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sulle tracce dell'orma

Etimologia della parola orma

SULLE TRACCE DELL’ÓRMA: PRASSI ETIMOLOGICHE ALTERNATIVE E LORO IMPLICAZIONI DI METODO NELL’ANALISI DEL LESSICO ITALIANO û1. Un problema spinoso, familiare a chi si occupi di romanistica, concerne l’emergere per la prima volta, nelle lingue sorte dalla dissoluzione della latinità, di parole prive di evidenti antefatti latini. In tale situazione l’interrogativo circa le origini del termine può trovare risposte diverse, fra le quali non è sempre agevole scegliere: la parola è un prestito di epoca tarda (a seconda della collocazione spazio-temporale greco, germanico, slavo, arabo, o di fasi ancora seriori) oppure essa appartiene al latino non letterario e riafiora solo nei volgari; in questo caso occorre distinguere tra etimo latino ereditario e mutuazione di un vocabolo prelatino, assunto più o meno precocemente dai Romani in occasione delle loro conquiste territoriali. La terza soluzione (sostratema prelatino) ci sembra in generale meno praticata dai romanisti (a parte il riconoscimento dei grecismi antichi), per la loro formazione e, forse, per una pregiudiziale classicista che induce a cercare all’interno del latino stesso o in prestiti tardi gli elementi lessicali contenuti nei volgari, riiutando l’apporto dei sostrati.1 Anche il secondo procedimento (ricostruzione di una forma latina ereditaria non attestata nella lingua scritta, letteraria o epigraica), d’altra parte, non sembra sfruttato quanto si potrebbe, a giudicare dallo scarso L’Autrice desidera ringraziare Guido Borghi, Mario Novarini ed Enrica Salvaneschi per l’attenta lettura e i preziosi suggerimenti. 1. Così il Prati lamenta l’eccessivo ricorso a etimi prelatini: “Su questa strada i prelatinisti sono corsi troppo, sono stati troppo disposti ad ammettere origini prelatine. È infatti imprudente riconoscere un’origine prelatina di tutte le parole che nel latino non trovano spiegazione, quasi che le supposte lingue antichissime servano da pattumiere dei riiuti del latino, anche se delle volte essi possano essere delle perle. Il dire preromana o lìgure o ibèrica o alpina o altro una parola di cui non si conosce l’etimo somiglia molto alla scappatoia dei linguisti che, trovando una forma in contrasto con la fonetica della parlata locale, la dichiarano senz’altro un imprestito (usando un vocabolo improprio)” (1960:107–108). 11 12 Romance Philology, vol. 62, Spring 2008 numero di basi asteriscate da riferire al latino sommerso presenti in Meyer-Lübke (1935). Frequente è invece il ricorso alla prima prassi, che chiameremo “dal noto al noto”. Essa si concretizza spesso nella ricostruzione di complicate traile fonetiche ad hoc o nell’utilizzo di due potenti escamotages, l’analogia e l’incrocio, cosicché, partendo da uno o più antecedenti attestati, si giunge (non senza fatica, ma infallibilmente) a provvedere il lessema in esame della sospirata etimologia.2 û2. Il termine italiano orma ‘pesta o pedata che gli uomini lasciano sul terreno camminandovi’, ‘impronta, segno, traccia’ (DELI 846) è uno di quegli “orfani etimologici” per i quali si è voluto appunto trovare un genitore “noto” fra parole già attestate. Assente prima di Dante, se si eccettua una glossa tardolatina,3 sostituisce il latino uestigium, il cui continuatore italiano vestigio, -a (usato soprattutto al plurale) occupa nella lingua moderna una nicchia semantica ristretta rispetto all’uso latino e a quello italiano antico,4 ed è inoltre preservato in qualche dialetto. 5 Privo di chiara origine, orma è così trattato nel DELI: Esclusa la dir[etta] der[ivazione] dal gr. hormeˉ´ ‘impeto, ardore, incitamento’ (V. ormeggiare), sia per il diverso sign[iicato], sia per il distacco con altri paralleli romanzi, che si spiegano bene con il gr. osmeˉ´ ‘odore’, occorre pensare ad un passaggio già lat. (lo presuppongono il logud. orma—per il DES un italianismo—, l’alb. gyurmë e il rum. urmă, oltre che il tosc.) di -sm- a -rm-, anche se la differenziazione semantica è abbastanza netta: i risultati con s contengono la nozione di ‘odore’, quelli con r la nozione di ‘solco visibile’. Ma, nota . . . F. D’Ovidio . . . : “Circa lo scambio di s con r, non estraneo a dialetti greci, né a parlari romanzi, v’è luogo a supporre che o certi vocaboli giungessero ai nostri volghi sotto una duplice forma dialettale greca . . . o, cosa men probabile, che la esoticità del gruppo sm lo facesse, in parole del tutto abbandonate a sé medesime, pericolare dove più dove meno presso i volghi neolatini”. L’Alessio . . . tenta una riconciliazione della divaricazione semantica, suggerendo l’incrocio con ōrbita(m) ‘traccia della ruota sul terreno’. 2. Se ne ricava l’impressione che le “scappatoie” sostratistiche condannate dal Prati vengano sostituite da procedure altrettanto disinvolte e dificilmente sottoponibili a falsiicazione. 3. Negli Excerpta ex Codice Vaticano 1468, che raccolgono voci di varia provenienza (greche o latine rustiche), troviamo orma glossato con uestigium (Corpus Glossariorum Latinorum, Goetz 1894:508, 51). 4. Dante impiega orma, -e otto volte nella Commedia (Inferno VIII, 102; XVI, 34; XXV, 105; Purgatorio V, 2; IX, 60; XVII, 21; Paradiso I, 106; XII, 116), mentre vestigio appare tanto nella Commedia quanto nel Convivio. I due termini sono grosso modo sinonimici ed entrambi possono assumere il valore traslato di ‘immagine’, ‘segno’. 5. Cfr. còrso bistiga ‘orma’; sursilvano fastid’ ‘id.’ (Meyer-Lübke 1935:775), ladino centrale fo.