ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE
1
Università degli stUdi di Cagliari, FaColtà di ingegneria e arChitettUra, Corso di laUrea in sCienze dell’arChitettUra
Corso di teoria e storia del restaUro, a.a. 2014-2015
ProF.ssa arCh. Caterina giannattasio
tUtor arCh. valentina PintUs
stUdenti: Carlo Corda, alessandro CUCCU, anna Maria irde, andrea lai, CaMilla MasCia, sara PlaCentino, roberta Podda, ManUela serreli, FederiCo serventi, Martina sias, FranCo sPettU
indiCe
Parte i - arCheologia indUstriale
9
introdUzione
13 1 | arCheologia indUstriale
13
17
20
1.1 | Definizione
1.2 | Storia Dell’archeologia inDuStriale
1.3 | normative
27 2 | origine dell’arChitettUra indUstriale
27
28
32
2.1 | il lavoro pre-inDuStriale
2.2 | l’età inDuStriale
2.3 | l’era poSt-inDuStriale
39 3 | l’arCheologia indUstriale nel Mondo
39
40
44
3.1 | archeologia inDuStriale nel panorama internazionale
3.2 | archeologia inDuStriale negli Stati uniti
3.3 | archeologia inDuStriale in europa
53 4 | l’arCheologia indUstriale in italia
53
58
65
68
4.1 | programmazione e geStione Del recupero Delle aree DiSmeSSe in italia
4.2 | norD italia
4.3 | centro
4.4 | SuD
79 5 | l’arCheologia indUstriale in sardegna
79
80
82
5.1 | introDuzione
5.2 | miniera Di montevecchio
5.3 | porto flavia
5
indiCe
Parte ii - Casi di stUdio
89 1 | Forni di CalCinazione
96 1 | Biografia: caStillo e miraS
99 1 | BiBliografia; iconografia; Sitografia
101 2 | Casa del leCtor
107 1 | Biografia: garcia e aBril
109 1 | BiBliografia; iconografia; Sitografia
113 3 | löwenbräU-areal
126 1 | Biografia: gigon e guyer
128 1 | BiBliografia; iconografia; Sitografia
131 4 | bötzow braUerei
143 1 | Biografia: chipperfielD
146 1 | BiBliografia; iconografia; Sitografia
149 5 | Città delle CUltUre
159|1 | Biografia: chipperfielD
162|1 | BiBliografia; iconografia; Sitografia
165 6 | benetton stUdios
175|1 | Biografia: afra e toBia Scarpa; DaviD zannor.
177|1 | BiBliografia; iconografia; Sitografia
6
7
8
introdUzione
Il lavoro di analisi e ricerca svolto in questi mesi, e raccolto
in questo libro, intende descrivere per larghe sentenze la
nascita e gli odierni sviluppi dell’archeologia industriale,
gli aspetti normativi e architettonici per inserire deinitivamente questa disciplina come tematica essenziale
dell’architettura contemporanea.
E’ dificile dare una deinizione completa di archeologia
industriale: sarebbe solo parzialmente corretto deinirla
come disciplina che si occupa di riscoprire e catalogare
gli impianti industriali, intesi come testimoni degli
avvenimenti economici, storici e sociali che son andati a
modiicare i vari paesaggi urbani e rurali.
L’archeologia industriale o meglio, gli architetti, ingegneri,
archeologi e gli amanti di questa disciplina, hanno
soprattutto l’obbiettivo di valorizzazione e di riusare questi
complessi, talora imponenti e abbandonati a loro stessi.
Riscontrata l’impossibilità di deinire l’esatto campo di
studio di questa disciplina, ne consegue che la stessa impossibilità, è valida nel caso in cui si provi ad esplicitare
anche una data di nascita.
Ne è emblema l’Arsenale di Venezia, che deve il suo
nome all’arabo daras-sina’ah, letteralmente casa
d’industria o casa del mestiere, nato prima del XII secolo
ma rifunzionalizzato, riorganizzato e restaurato nel corso
del tempo, e in funzione sino ad oggi.
A partire dalla ine degli anni Settanta, con la ine dell’era
industriale, si iniziò a pensare di recuperare questi
impianti, non solo per questioni economiche, ma anche
per la prima questioni ambientali. Queste aree son così
diventate vere e proprie “oficine di sperimentazione” sia
per gli architetti-restauratori, sia per le persone che
vivono questi spazi.
Di certo tutt’oggi la fabbrica rimane uno dei grandi
soggetti del moderno, nonostante si parli paradossalmente di fabbrica del terziario, nascondendo al proprio
interno l’industria e incorporando i servizi. Gli insediamenti
industriali storici vengono posti all’attenzione delle
comunità come veri monumenti dell’uomo, insostituibile
da altre fonti.
Alcuni dei principali caratteri guida, alla base di questi
recuperi, son proprio la riqualiicazione architettonica,
l’impatto ambientale e la sostenibilità economica,
ottenuti dall’integrazione degli stabilimenti industriali nei
tessuti urbani limitroi, per ridisegnare la città in termini
qualitativamente migliori. Queste tematiche son le
fondamenta della nostra ricerca per indirizzare i lettori
verso nuovi punti di vista e nuove argomentazioni sulle
quali rilettere. Per ottenere questo prezioso lavoro
abbiamo portato avanti una ricerca bibliograica,
iconograica e sitograica, che ispezionasse qualsiasi
ambito riguardasse l’industria, come simbolo del lavoro,
di una cultura, di un’epoca.
Il nostro contributo vorrebbe tendere ad un miglior coordinamento delle conoscenze nei confronti di determinate
strutture industriali, proprio per l’esigenza di vivere e
condividere il comune scenario futuro.
Buona lettura.
9
10
Parte i - arCheologia indUstriale
12
1 | arCheologia indUstriale
1.1 deFinizione
Il termine “archeologia industriale” fu coniato nei primi
anni cinquanta da Donald Dudley, allora direttore del dipartimento extra-mural e successivamente professore di
latino dell’Università di Birmingham.
Per quanto egli non si deinisse un “archeologo industriale”, tuttavia suggerì che forse valeva la pena di indagare
sulle possibilità accademiche e pratiche di quel che egli
aveva ribattezzato archeologia industriale.
Michael Rix1, collega di Dudley, scrisse nel 1955 un articolo per The Amateur Historian, nel quale non fece un vero
e proprio tentativo di deinire questa materia, ma puntualizzò che i suoi interessi si focalizzavano principalmente su materiali del diciottesimo e diciannovesimo secolo
(ad esempio macchine a vapore, locomotive, i primi ediici di cemento armato, i primi tentativi di costruzione di
ferrovie, dighe e canali). Riteneva che tutto ciò fosse un
campo nuovo e interessante da esplorare.
In Italia l’iniziatore del dibattito fu Karl Marx con la sua
deinizione di “grande industria”2.
Si discute in sostanza, se l’Archeologia Industriale debba
limitare la propria indagine esclusivamente all’ambito
temporale della Rivoluzione Industriale (Archeologia
dell’Industria), ovvero se sia lecito indagare anche
sull’età delle manifatture (Archeologia Industriale), risalendo così nel tempo anche alle più remote manifestazioni del lavoro umano3.
Kenneth Hudson invece non era pienamente d’accordo
sul fatto che l’archeologia industriale dovesse incentrarsi
esclusivamente sui monumenti della Rivoluzione industriale. All’epoca, appoggiò la tesi sostenuta da O. G. S.
Crawford, fondatore e primo editore della rivista Antiquity4, il quale sosteneva che “l’archeologia non è che il
tempo passato dell’antropologia. Lo sviluppo della cultura umana nel tempo è il suo oggetto”5.
fig. 1 | ganD (Belgio), houSe SanDerSwal, architecten De vylDer vinck taillieu
13
Nella terza edizione del suo lavoro World Industrial Archeology: a New Introduction, Hudson avanzò l’ipotesi che
l’archeologia industriale in Gran Bretagna fosse passata
per due fasi di sviluppo, e che stesse entrando in una terza.
La prima fase, terminata circa nel 1960, aveva visto un
“piccolo gruppo di pionieri” sensibilizzare l’opinione pubblica sulla scomparsa rapida di macchinari e di ediici
che rappresentavano la storia dell’industria britannica.
La seconda fase, che va dagli anni sessanta ai primi anni
settanta, vide alcuni gruppi di dilettanti che facevano
dell’archeologia industriale una sorta di hobby, la creazione di un ‘Registro Nazionale dei Monumenti Industriali’
e inine la crescita dell’interesse riguardo la materia presso gli ambienti accademici. La terza nasceva inine dal
chiedersi cosa avessero signiicato le prime due fasi, e
quindi nell’interrogarsi sulla reale importanza e consistenza di questo campo sempre più vasto.
Hudson sottolinea come inizialmente l’archeologia industriale fosse un accumulare oggetti, privo di speculazione. Come se, davanti alla rovina incombente e alla distruzione, a possibili incendi, si fosse reso necessario
salvare tutto ciò che rimaneva come testimonianza
dell’industria, ma senza interrogarsi realmente sul perché
valesse la pena fare ciò. La rivista Industrial Archaeology
Review6, succeduta alla Industrial Archaeology, iniziò il
suo operato nel 1976, ma fu da subito attaccata in una
recensione di Philip Riden apparsa sul Times Literary Supplement7 (14 gennaio 1977).
Riden aveva deinito l’archeologia industriale come “un
informe ammasso di oggetti accatastati su oggetti senza
criterio e ordine”. Non la pensava così il Dr. R. A. Buchanan, che al contrario manifestava un maggiore ottimismo rispetto all’interesse verso questa disciplina:
« l’archeologia industriale è un campo di studi che si interessa all’investigazione, dell’esame, della catalogazione
e, in alcuni casi, della conservazione dei monumenti industriali. Essa mira altresì a collocare il signiicato di questi
monumenti nel contesto della storia sociale e tecnologica».8
Neil Cossons9, insiste sull’importanza di evitare di deinire
in maniera troppo severa una materia così nuova: sarà il
tempo a deinire i conini dell’archeologia industriale.
Egli afferma che l’archeologia industriale deve essere inserita in un contesto culturale adeguato, e non deve fare
capo solamente al diciottesimo e diciannovesimo secolo. Successivamente la limitazione fu separata e gli studi
estesi anche ai secoli immediatamente precedenti.
fig. 2 | maiolati Spontini (an), BiBlioteca effemme 23, anna Sernazzareno petrini
retti,
14
dibattito teMPorale |Anche in Italia si discute quindi se si
debba limitare l’indagine esclusivamente all’ambito
temporale della Rivoluzione Industriale, alla cui posizione
sembrano aderire gli studiosi di ispirazione gramsciana. Ci
si chiede se sia lecito indagare anche sull’età delle manifatture, risalendo così nel tempo anche alle più remote
manifestazioni del lavoro umano, e prescindere dal momento della conlittualità di classe come fattore storiograico.
Si può parlare di “prodotto industriale” e di “industria”
solo in presenza di un determinato processo produttivo
con con precise caratteristiche economiche e tecnologiche, nelle quali emergono i rapporti di forza esistenti fra
le componenti sociali della produzione
E’ questo il periodo, ancora oggi, che si predilige nell’indagine, sia in Italia che altrove in Europa, piuttosto che
l’età della produzione artigiana e del mercantilismo, nella quale assisteremo peraltro alla prima organizzazione
proto-capitalistica delle manifatture cittadine e rurali.
In deinitiva manifattura e industria hanno signiicati distinti, che andrebbero utilizzati con cautela poiché sottendono modi di produzione antitetici.
La manifattura è tipica dell’assetto economico e politico
dell’ancien régime, è tipicamente lavoro artigianale e
cottimismo, prodotto con caratteristiche di unicità ed irripetibilità.
L’industria è tipica del mondo contemporaneo: si basa
sulla divisione del lavoro e i salariati sono asserviti alle
macchine, il prodotto è di tipo seriale, è la base del capitalismo avanzato e le conlittualità di classe.
Non ci si deve però ancorare all’esatto signiicato delle
parole, perché ciò contrasta innanzitutto con la stessa
deinizione di Archeologia Industriale, la quale è di per sé
una contraddizione in termini; ma è soprattutto inaccettabile sul piano storiograico perché per il solo fatto di
avere nella deinizione il termine “industria” si tende a generalizzare cronologicamente il fenomeno, che invece è
diversiicato sia per ambiti geograici che culturali e sociali.
Hudson portò avanti, in questo clima di controversie tra
dilettanti e accademici, nel 1976, una vera e propria indagine, attraverso un questionario sottoposto all’attenzione dei più eminenti archeologi britannici del mondo
preistorico, romano e medioevale. Undici dei diciotto interpellati risposero positivamente alla domanda “Prende
sul serio l’archeologia industriale”, due negativamente.
Vengono poste questioni diverse nelle loro risposte, come
ad esempio il fatto che l’architettura industriale avesse
bisogno di essere rideinita e organizzata. Rimangono ed
emergono due punti fermi: la convinzione generale che
l’archeologia industriale abbia fatto molto per portare
l’attenzione sulla “storia dell’industria” e il fatto che nessuno sappia collocare, dal punto di vista accademico,
l’archeologia industriale.
fig. 3 | riccione, recupero ex fornace, pietro carlo pellegrini
15
dibattito lingUistiCo |Un’altra delle dificoltà da affrontare era quella linguistica secondo Hudson, in quanto il
termine “archeologia” è stato sempre identiicato con la
parola “scavo”.
Michael Rix nel 1967 sosteneva già che i termini “archeologia” e “industria” fossero apparentemente contraddittori: il primo termine rimanda ad un’antichità che affonda le sue radici nella notte dei tempi, il secondo rinvia,
invece, ad un processo tutto interno alla modernità che
ha investito e modiicato profondamente l’Europa e l’America del Nord, con sempre più ampie propaggini in
America latina, in Asia, in Oceania e in alcune porzioni
dell’Africa. Sembrava quasi che i due lemmi non riuscissero a stare assieme e le suggestioni che essi evocavano
apparivano avere un ruolo solo nel breve periodo, come
strumento propagandistico utilizzato per proteggere i resti della rivoluzione industriale. Le cose non sono andate
così: il campo disciplinare ha retto alla prova del tempo
e si è progressivamente esteso a buona parte dei paesi
del mondo10.
fig. 4 | Stoccolma, octapharma Brewery, Joliark
16
Le tecniche e le pratiche dell’archeologo dell’età della
pietra non appartengono all’archeologo industriale, per
questo è dificile far affermare tale riconoscimento. L’archeologo industriale non deve scavare, e ripulire i reperti,
catalogarli secondo le età sottoponendoli a una serie di
prove di laboratorio. Bensì, l’archeologo industriale ha il
compito di intervistare chi ha lavorato in quei luoghi,
chi ha guadagnato da vivere utilizzando i primi macchinari utilizzati. Si serve di fotograie, disegni, analisi scritte
per documentare strutture che ancora esistono, e ne
analizza i materiali e le tecnologie di funzionamento.
Queste operazioni specialistiche sono importanti quanto
il lavoro di scavo più tradizionale dell’archeologia ino ad
allora conosciuta e concepita come tale. Hudson afferma che il processo di ricostruzione delle condizioni di lavoro di una fabbrica, partendo da ciò che rimane di
essa, è essenzialmente identico alla ricostruzione della
vita di una comunità preistorica.
Fino ad oggi, l’Archeologia è sempre stata considerata
come “scienza del passato” e si è identiicata con lo studio delle “antichità” e dello sviluppo della cultura umana
nel tempo. Recentemente, infatti, si tende ad identiicare la ricerca archeologica nel recupero delle testimonianze materiali del tempo trascorso (che può essere sia
recente che remoto), con la possibilità di interagire con
altre discipline.
La disciplina risulta, in questo modo, al centro di molteplici interessi. Questo è il signiicato che oggi assume la deinizione di Archeologia Industriale. Alla base del lavoro
dell’archeologo dell’industria vi sono lo studio comparato dei resti materiali, della catalogazione dell’esistente, le
istanze di conservazione.
In conclusione, si può affermare che « oggi l’Archeologia
Industriale è vista come una sorta di scintillante “crocevia
intellettuale” alla frontiera di discipline diverse, nella consapevolezza che il “fatto industriale” (come il “fatto archeologico”) è soprattutto conseguenza di un rapporto
fra uomini, fra classi sociali e che dallo studio dei dati materiali si possa derivare una migliore comprensione dei
dati antropologici»11.
1.2 storia dell’arCheologia indUstriale
L’archeologia industriale, intesa come disciplina afine
all’archeologia classica, nasce con notevole ritardo rispetto a quest’ultima essendo rivolta allo studio di un patrimonio di recentissima creazione. Unici punti in comune
tra questo dominio e l’archeologia classica sono il carattere interdisciplinare ed il metodo investigativo, che sottintende un legame tra storia sociale, storia economica e
tecnologica.
Il termine nella sua accezione attuale è stato coniato nei
primi anni cinquanta da Donald Dudley, professore di latino all’Università di Birmingham, ma è stato grazie a Michael Rix che nel 1955, attraverso la pubblicazione di un
articolo sulla rivista “The Amateur Historian”, l’archeologia industriale viene consacrata come disciplina.
È stato proprio il lavoro di Rix a muovere per la prima volta la sensibilità nazionale verso questo campo, ottenendo come risultato la formulazione di standard di documentazione e protezione del patrimonio industriale da
parte del Council for British Archaeology, nel 1959.
Il riconoscimento uficiale della disciplina è quindi relativamente recente, ma possiamo far risalire l’archeologia
industriale alla ine del XVIII secolo, ovvero alla fondazione nel 1794 del primo museo della tecnologia al mondo,
il Conservatoire des arts et métiers12 di Parigi.
Bisognerà aspettare un secolo prima che l’interesse del
grande pubblico si rivolga alla protezione del patrimonio
industriale: ovvero nel 1891, con la fondazione del museo
Skansen13 a Stoccolma, primo museo all’aria aperta al
mondo, voluto dal sociologo svedese Arthur Hazelius.
L’archeologia industriale ricevette una nuova pulsione
nel 1903, con l’istituzione del Deutsches Museum, a Monaco di Baviera, oggi il più grande museo di scienza e
tecnologia al mondo. È a partire dal primo decennio del
novecento che cominciano a vedersi i primi musei installati in vecchi complessi industriali. Ad esempio, tra 1903 e
1906, una delle fonderie Rademacher venne trasformata
in museo a Eskilstuna, in Svezia.
fig. 6 | eSkilStuna, fonDeria raDemacher
Il rapido sviluppo tecnologico e le distruzioni causate dalla Prima guerra mondiale permetteranno, tra anni Venti
e Trenta, lo stabilirsi di nuove realtà museali rivolte all’industria. Successivamente, le devastazioni causate dalla
Seconda guerra mondiale comporteranno uno sforzo
senza precedenti rivolto alla conservazione degli ediici
industriali. La più importante di queste realizzazioni è rappresentata dalla fondazione dello Ironbridge Gorge Museum Trust, nel 1968, nella vallata della Severn (Shropshire), con i centri di Coalbrookdale ed Ironbridge. Di
uguale importanza sul piano internazionale è che, nel
1973, il primo congresso di archeologia industriale si tenga proprio a Ironbridge Gorge14 .
fig. 5 | pariS, conServatoire national DeS artS et metierS
17
Il secondo incontro di questo tipo si terrà nel 1975 a Bochum. L’incontro avviene poco dopo un importante intervento di salvaguardia del patrimonio archeologico
con lo spostamento del pozzo minerario Germinia di
Dortmund, alto 68 metri. Il pozzo è stato situato sopra l’entrata del museo minerario di Bochum e può essere visto a
chilometri di distanza.
Oggi questo monumentale resto dell’era industriale è
rappresentativo non solo del museo minerario di Bochum, uno dei più importanti d’Europa, ma dell’intero
patrimonio industriale europeo. La conservazione di questo ediicio, costruito negli anni Trenta, illustra un altro
aspetto importante dell’archeologia industriale contemporanea: l’interesse rivolto ad ediici di un passato recente, che sono in un certo senso dei monumenti all’avvenire, alla modernità.
L’importanza acquisita dall’archeologia industriale in
certi paesi è dimostrata, ad esempio, dalla fabbrica di
carta di Frövifors in Svezia, presentata al terzo Congresso
di archeologia industriale di Stoccolma nel 1978. L’intervento riguardava la protezione di un laboratorio di considerevoli dimensioni contenente macchinari d’inizio secolo, per effettuare uno studio sui metodi e le condizioni di
lavoro.
Un altro importante Congresso dell’archeologia industriale si è tenuto in Francia, a Lione e Grenoble, nel 1981.
È stata l’occasione per osservare sul posto i risultati del
progetto Le Creusot. Questo centro dell’industria pesante francese fondato nel 1782 e ripreso in mano dalla famiglia Schneider nel 1837 è stato successivamente chiuso nel 1960. Quattordici anni più tardi, viene uficialmente
inaugurato l’Écomusée15, che è stato destinato alla raccolta di documentazione e alla presentazione d’oggetti
che mostrano l’evoluzione dell’importanza di questo settore industriale.
Gli anni ’80 segnano, con l’ediicazione di un’importante
opera, l’aumentare di interesse da parte del pubblico
verso la disciplina: un nuovo museo di scienze e tecnologie, completato nel 1985 al Parco de la Villette16 a Parigi,
copre una supericie di quarantamila metri quadrati,
dove sono esposti oggetti relativi a una diversissima
quantità di industrie, da quella aerospaziale a quelle alimentari e dell’intrattenimento.
fig. 7 | parigi, parco De la villette
fig. 8 | grenoBle, le creuSot
18
I monumenti industriali degli stati dell’Est europeo occupano una un posto di particolare rilievo nell’ambito
dell’archeologia industriale. La Polonia, che fu tra le prima ad adottare una legislazione per tutelare gli oggetti
“tecnologici e culturali”, ci offre un esempio originale di
conservazione dei siti industriali storici che consiste nel far
coesistere museo e produzione economica. L’antica
fabbrica tessile Fiedler d’Opatowek17, presso Kalisz, è stata trasformata in museo di storia industriale, ma in un’ala
dell’ediicio è stata rilanciata la produzione tessile. Usan-
do i macchinari antichi, vi si fabbricano certi tipi di tweed18.
È interessante notare come per certe fabbriche si sia
adoperato un approccio di restauro stilistico, con ediici
industriali che, in nome della loro importanza storica o
estetica, sono stati ricostruiti o parzialmente ricostruiti.
Uno degli esempi più eclatanti è quello della fonderia di
Sayn, in Germania, costruita nel 1830, la cui facciata principale è stata ricostruita nel 1980-’81.
fig. 9 | Sayn, fonDeria
19
1.3 norMative
Conseguenza diretta del nuovo atteggiamento nei confronti del passato industriale è stata l’applicazione della
legislazione corrente per la salvaguardia delle opere
d’arte - D.Lgs 42/200419 - anche ai monumenti industriali.
Per “monumento industriale” si intenda «(…) qualunque
ediicio o altra struttura issa, specialmente del periodo
della rivoluzione industriale, che in sé o associato a impianti o strutture illustra l’inizio e lo sviluppo di processi tecnici e industriali, compresi i mezzi di comunicazione»20.
Simultaneamente si è sviluppato un sistema di catalogazione inalizzato alla conservazione dei monumenti industriali.
Di seguito si riporta la Deinizione di patrimonio culturale
(Art.2. comma 1-2-3-4 del Codice Urbani dei Beni Culturali D.Lgs 42/2004 )21:
1. Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e
dai beni paesaggistici.
2. Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 1022, e 1123, presentano interesse artistico,
storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e
bibliograico e le altre cose individuate dalla legge o in
base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.
3. Sono beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati
all’Articolo 13424, costituenti espressione dei valori storici,
culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli
altri beni individuati dalla legge o in base alla legge.
4. I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e sempre
che non vi ostino ragioni di tutela.
I beni culturali della civiltà industriale vanno considerati in
relazione al loro speciico spazio, tempo e contesto culturale e paesaggistico: difatti il bene archeo-industriale è
strettamente legato al suo territorio. La sostenibilità e attuazione degli interventi sono inluenzate da problemi di
tipo ambientale, economico e normativo. Per lo sviluppo
sostenibile si dovrà quindi ricercare un equilibrio tra questi
fattori. È quindi essenziale tener conto della collocazione
ambientale e territoriale di un bene archeo-industriale
per poterlo valutare, catalogare, tutelare e conservare
correttamente.
20
In concomitanza con questa maggiore attenzione verso
il patrimonio archeo-industriale si assistette alla nascita e
allo sviluppo di un sistema di catalogazione dei monumenti industriali, strumento essenziale per la tutela, la gestione e la valorizzazione del patrimonio industriale. Ogni
azione verso il patrimonio culturale, infatti, può essere
messa in atto in modo corretto soltanto tramite la raccolta di dati conoscitivi attendibili.
In Italia l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) ha promosso una prassi di rilessione metodologica volta alla valorizzazione del patrimonio culturale, che vede nella catalogazione un momento
importantissimo per deinire l’identità e la valenza dei
beni, ponendoli nel contesto di relazioni storiche, logiche
e spaziali che li hanno portati al loro stato attuale.
La catalogazione non si presenta esclusivamente come
mera rilevazione dell’esistente in quanto realtà tangibile
concretamente, bensì come supporto per la “conservazione della memoria” che ha come ine la trasmissibilità
al futuro.
All’interno della catalogazione, importanza primaria ha
l’impostazione multidisciplinare: le informazioni risultano
utili se si indentiica un unico insieme di dati integrabile
con fonti esterne.
Per una corretta catalogazione del bene archeo-industriale e delle relazioni che esso ha con le componenti
ambientali, si deve predisporre una approfondita e articolata campagna di raccolta dati. Essa si sviluppa in due
diverse fasi: in un primo momento si raccolgono informazioni di base che riguardano i siti di riferimento, fornite da
Enti locali, regionali e nazionali; in un secondo momento
si eseguono delle campagne di rilievi diretti sul terreno
esaminato. Gli Enti coinvolti nel governo del territorio forniscono dati in qualche modo collegati alle problematiche ambientali: ad esempio georeferenziazione del sito,
descrizione isica e tipologica, descrizione stato di inquinamento.
Le indagini analitico-conoscitive condotte su molti siti dismessi mettono in evidenza una compromissione della
qualità del suolo che spesso impedisce lo sviluppo delle
funzioni che questo dovrebbe svolgere, e solo in alcuni
casi gli interventi di ripristino ambientale riducono i danni:
di frequente permettono solo un recupero parziale della
funzionalità del suolo.
Gli scenari di contesto del bene archeo-industriale, conseguentemente a tali considerazioni, sono:
- siti potenzialmente contaminati: aree nelle quali si ipotizza un’alterazione delle caratteristiche del suolo e delle
acque da parte di agenti inquinanti; comprende aree
produttive che possono aver subito un inquinamento del
suolo o delle acque sotterranee, ad esempio utilizzate
come trattamento riiuti;
- siti effettivamente contaminati: aree in cui è stata accertata un’alterazione delle caratteristiche del suolo e
delle acque da parte di un agente inquinante presente
in concentrazioni superiori ai limiti stabiliti25, ad esempio
aree industriali attive;
- siti industriali dismessi: aree a più alto rischio per la contaminazione del suolo, per esempio vecchi stabilimenti
industriali, che al loro interno avevano zone in cui venivano accatastati scarti e riiuti del ciclo di produzione;
- siti boniicati: dove per boniica si intenda «ogni intervento di rimozione della fonte inquinante e di quanto
dalla stessa contaminato, ino al raggiungimento dei valori limite conformi all’utilizzo dell’area»26.
Questi contesti necessitano di differenti modalità di analisi e intervento.
Il D.M. del 25 ottobre 1999, n47127 deinisce gli elementi
necessari per la caratterizzazione del sito contaminato.
Questi sono relativi alla raccolta dei dati e delle informazioni esistenti (tipologia del sito, mappatura dell’area e
localizzazione del sito, planimetria di ediici e impianti
produttivi, tipo di dismissione dell’ediicio) e all’organizzazione della documentazione, che deve corrispondere ai
criteri e gli elaborati richiesti per la redazione del Piano
della caratterizzazione. La descrizione delle condizioni
del sito deve essere adeguatamente dettagliata afinché sia possibile stabilire i possibili effetti dell’attività svolta in precedenza e individuare le possibili fonti di contaminazione, le sostanze contaminanti e la relativa tossicità.
Le aree costituiscono un’importante risorsa urbana, strategica per la collocazione, una notevole risorsa economica, per il processo di trasformazione della produzione
di beni, ma anche una stimolante risorsa progettuale. Tali
siti, afinché rimangano emittenti di identiicazione culturale, non solo devono durare, ma devono anche rimanere attivi, ovvero mantenersi in relazione con gli uomini.
Perché ciò avvenga ciò, bisogna far sì che si predisponga un’attività che esprima una funzione neoproduttiva, e
quindi di reinserire attivamente i beni all’interno del lusso
del cambiamento sociale. Le occasioni di sviluppo sono
legate al riuso delle aree; la trasformazione e la valorizzazione di queste aree vede coinvolti sia soggetti pubblici
come regioni, province, comuni, sia soggetti privati.
Le caratteristiche isiche, strutturali, economiche del sito
ne determinano l’attitudine alla riqualiicazione.
Sulla base della potenzialità i siti si possono distinguere in:
-siti con potenzialità di trasformazione di tipo paesistico o
ambientale;
-siti con potenzialità di trasformazione legata alla produzioni di beni e/o servizi di natura pubblica;
-siti con potenzialità di trasformazione legata ad attività a
reddito.
Per analizzare un sito industriale dismesso, e conseguentemente per valutarne la potenzialità ad essere oggetto
di interventi di valorizzazione, è necessario tenere in conto non solo gli aspetti di natura tecnico-ingegneristica
legati al tipo di inquinamento e alle possibili tipologie di
boniica, ma anche aspetti collegati a temi paesistici-ambientali, urbanistici, ecologici e socio-economici,
per mettere in luce tutti gli elementi strategici rilevanti.
Questi dati sono essenziali per analizzare e conseguentemente ricostruire le relazioni esistenti tra Bene archeo-industriale e gli altri elementi (naturali e/o artiiciali) presenti nel territorio. È proprio nella correttezza delle
informazioni che si basa il successo di un progetto di catalogazione. L’approccio di tipo conoscitivo deve essere
volto non solo agli aspetti ambientali o ai fattori di rischio
dei siti contaminati, ma anche alle potenzialit di trasformazione alla luce dei possibili usi.
21
note
1
M. RIX, Historical Archeology, London, The Historical Association, 1967, in A. NEGRI (a cura di), L’archeologia in-
pubblicata a Londra dalla News International, una sussidiaria della News Corporation.
dustriale, Messina-Firenze, 1978, pp. 114-120.
8
2
Come attività collettiva organizzata intorno a materiali
da trasformare in vista di un certo uso, essa esiste in
dall’antichità; l’estrazione di minerali e la costruzione di
ediici, per esempio, sono forme antichissime di industria
basate quasi esclusivamente sul lavoro degli schiavi e
sull’uso di macchine molto semplici (mulini ad acqua, argani, ecc.) o di strumenti di lavoro individuali. Per questo
Marx, criticando le considerazioni ideologiche sui rapporti tra uomo e natura, poteva affermare che «la celeberrima unità dell’uomo con la natura è sempre esistita
nell’industria». Qui infatti l’uomo attraverso il lavoro conosce, utilizza e modiica forze e materiali naturali. Ma è con
l’introduzione di «macchinari», cioè di un insieme comprendente la macchina motrice, il meccanismo di trasmissione, la macchina utensile o operatrice, che sorge
quella che Marx chiama la «grande industria», l’industria
moderna, erede della manifattura.
3
G. E. RUBINO, Industrialismo e archeologia industriale.
Riepilogo metodologico, 1993.
4
Antiquity è una rivista peer-reviewed di archeologia
mondiale. Fondata da O.G.S. Crawford nel 1927 , la rivista riporta le nuove ricerche archeologiche, il metodo e
le questioni di rilevanza internazionale in un linguaggio
semplice ad un ampio numero di lettori accademici e
professionali.
5
K. HUDSON, World Industrial Archeology, Cambridge,
1979.
R.A. BUCHANAN, Industrial Archeology, London, 1974,
p.20.
9
Neil Cossons è uno dei più eminenti archeologi industriali della Gran Bretagna, direttore dello Ironbridge Gorge
Museum Trust.
10
Al XII congresso mondiale del TICCIH, l’organizzazione
internazionale che raggruppa gli studiosi d’archeologia
industriale di tutto il mondo, tenutosi a Terni nel settembre
2006, erano presenti 450 partecipanti provenienti da 39
paesi del mondo.
11
G. E. RUBINO, Industrialismo e archeologia industriale.
Riepilogo metodologico, 1993, p. 5
12
Fondato dall’abbate Henri Grégoire a Parigi il 10 ottobre 1794, il Conservatoire des arts et métiers nasce con
l’intento di perfezionare l’apparato industriale nazionale,
istituendo una scuola d’ingegneria a vocazione multidisciplinare.
13
Lo Skansen è un museo all’aria aperta che espone una
miniatura dell’intera Svezia, dal caratteristico villaggio
lappone dell’estremo nord al tipico podere della regione
Scania.
14
Ironbridge Gorge è una delle comunità che, aggregate, forma la new town di Tellfort. Deve il suo nome alla
prima architettura di ferro della storia, l’Ironbridge.
15
6
Industrial Archaeology Review è la rivista dell’ Association for Industrial Archaeology. Viene pubblicato due volte l’anno; il tema comune dei suoi contenuti è la testimonianza di attività industriali superstiti.
Istituito a Ungersheim (Alto-Reno), l’Écomusée d’Alsace
apre al pubblico il primo giugno 1984; è stato inaugurato
poco dopo dall’allora Ministro della Cultura M. Jack
Lang.
Situato nel XIX arrondissement di Parigi, il parco de La
Villette è stato realizzato nel 1979 sul sito dei grandi mattatoi de La Villette, distrutti nel 1974. Il parco s’inserisce in
16
7
The Times Literary Supplement (o TLS, sulla prima pagina
dal 1969) è una rivista letteraria settimanale britannica
22
un contesto fortemente industriale della capitale francese, recentemente oggetto di diverse opere di riqualiicazione urbana.
17
La struttura ospita il museo della storia dell’Industria in
cui è esposta una collezione riguardante lo sviluppo industriale della regione di Kalisz dall’inizio del XIX secolo.
27
D.M 25 ottobre 1999, n. 471, in materia di “Regolamento
recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la boniica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modiicazioni e
integrazioni”.
Il tweed è un tipo di tessuto di lana originario della Scozia, diventato icona del tradizionale abbigliamento rurale Irlandese e Britannico. Caratteristica del tessuto sono la
sua consistenza solida e l’armatura a saia che ne conferisce la tipica rigatura diagonale a spina di pesce.
18
19
D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di “Codice dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10
della legge 6 luglio 2002, n. 137”.
Deinizione dell’Inspectorate of Ancient Monuments del
Ministero dei Lavori Pubblici britannico.
20
21
D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di “Codice dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10
della legge 6 luglio 2002, n. 137”.
22
Articolo 10 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, in materia
di “Beni culturali”.
23
Articolo 11 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, in materia
di “Beni oggetto di speciiche disposizioni di tutela”.
24
Articolo 134 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, in materia
di “Beni paesaggistici”.
25
D.M 25 ottobre 1999, n. 471, in materia di “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in
sicurezza, la boniica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modiicazioni e integrazioni”.
26
D.Lgs 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di “Attuazione
delle direttive 91/156/CEE sui riiuti, 91/689/CEE sui riiuti
pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui riiuti di imballaggio”.
