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I tumuli sacri di Thurii

LUOGHI DI ENERGIA di Alessandro Coscia I Tumuli Sacri di Thurii Una serie di tumuli che si ergevano nel sito dell’antica Thurii, scavati alla fine dell’Ottocento, ci hanno restituito alcune sepolture misteriose. Chi erano gli individui venerati in quelle tombe sacre? Q uesta storia comincia nel 1879, agli albori dell’archeologia italiana. L’ingegnere Francesco Saverio Cavallari, su impulso della Direzione Generale • 64 dei Musei e degli scavi, iniziava una serie di campagne di scavo sistematiche nei territori “dell’antica Magna Grecia”. La vicenda è raccontata nei dettagli dal bel libro di Angelo Bottini, Archeologia In apertura, Ade e Persefone in trono, da Locri, 470 a.C. circa, Museo Nazionale di Reggio Calabria. Nella pagina seguente, in alto la piana di Sibari, con lo sfondo delle Montagne di Orsomarso, in basso Corigliano Calabro. della salvezza. Lo scopo dichiarato delle ricerche era quello di individuare i siti di due celebri città greche d’Italia: Sibari, antica fondazione achea distrutta dalla rivale Crotone nel 510 a.C., e la colonia “panellenica” di Thurii, costruita sulle rovine della prima nel 444 a.C. Come è capitato spesso nella storia dell’archeologia, l’obiettivo reale non fu raggiunto (l’identificazione corretta del sito sarebbe avvenuta solo nel 1932), ma ci si imbatté in una scoperta per molti versi straordinaria. Cavallari fu attirato da alcune alture - dette nel dialetto locale “timponi” - che si stagliavano sulla riva meridionale del fiume Crati, nell’odierno comune di Corigliano Calabro. Un primo sondaggio in uno dei timponi, però, non diede alcun esito. Nonostante tutto, Cavallari era convinto dell’origine artificiale di quelle colline. E i fatti gli diedero ragione: al secondo tentativo, fatto in corrispondenza del “timpone Paladino”, lo scavo rivelò che si trattava di un elevato non naturale, costruito in relazione a una sepoltura, ormai vuota. Il “timpone grande” I lavori al timpone Paladino furono dunque interrotti e ci si concentrò su una altura detta “Timpone grande”: una collinetta con «un diametro alla base di m. 28 circa […] alta fino al vertice metri 8,00». Cavallari realizzò al Timpone grande un’indagine esemplare sotto il profilo metodologico – considerata l’epoca con un’attenzione minuziosa per la sequenza stratigrafica. Furono così rilevati dodici strati (alcuni dei quali restituirono frammenti di ceramica decorati a figure rosse e altri a vernice nera, databili tra V e IV secolo a.C.) più un tredicesimo, sottile, composto di cenere mista a carbone e «ad una materia filacciosa, come fibre di legno semibruciato». Dopo vari tentativi e un allargamento della trincea di scavo a partire dalla sommità, si arrivò infine alla tomba. La sepoltura conteneva i resti di uno scheletro con tracce di cremazione, ma ancora riconoscibile sia nelle sue parti anatomiche che nell’orientamento. Un lenzuolo bianco («quasi intatto ma ridotto fragilissimo») copriva quel che rimaneva del cadavere. I frammenti di legno, con chiodi e pezzi di ferro ossidati, sembrano indicare peraltro che il corpo fu inumato in una cassa. Sul petto dello scheletro furono rinvenuti alcuni oggetti integri, in seguito scomparsi in circostanze poco chiare (tutto il corredo fu trasferito al museo di Reggio, dove se ne sono perse le tracce): due placche in argento, decorate con la figura di una testa femminile, probabilmente elementi decorativi di vesti o di una corazza in cuoio; un “ago crinale” in ferro, il cui uso non fu compreso dagli scavatori, ma che può essere identificato con uno stilo, come vedremo. Infine, il rinvenimento più importante, per fortuna giunto fino a noi: “vicino alla testa” del defunto, oltre ad alcune placchette che dovevano far parte di una corona aurea, «si è raccolta una laminetta d’oro purissimo, larga mill. 23, ripiegata sei volte». Un esame più accurato rivelò che «nella