di libri di Orfeo e di Museo,
sotto il velo del mistero e dei travisamenti delle fonti
antiche, sembra di scorgere la presenza e l’azione di figure iniziatiche che facevano proselitismo in vari centri del mondo greco antico. Un particolare può suonare strano: se Lampone fu venerato come eroe fondatore di Thurii, perché il suo sepolcro non fu collocato al centro della città, nel cuore politico-religioso
della comunità, come è attestato per altri sepolcri di
eroi fondatori di colonie? Il contesto topografico sembra invece segnalarci la volontà da parte dei defunti
dei timponi di distinguersi, almeno in senso simbolico, dal resto del corpo civico.
La ruota, la corona, il grembo della dea
Le formule sacre che leggiamo nei testi delle lamine,
dettate agli scribi (o scritte direttamente) dagli iniziati,
facevano probabilmente parte di un repertorio più
ampio che veniva selezionato di volta in volta. Da qui,
per noi, l’ermetismo di testi appartenenti alle “cose indicibili”, che sfruttavano il procedimento dell’espressione enigmatica e avevano come riferimento riti di
67 •
In pagina,
lamina d’oro
dal timpone
grande di
Thurii, Museo
Archeologico
Nazionale di
Napoli.
I
In alto,
lamina d’oro
dal timpone
piccolo di
Thurii, Museo Archeologico
di Napoli.
In basso,
lamina d’oro
di Thurii,
prima metà
IV secolo
a.C. (Museo
Archeologico di Napoli).
cui quasi tutto ci sfugge. È chiaro
però l’aggancio al momento della
morte e a una cerimonia funebre,
celebrata da sacerdoti e praticanti
del culto: il miste dichiara di venire al cospetto di Persefone e svela la
causa della morte: «mi soggiogarono con il fulmine la Moira e il lanciatore di folgori». Non ci si riferisce, qui, ad un evento reale (anche
se c’è chi ha pensato che i defunti
dei timponi fossero individui uccisi da un fulmine vero e per questo
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TUMULI SACRI DI
THURII
sacralizzati), ma allo schema simbolico della morte del corpo tramite il fuoco, porta privilegiata verso l’immortalità e l’eroizzazione.
L’anima, quindi, pronuncia una
frase suggestiva: «Volai via dalla
ruota (o dal cerchio) dolorosa e
greve di patimenti». Questo simbolo condensa una serie di significati, tutti attestati in antico: il circolo della vita umana, la ruota della sofferenza (e della tortura), ma
anche il ciclo delle migrazioni del-
l’anima (Erodoto, Diogene Laerzio). Ed è su quest’ultimo valore
del termine che ci si deve soffermare: chi parla non vuol semplicemente (e banalmente) dire di aver
cessato di vivere. L’iniziato, in apertura, ha appena dichiarato di «venire puro dai puri», formula rituale che designa lo status raggiunto
dal miste, tramite l’ascesi «perseguita non solo da lui stesso ma anche dai suoi genitori, siano essi
biologici o rituali», come scrive lo
studioso Franco Ferrari. La purezza mistica era strettamente connessa alla liberazione dal ciclo delle
nascite, un ciclo che è appunto doloroso e greve di patimenti (così
come “dolorosi” sono definiti i
sentieri della vita da Empedocle,
filosofo che sicuramente ebbe contatti con circoli e dottrine misteriche). Ritengo che “i puri” (in greco
katharoi, da cui i Catari medioevali) fosse uno dei termini con cui gli
appartenenti a questa comunità si
autodefinivano. Un’iscrizione rinvenuta a Cuma (colonia fondata
dai Greci dell’Eubea), sulla lastra
di una tomba del V secolo a.C., ci
svela forse il nome di un’altra setta,
affine a quella di cui stiamo parlando: «non è lecito seppellire qui
chi non è bebakcheumenos». I bebakcheumenoi (in greco: coloro
che sono divenuti bakchos) erano
probabilmente gli adepti di una
comunità dionisiaca, che avevano
raggiunto la condizione di bakchos, cioè avevano non solo sperimentato l’identificazione col dio,
ma vivevano in modo tale che questo status fosse permanente. Con
orgoglio, questi iniziati, proclamavano la loro diversità sostanziale
dagli altri, che si esprimeva anche
nel divieto di seppellire nella loro
necropoli i non iniziati. Allo stesso
modo, i katharoi dei timponi evidenziavano la loro purezza e si facevano seppellire in un contesto