23
Fonti bibliograFiChe e sitograFia
doCUMentazione iConograFiCa
R. COVINO, Archeologia Industriale: usi impropri e potenzialità euristiche, in “Patrimonio industriale”, Anno II, n. 3,
dicembre 2008, pp.14-16
Copertina | (Iron Bridge)
G. E. RUBINO, Industrialismo e archeologia industriale. Riepilogo metodologico, 1993
Fig. 2 | © PAOLO SEMPRUCCI, www.divisare.com
Fig. 1 | © FILIP DUJARDIN, www.divisare.com
Fig. 3 | © MARIO CIAMPI, www.divisare.com
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M. STOCHINO, M. PIRAS, J. MIGONE RETTIG (a cura di),
Congreso Internacional : Puesta en valor del patrimonio
industrial sitios, museos y casos, pp. 66-74
Sito uficiale dell’Écomusée d’Alsace, www.ecomusee-alsace.fr
Sito uficiale del TICCIH, www.ticcih.org
Sito uficiale dell’ICOMOS, www.icomos.org
Sito uficiale della Camera dei deputati, www.camera.it
Sito www.normattiva.it
24
Fig. 9 | Tratta dal sito www.danke-berlin-2015.de
2 | origine dell’arChitettUra indUstriale
2.1 il lavoro Pre-indUstriale
I processi di sviluppo della città pre-industriale furono assai lenti da essere contenuti entro lo spazio delle mura: i
nuovi spazi residenziali, infatti, coincidenti spesso con gli
ambienti lavorativi, e ricavati per addensamento dei tessuti edilizi esistenti1.
Prima di studiare il fenomeno dell’architettura industriale
vera e propria, è necessario affrontare il tema partendo
dalle sue radici. Tra i prototipi dell’industria, sviluppatasi
solo nell’Ottocento grazie alle nuove fonti di energia, si
può assumere come emblematico il caso del mulino.
Una delle prime testimonianze dell’uso del mulino è attestata nel De Architettura di Vitruvio2, dove l’ediicio, in
quanto sede di un sistema eolico o idraulico, diviene
sede del lavoro pre-industriale, associato a qualunque
ambito richiedesse l’utilizzo di macchine per la trasformazione e lavorazione di materie prime.Vista l’esigenza, la
localizzazione di tale sistema produttivo non poteva che
essere presso i corsi o presso le cadute d’acqua o presso
zone ventilate, sia per la diffusione delle risorse aria e acqua, quest’ultima spesso usata come infrastruttura commerciale, sia per la sua continuità temporale. Si assistette
quindi sia al processo di fondazione di nuovi centri urbani, in funzione della preesistenza di un mulino, sia alla realizzazione di un mulino, inalizzata allo sviluppo di centri
urbani già esistenti. Il mulino comunque divenne un elemento caratterizzante vari territori. Lo sviluppo architettonico del mulino, sia esso a vento o ad acqua, seguiva un
andamento verticale: nei piani interrati trovavano posto
i sistemi che sfruttavano un forza isica, come l’inerzia il
lusso idrico, mentre nei piani superiori si andavano a collocare gli ambienti più speciici per la produzione. Ad
esempio, nel caso dei mulini per la macinazione, al livello
più basso si collocava la macina e superiormente gli ambienti per il caricamento dei cereali da macinare3.
fig. 1 | mulino vitruviano, De architectura, 1521
fig. 2 | mulino hook, long iSlanD, new york, 1806
fig. 3 | mulino thomaS ShepherD, weSt virginia, 1739
27
2.2 l’età indUstriale
«La città borghese ha potenzialità di sviluppo ininito».
C. Aymonino4
L’invenzione della macchina a vapore, che nella seconda metà del Settecento, segna l’inizio della prima rivoluzione industriale. Non sempre si assistette ad un aggiornamento tecnologico degli stessi mulini, infatti, piano piano
nasceva l’esigenza di progettare strutture capaci di ospitare macchine, caldaie, oficine per la riparazione e le
ciminiere5. Si svilupparono, quindi, nuove architetture più
funzionali al lavoro industriale. In ambito urbano, i mulini,
spesso caddero in disuso, mentre in ambito rurale si assistette più frequentemente alla loro riconversione funzionale, la quale variava dall’abitazione privata a magazzini e depositi. La necessità di localizzare le manifatture
1886
fig. 4 | mulini a vento montmartre, vincent van gogh,
presso i corsi d’acqua o presso fonti di energia naturale
viene meno con lo sviluppo delle nuove vie di comunicazione, specialmente le strade ferrate, che consentivano
di trasportare la materia prima low cost. Di conseguenza
la città andava a scavalcare il perimetro murario storico,
ponendo le basi per il futuro accrescimento delle periferie. Si preferì, quindi, adempiere al bisogno di collocare la
fabbrica presso luoghi in cui era disponibile una mano
d’opera a basso costo, facilmente reperibile nei contesti
urbani, dove lo sviluppo delle nuove manifatture era
puntuale e andava a collocarsi negli spazi residui della
città storica, saturandoli. L’attività manifatturiera proto-industriale concentrava, per la prima volta, il lavoro e i
lavoratori, che prima diffusi e dispersi in piccole attività
artigianali spesso coincidenti col domicilio: al piano inferiore si dislocavano le attività commerciali, come avveniva già in epoca romana, durante la quale tali ambienti
erano architettonicamente segnalati da spazi-iltro come
porticati. Il piano superiore era invece destinato a residenza del proprietario-commerciante6. Nella prima fase
di espansione dell’industria, si sviluppò il paradigma progettuale concepito come metodo compositivo che partiva da «una rigorosa analisi delle esigenze spazio-funzionali a cui doveva rispondere la costruzione di aspetti
formali, derivati da un processo analitico»7. Tale tendenza funzionalista, eficacemente espressa dalla deinizione
“Architettura senza Architetti”, conosce grande sviluppo
nell’incontro collaborativo tra industriali (committenti),
imprenditori edili (realizzatori) e “costruttori di mulino”
28
fig. 5 | pioggia, vapore e velocità, J. m. william turner, 1844
fig. 6 | Don chiSciotte, paBlo picaSSo, 1955
fig. 7 | cryStal palace, hyDe park, 1851
fig. 8 | illuStrazione harD timeS, matthew J. perlman.
(progettisti).
Nonostante il forte impatto di queste architetture, sorte al
di fuori dei canoni estetici, esse furono poste ai margini
della produzione di ediici, rivalutati dalle Accademie e
dagli architetti solo nel corso del Novecento, grazie alle
forme degli impianti chiare e leggibili, basate su schemi
geometrici e sull’uso opportuno di nuovi materiali da costruzione, primo fra tutti il ferro, per la sua versatilità, per le
prestazioni meccaniche e per la sua lavorabilità.
Il ferro diventava così metafora della prima epoca della
produzione di massa: era il materiale utile alla costruzione
delle ferrovie, delle fabbriche, delle grandi gallerie coperte, dei grandi spazi per le esposizioni. Emblema di tale
fenomeno è il Crystal Palace dell’esposizione universale
di Londra del 1851, primo ediicio-macchina smontabile,
che introduce per la prima volta la lessibilità spaziale
congiunta a una sempliicazione realizzativa, determinata dalla standardizzazione degli elementi costruttivi8.
Tutto ciò portò ben presto allo sviluppo di un nuovo concetto di capitalismo, caratterizzato, alla ine dell’Ottocento, da una nuova divisione del lavoro, sul modello
degli americani Ford9 e Taylor10, e fondata prevalentemente sull’organizzazione gerarchica della fabbrica e
sulla sempliicazione delle mansioni inalizzata a rendere
più eficiente il processo della catena di montaggio, nuovo elemento di comunicazione orizzontale dei fabbricati
industriali.
Sul tema della macchina, come oggetto meccanico utile a produrre,si son avuti numerosi dibattiti proprio sulla
conciliabilità con la produzione artigianale e con la cura
estetica complessiva del prodotto. Nell’ambito dell’architettura si devono ricordare Herman Muthesius, che
esaltava la macchina come dio creatore, e Walter Gropius, che paragonò invece l’architettura industriale con
le sue grandi infrastrutture ai monumenti egiziani riprendendo l’interesse per le forme pure e compatte.
La città iniziò a farsi contaminare dagli stabilimenti industriali presenti, creando estreme situazioni di disagio, descritte in molte letterature come ad esempio nei romanzi
di Emile Zolà11 e da Dickens12, che nel 1854 in Hard Times,
riferendosi all’ambiente inglese, denunciava le nuove
tensioni e i nuovi conlitti sociali: il romanzo moderno nasce proprio in questo momento da una profonda analisi
del contesto socio-culturale, economico ed architettonico della società post-classica.
29
In questo periodo si cercarono diverse soluzioni ai problemi della città nei più svariati campi della ilosoia e sociologia13, dell’economia14, dell’urbanistica15 inine dell’architettura stessa. A tal proposito il processo di
urbanizzazione, in termini di crescita demograica e urbana, assunse ritmi impensati, conseguenza dello sviluppo
della produzione industriale, permesso a sua volta dalla
concentrazione di manodopera spesso sottratta alle
campagne, con la conseguente trasformazione sociale
da contadino a proletario, e alla creazione di nuovi mercati di consumo. Nel rapido processo di urbanizzazione
però la prima fase coincise con la crescita sovrapposta,
ossia con l’intensiicazione dello sfruttamento delle volumetrie edilizie e dei suoli urbani. Tutto ciò mostrò i limiti di
adeguatezza del centro storico che, per via della sua
morfologia, non poteva ospitare i grandi complessi industriali e che di conseguenza non poteva accogliere le
grandi masse che richiedevano un posto di lavoro e
un’abitazione16. Ciò provocò un processo di degrado
della città storica e delle sue strutture isiche che si può
sintetizzare attraverso:
I. la densità edilizia residenziale, che portava ad un addensamento all’interno dei centri storici e-o alla creazione di slum periferici
II. la carenza nei sistemi di smaltimento dei riiuti, che
comportava peggiori condizioni igieniche gli sventramenti nella città storica in favore della costruzioni delle
vie di trasporto per il crescente trafico, nelle sue varie
forme. Inoltre la relazione tra beni di consumo collettivi
quali sanità, istruzione, verde pubblico, e i loro riconoscimenti come diritti dell’operaio, a lui dovuti a prescindere
dalla sua capacità di pagare, dovevano essere presi a
carico dell’imprenditore in primis, e dello stato in seguito.
Arriva in questo periodo, anche in Italia, la moda dei villaggi operai, in cui l’insieme di fabbriche, abitazioni e servizi, creavano nuovi aggregati urbani, o concorrevano al
cambiamento vecchi tessuti urbani. La formazione della
comunità attorno alla fabbrica cresceva con l’ipotesi
che il lavoro industriale fosse estraneo al conlitto di classe, potendo attuare un controllo assoluto delle ore libere
dei dipendenti, eliminando così l’assenteismo e ottenendo più potere nelle dinamiche sociali ed economiche.
Per contro, spesso le nuove residenze offrivano migliori
condizioni igienico-sanitarie spesso collegate a migliori
condizioni educative per i igli dei lavoratori17.
30
fig. 9 | trezzo Sull’aDDa, centrale iDroelettrica D’aDDa, gaetano
moretti
fig. 10 | arc et SenanS, pianta Delle Saline reali Di chauS, leDoux,
1771
fig. 11 | arc
et
caSa Del Direttore
SeSanS,
viSta generale Delle Saline, al centro la
fig. 12 | creSpi D’aDDa, viSta proSpettica Sui capannoni inDuStriali
Quindi, la necessità dei villaggi operai era reale sia per
aggiudicarsi il controllo lavorativo e personale della comunità, ma anche per il controllo in ambito politico e sociale, per evitare il contatto con le altre masse inluenzate dalle correnti politiche che trovavano diffusione tra i
vari lavoratori, come socialismo e comunismo, e per
spezzare le nascenti manifestazioni dei nuovissimi movimenti sindacalisti che proponevano nuovi modi di associazione e di boicottaggio alla produzione e di disobbedienza sociale come gli scioperi, in Italia riconosciuti
come reato sino al 1889. In Europa l’esempio più eficace, emblema sia della cultura dei villaggi operai, sia
dell’economia basata sulle manifatture statali, sono sicuramente le Saline di Chaux18 (1771-1793) mentre in Italia,
in particolare al Nord, i tre esempi più signiicativi di villaggi operai son quelli di Varano Borghi19 (1808) e Crespi
d’Adda (1878) in Lombardia, Nuova Schio 21(1872-1896)
in Veneto. Si procedeva alla costruzione dell’industria e
contemporaneamente alla costruzione degli stabili per
la residenza operaia: le case plurifamiliari, progettate in
base alle gerarchie delle fabbriche, venivano spesso circondate da cancelli che davano una parvenza di proprietà per ogni nucleo familiare, inserite in mezzo a un
percorso costretto tra ediici quali chiesa, piazza, infermeria, scuola e altri centri vitali per l’aggregazione dei
lavoratori e delle loro famiglie.
fig. 13 | creSpi D’aDDa, particolare Della caSa paDronale
fig. 14 | mauSoleo paDronale nel cimitero
fig.16 | creSpi D’aDDa,
caSa monofamiliare Dei lavoratori Del
cotonificio
fig. 15 | creSpi D’aDDa, viSta generale, 1927
fig. 17 | creSpi
D’aDDa, caSa Bifamiliare Dei lavoratori
del
31
2.3 l’era Post-indUstriale
Il concetto che forse più di tutto ha inluenzato la città del
Novecento e l’inserimento delle architetture del lavoro
fra i suoi tessuti, è sicuramente quello di zoning o zonizzazione, in cui l’ottica del piano è quella di separazione delle diverse funzioni, non più compatibili fra loro, come
quella residenziale e industriale, cancellando però rapporti funzionali storicamente consolidati, come il già citato rapporto commercio-residenza. Le zone devono essere dapprima individuate durante la stesura del piano,
ponendovi un vincolo al ine di preservarne l’utilizzo futuro, sottraendolo all’uso privatistico. Il piano dunque inizia
a controllare le dinamiche d’uso dell’intero territorio della
municipalità21. Tuttavia anche se l’organizzazione razionale della città è una necessità della produzione, i meccanismi del libero mercato non sono in grado di assicurare una crescita razionale della stessa poiché esistevano
ed esistono ancora diverse contraddizioni: la prima è
rappresentata dalla rendita fondiaria e dai suoi effetti
negativi sul processo di sviluppo. Quando essa cresceva
al di sopra di una certa soglia, comprime i consumi familiari inluenzando negativamente sulla riproduzione della
forza lavoro, riducendone i margini di proitto del capitale industriale, con un eccessiva pressione sull’operaio per
le spese di abitazione o per il trasporto, accrescendo così
il bisogno di aumenti di salario. Col passare del tempo si
palesa il fatto che la zonizzazione mono-funzionale ha
causato un impoverimento dello spazio urbano attraverso appunto la rigida divisione della città in parti urbane,
creando periferie anonime dove trovavano, e trovano
tuttora, sede le industrie, afiancate a quartieri dormitorio
e caratterizzate da un pendolarismo che segue il binomio sociale residenza-lavoro22. La riduzione delle necessità dell’uomo sintetizzate dal Movimento Moderno, il trinomio di abitare-lavorare-riposare standardizza i bisogni
reali dell’uomo, considerando per lo più le problematiche spaziali a dispetto di quelle psicologiche. L’era
post-industriale è caratterizzata da momenti di crisi, derivati spesso dalla rottura tra Stato e Nazione23, dalla dispersione globale delle fasi produttive, studiate attraverso processi di specializzazione: il nuovo sistema
economico in deinitiva rompe gli schemi della vecchia
igura del lavoratore, cambiando completamente i ritmi
della vita e del lavoro di quest’ultimo24.
32
fig. 18 | città Di caStello, perugia, ex Seccatoi Del taBacco
fig. 19 | città Di caStello, perugia, collezione Burri
fig. 20 riccione, viSta generale Sull’ex fornace
fig. 21 riccione, confronto tra i Due SiStemi murari
Con il crearsi del settore terziario, non solo quindi si ha
una rivalutazione della totalità della cultura umana, ma si
pensa anche all’espansione del concetto da “Patrimonio Storico” a “Patrimonio Culturale”, allargando il campo di analisi alla totalità della ricchezza della cultura
umana.
Oggi è forte il bisogno di reintegrare quelle architetture
nate in precedenza senza connotati estetici particolarmente rilevanti, sia per una questione storico-sociale,
considerando l’archeologia industriale anche in ambito
sociologico come rappresentazione e narrazione di un
patrimonio derivante dalla storia dell’uomo, sia per una
questione economica, come fonte di potenziale lusso
turistico e quindi di rendita, e inine per una questione di
sostenibilità ambientale, per poter così frenare il forte fenomeno di cementiicazione aggressiva, riscontrabile anche in Italia, come negli esempio fotograici addotti.
fig. 22 | Schio, interni Del muSeo Della civiltà inDuStriale
Si può dunque affermare che l’emissione di un giudizio di
valore riguardo le così dette architettura industriali, deinite in precedenza come “architetture senza qualità”, è
da intendersi come la prima presa di coscienza del loro
valore storico e didascalico, per poter in seguito considerare l’auspicata rifunzionalizzazione dei complessi industriali.
fig. 23 | Schio, contraSto tra carattere Stereotomico Storico e carattere tettonico moDerno.
33
note
1
G. FERA, Urbanistica. Teorie e storia, 2002, p.32
13
Vedi sociologia urbana e scuola di Chicago
2
VITRUVIO, De Architettura, libro X 4; 3-4, 5; 1-2
14
Vedi geograia economica ed economia dello spazio.
A. NEGRI, C. DE SETA, TOURING CLUB ITALIANO,
Archeologia industriale. Monumenti del lavoro tra XVIII e
3
15
Vedi Utopie Ottocentesche, esproprio, regolamenti
edilizi.
XX secolo, 1983, pp.80-95
16
4
C. AYMONINO, Origini e sviluppo della città moderna,
Padova, 1971, p. 30
G. FERA, Urbanistica. Teorie e storia, Gangemi, 2002,
p.49-53
A. NEGRI, C. DE SETA, TOURING CLUB ITALIANO,
Archeologia industriale. Monumenti del lavoro tra XVIII e
XX secolo,1983, pp. 96-117
17
5
Ivi nota 3
6
G. FERA, Urbanistica. Teorie e storia, Gangemi, 2002,
p.32-35
P.CAPUTO, A. PIVA, C. FAZZINI, Archeologia del lavoro,
Marsilio Editori, 1979, p.77
18
M. BIRAGHI, Storia dell’architettura contemporanea
(1750-1945), v. 1, p.18
7
P.CAPUTO, A. PIVA, C. FAZZINI, Archeologia del lavoro,
Marsilio Editori, 1979, pp. 136-137
19
8
M. BIRAGHI, Storia dell’architettura contemporanea
(1750-1945), v. 1, p.39
9
Henry Ford (Dearborn, 30 luglio 1863 – Detroit, 7 aprile
1947) imprenditore statunitense.
10
Frederick Winslow Taylor (Germantown, 20 marzo 1856
– Filadelia, 21 marzo 1915) ingegnere e imprenditore.
Emile Zolà (Parigi, 2 aprile 1840 – Parigi, 29 settembre
1902)
Zola oltre alle sue opere più famose in cui espone le
idee naturalistiche, pubblicò Nana (1880), sulla
prostituzione e la piccola borghesia; La joie de vivre
(1884), Germinal (1885), sulla vita dei minatori, che per la
prima volta nella letteratura francese metteva al centro
le lotte sociali. Le ultime opere furono ispirate ai valori
del socialismo e del cristianesimo; soprattutto l’ultimo
romanzo Lavoro (1901), apologia del lavoro salariato
come occasione di redenzione cristiana, riscosse un
successo particolare.
11
12
N. GARDINI, Il romanzo e l’industria, la lezione di
Dickens, in www.treccani.it
34
A. NEGRI, C.DE SETA, TOURING CLUB ITALIANO,
Archeologia industriale. Monumenti del lavoro tra XVIII e
XX secolo,1983, pag. 96-117
L’Unesco nel 1995 ha inserito Crespi d’Adda nella World
Heritage List in quanto “Esempio eccezionale del
fenomeno dei villaggi operai, il più completo e meglio
conservato del Sud Europa”.
20
21
G. FERA, Urbanistica. Teorie e storia, Gangemi, 2002,
p.61
22
G. FERA, Urbanistica. Teorie e storia, Gangemi, 2002,
p.84
23
Vedi:
Zygmunt Bauman (Poznan, 19 novembre 1925) sociologo
e ilosofo polacco.
Ulrich Beck (Stolp, 15 maggio 1944 – 1º gennaio 2015)
sociologo e scrittore tedesco.
24
Città di Castello
La Fondazione Burri è stata costituita nel 1978 per
volontà del pittore A. Burri. La Fondazione ospita in due
sedi espositive a Città di Castello, Perugia, (Palazzo
Albizzini ed Ex Seccatoi del Tabacco) la raccolta
antologica più esaustiva su Alberto Burri. La Collezione
Burri agli Ex Seccatoi è stata aperta nel luglio 1990, a
seguito dell’acquisizione e ristrutturazione dei capannoni
industriali utilizzati ino agli anni sessanta per
l’essiccazione del tabacco tropicale. La struttura è stata
costruita fra la ine degli anni cinquanta e la metà degli
anni sessanta ed è stata dismessa negli anni settanta.
Riccione
Il progetto riguarda il recupero della ex-Fornace di
Riccione, complesso industriale adibito alla produzione di
laterizi, costruito nel 1908 e dismesso nel 1970. Il proposito
progettuale è creare volumi architettonici semplici e
riconoscibili, uniformando forme, materiali e colori,
reinterpretando gli aspetti storici delle preesistenze
archeologiche alla luce della contemporaneità; il
progetto aspira ad una certa continuità con la Storia in
termini
disintassi
compositiva,
consentendo
la
trasformazione dell’uso delle opere nel tempo, senza che
queste perdano la loro identità. L’intervento globalmente
è improntato da un lato al recupero e alla valorizzazione
degli elementi murari in laterizio esistenti dall’altro a
differenziare il nuovo dall’esistente, mantenendo
coerenza compositiva nell’intervento. Esternamente con
i brise soleil di cotto si utilizza un materiale tradizionale in
una
forma
innovativa
portando
coerenza
e
differenziazione nell’intervento.
Schio
Il nuovo Museo della Civiltà Industriale di Schio, nella sua
costruzione, è stato caratterizzato da due fasi: nella
prima fase si svolseil progetto del restauro conservativo e
della ridestinazione; nella seconda fase si sviluppò il
progetto per i due nuovi ingressi del Museo e per i relativi
spazi espositivi. L’intervento aveva come obiettivo quello
di raccogliere le testimonianze dell’importante storia
industriale che ha caratterizzato lo sviluppo economico
ed urbanistico della città di Schio, per educare non solo
sulle macchine e sugli strumenti della produzione tessile,
ma anche, e soprattutto, sui luoghi dove questa
produzione avveniva.
sitograFia
Archeologia Industriale www.archeologiaindustriale.net
Treccani www.treccani.it
Wikipedia www.wikipedia.it
Architettura italiana www.architettura-italiana.net
Villaggio Crespi d’Adda www.villaggiocrespi.it
doCUMentazione iConograFiCa
Copertina (P. Behrens, Fabbrica Hoechst AG, Francoforte) | foto di Peter Hoppe
Fig. 1 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org
Fig. 2 | Caputo et alii op cit
Fig. 3 | Caputo et alii op cit
Fig. 4 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org
Fig. 5 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org
Fig. 6 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org
Fig. 7 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org
Fig. 8 | Tratta dal sito matthewjperlman.wordpress.com
Fig. 9 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org
Fig. 10 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org
Fig. 11 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org
Fig. 12 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org
Fig. 13 | © LUIGI CHIESA
35
Fig. 14 | © Associazione Crespi d’Adda, www.crespidadda.it
Fig. 15 | © Associazione Crespi d’Adda, crespidadda.it
Fig. 16 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org
Fig. 17 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org
Fig. 18 | Tratta dal sito www.architettura-italiana.com
Fig. 19 | Tratta dal sito www.architettura-italiana.com
Fig. 20 | © MARCO CIAMPI
Fig. 21 | © MARIO CIAMPI
Fig. 22 | © LUCA FREGOSO
Fig. 23 | © LUCA FREGOSO
36
38
3 | arCheologia indUstriale nel Mondo
3.1 arCheologia indUstriale nel PanoraMa
internazionale
Il processo di industrializzazione ha avuto origine in
Inghilterra, nella seconda metà del Settecento, come
conseguenza della rivoluzione industriale. Da lì la
diffusione degli stabilimenti industriali ha interessato tutti i
continenti, a partire da quello europeo ino ad arrivare a
quello asiatico, passando per gli sviluppi del continente
americano. Tuttavia, mentre l’industrializzazione, seppure
in tempi diversi, ha visto una propagazione a livello
mondiale, gli stati in cui oggi è presente la cultura della
salvaguardia del patrimonio archeologico industriale
sono quasi esclusivamente quelli europei e quelli
nordamericani.
Sul piano internazionale sono due le organizzazioni che si
sono distinte per la promozione dell’archeologia
industriale all’interno del mondo accademico: il TICCIH in
Gran Bretagna e il SIA negli Stati Uniti. Gli obiettivi ed i
protagonisti di queste due organizzazioni sono spesso
convergenti.
Il TICCIH è un’organizzazione internazionale che include
diverse igure accademiche: storici, archeologici,
professori, student e professionisti del patrimonio storico
che hanno interesse nello sviluppare la conservazione
della memoria della società industriale. L’oganizzazione
è costituita da individui ed istituzioni, e si organizza
attraverso associazioni nazionali in quelle nazioni dove sia
riconosciuto un patrimonio industriale nazionale. Il TICCIH
è l’organizzazione più presente sul piano internazionale,
avendo sedi nella maggior parte dei paesi europei, nel
Nord America e in numerosi stati dell’America Latina. Più
rara la presenza in Africa, dove aderiscono soprattutto i
paesi mediterranei, e in Asia1.
Estremamente attivo anche il lavoro di studio e di
catalogazione negli Stati Uniti, dove nel 1971 venne
fondata la Society for Industrial Archaeology2. L’attività
americana si distingue per l’accuratezza delle rilevazioni
e della documentazione, risultato di collaborazioni
interdisciplinari, cui tuttavia fa riscontro un atteggiamento
meno rigoroso sul piano della conservazione e del riuso,
non privi infatti di carattere speculativo.
La igura principale dell’archeologia industriale
americana è quella di Robert Vogel3 della Smithsonian
Institution di Washington4 (cui fa capo anche la Society).
Oggi i monumenti dell’industria sono normalmente inseriti
nell’inventario dei beni d’interesse storico (National
Register of Historic Places), mentre il governo federale ha
promosso la costituzione dell’Historic American
Engineering Record5 , cui è afidato il compito di
catalogare il patrimonio industriale nazionale.
39
3.2 la qUestione della Conservazione del
PatriMonio indUstriale negli stati Uniti
la Preservazione del PatriMonio storiCo negli stati Uniti
L’interesse verso il patrimonio storico negli Stati Uniti è a
lungo esistito sotto diverse forme, a partire dal IX secolo in
cui, su iniziativa di facoltosi privati, si hanno avuto diversi
episodi di salvaguardia e conservazione di ediici storici
sotto forma di istanze isolate6. Fino al XX secolo non erano
presenti nel paese leggi federali riguardanti la protezione
di questo tipo di patrimonio, e ino a tempi relativamente
recenti gli Stati Uniti non hanno prodotto strumenti
adeguati alla conservazione dell’edilizia storica.
Nel 1906, una Public Law7 viene promulgata per
incoraggiare la preservazione di strutture e oggetti di
proprietà del governo statunitense. Tuttavia, bisognerà
aspettare l’Historic Sites Act del 1935 per vedere negli
Stati Uniti una volontà di preservare il patrimonio
attraverso un approccio più deciso ed esauriente. Nella
prima sezione del documento8 lo Stato si investe
dell’incarico di «preservare per uso pubblico i siti storici,
gli ediici e gli oggetto signiicativi a livello nazionale per
l’ispirazione ed il beneicio del popolo degli Stati Uniti9» .
Con questa legge, il National Park Service10 è stato
incaricato di fare ispezioni di ediici e siti, al ine di
determinarne il valore, condurvi ricerche, acquisire
importanti siti storici e sviluppare programmi educativi
pertinenti.
Nel 1966 l’Historic Preservation Act ha dato un apporto
strumentale alla legge sulla protezione del patrimonio
storico permettendo l’espansione del National Register
of Historic Places, con la redazione di una lista di «quartieri,
siti, ediici, strutture, e oggetti signiicativi della storia,
dell’architettura, dell’archeologia e della cultura
americana11» . Con questo atto il Congresso ha stabilito
programmi di preservazioni aiutando a livello inanziario
gli stati ed il National Trust for Historic Preservation12.
soCiety For indUstrial arChaeology | L’archeologia
industriale negli Stati Uniti d’America è una disciplina che
ha avuto, come in Europa, un grande sviluppo a partire
degli anni ’70, soprattutto grazia alla fondazione della
Society for Industrial Archaeology, che negli anni si è
guadagnata una posizione di grande rilievo nel
panorama accademico, ponendosi come obbiettivo
quello di salvaguardare e studiare il patrimonio storico
40
industriale del paese13.
Le origini della Società per l’Archeologia Industriale
risalgono ad un’importante seminario sull’archeologia
industriale tenutosi allo Smithsonian Institution a
Washington D.C., l’11 aprile del 1967. La igura principale
del seminario fu Kenneth Hudson, noto archeologo
Britannico, autore di diverse pubblicazioni riguardanti la
disciplina. Al seminario parteciparono una grande
quantità di professionisti del settore museale e di autorità
del governo federale, coinvolte nella tutela del
patrimonio storico. Le sessioni si sono concentrate su
cosa era necessario fare in Europa continentale ed in
Gran Bretagna per promuovere lo studio dell’archeologia
industriale, con una particolare attenzione alle misure
che si sarebbero dovute prendere negli Stati Uniti in
questo senso. Il seminario è stato sicuramente un evento
promotore della successiva fondazione del SIA, avvenuta
pochi anni più tardi.
Il SIA nasce uficialmente con la conferenza tenutasi allo
Smithsonian Institution il 16 ottobre 1971. Paul E. Rivard,
direttore allora dell’Old Slater Mill Museum, propose un
incontro per sviluppare e condividere informazioni tra le
persone che si occupavano di questa “nuova”
archeologia industriale. Theodor Anton Sande e Robert
M. Vogel, organizzarono l’incontro, cui parteciparono
circa 50 persone, da storici dell’architettura, archeologi,
museologi a storici della tecnologia14. Questa riunione di
igure e di campi di studio diversi contribuì allo sviluppo
attuale della disciplina, che come sosterrà più tardi
Sande
sarà
fondamentale
al
perfezionamento
dell’archeologia industriale, che necessita di un
approccio olistico e multidisciplinare15.
Oggi il SIA si propone come un’organizzazione aperta a
tutti gli appassionati dell’archeologia industriale, con
l’obbiettivo di deinire dei metodi e delle linee guida per
la diffusione e la pratica della disciplina. Nella prima
uscita del Society for Industrial Archeology Newsletter
(Ottobre 1972) vengono esposti i principali obbiettivi
della società, che si possono riassumere nello scambio
interdisciplinare delle informazioni, la produzione di
informazioni bibliograiche pertinenti e la diffusione della
disciplina attraverso l’educazione.
fig. 1 | l’eDificio Della troy gaS light company, Situato a new
york. la faBBrica rappreSenta uno Dei pochiSSimi eSempi rimanenti Di
una tipologia molto comune nelle aree urBane Dell’america
norDorientale Di DiaciannoveSimo Secolo.
QueSta immagine, tratta Dall’hiStoric american engineering
recorD, è Stata uSata Dal 1971 come logo Della Society for
inDuStrial archeology.
41
42
la PerCezione della disCiPlina negli stati Uniti
l’arCheologia indUstriale negli stati Uniti
L’archeologia industriale è una disciplina che apre alla
rilessione su diverse questioni, siano esse storiche o
sociali. Lo sviluppo di questa negli Stati Uniti sarebbe
banalmente ascrivibile alla realtà storica del paese, che
vede nel suo apparato industriale la chiave del suo
successo economico e del suo potere. Tuttavia,
malgrado lo sviluppo industriale costituisca un momento
estremamente signiicativo nella formazione degli Stati
Uniti d’America, il suo ricordo e il suo studio sono stati
oggetto di critiche e di un iniziale disinteresse del popolo
statunitense, che vedeva nella disciplina lo studio e
l’esaltazione di una realtà che aveva causato l’erezione
di amenità architettoniche e di sofferenza.
Fino a tempi recenti, anche in America, la regola è stata
quella di guardare a questi oggetti come al frutto di un
imbarazzante utilitarismo, di ignorarli se possibile o di
criticarli. Questo atteggiamento è meno evidente
oggigiorno. Come scrive Teodor Andon Sande nel 1976:
«Si stanno rivalutando i mulini, le fabbriche, le stazioni, le
abitazioni industriali e tutte quelle strutture usate
quotidianamente dalle precedenti generazioni. Le
stiamo imparando a guardare e a trovare in loro un
intero nuovo oggetto di studio e apprezzamento. Ormai
è chiaro che questi siti industriali, vecchi e recenti, siano
parte essenziale della storia Americana. Come si
aggiungono più capacità e forze allo studio di questo
tema, l’archeologia industriale entra in essere. Attraverso
la Società per l’archeologia industriale e ad una
crescente letteratura, questo campo ha già superato
importanti traguardi nell’accumulazione di un importante
corpo
di
conoscenze
sulla
storia
industriale
nordamericana16».
Paul A. Shackel mette in luce le discrepanze tra la storia
uficiale ed uficiosa del lavoro e del capitalismo,
sostenendo che la comprensione di questi siti industriali
mette in luce la realtà del popolo Americano, inteso
come comunità e come nazione17.
Per Shackel, considerare il lavoro operaio come una
componente integrante dell’archeologia industriale ci
consente di avere gli strumenti necessari per rivisitare la
storia dei siti industriali, e ci consente di pensare al lavoro
operaio in termini evolutivi.
Theodor Anton Sande18 , nel 1976 colloca gli Stati Uniti
d’America nell’era post-industriale: «ovvero un tempo in
cui fabbriche, centrali elettriche, ferrovie, autostrade,
ecc., appartengono ormai al passato, e non al futuro. La
teoria post-industriale ci insegna che questa forte spinta
industriale si è esaurita e che è ora di riconoscere una
nuova e vasta serie di differenti princìpi19».
L’aumentare dell’interesse verso l’archeologia industriale,
avvenuto proprio a cavallo tra anni 80 e 70, è da
interpretarsi come una voglia di apprendere e apprezzare
ciò che è stato da poco perso, soprattutto in un ambito,
quello Statunitense, dove questo patrimonio è ciò che
più rappresenta la società Americana, sia dal punto di
vista storico che culturale. Se già da inizio ‘800 gli europei
tendono a riconoscere i loro princìpi morali e la loro
cultura in un ideale medioevo, gli Statunitensi vedono
nell’industria e nella produzione industriale la loro identità
più autentica.