prima piegatura della stessa» era contenuta «una laminetta più piccola, egualmente di oro, larga mill. 15, ripiegata quattro volte». Il testo della lamina più grande rappresenta ancora un rompicapo per gli studiosi: un miscuglio di termini comprensibili e di parole senza apparente senso. I termini intellegibili sono: «A Protogono… alla Terra Madre, a Cibele, a Kore (figlia) di Demetra… Zeus, Aria, Sole, Fuoco che conquista tutto (attraverso tutte le città) Fortuna e Fanes, Moire che tutto ricordate. Tu, o demone glorioso Padre che tutto domini… compensazione Aria, Fuoco, Madre, Nesti, notte, giorno... Digiunando per sette giorni, Zeus… che tutto vede, sempre, Madre, ascolta la mia preghiera… Bei sacrifici Sacrifici… Demetra, Fuoco, Zeus, la sotterranea Kore Eroe… Luce nel cuore alla Madre… Kore Terra… Aria… nel cuore». La natura enigmatica (in senso letterale) di questo scritto appare evidente se si esamina il testo originale, in greco, qui riportato con le parole “comprensibili” trascritte in minuscolo (vedi figura). Nella generale e voluta oscu- 65 • I In alto, il timpone grande di Thurii (sezione). Al centro, piana di Sibari, localizzazione degli scavi di Cavallari e Fulvio del 1879-1880. In basso, piana di Sibari, uno dei timponi ancora visibili (da Angelo Bottini, Archeologia della salvezza). rità emergono in maniera esplicita i rimandi alle divinità Demetra e Kore, titolari dei Misteri di Eleusi, a Zeus, alla Grande Madre Cibele e a divinità ricorrenti nelle cosmogonie orfiche: Protogono e Fanes (spesso sovrapponibili in un’unica figura). Si è giustamente parlato di “encryption”: una composizione di lettere disposte in modo da celare le parole sacre riservate agli iniziati. In altri termini, una sorta di puzzle simile a quelli che oggi si trovano nelle riviste enigmistiche, in cui il lettore deve identificare parole dotate di significato in mezzo a una massa di lettere apparentemente incoerenti. La laminetta interna, pur nel suo linguaggio allusivo, risulta invece più comprensibile. «Ma non appena l’anima abbandona la luce del sole, verso destra (procedi), serbando ogni precetto dentro te. Rallegrati, tu che hai provato quest’esperienza, né mai prima la provasti. Da mortale sei divenuto dio. Capretto cadesti nel latte. Rallegrati, rallegrati, tu TUMULI SACRI DI THURII che procedi a destra verso i prati sacri e i boschi di Persefone». Le sepolture del “Timpone piccolo” Pochi giorni dopo le scoperte nel Timpone grande, Cavallari dispose lo scavo di un altro cono, detto «Timpone piccolo di Favella della Corte, situato ad Occidente e discosto circa met. 265 dal Timpone grande». Il tumulo misurava 18 metri di diametro e 5 di altezza. Purtroppo questa seconda campa- gna archeologica, affidata ben presto ad un altro responsabile, l’ingegnere L. Fulvio, fu condotta in maniera meno accurata della precedente e i dati di scavo non furono registrati in maniera impeccabile. In ogni caso, furono recuperate tre tombe a cassa: accanto alla mano destra degli scheletri c’erano altrettante laminette d’oro, datate alla metà del IV secolo a.C. Riportiamo il testo delle prime due (la terza è simile alla seconda): «Vengo pura dai puri, o regina dei morti Euklês, Eubuleus e voi altri dei immortali: ché io dichiaro di appartenere alla vostra stirpe beata. Mi soggiogarono con il fulmine la Moira e il lanciatore di folgori e volai via dalla ruota dolorosa e greve di patimenti, e salii con i piedi veloci sull’agognata corona e riparai in grembo all’infera padrona e discesi dalla desiderata corona con i piedi veloci “O beato e fortunatissimo, sarai dio invece che mortale!” Capretto caddi nel latte. Vengo pura dai puri, o regina dei morti Euklês, Eubuleus e voi altri dèi demoni: ché io dichiaro di appartenere alla vostra stirpe beata, e pagai la pena di azioni per nulla giuste, che mi soverchiasse la Moira o il bagliore delle folgori E ora sono giunto supplice presso Persefone santa, perché benevola