simbolicamente (e topograficamente) distinto. Le parole delle lamine auree sembrano riecheggiate
e rese in immagini in un dipinto di
Van Gogh: nel quadro La ronda
dei carcerati il pittore olandese ritrae l’ora d’aria dei prigionieri che
camminano in circolo, metafora
dell’angosciante condizione umana, del peso della vita, un cerchio
LUOGHI DI ENERGIA
doloroso e greve di patimenti. Il miste, dunque, è
sfuggito al ciclo delle morti e rinascite, perché ormai è
dispensato dal pagamento di azioni per nulla giuste,
come è scritto in una delle lamine. Quali azioni? La
presenza di Dioniso, invocato col nome di Eubuleus
(il benevolente) tra i giudici a cui l’anima si rivolge, ci
fornisce la risposta: gli uomini, infatti, devono scontare la pena per l’offesa recata alla dea Persefone in un
remoto passato, quando - come scrive il poeta Pindaro - i
Titani, progenitori degli uomini, smembrarono suo figlio, il piccolo Dioniso. La
circolarità accomuna altre
immagini che ricorrono in
questi testi: l’archetipo mistico del cerchio viene proposto
all’iniziato come immagine
su cui meditare, da interiorizzare a livello subliminale.
Infatti, l’anima, rievocando la
sua ascesi, dice: «Salii con i
piedi veloci sull’agognata corona». La corona dove l’anima è arrivata è, in antitesi col
cerchio doloroso della vita
umana, il luogo circolare dove hanno sede gli dei Hades,
Persefone e Dioniso (il regno
dell’oltretomba è speculare a
quello terreno, che è appunto circolare, in quanto circondato dal fiume Oceano).
In questo gioco di specchi e
ribaltamenti, il regno infero bagnato dal fiume Stige (in greco “l’Odiosa”) diventa “agognato”, così come il terribile Hades diventa
Eukles (Glorioso): qui si evidenzia la netta
opposizione della concezione misterica della morte rispetto a quella dell’opinione comune.
Al sistema di segni rituali che gli iniziati utilizzavano deve essere ricondotta anche la formula: «Riparai (o “mi immersi nel”) in grembo all’infera padrona». Qui il linguaggio misterico utilizza la metafora del kolpos (grembo). Nel greco antico, “rifugiarsi nel grembo
di…” indica il gesto di protezione del fanciullo che cerca riparo presso la madre e abbiamo vari riferimenti letterari: Thetis che accoglie nel suo grembo Dioniso ed Efesto, nell’Iliade; e l’isola di Delo che prende nel
grembo il piccolo Apollo, in Callimaco. L’anima del miste compie il gesto della supplica, abbracciando le ginocchia di Persefone e
posando il capo nel suo grembo. Ma nel codice iniziatico il grembo diventa simbolo cosmico della rinascita dell’anima e, ancora
una volta, nella dinamica del rovesciamento,
Persefone, dea dei morti, diventa dea di vita.
E’ difficile infatti sfuggire alla suggestione che
il rifugio nel grembo sia un ritorno all’utero materno
della dea, che prelude alla vera rinascita. Possiamo solo immaginare, inoltre, la componente rituale che era
sottesa a questo resoconto della divinizzazione: nei
misteri del dio Sabazio, ad esempio, un serpente veniva fatto scivolare lungo il grembo degli iniziati in ricordo dell’ingresso di Zeus in forma di serpente nel
corpo della figlia Persefone, da cui nacque Dioniso.
Il momento della rinascita è
seguito dal makarismos, la
formula di beatitudine pronunciata dalla dea e/o dalle
anime dei beati (e, nel rito,
dall’officiante che impersonava la divinità o dal coro degli iniziati). Ora il miste è ormai “beato” e “fortunatissimo”, pronto a raggiungere gli
altri privilegiati. Questa condizione è suggellata dalla formula: “capretto caddi nel latte”, con cui l’anima stessa
commenta il nuovo status. La
sequenza compare anche
nella lamina del timpone
grande, alla seconda persona
e, in due lamine rinvenute a
Pelinna (Tessaglia): «Toro
balzasti verso il latte / capra
balzasti verso il latte /ariete
cadesti nel latte». Il miste diventa capretto, toro, ariete: sono gli animali non solo sacri
a Dioniso, ma animali con
69 •
In alto,
La ronda dei
carcerati, di
Van Gogh,
metafora del
ciclo delle
reincarnazioni cui è soggetta l’anima.