È questo modo di vedere gli strumenti e gli ediici della
società industriali come artefatti culturalmente signiicativi
che è caratteristica dell’archeologia industriale, pratica
che in America prenderà piede con un leggero ritardo
rispetto all’Europa. Probabilmente nessuno degli uomini
coinvolti nella costruzione delle moderne industrie
potrebbe aver pensato che l’industria sarebbe diventata
l’oggetto di un serio studio da parte di un’ampia quantità
di persone, dagli studenti agli amateurs entusiastici, che
si fanno chiamare archeologi industriali.
bUFFalo:
l’eMbleMa
nordaMeriCano
dello
svilUPPo
edile
indUstriale
| La città di Buffalo, New York, occupa
una posizione straordinaria, sia nella storia della
tecnologia Americana (e mondiale), sia dal punto di
vista architettonico, che la rende una sorta di
Coalbrookdale20
dell’archeologia
industriale
Nordamericana.21
Ciò che ha caratterizzato la città di Buffalo nel suo
percorso di sviluppo industriale è stata senz’altro la
vicinanza con una fonte di energia idroelettrica a basso
costo, proveniente dalle cascate del Niagara. Questo
vantaggio ha reso possibile un’età d’oro dal punto di
vista edilizio, che si è protratta dal 1890 al 1925. I due silos
della città di Buffalo, il Washburn-Crosby e il Dakota,
furono ripresi da Gropius nel suo articolo Die Entwicklung
Moderner Industrie-baukunst del 1913, che contribuì a
creare l’immagine del silos che persiste in Le Corbusier,
Mendelsohn, Brun Taut, Lewis Mumford, per diventare lo
standard mondiale di un futuro funzionale, onesto e
geometricamente semplice.
Il tesoro architettonico che l’industria di Buffalo ha
prodotto durante la sua crescita economica sono
impressionanti in quantità e qualità. Un’opera
importantissima nella storia dell’architettura è senz’altro
l’ediicio per ufici della Larkin Company, realizzato da
Frank Lloyd Wright, ediicio che oggi purtroppo non
possiamo più vedere a causa della sua demolizione nel
1950. Oggi non restano che pochi pezzi di muro del
vecchio palazzo, tra i quali è stato installato un
parcheggio.
Caso
aMeriCana
west Point FoUndry
di stUdio di arCheologia indUstriale
del ventUnesiMo seColo: la
La West Point Foundry è stata costruita nel 1817 nella
Hudson River Valley, per volontà di prominenti uomini
d’affari e igure militari. La fonderia si è specializzata per
oltre 100 anni nella produzione di armamenti per la
Marina Americana, nello speciico di cannoni. Nello
stabilimento venivano prodotti inoltre oggetti d’impiego
civile, come stoviglie o implementi per le prime
locomotive americane.
L’attività della West Point
Foundry comprendeva tutti gli aspetti della produzione,
dall’ottenimento delle materie prime alla distribuzione. Il
successo della fabbrica era da ricercarsi nello stretto
rapporto che aveva con lo stato e le igure detenenti il
potere all’epoca.
fig. 2 | new york, weSt point founDry
Il sito della West Point Foundry, della dimensione di circa
40 ettari, rimase in stato di totale abbandono negli ultimi
cento anni, ino a quando la Scenic Hudson Land Trust
Inc. la rilevò nel 1996 con l’intento di preservare gli spazi
verdi e di migliorare l’accessibilità del iume nella valle
dell’Hudson.
Presa coscienza del valore storico del sito rileato, la
Scenic Hudson ha stabilito una collaborazione con il
programma di archeologia industriale della Michigan
Technological University, al ine di sfruttare e di sviluppare
la dimensione storica del sito22.
Il sito fa parte oggi di un’aria protetta dalla Scenic
Hudson aperta per un breve tratto alle visite del pubblico
dalla vicina stazione di Cold Spring Metro-North. Tra il
2002 e il 2008 la Michigan University ha portato avanti
un’importante studio archeologico che ha portato alla
luce diversi macchinari ed informazioni storiche della
fabbrica.
fig. 3 | new york, weSt point founDry, viSta interna
43
3.3 arCheologia indUstriale in eUroPa
L’Europa vanta una serie di atti pionieristici nell’ambito
dell’archeologia industriale, intesa non solo nella sua
accezione più accademica, ma anche come oggetto
espositivo, che può suscitare l’interesse del grande
pubblico.
L’origine dell’archeologia industriale come pratica
formale è da cercarsi in Gran Bretagna, nella prima metà
degli anni Cinquanta, per approfondire la conoscenza
della storia del passato e del presente produttivo,
prendendo in analisi le tracce archeologiche generate
nei luoghi in cui questi processi hanno inizio, dalla
seconda metà del Settecento, prima fase della
rivoluzione industriale, ino ai giorni nostri.
Secondo Hudson23, la disciplina ha conosciuto in Gran
Bretagna tre fasi di sviluppo. Le prime due pionieristiche e
spontaneistiche, caratterizzate dall’urgenza di compilare
un primo inventario dei beni superstiti. La terza, a partire
dalla prima metà degli anni Settanta, applicata alla
discussione sui problemi di metodo. Nel 1973 fu costituita
l’Association for Industrial Archaeology24. Nel frattempo si
era fatta progressivamente strada la convinzione di un
necessario ampliamento cronologico e dell’estensione
della materia allo studio del paesaggio e dell’ecosistema.
Al giorno d’oggi la Gran Bretagna può contare su una
rete molto vasta di associazioni locali, mentre presso
l’Università di Bath si trova il National Record of Industrial
Monuments25, dipendente dal Council of British
Archaeology26.
Nel
frattempo
si
era
fatta
progressivamente strada la convinzione di un necessario
ampliamento cronologico e dell’estensione della
materia allo studio del paesaggio e dell’ecosistema. Al
giorno d’oggi la Gran Bretagna può contare su una rete
molto vasta di associazioni locali, mentre presso
l’Università di Bath si trova il National Record of Industrial
Monuments , dipendente dal Council of British
Archaeology .
L’attività conservativa, coordinata dal Ministero dei
Lavori Pubblici, ha avuto sviluppi interessanti. L’esempio
più importante è dato dall’Ironbridge George Museum
Trust Ltd, diretto da Neil Cossons27, uno dei più eminenti
archeologi industriali.
Altrettanto importante è il complesso delle Saline reali di
44
Chaux (Arc et Senans), opera del celebre architetto C.
N. Ledoux. In Francia due sono gli organismi principali per
la catalogazione e la conservazione del patrimonio
industriale: il Conservatoire National des Arts et Métiers28
(dal 1794) ed il Musée des Arts et Traditions Populaires29.
In Belgio l’interesse relativamente recente per la materia
appare particolarmente legato allo studio del rapporto
fra industrializzazione e paesaggio ed ai problemi di
recupero dei principali complessi industriali: ad esempio i
villaggi carboniferi di Le Grand Hornu e di Bois-du-Luc. Gli
esempi della più rigorosa impostazione metodologica
vengono però dai Paesi ex comunisti: Polonia,
Cecoslovacchia e Repubblica Democratica Tedesca, in
cui l’Archeologia Industriale ha trovato la sua naturale
collocazione nell’ambito della “cultura materiale”.
fig. 4 | arc et SenanS, Saline reali Di chaux
fig. 5| hornu, villaggio carBonifero le granD hornu
fig. 6 | la louviere, vollaggio carBonifero BoiS-Du-luc
Agli inizi dell’industrializzazione possiamo identiicare, in
Spagna, due tipi di architettura industriale: una accademica (stili storicisti), l’altra più sperimentale, perpetrata
non da architetti, quanto più da tecnici di settore (costruttori di mulini, capicantiere, ecc…). Questa seconda
“corrente”, più o meno inconsciamente ha contribuito a
rivitalizzare l’architettura accademica, offrendole nuovi
spunti.
In Portogallo gli esempi di archeologia industriale sono
collegati ai processi produttivi : nei suoi spazi si realizza un
processo che è industriale soltanto in minima parte, dal
momento che il sistema produttivo ha una forte componente artigianale.
inghilterra: ironbridge gorge MUseUM trUst | Nei paesi anglosassoni, oltre che al relativo studio e conservazione, si è pervenuti anche a notevoli realizzazioni di riuso
e di popolarizzazione di ediici industriali, macchinari, ambienti e territori, sedi storiche del processo di industrializzazione.
L’attenzione era rivolta principalmente alle rimanenze isiche e alla qualità della documentazione. Questo atteggiamento verso i beni archeo-industriali ha avuto un importante impatto sui valori culturali.
Ogni contea in Inghilterra presenta un museo dedicato
alla storia delle industrie, generalmente incentrato su un
importante sito, e impegnato attivamente per il pubblico. Molti siti e paesaggi sono esempio di signiicativi sforzi
di preservazione ed interpretazione.
Come primo esempio, viene subito in mente l’Ironbridge.
Questo è conosciuto in tutto il mondo come il simbolo
della Rivoluzione Industriale. Il sito contiene tutti gli elementi di progresso che contribuirono al rapido sviluppo di
questa regione industriale nel XVIII secolo, dalle mine alle
linee ferroviarie. Situato a Coalbrookdale, l’Ironbridge è
il primo ponte interamente in ghisa, che valica il Severn a
sud di Telford, new town nella contea dello Shropshide. Il
manufatto, è articolato su cinque arcate a tutto sesto,
per una lunghezza di 30.6 m.
Qui, nel 1709, Abraham Darby30 introdusse nuove tecniche che permisero una produzione su larga scala di ferro: usò per la prima volta il coke per produrre ghisa. Fu
suo nipote, Abraham Darby III31, che nel 1779 realizzò il
suddetto ponte. Il paesaggio locale è stato completamente trasformato dalla lunga attività umana e conserva numerose tracce del suo passato industriale.
Oggi l’Ironbridge Gorge Museum Trust è un gigantesco
Eco-museo all'aria aperta e uno dei maggiori interventi di
recupero di archeologia industriale del mondo; è costituito, oltre che dal ponte in ghisa, dalle famose fonderie
Darby, da miniere, depositi, villaggi operai, infrastrutture,
riuniti in un solo complesso amministrativo che ne cura la
manutenzione e la gestione. Questa serie di musei, lungo
un percorso di circa una decina di chilometri, racconta
la storia dell'industrializzazione dell'area.
45
fig. 7 | ironBriDge gorge
fig. 8 |ironBriDge gorge
gerMania: ristrUttUrazione ed aMPliaMento del MUseo
Minerario tedesCo di boChUM | In Germania è forte
l’attenzione nei confronti della Industriekultur, letteralmente “cultura industriale”. Uno dei primi impulsi verso la
divulgazione del bene industriale al grande pubblico
venne dato dall’istituzione del Deutsches Museum di Monaco di Baviera nel 1903, insediato in un vecchio complesso industriale, che oggi si conigura come il più importante museo di scienza e tecnologia al mondo.
I danni causati dalla seconda guerra mondiale porteranno a un impegno signiicativo, a livello europeo, verso la
conservazione e tutela del patrimonio industriale. Verranno infatti svolti importanti congressi internazionali, tra cui
uno, nel 1975, proprio in Germania, a Bochum, città nota
per il suo museo minerario, la cui conservazione è divenuta simbolo dell’interessamento verso ediici industriali di
un passato recente.
Il museo minerario tedesco di Bochum (Deutsches Ber-
46
gbau-Museum Bochum abbreviato DBM), fondato nel
1930, con una supericie espositiva di 12000 mq, una miniera sotterranea che si sviluppa per 2,5 km e una torre
d’estrazione, è uno dei più importanti musei minerari del
mondo e uno dei musei più visitati della Renania Settentrionale-Vestfalia. Per il riallineamento strategico del museo il DBM ha lanciato, nel 2013, il progetto “DBM 2020”.
Questo progetto ha lo scopo di riposizionare il museo agli
occhi dell’opinione pubblica, e quindi a garantirne il futuro. Il DBM sarà ulteriormente sviluppato come un centro
di ricerca centrale per l’estrazione e l’utilizzo di georisorse
e come il luogo della memoria dell’industria carboniera
tedesca. L’attuazione degli interventi di natura strutturale
si svolge in quattro fasi costruttive.
La prima prevede la riparazione completa della metà
settentrionale dell’ediicio principale, che in futuro comprenderà mostre sul patrimonio dell’industria carbonifera
tedesca e sulla storia culturale delle miniere. Nella seconda fase è programmata la riabilitazione della metà meridionale dell’ediicio principale seguita dal rinnovamento
della mostra orientata alla ricerca di georisorse. La terza
è volta all’istituzione di alcuni depositi scientiici in una ex
sala per la miscelazione del carbone; questa soluzione, di
quasi 5000 mq di supericie, è destinata all’ archiviazione
di documenti. La fase inale, invece, prevede l’istituzione
di un corpo adiacente all’ediicio principale con circa
2000 mq di supericie.
Il inanziamento per la fase di costruzione è garantito da
un pegno di fondi di terzi. Ulteriori sezioni sono ancora in
fase di richiesta di contributi pubblici.32
fig. 9 | Bochum, muSeo minerario teDeSco Di Bochum
Portogallo: il Caso delle “Cantine del vino di Porto”
a vila nova de gaia |Il caso di studio di seguito presentato evidenzia le caratteristiche dell’archeologia industriale portoghese, legata ai processi di produzione.
Quello delle Cantine del vino di Porto è un complesso
sorto a partire da metà del XVII sec., nella città di Vila
Nova de Gaia (situata nell’area metropolitana di Oporto) con un manifesto valore patrimoniale, pur fondandosi su un’ architettura di tipo spontaneo pensata per essere soltanto funzionale e priva di quelle qualità estetiche
che invece caratterizzano molti altri ediici industriali. Le
Cantine del vino di Porto sono una delle espressioni più
marcanti della cultura materiale portoghese, un esempio
notevole di capacità d’occupazione del suolo, di funzio-
nalità tipologica.
Tutte queste caratteristiche, insieme alla monumentalitá
dei luoghi, renderebbero questo complesso particolarmente adatto a essere trasformato in museo, un museo
di se stesso all’aria aperta, dove gli oggetti esposti fossero
gli stessi ediici.
L’area in cui cui si ha la produzione del Vino di Porto è
situata nella riva sinistra del iume Douro, di fronte alla città di Porto. Questa si conigura come un triangolo i cui
vertici sono Porto (polo amministrativo), Regua (polo produttivo) e Vila Nova de Gaia (polo commerciale). Nella
città di Gaia vi è l’area industriale, in cui sorgono dei capannoni nei quali è immagazzinato il vino di Porto prima
che entri nel circuito commerciale. Il complesso degli
ediici viene appunto identiicato come “Cantine del
fig. 10 | vila nova De gaia, viSta Delle cantine Dal ponte D. luiS, metà xx Secolo
fig. 11 | vila nova De gaia, viSta Delle cantine Dal ponte D. luiS, Stato attuale
47
vino di Porto. Quest’area, posta a ridosso del iume Douro, si formò a metà del XVIII secolo, e attualmente è costituita da una serie di manufatti edilizi legati alla produzione del vino .
L’area in oggetto e i manufatti inclusi mostrano un’unità
morfologica, ma hanno subito nel tempo un lento e inesorabile processo di degrado. Per questo il Comune di
Vila Nova de Gaia e alcune delle compagnie produttrici
del vino di Porto hanno avviato, negli ultimi tempi, dei
lavori di recupero sull’ediicato e riqualiicazione del tessuto urbano. Gli esiti non sono però stati soddisfacenti, a
causa della mancanza di una linea unitaria d’azione che
considerasse questa serie di manufatti industriali come un
unicum, esempio mirabile sia di architettura industriale
che di impianto urbano.
Svolgendo un’analisi d’insieme, le principali caratteristiche del caso speciico sono:
-Straordinarietà delle dimensioni: le Cantine occupano
infatti una supericie di circa 143 ha, che corrisponde al
perimetro del Centro Storico della città, che ne fanno
uno dei pochi esempi europei di grande concentrazione
per supericie e densità di una realtà produttiva legata al
vino in ambito urbano;
-suggestività dei luoghi, legati alla bellezza del paesaggio e alla monumentalità dell’insieme in antitesi al degrado urbano e sociale;
-anomalia della sua collocazione urbana: infatti si tratta
di una zona di produzione industriale, in parte ancora attiva, che occupa quasi per intero l’area corrispondente
al centro storico della città di Gaia e quasi a ridosso del
centro storico di Porto.
Sarebbe auspicabile che le strategie di intervento fossero volte a fornire un contributo allo sviluppo compatibile
del complesso. Il recupero di questa zona potrebbe rappresentare un’occasione unica per il rilancio dell’intera
città: si potrebbe pensare di dotarla per nuove funzioni,
per esempio di tipo culturale, che possano dare l’incipit
per un processo di trasformazione urbana, pur nel rispetto della memoria storica.33
48
note
1
Sito uficiale del TICCIH: www.ticcih.org
La
Society
Industrial
Archaeology
(SIA)
è
un’organizzazione nordamericana dedicata allo studio e
alla conservazione di siti e strutture storico-industriali,
fondata nel 1971.
2
3
Richard M. Vogel è un professore di ingegneria civile e
amientale, membro dello Smithsonian Institution di
Washington.
4
Lo Smithsonian Institution è un istituto di istruzione e
ricerca con annesso un importante museo, amministrato
e inanziato dal governo degli Stati Uniti. La sede
principale si trova a Washington.
5
L’Historic American Engineering Record (HAER) venne
fondato nel 1969 dal National Park Service per la
documentazione di siti storici e strutture attinenti
all’ingegneria e all’industria.
una legge organica del Congresso.
11
Historic Sites Act, 21 agosto 1935 (49 Stat. 666; 16 U.S.C.
461-467). Section 1: declaration of national policy.
12
Acquisita dal Congresso nel 1949, fu la prima fondazione
privata no-proit con l’obbiettivo di incoraggiare la
preservazione storica dei monumenti.
13
Sito uficiale del Society for Industrial Archaeology www.
sia-web.org
CHARLES K. HYDE, IA, The Journal of the Society for
Industrial Archeology, Vol. 17, No. 1 1991 Copyright 19911999, The Society for Industrial Archeology
14
15
THEODORE ANTON SANDE, Industrial Archaeology, A
new look at the American Heritage, Penguin Books, New
York, 1976
THEODORE ANTON SANDE, Industrial Archaeology, A
new look at the American Heritage, pag. vii, Penguin
Books, New York, 1976
16
6
L’evento singolo più importante riguardante la
preservazione di ediici storici occorso nel XIX secolo è
rappresentato dalla fondazione di Ann Pamela
Cunningham: la Mount Vernon Ladies’ Association,
creata con l’intento di salvare la casa di George
Washington, che avevano acquisito nel 1858.
7
Un Act of Congress degli Stati Uniti, ovvero uno statuto
promulgato dal parlamento contenente norme rivolte sia
al pubblico (Public Law) o ad individui ed istituzioni
speciici (Private Law)
La parte relativa alla 16 U.S.C. 461, ovvero la Declaration
of national policy
8
Historic Sites Act, 21 agosto 1935 (49 Stat. 666; 16 U.S.C.
461-467). Section 1: declaration of national policy.
PAUL A. SHACKEL, Labor’s Heritage: Remembering the
American Industrial Landscape, Historical Archaeology,
2004
17
Theodor Anton Sande è un architetto e storico
dell’architettura, formatosi a Yale e all’University of
Pennsylvania. È stato uno dei “padri fondatori” della
Società per l’Archeologia industriale, di cui è stato il
primo presidente. THEODORE ANTON SANDE, Industrial
Archaeology, A new look at the American Heritage,
Penguin Books, New York, 1976
18
THEODORE ANTON SANDE, Industrial Archaeology, A
new look at the American Heritage, Penguin Books, New
York, 1976
9
19
10
L’agenzia federale statunitense incaricata della
gestione dei Parchi nazionali, dei monumenti nazionali e
di altri luoghi protetti. Fu creato il 12 agosto 1916 mediante
20
Villaggio inglese sul bordo del iume Severn che fu culla
dell’industria mineraria e metallurgica della prima
49
formazione nell’ambito del patrimonio industriale.
artigianale essenzialmente dal XIX secolo ino al 1960.
21
REYNER BANHAM, febbraio 1980, Buffalo Archaeological.
The Architectural Review 996, pp. 88-94
30
PATRICK E. MARTIN (2009). Industrial Archaeology. Tratto
dall’International Handbook of Historical Archaeology
(pp. 285–297) di T. Majewski e D. Gaimster. New York, NY:
Springer.
della rivoluzione industriale inglese e la storia della
siderurgia.
22
23
Kenneth Hudson (1916-1999) è stato uno studioso e
divulgatore di storia sociale ed industriale, nonché
fondatore e direttore nel 1963 della rivista “The Journal of
Industrial Archaeology”
24
L’Association for Industrial Archaeology (AIA) fu instituita
nel 1973 per promuovere lo studio dell’archeologia
industriale e per incoraggiare operazioni di ricerca,
conservazione e pubblicazione.
25
Il National Record of Industrial Monuments (NRIM) venne
creato come archivio centrale dei documenti catalogati
da Angus Buchanan all’Università di Bath.
26
Il Council of British Archaeology (CBA) fu istituito nel
1944 ed è un organismo che opera nel Regno Unito per
coinvolgere le persone nell’archeologia e favorire
l’apprezzamento e la tutela dei beni storici.
Sir Neil Cossons (1939) è stato Direttore del Museo delle
Scienze di Londra. Fu il primo direttore dell’Ironbrifge
Gorge Museum Trust dal 1971, e poi del National Maritime
Museum, Greenwich dal 1983.
27
28
Il Conservatoire National des Arts et Métiers (CNAM) è
un famoso e prestigioso organismo di concessione di
istruzione superiore, gestito dal governo francese,
dedicato a fornire l’istruzione e la conduzione di ricerche
per la promozione della scienza e dell’industria. Venne
fondato durante la Rivoluzione Francese, nel 1794.
29
Il Musée national des Arts et Traditions Populaires
(MNATP) è un ente pubblico fondato nel 1937 da
Georges Henri Rivière . Ha presentato una visione
d’insieme della società francese tradizionale, rurale ed
50
Abraham Darby (1678-1717) fu un imprenditore inglese,
pioniere dell’industria siderurgica e il primo di una dinastia
di fonditori che hanno caratterizzato il primo periodo
31
Abraham Darby III (1750-1791). Nipote di Abraham
Darby, proseguì l’attività di famiglia, avviando anche la
produzione di rotaie.
32
Informazioni ottenute dal sito di Europaconcorsi : www.
europaconcorsi.com
33
G.C.GUAZZO, Archeologia industriale in Portogallo : Il
caso delle cantine del vino di Porto a Vila Nova de Gaia,
in M. STOCHINO, M. PIRAS, J. MIGONE RETTIG (a cura di),
Congreso Internacional : Puesta en valor del patrimonio
industrial sitios, museos y casos, pp 75-78
Fonti bibliograFiChe e sitograFia
doCUMentazione iConograFiCa
THEODORE ANTON SANDE, Industrial Archaeology, A new
look at the American Heritage, Penguin Books, New York,
1976
Copertina © Tratta dalla voce di Bochum su: www.
wikiwand.com
Fig. 1 | commons.wikimedia.org
THEODORE ANTON SANDE, Industrial Archaeology and
the Cause for Historic Preservation in the United States, in
Historical Archaeology, Vol. 11 (1977), pp. 39-44, Society
for Historical Archaeology (SHA). Stone Mountain,
Georgia
CHARLES K. HYDE, IA, The Journal of the Society for
Industrial Archeology, Vol. 17, No. 1 1991 Copyright 19911999, The Society for Industrial Archeology
PAUL A. SHACKEL, Labor’s Heritage: Remembering the
American Industrial Landscape, Historical Archaeology,
2004
REYNER BANHAM, Buffalo Archaeological. in “The
Architectural Review” 996, pp. 88-94. Febbraio 1980
PATRICK E. MARTIN. Industrial Archaeology. In di T.
MAJEWSKY e D. GAIMSTER International Handbook of
Historical Archaeology (pp. 285–297). New York, 2009
MANFRED WEHDORN, FERNANDEZ ORDONEZ (a cura di),
Conseil d’Europe. Situation du patrimoine bâti technique
et industriel en Europe, Strasburgo, 1985
G. DE MARTINO, Archeologia Industriale,
wikitecnica.com/archeologia-industriale
B.CORTI, Archeologia Industriale,
enciclopedia/archeologia-industriale
www.
Fig. 2 | © Paulson Brothers Ordnance Corp. www.
civilwarartillery.com/westpoint
Fig. 3 | © Paulson Brothers Ordnance Corp. www.
civilwarartillery.com/westpoint
Fig. 4 | © PATRICK GIRAUD, Fotograia dal sito www.
casabellaweb.eu,
Fig. 5 | © Fotograia dal sito www.mac-s.be
Fig. 6 | © BERNARD VANROYE, Fotograia dal sito www.
ecomuseeboisduluc.be
Fig. 7 | © AMOS CHAPPLE, Fotograia dal sito whc.unesco.
org
Fig. 8 | © Fotograia dal sito whc.unesco.org
Fig. 9 | © JOCHEN SCHLUTIUS, Fotograia dal sito www.
germany.travel
Fig. 10 | © Fotograia dal sito www.academia.edu
Fig 11 | © Fotograia dal sito www.academia.edu
www.treccani.it/
G.LAMELZA, La nascita della salvaguardia del patrimonio
industriale in Inghilterra da Hudson a Rix, aimol.altervista.
org/archeologia-industriale
P. E. MARTIN, Industrial Archaeology, www.mtu.edu
51
52
4 | l’arCheologia indUstriale in italia
4.1 PrograMMazione e gestione del reCUPero
delle aree disMesse in italia
In Italia la questione delle aree dismesse nasce verso la
ine degli anni Settanta1, con la crisi della grande industria
e la dismissione dei grandi complessi industriali siderurgici,
meccanici, chimici e petroliferi (ig. 1). Tuttavia sono gli
anni Ottanta/Novanta il riferimento cronologico in cui
questa problematica inizia ad acquisire parvenze
signiicative: un esemplare caso fu il grande laminatoio
costruito a Napoli nello stabilimento siderurgico di
Bagnoli2 del Gruppo IRI3 (ig. 2), entrato in funzione nel
1984 e chiuso dopo pochi anni. Il tema del disuso ha
assunto nel corso del tempo un’importanza crescente e
rilevante, sia per le dimensioni – solo alcuni anni fa si
contavano almeno 100 milioni di mq circoscritti solamente
alle città capoluogo di provincia - ma specialmente
poichè, annesso a questo fenomeno, vi si è innescato un
deleterio processo di degrado isico, ambientale e
sociale, generatore del deterioramento e deperimento
delle città stesse.
Nonostante l’evidente necessità di un’operazione
razionale di interventi, che ha posto dunque con urgenza
la problematica della riconversione, i provvedimenti
portati al termine ino alla metà degli anni Novanta sono
risultati assai scarsi e ottenuti solo dopo considerevoli
attese: tra i più celebri si citano gli stabilimenti PirelliBicocca a Milano4 (ig. 3), Fiat-Lingotto a Torino5 (ig. 4),
Ilva-Campi a Genova6 (ig. 5). Le cause sono incentrate
in un fattore prettamente economico, legato sia ai costi
che ai ricavi degli interventi. Sul piano urbanistico dal
dopoguerra in poi l’unico modello di sviluppo è stato
quello della espansione urbana, tuttavia, i costi degli
interventi di trasformazione sono risultati notevolmente
superiori, legati ad un’operazione più speciica di
preurbanizzazione
comprendente
demolizioni
e
boniiche. Va inoltre considerata agli inizi degli anni
Novanta una nuova lessione del mercato immobiliare,
che ino ad allora aveva invece sempre mostrato un
trend di continuo sviluppo. La risultante di queste
componenti sono stati tempi di attuazione di addirittura
10-15 anni, trascurando la casistica di interventi mai
portati a termine.
fig. 1 | SeSto San giovanni, ex area falk, interno Dello StaBilimento
t5 Del comparto concorDia.
fig. 2 | Bagnoli, StaBilimento
Sala macchine
Di
Bagnoli
Dell’ilva
, laminatoio,
53
fig. 3 | milano Bicocca, StaBilimento pirelli nel 1922
fig. 4 | torino, StaBilimento lingotto fiat nel 1928
54
fig. 5 | genova, capannoni Dell’anSalDo nella frazione Di campi
La svolta si è veriicata nella seconda metà degli anni
Novanta, in cui la società ha sviluppato una sensibilità
sempre più incisiva riguardo il tema delle aree dismesse,
rivalutando l’originaria problematica come una nuova
importante risorsa di rinnovo della città.
L’entrata nel mercato globale e l’ingresso in Europa ha
determinato l’esaltazione della competizione tra le città
e le regioni, evidenziando il divario soprattutto tra città
italiane ed europee, specialmente in termini di servizi
urbani e di dotazioni infrastrutturali e tecnologiche.
Le aree dismesse, grazie alla non indifferente collocazione
strategica nel contesto urbano, si sono qualiicate come
privilegiate sedi centrali per funzioni terziarie e servizi di
alto rango.
Si è così valutata l’esigenza di una cooperazione, un
comune accordo tra settore pubblico e privato, per la
realizzazione di interventi di interesse comune, e dunque
la necessità della creazione di nuovi strumenti di
pianiicazione, i cosidetti “programmi complessi”7 di
contrattazione negoziata. Nasce così l’epoca della
concertazione tra pubblico e privato. Questa tipologia
pianiicatoria si contraddistingue per due fondamentali
caratteristiche: si declinano in alternativi piani di sviluppo
che possono essere redatti come variazioni agli ordinari
piani regolatori e vengono approvati con procedure
sempliicate, o, possono concernere tematiche e
concetti economici di intervento volti a prevedere e
controllare le risorse inanziarie statali e comunitarie. Il
rilancio si ebbe con i Programmi di riqualiicazione urbana
(PRU)8, avviati alla ine del 1994 grazie all’ottenimento di
una buona dotazione inanziaria: circa 800 miliardi del
Governo, ed altri ancora con risorse europee e regionali.
L’esperienza dei PRU ha determinato un successo
autorevole, almeno nelle città medio grandi, con
principali interventi riconducibili a opere di boniica,
portando ad un progresso importante per tutta la
panoramica dell’archeologia industriale. Quasi tutti gli
originari interventi di recupero italiani si sono convertiti in
trasformazioni radicali. Molti degli ediici industriali
preesistenti sono stati abbattuti per lasciar posto a nuovi
insediamenti urbani, destinati a mix funzionali di tipo
residenziale, terziario e per grandi servizi, come ad
esempio, tra i casi più illustri, La Spina Centrale a Torino9,
Campi a Genova10, Novoli a Firenze11, Bagnoli a Napoli12
(ig. 6) e tanti altri ancora.
fig. 6 | napoli, Quartiere commerciale-reSiDenziale Di Bagnoli fonDato Sull’antica area inDuStriale
55
Quasi sempre tuttavia, all’interno dei complessi industriali,
si ritrova qualche fabbricato o qualche elemento che,
per ragioni architettoniche o di semplice memoria
storica, acquisisce un valore per cui ne si attua la sua
conservazione.
E’ proprio in questi contesti che prende avvio la questione
dell’archeologia industriale: come confrontarsi con la
preesistenza?
Gli enti statali e comunali sono chiamati all’esaminazione
degli ediici esistenti al ine di stabilire una ipotetica
gestione e manutenzione, eventualmente convertendoli
in strutture atte ad accogliere nuove funzioni.
Ed è soprattutto la Soprintendenza dei beni ambientali e
architettonici l’istituzione pubblica che svolge un ruolo
predominante nel decretare e sancire lo stato futuro del
manufatto oggetto di studio, deinendo una serie di
prescrizioni vincolanti che precludono qualsiasi
contestazione o modiica.
Sorge dunque un nuovo quesito su quali siano le possibilità
di intervento e le rispettive limitazioni e quale stato
potenziale si possa attribuire al reperto. L’analisi trova
origine da uno speciico coeficiente di partenza.
La riconversione delle aree dismesse infatti è a tutti gli
effetti un’operazione di tipo imprenditoriale; certamente
più complessa di altre in quanto deve confrontarsi non
solo con il mercato, rispettando dunque rigide condizioni
di natura economico-inanziaria, ma anche con le
procedure tecnico amministrative della pianiicazione e
quindi con ulteriori vincoli di natura politica e sociale.
Il sistema di rinnovo deve mantenere un costante
riferimento al bilancio costi-beneici.
I criteri per determinare questi parametri costituiscono un
delicato procedimento ove la valutazione di ciascuna
variabile,
tecnico-amministrativa
e
economicoinanziaria, risulta essenziale.
In aggiunta a questo fondamentale aspetto economico,
il riuso industriale non può prescindere dal confronto con
i termini di tipo storico-culturale, di cui si avvalora un dato
manufatto, e con una serie di componenti che possono
conseguentemente rivelarsi veri e propri vincoli di
progettazione, nonostante questi siano in realtà
vagamente e arbitrariamente deiniti e costituiscano il
frutto di una consolidata tradizione sociale.
Un tipo di riuso che nel corso degli anni ha trovato terreno
fertile su cui radicarsi riguarda la reindustrializzazione.
56
Se in una prima fase gli interventi di trasformazione sono
stati prettamente destinati ad un uso urbano e
residenziale, successivamente la domanda di residenza
e soprattutto di terziario è divenuta sempre più debole,
rispetto ad una sempre più sostenuta domanda per le
attività industriali.
Il nuovo polo del mercato si è conigurato così non tanto
nell’industria pesante, quanto invece nella piccola
impresa, la così detta new economy13.
Questa nuova tecnica di riconversione delle preesistenze
a scopi produttivi – è il caso di stabilimenti meccanici e
siderurgici ma anche minerari - si è contraddistinta nella
nuova risorsa principale dell’economia, trovando col
tempo differenti declinazioni evolutive, come musei e
parchi mineralogici, oltre che come aziende di stampo
commerciale e turistico.
Oggi, nonostante i successi siano ancora esigui e limitati,
siamo proiettati verso una nuova politica di sviluppo, alla
quale devono essere riconosciuti importanti progressi,
economici e sociali.
I nuovi termini di trasformazione si riferiscono dunque ad
una profonda rigenerazione e rinascita interiore, che
gradualmente sta avanzando i primi passi verso la
riconquista della qualità non solo urbana, ma anche e
soprattutto sociale.
fig. 7 | roma, ex mattatoio Di teStaccio riconvertito
DiDattici per la facolta Di architettura Di roma tre
in Spazi
fig. 8| milano, fonDazione pomoDoro, viSta Su Sala centrale.
57
4.2 nord italia
Fondazione arnaldo PoModoro |
La fondazione
Arnaldo Pomodoro14 ospita dal 2005 mostre sulla scultura
italiana del XX secolo e ha sede in una ex fabbrica di
turbine. Dopo le esperienze a Rozzano e in via Solari15 a
Milano, l’attività della Fondazione prosegue dalla
primavera 2013 in un nuovo spazio espositivo, appena
restaurato, afidato agli architetti Cerri e Colombo16, in
via Vigevano n.9, adiacente agli archivi della Fondazione
e allo studio dell’artista.
L’involucro esterno non ha subito modiiche mentre lo
spazio interno è stato svuotato da tutti gli impianti che
avevano inluenzato la genesi di quegli spazi. Dopo la
messa in sicurezza degli apparati murari e delle vetrate è
stata inserita, in corrispondenza del salto di quota delle
coperture, una macchina composta da trailati d’acciaio
che accoglie larghi camminamenti adattabili facilmente
alle diverse esigenze espositive.
Sono
inoltre
intervenuti
nell’assemblaggio
del
camminamento centrale montando i componenti con il
chiaro intento di riprendere metodi costruttivi industriali
tradizionali, ora in disuso, quasi a voler compiere
un’operazione di archeologia invertita. Inine hanno
recuperato lo scavo, necessario al funzionamento
dell’altoforno, tramite una gradinata che ne permette
l’utilizzo come piccolo auditorium.
In quest’opera sono molto chiare le scelte operate dagli
architetti e si evince come ogni particolare costruttivo si
rifaccia al passato, anche grazie all’appropriato uso dei
materiali, senza cadere in un uso banale e nostalgico
degli stessi.