mi mandi alle sedi dei puri». I tumuli degli iniziati Il tumulo è una struttura funeraria che, nel mondo greco, è legata a ben precise valenze simboliche: un soros (tumulo, in greco) fu eretto nel luogo dove vennero cremate le ceneri degli ateniesi morti nella battaglia di Maratona contro i Per- • 66 LUOGHI DI ENERGIA siani (490 a.C.). Tumuli furono innalzati per conservare le spoglie di sovrani e celebrarne la memoria (Nicocreonte, re di Cipro, o le tombe della dinastia macedone, a Vergina). Dunque, una sepoltura che si colloca sotto il segno della celebrazione “eroica” di un defunto, che lo colloca in una dimensione superumana. Nel contesto iniziatico, la valenza politico-celebrativa diventa religiosa: il termine “eroe” muta campo semantico – direbbero i linguisti – e designa il mystes che ha seguito le corrette pratiche rituali, che ha mutato l’essenza interiore e diviene, dunque, eroe. Una lamina d’oro, rinvenuta a Petelia (in Calabria), sancisce questo destino, per l’iniziato: «e tu regnerai sugli altri eroi». E in questo ambito abbiamo dei con- mento rituale rivela l’appartenenza a un’élite e si accorda con il modello mitologico e religioso della morte per folgorazione, evento che divinizza la vittima e che qui, forse, fu riprodotto artificialmente, eliminando col fuoco la parte corruttibile del cadavere. L’iniziato di Thurii fu onorato, come un eroe divino (“da uomo sei diventato dio”, dice la laminetta che lo accompagna nell’Ade), in occasioni anche successive alla sua tumulazione. Come scrive Burkert: «con sacrifici ripetuti, fatti con enormi fuochi e oblazioni, questo tumulo sarà cresciuto pian piano». Gli “oggetti parlanti” (il cosiddetto ago metallico, che a questo punto conviene chiamare stilo, e le lamine iscritte) che componevano il suo corredo funebre ci dicono che la scrittura aveva un connotato sacro fondamentale per questo individuo. L’indovino ateniese fronti: un tumulo circolare del diametro di 14 metri, scavato a Kallatis (sulle sponde del Mar Nero, in Romania), negli anni ’60, restituì il corpo di un uomo, avvolto in un semplice lenzuolo. Sul capo, l’inumato aveva posato una corona metallica a intreccio di rami e nella mano sinistra un rotolo di papiro iscritto, purtroppo irrimediabilmente corrotto dopo l’apertura. Nel terreno circostante, quattro vasi riconducibili ad atti di culto praticati dopo la tumulazione, come nel “timpone grande”. Anche la datazione (inizi del IV secolo a.C.) accomuna la sepoltura di Kallatis a quella di Thurii. Ma le tombe più famose – tra gli studiosi di orfismo – sono le due scoperte a Derveni, in Macedonia, che contenevano i resti incinerati di due individui, conservati in crateri (uno dei quali è lo splendido vaso in bronzo dorato con scene dionisiache): una sepoltura ci ha restituito, tra i vari elementi del corredo, un contenitore con un oggetto metallico, interpretabile come uno stilo e una corona a foglie d’oro; l’altra, i resti, scampati alla cremazione, di un papiro detto “papiro di Derveni”, che contiene un importantissimo commentario filosofico a un poema orfico che ha più di un punto di contatto con il testo criptato del Timpone grande. Questa ricognizione di sepolture “iniziatiche” ci aiuta a tentare un’interpretazione più approfondita dei tumuli di Thurii. Il misterioso individuo sepolto nel “timpone grande” fu sottoposto a una semicremazione. Questo procedi- Chi era dunque questo personaggio, mistico e intellettuale, probabilmente autore o commentatore di hieroi logoi (libri sacri), operante e vivente a Thurii, tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C.? Le fonti antiche – come ha suggerito Walter Burkert - ci parlano di un individuo il cui identikit si avvicina alle caratteristiche che abbiamo appena tratteggiato: Lampon, un’interessante figura di mantis (indovino e profeta) ateniese per nascita, legato ai sacerdoti eleusini ma vicino anche all’orfismo. Il nostro mantis fu proprio uno degli