štǘ ‘traccia’ (AIS III 520, P 305 San Vigilio di Marebbe, BZ), lombardo alpino ve˛stáć ‘via ripida’ (AIS III 535, P 58 Sommaino, San Carlo, Poschiavo—Cantone dei Grigioni; P 218 Grosio, SO), ve˛stažá ‘far scivolare il legno a valle’ (AIS III 535, P 58 Sommaino, San Carlo, Poschiavo; con altre varianti nella Svizzera romancia). Sulle tracce dell’órma 13 Un paio di decenni prima Carlo Battisti, alla voce ormare del DEI, aveva espresso, con più cautela e maggior attenzione ai fatti dialettali, una diversa opinione: ormare . . . seguire le ‘orme’, variante di un *osmāre dal gr. osmáō io iuto, ben documentato nei dialetti (meridion. osemà, settentr. usmár) e nel neolatino occid. (afr. osmer, sp. huesmar, port. husmar), donde il deverb. usma (lomb., trent. e ven.) puzza e il meridion. u(ó)seme. Il passaggio di -sm- a -rm- avrebbe un parallelo in ‘ciurma’. Ma la vasta documentazione di continuatori legittimi di *osmāre con s conservato fa supporre che orma sia da separare da queste voci e da congiungere con gr. hormeˉ´ impulso, partenza, per quanto notevole sia la differenza semantica. Se si confrontano le due brevi trattazioni del problema, emerge dalla prima la volontà di ricondurre orma a un antecedente greco (ojsmhv ‘odore’) che presenta una certa (forse non del tutto convincente) afinità semantica, ma una notevole dificoltà formale (il discusso esito di -sm- greco nei dialetti italiani e forse già nel latino). Tale dificoltà era parsa superabile al D’Ovidio (vd. infra in dettaglio), ma non al Battisti, il quale preferisce rivolgersi a oÔrmhv ‘impulso’, plausibile dal punto di vista formale, non tuttavia da quello semantico.6 Nessuna proposta alternativa è offerta dalle trattazioni di Prati (1951:706), Migliorini—Duro (1958:382), Olivieri (1961:492–493), mentre Devoto—Oli (1990:1295), in una brevissima nota etimologica posta sotto il verbo ormare ‘iutare’, ipotizzano una derivazione da gr. ojsma ¯ v w incro7 ciato con forma. Dobbiamo a questo punto, del tutto lecitamente, interrogarci sulla plausibilità delle ipotesi avanzate dagli studiosi: ogni tappa del percorso ricostruttivo richiede infatti la necessaria veriica che sola toglie l’etimologia dalle nebbie dell’impressionismo per restituirla alla scienza. û3. Ci proponiamo in primo luogo di veriicare la consistenza, la distribuzione e la cronologia del presunto rotacismo che renderebbe plausibile la derivazione di it. orma da gr. ojsmhv, lessema greco continuato d’altro canto nella forma non rotacizzata e panitaliana usma ‘traccia olfattiva lasciata da un animale’.8 6. Un etimo ineccepibile solo per la forma merita di essere preso in considerazione se le ipotesi alternative sono soddisfacenti solo per il signiicato; poiché tuttavia nel presente lavoro si propongono etimi fonistoricamente regolari e con una trai la semantica assai più perspicua di quella che porterebbe da ‘impulso’ a ‘orma’, diventa superluo tentare di valorizzare la derivazione da oÔrmhv. 7. Il rapporto fra verbo e nome non è tuttavia impostato in modo corretto, perché è ormare a derivare da orma, e non viceversa. Anche nel DEI pare fuori luogo la classiicazione di usma come deverbale. 8. Il passaggio da ‘odore’ a ‘traccia odorosa’ è già implicito nel Prometeo Incatenato di Eschilo, dove proprio con il termine ojdmav si indica la ‘fragranza’ che anticipa a Prometeo l’arrivo delle Oceanine (v. 115). 14 Romance Philology, vol. 62, Spring 2008 Meyer-Lübke (1935:501) pone orma e usma sotto una base ricostruita *osmāre. Nei dialetti italoromanzi prevalgono di gran lunga le forme con sibilante, tutte rifacentisi alle accezioni di ‘odore, traccia odorosa’: nap. ose° máre, abruzz. use° má, lomb. üzmá, venez. usmar, friul. uzmá ‘iutare’, ant. fr. osmer, cat. ensumar ‘odorare’, ant. sp. osmar ‘accorgersi’ (mod. husmear), port. husmar ‘iutare’. La loro distribuzione sul territorio si osserva al meglio nella carta AIS III 520, ove troviamo anche (poche) varianti rotacizzate: ‘ha iutato la traccia’ al va drı̄´o. l úrma ..l a se´˛nti l úrma u se´˛nt l ū´rmå (P 336, Ponte nelle Alpi, BL) (P 275, Castiglione d’ Adda, CR) (P 184, Calizzano, SV)9 Per primo il D’Ovidio (1892–1894) e poi anche Rohlfs (1966) hanno richiamato fatti di rotacismo italoromanzo per collegare orma a usma. Il D’Ovidio, in uno scritto riservato all’etimologia di it. scoglio e fonte della voce orma nel DELI (vd. supra), sostiene che sp. chusma e lig. ćusma sono forme più antiche rispetto a it. ciurma ‘equipaggio navale’, proprio come gr. ojsmhv rispetto a it. orma. Secondo lo studioso, infatti, la /r/ di ciurma avrebbe origine da una sibilante contenuta nell’antecedente gr. kε vlεusma ‘ordine, comando, precetto’ “già ridotto a . . . *cleŭ´sma cliŭ´sma” (D’Ovidio 1892–1894:368). Recentemente, tuttavia, Fanciullo (2005) ha sottoposto a una radicale revisione l’etimo di it. ciurma e il preteso raffronto con orma: “il ricorso al passaggio lat. *cleusma → it. ciurma come parallelismo fonetico al passaggio lat. osmāre → it. ormare / orma è uno spiegare obscurum per obscurius” (Fanciullo 2005:137). Lo studioso nega proprio il presunto esito /rm/ da [zm] e propone piuttosto una traila che, a partire da *celeuma, condurrebbe a *ćulma / ćurma e inine a ćusma, con sibilante originata da una laterale, nel quadro delle complesse vicende che riguardano i nessi liquida/sibilante + consonante in tutta l’area affacciata sul Tirreno. Il Rohlfs si muove in una direzione analoga a quella del D’Ovidio, ma con un diverso punto d’appoggio: ponendo osma10 come antecedente del toscano orma, egli richiama esiti liguri del tipo dissná > dirná ‘desinare’ (Rohlfs 1966:382).11 Si tratta, in tutti i casi sopra citati, di rotacismi interni ai dialetti stessi e dunque, in un quadro cronologico tradizionale (non p. es. quello con9. Il VPL (1992:43) raccoglie per la Liguria forme rotacizzate del medesimo termine anche a Loano, Boissano, Osiglia (tutti in provincia di Savona). 10. Tuttavia “osma” non esiste come tale in toscano e sembra quindi un antecedente di orma ricavato ad hoc dal Rohlfs. Altrove nella stessa opera l’illustre studioso considera orma un prestito di età latina: “Le forme go.lfo (ϰovlpoı), po.lpo (poluvpouı) e o.rma (che si ricollega a ojdmovı [sic]) presentano un vocalismo singolare, e già in epoca latinovolgare dovevano essere pronunciate certamente con o. chiusa” (Rohlfs 1966:138). 