58
Fig. 1 © NOME AUTORE, Titolo, EDITORE,Dove quando e
fig. 9| milano, fonDazione pomoDoro, Ballatoi interni.
fig. 10| milano, fonDazione pomoDoro,
traSverSali.
viSta Sui collegamenti
fig. 11 | milano, fonDazione pomoDoro,
alleStimento Della Sala
centrale.
fig. 12 | milano, fonDazione pomoDoro,
copertura.
viSta Della
fig. 13 | milano, fonDazione pomoDoro, Ballatoi e Bucature Della parete.
59
fig. 14 | milano, fonDazione pomoDoro, alleStimento muSeale.
60
MUlino stUCky | Il Molino Stucky era un complesso
industriale simbolo del patrimonio archeologico
industriale di Venezia e italiano, frutto di numerosi
rimaneggiamenti quali demolizioni, ristrutturazioni e
ampliamenti,
legati
all’esigenza
di
adeguare
continuamente il complesso alle attività in esso svolte.17
fig. 15 | venezia, mulino Stucky,
lavraneri e Di San Biagio.
viSta Delle facciate Di
calle
fig. 16| venezia, mulino Stucky, proSpetto Dalla giuDecca.
Dei
Tra il 1882 ed il 1883, l’imprenditore svizzero Giovanni
Stucky scelse di costruire il primo mulino a vapore,
segnando così l’avvio della sua carriera di imprenditore,
comprando un’area estrema dell’isola della Giudecca,
nella laguna veneziana. Su quest’area, dislocata tra il rio
di San Biagio, il canale della Giudecca e il rio dei
Lavranieri, sorgeva precedentemente il complesso
religioso costituito dalla chiesa e dal convento dei Santi
Biagio e Cataldo, il cui ordine era stato soppresso da
Napoleone nel 1809.
Questa iniziativa fu molto interessante e proicua per la
città di Venezia che, per sopperire al fabbisogno
cerearicolo della popolazione era sempre stata
strettamente
collegata
all’attività
molitoria
dell’entroterra, eliminando la necessità di trasporto,
occupandosi
direttamente
della
macinazione
cerealicola, e in seguito fungendo anche da pastiicio
per ambire all’autonomia nel settore dell’industria
alimentare. I Molini Stucky si presentavano come una
fabbrica a pianta rettangolare dalle rigide linee, si
sviluppavano su sei piani con inestre ornate da cornici in
calcare d’Istria che si snodavano a intervalli regolari
lungo le pareti.18
Il Molino appena costruito guardava, come esempio per
la creazione del suo biglietto da visita, le grandi realtà
portuali del nord Europa, dove l’architettura Neo Gotica
era da tempo entrata in simbiosi con i nuovi complessi
delle industrie e delle infrastrutture. La svolta per questo
complesso industriale avviene tra il 1895 e il 1897 quando
Giovanni Stucky afida la costruzione del silos e della torre
d’angolo all’ architetto tedesco Ernst Wullekopf19. La
commissione comunale allora si trovò di fronte ad una
interpretazione architettonica estranea alla cultura
veneziana, e deinibile nell’ambito dell’eclettismo
architettonico.
fig. 17 | venezia, mulino Stucky, proSpetto Dalla giuDecca.
61
fig. 18 | venezia, mulino Stucky, viSta Dal tetto con la città Sullo SfonDo.
62
Forma e volumetria risultavano essere fuori scala
rispetto al complesso tessuto urbano dell’isola, così
furono proposte delle modiiche. Il laterizio è
l’elemento caratterizzante del complesso, utilizzato
sia per la creazione di un nuovo aspetto esteticodecorativo, sia per una risoluzione omogenea in
ambito strutturale. I metodi costruttivi degli ediici
sono prevalentemente basati sull’impiego di esili
strutture verticali in mattoni abbinate al calcestruzzo
armato, tecnica certamente pionieristica negli
anni di ediicazione della fabbrica, venendo a
costituire, in un certo senso, una poetica
tecnologica della contaminazione. Attraverso
varie soluzioni costruttive basate su abbinamenti di
materiali diversi quali mattone e ferro, mattone e
calcestruzzo, mattone e calcestruzzo e ferro, i
progettisti tentarono di confutare il dogma
secondo il quale solo la muratura a grossa sezione
si dimostrava adatta a sostenere carichi importanti.
Non soddisfatto da tale esito, lo Stucky, con la
minaccia di licenziamento di quasi duecento
operai, convinse la commissione che si vide quasi
costretta a formulare un giudizio positivo in
seconda istanza: il complesso industriale iniziò a
rappresentare una vera e propria roccaforte
produttiva insediata nel cuore della laguna. Nel
1884, all’inizio dell’attività, la possibilità molitoria è
di 600 q. ogni 24 ore. Con la costruzione del nuovo
silos si raggiungono 2.500 q. al giorno. Nel 1903
viene costruito un grosso pastiicio annesso al
mulino e nel 1907 un mulino autonomo per
granoturco dove è ripreso il repertorio formale del
progetto Wullekopf. Tre anni più tardi la storia del
Molino Stucky si tinge di nero con l’omicidio di
Giovanni Stucky per mano di un operaio. Dopo un
rinnovo parziale degli impianti nel 1920-26, ed il
passaggio dalla proprietà della famiglia Stucky ad
S.p.A. nel 1933, l’attività molitoria chiude
deinitivamente nel 1955. Da allora lo stato di
abbandono in cui si trovava il Molino ha indotto la
proprietà, l’Acqua Pia Antica Marcia, a
promuovere soluzioni progettuali inalizzate ad un
suo reale ed effettivo recupero funzionale
all’inserimento attivo nella vita economicaculturale della città lagunare.20
fig. 19 | venezia, mulino
Stucky, proSpetto Della torre
D’angolo
Dell’
architetto
ernSt wullekopf .
63
fig. 20| venezia, mulino Stucky, ingreSSo principale.
Solo nel 1994 determinati fattori, legati alla
situazione politica e amministrativa della città,
favoriscono l’iniziativa di recupero delle fabbriche
superstiti, dall’area ex-Scalera Film e dall’area
Trevisan. Il progetto di recupero del Molino inizia
nel 1997 e prevede la destinazione di 3 grandi
ediici a funzione residenziale, venduti a prezzo
convenzionato, e di 23 ediici, di diversa
consistenza, destinati ad un grande complesso
alberghiero, congressuale e commerciale. I lavori,
iniziati nel settembre del 2002 e tuttora in corso, son
conclusi indicativamente alla ine del 2006. Tale
tempistica è stata dilatata per una lunga
interruzione dovuta a un incendio che nel 2003 ha
provocato il crollo pressoché totale di due ediici
del complesso.
Il Molino Stucky, composto da 13 ediici distribuiti su
nove piani, è ancora oggi una delle costruzioni più
alte della città.
L’hotel, che oggi trova posto nell’antico complesso
industriale, ospita 379 camere e il più grande
centro congressi alberghiero della città, oltre ad
accogliere il più grande centro benessere e la
prima e unica piscina sul rooftop di Venezia.
fig. 21| venezia, mulino Stucky, viSta canale Di San Biagio
64
4.3 Centro
il ParCo-MUseo Minerario di abbadia san salvatore
Il complesso iter progettuale attivato dal Comune di
Abbadia San Salvatore in Provincia di Siena (Toscana)
(ig. 22), per la realizzazione del Parco-museo minerario,
risulta essere di un processo conseguente alla chiusura
della miniera, una dei più importanti giacimenti di
cinabro21 al mondo (ig. 23), secondo solo a quello di
Almaden22 in Spagna (ig. 24) e a quello di Idria23 in
Slovenia. La dismissione dell’attività mineraria, che ha
colpito l’intero territorio dell’Amiata24, ha costituito alla
metà degli anni Settanta un evento catastroico ed
epocale per la comunità, la cui economia risultava
totalmente dipendente dall’esistenza della miniera.
E’ stato quindi fondamentale l’intervento operato
dall’amministrazione locale, puntando su nuove
prospettive di cambiamento per la riqualiicazione del
territorio e promuovendo per l’intera area mineraria un
nuovo piano di recupero che prevedesse un riuso non
solo di tipo museale, ma anche per attività produttive,
ricreative, turistiche-ricettive, e scientiico culturali, così
da costituire il punto di riferimento spaziale, la struttura
connettiva per un progetto integrato di sviluppo
economico-sociale a lungo termine.
Nell’affrontare questo processo di riconversione
l’Amministrazione Comunale ha innanzitutto deliberato
una immediata salvaguardia sul patrimonio edilizio ed
impiantistico della miniera, di cui la Società mineraria
aveva precedentemente iniziato la demolizione.
E’ stato poi insediato un Comitato Scientiico Permanente
al ine di garantire la compatibilità del processo di
riconversione, con la tutela e la valorizzazione del
patrimonio storico minerario, la cui prima operazione è
consistita nella conservazione e catalogazione dei
documenti.
Successivamente è stata attivata l’elaborazione di una
Variante Urbanistica per il recupero dell’intero complesso
minerario in base alla L.R. n 59/198025.
Tale variante approvata dalla Regione Toscana nell
1987, ha previsto il recupero e una nuova destinazione
d’uso di quasi tutti i manufatti esistenti, nonchè la
suddivisione del territorio in comparti urbanistici ciascuno
dei quali caratterizzati da una funzione prevalente
(museale, artigianale, ricreativa, parco, campeggio).
fig. 23 | minerale Del cinaBro
fig. 22 | aBBaDia San Salvatore, Siena, centro Storico
fig. 24 | almaDen, Spagna, interno Di una miniera Del parco
65
Una posteriore fase di progetto è stata la redazione di un
Piano Urbanistico di Dettaglio per ciascun comparto che
costituisce lo strumento di coordinamento morfologicofunzionale degli insieme degli interventi sui singoli ediici o
sulle singole aree, così da garantire la coerenza e
l’unitarietà del processo di riconversione.
Il comparto dedicato al Parco-museo minerario contiene
sicuramente i manufatti edilizi storici di maggior pregio.
Le scelte previste dal Piano per questo comparto si
concretizzano in un’operazione di riqualiicazione e
valorizzazione di un sistema interconnesso miniera-città,
luogo della memoria tra ieri e oggi.
Il Museo, che testimonia la storia dell’estrazione e della
lavorazione del cinabro e la storia della comunità
abbadenga, è solo il nocciolo di un articolato organismo,
la cui area territoriale del comparto funziona e si
conigura
come
grande
contenitore
museale,
sviluppando una serie di percorsi espositivi in una pluralità
di spazi sia esterni che interni, delineandosi in tre tipologie
didattiche: il percorso dell’escavazione, che grazie al
recupero del sistema dei binari preesistente ha permesso
il collegamento tra impianti di lavorazione e gallerie (ig.
25); il percorso della metallurgia, funzionale a mostrare le
singole fasi di lavorazione del materiale; il percorso della
memoria, che attraversa lo spazio centrale dell’area
mineraria ove erano localizzati i vecchi impianti di
lavorazione.
Questa sequenza di itinerari conluisce in un vuoto
centrale, originariamente occupato dai vecchi impianti,
denominato oggi “piazzale della memoria” che
costituisce il fulcro, l’agorà dell’intero Parco-museo.
fig. 25 | aBBaDia San Salvatore, Siena, gallerie Della miniera con
antico SiStema Di rotaie
66
Un’analisi a parte può essere dedicata per ciò che
concerne l’intervento di recupero dei più importanti
manufatti edilizi per i quali sono stati redatti dei singoli
Progetti Esecutivi, applicati grazie a inanziamenti esterni
garantiti dalla Comunità Europea.
In questa fase la priorità è stata data al recupero
dell’antico ediicio denominato “La Torre dell’Orologio”
(ig. 26), che costituisce per la popolazione locale una
sorta di immagine-simbolo della miniera.
fig. 26| aBBaDia San Salvatore, Siena, torre Dell’orologio SeDe
Del muSeo minerario
L’intervento è stato inalizzato alla creazione di un centro
studi, comprendente biblioteca, sala conferenze, centro
di ricerca, servizi e amministrazione del Parco, oltre che
principale sede dell’archivio museale dei documenti
storici della miniera, dove è possibile osservare gli
strumenti di lavoro (ig. 27), attrezzature (ig. 28), fotograie
(ig. 29 e 30), una ricca collezione di minerali, la storia
delle miniere stesse, la storia del mercurio.
Un’altra importante opera di riqualiicazione riguarda
l’ediicio dell’ex oficina meccanica, rifunzionalizzato
come sede del museo documentario permanente che
reinterpreta nella sua strutturazione concettuale e
spaziale il tema del percorso, riproponendo i caratteri
tipici del Parco-Museo.
Tra i diversi ruderi soggetti al ripristino viene ricordato
anche l’antico ediicio storico dei vecchi essicatoi, oggi
destinato a spazio espositivo per mostre temporanee.
fig. 27 | aBBaDia San Salvatore, Siena, Strumenti Di lavoro
fig. 29 | aBBaDia San Salvatore, Siena, antico lavoro in miniera
fig. 28| aBBaDia San Salvatore, Siena, macchinari Di lavoro
fig. 30 | aBBaDia San Salvatore, Siena, comunità operaia
Della miniera
67
4.4 sUd
il CoMPlesso siderUrgiCo di Mongiana, Calabria
Il Complesso Siderurgico oggetto del presente studio è
dislocato nel territorio di Mongiana, piccolo centro in
provincia di Vibo Valentia. Più precisamente si trova alla
conluenza dei due iumi Allaro e Ninfo. In quest’area
sorse l’8 marzo del 1771 il primo nucleo di abitanti, che in
seguito avrebbe costituito il comune di Mongiana. Il
territorio è caratterizzato dalla presenza di rigogliosi
boschi e miniere, attraversati da numerosi torrenti
incontaminati. L’esperienza siderurgica meridionale iniziò
nel 1749 con Carlo III di Borbone che avviò un processo di
ristrutturazione e di ammodernamento delle Ferriere
calabresi. Il sovrano chiamò a Napoli i migliori mineralogisti
sassoni e ungheresi per studiare le potenzialità estrattive
del territorio calabrese, e per ammodernare i processi
produttivi. La riorganizzazione delle ferriere calabresi era
considerato compito improrogabile e necessario.
L’enorme consumo di carbone vegetale ,dovuto ai
processi di fusione basati sul cosiddetto “metodo
catalano”26, e il conseguente disboscamento intensivo
costrinse lo spostamento degli impianti di lavorazione.
Tuttavia la creazione di una fonderia stabile richiedeva
consistenti risorse. Solo con Ferdinando IV di Borbone si
decise di avviare la realizzazione di un moderno
complesso siderurgico, consapevole che avrebbe dato
un forte impulso all’economia calabrese ed a quella
dell’intero regno di Napoli.
Nel 1768 Giovanni Francesco Conty27, coordinò una
commissione incaricata di localizzare un’area per il
nuovo complesso siderurgico. La scelta della località di
Cima, detta poi Mongiana (o Mungiana), venne dettata
sia dalla presenza di boschi e di miniere, sia dalla
presenza di due iumi (Allaro e Ninfo) le cui acque
avrebbero garantito la forza motrice. Il governo
borbonico comprò quindi una vasta area sulla piana
Stagliata-Micone di propietà del Principe di Roccella,
feudatario di Fabrizia (ig. 31). A partire dal 1770 si
comincia a trasportare il minerale nella nuova area28 e
nel 1771 viene trasferito il primo nucleo di forni, intorno ai
quali si stanzierà il primo nucleo di abitanti.
La costruzione del Villaggio Siderurgico di Mongiana
iniziò lo stesso anno, sotto la direzione prima dello stesso
68
Fig. 1 © NOME AUTORE, Titolo, EDITORE,Dove quando e
fig. 31 | mongiana, pianta Del territorio compreSo fra i torrenti
ninfo eD alaro (l), con l’uBicazione Della fonDeria (a), Delle
ferriere S. Bruno (c), S. carlo (g), S. ferDinanDo (h), real
principe (k) e Delle StraDe che le collegavano.
Conty, poi del iglio Massimiliano, su progetto del noto
architetto napoletano Mario Gioffredo29. Egli dovette
progettare, oltre all’intero ediicio, anche tutte le opere
idrauliche necessarie al funzionamento di quei
meccanismi utili al processo di fusione. Prima che la
fonderia venisse completata trascorsero 10 anni, infatti la
produzione vera e propria cominciò nel 1781. I metodi di
lavorazione non ancora innovativi limitarono inizialmente
la produzione. Per questo motivo dal 1789 al 1797 i
Borbone inviarono in Europa un gruppo di studiosi
meridionali30 per apprendere le più moderne tecnologie
applicate nei vari distretti minerari e trasferirle negli
impianti siderurgici nel Regno di Napoli.
A ine ‘700, in seguito all’accusa di aver causato un
eccessivo consumo di minerale, Massimiliano Conty
venne sollevato dall’incarico di amministratore e
imprigionato per un periodo a Catanzaro. Al suo posto
subentrò Vincenzo Squillace.
Nel XIX secolo il re Ferdinando IV assegnò prima la
gestione degli impianti siderurgici al corpo militare, per
poi assegnarne nel 1806 la direzione ai preparati uficiali
di artiglieria31. Con l’arrivo dei militari migliorano le
condizioni dei lavoratori, dalla paga giornaliera si passò
al lavoro a cottimo, inoltre, in seguito alla crescente
domanda generata dalle guerre napoleoniche, nel
primo decennio aumentò la produzione, soprattutto nel
settore degli armamenti.
Nel 1807 Napoleone assegnò Mongiana al Ministero di
Guerra e Marina, nominando come direttore il Tenente
Colonello Ritucci, e degradando Squillace al compito di
cassiere e pagatore. Ritucci rimase in carica ino al 1812,
si dedicò al miglioramento dei metodi e della produzione,
e si occupò anche del perfezionamento delle macchine
e della riparazione delle strade. Nel 1812-13 il nuovo
direttore di Mongiana è Michele Caracossa. Egli propose
di rimettere in funzione le “Vecchie Ferriere” di Stilo, di
potenziare l’attività di Mongiana con la costruzione di
due nuove ferriere e una fabrica d’armi, e tanto altro.
Purtroppo tutte queste ipotesi migliorative non ebbero il
tempo di concretizzarsi.
Con l’amministrazione di Nicolò Landi (1814-1816) lo
stabilimento si ampliò e la produzione crebbe
sensibilmente32. Fu realizzata una fabbrica per la
produzione delle canne dei fucili, dismessa pochi anni
dopo.
Il 7 giugno 1815 i Borbone, con Ferdinando II, riacquistano
la guida del Sud Italia, divenuto Regno delle Due Sicilie.
Grazie al completamento di opere avviate negli anni
precedenti,
il
complesso
siderurgico
crebbe
ulteriormente. Si iniziò a produrre anche per la società
civile, vennero infatti realizzate parti dei primi ponti in
ferro italiani: il ponte “Real Ferdinando” sul Garigliano ed
il ponte “Cristina” sul iume Calore.
Gli anni sotto il regno di Ferdinando II segneranno il
momento di maggior splendore.
Nel 1852 il governo borbonico costruì una moderna
fabbrica33 per la produzione di armi leggere, in sostituzione
alla fabbrica di “canne da fucile” (ig. 32). Il progetto fu
afidato all’ingegnere Domenico Fortunato Savino34.
L’ediicio era disposto su tre livelli paralleli e terrazzati per
meglio sfruttare la caduta delle acque per il
funzionamento delle macchine. L’ingresso principale era
ornato da una coppia di alte colonne doriche in ghisa
con relativo architrave.
Savino si occupò dell’ampliamento della fonderia
progettando tre nuovi altiforni chiamati rispettivamente
S. Barbara (ig. 33), S. Ferdinando e S. Francesco. Progettò
parte del paese ed altre numerose opere annesse alla
fonderia; magazzini, depositi nonchè «la stanza dei
modelli degli oggetti di fusione; le oficine dei forgiatori;
dei falegnami; della stafferia; le stanze dei fonditori
scientiici; i cortili per riporvi le piramidi dei proiettili; la
ribatteria dei medesimi, ed una sega idraulica per uso di
tavolame»35.
Nella nuova fabbrica d’armi nacque il famoso fucile da
fanteria, mod. Mongiana a molla indietro, più moderno e
funzionale del fucile francese a cui si ispirava.
La fabbrica di Mongiana continuò la produzione ino al
1860, in seguito fu declassata a “oficina trasformazioni”,
per poi essere dismessa deinitivamente verso le metà del
1870.
A seguito dello sbarco di Garibaldi e la successiva
uniicazione dell’Italia, il nuovo governo unitario,
abolendo tutti i dazi, negò il sostegno alle nascenti
industrie che si affacciavano verso i mercati internazionali.
Il governo estese sull’ex Regno delle Due Sicilie le nuove
24 tasse piemontesi, e , abbattendo di colpo il sistema
protezionistico borbonico, mise in ginocchio molte delle
fig. 32 | mongiana, reSti Della faBBrica D’armi, facciata principale
Sec xix
69
fig. 33 |mongiana, ruDeri altoforno S. BarBara
fig. 34 |mongiana, ruDeri fonDeria BorBonica
attività industriali. Iniziò così il lento declino che portò i
3000 addetti di Mongiana, e di tutti gli altri stabilimenti
meridionali, alla crisi, costringendoli ad emigrare. Al
declino della nascente industria meridionale, seguì la
nascita della grande industria del Nord.
«L’atto uficiale di morte del più importante centro
metallurgico del meridione d’Italia è individuato nella
vendita degli stabilimenti di Mongiana il 25 maggio del
1874, all’onorevole deputato Achille Fazzari, senza
alcuna
valida
esperienza,
nessuna
capacità
organizzativa e nessuna conoscenza tecnica»36.
Le origini e la storia del polo siderurgico di Mongiana
sono raccontate nel Museo delle Reali Ferriere Borboniche
inaugurato il 22 Ottobre 2013.
fig. 35 |mongiana, ruDeri fonDeria BorBonica
70
Già dal 1975 si avviarono i lavori di restauro, ma solo nel
2009, grazie ad un nuovo inanziamento della Regione
Calabria, si concretizza il recupero di questo antico
insediamento industriale. I lavori, iniziati nel 2010 a cura
degli architetti Gennaro Matacena e Francesco Ferraro,
prevedevano il completamento di magisteri incompiuti o
non realizzati nei restauri precedenti, la progettazione
delle opere di adeguamento alle normative sulla
sicurezza e delle strutture di allestimento espositivo. Il
Museo racconta il legame con il territorio e con la sua
popolazione; ripercorre gli oltre 100 anni di storia di
questo “rudere” unico nel suo genere in tutto il
Mezzogiorno d’Italia.
fig. 38 | mongiana, Sala convegni
fig. 36 | mongiana, facciata ‘’faBBrica D’armi’’
fig. 39 | mongiana, alleStimento muSeo ‘’faBBrica D’armi’’
fig. 37 | mongiana, interno ‘’faBBrica D’armi’’
fig. 40 | mongiana, le armi Bianche, fucile moDello
71
note
1
I principali studi riguardo questa tematica sono stati
affrontati dall’AUDIS, Associazione Aree Urbane Dismesse,
nata nel Luglio 1995 come luogo di incontro tra pubblico
e privato per la trasformazione delle aree e degli immobili
dismessi.
AUDIS raggruppa molti comuni interessati dalla presenza
di aree dismesse , operatori e proprietari privati, utenti
inali. Lo scopo dell’Associazione è quello di scambiare
esperienze ed informazioni tra i soggetti interessati,
individuando orientamenti e strategie e svolgendo
un’azione di pressione e stimolo verso i governi nazionali
e regionali, attività svolta mediante l’organizzazione di
seminari, convegni e pubblicazioni.
2
Uno dei maggiori centri siderurgici subordinati alla
società ILVA/Italsider, venne costruito nel 1905, nel
quartiere Bagnoli di Napoli, già sede di alcuni impianti
industriali nella seconda metà del XIX secolo. Un
importante organo dello stabilimento fu il laminatoio,
responsabile della lavorazione di lamiere e proilati
metallici tramite laminazione e sagomatura a caldo.
Il nucleo industriale, entrato in funzione nel 1984 fu il
risultato di una manovra economica dell’azienda,
rappresentante un tentativo di contrasto alla crisi dello
stabilimento, che aveva subito la chiusura di alcuni
impianti del complesso pochi anni prima.
Il 1991 fu l’anno del fallimento, che portò alla dismissione
sia del treno di laminazione sia, in deinitva, dell’intero
centro siderurgico Italsider.
3
L’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, è stato un
ente pubblico italiano, istituito nel 1933 e liquidato nel
1992, con compiti di politica industriale. A questo fanno
riferimento diverse aziende italiane operanti nel settore
siderurgico, come la CimiMontubi S.p.A., proprietaria
delle grandi aree della ex siderurgia di Stato, fra le quali
Bagnoli a Napoli.
4
72
Lo stabilimento della Bicocca a Milano, fondato nel
1908, è stato ino agli anni ’70 il più impotante centro di
produzione della Pirelli. Nel 1970, con la ristrutturazione
produttiva dell`azienda, un terzo dell`area è stato
dismesso e gran parte della produzione trasferita al Sud.
Nel 1985 un accordo fra la Pirelli e l`amministrazione
comunale ha decretato che tutta l`area della Bicocca
venisse trasformata in un polo tecnologico integrato e
multifunzionale, in cui acquistasse sempre più importanza
il settore della ricerca e venisse progressivamente
diminuita la produzione.
Il Lingotto di Torino è un comprensorio di ediici situato
nel quartiere Nizza Millefonti, chiuso tra Via Nizza e un
ramo del passante ferroviario, adiacente all’omonimo
quartiere Lingotto.
Fu uno dei principali stabilimenti di produzione della
fabbrica automobilistica FIAT, mentre oggi è un grande
centro polifunzionale.
5
6
Il centro industriale localizzato nel quartiere di Campi,
una frazione del comune di Genova, fu anch’esso un
polo siderurgico appartenente alla Società ILVA.
Fondato nel 1937, venne considerato uno dei più
prestigiosi stabilimenti a ciclo integrale, ovvero sede di
produzione di ghisa e acciaio a processo continuo.
7
I programmi complessi sono un insieme di strumenti di
governo del territorio, operanti nella dimensione della
riqualiicazione urbana. A differenza dei Piani tradizionali,
il loro campo di attuazione riguarda solo la realizzazione
di alcuni determinati interventi, per i quali sono deiniti i
soggetti attuatori, le risorse economiche, i progetti
preliminari e i tempi di attuazione.
Introdotti dall’inizio degli anni ‘90, risultano essere dei
dispositivi funzionali a promuovere la trasformazione
qualitativa e a deinire interventi pubblici e privati, tra loro
coordinati, così da migliorare l’assetto e la qualità di un
ambito urbano, organizzando la gestione e risoluzione di
problematiche di carattere amministrativo-gestionale.
8
I programmi di recupero urbano si presentano come
meccanismo di trasformazione dei tessuti urbani
consolidati e degradati per favorire una più equilibrata
distribuzione dei servizi e delle infrastrutture e migliorare la
qualità ambientale e architettonica dello spazio urbano,
al ine di eliminare le condizioni di abbandono e di
degrado edilizio, ambientale e sociale che investono le
aree urbanizzate.
La Spina Centrale è una vasta area urbana della Città
di Torino, realizzata solo in parte ai giorni nostri. Si tratta di
una lunga e imponente area che si sviluppa in direzione
nord-sud nel territorio comunale, in posizione pressoché
baricentrica rispetto al contesto cittadino.
La zona, un tempo occupata dal passante ferroviario di
Torino, è oggetto di una profonda e radicale
riorganizzazione a livello urbanistico, con la realizzazione
di un nuovo viale, l’avveniristico viale della Spina,
progettato sul sedime della vecchia ferrovia e la
riqualiicazione dell’intera area circostante. Stando al
Comune di Torino, si tratta del più grande intervento
infrastrutturale realizzato nella città dal secondo
dopoguerra.
9
10
Campi è una frazione del comune di Genova, situata
nella bassa Val Polcevera e compresa nell’ex
circoscrizione di Cornigliano. Sede per quasi un secolo di
grandi industrie siderurgiche e meccaniche, dagli anni
novanta ospita centri commerciali e piccole e medie
imprese commerciali e manifatturiere.
11
Novoli è un quartiere nella zona nord-ovest di Firenze,
protagonista di una grande espansione a seguito del
boom edilizio degli anni cinquanta e sessanta del XX
secolo. La zona, un tempo paludosa, fu poi boniicata e
da ciò deriva l’antico toponimo Novoli, usato nelle
mappe del Comune dal 1871.
12
Bagnoli è un quartiere appartenente alla decima
municipalità del comune di Napoli. Il nome Bagnoli
deriva probabilmente da balneolis, in quanto, prima
della realizzazione degli insediamenti industriali, ospitava
diversi luoghi termali.
Bagnoli poi ha legato indelebilmente il suo nome alla
tradizione operaia: è stata, infatti, sede di uno dei più
importanti insediamenti industriali del mezzogiorno e in
particolare delle acciaierie dell’Ilva, ex Italsider, attive
dall’inizio del ‘900 e dismesse dagli anni novanta.
L’insediamento del polo industriale ha profondamente
modiicato la struttura dell’area che si trova nel golfo di
Pozzuoli, alle pendici della collina di Posillipo.
L’amministrazione comunale, attuando anche le
necessarie opere di boniica, ha intrapreso le prime
operazioni di riqualiicazione della zona. Un primo passo
verso il recupero e risanamento del territorio è stato
compiuto con l’avvio nel 1987 delle attività sperimentali
della Città della Scienza, aperta deinitivamente al
pubblico nel 1996 che è stata il primo museo scientiico
interattivo d’Italia.
13
La locuzione new economy fu coniata nel 1998 dal
saggista statunitense Kevin Kelly col best-seller “New
Rules for a New Economy”.
Nel libro si elencano dieci buone regole per affrontare i
“nuovi mercati”, in altri termini le nuove frontiere della
commercializzazione e le nuove opportunità offerte
dall’economia globale.
Tra queste l’idea della massimizzazione a tutti i costi dei
proitti, il ricorso al web, la deinizione dell’idea di lusso,
inanziario e informativo, legato alle nuove tecnologie e
alla mondializzazione degli scambi, lo sfruttamento della
categoria più redditizia di consumatori, la necessità di
sfruttare l’opportunità prima ancora dell’eficienza.
I punti cardine su cui si fonda la new economy non sono
riconducibili tanto a beni materiali quanto a quelli
immateriali, come le idee innovatrici, l’informazione
come bene di scambio, il software.
L’inluenza dell’opera di Kevin Kelly sugli sviluppi di questa
nuova concezione è stata indubitabile.
È possibile parlare del sorgere di una new economy
ogniqualvolta si ha l’introduzione e la diffusione di
tecnologie innovative determinanti cambiamenti
profondi a livello economico e sociale, con una
conseguente accelerazione della crescita della
ricchezza, della produttività (ma non necessariamente
dello sviluppo sociale), degli investimenti (in capitale
isico e umano, in ricerca e innovazione), associata a una
trasformazione degli stili di vita e ad un impatto sul proilo
sociale degli individui-consumatori.
Alcuni esperti continuano a usare infatti il termine new
economy per descrivere gli sviluppi contemporanei nel
mondo degli affari e dell’economia.
14
Nel 1926 nasce a Morciano di Romagna Arnaldo
Pomodoro. Frequentò l’Istituto d’Arte di Pesaro, dove
scoprì la passione per la scenograia. Insieme al fratello
Gio’ e a Giorgio Perfetti forma, nel 1952, il gruppo 3P, e
con loro realizza gioielli,monili e oggetti d’uso, esperienza
che si conclude nel 1959.
73
E’ uno degli scultori che più longevi dello scenario
italiano, ed è noto per caratterizzare la propria scutura
con grande dinamicità e monumentalità.
di mercurio, tra i più ricchi del mondo, sfruttati sin
dall’epoca preromana. Vi ha sede una scuola mineraria.
23
15
La strada attraversa un quartiere urbano in cui, dalla
ine dell’Ottocento, son sorte fabbriche storiche che
hanno contribuito allo sviluppo industriale di Milano.
Determinante per lo sviluppo di quest’area è la
localizzazione: infatti è delimitata da un lato dal Naviglio
e dall’altro dalle infrastrutture ferroviarie.
I partners, Pierluigi Cerri e Alessandro Colombo,
coordinano uno staff di 25 professionisti: architetti,
designers e graici. Progetti dello Studio Cerri & Associati
sono stati realizzati in Italia, Francia, Germania, Portogallo,
Spagna, Stati Uniti d’America, Giappone e Australia.
16
17
M. FURINI, Molino Stucky. Architettura e ipotesi di
restauro, in Costruire in Laterizio, p.38
Il Molino Stucky a Venezia – ora Hilton Molino Stucky
Venice, Patrimonio industriale in Italia,
in www.
Archeologiaindustriale.net
18
Ernst Wullekopf (Patterson 1858-1927)
proveniente da Hannover.
19
architetto
P. ROSSI e D.TURRINI, La Rinascita del Molino Stucki.
Conversazione con i progettisti, in Costruire in Laterizio
p.47
Idria è un comune situato nella porzione occidentale
della Slovenia. È nota per le sue miniere di mercurio (oggi
non più attive), e per la produzione di pizzi. Questo
territorio è uno dei pochi luoghi al mondo dove il mercurio
si trova sia nella sua forma liquida sia come minerale di
cinabro (solfuro di mercurio).
Il pozzo di ingresso sotterraneo alle miniere, noto come
“Antonijev rov” (“Pozzo di Antonio”) viene usato oggi per
visite ai livelli superiori.
24
Il monte Amiata è un massiccio montuoso
dell’Antiappennino toscano posto tra la Maremma, la
Val d’Orcia e la Val di Chiana, compreso tra la provincia
di Grosseto e quella di Siena. È un antico vulcano, ormai
spento, con presenze di rocce e di laghetti di origine
vulcanica. L’origine del toponimo “Amiata” è stata da
alcuni individuata nel latino “ad meata”, ossia “alle
sorgenti”. Nel 1897 sorse sull’Amiata, ad Abbadia San
Salvatore, una delle più importanti e rinomate miniere di
mercurio del mondo. L’attività di estrazione e
trasformazione del cinabro contribuì enormemente allo
sviluppo industriale ed economico di Abbadia San
Salvatore, apportando ricadute positive anche negli altri
paesi Amiatini.
20
Il cinabro (dal greco antico Κιννάβαρι, έως e dal
latino cinnàbaris) o cinnabrite o cinnabarite o solfuro di
mercurio, è un minerale appartenente alla classe dei
solfuri dall’aspetto rossiccio.
Chimicamente è un’unione di zolfo e mercurio (formula
chimica HgS), pertanto, dato il suo contenuto in mercurio,
è da considerarsi minerale tossico. Da questo minerale,
tramite arrostimento e successiva condensazione, si
estrae il mercurio.
21
22
Almaden è un comune spagnolo situato nella comunità
autonoma di Castiglia-La Mancia, nella provincia di
Ciudad Real, sul versante Nord della Sierra de Almadén.
Il territorio è particolarmente rinomato per i suoi giacimenti
74
25
La Legge Regionale 21 maggio 1980, n. 59 concerne
norme di intervento per il recupero del patrimonio edilizio
esistente. Questo strumento giurisdizionale permette di
regolare provvedimenti indirizzati al superamento delle
condizioni di degrado presenti nelle zone di recupero,
nonchè a conseguire la valorizzazione degli assetti sociali
e produttivi esistenti, le utilizzazioni idonee rispetto ai
caratteri degli immobili, il soddisfacimento delle esigenze
residenziali e il recupero delle attività produttive
compatibili, la dotazione dei servizi pubblici e collettivi e
degli standards di legge e la tutela e valorizzazione dei
caratteri culturali, espressivi, ambientali e di testimonianza
storica degli ediici, nonchè delle aree di particolare
valore paesistico.