ecisti (fondatori ufficiali) di Thurii, a capo dei coloni che si installarono in Magna Grecia nel 444 a.C. Nonostante Platone parodiasse queste figure di mistici indovini che, nella Repubblica, ci descrive capaci di «persuadere città intere» presentando cataste di libri di Orfeo e di Museo, sotto il velo del mistero e dei travisamenti delle fonti antiche, sembra di scorgere la presenza e l’azione di figure iniziatiche che facevano proselitismo in vari centri del mondo greco antico. Un particolare può suonare strano: se Lampone fu venerato come eroe fondatore di Thurii, perché il suo sepolcro non fu collocato al centro della città, nel cuore politico-religioso della comunità, come è attestato per altri sepolcri di eroi fondatori di colonie? Il contesto topografico sembra invece segnalarci la volontà da parte dei defunti dei timponi di distinguersi, almeno in senso simbolico, dal resto del corpo civico. La ruota, la corona, il grembo della dea Le formule sacre che leggiamo nei testi delle lamine, dettate agli scribi (o scritte direttamente) dagli iniziati, facevano probabilmente parte di un repertorio più ampio che veniva selezionato di volta in volta. Da qui, per noi, l’ermetismo di testi appartenenti alle “cose indicibili”, che sfruttavano il procedimento dell’espressione enigmatica e avevano come riferimento riti di 67 • In pagina, lamina d’oro dal timpone grande di Thurii, Museo Archeologico Nazionale di Napoli. I In alto, lamina d’oro dal timpone piccolo di Thurii, Museo Archeologico di Napoli. In basso, lamina d’oro di Thurii, prima metà IV secolo a.C. (Museo Archeologico di Napoli). cui quasi tutto ci sfugge. È chiaro però l’aggancio al momento della morte e a una cerimonia funebre, celebrata da sacerdoti e praticanti del culto: il miste dichiara di venire al cospetto di Persefone e svela la causa della morte: «mi soggiogarono con il fulmine la Moira e il lanciatore di folgori». Non ci si riferisce, qui, ad un evento reale (anche se c’è chi ha pensato che i defunti dei timponi fossero individui uccisi da un fulmine vero e per questo • 68 TUMULI SACRI DI THURII sacralizzati), ma allo schema simbolico della morte del corpo tramite il fuoco, porta privilegiata verso l’immortalità e l’eroizzazione. L’anima, quindi, pronuncia una frase suggestiva: «Volai via dalla ruota (o dal cerchio) dolorosa e greve di patimenti». Questo simbolo condensa una serie di significati, tutti attestati in antico: il circolo della vita umana, la ruota della sofferenza (e della tortura), ma anche il ciclo delle migrazioni del- l’anima (Erodoto, Diogene Laerzio). Ed è su quest’ultimo valore del termine che ci si deve soffermare: chi parla non vuol semplicemente (e banalmente) dire di aver cessato di vivere. L’iniziato, in apertura, ha appena dichiarato di «venire puro dai puri», formula rituale che designa lo status raggiunto dal miste, tramite l’ascesi «perseguita non solo da lui stesso ma anche dai suoi genitori, siano essi biologici o rituali», come scrive lo studioso Franco Ferrari. La purezza mistica era strettamente connessa alla liberazione dal ciclo delle nascite, un ciclo che è appunto doloroso e greve di patimenti (così come “dolorosi” sono definiti i sentieri della vita da Empedocle, filosofo che sicuramente ebbe contatti con circoli e dottrine misteriche). Ritengo che “i puri” (in greco katharoi, da cui i Catari medioevali) fosse uno dei termini con cui gli appartenenti a questa comunità si autodefinivano. Un’iscrizione rinvenuta a Cuma (colonia fondata dai Greci dell’Eubea), sulla lastra di una tomba del V secolo a.C., ci svela forse il nome di un’altra setta, affine a quella di cui stiamo parlando: «non è lecito seppellire qui chi non è bebakcheumenos». I bebakcheumenoi (in greco: coloro che sono divenuti bakchos) erano probabilmente gli adepti di una comunità dionisiaca, che avevano raggiunto la condizione di bakchos, cioè avevano non solo sperimentato l’identificazione col