11. Per la distribuzione sul territorio ligure si rimanda a VPL (1987:19–20). Sulle tracce dell’órma 15 tinuista, in cui si assume che i dialetti siano coevi al latino e vengono perciò ammesse mutuazioni reciproche),12 successivi alla dissoluzione della latinità. Se ne dovrebbe concludere che l’italiano (iorentino/toscano) ha preso il vocabolo dalle aree che presentano forme con rotacismo? Eppure sembra davvero improbabile che orma possa provenire da frange marginali del territorio romanzo centrale quali le province di Belluno, Cremona e Savona. Per quanto riguarda la forma di Ponte nelle Alpi (BL), non è il caso di supporre che si tratti del residuo di un’isoglossa più ampia, perché sia il bellunese arcaico (Tomasi 1983:204) sia il feltrino rustico (Migliorini— Pellegrini 1971:118) attestano ['uzma] senza rotacismo. Per quanto riguarda Castiglione d’Adda, invece, va rilevato che il vicino capoluogo, Cremona, conosce l’opposizione di [ur'ma:] ‘andar dietro alle orme delle prede’ e [uz'ma:] ‘seguire l’odore della preda’ (Peri 1847:402–403). Il vocalismo iniziale non è invece problematico: una forma galloitalica *urma sarebbe toscanizzata normalmente e regolarmente come orma e non come **urma, che a sua volta riletterebbe un galloitalico **ürma, in realtà inesistente, perché tutte le forme con ü hanno [z] senza rotacismo. Resta da considerare il rotacismo dell’area savonese: immaginare un contatto diretto con il toscano, senza alcuna traccia di mediazione genovese, è dificile. Soprattutto, il rotacismo del ligure, diffuso a macchia di leopardo, è un fenomeno tardo: forme del tipo ciusma e del tipo ciurma, per esempio, convivono ino alla ine del Medioevo e oltre (chiurma e chiusma sono entrambi attestati nel 1403 e il secondo è registrato ancora nel 1487; Aprosio 2001:259 e 2002:298). È chiaro dunque che l’ipotesi “romanza” non si concilia con la presupposizione di un prestito avvenuto durante la latinità. Tale presupposizione è del resto indispensabile. Se infatti, come correttamente osservano Cortelazzo e Zolli (i quali tuttavia non ne traggono conclusioni nette), il rum. urmă deriva dal latino, bisogna retrodatare la (presunta) mutuazione dal greco, per l’evidente motivo che *urma doveva esistere in latino prima della separazione genealogica fra il dacorumeno e il resto della Romània. Ciò ci permette anche di stabilire che il timbro della vocale iniziale è proprio /u/ e non /o/, poiché il romeno tiene di regola distinti gli esiti di /u/ e /o:/ latini (Tiktin 1905:25–26; Rosetti et al. 1965:20; Tagliavini 1969:366).13 Si deve allora concludere che il rotacismo della sibilante greca avvenne nel momento dell’ingresso di ojsmhv in latino, oppure che già nel dominio greco esisteva un doppione rotacizzato della parola, poi entrata in territorio italico sotto duplice forma. 12. Per un’esposizione della “Teoria della continuità” cfr. Alinei (1996 e 2000). 13. Ne consegue che il sardo deve essere un italianismo, altrimenti in questa lingua avremmo ˇurma (cfr. DES, s.v.: “òrma . . . probm. = it. orma”). 16 Romance Philology, vol. 62, Spring 2008 La prima ipotesi non sembra sostenibile, poiché il rotacismo latino, avvenuto nel corso del IV sec. a.C., non si dà che in posizione intervocalica o tra semivocale e vocale (Leumann 1963:140–141; Meiser 1998:95–96) e in ogni caso un nesso /sm/ antico postvocalico non si conserva. In latino, infatti, dapprima /sm/ passa a [zm], poi l’allofono [z] cade davanti a /m/, allungando per compenso la vocale precedente (Leumann 1963:160; Biville 1990:334–335). Il fenomeno è visibile all’interno del latino stesso, poiché talvolta “-sm- è ancora presente in attestazioni arcaiche: cfr. dusmo in loco Liv. Andr., fr. 33 Büchner (dusmō per class. dūmō)” (Morani 2000:167). Varrone (de lingua latina 6,76; 7,97) era in grado di citare la forma osmen ‘presagio’ quale antecedente di ōmen, sebbene forse per ricollegare omen a os (OLD, s.v.). Dal IV sec. a.C. in poi i prestiti greci con sm ´ zm(in graia allofonica) si presentano inalterati in qualsiasi posizione allorché vengono assunti in latino: si vedano, a mo’ di esempio (Biville 1990:296, con integrazioni), smaragdus ‘smeraldo’ (Lucrezio), chasma ‘spaccatura del suolo’ e ‘fenomeno meteoritico’ (Seneca, Plinio), poppysma ‘suono schioccante fatto con le labbra’ (Plinio et alii), cosmetes ‘valletto’ (Giovenale), Cosmus ‘nome di un profumiere’ (Giovenale), Smyrna ‘città ionica’ (Varrone et alii). In nessun caso si danno esiti /rm/. Minori problemi crea il vocalismo: qualche esempio di resa /u/ di /o/ greca è attestato, seppure in modo non sistematico, in prossimità di fonemi labiali (struppus ‘cinghia di una portantina o di un remo’ da strovφoı, Biville 1990:176–178; fungus ‘fungo’ da spovgguı id., 98–99). Chiusura di o breve in sillaba iniziale davanti a /r/ seguita da consonante mostra purpura rispetto a porφuvra: ciò sarebbe caratteristico dei prestiti orali e popolari (Biville 1990:152, sebbene con qualche dubbio per questo speciico caso). Data l’inconsistenza di una traila rotacistica interna al latino, non resta che veriicare l’ipotesi di un mutamento avvenuto in greco. Tale possibilità era già prospettata dal D’Ovidio: “v’è luogo a supporre che o certi vocaboli giungessero ai nostri volghi sotto una duplice forma dialettale greca (che non poteva essere il caso di grecismi di più nobile fonte come baptismovı e sim.), o, cosa men probabile, che la esoticità del gruppo sm lo facesse, in parole abbandonate a sé medesime, pericolare dove più dove meno presso i volghi neolatini”. Egli aggiungeva poi, in nota, un esempio a supporto del presunto rotacismo greco: “Noto in ispecie l’elèo kormh`tai = kosmh`tai;14 tanto