26
Questo metodo viene utilizzato per quei minerali di
ferro che contengono minor quantità di sostanze
eterogenee, come il ferro ossidato. Minerali con queste
caratteristiche si cavano soprattutto nella Catalogna, a
cui si deve il nome di metodo catalano. Detto anche
metodo francese, consiste nel sopprimere la fusione del
minerale portandolo direttamente nelle “forge
catalane”. Questi forni, di piccole dimensioni, formate da
una cavità principale quadrangolare provvista di lamine
di ferro fuso. Per direzionare le correnti d’aria verso la
concavità del focolare, vengono inseriti i tubi dei doppi
mantici nelle lamine di ferro. Nella cavità quadrata viene
introdotto il minerale con il combustibile. In questo modo
il metallo viene facilmente ridotto dal carbone che lo
trasforma, dopo qualche ora, in una massa pastosa
lavorabile raccolta nel piano del forno.
32
passò da 4000 a 14000 quintali di ferro annui.
33
La fabbrica d’armi occupava un’area di 4.000 mq.
Domenico Fortunato Savino (Positano, 1804 - Napoli, 22
ottobre 1872). Dopo aver conseguito la laurea in
ingegneria all’Università degli Studi di Napoli Federico II,
iniziò ad esercitare la professione negli ambienti
napoletani. E’ considerato personaggio chiave della
storia edilizia e tecnica della ferriera. Progettò la Fabbrica
d’armi, la caserma, la fonderia, la scuola, il cimitero, le
nuove oficine, le strade, ponti e canali, nel territorio di
Mongiana.
34
35
Già direttore delle ferriere di Stilo e di Assi, oggi andate
perdute.
27
G. E. RUBINO, L’archeologia industriale e mezzogiorno,
Napoli 1978, p.92
36
www.comune.mongiana.vv.it
28
«In questo libro si comincia annotare il minerale
trasportato dalla Grotta della Regina in questo Regio
lavatore della Fornace detta la Vecchia e dopo lavato
servir deve trasportarlo nelle nuove Oficine che s’erigono
nel luogo detto la Mungiana incominciando in
quest’anno 1770 (agosto)» (cfr. A.S. CATANZARO, Fondo
Mongiana, cit., cart.1, fase. n. 7)
29
Mario Gioffredo (Napoli, 14 maggio 1718 - Napoli, 8
marzi 1785) è stato un architetto, ingegnere, incisore e
topografo italiano. A partire dal 1741 progettò ediici in
molte città del Regno di Napoli. Tra le sue opere
ricordiamo: il Carro del Battaglino, il Sedile di Porto, il
rifacimento della Basilica dello Spirito Santo, la chiesa di
Maria Santissima del Carmine a Vasto, il Polo Siderurgico
di Mongiana.
Faicchio, Savarese, Ramondini, Lippi, Tondi e Melograni.
A questi studiosi si deve la riattivazione delle “Ferriere
Vecchie” di Stilo, grazie all’introduzione dei grandi
mantici alla “tedesca”, l’abolizione del cottimismo,
causa principale dello sfruttamento delle miniere,e
l’apertura di nuove miniere nel comune di Pazzano.
30
Oltre agli uficiali, trovavano occupazione 280 operai
carbonieri, 100 mulattieri e 100 artiicieri tutti civili del
luogo, detti “paesani”.
31
75
Sito uficiale della Provincia di Vibo Valentia: www.
Fonti bibliograFiChe e sitograFia
DIONISIO VIANELLO (a cura di), Programmazione e
gestione del recupero delle aree dismesse in L. FAUSTINI,
E. GUIDI, M. MISITI (a cura di), Archeologia Industriale (Atti
del Convegno, Prato 2000), Firenze 2001, pp. 31-38.
ALBERTO PEDROLLI (a cura di), Il Parco-Museo Minerario
di Abbadia San Salvatore in L. FAUSTINI, E. GUIDI, M. MISITI
(a cura di), Archeologia Industriale (Atti del Convegno,
Prato 2000), Firenze 2001, pp. 187-191.
G. E. RUBINO, L’archeologia industriale e mezzogiorno,
Napoli 1978
D.STENTELLA, Polo industriale di Mongiana (VV), in: www.
archeologiaindustriale.org
Casabella 652 pag. 52-59
Costruire in Laterizio, p.47
S.POLITINI, I l Molino Stucky a Venezia – ora Hilton Molino
Stucky Venice, dal sito www.Archeologiaindustriale.net,
2014
www.arnaldopomodoro.it
www.fondazionearnaldopomodoro.it
www.neuramagazine.com
www.cultureteatrali.org
www.inarchmarche.it
wikipedia.it
www.molinostuckyhilton.it
Sito uficiale del Comune di Mongiana: www.comune.
mongiana.vv.it
76
provincia.vibovalentia.it
Sito uficiale della Regione Calabria: www.regione.
calabria.it
Restauro e riuso della ex fabbrica d’armi di Mongiana
(VV), in: www.archilovers.com
doCUMentazione iConograFiCa
Copertina | (Ex Area Falck) wikipedia.it
Fig. 1 | Tratta dal sito wikipedia.org
Fig. 2 | © ROBERTO ZABBA, Fotograia dal sito dei beni
culturali della Lombardia, www.lombardiabeniculturali.it
Fig. 3 | Tratta dal sito wikipedia.it
Fig. 4 | Tratta dal sito wikipedia.it
Fig. 5 | Tratta dal sito wikipedia.it
Fig. 6 | Tratta dal sito www.napoliperquartiere.it/
Fig. 7 | Tratta dal sito www.arketipomagazine.it
Fig. 8 | Tratta dal sito www.fondazionearnaldopomodoro.it
Fig. 9 | Tratta dal sito www.arnaldopomodoro.it
Fig. 10 | Tratta dal sito www.cultureteatrali.org
Fig.11 | Tratta dal sito www.fondazionearnaldopomodoro.it
Fig. 12 | Tratta dal sito www.fondazionearnaldopomodoro.it
Fig. 13 | Tratta dal sito www.cultureteatrali.org
Fig. 14 | Tratta dal sito www.fondazionearnaldopomodoro.it
Fig. 15 | Tratta dal sito www.cultureteatrali.org
Fig.19 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org
Fig. 20 | Tratta dal sito www.Archeologiaindustriale.net
Fig. 21 | Tratta dal sito www.molinostuckyhilton.it
Fig. 22 | Tratta dal sito wikipedia.it
Fig. 23 | Tratta dal sito www.videograica01.com
Fig. 24 | Tratta dal sito www.spain.info.it
Fig. 25 | Tratta dal sito www.parcoamiata.com
Fig. 26 | Tratta dal sito wikipedia.it
Fig. 27 | Tratta dal sito www.museidimaremma.it
Fig. 28 | Tratta dal sito www.sienafree.it
Fig. 29 | Tratta dal sito www.museominerario.it
Fig. 30 | Tratta dal sito www.museominerario.it
Fig. 31 | dal libro G. E. RUBINO, L’archeologia industriale
e mezzogiorno, Napoli 1978, p.83
Fig. 32 | dal libro G. E. RUBINO, L’archeologia industriale
e mezzogiorno, Napoli 1978, p.92
Fig. 33 | © FRANCESCO LABRUNA, fotograia dal sito
www.facebook.com
ig 34, 35 | © PASQUALE RULLO, fotograia dal sito www.
facebook.com
ig. 36-40 | © RaConsulting srl, fotograia dal sito www.
raconsulting.it
Fig. 16 | Tratta dal sito www.Archeologiaindustriale.net
Fig. 17 | Tratta dal sito www.Archeologiaindustriale.net
Fig. 18 | Tratta dal sito www.cultureteatrali.org
77
78
5 | l’arCheologia indUstriale in sardegna
5.1 introdUzione
Soltanto in anni recenti la Regione Sardegna ha prestato
attenzione alle problematiche ed agli interventi nel
campo dell’Archeologia Industriale, attraverso degli
speciici programmi che mirassero a risolvere i problemi
concernenti una disciplina di recente riconoscimento e
di dificile inserimento nelle già ben codiicate categorie
culturali. Il campo dell’Archeologia Industriale è un
campo delicato, in quanto coinvolge aspetti della vita
sociale ed economica del territorio, sia per le particolari
categorie di beni ad essa afferenti, sia per il loro valore
spaziale, nonchè per il loro valore di “musei di se stessi”.
Fin dal 1994 la Regione Sardegna ha approvato una
norma speciica che riguarda l’archeologia industriale,
la L.R. 29/94, che ha stentato a diventare effettiva, sia per
la dificoltà di attuazione, sia per la mancanza di
inanziamenti. Il primo effettivo intervento in termini di
valorizzazione si deve all’avvio di una catalogazione del
patrimonio di archeologia industriale, in quanto si
subordina l’erogazione di inanziamenti e la concessione
di contributi alla predisposizione di un inventario dei beni.
Tale catalogazione si inquadra nella più generale
catalogazione dei beni culturali isolani, avviata nel 1996.
Tale catalogazione fu realizzata dall’Università di Cagliari
(attraverso la collaborazione di diverse facoltà, tra cui
quella di Architettura, che hanno formato gli schedatori
e hanno seguito i primi lavori di rilevamento dati) e
dall’Istituto per i Beni Culturali e Ambientali della Regione
Emilia Romagna, soprattutto per quanto riguarda
l’informatizzazione dei dati e la predisposizione degli
elaborati cartograici e graici a corredo delle schede di
rilevamento. Dalla catalogazione emerge che la gran
parte delle testimonianze dei processi produttivi oggetto
di studio dell’archeologia industriale presenti in Sardegna
è costituita dai luoghi legati all’attività estrattiva
mineraria. Tra questi due dei più importanti dal punto di
vista storico e artistico sono quelli del complesso della
miniera di Montevecchio a Guspini, nel Medio
Campidano, e il complesso di Masua nel Sulcis Iglesiente.
fig.2 | in eviDenza: montevecchio e porto flavia, SarDegna
79
5.2 Miniera di MonteveCChio
fig.3 | guSpini, montevecchio
fig.4 | guSpini, veDuta Del compleSSo minerario Di montevecchio
80
La miniera di Montevecchio, ricco bacino di risorse e
iloni metalliferi piombo-zinciferi, fu utilizzata a partire da
metà Ottocento e data in concessione alle società
Montevecchio e Pertusola, ma chiuse i battenti nel 1991.
Gli impianti sono suddivisi nei settori di Levante e Ponente
(Fig.2), separati dal passo di Gennaserapis1, nei pressi del
quale sono collocati tutti gli ediici simbolo della miniera
(direzione, ospedale, scuola, chiesa e dopolavoro),
realizzati in stili diversi in base ai differenti periodi di
ediicazione (Fig.3). Si possono identiicare quindi citazioni
colte all’architettura del passato, l’uso del Liberty2 ino al
linguaggio semplice e funzionale derivante dal
Razionalismo. Il primo rifugio costruito nella valle di
Gennaserapis, costruito da Giovanni Antonio Sanna3, era
una modesta capanna, chiamata dai pastori “Domu de
is Oreris”: letteralmente casa dove far trascorrere le ore,
probabilmente nell’attesa dei turni di lavori. Dopo questa
modesta costruzione, con lo sviluppo dell’attività
estrattiva crebbe esponenzialmente tutto il patrimonio
edilizio industriale e civile, conseguentemente all’opera
di spianamento che aumentò lo spazio utile. In quest’area
sorse la prima palazzina, dove oggi è ubicato l’uficio
postale, che forse fu anche sede della prima direzione.
Successivamente sorse l’ospedale e successivamente
anche quella che è l’attuale palazzina della direzione.
Quest’ultima sorge su un terrazzamento, in parte naturale
ed in parte artiiciale, sui ruderi di una chiesa che Giovanni Antonio Sanna, titolare e poi proprietario della Miniera
di Montevecchio, aveva intenzione di costruire a dominio della vallata. Probabilmente questa chiesa non fu
mai terminata. Nel 1875 Sanna morì prematuramente,
due anni prima di veder completata la sua direzione. I
primi interventi furono rivolti al recupero delle parti artistiche della Direzione: un recupero che è tuttora in atto. Si
optò innanzitutto per la creazione di un Centro di Documentazione ed Archivio Storico, che oggi ospita migliaia
di documenti cartacei provenienti dall’area di Monteponi4 e da diverse aree nazionali. Attualmente si sta potenziando il Centro Documentale grazie al inanziamento
europeo relativo al “Parco letterario Giuseppe Dessì”5,
che prevede l’aggiunta di una banca dati sul web ed il
caricamento archivistico multimediale da inserire nel
Centro del Turismo Culturale, che sarà ospitato nell’ex
mensa degli impiegati, dell’ex ospedale e dell’asilo.
Lo spaccio e la falegnameria saranno anch’essi recuperati ed in essi troveranno posto la sede Unicef, un laboratorio per il restauro e la sperimentazione delle tecniche di
miniera, un laboratorio didattico, un book shop ed un
punto ristoro. Lo spaccio e la falegnameria saranno anch’essi recuperati ed in essi troveranno posto la sede Unicef, un laboratorio per il restauro e la sperimentazione
delle tecniche di miniera, un laboratorio didattico, un
book shop ed un punto ristoro. Nell’area di Levante,
dove si estendono i tre cantieri minerari Sant’Antonio, Picalinna e Sartori, sono concentrati gli interventi pertinenti
al sistema dei percorsi museali, con sistemi di insonorizzazioni e di proiezioni multimediali che consentiranno una
visita di tipo sensitivo: si tratta del progetto denominato
“Una Miniera di Sensazioni” (costituita da sette temi museali con 17 servizi annessi compresi i servizi sopracitati)
ed ha l’obiettivo di creare un polo d’eccellenza per la
ricerca, la formazione e la cultura mineraria.
fig.5 | guSpini, veDuta Del compleSSo minerario Di montevecchio
81
5.3 Porto Flavia
fig.6 | porto flavia, maSua, 2014
fig.7 | porto flavia, foto Storica
82
Porto Flavia è situato nella costa sud-occidentale
dell’isola, amministrativamente fa parte del comune di
Iglesias, precisamente della località balneare di Masua,
in cui sono localizzate le miniere di Masua, Montecani e
Acquaresi (Fig.6). Il sito era conosciuto già dal XVII secolo,
come dimostrano gallerie e resti di scavi6. In età moderna
il primo signiicativo utilizzo risale al 1857 con la
concessione del permesso di ricerca alla Società
Anonima delle Miniere di Montesanto che si occupò
della costruzione di una fonderia a valle e dell’avvio di
nuove estrazioni di minerali7. Intorno alla fonderia iniziò a
crescere un centro abitato e si costruirono inoltre un molo
e una laveria, facendo diventare Masua uno dei centri
minerari più importanti dell’isola a ine ‘800. Agli inizi del
‘900 la Società Montesanto cedette i diritti della
concessione alla Società Anonima delle miniere di
Lanusei, la quale però bloccò i lavori a causa del fermo
dovuto alla prima guerra mondiale. Nel 1922 la società
belga Vieille Montagne acquistò le miniere di Masua e
Acquaresi facendole diventare un unico complesso
minerario.
fig.8 | porto flavia, foto oDierna
Si iniziò così a studiare una soluzione per l’abbattimento
dei costi di produzione che avrebbe portato alla nascita
di Porto Flavia.
Progettato dall’ingegner Vecelli8 e realizzato nel 1924,
Porto Flavia è un porto d’imbarco diretto del materiale
estratto dalla montagna. Nasce dalla necessità di rispondere al problema dei trasposti del materiale: prima della
sua realizzazione l’estratto veniva caricato in spalla e
portato ino alla spiaggia di Masua da cui, tramite le bilancelle(imbarcazioni leggere), arrivava a Carloforte ed
era scaricato nei mercantili che lì facevano porto . Questa installazione, realizzata scavando dentro la montagna, era formata da due gallerie e tra queste erano posizionati 9 enormi silos per lo stivaggio del materiale con
la capacità di 10000 t. Il funzionamento era semplice:
dalla miniera un treno elettrico portava l’estratto nella
prima galleria, a quota 38m, la quale convogliava il carico di minerali nei 9 silos sottostanti. Nella seconda galleria, a quota 16m, era presente un nastro trasportatore
isso che riceveva i minerali dai silos e un nastro trasportatore estensibile che veniva spinto all’esterno (ig. 7), tramite un’apertura nella falesia, quando si doveva caricare la nave e poi riportato all’interno; questa operazione
abbatté notevolmente i tempi e i costi per il trasporto. Il
“porto sospeso” ha continuato a funzionare ino al 1964 e
fu poi abbandonato con la nascita del porto commerciale e industriale di Portovesme. Recentemente si è deciso di trasformarlo in un museo minerario. Si è proceduto
con il recupero delle gallerie interne (ig. 9, ig. 10) per
poter rendere fruibile la maggior parte degli ambienti del
vecchio sito ed il percorso che i visitatori compiono termina con l’apertura dalla quale si può osservare l’isolotto di
Pan di Zucchero9(ig. 11).
fig.9 | porto flavia, galleria interna
fig.10 | porto flavia, galleria interna
fig.11 | porto flavia, viSta pan Di zucchero
83
note
1
Collina sarda così chiamata in riferimento alla divinità
greco-egizia Serapide, ferma custode e protettrice del
mondo sotterraneo, invocata dagli schiavi che all’epoca della dominazione romana faticavano nelle miniere
di questa zona.
2
Nome italiano per identiicare l’Art Nouveau, fu un movimento artistico-ilosoico attivo nei decenni a cavallo
tra l’Ottocento e il Novecento, che inluenzò arti igurative, architettura ed arti applicate
3
Giovanni Antonio Sanna (Sassari, 29 agosto 1819 - Roma,
9 febbraio 1875) fu un imprenditore e politico italiano.
4
Monteponi è una frazione del Comune di Iglesias, nella
provincia di Carbonia-Iglesias
5
Il Parco Letterario Giuseppe Dessì nasce al ine di valorizzare, attraverso l’opera dello scrittore sopracitato, il patrimonio naturalistico e ambientale del territorio di Villacidro e dei comuni dell’area del Linas, presenti anch’essi
nell’opera dello scrittore.
6
Nelle gallerie sono stati trovati fornelli nella roccia calcerea per la ricerca di piombo e argento.
7
L’ ingegner Bonacossa, che costruì la fonderia, insistette
per avviare nuove coltivazioni di Galena e Calamina.
8
Cesare Vecelli (1881-1947) si laureò in ingegneria e nel
1912 fu assunto dalla società Belga, sotto la quale progettò poi Porto Flavia.
9
L’isolotto di Pan di Zucchero è un blocco bianco di roccia calcarea, presenta segni di scavi ma i lavori non sono
mai andati a fondo a causa dell’alto rischio di restare
bloccati all’interno per condizioni meteorologiche avverse.
84
Fonti bibliograFiChe e sitograFia
doCUMentazione FotograFiCa
AYMERICH C.; MIGONE RETTIG J.; STOCHINO M. (a cura
di) Archeologia industriale. Esperienze per la valorizzazione in Cile e in Sardegna (Atti del Convegno Internazionale),Gangemi editore,Cagliari, 2003
Copertina | Porto Flavia, dal sito www.panoramio.com
Fig.1| Tratta dal sito www.minieramontevecchio.it
Fig. 2 | Rielaborazione graica di Andrea Lai
Articolo riguardante Montevecchio in: www.betagamma.it
Articolo riguardante Montevecchio in: www.minieramontevecchio.it
Fig. 3| Tratta dal sito www.sardegnacultura.it
Fig. 4 | Tratta dal sito www.sardegnainblog.it
Fig. 5, 6| Tratta dal sito wikipedia.it
Articolo riguardante Montevecchio in: www.sardegnacultura.it
Articolo riguardante Parco Letterario Giuseppe Dessì in:
www.parcodessi.it
Fig. 7, 8| Tratta dal sito www.minieredisardegna.it
Fig. 9 | Tratta dal sito www.nebida.com
Fig. 10 | Tratta dal sito www.igeaspa.it
Articolo riguardante Porto Flavia in: www.minieredisardegna.it
Fig. 11| Tratta dal sito www.nebida.com
Articolo riguardante Porto Flavia in: www.igeaspa.it
Voce Porto Flavia in: wikipedia.it
Articolo riguardante Porto Flavia in: www.nebida.com
85
86
Parte ii - Casi di stUdio
88
1 | Forni di CalCinazione a lUCainena de las torres
loCalizzazione geograFiCa
lineaMenti storiCi
L’opera oggetto del nostro studio è il progetto di restauro
dei forni di calcinazione di Lucainena de las Torres, antico
paese Andaluso situato nei pressi di Almeria. Il progetto è
stato commissionato dalla Conserjería de Cultura de la
Junta de Andalucía e realizzato nel 2013. I forni di
calcinazione costituiscono non solo un elemento
paesaggistico di grande rilievo, ma raccontano la storia
di questa località e dell’inluenza che ebbe l’avvio delle
attività minerarie nella regione. Lucainena de las Torres
deve moltissimo a tutto il sistema di trasporto e
rafinamento dell’ossido di ferro che permise al paese, a
cavallo tra XIX e XX secolo, di raggiungere standard di
benessere molto alti in rapporto alla zona.1
Gli otto forni si trovano in un contesto geograico molto
particolare: il deserto di Tabernas, luogo il cui sfruttamento
del suolo risale ai tempi in cui i Romani iniziarono la
deforestazione per la coltivazione dello sparto. Il
paesaggio in cui si inserisce l’intervento di restauro ne
determina anche il senso: l’obbiettivo di Castillo-Miras
non è quello di fare dei forni dei musei o dei monumenti
al lavoro, ma quello di rendere alternativamente fruibile
l’immensa vallata, attraverso passaggi dai quali si
possano apprezzare l’amenità del luogo e i resti
pittoreschi delle torri, ormai facenti parte imprescindibile
del paesaggio. 2
Nel 1893 venne istituita a Bilbao la Compañía Minera de
la Sierra Alhamilla con l’obbiettivo di sfruttare i giacimenti
di ferro di alta qualità presenti nei dintorni di Lucainena
de las Torres, nella catena montuosa della Sierra
Alhamilla, nella provincia di Almeria.
Tra il 1894 e il 1896 venne realizzata una ferrovia lunga 35
Km, che collegava Lucainena de las Torres alla baia di
Agua Amarga (Fig 2), dove venne installato il deposito di
minerali e un porto di scarico delle merci con
montacarichi di tipo Cantilever.
Il collegamento con le miniere, situate nella parte alta
della catena montuosa, venne ideato come un sistema
di piani inclinati – ovvero una funicolare che trainava i
vagoni nei tratti più scoscesi – chiamato el burrucho3,
che correva lungo 600 metri ramiicandosi poi in due
linee distinte. Il primo mercantile venne caricato ad Agua
Amarga nel 1896. Nel corso di tre anni i iloni presenti nella
parte alta della montagna, costituiti da ossido di ferro di
grande purezza, vennero sfruttati ino al loro esaurimento.
Con il consumarsi della risorsa, cominciò ad afiorare
sempre più il carbonato (molto meno prezioso dell’ossido
di ferro), che aveva bisogno di essere calcinato in dei
forni speciali perché si raggiungesse il tenore richiesto
dall’industria siderurgica. Data l’abbondanza del
carbonato di ferro, nel 1900 si procedette alla costruzione
di una batteria di 8 forni di calcinazione di minerale, in
prossimità di Lucainena. La capacità di ciascun forno era
di 50 tonnellate di minerale calcinato al giorno.
Miniere e ferrovia rivoluzionarono la vita di Lucainena de
las Torres, aumentandone nettamente gli standard
economici. Oltre a dare lavoro agli abitanti della zona,
impiegati perlopiù nel settore agricolo, permise anche al
paese di accedere all’elettricità, grazie all’eccedenza
prodotta dalla centrale diesel della compagnia
mineraria, sostituendo l’energia a vapore.
Il paese si munì di un telegrafo, una scuola, un municipio,
un uficio postale, tre sportelli bancari e persino di una
stazione della Guardia Civile. L’impresa mineraria arrivò
ad istituire un ospedale nel quale si effettuavano anche
operazioni di un certo rilievo, vennero inoltre aperte tre
fig. 1 | lucainena De laS torreS, inQuaDramento
89
tabaccherie, quattro barbieri, due fabbriche di gassosa,
un’orologeria e un teatro che venne dedicato a
Cervantes.4
La miniera e la ferrovia restarono in funzione ino al 1942,
anno in cui venne caricato l’ultimo mercantile e cessò lo
sfruttamento delle miniere. Ferrovia e miniera furono
smantellate; le locomotrici, i ponti e le rotaie vennero
riportati ad Almeria per la loro riconversione in metallo,
data la grave carenza di materia prima in cui versava il
paese, stremato dalla ormai conclusasi guerra civile.
La ine dei forni fu determinata dall’introduzione nel
mercato di ferro importato a basso costo e dall’evoluzione
della tecnologia nel campo del rafinamento del metallo
– che aveva di fatto reso i forni obsoleti. Dopo
l’abbandono, i forni hanno subito mezzo secolo di
saccheggi e danneggiamenti, che, uniti all’azione degli
agenti atmosferici, hanno trasformato la maggior parte
di essi in cumuli di macerie (Figg. 3 e 4).
Attualmente, restano pressoché intatti il grande piano
inclinato (el burrucho), la stazione superiore e la struttura
che permetteva il traino dei vagoni.5
fig. 3 | lucainena De laS torreS, Sito prima Dell’intervento
fig. 4 | lucainena De laS torreS, Stato attuale Dei forni
Miniere
Lucainena
de las Torres
Perelejos
Camanillas
La Palmerosa
Agua
Amarga
fig. 2 | percorSo Della ferrovia mineraria Da lucainena De laS
torreS a agua amarga
90
fig. 5 | caStillo/miraS, raffigurazione Dei forni in attività
il Progetto di restaUro
I Castillo-Miras propongono una lettura del complesso
archeologico industriale volto a esaltare la tensione tra
funzione originaria e destinazione attuale.
Infatti, il progetto di Castillo-Miras non si pone come
restauro di pura conservazione convenzionale, bensì
come progetto il cui tema centrale è quello del riuso e
del riciclo: il materiale trovato tra le macerie è stato
utilizzato per ricostruire il primo forno. I mattoni refrattari e
la muratura sono stati riutilizzati, hanno riacquistato il loro
uso architettonico originale, allungando il ciclo di vita di
queste costruzioni.
D’altra parte invece, tutti i nuovi inserimenti sono leggeri
e rimuovibili, pronti ad essere smontati e tolti in qualsiasi
momento. Pertanto, la ristrutturazione operata è da
intendersi come un intervento temporaneo.
Il progetto di restauro è quindi caratterizzato dall’aggiunta
puntuale di nuovi elementi, prevalentemente costituiti
da passerelle e percorsi che guidano il fruitore in una
sorta di promenade architecturale alla scoperta dei
paesaggi minerari.
L’entrata al sito è data da un ponte che permette di
superare una cavità prospicente i primi forni di
calcinazione. I materiali scelti dagli architetti sono il legno
e il corten, che si mescolano in maniera quasi mimetica
con i colori del paesaggio del deserto di Tabernas. Dal
ponte si protrae una passerella in doghe di legno che
biforcandosi conduce all’ingresso del primo e dell’ultimo
forno.
La batteria di forni si presenta allo stato di rudere,
eccezion fatta per il primo della ila che è stato
interamente ricostruito utilizzando le macerie ricavate in
sito. Lo scopo è puramente didattico: mostrare allo
spettatore come doveva essere un forno ai tempi in cui
era ancora attivo. L’uso del materiale raccolto in sito e la
sua disposizione seguendo meticolosamente il metodo
costruttivo originario non permettono un riconoscimento
immediato della parte nuova da quella originale. Il
rispetto della materia storica è comunque garantito
dall’uso di un trattamento diverso all’interno del forno
che permette di capire entro quali limiti si è svolta la
reintegrazione della materia muraria.
Gli altri forni sono stati consolidati e messi in sicurezza in
linea con i princìpi del restauro conservativo. La scelta,
più che da ricercarsi nella volontà di conservare la
materia storica, ha in sé la volontà di conservare le opere
come oggetti che, persa la loro funzione originaria, ne
hanno trovata una nuova come elementi del paesaggio.
Il primo forno, cui è stata reintegrata la totalità della
muratura preesistente, presenta anche una copertura
che riprende le forme del tetto iniziale. Essa consiste in un
volume cuspidato circondato da una passerella che,
grazie all’uso del legno e del corten, corona il forno di
calcinazione in maniera poco impattante andando a
ricreare l’effetto visivo del materiale originale.
Il coronamento del primo forno è raggiungibile da una
passerella posta a delimitazione del bastione retrostante.
Anche questo elemento ha lo scopo preciso di riproporre
in maniera stilizzata i volumi originali.6
fig. 6 | lucainena De laS torreS, panorama Del DeSerto Di taBernaS Dal BaStione Dei forni
91
fig. 7 | forni Di calcinazione, Spaccato aSSonometrico Della
copertura
fig. 8 | forni Di calcinazione, Sezione traSverSale
92
oPere ConFrontabili
Malgrado la decisione dell’amministrazione andalusa di
intervenire su dei forni di calcinazione sia quasi unica nel
suo genere, il progetto dei Castillo-Miras percorre delle
vie già più volte intraprese nella storia del restauro: la
decisione di fare delle rovine un luogo più panoramico
che rifunzionalizzato e di utilizzare materiali che
impattassero minimamente a livello visivo con l’ambiente.
L’uso del corten è infatti largamente diffuso nel mondo
del restauro: lo stesso studio andaluso aveva già in
precedenza usato un concetto simile per la realizzazione
della Torre Huercal-Overa di Tahal, ad Almerìa. In questo
progetto si era proceduto a rifunzionalizzare la fruizione
dell’antica torre attraverso aggiunte puntuali in corten,
quali la scala e qualche percorso ai piedi della torre.
Un esempio simile lo possiamo trovare anche in Italia, con
il restauro di Castel Firmiano, in provincia di Bolzano. Il
progetto, irmato da Werner Tscholl7, architetto molto
attivo in Alto Adige e molto sensibile al tema del restauro,
si connota essenzialmente per due cose: le lunghe
passerelle che costeggiano i resti della cinta muraria e i
nuovi involucri facilmente identiicabili dall’uso di
materiali innovativi. L’intervento è apparentemente
minimale, proprio come per i forni di calcinazione, il
castello è stato lasciato prevalentemente allo stato di
rudere, con opere che sono state rivolte perlopiù al
consolidamento delle mura e dei torrioni. Ricompletata
quasi completamente invece, la Weißen Turm (la torre
bianca) è un elemento di campionatura che ci permette
di avere un idea di come dovesse essere il castello in
precedenza.
Altro punto in comune col progetto dei Castillo-Miras è la
ri-funzionalizzazione: il castello non è museo di se stesso
ma diventa un percorso di sensazioni alla scoperta della
montagna, voluto dal noto alpinista Reinhold Messner. I
percorsi e le poche stanze conducono il fruitore in un
viaggio che dichiaratamente non vuole essere didattico,
ma vuole indurre a rilessioni. Allo stesso modo i percorsi
che costellano i forni di calcinazione di Lucainena de las
Torres non hanno uno scopo meramente didattico, non
ci vogliono mostrare come funzionassero i forni, sono
altresì il mezzo con il quale scopriamo la bellezza di un
paesaggio raro come quello del deserto di Tabernas, e di
come l’intervento umano – ormai reclamato dalla natura
– ne sia diventato parte integrante.
fig. 9 | almeria, torre huercal
fig. 10 | Bolzano, caStel firmiano
93
CritiChe e ConClUsioni
La natura dell’intervento operato da Castillo-Miras sui
forni di calcinazione di Lucainena de las Torres fa rientrare
il progetto nel quadro del restauro critico e, in certa
misura, nella pura conservazione. Come già speciicato
l’oggetto dell’intervento non è una singola fabbrica, ma
più oggetti architettonici che hanno subito un
trattamento diverso.
La scelta di intervenire in maniera evidente solo su un
forno ha in sé una volontà didattica che mira a restituire
l’immagine di uno dei forni rendendolo funzionale alla
fruizione del paesaggio. L’intervento operato sulla torre
non è teso a riprodurla fedelmente, ma a ricostruirne le
forme facendo uso di materiali riciclati – come i mattoni
recuperati dalle macerie degli altri forni – e di materiali
come il corten, che consentono un’integrazione
cromatica con la preesistenza. Il principio della
riconoscibilità si percepisce soprattutto all’interno del
primo forno, dove è possibile distinguere i mattoni
preesistenti e quelli riciclati nel nuovo intervento di
riposizionamento (ig. 11).
fig. 11 | lucainena De laS torreS, interno Del forno Di
calcinazione reStaurato
Gli altri forni sono stati invece lasciati allo stato di rovine,
di cui viene sfruttato l’alto valore paesaggistico e
simbolico. Pertanto, possiamo affermare che è stato
applicato anche il principio del minimo intervento,
consistito essenzialmente nella rimozione delle macerie e
delle parti estremamente compromesse. Si è proceduto
successivamente al consolidamento delle opere murarie,
la cui materia storica è stata lasciata intatta e priva di
sovrapposizioni.
Risulta essere evidente, da parte degli architetti, la
volontà di applicare e rispettare quasi completamente il
principio della reversibilità. I nuovi interventi realizzati in
corten sono stati progettati in modo tale da non arrecare
danni alla materia originale e da essere removibili.9
Se considerato nel suo insieme, l’intervento è in ogni caso
ascrivibile al restauro critico. Anche laddove diversi
elementi siano stati lasciati allo stato di rudere, il senso
generale dell’opera di restauro non è quello di esaltare la
qualità
architettonica
dell’oggetto,
che
è
obbiettivamente scarsa, ma di indurre rilessioni sull’alto
valore storico del sito minerario, soprattutto in relazione al
territorio di Almeria.
94
fig. 12 | lucainena De laS torreS, rapporto Del Sito con il
paeSaggio
fig. 13 | lucainena De laS torreS, viSta Del collegamento tra il BaStione e
la torre reStaurata
fig. 14 | lucainena De laS torreS, paSSarella Di collegamento con il
BelveDere Situato Sulla torre Di calcinazione
95
Castillo/Miras arqUiteCtos
biograFia arChitetti
Lo studio architettonico Castillo-Miras si è formato in
Spagna nel 2000, ad Almeria, dall’iniziativa degli architetti
Luis Castillo Villegas e Mercedes Miras Varela.
I due architetti hanno backgrounds formativi molto
diversi.
Luis Castillo Villegas studia all’ETSA di Madrid, poi alla
School of Architecture di Londra, laureandosi nel 1995. Le
sue
esperienze
lavorative
sono
concentrate
prevalentemente in Spagna ed Olanda. La fondazione
dello studio lo impegna nel progetto e nella realizzazione
di ediici a destinazione pubblica. La sua opera si
distingue per l’esercizio su piccola scala: case
monofamiliari e accurati interventi di recupero e restauro
su ediici d’eccezione che esprimono la sua attenzione al
disegno e all’uso calibrato dei materiali. Mercedes Miras
Varela compie il suo ciclo di studi interamente in Spagna,
fig. 15 | gli architetti caStillo e miraS
96
laureandosi all’ETSA di Siviglia nel 1997. Lavora come
consulente per la Junta de Andalusia ed è responsabile
della partecipazione dei cittadini per progetti di alloggi
sociali e di spazi urbani in aree socialmente emarginate .