dio, ma vivevano in modo tale che questo status fosse permanente. Con orgoglio, questi iniziati, proclamavano la loro diversità sostanziale dagli altri, che si esprimeva anche nel divieto di seppellire nella loro necropoli i non iniziati. Allo stesso modo, i katharoi dei timponi evidenziavano la loro purezza e si facevano seppellire in un contesto simbolicamente (e topograficamente) distinto. Le parole delle lamine auree sembrano riecheggiate e rese in immagini in un dipinto di Van Gogh: nel quadro La ronda dei carcerati il pittore olandese ritrae l’ora d’aria dei prigionieri che camminano in circolo, metafora dell’angosciante condizione umana, del peso della vita, un cerchio LUOGHI DI ENERGIA doloroso e greve di patimenti. Il miste, dunque, è sfuggito al ciclo delle morti e rinascite, perché ormai è dispensato dal pagamento di azioni per nulla giuste, come è scritto in una delle lamine. Quali azioni? La presenza di Dioniso, invocato col nome di Eubuleus (il benevolente) tra i giudici a cui l’anima si rivolge, ci fornisce la risposta: gli uomini, infatti, devono scontare la pena per l’offesa recata alla dea Persefone in un remoto passato, quando - come scrive il poeta Pindaro - i Titani, progenitori degli uomini, smembrarono suo figlio, il piccolo Dioniso. La circolarità accomuna altre immagini che ricorrono in questi testi: l’archetipo mistico del cerchio viene proposto all’iniziato come immagine su cui meditare, da interiorizzare a livello subliminale. Infatti, l’anima, rievocando la sua ascesi, dice: «Salii con i piedi veloci sull’agognata corona». La corona dove l’anima è arrivata è, in antitesi col cerchio doloroso della vita umana, il luogo circolare dove hanno sede gli dei Hades, Persefone e Dioniso (il regno dell’oltretomba è speculare a quello terreno, che è appunto circolare, in quanto circondato dal fiume Oceano). In questo gioco di specchi e ribaltamenti, il regno infero bagnato dal fiume Stige (in greco “l’Odiosa”) diventa “agognato”, così come il terribile Hades diventa Eukles (Glorioso): qui si evidenzia la netta opposizione della concezione misterica della morte rispetto a quella dell’opinione comune. Al sistema di segni rituali che gli iniziati utilizzavano deve essere ricondotta anche la formula: «Riparai (o “mi immersi nel”) in grembo all’infera padrona». Qui il linguaggio misterico utilizza la metafora del kolpos (grembo). Nel greco antico, “rifugiarsi nel grembo di…” indica il gesto di protezione del fanciullo che cerca riparo presso la madre e abbiamo vari riferimenti letterari: Thetis che accoglie nel suo grembo Dioniso ed Efesto, nell’Iliade; e l’isola di Delo che prende nel grembo il piccolo Apollo, in Callimaco. L’anima del miste compie il gesto della supplica, abbracciando le ginocchia di Persefone e posando il capo nel suo grembo. Ma nel codice iniziatico il grembo diventa simbolo cosmico della rinascita dell’anima e, ancora una volta, nella dinamica del rovesciamento, Persefone, dea dei morti, diventa dea di vita. E’ difficile infatti sfuggire alla suggestione che il rifugio nel grembo sia un ritorno all’utero materno della dea, che prelude alla vera rinascita. Possiamo solo immaginare, inoltre, la componente rituale che era sottesa a questo resoconto della divinizzazione: nei misteri del dio Sabazio, ad esempio, un serpente veniva fatto scivolare lungo il grembo degli iniziati in ricordo dell’ingresso di Zeus in forma di serpente nel corpo della figlia Persefone, da cui nacque Dioniso. Il momento della rinascita è seguito dal makarismos, la formula di beatitudine pronunciata dalla dea e/o dalle anime dei beati (e, nel rito, dall’officiante che impersonava la divinità o dal coro degli iniziati). Ora il miste è ormai “beato” e “fortunatissimo”, pronto a raggiungere gli altri privilegiati. Questa condizione è suggellata dalla formula: “capretto caddi nel latte”, con cui l’anima stessa commenta il nuovo status. La sequenza compare anche nella lamina