più importante per noi, in quanto l’Elide è paese marittimo e prospiciente la costa italiana” (D’Ovidio 1892–1894:368 testo e nota 2). Lo studioso si rendeva evidentemente conto delle dificoltà fonetiche legate all’evoluzione di [zm], e tentava pertanto di suggerire anche una 14. L’esempio è tratto da Curtius (1879:453), che lo paragona erroneamente a lat. carmen da ˇ*casmen (in realtà da *canmen). Sulle tracce dell’órma 17 strada alternativa rispetto alla pista dialettale italoromanza, ovvero quella di un mutamento avvenuto nel territorio d’origine del prestito. Dobbiamo allora chiederci quali siano la consistenza, la diffusione e la cronologia del rotacismo greco. In questa lingua il termine che ci interessa compare in due forme, ojdmhv ´ ojsmhv. La prima è quella attestata più anticamente e l’unica usata da Omero; la seconda, di origine attica, deriva da *od-mā (Schwyzer 1953:208)15 oppure da *od-s-mā, in cui tra sillaba radicale e sufissale si inserirebbe una sibilante (Brugmann 1906:251).16 I dialetti greci toccati dal rotacismo sono soprattutto il dorico laconico17 e l’eleo (gruppo occidentale18), con sporadiche attestazioni altrove (vd. poco oltre). In eleo /s/ dà /r/ in ine di parola a prescindere dal contesto fonetico precedente e successivo. In tutti i casi la sibilante continua una sibilante indoeuropea. Il fenomeno è sistematico nella fase recente del dialetto.19 Cinque glosse esichiane testimoniano per il laconico anche rotacismo interno prima di consonante (sorda o sonora), tuttavia, di regola, in posizione interna la sibilante viene assimilata alla consonante che segue (Ahrens 1843:73–74).20 Interessante parrebbe il caso kovrmoı < kovsmoı (analogo a quello citato dal D’Ovidio),21 nel cretese (anch’esso dorico) di Gortina, che presenta però lo svantaggio di una collocazione geograica veramente isolata.22 In ambito ionico, si osserva che nel dialetto di Eretria il rotacismo colpisce il sigma intervocalico, senza rispetto per i conini della parola 15. “Att. ojsmhv für ojdmhv ist wohl formell, wie i[smεn aus i[dmεn” scrive lo studioso, che cita anche numerosi esempi tratti dall’onomastica attica (come “Asmhtoı per “Admhtoı e simili). D’altra parte un termine come oi\dma ‘goniore’, già omerico, è usato nella letteratura attica senza alcun adattamento (forse perché recepito come prestito o perché i è semivocale e quindi il contesto fonetico non sarebbe esattamente lo stesso dei casi precedenti). 16. Molto spesso il sufisso *-mo- è preceduto, in greco, indoiranico, celtico, germanico e baltoslavo, da una /s/ che è probabilmente da intendersi come il resto di un antico tema nominale. 17. Il laconico subirebbe il fenomeno per inlusso dall’eleo a partire dal secondo sec. d. C. (Meister 1889:49–52; Schmitt 1991:58). 18. Per le ripartizioni dialettali greche in macrogruppi si fa qui riferimento a Schmitt (1991:123). 19. Un’indicazione sulla cronologia del fenomeno si ricaverebbe dalla Lisistrata di Aristofane (rappresentata nel 411 a. C.), in cui un personaggio laconico pronuncia palaiovr invece di palaiovı (v. 988), ma si tratta di una varia lectio. Ciò anticiperebbe di molto la datazione dello Schmitt (vd. supra alla nota 17). 20. Si tratta di casi molto limitati; Schmidt (1861:208) cita anche un esempio tratto dal grammatico Teognosto: uÔrmivnh < uÔsmivnh. 21. Cfr. Thumb—Kieckers (1932:158): “ kovrmoı . . . begegnet st. kovsmoı in Gortyn seit dem 3. Jh. (vorher und sonst nur kovsmoı)”. 22. Si dovrebbe pensare a una mutuazione attraverso una delle colonie cretesi di Sicilia, ma vedi oltre per le dificoltà geolinguistiche che comunque permangono in relazione all’areale romanzo. 18 Romance Philology, vol. 62, Spring 2008 (Thumb—Scherer 1959:263–264). Un esempio di /s/ > /r/ prima di consonante sonora (Mivrgoı = Mivsgoı) non è invece ritenuto speciico di tale dialetto (nonostante Buck 1955:57). Il materiale raccolto conferma l’esistenza del rotacismo. Ciò autorizza a supporre che in qualche punto del mondo ellenofono (soprattutto dorico e nord-occidentale) sia esistita una forma ‡ orma ¯ v Éh̄v ma non elimina le seguenti dificoltà: 1) la distribuzione geograica dei fatti dialettali greci rende dificoltoso spiegare la dinamica del prestito. Poiché in italoromanzo le forme mutuate da ojsmhv non presentano rotacismo (tranne le tre eccezioni sopra discusse e l’italiano stesso), l’ipotesi di un prestito diretto dall’eleo al toscano, in mancanza di possibili mediatori attestati, risulta storicamente non credibile. Più verosimilmente, ojrmhv potrebbe essere un laconismo (passato per esempio attraverso Taranto) o un lessema importato dal dialetto di qualche colonia cretese o di Eretria, 23 ma, oltre al già citato ostacolo della mancanza di intermediari con il toscano, resta il fatto che il rotacismo delle zone esaminate non sembra offrire le condizioni fonetiche adatte per il passaggio di /-sm-/ a /-rm-/. 2) Bisognerebbe inoltre ipotizzare che la forma con rotacismo (elea, laconica, cretese o eretriese) sia a sua volta la trasformazione di un atticismo (il passaggio da /dm/ a [zm] è speciicamente attico).24 3) Anche ammettendo che, per qualche motivo (prestigio culturale?), l’attico ojsmhv sia giunto in Eubea, a Creta o in terre più occidentali della Grecia, abbia subito rotacismo e sia approdato in Italia, rimane non veriicato il fatto che nei dialetti in questione il passaggio /s/ > /r/ riguardi anche /s/ generata da */ds/ o */d/ e non continuatrice di semplice */s/ indoeuropeo. Il parallelismo di kovsmoı > kovrmoı con ojsmhv > ojrmhv potrebbe essere quindi solo apparente, poiché in kovsmoı il sigma continua una sibilante indoeuropea (pur se forse preceduta da nasale), 25 mentre così non avviene in ojsmhv. Resta in ogni caso la possibilità teorica che il fenomeno coinvolgesse [z] di qualunque origine. Dal materiale illustrato in qui sembra inevitabile concludere: —che *ŭrma doveva esistere già nel latino anteriormente all’interruzione dei contatti fra il latino da cui si è sviluppato il dacoromeno e il resto della Romània; —che non ha quindi alcun senso richiamare sporadici fatti di rotacismo italoromanzo per sostenere il passaggio da ojsmhv a *ŭrma; 23. Si noti che il dialetto di Eretria non ha inluenzato l’attico, anzi, il rotacismo cessa qui di avere i suoi effetti proprio per inlusso dell’attico (Thumb—Scherer 1959:263). 