I due architetti si pongono come obbiettivo quello di
mostrare alla società la necessità di pensare ad una
nuova architettura. Un’architettura «che sia capace di
risolvere problemi e di non crearne, che sappia apportare
soluzioni pragmatiche ed economicamente possibili, ma
che sia in grado trascendere il meramente utilitario» 11.
I princìpi cui si afidano sono quelli del riciclaggio, della
riutilizzazione dell’obsoleto ed il recupero delle strutture,
degli spazi e dei paesaggi in degrado. Come dichiarano
essi stessi nel sito dello studio, bisogna «sfruttare l’esistente
per andare oltre e vedere ciò che i nostri occhi non
vedono, recuperando ciò che è stato abbandonato» 12.
oPere
Insieme Castillo e Miras hanno realizzato prevalentemente
opere di restauro commissionate dalla Conserjería de
Cultura de la Junta de Andalucía, e quasi tutte nella
zona di Almeria.
Nell’ottobre del 2005 è stato realizzato a La Almedina, su
commissione di Antonio Goméz Escudero, il progetto per
la Vivienda Goméz, un esempio di edilizia minore storica
completamente rivisitata al suo interno attraverso
elementi in muratura ed intonaci.
Il Consultorio Medico di Vìcar, realizzato nell’aprile del
2007 e commissionato dalla Conserjería de Cultura de la
Junta de Andalucía, è una delle poche opere che non
riguardi interventi su strutture preesistenti, trattandosi di
un ediicio completamente nuovo e di carattere
dichiaratamente contemporaneo.
Il Centro Andaluz de Fotograia (CAF), realizzato nel
giugno del 2007 per la Conserjería de Cultura de la Junta
de Andalucía. L’intervento si inserisce in un ediicio, detto
Lieo (liceo), le cui origini risalgono al basso medioevo. Il
progetto prevede una serie di risistemazioni a ini espositivi
attraverso l’aggiunta di elementi lignei ed in cartongesso.
Il restauro della Torre Nazarì di Tahal, Almerìa è stato
realizzato nel gennaio del 2008 e commissionato dalla
Conserjería de Cultura de la Junta de Andalucía. Il
progetto consiste in una serie di sistemazioni interne
realizzate esclusivamente in legno e che rendono fruibile
la torre. Anche questo progetto si contraddistingue per la
reversibilità e l’evidente distinguibilità delle opere
eseguite.
Il progetto di restauro della Torre Huercal-Overa di Tahal,
ad Almerìa rappresenta forse il progetto più simile a
quello dei forni realizzato dallo studio Castillo-Miras per la
Conserjería de Cultura de la Junta de Andalucía. I lavori
sono stati terminati nel febbraio del 2010, il restauro
consiste in un completamento dell’antica torre seguendo
i princìpi della distinguibilità e della reversibilità, con
aggiunte in corten che permettono l’ingresso e la visita
della torre.
Il penultimo progetto realizzato riguarda la sistemazione
dei giardini del quartiere di La Chancha a La Almedina,
Almeria, realizzati a giugno 2010. Il progetto si inserisce in
un contesto paesaggistico di rilievo, permettendo una
visione d’insieme del porto e della città antica. 13A
fig. 17, fig. 18 | la almeDina, camminamenti nei giarDini Del
la chancha
Quartiere Di
fig. 16 |almeria,torre nazarì Di tahal
fig. 19 |almeria, centro anDaluz De fotografia
97
note
1
Taller empleo conociendo Nijar, De lucainena a
aguamarga por ferrocarril, 10 novembre 2011: http://
conociendonijar.blogspot.be
Sito uficiale dello studio di Werner Tscholl: www.wernertscholl.com
2
GIOVANNA CRESPI, 2013, Progettare la vita delle rovine.
Un’opera di Castillo Miras, Casabella 830, pp.52-59
8
3
9
Denominazione riferita alla seguente fonte: Equipo
Texeo (rivista Monsacro), Almeria: Los hornos de
Lucainena,
28
dicembre
2007:
http://www.
arqueologiaypatrimonioindustrial.com/2007/12/almerialos-hornos-de-lucainena.html
4
Taller empleo conociendo Nijar, De lucainena a
aguamarga por ferrocarril, 10 novembre 2011: www.
conociendonijar.blogspot.be
5
Riferimenti bibliograici: Equipo Texeo (rivista Monsacro),
Almeria: Los hornos de Lucainena, 28 dicembre 2007:
http://www.arqueologiaypatrimonioindustrial.com
e
Taller empleo conociendo Nijar, De lucainena a
aguamarga por ferrocarril, 10 novembre 2011: www.
conociendonijar.blogspot.be
Studio del materiale iconograico realizzato da Fernando
Alda presente nell’articolo Hornos de Calcinación: www.
divisare.com
6
98
Studio del materiale iconograico realizzato da Fernando
Alda presente nell’articolo Hornos de Calcinación: www.
divisare.com
7
Studio del materiale iconograico realizzato da Fernando
Alda presente nell’articolo Hornos de Calcinación: www.
divisare.com
GIOVANNA CRESPI, 2013, Progettare la vita delle rovine.
Un’opera di Castillo Miras, Casabella 830, pp.52-59
10
11
Sito uficiale dello studio CASTILLO/MIRAS ARQUITECTOS,
presentazione dello studio architettonico: www.
castillomiras.es
12
Sito uficiale dello studio CASTILLO/MIRAS ARQUITECTOS,
presentazione dello studio: www.castillomiras.es
13
Sito uficiale dello studio CASTILLO/MIRAS ARQUITECTOS,
dossiers dei progetti: www.castillomiras.es
Fonti bibliograFiChe e sitograFia
GIOVANNA CRESPI, Progettare la vita delle rovine.
Un’opera di Castillo Miras, in “Casabella” 830, pp.52-59.
2013
ANDRÉS CÁNOVAS, La otra vida de las fábricas. Hornos,
Lucainena de las Torres, in “Arquitectura Viva” 148, pp.
20 - 34. Gennaio 2013
Sito uficiale dello studio CASTILLO/MIRAS ARQUITECTOS,
dossiers dei progetti: www.castillomiras.es
Equipo Texeo (rivista Monsacro), Almeria: Los hornos de
Lucainena, 28 dicembre 2007:
www.arqueologiaypatrimonioindustrial.com
Castillo & Miras: forni di calcinazione ad Almería, 28
febbraio 2013 : www.arquitecturaviva.com
Taller empleo conociendo Nijar, De lucainena a
aguamarga por ferrocarril, 10 novembre 2011:
www.conociendonijar.blogspot.be
Fig. 6 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion.
Divisare, 2013
Fig. 7 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion.
Divisare, 2013
Fig. 8 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion.
Divisare, 2013
Fig. 9 | © CASTILLO/MIRAS, Torre Huercal-Overa. www.
castillomiras.es
Fig. 10 | © ALEXA RAINER, Castel Firmiano. Divisare
Fig. 11 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion.
Divisare, 2013
Fig. 12 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion.
Divisare, 2013
Fig. 13 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion.
Divisare, 2013
Divisare, Hornos de Calcinación: www.divisare.com
doCUMentazione iConograFiCa
Copertina | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion.
Divisare, 2013
Fig. 1 | © Google Earth Pro, Immagina area di Lucainena
de las Torres rielaborata, 2013
Fig. 14 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion.
Divisare, 2013
Fig. 15 | © CASTILLO/MIRAS, Foto degli architetti Castillo e
Miras. Divisare, 2013
Fig. 16 | © CASTILLO/MIRAS, Torre Nazarì di Tahal. www.
castillomiras.es
Fig. 2 | © www. conociendonijar.blogspot.be, Immagine
rielaborata da mappa turistica
Fig. 17 e 18 | © CASTILLO/MIRAS, Giardini del quartiere di
La Chancha. www.castillomiras.es
Fig. 3 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion.
Divisare, 2013
Fig. 19 | © CASTILLO/MIRAS, Centro Andaluz de
Fotografía. www.castillomiras.es
Fig. 4 | © CASTILLO/MIRAS, Rafigurazione dei forni in
attività. www.castillomiras.es
Fig. 5 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion.
Divisare, 2013
99
100
2 | Casa del leCtor
loCalizzazione geograFiCa
lineaMenti storiCi
La Casa del Lector, uno dei padiglioni del complesso del
Centro de Creación Contemporanea Matadero1 di
Madrid, è situata nel quartiere madrileno di Arganzuela,
a ridosso del iume Manzanares, conine naturale tra il
centro città e l’area meridionale.
L’intervento, iniziato nel 2008 e concluso nel 2012 è opera
di Antón García-Abril che, descrivendo la localizzazione
geograica del progetto afferma: «Abbiamo trovato il
sito, il vecchio Mattatoio di Madrid, straordinariamente
ricco di signiicati: strategico non solo in termini di
posizione, all’interno dell’area metropolitana di Madrid,
ma strategico anche nel momento storico in cui esso è
nato. Un sito quasi urbano, apparentemente isolato dal
tessuto della città, ma improvvisamente collegato alla
più grande rete di infrastrutture ed al paesaggio creato
sulle rive del iume Manzanares: il parco lineare del iume
di Madrid. Questo parco, la colonna vertebrale
dell’anatomia urbana di Madrid, è un importante asse di
collegamento. E la sua presenza ci ha aiutato a capire
che anche la città è una costruzione che collega la vita
delle persone. E che gli ediici dovrebbero essere
supportati da questo legame, e quindi che la connettività
dovrebbe essere il principio di base del sistema. La nostra
intenzione era quella di materializzare questa rete di
connessioni e costruire dei ponti verso la lettura. La Casa
del Lector darà vita al legame tra le persone e la lettura» 2.
Il complesso del Centro de Creación Contemporanea
Matadero si costituisce di circa 60 padiglioni e si sviluppa
su una supericie di 150.000 mq.
Realizzato agli inizi del XX secolo nelle immediate periferie
della città, il Matadero nasce come mercato di bestiame
e mattatoio industriale, attività che necessitavano di
agevoli collegamenti via terra per il trasporto di animali e
foraggio.
I successivi ampliamenti della città e il progressivo
peggioramento delle condizioni igieniche, entrambi
fenomeni dovuti al notevole incremento della
popolazione, hanno portato allo sviluppo di nuovi ediici
nelle aree più periferiche e successivamente
all’abbandono degli ediici preesistenti o alla loro
attribuzione a nuove funzioni: è questo il caso del
mattatoio di Arganzuela, costruito in sostituzione del
mattatoio di Puerta de Toledo3.
Il concorso per la realizzazione del nuovo mattatoio di
Madrid fu indetto il 9 gennaio 1899 e vide come vincitore
il madrileno Joaquín Saldaña4 che propose una
composizione simmetrica basata sui modelli parigini e
londinesi.
fig. 1| maDriD, inQuaDramento
Numerose
vicissitudini
portarono
all’afidamento
deinitivo dell’incarico all’architetto Luis Bellido5 che
concluse il progetto nel 1911 dopo aver compiuto un
viaggio tra Europa e Stati Uniti.
Il complesso venne inaugurato nel 1924; i lavori furono più
volte interrotti sia a causa di dificoltà economiche del
Comune che per le carestie conseguenti allo scoppio
della Prima Guerra Mondiale.
La scelta della nuova sede del Matadero nella dehesa6
di Arganzuela, adiacente al iume Manzanares, fu
aspramente criticata sia per l’insalubrità del iume che
per il basso livello delle sue acque che rendeva
estremamente dificile il processo di drenaggio del
terreno. Il costo particolarmente elevato previsto per
questa operazione portò a considerare nuove possibilità
di ubicazione, ma lo stato di avanzamento del progetto
di canalizzazione del iume nel 1910 favorì la scelta della
collocazione deinitiva nella dehesa, apportando delle
101
modiiche ai precedenti disegni della rete fognaria. Gli
ediici vennero raggruppati in settori: produzione,
direzione ed amministrazione, mercato dei generi
alimentari, mercato del lavoro e sezione sanitaria. Inoltre
furono realizzati alloggi per il personale, una cappella e
un sistema di circolazione con una propria ferrovia.
Durante la Guerra Civile Spagnola del 1936, alcuni degli
ediici del Matadero, posizionati al fronte, vennero
utilizzati come deposito di munizioni.
Al termine della Guerra numerose aree del complesso
furono destinate agli usi più disparati: dal mercato di
patate nel 1940 al padiglione per le autopsie nel 1943.
Quando, nel 1970 le funzioni cominciarono a risultare
obsolete, si iniziò ad intervenire per dotare di nuove e
stabili funzioni alcuni dei padiglioni e, a partire dalla Ley
de Arganzuela7 emanata nel 1967, si assistette alla
demolizione di intere parti del complesso o alla loro
completa trasformazione. Tuttavia, la modiica della Ley
de Arganzuela del 1983 stabilì il divieto delle demolizioni
del mattatoio e dintorni in favore di nuove costruzioni.
Da questo momento, gli interventi di modiica del
complesso furono inalizzati esclusivamente al riuso e alla
riqualiicazione.
Negli anni ottanta l’architetto Rafael Fernández-Rañada
trasformò l’ediicio della direzione e amministrazione
dell’antico mattatoio, noto come Casa del Reloj, in sede
della Giunta Municipale di Arganzuela. Lo stesso
architetto trasformò il padiglione destinato alla custodia
ed alla vendita dei vitelli in uno spazio socioculturale.
Negli anni novanta, l’architetto Antonio Fernández Alba8
trasformò i vecchi stabili per i bovini nella sede del Balletto
Nazionale di Spagna e della Compagnia Nazionale di
Danza. La chiusura deinitiva del mattatoio avvenne
soltanto nel 1996.
Nel 1997 il nuovo Plan General de Ordenaciòn Urbana di
Madrid9 incluse il Mattatoio Municipale nel Catalogo
degli Ediici Protetti.
Le installazioni, soggette a manutenzione secondo
quanto riportato nel Piano Speciale di intervento e
adeguamento architettonico, rimasero inutilizzate ino al
2003, anno in cui si decise di attribuirgli la nuova funzione
di spazio culturale, dando vita a quello che oggi è
conosciuto come Centro de Creación Contemporanea
Matadero di Madrid, che aprì le sue porte nel 2007.
fig. 2 | maDriD, navi Del macello con DepoSiti per l’acQua
fig. 3 | maDriD, aDDetti al macello
fig. 4 | maDriD, antico mattatoio
102
il Progetto di restaUro
Il progetto per la Casa del Lector prevede il recupero di
4 dei circa 60 padiglioni dell’ex mattatoio di Madrid.
L’intervento, inalizzato alla realizzazione di un centro
culturale costituito da biblioteca, spazi polivalenti, circa
20 aule e un auditorium, si concretizza attraverso il
restauro dei padiglioni 13, 14, 17 b e di parte del
padiglione 17c.
Nel padiglione 17b è collocato l’auditorium, indipendente
dal resto della struttura ma comunque adeguatamente
collegato. Esternamente gli interventi sono rivolti al
recupero delle forme dell’ediicio preesistente e alla
sistemazione della copertura a falde mentre all’interno,
l’inserimento di un involucro di lame di alluminio genera
uno spazio luminoso e assolutamente contemporaneo.
Nel padiglione 17c, interessato solo in parte dagli
interventi di recupero, hanno sede gli ufici e e il centro
direzionale
dell’intero
complesso
di
ediici.
I padiglioni gemelli 13 e 14 ospitano gli spazi per le attività
educative e di divulgazione culturale. Questi sono
oggetto di interventi più complessi e signiicativi
principalmente inalizzati al mantenimento e al
potenziamento del carattere degli spazi originari.
L’impianto basilicale dei due ambienti è attraversato
trasversalmente da ponti sospesi capaci di collegare
insieme i due padiglioni prima indipendenti, conferendo
nuova unità al complesso e delimitando un cortile chiuso
tra i due volumi. I nuovi elementi architettonici, realizzati
con travi di cemento armato lunghe 23 metri e dal peso
di 52 tonnellate ciascuna, incarnano in pieno lo spirito del
progetto, ossia la volontà di esprimere le idee di
comunicazione e connessione. Questo sistema di
collegamenti in quota internamente scandisce il ritmo
dell’ediicio e suddivide l’ambiente in due livelli distinti. Il
piano terra ospita spazi dinamici, mutevoli, aperti e
facilmente accessibili dalla strada, principalmente
destinati ad incontri, esposizioni e attività laboratoriali. Gli
spazi al piano superiore sono più intimi e riservati, pensati
per attività di studio individuale e di ricerca. Il diverso
carattere dei due livelli è sottolineato anche dal
differente utilizzo dei materiali: i massicci elementi in
cemento armato infatti, si contrappongono a quelli
leggeri e metallici che costituiscono la struttura originaria.
fig. 5 | maDriD, caSa Del lector, interno
103
fig. 7 | maDriD, caSa Del lector, auDitorium
fig. 8 | maDriD, caSa Del lector, uffici
fig. 6 |maDriD, caSa Del lector, pianta piano terra
104
fig. 9 | maDriD, caSa Del lector, interno
Il progetto degli interni è afidato allo studio Jesús Moreno
& Asociados10 che attraverso molteplici interventi
architettonici e di design ha dato risposta alle esigenze di
diversiicazione dei grandi spazi, mediante elementi
eterogenei in un intento formale uniforme. Questo
obiettivo è perseguito tramite un disegno razionale e
rigoroso coniugato con un’accurata scelta di materiali e
di trattamenti cromatici.
Degno di nota è anche il contributo dello studio
Investigación Gráica dei disegnatori Alberto e Oyer
Corazón11, incaricati della deinizione dell’identità graica
dell’ediicio.
Attraverso l’utilizzo di materiali quali l’acciaio, il neon, il
vinile, e il dibond, e la creazione di un font ad hoc
chiamato “Futura Reader”, i Corazón raggiungono
l’ambizioso intento di arricchire l’esperienza della lettura
di ciascun individuo.
In quest’ottica, ciascuno spazio è dotato di un signiicato
programmatico, in funzione della destinazione d’uso,
esprimendo concetti collegati al mondo della lettura
mediante frasi e parole che diventano veri e propri
elementi di design.
fig. 11 | maDriD, caSa Del lector, Dettaglio interni
fig. 10 | maDriD, caSa Del lector, Dettaglio Scale
fig. 12 | maDriD, caSa Del lector, Dettaglio ingreSSo
105
CritiChe e ConClUsioni
Gli elementi prefabbricati in cemento armato che
attraversano e deiniscono lo spazio dei padiglioni
gemelli della Casa del Lector, non possono non
richiamare il confronto con altri due progetti ancora a
cura di Antón García Abril & Ensamble Studio:
l’installazione “Balancing Act” realizzata per la Biennale
di Architettura 2010 di Venezia e Casa Hemeroscopium,
una villa unifamiliare realizzata a Madrid nel 2008. In
entrambi i progetti, così come nella Casa del Lector, gli
elementi strutturali prefabbricati perdono la scala e
diventano strumento di deinizione dello spazio.
L’installazione “Balancing Act”, commissionata da
Kazuyo Sejima12 « (…) è una composizione in cui più voci
risuonano insieme, e dove le diverse tecniche
rappresentano lo strumento per raggiungere un oggetto
polifonico»13.
Equilibrio, ma anche instabilità e armonia sono anche i
principi alla base del progetto di Casa Hemeroscopium,
dove sette elementi prefabbricati deiniscono uno spazio
architettonico domestico in cui dominano i contrasti tra
stabilità e precarietà, leggerezza e solidità.
Questi principi, che accomunano tutti i progetti di García
Abril & Ensamble Studio, trovano completa espressione
nel manifesto del suo pensiero14 ed in particolare in due
dei suoi 7 punti:
«3.
We conceive spaces and design their construction using
an explosive mixture of imagination and reality, aiming to
excite places and people, to create strong bonds that
will improve the quality of life in and around them.
(…)
6.
Structure is the architecture, which is not only entrusted
with the important task of dealing with gravity, but also
traces the space, frames the landscape, orders the
program, expresses; and so, deines architecture. Without
dressings or disguise, with constructive economy and
honesty»15.
Entrambi i concetti sono alla base dell’intervento di
restauro di Casa del Lector: il risultato è un ediicio che
incarna e sintetizza passato e futuro, capace di adattare
un’operazione di rifunzionalizzazione ad un ediicio
106
mantenendone le forme e rispettando la concezione
spaziale.
L’intervento quindi «(…) si rivela assai coraggioso. Oltre
che svelare la vacuità di senso sottesa al termine
“reversibilità” negli interventi su ediici storici, esso
propone, infatti, una lettura della “memoria del luogo”
depurata da qualsivoglia atmosfera o carattere
epidermico, come anche di ogni traccia materiale del
trascorrere del tempo; solo i caratteri essenziali dello
spazio architettonico, da predisporre afinché in esso
possa iniziare il racconto di una “nuova storia”»16.
fig. 13 | venezia, Balancing act
fig. 14 | maDriD hemeroScopium houSe
antón garCía-abril
vita
Antón García-Abril nasce nel 1969 a Madrid, città in cui frequenta l’Escuela Técnica Superior de Arquitectura.
Nel 2000 consegue il suo primo dottorato e nello stesso anno fonda l’Ensamble Studio, un team multidisciplinare cui sono associati Javier Cuesta e Débora Mesa Molina17. I suoi progetti, tesi sempre alla ricerca di un
nuovo approccio allo spazio architettonico e urbano, seppur raggiungano esiti formali estremamente differenti si fondano sulla relazione tra
concezione strutturale, essenza dei materiali e conigurazioni spaziali,
concetti in cui è impossibile non identiicare l’inluenza di Alberto Campo Baeza18, suo docente all’ETSAM.
Autore di progetti pluripremiati, García-Abril afianca la sua carriera di
progettista ad attività di docenza e di ricerca: è stato professore associato presso la Scuola di Architettura dell’Università Politecnica di Madrid, professore invitato all’Università di Cornell nel 2008 e alla Graduate
School of Design ad Harvard e visiting e critic professor in diverse università e istituzioni in Europa e in America. Dal 2011 è professore ordinario
alla Scuola di Architettura e Pianiicazione del Massachusetts Institute of
Technology.
La sua attività si svolge anche attraverso lezioni e conferenze in tutto il
mondo, alcune delle quali all’'Architectural Association School of Architecture di Londra, alla Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo,
all’Istituto Cervantes di Chicago e alla Bauhaus University di Weimar.
fig. 15 | l’architetto antón garcía-aBril
PrinCiPali oPere
1999 - Auditorio y Escuela de Música, Medina del Campo, España.
2000 - Escuela de Altos Estudios Musicales, Santiago de Compostela,
España.
2004 - Taller de Manolo Valdés, Madrid, España.
2004 - Casa Martemar, Málaga, España.
2004 - Sede SGAE Noroeste, Santiago de Compostela, España.
2005 - Casa Hemeroscopium, Las Rozas de Madrid, España.
2006 - 2010 - Casa Trufa, Costa de la Muerte, Galicia, España.
2007 - SGAE Central Ofice, Santiago de Compostela, España.
2009 - Torre de la Música, Valencia, España.
2010 - Museo Mesoamericano, Salamanca, España.
2010 - Balancing Act, 12 Bienal de Venecia, Italia.
2012 - Casa del Lector, Madrid, España.
2012 - The Cloud, Madrid, España.
2013 - Teatro Telcel, México DF, México.
fig. 16 | málaga, martemar houSe
107
note
Antonio Fernández Alba (Salamanca, 1927) si laureò in
Architettura nella Escuela Arquitectura de Madrid, nella
1
Il complesso del Centro de Creación Contemporanea
Matadero, aperto al pubblico dal 2007, rappresenta un
8
grande spazio di scambio di idee riguardanti la cultura
ed i valori della società contemporanea, aperto a tutti i
campi della creazione, con l’obiettivo di favorire
l’incontro ed il dialogo tra artisti e pubblico. Si tratta di un
centro creato nel 2006 dal Municipio di Madrid per
promuovere l’arte contemporanea e gli ambiti culturali
ad essa connessi secondo un approccio multidisciplinare.
quale si dottorò nel 1963 e nella quale insegnò per circa
40 anni. Oltre alla carriera di insegnante lavorò nell’Istituto
di Restauro del Patrimonio Storico Spagnolo, del quale fu
direttore tra il 1984 e il 1987. Successivamente divenne
presidente del Patronato del Museo di Arte
Contemporanea tra il 1987 ed il 1990. Tra le sue opere
spiccano il Monasterio del Rollo de Salamanca ed il
Convento de las Carmelitas Descalzas, o il restauro
dell’Observatorio de Madrid. Critico nei confronti
dell’architettura del suo tempo, la sua opera è il risultato
di una rilessione critica sullo spazio architettonico della
società attuale.
2
Da Casa del Lector, Ensamble Studio,www.divisare.com
La Porta di Toledo è un monumento del primo terzo del
XIX secolo della città spagnola di Madrid. Fu eretta come
arco di trionfo in onore del re Fernando VII.
3
Il Plan General de Ordenación Urbana (P.G.O.U.) è uno
strumento di pianiicazione generale deinito dalla
normativa urbanistica spagnola come uno strumento
base di ordinazione integrale del territorio di uno o più
comuni, attraverso il quale si classiica il suolo, si determina
il regime applicabile ad ognuna di queste classiicazioni,
e si deiniscono gli elementi fondamentali del sistema di
servizi del comune in questione.
9
Joaquín Saldaña y López (Madrid, 1870 - 1939) fu un
architetto spagnolo laureato a Madrid nel 1894. Fu
l’architetto della classe aristocratica di Madrid di ine XIX
secolo, infatti costruì diversi palazzi e case signorili. Le sue
opere furono realizzate in alcune aree dell’ensanche di
Madrid, in stile Belle Epoque che diventò popolare con il
nome “Stile Saldaña”. Vi sono alcune opere
architettoniche nella Gran Vía”
4
Jesús Moreno & Asociados è uno studio di architettura
e design fondato nel 1993. Il suo carattere multidisciplinare
consente la realizzazione di interventi nei diversi campi
come graphic design, industrial design, interior design e
storia dell’arte, prediligendo però la progettazione di
esposizioni temporanee. Tra le più importanti si ricorda
l’allestimento realizzato per il Museo Nazionale del Prado
a Madrid.
10
Luis Bellido y González ((Logroño, 1869 - 1955) fu un
architetto spagnolo responsabile della progettazione di
una grande quantità di ediici di Madrid, città nella quale
fu architetto municipale. Uno dei più famosi fu appunto il
Matadero y Mercado Municipal de Ganados de Madrid.
Bellido impiega uno stile storicista nelle costruzioni
pubbliche ed istituzionali, e l’eclettismo di chiara inluenza
francese per le costruzioni civili.
5
11
6
7
dallo spagnolo, prateria.
La Ley de Arganzuela fu una legge emanata nel 1967
con la quale lo Stato cedette al comune di Madrid i
terreni dell’antica prateria di Arganzuela, afinchè
nell’arco di dieci anni convertisse l’area del Matadero in
un parco verde: il Parco di Arganzuela.
108
Alberto Corazón è un disegnatore spagnolo attivo sul
campo internazionale, l’unico disegnatore europeo ad
aver ricevuto la Medaglia d’Ora dell’American Institute
of Graphic Arts. Autore di numerose pubblicazioni nel
campo del design e dell’arte, ha collaborato per circa
un decennio con il iglio Oyer Corazón, anch’egli
disegnatore e direttore generale dello studio, dalla cui
collaborazione hanno preso vita numerosi progetti.
Kazuyo Sejima è un’architetto giapponese laureata
nel 1981 presso la Japan Woman’s University .Nel 1987
apre un proprio studio a Tokyo e nel 1995 fonda insieme
a Ryue Nishizawa lo studio SANAA. Ha partecipato a
concorsi in Giappone e all’estero ottenendo numerosi
premi: tra gli ultimi vi i è quello per il Learnig Center del
politecnico federale di Losanna. Tra i suoi lavori più
importanti si ricordano il Police Box at Chofu Station del
1995 e il Multi Media-studio del1996 con la collaborazione
di Ryue Nishizawa.
12
Sito uficiale dell’Ensamble Studio, Balanzing Act.
Venezia : www.ensamble.info
13
Sito uficiale dello Studio Ensamble Studio, manifesto
del pensiero: www.ensamble.info
14
Sito uficiale dello Studio Ensamble Studio, manifesto
del pensiero: www.ensamble.info
15
A.MANN, Leggere lo spazio, in “Casabella”, LXXVI
(2012), 820, p.38.
16
17
Javier Cuesta e Débora Mesa Molina sono
rispettivamente architetto associato e architetto
codirettore, insieme ad Antón García-Abril dell’Ensamble
Studio
18
Alberto Campo Baeza è un architetto spagnolo di
fama internazionale. Autore di progetti pluripremiati dalle case unifamiliari a Cadice e Madrid agli ufici del
Governo della regione della Castilla y León a Zamora- la
sua attività ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti tra i
quali l’Arnold W. Brunner Memorial Prize dell’American
Academy of Arts and Letters nel 2013 e il RIBA International
Fellowship 2014 del Royal Institute of British Architects. Nel
2014 è state eletto Full Member della Royal Academy of
Fine Arts di San Fernando in Spagna. Nel 2015 è stato
insignito del BigMat 2015 a Berlino e dell’International
Prize of Spanish Architecture (PAEI 2015).
Fonti bibliograFiChe e sitograFia
A.MANN, Leggere lo spazio, in “Casabella”, LXXVI (2012),
820, pp 37-51.
www.ensamble.info
www.archdaily.com
www.lettera43.it
www.divisare.com
www.arquitecturaviva.com
www.room-digital.com
www.elcultural.com
www.oyercorazon.com
www.casalectorfundaciongsr.com
www.jmasoc.com
www.wikipedia.org
www.mataderomadrid.org
www.labiennale.org
www.architizer.com
www.dezeen.com
www.architecture.mit.edu
www.cersaie.com
www.archilovers.com
www.it.phaidon.com
www.campobaeza.com
109
www.archimagazine.com
www.albertocorazon.com
www.rolandhalbe.eu
Fig. 13 | © ROLAND HALBE, Fotograie dal sito www.
rolandhalbe.eu, 2010
doCUMentazione iConograFiCa
Fig. 14 | © ROLAND HALBE, Fotograie dal sito www.
rolandhalbe.eu, 2008
Copertina | © ARLES IGLESIAS, Fotograie dal sito www.
jmasoc.com, 2012
Fig. 1 | © Google Maps, Foto area di Madrid rielaborata,
Ottobre 2014
Fig. 2 | © LUIS BELLIDO, Fotograie dal sito www.
mataderomadrid.org
Fig. 3 | © ARCHIVIO REGINOAL DE LA COMUNICAD DE
MADRID,
Fotograie
storiche
dal
sito
www.
mataderomadrid.org
Fig. 4 | © JUAN SANDE, Fotograie dal sito www.
mataderomadrid.org, 2006
Fig. 5 | © ARLES IGLESIAS, Fotograie dal sito www.jmasoc.
com
Fig. 6 | © Materiale iconograico della pagina Casa del
Lector / Ensemble Studio dal sito www.archdaily.com
Fig. 7 | © ADRIÁN VÁZQUEZ, Fotograie dal sito www.
room-digital.com
Fig. 8 | © ADRIÁN VÁZQUEZ, Fotograie dal sito www.
room-digital.com
Fig. 9 | © ADRIÁN VÁZQUEZ, Fotograie dal sito www.
room-digital.com
Fig. 10 | © ADRIÁN VÁZQUEZ, Fotograie dal sito www.
room-digital.com
Fig. 11 | © ADRIÁN VÁZQUEZ, Fotograie dal sito www.
room-digital.com
110
Fig. 12 | © RICARDO SANTONJA, Fotograie dal sito www.
oyercorazon.com
Fig. 15 | © ROLAND HALBE, Fotograie dell’articolo
Garcia-Abril giocoliere della materia dal sito www.
lastampa.it
Fig. 16 | © ROLAND HALBE, Fotograie dal sito www.
rolandhalbe.eu, 2006
111
112
3 | ex area lowenbraU a zUrigo
loCalizzazione geograFiCa
Zurigo è la più grande città della Svizzera e capoluogo
dell’omonimo cantone, supera il milione di abitanti ed è
una città tecnologicamente avanzatissima, nonché un
importante polo turistico e culturale. Risulta suddivisa in
12 quartieri, tra cui il “Zurich West”, uno dei quartieri simbolo della città che ha subito ad oggi un radicale cambiamento.
Quest’area, anche grazie alla presenza di un iume che
la attraversa, è stata in dall’ ultimo decennio dell’ 800 un
polo industriale in cui venivano progettate navi e
s’instauravano fabbriche per differenti tipi di prodotti: dalla
produzione di ruote idrauliche e turbine (prima fabbrica
insediatasi) a quella di sapone e ruote dentate. Le fabbriche in questa zona hanno vissuto un periodo lorido ino
agli anni ’80, momento in cui il settore industriale generale subì un tracollo e molte ditte fallirono o furono dislocate per ammortizzare i costi.
fig.1 | la città Di zurigo e il Quartiere zurich weSt
fig. 2 | il Quartiere zurich weSt e l’area ex Birrificio lowenBrau
113
fig. 3 | ex viaDotto im viaDukt, eSterno
fig. 4 | ex viaDotto im viaDukt, interno Di un negozio
114
Si è intervenuti inizialmente sull’ex viadotto ferroviario, costruito nel 1894, le cui 36 volte ospitano oggi un famoso
mercato biologico e una serie di negozi di moda che ne
hanno fatto un simbolo del quartiere. Altro polo d’interesse è il parco pubblico “Im Viadukt”, attiguo all’ex viadotto ferroviario e polmone verde della zona. Nelle immediate vicinanze è presente anche la Freitag’s Shop1, un
marchio di moda la cui sede è realizzata in una torre di
container1, che va a caratterizzare lo skyline dell’area,
già fortemente connotato dalla igura della Prime Tower,
l’ediicio più alto della città2.
fig. 5 | viSta Dal BaSSo Del freitag’S Shop e prime tower
fig. 6 | freitag’S Shop
fig. 7 | prime tower
115
Un importante recupero è stato effettuato nell’ oficina
Les Halles, ex fabbrica Pegeout, la cui ristrutturazione ha
permesso di costruire un ristorante con annesso mercato
biologico. Un omaggio al passato industriale è anche il
Percorso Rosso, camminamento sulle ex rotaie dalle quali le fabbriche, oggi recuperate, erano rifornite e che secondo il progetto originale prevede un attraversamento
di tutta l’area industriale terminando in un parco di futura
costruzione.
fig. 8 | riStorante-mercato leS halleS
fig. 9 | percorSo roSSo
fig. 10 | viSta aerea Del Birrificio
116
Un momento fondamentale per la riqualiicazione del
quartiere è stato il processo di ristrutturazione dell’ex birriicio Lowenbrau3, diventato poi un importante polo culturale. L’ “area Lowenbrau” rappresenta anche una storia
di successo e collaborazione tra pubblico e privato in
nome di cultura e potenziale economico che ad essa è
legato, tant’è che nel 2011, per garantire la presenza
dell’arte nonostante la speculazione immobiliare, è nata
la società per azioni “Lowenbrau Kunst AG” dalla collaborazione tra la città di Zurigo e il Migros Museum.
Il merito del rinnovamento del quartiere va al modo con
cui ci si è relazionati al paesaggio esistente e che deriva
proprio dall’ Archeologia industriale: nella conversione
alla nuova funzionalità i fabbricati non hanno perso la
forza della loro storia ma anzi, hanno collaborato a trasformare un paesaggio prettamente industriale in un territorio misto, facendo convivere vita quotidiana con conservazione della memoria del lavoro e delle antiche
tradizioni.
fig. 11 | logo lowenBrau Sulla muratura Del Birrificio
fig. 12 | moDello Dell’area prima Dell’intervento
fig. 13 | moDello Dell’area Dopo l’intervento
fig. 14 | inQuaDramento urBano Dell’area ex lowenBrau
117
l’intervento
fig. 15 | Schema Delle caratteriStichei Dell’intervento
fig. 16 | i SiloS D’acciaio preSenti a oveSt
fig. 17 | viSta D’inSieme (fotorealiStica) Dalla limmatStraSSe
118
L’intervento asseconda la poliedricità dell’area Lowenbrau, ormai privata della vocazione produttiva industriale.