del timpone grande, alla seconda persona e, in due lamine rinvenute a Pelinna (Tessaglia): «Toro balzasti verso il latte / capra balzasti verso il latte /ariete cadesti nel latte». Il miste diventa capretto, toro, ariete: sono gli animali non solo sacri a Dioniso, ma animali con 69 • In alto, La ronda dei carcerati, di Van Gogh, metafora del ciclo delle reincarnazioni cui è soggetta l’anima. In basso, il cratere di Derveni. I In alto, il papiro di Derveni (fine IV sec. a.C.). È il più antico papiro orfico conosciuto e contiene il commentario a un poema orfico. In basso, trascrizione del testo inciso sulla prima lamina del timpone grande. In alfabeto greco minuscolo i termini comprensibili. cui il dio viene identificato e nei quali si tramuta, in vari racconti mitologici. L’iniziato dunque subisce una metamorfosi analoga a quella del dio. Si conferma qui ciò che è emerso nella altre testimonianze di culti misterici (vedi Fenix n. 35): l’iniziato è bakchos, come bakchos è Dioniso. Il miste vive dunque la medesima esperienza del dio, attinge al divino con la sua metamorfosi di morte e rinascita, così come Dioniso muore e rinasce. Lo smembramento del dio è dunque il primo atto di un processo che si conclude con la ricomposizione dell’unità. Elemento integrante di questa rinascita è il latte, il latte della (dea) madre. In un inno orfico, il Dioniso ctonio (infero), dopo essere stato tramutato in capretto, si risveglia nella casa di Persefone e viene accudito dalle TUMULI SACRI DI THURII Ninfe, sue nutrici. Nel titolo dell’inno si raccomanda la libagione del latte: è il latte che sgorga dalle capre che pascolano i prati di Persefone, o dal suolo stesso, la mistica bevanda che – scrive il poeta Simonide – permette al miste di “crescere” nel nuovo ambiente oltremondano, con le rughe spianate e la corona sul capo, come l’iniziato del timpone grande. Siamo dunque in presenza di una cerimonia coerente e articolata, composta da un sistema di atti e parole rituali che culminano con la rigenerazione del praticante. Se due lamine, tra quelle di Thurii, proclamano la divinizzazione del defunto, le altre due invece si concludono con la supplica del miste. Forse per queste due anime, la garanzia di “salvezza” non c’era, perché toccate dalla morte quando il loro status iniziatico non era ancora giunto al gradino supremo. Non lo sapremo mai. Certo è che, nella Thurii del V-IV secolo (dove risiedette anche Erodoto, che scrive di culti orfici e bacchici, accomunandoli a quelli egiziani e pitagorici) viveva una comunità di misti devota a un culto esoterico complesso e raffinato – di Demetra, Persefone e Dioniso. Il leader di questo culto locale fu seppellito come un dio e venerato nel corso del tempo e il suo sepolcro attirò, con una dinamica centripeta, le sepolture di altri misti. L’archeologia non ci ha lasciato testimonianze dirette di un edificio cultuale di Demetra e Persefone, a Thurii. Ma nelle città vicine, come Locri, i santuari delle due dee erano famosi e rinomati. Non è escluso dunque che, un giorno, gli scavi ci restituiscano il luogo sacro dove i katharoi celebravano le loro cerimonie. Un luogo che poteva ben essere un megaron, una stanza sotterranea o una cavità apprestata con oggetti rituali, in linea con l’accezione infera della dea. Favorino e Giamblico scrivono che la dimora di Pitagora, a Metaponto, divenne un santuario di Demetra. Pitagora si riuniva con i suoi discepoli in antri sotterranei. Discesa agli inferi e iniziazioni sotterranee sono legate in maniera ancora da decifrare ai culti misterici che fanno leva sulla credenza nelle reincarnazioni, così come la scuola pitagorica. Ma questa è un’altra storia. Chi è Alessandro Coscia • 70 Laureato in archeologia e storia dell'arte antica, lavora presso la Pinacoteca di Brera. Ha collaborato a varie trasmissioni come autore televisivo e ha scritto articoli per riviste specializzate. È appassionato di storia delle religioni.