24. Neppure si può evocare una diretta trasformazione di ojdma ¯ v in orma con rotacismo di dentale tipico dell’osco-umbro, perché esso ha luogo solo fra vocali, né costituisce vera eccezione ařfertur (cfr. da ultimo Meiser 1986:218–222). ` 25. L’etimologia del termine è controversa, ma *k onsmos potrebbe costituire una protoforma accettabile, da confrontarsi con lat. censeo ‘ritengo’ e ant. indiano śam.sati ‘loda’ (Chantraine 1968:570–571). Sulle tracce dell’órma 19 —che le probabilità di collocare tale passaggio all’interno del territorio greco prima che il termine giungesse all’Italia sono piuttosto basse, sia per la mancata corrispondenza dei rotacismi noti con quello in oggetto, sia per l’inverosimiglianza delle dinamiche storiche di mutuazione (che, nonostante il parere del D’Ovidio, rendono poco signiicativa l’adiacenza dell’Elide alle coste dell’Italia Meridionale). û4. Laddove, come si è visto, le soluzioni proposte non abbiano valore cogente, e prestino anzi il ianco a serie critiche, non crediamo inevitabile la rinuncia etimologica, ma piuttosto un cambiamento di prospettiva che permetta di fornire soluzioni credibili, vale a dire pienamente soddisfacenti sul piano dell’espressione e del contenuto nel rispetto del percorso storico-geograico (e possibilmente anche della collocazione diastratica) della parola anetima. Una risposta in tal senso proviene a nostro avviso non dalla romanistica come disciplina in sé conchiusa, ma da un raccordo fra indoeuropeistica e romanistica. Quando la romanistica non è in grado di fornire protoforme di lessemi romanzi, l’indoeuropeistica ne propone spesso più d’una e ci si può anzi trovare nella condizione di surplus etimologico. Nelle trattazioni teoriche concernenti la prassi etimologica risultano tuttavia più frequenti distinguo e dinieghi che non tentativi di comporre in una visione d’assieme le due discipline, sebbene qualche voce si sia levata contro tale frattura. Antoine Meillet (1925), per esempio, inaugurava la Revue de linguistique romane osservando che, data la dificoltà degli studiosi a padroneggiare ambiti vasti e diversi, la continuità diacronica fra epoche predocumentarie e storiche veniva di fatto a trovarsi compartimentata, con generale detrimento per la ricerca. Scopo del Meillet era mostrare che alcuni fenomeni prosodico-accentuali e morfosintattici (accento espiratorio sulla prima sillaba, crollo della declinazione, sviluppo degli ausiliari) costituiscono in realtà un’onda lunga che si estende dalla preistoria del latino ino alle lingue romanze moderne, talché, se si vuole comprendere la vera natura di molti fatti linguistici, occorre spingersi il più indietro possibile, scavalcando il margine ittizio costituito dalla barriera del latino tardo. Sembra lecito trasferire il suggerimento dello studioso francese anche alla ricerca etimologica, pur nella consapevolezza che non solo l’eccessiva specializzazione è un ostacolo, ma anche che la natura stessa dell’oggetto da indagare e degli strumenti d’indagine varia in relazione ai diversi campi (Di Giovine 2001). I lavori di Walter Belardi (1990 e 1993) hanno magistralmente messo in luce la natura della parola indoeuropea come “unità lessematica compiuta e autonoma, composta di segni costituenti modulari di collocabilità sottoposta a regole, ciascun modulo con diverse mansioni, implementato da unità inferiori ordinate serialmente” (Belardi 1993:550). La parola indoeuropea, formata da (almeno) una radice e morfemi lessionali (nel 20 Romance Philology, vol. 62, Spring 2008 caso di nomi radicali), ma assai più frequentemente da una sequenza di (preisso) + radice + sufisso/-i + morfemi lessionali, può essere intesa, nel pensiero dello studioso, come una sorta di microfrase i cui costituenti occupano ciascuno un ruolo ben preciso nella deinizione del signiicato. Ciò è possibile perché, in fase preistorica e unitaria, appaiono ancora pienamente funzionali i principi dell’apofonia (ciascun grado apofonico è collegato a una aspettualità dell’azione espressa dalla radice), e i limiti morfologici di ciascun costituente sono nettamente deiniti, non essendosi ancora veriicati quei fenomeni di deriva fonetica che già dal protoindoeuropeo alle fasi storiche oscurano in gran parte i conini morfematici.26 L’indagine comparatistico-ricostruttiva è etimotetica, parte cioè dalle lingue storiche per compiere un balzo all’indietro dal noto all’ignoto, basandosi per il piano del signiicante sul principio dell’ineccepibilità delle “leggi” fonetiche, per il piano del signiicato su (più labili) principi generali di semantica. Essa giunge a ricostruire in primo luogo radici, ma spesso parole intere (protoforme di equati i quali si corrispondono, belardianamente, modulo per modulo) e non di rado anche frasi (le note formule poetiche indoeuropee). Ben diversi sono i presupposti e i percorsi dell’etimologia romanza, che si suole intendere come una “storia della parola” (o “etimograia”, Alinei 1994:215 ss.) che in genere si arresta all’antecedente latino e dispone dunque (Toso 2006:1733–1734) “di uno stadio anteriore documentato o comunque ricostruibile in maniera attendibile sulla scorta di processi logici poggianti su una solida base empirica”. Ciò “circoscrive i limiti della ricerca etimologica romanza entro conini cronologici oltre i quali il ine della ricerca cambierebbe sostanzialmente, conigurandosi