L’ex birriicio infatti ospita, dal 1996, alcune istituzioni in
campo artistico: la Kunsthalle Zurich (la galleria più importante della città), la Migros Gallery e alcune gallerie
commerciali.
Gli interventi, tutti visibili dalla Limmatstrasse, constano di
un ampliamento del polo artistico con nuovi spazi, l’addizione di un corpo ospitante ufici che si dispone tra Limmatstrasse e Dammweg e un ediicio centrale composto
da corpo di base e torre che ospita appartamenti.
Grande importanza è stata data agli spazi serventi: l’ex
corte del birriicio e la corte dello spazio artistico.
La prima è chiusa su tutti e quattro i lati, sotto tutela monumentale, accessibile solo a piedi da uno stretto passaggio dalla Limmatstrasse. E’ un spazio fondamentale
che mette in comunicazione ediici, linguaggi ed elementi della storia dell’area, quali i silos in acciaio e le ciminiere in muratura.
La seconda ospita l’ingresso dello spazio artistico, parcheggi per i visitatori e spazi tecnici.
1 Kunsthof (corte dell’arte)
2 Brauereihof (corte del birriicio)
3 Area d’ingresso per l’arte
4 Libreria
5 Sala distribuzione spazi per l’arte
6 Galleria
7 Museo Migros per l’arte contemporanea
8 Lobby
9 Commercio
10 Negozi
11 Ristorazione
12 Kunsthalle Zurich
13 Ufici
14 Studio radiofonico
fig. 18 e fig. 19 | pianta e Sezione longituDinale
119
fig. 20 e fig. 21 | viSte fotorealiStiche Dal cortile Del Birrificio
fig. 22 | ampliamento polo Dell’arte
fig. 24 | il Blocco oveSt per l’arte
Il blocco ovest, integrazione agli spazi d’arte, si presenta
come volume puro in calcestruzzo bianco accostato e
sovrapposto alla preesistenza, che ne riprende le dimensioni e le proporzioni, pur risultando riconoscibile e denunciando la propria contemporaneità.
Grande cura è stata posta nell’integrazione tra i due
blocchi, visibile nel prospetto lato Gersenstrasse.
Al suo interno ospita spazi per esposizioni, ufici, uno spazio polifunzionale, un appartamento per artisti ospiti e
una terrazza che si affaccia sulla corte dello spazio artistico.
fig. 23 | volume SovrappoSto Dalla limmatStraSSe
120
fig. 26 | una Delle Sale per eSpoSizioni
fig. 25 | rapporto tra vecchio e nuovo
fig. 27 | interfaccia tra vecchio e nuovo
121
L’ediicio residenziale è costituito da un basso corpo di
fabbrica, disposto longitudinalmente, che fa da basamento alla torre sud, parzialmente in aggetto, vera emergenza architettonica che svetta dal prospetto Limmatstrasse in posizione centrale, dando una forte
connotazione contemporanea all’intervento, esaltata
anche dal colore scuro del paramento.
Le unità immobiliari sono 21 nel basamento e 37 nella torre, con alto livello di initure, dimensioni variabili e ognuno
con esposizione e vista sulla città varia4.
fig. 28 | l’eDificio reSiDenziale
Fig. 29 | L’aggetto della torre Sud dalla Limmatstrasse
122
fig. 30 | il Blocco reSiDenziale Dalla corte Del Birrificio
fig. 31 | Dettaglio Dell’apertura Degli infiSSi
fig. 32| viSta interna Di un appartamento
123
L’ediicio per ufici occupa parte del corpo storico del
birriicio e un nuovo corpo di fabbrica, disponendosi ad
angolo tra la Limmatstrasse e la Dammweg.
L’aggetto del corpo più alto funge da soglia per l’ingresso sul fronte Dammweg.
Il blocco residenziale e il blocco per ufici presentano un
paramento in elementi di ceramica proilati, neri per il primo, rossi per il secondo (richiamo al laterizio dell’ex birriicio), dalla supericie lucida e ondulata, che attesta l‘attualità dell’intervento.
fig. 33 | l’eDificio per uffici
Brewer‘s yard – Visualisation
Ofice building – „Blue Room“, brewery, main building
fig. 36 | viSta Del Blocco uffici Dall’interno Della corte
fig. 34 | viSta D’inSieme Dalla limmatStraSSe
View from viaduct, Limmatstrasse
fig. 35 | l’ingreSSo Dalla Dammweg
124
fig. 37 | viSta interna Blocco uffici
CritiChe e ConClUsioni
fig. 38 | faSe Di cantiere
L’intervento è da ritenersi riuscito in quanto, in pieno accordo col linguaggio e le forme dell’architettura contemporanea riesce a dialogare con la preesistenza, proseguendone la rifunzionalizzazione. L’esito inale è di
chiara distinguibilità del nuovo costruito ma anche di richiamo nelle forme e di consapevole distacco, come ad
esempio per la torre residenziale.
Si sottolinea però che l’esigenza di rifunzionalizzazione è
risultata preminente (e soverchiante) rispetto all’integrità
della presistenza. Esempliicativa sia la ig. * che mostra la
fase di cantiere del blocco ovest: il braccio del birriicio
viene sventrato per ospitare ufici open space, lasciando
la cortina muraria (puntellata da setti in calcestruzzo)
come semplice facciata.
In un’ottica più ampia, risulta eficace per la riqualiicazione del quartiere, già in atto con l’intervento precedente sull’ex birriicio e quelli nell’area.
FIG. 39 | DETTAGLIO DEL PARAMENTO
fig. 40 | paramento in laterizio Del Blocco uffici
125
gigon/gUyer arChitekten
biograFia arChitetti
Annette Gigon (Herisau, 1959) si è laureata all’ ETH a Zurigo (Politecnico federale) 1984, lavorando successivamente presso Herzog & de Meuron dal 1986 al 1988.
Mike Guyer (Columbus, 1958) si è laurato all’ETH a Zurigo
nel 1984, inizia poi a lavorare presso l’Ofice Metropolitan
Architecture a Rotterdam dal 1984 al 1987. Nel 1989 fondano lo studio Gigon/Guyer Architects. Sono entrambi
insegnanti dell’ ETH e i loro progetti sono realizzati prevalentemente nell’area svizzera, specialmente a Zurigo.
Hanno vinto numerosi premi e ottenuto importanti riconoscimenti come il “Mies van de Rohe Award ” e l’ “International Fellowship of the RIBA “.
fig. 41 | annette gigon e mike guyer
PrinCiPali oPere
1999
2000
2002
2003
2005
2007
2008
2009
2011
2012
2013
2014
126
Cabina di manovra, Zurigo (1996, 1998–1999) – PRIMO PREMIO
Museo e parco Kalkriese, Germania (1999-2002) - PRIMO PREMIO
Tre case su Susenbergstrasse, Zurigo (1998–2000) - PRIMO PREMIO
Lottizzazione e rimodellamento, Plegi Area, Zurigo (1998–2002) - PRIMO PREMIO
Casa indipendente, Zurigo (2001–2003)
Museo dei Trasporti in Svizzera, Lucerne
Complesso residenziale Diggelmannstrasse, Zurigo (2005–2007) - PRIMO PREMIO
Lottizzazione Brunnenhof, Zurigo (2003–2007) - PRIMO PREMIO
Lottizzazione Neumünsterallee, Zurigo (2003–2007) - PRIMO PREMIO
Lagerstrasse Building, Europaallee 21, Zurigo - SECONDO PREMIO (con D. Chipperield)
Fondazione Marguerite Arp, Locarno, Switzerland (2009-2014)
Würth Haus, Rorschach (2009-2013) - PRIMO PREMIO
Complesso residenziale Zollikerstrasse, Zurigo (2006–2011) - PRIMO PREMIO
Ufici grattacielo Prime Tower, Maag Area, Zurigo (2004–2011) - PRIMO PREMIO
Cubus Ofice Building, Maag Area, Zurigo (2005–2011) - PRIMO PREMIO
Ristrutturazione ex ediicio industriale, Maag Area, Zurigo (2005–2011) - PRIMO PREMIO
Clouds restaurant, Prime Tower, Zurigo (2011) - PRIMO PREMIO
Deutsche Bank, Prime Tower, Zurigo (2011)
Transammonia, Prime Tower, Zurigo (2011)
Swiss Prime Site, Prime Tower, Zurigo (2011)
Clouds Conference, Prime Tower, Zurigo (2011)
Platform Ofice Building, Zurigo (2007–2011)
Complesso Löwenbräu, Zurigo (2004–2012)
Museo per l’arte contemporanea Migros, complesso Löwenbräu, Zurigo (2006–2012)
Galledia d’arte Zürich, complesso Löwenbräu, Zurigo (2006–2012)
Ofice Building Lagerstrasse House, Europaallee 21, Zurigo (2007–2013)
Löwenbräu area, centro d’arte, torre residenziale e ufici, Zurigo (2004–2013/14)
fig. 42 | annette gigon e mike guyer
fig. 45| würth hauS, rorSchach(2009-2013)
fig. 43 | SwiSS muSeum of tranSport, lucerne (2005-2009)
fig. 46 | fonDaz. marguerite arp, locarno (2008-2014)
fig. 44 | muSeo e parco kalkrieSe, germania (1999-2002)
fig. 47 | lagerStraSSe BuilDing, zurigo (2007-2013)
127
note
1
doCUMentazione iConograFiCa
La Freitag Tower è costituita da 17 containers impilati,
per un’altezza totale di 26 metri. Ospita un’esposizione di
Copertina |www.archiexpo.com
16’000 borse del marchio Freitag: le Individual Recycled
Freewaybags*corsivo*, ottenute dal riciclo di teloni di camion, camere d’aria di biciclette, cinture di sicurezza e
airbag usati; ogni borsa è un pezzo unico fatto a mano.
2
La Prime Tower è il grattacielo più alto della Svizzera, progettato dallo studio Gigon/Guyer, loro ediicio più noto, è
alto 126 metri. Ospita al suo interno ufici, banche, sale
convegni e un ristorante all’ultimo piano, “Clouds”.
3
Il birriicio Lowenbrau è stato fondato, presumibilmente,
nel 1516 a Monaco di Baviera, che ospita anche il birriicio più importante, ricostruito in quanto danneggiato dai
bombardamenti nel 1945.
4
Le “stanze stagionali” sono attrezzate con inissi ribaltabili che ne consentono la totale apertura nella stagione
calda. Il loro telaio è in alluminio e presentano un vetro
multistrato a doppia intercapedine: normale all’esterno,
isolante al centro, antirilesso all’interno.
Fig. 1 | commons.wikimedia.org
Fonti bibliograFiChe e sitograFia
Domus 974, Sistemazione urbana a Zurigo p. 70-83
El Croquis 102, Gigon/Guyer 1989-2000
El Croquis 143, Gigon/Guyer 2001-2008
Fig. 2 | Apple Mappe
Fig 3-6 | zuerich.ch
Fig. 7 | commons.wikimedia.org
Fig, 8,9 |zuerich.ch
Fig. 10 | Domus op. cit.
Fig. 11 | res.cloudinary.com
Fig. 12,13 | Domus op. cit.
Fig. 14 | www.gigon-guyer.ch
Fig. 15 |Domus op. cit.
Fig. 16 | www.gigon-guyer.ch
Fig. 17,18 | Domus op. cit.
www.giornalesentire.it
www.myswitzerland.com/
www.zuerich.com/
www.inyourpocket.com/
www.e-architect.co.uk/
www.archisearch.gr/
www.gigon-guyer.ch/
Fig. 19,20 | www.gigon-guyer.ch
Fig. 21 | Domus op. cit.
Fig. 22 |kunsthallezurich.ch
Fig. 23-30 |Domus op. cit.
Fig. 31 | assets.nbkterracotta.com
Fig. 32-40 | Domus op. cit.
Fig. 41-47 | www.gigon-guyer.ch
128
129
130
4 | l’ex FabbriCa della birra bötzow a berlino
loCalizzazione geograFiCa
lineaMenti storiCi
Il caso studio preso in esame riguarda l’ex fabbrica di
birra Bötzow a Berlino (ig. 1), in Germania. L’antico
complesso industriale si estende su un’area di circa 24000
mq, nel quartiere berlinese Prenzlauer Berg, a pochi passi
dalla rinomata Alexanderplatz del quartiere Mitte. La
piazza, che originariamente ospitava un mercato di
bestiame, assunse una crescente rilevanza solo nel tardo
XIX secolo, con la costruzione della stazione1 e dei
mercati generali, conigurandosì così in uno dei più
inluenti poli commerciali della città. In seguito ai tragici
bombardamenti del 1940-45, l’area subì numerosi
interventi di restauro, comprendenti operazioni di
ampliamento e rinnovamento di gran parte dell’ediicato
circostante. Tra i principali ediici di maggior pregio e
prestigio appartenenti al preesistente aggregato urbano
vengono ricordati la Torre della Televisione, l’Hotel Park
Inn, l’Orologio del Tempo del mondo e la Brunnen der
Völkerfreundschaft2.
Il 13 aprile 1864 Giulio Bötzow, nipote di un noto mastro
birraio, avviò l’attivazione della fabbrica di birra,
collocata nella Alte Schönhauser Straße 23/24. In seguito
al considerevole successo ottenuto e alla crescente
richiesta del prodotto sul mercato, qualche anno più
tardi l’imprenditore provvedette alla realizzazione di una
cantina-deposito sotterranea di 5000 mq.
Nel 1885 venne dunque uficialmente inaugurata la
Bötzow Brauerei sul Windmühlenberg3, che riuscì
rapidamente a conquistare incisivi traguardi: in seguito a
signiicativi riconoscimenti per l’ottima qualità della birra,
appena un anno dopo l’inizio della produzione, Giulio
Bötzow venne nominato ‘’fornitore uficiale di Sua Maestà
il Re di Prussia’’4. La nuova fabbrica si convertì così in uno
dei più moderni ed estesi impianti di produzione di birra
del Nord della Germania, il cui organismo aziendale
risultava strutturato da due consiglieri, sette commercialisti
e 350 operai e impiegati.
Il 1887 fu l’anno in cui si concretizzò l’ampliamento dello
stabilimento
industriale,
con
la
conseguente
implemetazione di un nuovo sistema di imbottigliamento.
Tra i prodotti simbolo che hanno reso celebre l’azienda si
citano le storiche birre HellesVersandbier, Dunkle
Nürnberger e HellesJulherna-Bier.
Intorno al 1900, Bötzow e la sua famiglia si trasferirono
nella sontuosa villa ‘’Castello del Nord’’, a cui venne
aggiunto il comparto di un grande giardino (ig. 2),
allestito per accogliere 6000 persone. Nel 1919, nel
giardino divenuto ormai luogo simbolo di ritrovo della
cittadinanza, assiduamente frequentato e vissuto dalla
popolazione del quartiere e dai turisti, venne istituito il
comitato rivoluzionario dei membri del KPD e dell’ USPD5.
Le sorti della fabbrica mutarono alla morte dello storico
imprenditore Giulio Bötzow, nel 19 luglio 1914, quando la
gestione dell’industria passò per la prima volta nelle mani
di una società in nome collettivo6; tuttavia, la nuova
gestione non trovò lunga durata poichè, nel 1918, fu una
società in accomandita semplice7 a riceverne il possesso.
In questa travagliata fase amministrativa, la famiglia
Bötzow riuscì, nonostante ciò, a conservare la
fig. 1 | Berlino, inQuaDramento
131
fig. 2 | Berlino, ex faBBrica Della Birra, villa e giarDino
maggioranza delle azioni così da garantire oltre alla
conservazione del proprio nome come marchio del
prodotto, anche una genealogica successione
governativa. Gli eredi, tra i quali Giulio Ludwig Bötzow,
iglio del fondatore, dovettero affrontare un deleterio e
gravoso calo della produzione, causato dall’inevitabile
carenza di consumo di birra durante il drammatico
conlitto mondiale. Al termine della guerra, la fabbrica fu
sottoposta ad un incisivo rinnovamento tecnologico e
ad un determinante rimodernamento che comportò la
nuova dotazione di macchinari di ultima generazione,
tra i quali il rivoluzionario sistema di imbottigliamento
automatico.
Nel 1927, anno della morte di Giulio Ludwig Bötzow, la
gestione dello stabilimento traslò alla società per azioni8
‘’Josef Bötzow Brauerei’’, ma fu poi nuovamente
riconvertita in società in accomandita nel 1938, alla
quale prese parte l’erede Herman Bötzow9.
Concluso il secondo conlitto mondiale, parti del birriicio
furono distrutte e degradate, causando consistenti danni
all’azienda che non arrestò la produzione ino alla
chiusura deinitiva nel 1949. Dal 1950 gli ediici dismessi
vennero sfruttati come magazzini e depositi di
approvvigionamento, e subito dopo la caduta del muro
di Berlino fu trasferito il mercato per la vendita di prodotti
occidentali.
Dal 1990, in seguito alla rivalutazione del complesso in
qualità di memoria storica della società e opera da
preservare e conservare, l’intera area venne posta sotto
fig. 3 | Berlino, piazza centrale nel 1900
fig. 4 | Berlino, DepoSito per le Botti Di Birra
132
fig. 5 | Berlino, DepoSito per le Botti Di Birra
tutela come patrimonio storico-architettonico.
Durante tutta la storia del birriicio non mancarono
certamente proposte avveniristiche volte a riconferire
nuovo volto e qualità urbana all’antica preesistenza,
come il progetto presentato nel 1995 dal gruppo
societario ‘‘Kriegbaum’’, il quale provvedette all’acquisto
dell’area per 48 milioni, al ine di erigere un imponente
centro commerciale ampio 40000 mq, che, grazie al
vincolo di conservazione, come molti altri estrosi ed
azzardati programmi di reindustrializzazione e riuso, non
fu mai realizzato.
Dal 2001 al 2003 l’associazione “Freunde der Bötzow
Brauerei” si preoccupò di curare la riqualiicazione
dell’area organizzando interessanti e variegati eventi
culturali, visite guidate, feste, mostre e riprese
cinematograiche. Nell’autunno del 2010 comparve un
nuovo aspirante all’acquisizione della fabbrica: Hans
Georg Näder10, passeggiando tra la Saarbrücker Straße e
la Prenzlauer Allee, si innamorò della zona ed otto
settimane più tardi comprò i locali della birreria. Il nuovo
proprietario si propose di consevare le antiche strutture
pressoché intatte, e di avviare la realizzazione di strutture
ricettive/abitative e spazi artistici nell’area circostante.
L’idea rappresentò dunque un progetto vivacemente
innovativo, inalizzato a riaccendere il mercato delle
piccole imprese e chiaramente improntato sul modello
del Chelsea Market newyorkese, con la realizzazione di
ristoranti, boutique e loft per artisti, oltre che un lussuoso
hotel con centro benessere.
fig. 6 | Berlino, cortile interno
fig. 7 | Berlino, piazza centrale
fig. 8 | Berlino, veDuta interna
fig. 9| Berlino, copertura vetrata
133
il Progetto di restaUro
Il processo di trasformazione di cui è stata oggetto
l’antica fabbrica Bötzow Brauerei è stato il risultato di un
intenso iter progettuale che ha coinvolto il complesso
industriale per diversi anni. Conseguentemente alla
tragica fase della seconda guerra mondiale, il sito ha
subito importanti danneggiamenti e gravi distruzioni, ma
tuttavia non sono stati mai previsti interventi di
ricostruzione dei comparti mancanti. Dalla sua storica
apertura, risalente a più di 150 anni fa, la famiglia Bötzow
ha sempre cercato di preservare il carattere singolare di
questo centro industriale, contraddistinto dalla modernità
e qualità di un ambiente di lavoro piacevole e curato nei
minimi dettagli.
Il sempre più forte coinvolgimento della civiltà verso la
tematica dell’archeologia industriale ha condotto la
società
di
tecnologia
medica
OttoBock11
dell’imprenditore Hans Georg Näder, ad acquistare nel
2011 l’area dell’antica fabbrica, prendendo così parte
alla vicenda dell’antico stabilimento con la presentazione
nel 2014 di un nuovo piano di riconversione, per opera
fig. 10 | Berlino, maSterplan
134
del celebre progettista David Chipperield. (ig. 11 e 12)
L’intento principale su cui si è focalizzato il restauro
condotto dal rinomato architetto britannico è stato
dunque quello di ediicare un organismo architettonico
in grado di rilettere e conservare questi valori.
Gli obbiettivi del grande progetto generale si sono
concretizzati nella rifondazione di una nuova identità in
grado di rivitalizzare l’antico manufatto, convertendo, su
una supericie di 24.000 mq, il vecchio birriicio in un
innovativo polo commerciale di destinazione pubblica
nel cuore della città.
Per ciò che concerne gli ediici esistenti è stato previsto
un accurato programma restaurativo da aggiungersi
all’accorpamento di tre nuovi volumi così da ottenere un
prolungamento dell’insieme, mantenendo un costante
riferimento alla posizione del precedente ediicato.
Seguendo le orme storiche dell’articolazione preesistente,
nella nuova pianiicazione è stata decretata la
disposizione di due nuovi spazi pubblici esterni, fulcri
nodali del progetto. Il sito si apre alla città con un ampio
e grazioso biergarten o giardino della birra.
Parallelamente, i moderni e antichi ediici deiniscono i
contorni di una piazza centrale (ig. 24), che incarna la
nuova locazione rappresentativa della Bötzow Brauerei,
fornendo l’accesso a tutti i blocchi all’interno della
proprietà, e riproponendosi come antico nucleo sociale
del quartiere.
La naturale morfologia del terreno in pendenza ricrea un
affascinante ed accogliente sequenza spaziale, dalla
strada attraverso il parco ino alla piazza. Circa 6.000 mq
dell’originario sistema voltato costituiscono la fondazione
ancora conservata del rudere.
Per questa delicata porzione è stato programmato un
collegamento con punti selezionati della volumetria
sovrastante, al ine di non intaccare l’antico manufatto
architettonico e preservare la suggestiva atmosfera delle
volte ipogeiche.
Il prodotto progettuale elaborato da Chipperield si è
così delineato nella formulazione di una piccola
cittadella a sè stante all’interno della stessa capitale
tedesca. Si tratta della combinazione vincente tra
dimensione imprenditoriale e componente delle attività
di svago e tempo libero.
Questo innovativo nucleo commerciale, su cui
l’imprenditore ha affermato l’investimento di 250 milioni
di euro, rappresenta uno degli elementi più importanti
del programma di riqualiicazione dell’area che
contraddistinguerà in modo determinante il sito di
Bötzow.
Insieme al blocco del “FutureLab”12, agli ediicati
dell’antico birriicio e al giardino adiacente, il Botzow
Brauerei si deinirà anche come dimora di artigianato e
manifatture, promotrice di prodotti tipici locali, oltre che
sede di diversi esercizi commerciali, come ristoranti,
negozi, boutique, e sarà inoltre predisposta ad accogliere
una piscina olimpionica (ig. 34) sopraelevata con vista
su Alexanderplatz, servizi turistici quali hotel e gallerie
d’arte e infrastrutture cittadine come il parcheggio
sotterraneo; un interessante concept multifunzionale che
si trasformerà in realtà nel 2019.
fig. 11 | Berlino, DaviD chipperfielD
fig. 12 | Berlino, preSentazione maSterplan, 2014
135
fig. 13 | Berlino, viSita guiData
fig. 14 | Berlino, cantine, viSita guiData
fig. 15 | Berlino, Sotterranei, viSita guiData
136
fig. 16 | programma funzionale
fig. 16 | pianta SeconDo piano Seminterrato
fig. 18 | pianta piano terra
fig. 17 | pianta primo piano Seminterrato
fig. 19 | moDello, futurelaB
fig. 20 | proSpetto SuD-oveSt
137
fig. 21 | Sezione a-a
138
fig. 22 | Sezione B-B
fig. 25 | planivolumetrico
fig. 23 | Sezione c-c
fig. 26 | Sezione D-D
fig. 24 | moDello, piazza centrale
fig. 27 | moDello, ingreSSo al Seminterrato
fig. 28 | renDer, inQuaDramento
fig. 28 |Sezione D-D
fig. 29 | maSterplan
139
fig. 30 | renDer, Birreria
140
fig. 31 | renDer, DeSign galleria
fig. 33 | renDer, veDuta interna
fig. 32 | renDer, veDuta interna, cantine
fig. 34 | renDer, DeSign piScina
CritiChe e ConClUsioni
Il carattere dell’intervento di recupero e riqualiicazione
dell’ex fabbrica di birra Bötzow condotto dal rinomato
architetto David Chipperield ci permette di associare
solo parzialmente il progetto alla linea di pensiero del
restauro critico, promosso da importanti teorici e saggisti
come Renato Bonelli, Roberto Pane e Cesare Brandi.
Alla base della rilessione concettuale riguardo cui è
stato oggetto l’antico stabilimento industriale, vi si è
consolidata l’idea della restituzione del manufatto ad
una rinnovata unità artistica e della conservazione
dell’intrinseco valore espressivo dell’opera.
Le integrazioni apportate sono state dunque funzionali
alla rievocazione dell’antica forma e degli antichi
tracciati attraverso un nuovo e moderno linguaggio
espressivo, capace di coniugare ricchezza artistica e
razionalità urbana. Risulta chiara l’adesione del
progettista al principio di riconoscibilità che, pur
sviluppando una trasformazione di esercizio, si attende a
preservare l’originaria conigurazione volumetrica del
luogo.
Si riscontra dunque l’intento di codiicare la moltitudine
degli ediici sotto un’unico idioma compositivo, di cui
ogni
singola
componente
conferisce
logica
architettonica al complesso.
fig. 36 | Berlino, ex-faBBrica Della Birra, riStorante
fig. 35 | Berlino, ex-faBBrica Della Birra, moStra
fig. 37 | Berlino, ex-faBBrica Della Birra, interno, riStorante
141
fig. 38 | Berlino, ex-faBBrica Della Birra, Dettaglio
fig. 39 | Berlino, ex-faBBrica Della Birra, cantine, Stato attuale
fig. 40 | Berlino, ex-faBBrica Della Birra, cantine, Stato attuale
142
La tendenza operativa che si discosta invece da questa
tipologia restaurativa si riferisce alla tematica della
reversibilità, che non viene contemplata nel programma
lavorativo di Chipperield. La riconversione dell’antico
birriicio si deinisce bensì come alterazione sostanziale
della destinazione d’uso, con la inalità di impiantare
una nuova micro realtà multifunzionale capace di
rivitalizzare l’antico sito. L’utilizzo di materiali quali il
calcestruzzo e la preigurazione di incisive opere come
l’imponente piscina olimpionica ci permettono di
comprendere l’elevata dimensione di impatto come
risultante globale di tutti i provvedimenti e di rilevare
come il principio del minimo intervento non venga affatto
applicato.
La pianiicazione di Chipperield non si accosta ad un
approccio puramente conservativo, quanto invece ad
una radicale rifunzionalizzazione dell’area di progetto,
avvalorando in modo determinante la morale sociale e
civile del tessuto urbano. Si intravede quindi una natura
di intervento che non si riduce alla scala del singolo
manufatto, ma si preigge una rigenerazione capillare
della collettività, coinvolgendo direttamente il singolo
uomo come ricettore principale del cambiamento,
come principale beneiciario di una ritrovata qualità
esistenziale.
david ChiPPerField
biograFia
David Chipperield nasce a Londra nel 1953 e si diploma
all’Architectural Association nel 1977. Dopo un periodo di
apprendistato presso gli studi di Stephen Douglas,
Norman Foster e Richard Rogers, apre nel 1984 un proprio
studio a Londra con la denominazione “David
Chipperield Architects“. Dopo essere divenuto, nel 1985,
membro fondatore della 9TH Gallery, assume negli anni
seguenti vari incarichi rientranti soprattutto nel campo
dell’Architettura d’interni. Con l’apertura di un nuovo
studio a Tokio nel 1987, realizza il Gotoh Provate Museum
nella prefettura di Chiba (Giappone, 1987-1992), il Design
Center a Kyoto (Giappone, 1989-1991), e la sede della
Compagnia Matsumoto ad Okyama (Giappone, 19901992).
Nel 1993 realizza anche la galleria delle piante e il salone
centrale del Natural Hystoru Museum a Londra
(Inghilterra). Chipperield svolge anche attività di
conferenziere (a Glasgow, Edimburgo, Oxford, Porto e
all’Accademia van Bouwkunst di Amsterdam nel 1990) e
visiting professor (Harvard University, Boston, – Usa – nel
1987/88; Università di Graz, Austria e Università di Napoli,
Italia nel 1992; Ecole Polytechnique di Losanna, Svizzera
nel 1993-94). Membro dal 1992 al 1997 del consiglio di
amministrazione dell’Architecture Foundation, tra il 1992
ed 1994 pubblica due monograie sulla sua professione.
Nel 1995 diviene Professore di Architettura alla Staatilche
del Bildenden Kunst, a Stoccarda in Germania.
La ilosoia che lo studio ”David Chipperield Architects“
(con sedi internazionali a Londra, Berlino, Milano,
Shanghai) si preigge, è quella di dar vita ad ediici dallo
stile non predeterminato ma derivante da una stretta
connessione tra ambiente esterno e funzionalità per
costruzioni dai dettagli estremamente curati. David
Chipperield cura personalmente il design e la
supervisione del lavoro del proprio staff relativo ad ogni
fase di un progetto, il cui requisito basilare è l’eccellenza
del design.
Tra i numerosi riconoscimenti internazionali conseguiti, ha
ricevuto nel 1999 la Medaglia d’Oro Heinrich Tessenow.
Nel 2004 è stato fatto Commendatore dell’Ordine
dell’Impero Britannico (CBE) per i suoi meriti in campo
architettonico e dal 2003 è membro onorario
dell’Accademia di belle arti di Firenze.
È stato insignito del titolo di cavaliere del Regno Unito nel
2010 per i successi conseguiti nel campo dell’architettura.
Ha ricevuto il premio Wolf per le arti sempre nel 2010 e la
Medaglia d’Oro del Royal Institute of British Architects nel
2011.
fig. 41 | DaviD chipperfielD
143
oPere
Tra i lavori realizzati da Chipperield negli ultimi 20 anni si
ricordano:
- il Neues Museum, Isola dei Musei, Berlino (Germania),
1994-2009
- il Wagama Restaurant di Londra (Inghilterra), 1996
- il River & Rowing Museum ad Henley-on-Thames
(Inghilterra), 1996-99
- la National Gallery of Art, Roma (Italia), 2000
- la Casa privata, Corrubedo (Spagna), 2002
fig. 42 | Berlino, iSola Dei muSei, neueS muSeum
- il Museum of Modern Literature, Marbach am Neckar
(Germania), 2006
- la Biblioteca pubblica, Des Moines, Iowa (USA), 2006
- il Ninetree Village, Hangzhou (Cina), 2008
- la Cittadella della Giustizia, Barcellona (Spagna), 2009
- l’Anchorage Museum, Anchorage (Alaska), 2009
- il Museum Folkwang, Essen (Germania), 2010
- Ansaldo Città delle Culture, Milano (Italia), 2011
fig. 43 | milano, anSalDo città Delle culture
- i Negozi Valentino, Milano (Italia), 2012
- l’ampliamento del Saint Louis Art Museum, Saint Luis,
Missouri (USA), 2013
- il Museo Jumex, Città del Messico (Messico), 2013
- Il Centro Nobel Nobelhuset, Stoccolma (Svezia), 20132018
- la Bötzow Brauerei, Berlino (Germania), 2013-2019
fig. 44 | miSSouri, Saint louiS art muSeum
144
note
1
La stazione di Alexanderplatz venne inaugurata, insieme
all’intera linea, nel 1882. Oggi è ancora in uso.
2
Lett: “fontana dell’amicizia fra i popoli”.
3
Nel XVIII secolo Federico II commissionò la costruzione di
otto mulini a vento per la macinazione del grano, oggi
non più esistenti. L’area, chiamata Windmühlenberg,
venne acquistata nel 1826 da Christian F. Bötzow.
Guglielmo I, nominato Re di Prussia il 2 gennaio 1861 e
imperatore tedesco nel 1871
4
Il
comitato
dei
membri
dell’USPD/Partito
Socialdemocratico e del KPD/Partito Comunista venne
fondato in seguito ad una manifestazione convocata
dai leader Karl Liebknecht per protestare contro la
rimozione del capo della polizia berlinese Emil Eichhorn,
esponente dell’USPD.
5
6
La società in nome collettivo è una società, fondata da
almeno due persone isiche o giuridiche, in cui tutti i soci
rispondono illimitatamente per le obbligazioni sociali.
la vita nell’aprile del 1945 a causa della sua vicinanza al
regime nazista.
10
Hans Georg Näder, nato il 4 settembre a Duderstadt, è
un imprenditore tedesco nonchè direttore multimilionario
della società Otto Bock Health Care dal 1990. Nel 2005 è
stato nominato professore onorario presso l’Università
privata di Scienze Applicate Göttingen e dal 2009
insegna presso Capital Medical University di Pechino.
Hans Georg Näder, oltre che essere imprenditore, è
impegnato in attività sociali, culturali, religiose e
umanitarie.
11
La Otto Bock, fondata in Germania
nel 1919
dall’omonimo protesista , è un’azienda fornitrice di
prodotti quali protesi, busti, carrozzine per bambini,
cuscini e accessori. Nel 1987 Max Näder, padre di Hans
Georg Näder, fondò l’associazione indipendente Otto
Bock per promuovere l’istruzione interdisciplinare. La
fondazione è impegnata dal 2002 in attività di
beneicienza.
12
‘‘FutureLab’’ diventerà il secondo centro di ricerca
della società tecnoogica medica Otto Bock.
7
Una società in accomandita è una società di persone
caratterizzata dalla presenza di due categorie distinte di
soci: soci accomandanti e soci accomandatari. I primi
hanno responsabilità limitata, infatti rispondono delle
obbligazioni contratte dalla società limitatamente alla
quota conferita. I secondi invece rispondono
illimitatamente per le obbligazioni sociali; in genere a loro
viene assegnata la rappresentanza e l’amministrazione
della società.
8
La società per azioni è una società di capitali nella
quale le adesioni dei soci sono rappresentate da titoli
trasferibili, chiamati azioni. Il capitale sociale è diviso in un
determinato numero di azioni. Ogni azione comprende
una quota di partecipazione e diritti sociali inerenti alla
quota stessa.
9
Herman Bötzow, secondogenita del fondatore, si tolse
145
Fonti bibliograFiChe e sitograFia
doCUMentazione iConograFiCa
AA. VV., Reconversiòn de la fàbrica de cerveza Bötzow,
Copertina | © OLAF HAJEK, illustrazione Bötzow Breuerei,
www.olafhajek.de, 2012
in “El Croquis David Chipperield 2010-2014” (2014), nn.