In basso,
il cratere di
Derveni.
I
In alto,
il papiro di
Derveni (fine IV sec.
a.C.). È il
più antico
papiro orfico conosciuto e
contiene il
commentario a un
poema
orfico.
In basso,
trascrizione
del testo
inciso sulla
prima lamina del timpone grande. In alfabeto greco
minuscolo
i termini
comprensibili.
cui il dio viene identificato e nei
quali si tramuta, in vari racconti
mitologici. L’iniziato dunque subisce una metamorfosi analoga a
quella del dio. Si conferma qui ciò
che è emerso nella altre testimonianze di culti misterici (vedi Fenix n. 35): l’iniziato è bakchos, come bakchos è Dioniso. Il miste vive dunque la medesima esperienza del dio, attinge al divino con la
sua metamorfosi di morte e rinascita, così come Dioniso muore e
rinasce. Lo smembramento del
dio è dunque il primo atto di un
processo che si conclude con la ricomposizione dell’unità. Elemento integrante di questa rinascita è il
latte, il latte della (dea) madre. In
un inno orfico, il Dioniso ctonio
(infero), dopo essere stato tramutato in capretto, si risveglia nella casa
di Persefone e viene accudito dalle
TUMULI SACRI DI
THURII
Ninfe, sue nutrici. Nel titolo dell’inno si raccomanda la libagione
del latte: è il latte che sgorga dalle
capre che pascolano i prati di Persefone, o dal suolo stesso, la mistica bevanda che – scrive il poeta Simonide – permette al miste di
“crescere” nel nuovo ambiente oltremondano, con le rughe spianate e la corona sul capo, come l’iniziato del timpone grande. Siamo
dunque in presenza di una cerimonia coerente e articolata, composta da un sistema di atti e parole rituali che culminano con la rigenerazione del praticante. Se due
lamine, tra quelle di Thurii, proclamano la divinizzazione del defunto, le altre due invece si concludono con la supplica del miste.
Forse per queste due anime, la garanzia di “salvezza” non c’era, perché toccate dalla morte quando il
loro status iniziatico non era ancora giunto al gradino supremo.
Non lo sapremo mai. Certo è che,
nella Thurii del V-IV secolo (dove
risiedette anche Erodoto, che scrive di culti orfici e bacchici, accomunandoli a quelli egiziani e pitagorici) viveva una comunità di misti devota a un culto esoterico complesso e raffinato – di Demetra, Persefone e Dioniso. Il leader
di questo culto locale fu seppellito
come un dio e venerato nel corso
del tempo e il suo sepolcro attirò,
con una dinamica centripeta, le sepolture di altri misti. L’archeologia
non ci ha lasciato testimonianze
dirette di un edificio cultuale di
Demetra e Persefone, a Thurii. Ma
nelle città vicine, come Locri, i
santuari delle due dee erano famosi e rinomati. Non è escluso dunque che, un giorno, gli scavi ci restituiscano il luogo sacro dove i
katharoi celebravano le loro cerimonie. Un luogo che poteva ben
essere un megaron, una stanza sotterranea o una cavità apprestata
con oggetti rituali, in linea con
l’accezione infera della dea. Favorino e Giamblico scrivono che la dimora di Pitagora, a Metaponto, divenne un santuario di Demetra.
Pitagora si riuniva con i suoi discepoli in antri sotterranei. Discesa
agli inferi e iniziazioni sotterranee
sono legate in maniera ancora da
decifrare ai culti misterici che
fanno leva sulla credenza nelle
reincarnazioni, così come la
scuola pitagorica. Ma questa è
un’altra storia.
Chi è Alessandro Coscia
• 70
Laureato in archeologia e storia
dell'arte antica, lavora presso la
Pinacoteca di Brera. Ha
collaborato a varie trasmissioni
come autore televisivo e ha
scritto articoli per riviste
specializzate. È appassionato di
storia delle religioni.