come ‘origine’ ultima che rimane estranea alle preoccupazioni dello studioso, normalmente impegnato a chiarire i rapporti reciproci che intercorrono tra varianti diacroniche e diatopiche attestate o plausibili”. La “storia della parola” è inoltre intrecciata a vicende da deinire volta per volta. Per dirla col Di Giovine (2001:287–288): “se una etimologia indoeuropea in linea di principio non può risultare accettabile ove disattenda, sul versante fonologico, gli sviluppi documentati nella restante parte del lessico (leggi fonetiche e quant’altro), nel caso di una etimologia romanza si può dare tranquillamente l’esempio di un vocabolo che presenti, sul 26. Si intende che qualche modesto fenomeno di aggiustamento fonetico tra diversi morfemi dovette avvenire anche nel protoindoeuropeo: se per esempio una radice terminante in consonante incontra un sufisso iniziante con la stessa consonante, la regola è che il raddoppiamento si scempia. Un altro caso interessante, cui qui si può fare solo un breve cenno, è costituito dalla legge di Bartholomae. Se essa è da postularsi in epoca unitaria (fatto non del tutto paciico), allora un participio passato in *-to- dell’indoeuropeo poteva perdere la sua riconoscibilità se preceduto da radice terminante in sonora aspirata. Si pensi a *drĝh-tó- ‘saldato, issato’, che si mutava in ° *drĝdhó- (da cui il vedico drl.há-), ove né la radice né il sufi sso mantengono più la loro ° ° forma autonoma. Sulle tracce dell’órma 21 piano formale, ‘irregolarità’ di sviluppo notevolissime, spiegabili con una serie di accidenti speciici (analogie, incroci, sviluppi semicolti o colti, discrezioni e concrezioni dell’articolo, oltre ai fenomeni fonosintattici sopra segnalati [effetti dell’accento espiratorio, imprevedibilità del vocalismo atono])”. Più di un secolo di indagini geolinguistiche ha effettivamente dimostrato che, oltre alla indispensabile conoscenza dei fatti dialettali, giocano, nella ricostruzione di etimologie dificili, fattori non formalizzabili quali, per esempio, accostamenti paraetimologici che deformano letteralmente il segno linguistico in base a imprevedibili somiglianze di suono e di senso. Da queste considerazioni muovono le note e talvolta ironiche critiche rivolte dai geolinguisti ai neogrammatici. Non sarà qui il caso di riprendere la questione: è chiaro che un’etimologia circostanziata quale quella romanza (quindi interamente di quota storica), o delle altre grandi aree dialettali eurasiatiche,27 può far conto su strumenti e conoscenze di cui l’etimologia indoeuropea non dispone, tuttavia la ricostruzione di radici come “entità metaisiche” (secondo l’accusa rivolta indipendentemente agli indoeuropeisti da Bartoli 1925:62 e Trubeckoj 1931:161) andrebbe intesa non come un allontanamento della linguistica dalla storia e dai concreti percorsi delle parole, ma piuttosto come tappa inale e culminante del processo ricostruttivo, allorché non si voglia rinunciare a quel livello di astrazione che solo permette di interpretare e uniicare la dispersività del reale. Si potrebbe anzi ribattere ai geolinguisti che troppo spesso essi hanno prodotto etimologie in spregio a qualsiasi regolarità fonetica e in omaggio a principi di motivazione semantica che, dominando su ogni altro fattore, impediscono di fatto ogni istanza formalizzante. La consapevolezza di tali problemi permette di riformulare la domanda iniziale in modo più complesso e insinuante: allorché l’antecedente di un termine italiano non è noto, né alcuno dei percorsi fonetico-semantici proposti resiste a una veriica accurata, perché non pensare all’esistenza di una parola che, “sommersa” per vari motivi nella latinità, è riemersa dopo la dissoluzione di questa? Non sarà qui necessario ricorrere a un etimo prelatino (non vi sono cogenti motivazioni fonetiche, semantiche o areali), ma piuttosto postulare un sinonimo, diastraticamente marcato verso il basso e interno al latino stesso, dell’usuale uestigium. Buon indizio della marcatezza diastratica sono la presenza di orma nel Corpus 27. Si intendono l’area germanica, quella slava e quella indoiranica, sia neoindoaria (il repertorio di Turner 1966 è esplicitamente costruito sul modello del Meyer-Lübke) sia neoiranica (quest’ultima solo più recentemente indagata con gli strumenti della comparatistica: si pensi al prezioso dizionario di Rastorgueva ed Ėdel´man, pubblicato a partire dal 2000, che ricostruisce la forma protoiranica di gruppi di lessemi dialettali imparentati). 22 Romance Philology, vol. 62, Spring 2008 Glossariorum Latinorum (vd. alla nota 3) e di urmă nel latino di Romania, notoriamente di carattere “popolare” (Rosetti 1973:43–44). La plausibilità di una tale proposta discende a nostro avviso da una considerazione con cui lo stesso Belardi apriva il suo contributo del 1993. Sebbene infatti la parola muti sostanzialmente nel passaggio dal protoindoeuropeo alle lingue antiche e soprattutto da queste alle fasi recenti, divenendo da segno modulare segno-etichetta non più trasparente e scomponibile, qualora essa si tramandi, permane una certa continuità del materiale fonico, che è marchio di appartenenza genetica (Belardi 1993:538–539). Proprio in base a questa continuità, la cui traila descriviamo tappa per tappa in termini di “leggi” fonetiche, è possibile ricostruire il percorso di un’unità lessicale dal protoindoeuropeo all’italiano o, in retrospettiva, dall’italiano al protoindoeuropeo. û5. Sappiamo che l’italiano orma può essere ricondotto all’antecedente latino *urma e quest’ultimo al protoindoeuropeo *ur( )-mā (*(H)ur(H)-meh2/4 , in notazione laringalistica). Come si vede, pur nel divario cronologico, il mutamento è minimo e, in particolare, la parte radicale e quella sufissale sono ancora perfettamente riconoscibili (non certo, è ovvio, alla coscienza del parlante, per il quale orma è una stringa fonica arbitrariamente associata al suo signiicato già all’epoca del latino, bensì a quella dello studioso che opera la scomposizione).28 I moduli sono due: una radice e un sufisso primario (ovvero direttamente unito alla radice medesima). I derivati primari hanno carattere molto antico, dato che nelle lingue storiche, per i motivi esposti sopra, le parole si originano piuttosto da processi di derivazione secondaria, terziaria etc. (ed eventualmente anche di preissazione) che non da combinabilità modulare interna: è dunque un prezioso relitto quello che si conserva, quasi inalterato attraverso i millenni, da una fase non attestata ino a una lingua parlata oggi. Per quanto riguarda la parte radicale, il Pokorny ricostruisce molte basi *uer-29 (1959:1150–1166), il cui grado ridotto si presenta come *ur-. ' in totale tredici lemmi *uer-, fra i quali tre sembrano buoni Abbiamo ' candidati per l’etimologia di orma, poiché soddisfano anche i requisiti semantici: 1.*uer- ‘binden, anreihen, aufhängen’, 4.*uer- ‘inden, nehmen’ e ' ' 7.*uer ‘aufreißen, ritzen’. ' Il sufisso *-mo- (femm. *-mā o *-meh ) ha carattere fondamental2/4 e 28. Nel caso di radice set. (*uer - = *(H)uerH-), la traila storico-fonetica sarebbe *ur mā > ' ' di sillaba aperta interna in trisillabo a vocale i *uramā > *urma, con regolare sincope nale lunga (come in palma < *palamā < *plh2emeh2/4 , Beekes 1972:119, nota 4). È invece ° meno probabile un antecedente protolatino *ormā < protoindoeuropeo *ormā o *rmā ° (da radici di struttura *Her(H)-), perché il mutamento */or/ > /ur/, pur attestato in vocaboli latini di sicuro etimo indoeuropeo, sembra circoscritto a contesti fonotattici diversi da quello in esame oppure a varianti non urbane (Meiser 1998:63–64). 29. Non è ammissibile **eur- con due sonanti contigue. ' e e Sulle tracce dell’órma 23 mente passivo-intransitivo (Ronzitti 2006), dunque il sostantivo indoeuropeo signiicherebbe, rispettivamente, ‘ciò che è messo, sta in ila’ (1.), ‘ciò che è trovato’ (4.), ‘ciò che è inciso, scavato (nel terreno)’ (7.).30 Siamo quindi giunti, al prezzo di ricostruire un antecedente non attestato, a ottenere un’etimologia ineccepibile. Non una sola, anzi, ma ben tre, ciascuna con diverso iconimo.31 A 1.*uer- ‘(col)legare, mettere in ila, appendere’ (ricostruita come ' *h2uer- ‘hängen’ in Rix et al. 2001:290 sulla base del greco) viene ricon' dotta una famiglia derivazionale piuttosto numerosa, tra cui segnaliamo gr. xunaivrεtai. xunavptεtai (Hes.),32 albanese varg ‘ila, catena’, lituano orientale vìrtinė ‘fascina’, lituano vorà ‘lunga ila’, russo vereníca ‘id.’, ant. indiano vr° ndá- ‘pila, moltitudine, truppa’, ant. irlandese foirenn ‘fazione, gruppo, schiera’, anglosassone weorn, wearn ‘schiera, moltitudine, truppa’. A 4.*uer- ‘trovare, prendere’ (soltanto ‘trovare’ in Rix et al. 2001:698) ' armeno gerem ‘prendo, catturo’ (inserito tuttavia nella prepertengono cedente famiglia da Olsen 1999:439), gr. εuÔrivskw,33 ant. irlandese fúar (< *ue-ur[h1]-om) ‘ho trovato’. La radice è oggi ricostruita come *ureh1 - (Rix ' per la presenza di forme set (ant. slavo ecclesiastico obrĕ tŭ ‘troet al., ' ibid.) . vai’, lituano randù ‘trovo’ < *urh1nd(h)-oh2 , Beckwith 1994 [1995]:72–73).34 La radice 7.*uer- ‘spaccare,' incidere’ si presenta quasi esclusivamente con ampliamenti, ' ma senza ampliamento (a meno che non sia *uerH-) e con sufisso *-no-, forma albanese varrë ‘ferita’ (tuttavia secondario ' da vras ‘uccidere’ per Orel 1998:515) e russo vorona ‘buco per i remi sulla parte posteriore della nave’, polacco wrona ‘apertura’, ceco vrana ‘id.’. Anche questa radice ha forme set., come farebbe ipotizzare l’esistenza di ant. slavo 30. Ci sembra particolarmente importante poter determinare con una certa verosimiglianza il valore del sufisso e il modello apofonico-accentuale di interazione con la radice, anche in risposta alle già citate critiche di Trubeckoj (1931), per il quale gli indoeuropeisti non avrebbero chiarito il ruolo dell’apofonia nei procedimenti morfofonologici. La larga messe di dati raccolti in Ronzitti (2006) ha permesso di veriicare una certa regolarità e funzionalità di tali procedimenti nella creazione della parola sulla base del vedico, la lingua che strutturalmente mostra di essere più vicina all’indoeuropeo ricostruito. In particolare, l’unione di una radice a grado ridotto con *-mo- (accentato o meno) porta alla creazione di nomi con valore passivo, ovvero “nomi-oggetto”. Nell’ambito della stessa romanistica Malkiel (1988:20 ss.) ha messo in guardia dalla scarsa attitudine a raccordare le discipline morfologiche con quelle etimologiche. 31. Su questo concetto e sui motivi per cui esso è preferibile a “motivazione” cfr. Alinei (1997). 32. Anche sunhvoroı ‘congiunto, coniuge’, tuttavia problematico per la quantità lunga di h (< ā), che non si spiega facilmente. 33. I problemi formali riguardanti tale radice sono piuttosto complessi. In particolare non si dà pienamente conto dello spirito aspro, che potrebbe provenire da una sibilante iniziale. I dizionari etimologici greci preferiscono invero ricorrere all’analogia (l’aspirazione sarebbe secondaria da εÔ lεi§n). Diversamente Taillardat (1960) ha proposto una radice *suer- come variante di *uer-. ' 34. L’apofonia sarebbe dunque di tipo samprasāran.' a, o rovesciato. 24 Romance Philology, vol. 62, Spring 2008 ecclesiastico rana ‘ferita’ da *urō´nā (< uréh3neh2/4 o uróHneh2/4) o urā´nā ' ' ' ' (< uréh2/4neh2/4). 'Il grado ridotto delle forme set suonerebbe quindi *urH- potrebbe . ' dà notizia essere alla base di ant. indiano ūrma-, un derivato di cui non alcun dizionario (neppure Mayrhofer 1956–1980 e 1986–2001), ma riportato dal Vedic Word-Concordance di Vishva Bandhu (1935–1992). Tale derivato risulta attestato solo in Gopatha Brāhman.a I,2,14 = Vaitāna Sūtra XI,5.35 Nella descrizione del terreno adatto alla collocazione di una sepoltura sono citati alcuni elementi del paesaggio: yasya śvabhra ūrmo vr° ks.ah. parvato nadı̄ panthā vā purastāt syāt ‘A oriente del quale [terreno] vi sia un buca, . . . , un albero, una montagna, un iume o un sentiero’. Tentativamente proponiamo la traduzione ‘canale’, che ben si presta a una derivazione da 7.*uer- ‘spaccare, incidere’. ' In una prospettiva diacronica profonda quale quella proposta risultano valorizzate le etimologie radicali e le relazioni fra termini presenti in lingue distanti e imparentate;36 risulta invece ridotto il ricorso al prestito, quando non vi siano motivazioni cogenti.37 L’implementazione di una tabella che esaurisca tutte le possibilità di raffronto è il punto di partenza imprescindibile per più approfondite indagini testuali, che permettano di stabilire quale fra le ipotesi formulate si adatti meglio alle culture e alle tradizioni indoeuropee antiche ed eventualmente (sebbene ciò non sia sempre possibile) al protoindoeuropeo. Questo tipo di indagine (la cosiddetta “ricostruzione linguistica e culturale”) appare più dificile nel caso di orma, cioè di un termine che si trova attestato a quota cronologica tarda in una sola lingua. û6. La posizione di albanese gyurmë ‘orma’ va rideinita in base alle argomentazioni e al metodo che si sono venuti delineando. Il collegamento con it. orma pareva dubbio a Gustav Meyer, che nel suo dizionario etimologico della lingua albanese lamentava alcune dificoltà fonetiche, provando perciò a ipotizzare un intermediario neogreco gou§rma, il quale tuttavia avrebbe dato in albanese una velare pura anziché palatalizzata (Meyer 1891:142). Recentemente Orel (1998:138) ha ricostruito l’immediato antecedente di gyurmë come protoalbanese *surme. Questa 35. Il passo del Vaitāna Sūtra citato da Caland (1896:32) presenta la lezione ūrmo, l’edizione di Garbe, invece, ūs.o (scil. ūs.ah.) ‘terreno salino’. 36. Anche in questi casi si possono tuttavia stabilire gerarchie probabilistiche. Per la parola itt. urki- ‘orma’, che sembrerebbe un buon cognato di orma, fu proposta da Eichner (1973:73) la parentela con ant. indiano vrajati ‘cammina’. La velare ittita farebbe parte quindi della radice e non di un ipotetico sufisso -Ki-. Tale etimologia è statisticamente più probabile perché contiene tre fonemi che si prestano alla comparazione invece che due soli. 37. L’ipotesi della mutuazione greca rimane infatti valida per italorom. usma. In questa sede è anche opportuno un accenno all’etimologia di usta ‘odore lasciato sul terreno dagli animali selvatici’, per il quale sembra sussistere una relazione metonimica con lat. ūstus ‘bruciato’: da ‘ciò che brucia’ all’‘odore di bruciato’, come nel corso ùschju (< ustulu) ‘puzzo di bruciato’ e ‘usta delle iere’. Si vedano DELI 1403 e Battaglia 2002:595). 25 Sulle tracce dell’órma forma, che implica un recostrutto *sr° mo-, viene riallacciata dallo studioso a *sor-mo-, realizzato in ant. indiano sárma- ‘il luire’ e gr. oÔrmhv ‘assalto, attacco’ (da 1.*ser- ‘luire, muoversi violentemente’, Pokorny 1959:909–910), ragion per cui non vi sarebbe necessità di considerare il termine albanese un prestito dal latino. L’ipotesi però vacilla, come già si è visto, per l’evidente divario semantico fra radice e derivato, mentre è ineccepibile per quanto riguarda la ricostruzione fonetica: il protoalbanese *sur- ha infatti esito gyur- (Orel 2000:60–61). Pokorny (1959:909 ss.) raccoglie ben cinque radici *ser-. Se non sembra fondato rivolgersi alla prima per motivi semantici, la quarta, che signiica ‘mettere in ila, annodare’, offre a nostro avviso un buon iconimo per il termine: l’orma come ‘ila, catena (di tracce)’. La forma gyurmë sarebbe così non solo corradicale di lat. series ‘serie’, ma troverebbe anche un equato quasi perfetto nel derivato greco o{rmoı ‘collana, fascia per il collo, fune’ (già nell’Iliade). Si noti la congruenza semantica di questa radice con 1.*uer- ‘binden, ' anreihen, aufhängen’, una delle tre candidate a fornire un’etimologia per it. orma. û7. Si tratta, in ultima analisi, di ripensare alla romanistica in chiave indoeuropeistica (esattamente il percorso contrario a quello intrapreso a suo tempo da Matteo Bartoli o, più recentemente, da Mario Alinei). Tale ripensamento si rivela a nostro avviso fecondo: la mancata attestazione di un lemma può infatti dipendere da fattori totalmente esterni al sistema linguistico. Sappiamo per certo che non tutto il latino ci è giunto: perdite di supporti scritti o incisi e selezione diastratica del lessico hanno contribuito a ridurre il materiale consegnato al mondo romanzo. E se non pare possibile ritenere che tutte le parole romanze di malcerta etimologia risalgano a un antecedente latino (o prelatino) non attestato, di fronte a un’etimologia dificile bisogna ogni volta porsi il problema. Nel caso speciico, sembra onesto concludere che la postulazione di una protoforma indoeuropea nel latino sommerso si presenta più lineare dal punto di vista storico e più motivata sul doppio piano del segno rispetto a tutte le ipotesi inora presentate dai dizionari etimologici. Rosa Ronzitti Università per Stranieri, Siena Abbreviazioni AIS DEI DELI DES OLD VPL Jaberg—Jud 1928–1940 Battisti—Alessio 1950–1957 Cortelazzo—Zolli 1979–1988 Wagner 1957–1964 Glare 1982 Petracco Sicardi et al. 1985–1992 26 Romance Philology, vol. 62, Spring 2008 Opere citate ahrens, henricus ludolfus. 1843. De graecae linguae dialectis. Liber secundus: De dialecto dorica. Gottingae: apud Vandenhoeck et Ruprecht. alinei, mario. 1994. “Trentacinque deinizioni di etimologia, ovvero: il concetto di etimologia rivisitato”. Quaderni di Semantica 30:199–221. ———. 1996. Origini delle lingue d’Europa, 1: La teoria della continuità. Collezione di testi e di studi. 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