174-175, pp. 326-333
Fig. 1 | Google Earth Pro, Immagine aerea rielaborata
dell’ex fabbrica della birra Bötzow a Berlino, 2015
AA. VV., Recupero e trasformazione dell’ex fabbrica di
Fig. 2-5 | in ‘‘El Croquis’’ n.174/175, pp. 327, 329, 330
birra Bötzow, in “Casabella” LXXVIII (2014), n. 843, p. 33
Fig. 6 | www.vagabondbohemian.com
Sito uficiale birriicio: www.boetzowberlin.de
Sito uficiale dello studio David Chipperield Architects:
www.davidchipperield.co.uk
Fig. 7| www.de.academic.ru
Fig. 8, 9| © DARIO JACOPO LAGANÀ, www.norte.it
Fig.10 - 11| www.boetzowberlin.de
Z.MUNIZZA, Nuovi progetti a Prenzlauer Berg, in: www.
berlinoexplorer.blogspot.it
Fig. 12 | © GERD ENGELSMANN, www.berliner-zeitung.de
Fig. 13-15 | www.vagabondbohemian.com
J.WIEDEMEIER, ABC Der Bötzow-Brauerei, in: www.
prenzlauerberg-nachrichten.de
Fig. 16-18, 21-24| in ‘‘El Croquis’’ n.174/175, pp. 326-333
V.T.LEINKAUF, Der Dirigent vom Bötzow-Berg, in: www.
Fig. 19,20| ivi, ig.10,11
berliner-zeitung.de
Fig. 21-23, 26| ivi, ig.16-18, 21-24
Nuova vita per la Bötzow Brauerei: negozi, arte e un
centro di ricerca, in: www.ilmitte.com
Fig. 25| www.davidchipperield.co.uk
Fig. 24, 27-34| ivi, ig.10,11
Fig. 35, 37-39 | www.ilovecuriosity.com
Fig. 36,40 | www.boetzowberlin.de
Fig. 41 | © UTE ZSCHARNT, www.davidchipperield.co.uk
Fig. 42, 44 | ivi ig.25
Fig. 43 | © OSKAR DA RIZ, www.dariz.com
146
147
148
5 | Città delle CUltUre, Milano
loCalizzazione geograFiCa
L’ex fabbrica Ansaldo è situata a Milano nel quartiere di
Porta Genova, alle spalle del Naviglio Grande e dell’ansa
disegnata dalla vecchia linea ferroviaria per Vigevano e
Mortara, inserita nell’isolato tra le vie Tortona,
Bergognone, Savona e Stendhal. Essa è protagonista
dell’epopea industriale della prima metà del Novecento
che trasformerà il capoluogo lombardo nella prima città
moderna d’Italia.
fig. 1 | StaBilimenti ex anSalDo, milano, inQuaDramento prima
Dell’intervento, 2007
Via
Be
na
e
on
gn
rgo
o
Sav
Via
S
Via
ten
dh
al
Via
a
ton
Tor
fig. 2 | StaBilimenti ex anSalDo, milano, inQuaDramento Stato attuale, 2015
149
lineaMenti storiCi
Fase
di attività indUstriale | L’impianto originario del
complesso industriale risale al 1904 ed è riconducibile
all’impresa automobilistica di Roberto Züst1. Già nel 1908,
però le oficine sono rilevate dall’AEG per la produzione
di componenti elettriche e dinamo. Nel 1915, il complesso
passa alla Società Elettrotecnica Galileo Ferraris2; nel
1918, alla Franco Tosi3; nel 1921, alla CGE-Compagni a
Generale di Elettricità (divisione italiana della statunitense
General Electric); approdando, inine, nel 1966,
nell’ambito del gruppo Finmeccanica-Ansaldo che si
occupava della costruzione di locomotive, carrozze
ferroviarie e tramviarie.
Ancora al principio degli anni Ottanta, le grandi industrie
insediate oltre la cintura ferroviaria di Porta Genova
(Ansaldo, CGE, Riva Calzoni, Osram, Candle, Nestlè ecc.)
sono per larga parte in attività e concorrono a deinire i
caratteri distintivi di una zona della città per metà
operaia e per metà artigiana, ma complessivamente
popolare.
fig. 3 | veDuta interna Dello StaBilimento cge, 1921
Se, al 1982, Ansaldo e CGE assommate possono ancora
contare un totale di circa 2.350 addetti, nel 1986 lo
stabilimento è chiuso in via deinitiva e nel 1989-90 l’intera
area viene acquistata dal Comune, con il vincolo di
destinazione a spazi per attività culturali.
150
PriMe
attività di riUso e bando di ConCorso | Già dai
primi anni successivi alla dismissione la prestanza alle
attività teatrali degli ex spazi di fabbrica è stata
confermata e avvalorata da diversi eventi tra i quali si
ricorda l’esecuzione del Prometeo di Luigi Nono, diretto
da Claudio Abbado e impreziosito dalla scenograia
curata da Renzo Piano.
fig. 4 | l’arca progettata Da renzo piano per il prometeo
Nel 1993, in attesa di decidere la combinazione di attività
più appropriata e conveniente da immettere nei
fabbricati dismessi, si ritiene opportuno procedere a «una
prima parziale occupazione» del complesso allo scopo di
preservarlo, quantomeno, dal degrado edilizio. Risalgono
a quel periodo le prime assegnazioni all’Accademia di
Brera (mai consegnate) e, soprattutto, al Teatro alla
Scala, che si aggiudica sette delle oficine interne
all’isolato per concentrarvi i propri laboratori di
produzione teatrale. Dal febbraio 2001, dunque, i
laboratori trovano effettiva collocazione in alcuni
padiglioni del complesso. La fabbrica dello spettacolo
soppianta quella dei treni. Nel frattempo, nel 1999,
l’amministrazione comunale lancia un concorso
internazionale di progettazione in due fasi per la
realizzazione di un polo museale volto a consolidare le
dotazioni funzionali dell’area Ansaldo nell’intento di dar
vita a una «cittadella della cultura» di rilevanza mondiale,
capace di attrarre nuovi interessi e di qualiicare il nuovo
proilo multietnico della città.
artiColazione
del
ConCorso | Dieci furono i gruppi di
progettazione ammessi alla seconda fase della
competizione internazionale: David Chipperield con
P+Arch; Guido Canali insieme a Italo Lupi; João Luis
Carrilho da Graça con Piero Lissoni; Antonio Citterio e
Cino Zucchi; Zvi Hecker; Fumihiko Maki con Fiorentino
Architettura; l’Atelier Mendini accanto ad Arata Isozaki,
Andrea Branzi e allo Studio Zini; Boris Podrecca con
Marco Castelletti; Clorindo Testa; Bruno Vigano e
Martorell, Bohigas, Mackay.
L’articolato bando elaborato da una commissione di
esperti, tecnici e funzionari presieduta da Alessandra
Mottola Molino4, in qualità di Direttore centrale alla
cultura e musei del Comune di Milano, chiedeva ai
partecipanti di progettare all’interno del blocco urbano
le sedi di un Centro delle culture extraeuropee (5000
mq), del nuovo Museo archeologico (9000 mq), del
Centro Studi sulle Arti Visive (Casva; 6200 mq), della
Scuola di cinema, televisione e nuovi media (3000 mq) e
del Laboratorio di marionette di tradizione F.lli Colla (800
mq), ristrutturando in parte alcuni ediici esistenti e in
parte realizzandone di nuovi sul sedime dell’ex Ansaldo
avviata alla demolizione.
fig. 5 | area Del concorSo
ediici destinati ai nuovi musei
ediici per l’Accademia di Brera
ediici da demolire
ediici per il Teatro alla Scala
151
il restaUro oggetto di stUdio
ChiPPerField
|
La giuria è
presieduta dal critico Gillo Dorles e composta da tre
architetti (Giancarlo De Carlo, Enric Miralles e Luigi
Mirizzi), quattro museologi (Ermanno Arslan, Dieter
Bogner, Jean Houbert Martin e Alessandra Mottola
Molino), un urbanista (Gigi Mazza), un sociologo
(Gianpaolo Fabris), uno storico del design (Francois
Burkhardt), uno storico/antropologo (Christian Saglio), un
imprenditore (Alberto Alessi). Tra le proposte presentate
è premiata quella dell’emergente designer britannico
David Chipperield, allora quarantaseienne, irmata
insieme allo studio milanese P+arch. Essa è stata valutata
come «la soluzione che meglio risolve il rapporto tra
nuovo e vecchio, senza dissonanze, ricercando propri
valori in un non facile contesto».
vinCe
la
CoMPetizione
L’idea vincente, in sintesi, consiste nell’essenziale
recupero, da un lato, della lunga cortina edilizia su via
Tortona (denominata la “stecca” per la sua forma
allungata), dentro la quale sono ricavati in sequenza gli
spazi destinati al Museo archeologico, al Casva, al
Laboratorio di marionette Colla e alla Scuola di cinema,
distribuiti da un colonnato in cemento aperto sul fronte
interno e, dall’altro, nella costruzione ex novo del Centro
delle culture extraeuropee (oggi MUDEC) quale
caposaldo e icona originale dell’intervento, centrato sul
volume aaltiano di una grande lanterna invetriata dalla
sagoma
ondulata:
unica
forma
organica,
presumibilmente, disegnata da Chipperield nella sua
carriera.
fig. 6 | la propoSta Di chipperfielD
MUDEC
ingressi principali all’area
152
Museo archeologico, Casva, Laboratorio F.lli Colla
l’intervento sUlla steCCa | Il fronte strada di via Tortona,
elemento preesistente di maggior pregio dal punto di
vista architettonico tanto da essere sottoposto a vincolo
diretto della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio, è
oggetto di ripristino e restauro delle facciate, unitamente
alla copertura. Le facciate esterne su via Tortona sono
state oggetto di restauro, mentre quelle sul cortile interno
sono state ripristinate con la realizzazione del cappotto di
coibentazione. Analogamente, la copertura è stata
oggetto di rifacimento dell’impermeabilizzazione e
dell’inserimento di uno strato isolante termico.
Congiuntamente all’operazione di restauro e ripristino, la
riqualiicazione degli spazi della stecca viene afidata
all’Onsitestudio5 degli architetti Angelo Lunati e Gian
Carlo Floridi : «Il progetto dell’ex Ansaldo propone una
rilessione contemporanea sul signiicato e la forma delle
istituzioni culturali: è il progetto di un ediicio “aperto”,
che non è bloccato in un’unica forma ma che, al
contrario, deve essere al servizio della lessibilità dei
programmi e delle possibili variazioni delle sue attività»,
spiega lo studio, che pone come primo obiettivo del
progetto la sua autodenuncia in qualità di spazio
pubblico. La location inluenza in modo determinante
l’intervento. Le soluzioni proposte mirano a risaltare le
qualità spaziali preesistenti, l’atmosfera ed il tono legati
alla matericità, alle proporzioni, alle luci e, in generale, al
carattere industriale.
In conclusione, emerge come il progetto si focalizzi sulla
relazione tra le grandi aule ex-industriali e la serie di
piccoli e grandi volumi che contengono i servizi,
accuratamente disposti nello spazio a creare una sorta
di città, di spazi urbani fatti di slarghi, piazze e strade, in
linea con lo spirito dell’iniziativa.
fig. 7 | facciata Su via tortona
fig. 8 | veDuta Del porticato interno alla Stecca, SeconDo
fig. 9 | veDuta Del porticato interno alla Stecca, primo livello
153
fig. 10 | veDuta Del porticato interno alla Stecca, terzo livello
fig. 11 | Sezione Della Stecca, propoSta progettuale Dell’onSiteStuDio
154
il MUdeC (MUseo
delle CUltUre) | Come anticipato,
parallelamente si sviluppa un altro intervento progettuale
che verte sulla creazione di una piazza interna quale
punto di vista privilegiato sulla nuova architettura,
mediante l’elusione della densità del lotto stesso. Essa,
infatti, si presenta come architettura della congestione,
stretta da tutti i lati tra costruzioni di natura utilitaria
accumulatesi nel tempo senza un preciso disegno.
Il MUDEC, consapevole dell’impossibilità di essere
riguardato da fuori, sceglie di non avere volto e
rappresentarsi all’esterno attraverso corpi dalle forme
squadrate, praticamente muti, rivestiti di zinco-titanio,
raccolti attorno a una struttura in cristallo opalescente.
Esso irrompe geometricamente nell’area che lo accoglie
e si presenta molto differente dai volumi adiacenti.
fig. 13 | Schizzi Di progetto, DaviD chipperfielD
fig. 12 | veDuta eSterna Del muDec in confronto con i
volumi aDiacenti
Planimetricamente si distingue per la sua hall centrale di
forma libera e organica, che genera una corte interna
dalla caratteristica forma a iore quadrilobato, spazio
dalle forme luide e avvolgenti che introduce alle
retrostanti sezioni del museo. Tali sezioni sono organizzate
per cluster di sale rettangolari comunicanti in successione
dalla più grande alle più piccole, che permettono messe
a fuoco progressive dei temi dal generale al particolare
o letture trasversali degli ambienti, senza interrompere la
continuità del percorso di visita.
fig. 14 | planimetria Del muDec
155
Le initure sono semplici: pareti intonacate di bianco e
pavimenti grigi in basalto Etneo.
Le gallerie sono scatole in cemento gettato in opera
posate sopra un possente solaio di trasferimento alto 1 m,
sorretto da colonne di 80 cm di diametro e scavato da
profondi cassettoni prefabbricati. I pilastri sono disposti
secondo una maglia regolare di campate di 7.80 m di
luce e conferiscono al piano terreno il carattere di uno
spazio ipostilo, tenebroso e plastico, che volutamente
predispone il visitatore all’ascesa dello scalone verso il
chiarore immateriale della hall soprastante in cui la luce,
captata da lucernari in copertura, è esclusivamente
zenitale.
fig. 15 | la Scala Di acceSSo alla corte interna
fig. 16 | veDuta interna Sulla granDe hall coperta
156
A un passo dal traguardo, l’intero progetto ha subito una
sensibile correzione di rotta nell’arco del trascorso 2012
per iniziativa di Stefano Boeri, allora assessore alla Cultura
del Comune di Milano. Il noto architetto ha voluto
imprimere il proprio suggello sull’opera modiicandone
anzitutto la denominazione, da “Città” a “Museo delle
Culture”, e poi, nel merito, rideinendone le inalità
dall’esposizione permanente di collezioni etnograiche
all’allestimento di mostre, eventi e manifestazioni
temporanei volti a «raccontare le culture del mondo in
rapporto al contemporaneo». Ciò senza intaccare la
conigurazione dell’ediicio, ma solo intervenendo sulla
logistica degli spazi funzionali, vale a dire ricalibrando il
rapporto tra quelli assegnati rispettivamente all’una e
all’altra destinazione d’uso. La presenza etnograica è
dunque ridimensionata a occupare una sola ala del
museo, mentre le rimanenti sale si rendono disponibili a
ospitare grandi rassegne tematiche.
fig. 18 | il DeSign Store
fig. 17 | il laBoratorio
Il piano terra, destinato all’accoglienza, è dotato di
bistrot, design store, biglietteria, guardaroba, sala Forum
delle Culture, sala conferenze, spazio per la didattica,
laboratorio di restauro e depositi allestiti per essere visitati
dal pubblico. L’area espositiva del Museo, sita al primo
piano, si sviluppa intorno alla grande hall centrale e
ospita la sezione del percorso museale con le opere della
collezione permanente e le sale dedicate alle grandi
mostre temporanee. Completa lo spazio l’auditorium, un
teatro da trecento posti dedicato alle performance e
alle arti visive. Al secondo piano si trova invece il
ristorante, provvisto di ingresso indipendente, che offre
scorci inediti sull’ediicio e sull’area circostante e vuole
essere un contenitore per eventi legati al mondo
dell’arte.
fig. 19 | viSta panoramica Sulla Sala ipoStila Di ingreSSo
157
Considerazioni Finali
Quella di Chipperield è la soluzione che meglio risolve il
rapporto tra nuovo e vecchio, senza dissonanze.
Ricercando i propri valori in un dificile contesto, il
progetto dell’architetto inglese non interferisce con i
volumi degli ediici esistenti, di cui mantiene anche le
facciate, comunque interessate da consolidamento e
ripristino: la riqualiicazione dei corpi preesistenti ha
previsto un mix di initure e soluzioni tecniche che hanno
messo in evidenza le caratteristiche intrinseche del luogo,
come le grandi travi a vista; la struttura originale è stata
resa eficiente dal punto di vista impiantistico,
conservandone il carattere di archeologia industriale.
Convinto che il loro forte carattere industriale suggerisca
una strategia d’intervento minima, l’architetto interviene
solo nelle connessioni verticali all’interno dei vari corpi,
per privilegiare la creazione di una nuova scelta urbana
totalmente introversa. È quindi il MUDEC il nodo dell’area,
capace di risolvere nitidamente le divergenze con i
capannoni circostanti attraverso la varietà dei volumi e
la scelta dei materiali. Il lungo percorso porticato di
cemento a vista diventa l’infrastruttura portante
dell’intero progetto, la cui vocazione interculturale
ispiratrice trova oggi la sua espressione. Milano è adesso
in grado di rispondere alla chiamata, negli anni sempre
più partecipata, del pubblico culturale in un panorama
in continua trasformazione per le istituzioni museali, la
loro sostenibilità e la loro identità tra ricerca scientiica,
testimonianza
storica,
interpretazione
della
contemporaneità e visione sul futuro.
fig. 20 | facciata eDificio anSalDo, 2013
fig. 21 | facciata eDificio anSalDo, 2015
158
david ChiPPerField
biograFia
David Chipperield nasce a Londra nel 1953 e si diploma
all’Architectural Association nel 1977. Dopo un periodo di
apprendistato presso gli studi di Stephen Douglas,
Norman Foster e Richard Rogers, apre nel 1984 un proprio
studio a Londra con la denominazione “David
Chipperield Architects“. Dopo essere divenuto, nel 1985,
membro fondatore della 9TH Gallery, assume negli anni
seguenti vari incarichi rientranti soprattutto nel campo
dell’Architettura d’interni. Con l’apertura di un nuovo
studio a Tokio nel 1987, realizza il Gotoh Provate Museum
nella prefettura di Chiba (Giappone, 1987-1992), il Design
Center a Kyoto (Giappone, 1989-1991), e la sede della
Compagnia Matsumoto ad Okyama (Giappone, 19901992).
Nel 1993 realizza anche la galleria delle piante e il salone
centrale del Natural Hystoru Museum a Londra
(Inghilterra). Chipperield svolge anche attività di
conferenziere (a Glasgow, Edimburgo, Oxford, Porto e
all’Accademia van Bouwkunst di Amsterdam nel 1990) e
visiting professor (Harvard University, Boston, – Usa – nel
1987/88; Università di Graz, Austria e Università di Napoli,
Italia nel 1992; Ecole Polytechnique di Losanna, Svizzera
nel 1993-94). Membro dal 1992 al 1997 del consiglio di
amministrazione dell’Architecture Foundation, tra il 1992
ed 1994 pubblica due monograie sulla sua professione.
Nel 1995 diviene Professore di Architettura alla Staatilche
del Bildenden Kunst, a Stoccarda in Germania.
La ilosoia che lo studio ”David Chipperield Architects“
(con sedi internazionali a Londra, Berlino, Milano,
Shanghai) si preigge, è quella di dar vita ad ediici dallo
stile non predeterminato ma derivante da una stretta
connessione tra ambiente esterno e funzionalità per
costruzioni dai dettagli estremamente curati. David
Chipperield cura personalmente il design e la
supervisione del lavoro del proprio staff relativo ad ogni
fase di un progetto, il cui requisito basilare è l’eccellenza
del design.
Tra i numerosi riconoscimenti internazionali conseguiti, ha
ricevuto nel 1999 la Medaglia d’Oro Heinrich Tessenow.
Nel 2004 è stato fatto Commendatore dell’Ordine
159
dell’Impero Britannico (CBE) per i suoi meriti in campo
architettonico e dal 2003 è membro onorario
dell’Accademia di belle arti di Firenze.
È stato insignito del titolo di cavaliere del Regno Unito nel
2010 per i successi conseguiti nel campo dell’architettura.
Ha ricevuto il premio Wolf per le arti sempre nel 2010 e la
Medaglia d’Oro del Royal Institute of British Architects nel
2011.
fig. 22 | DaviD chipperfielD
oPere
Tra i lavori realizzati da Chipperield negli ultimi 20 anni si
ricordano:
- il Neues Museum, Isola dei Musei, Berlino (Germania),
1994-2009
- il Wagama Restaurant di Londra (Inghilterra), 1996
- il River & Rowing Museum ad Henley-on-Thames
(Inghilterra), 1996-99
- la National Gallery of Art, Roma (Italia), 2000
- la Casa privata, Corrubedo (Spagna), 2002
fig. 23 | Berlino, iSola Dei muSei, neueS muSeum
- il Museum of Modern Literature, Marbach am Neckar
(Germania), 2006
- la Biblioteca pubblica, Des Moines, Iowa (USA), 2006
- il Ninetree Village, Hangzhou (Cina), 2008
- la Cittadella della Giustizia, Barcellona (Spagna), 2009
- l’Anchorage Museum, Anchorage (Alaska), 2009
- il Museum Folkwang, Essen (Germania), 2010
- Ansaldo Città delle Culture, Milano (Italia), 2011
fig. 24 | Berlino, Bötzow Brauerei
- i Negozi Valentino, Milano (Italia), 2012
- l’ampliamento del Saint Louis Art Museum, Saint Luis,
Missouri (USA), 2013
- il Museo Jumex, Città del Messico (Messico), 2013
- Il Centro Nobel Nobelhuset, Stoccolma (Svezia), 20132018
- la Bötzow Brauerei, Berlino (Germania), 2013-2019
fig. 25 | miSSouri, Saint louiS art muSeum
160
note
1
Ingegnere e imprenditore industriale di origini svizzere,
nel 1903 ha fondato la Züst ing. Roberto - Fabbrica
Italiana di Automobili, azienda specializzata in costruzioni
meccaniche e macchine di precisione con sede a Intra,
vicino al Lago Maggiore. Il 26 marzo dello stesso anno
Züst decide di trasferire l’azienda a Milano.
2
Galileo Ferraris (1847-1897) è stato un ingegnere e
scienziato italiano, scopritore del campo magnetico
rotante e ideatore del motore elettrico in corrente
alternata.
3
Franco Tosi (1850-1898) è stato un imprenditore italiano
dell’industria meccanica, di cui è stato pioniere.
Fondatore dell’omonima azienda, è noto per il suo
contributo alla tecnologia dei motori a vapore.
Storica dell’Arte. Dal 1973 al 1998 ha diretto il Museo
Poldi Pezzoli. Dal 1998 al 2006 è stata direttore centrale
della Cultura e Musei, Sport e Tempo Libero del Comune
di Milano. Tra le attività svolte, è stata curatrice di
numerose mostre e relatrice in convegni e conferenze,
docente in corsi e seminari di museologia, autrice di
numerose pubblicazioni, e ha collaborato con articoli e
saggi ad enciclopedie, riviste, cataloghi e periodici
specializzati. In particolare si occupa di museologia e
collezionismo, storia della cultura materiale, di arti
decorative e storia della moda. È membro della direzione
dell’ICOM Italia, International Council of Museums.
4
5
Fondato a Milano nel 2006 da Angelo Lunati (1973) e
Gian Carlo Floridi (1973); nei suoi 9 anni di esperienza
l’Onsitestudio ha partecipato a numerose competizioni
internazionali e attualmente il suo lavoro è supportato
dal Politecnico di Milano, per il quale i due architetti
svolgono attività di ricerca.
161
Fonti bibliograFiChe e sitograFia
doCUMentazione iConograFiCa
C. BAGLIONE, La Città delle Culture negli ex stabilimenti
Ansaldo, in “Casabella Milano” LXV (2001), n. 690, pp. 6873
Copertina | © OSKAR DA RIZ, Fotograia dal sito www.
dariz.com
M. BIAGI, Una storia milanese: il Museo delle Culture di
David Chipperield, in “Casabella” LXXVII (2013), n.826, p.
30
M. G. ZUNNINO, Concorso internazionale per la Città
delle Culture, in “Abitare” (2000) n. 394, pp.187-191
AA. VV., Ansaldo City of Cultures, in “El Croquis David
Chipperield 1991-2006” (2006) nn. 87+120, pp.270-279
Fig. 1 | Google Earth, Immagine aerea di Milano
rielaborata, 2007
Fig. 2 | Google Earth, Immagine aerea di Milano
rielaborata, 2015
Fig. 3 | Casabella n° 826, p. 32
Fig. 4 | Tratta dal sito www.fondazionerenzopiano.org
Fig. 5 | Rielaborazione da Abitare n°394, p. 187
AA. VV., Ansaldo Museum of Cutures, in “El Croquis David
Chipperield 2010-2014” (2014), nn. 174-175, pp. 32-53
Fig. 6 | Rielaborazione da Casabella n°826, p. 37
Sito uficiale del MUDEC: www.mudec.it
Fig. 7, 9, 10, 12, 15, 17, 18, 19, 21 | © CARLO CORDA, 2015
Sito www.ppan.it
Fig. 8 | Tratta dal sito www.ppan.it
Sito www.artbonus.gov.it
Fig. 11 | Tratta dal sito www.onsitestudio.it
www.archeologiaindustriale.net
Fig. 13 | Disegno da El Croquis, Chipperield 2010-2014, n°
174-175 p. 50
www.ilsole24ore.com
www.divisare.com
www.urbanile.org
Fig. 14 | Disegno da El Croquis, Chipperield 1991-2006, n°
87+120 p. 275
Fig. 16 | © OSKAR DA RIZ, Fotograia dal sito www.dariz.
com
www.turismo.milano.it
Fig. 20 | © Fotograia da Casabella n°826, p.47
www.ordinearchitetti.mi.it
Fig. 22 | © UTE ZSCHARNT, www.davidchipperield.co.uk
Sito uficiale dello studio David Chipperield Architects:
www.davidchipperield.co.uk
Sito uficiale dell’Onsitestudio: www.onsitestudio.it
Comunicato Stampa Comune di Milano, 24 ore cultura
162
Fig. 23-25 | Tratta dal sito www.davidchipperield.co.uk
163
164
6 | benetton stUdios
introdUzione
Le vicende imprenditoriali del Gruppo Benetton si son
sviluppate negli ultimi 50 anni mantenendo il proprio
omphalos1 nella campagna veneta, nei pressi di Treviso,
dove si trovano i due principali stabilimenti: Castrette di
Villorba e Paderno di Ponzano.
Iniziano nel 1964 le prime collaborazioni del gruppo
industriale con Afra e Tobia Scarpa, progettisti
internazionali particolarmente affermati nel campo
dell’industrial design, che si occuparono della
progettazione del primo stabilimento a Ponzano Veneto,
cui segue, tre anni più tardi, il restauro di una villa patrizia2
da destinare a ufici.
Per la Benetton, gli Scarpa hanno costruito inoltre la Casa
Benetton a Ponzano (1966), Casa-studio a Trevisnano, la
Fabbrica di Selva del Montello (1973), in cui la distribuzione
è ripartita grazie ad una strada interna, come a Castrette.
Afra e Tobia hanno inoltre disegnato una serie di arredi3
per gli ufici Benetton per le sedi di Parigi (1980), Friburgo
(1980) e New York (1986).
Tutt’oggi Tobia Scarpa si occupa di interventi di restauro
per la stessa azienda.
loCalizzazione geograFiCa
Il distretto degli Benetton Studios, che si trova a Castrette
di Villorba, in provincia di Treviso, insiste su un’area di
circa 400.000 metri quadrati, totalmente immersa nel
verde. La costruzione del complesso industriale ha preso
avvio nel 1980 con la costruzione del Benlog, il centro
logistico robotizzato.
Il nuovo stabilimento si afianca, in un progetto integrato
di cittadella tecnologica, ad altri volumi industriali: lo
stabilimento Divisione Lana, che è stato trasformato in
Studios nel 1985, e Divisione Jeans e Capisapalla
(1992,1995) e dal padiglione portineria.
Con il passare del tempo, però, sono mutate le esigenze
produttive e per questo motivo le costruzioni realizzate
son state variamente riadattate, sempre con progetti
irmati Scarpa.
fig. 1 | ponzano veneto, viSta generale Dello StaBilimento
fig. 2 | ponzano veneto, viSta generale Dello StaBilimento
fig. 3 | ponzano veneto, Dettaglio Della copertura Dello
StaBilimento
165
fig. 4 | caStrette Di villorBa, inQuaDramento geografico
fig. 5 | caStrette Di villorBa, planimetria Dello StaBilimento
legenDa|1 StuDioS (ex DiviSione lana); 2 Benlog, centro logiStica roBotizzato; 3 StaBilimenti gemelli capiSpalla e cotone camice;
4 portineria D’ingreSSo.
166
il distretto di Castrette
fig. 6 | caStrette Di villorBa, Benlog, viSta Dell’ampliamento
fig. 7 | caStrette Di villorBa, Benlog, Dettaglio Della Struttura Di
copertura Della Baia Di carico
benlog (1980)| ll Benlog è un magazzino intensivo
robotizzato e svolge il compito di centro di distribuzione
per i 7.000 punti vendita della rete mondiale Benetton.
Il complesso originale era costituito da una massa grigia
contraffortata nel cui interno si trova tutt’ora un
organismo meccanico di gigantesche dimensioni, il
quale è controllato dal cervello-elettrico, collegato
direttamente all’elaboratore centrale della sede
principale di Ponzano.
benlog (2009)| L’ampliamento del Benlog è consistito
in un incremento volumetrico da 22.000 a 30.000 metri
quadrati di supericie utile, cui si aggiungono 1000 metri
quadri di tettoia coperta, tale da rispondere alle
necessità di gestire un cospicuo incremento del numero
di pacchi stoccati nel magazzino e quotidianamente
movimentati dalle macchine sino alle baie di carico
esterne.
L’idea generale è che l’ampliamento si integri
perfettamente dal punto di vista funzionale, ma anche
estetico, con l’ediicio esistente. Per questo motivo si
decide di afiancare i due volumi ai lati est ed ovest del
vecchio magazzino.
In questo modo vengono però sacriicati alcuni elementi:
i vecchi puntoni esterni forati in cemento, necessari nel
vecchio Benlog per snellire il più possibile i pilastri in
cemento armato alti quasi 25 metri ma anche decisivi a
deinire l’immagine, dei quali ne vengono conservati solo
due, alle estremità nord dell’ediicio. I nuovi volumi
tecnici sono realizzati con muri di spinta continui per la
parte interrotta (4,5 metri) e con pilastri in acciaio elevati
dal piano di campagna, mentre il solaio di copertura è
costituito da travi in acciaio appoggiate su un lato alle
strutture in cemento armato esistenti e sostenute dall’altro
da coppie di stralli d’acciaio agganciati ai nuovi pilastri.
La pelle dei nuovi volumi è realizzata in acciaio Cor-ten,
per mimetizzarsi con i colori dell’ambiente, ed è
sagomata ad onde, a riprendere sia il disegno dei
pannelli in cemento ancora visibili del Benlog sia
l’ondulazione delle lamiere zincate dei due strallati.
fig. 8 | caStrette Di villorBa, DiSegno Di StuDio Del pilone, prima
verSione
167
Nella realizzazione, le due grandi travi reticolari, anziché
essere appese a piloni, si agganciano da un lato a due
robusti plinti di calcestruzzo armato e poggiano dall’altro
su un portale d’acciaio uscendo a sbalzo per quasi 11
metri.
Le travi secondarie sono sagomate in modo da conferire
alla copertura del magazzino la forma di una porzione di
calotta sferica, rivestita esternamente da lastre di rame.
La baia di carico è anch’essa concepita originariamente
come una struttura strallata4.
Il tamponamento è costituito dalla stessa lamiera in acciaio Cor-ten5 dei nuovi volumi e tuttavia sui bordi nord
ed ovest il rapporto dell’ediicio con il suolo è mediato,
come nel vecchio Benlog, da muri realizzati con grossi
sassi racchiusi da un prete metallica.
divisione
CaPisPalla e Cotone CaMiCie
1992-1995
Questo complesso produttivo è localizzato di fronte agli
altri stabilimenti e li completa nella concezione totale del
complesso industriale.
Questa struttura strallata consente così di coprire e proteggere uno spazio di lavoro caratterizzato da una totale
lessibilità delle partizioni interne.
Le pareti perimetrali sono ventilate e caratterizzate
dall’uso dell’acciaio nervato, con pieghe adatte a volate di 10 metri, a zincatura a caldo.
L’illuminazione naturale dell’ediicio avviene attraverso
dei lucernari, che occupano il 12% del coperto a livelli
costanti, per non rovinare la percezione naturale del colore dei tessuti.
Con la realizzazione del secondo lotto, il complesso è stato completato con un corpo di accesso vigilato, una appropriata rete viaria, la mensa e le rimesse sotterranee,
dotando il complesso industriale di un sistema assai ricco
di attrezzature, in una dimensione inusuale di fabbrica,
ove parrebbe realizzarsi sin nei dettagli un tangibile, effettivo concetto di qualità globale sia essa intesa nel settore del lavoro, dei prodotti, dei servizi, dello spazio.
«Per questa fabbrica abbiamo adottato un sistema di
forte impatto come la struttura strallata, che assolve a
molti compiti: l’elemento espressivo e visivo, l’alleggerimento del volume nel paesaggio, il tentativo di essere
competitivi con strutture estreme poco usate, la massima
disponibilità dello spazio interno, che è completamente
libero, in funzione delle nuove lavorazioni».
Casabella 651-652
Per realizzare questa divisione è stato utilizzato un originale sistema costruttivo, adottato normalmente per i ponti,
che oltre a garantire i tempi record di cantiere (8 mesi
per il primo lotto), ha permesso di coprire superici amplissime, circa 40.000 metri quadrati per ciascun lotto, libere
da ulteriori strutture. Si tratta di un modulo costruttivo di 25
metri, ripetuto in serie di sette volte: un telaio chiuso in
cemento armato, alto 9 metri e largo 40 metri, a cui sono
ancorati dei piloni binati in acciaio alti 25 metri, a cui, a
loro volta, sono agganciate otto coppie di “stralli” (cavi
spiralati, 224 per lotto) di sostegno alla duplice struttura in
metallo, poggiante su murature in cemento armato di
84,5 metri per parte, che scaricano le tensioni sulla struttura centrale.
168
fig. 9 | DiSegno Di StuDio Del noDo pilaStro-catenaria, toBia
Scarpa
fig. 10 | DiSegni Di StuDio Strutture e copertura Dello StaBilimento
fig. 11 | DiSegni Di StuDio per le Strutture Di copertura
divisione lana (1985) | Il vicino e lungo corpo della
Divisione Lana è realizzato nel 1985 in collaborazione con
lo Studio Greggio e Ass. e A. Lagrecacolonna. Lo spazio
si plasma attorno al lungo tunnel rovescio della spina
centrale (larga 30 metri) e disegna uno spazio introlesso
di grande forza plastica.
Per rispondere all’esigenza di ampie superici per il trafico continuo di veicoli necessari per movimentare i prodotti all’interno dell’ediicio è stata ideata una “strada
interna”, che viene assunta come vera e propria spina
dorsale, in senso funzionale, competitivo e strutturale del
progetto.
La strada, lunga 150 metri e larga 25 metri, è protetta da
una copertura in acciaio a catenaria appoggiata e tesa
tra due ile di alti e robusti pilastri in cemento armato. In
questo modo si sono quindi formate delle ampie superici
ai lati della strada, le quali vengono destinate alla produzione. Questi spazi sono coperti da travi reticolari lunghe
45 metri e prive di sostegni intermedi, agganciate da un
lato ai pilastri ai quali è appesa la catenaria e, all’estremo opposto, a setti in cemento armato.
Si crea quindi un gioco di forme, che ci fa comprendere
una gerarchia macrofunzionale fra la navata centrale
che appare come una volta rovesciata, e gli spazi adiacenti, le cui travi deiniscono una sequenza di maniche
orientate perpendicolarmente allo spazio centrale e assiale.
Oggi è uno spazio di circa 20.000 metri quadrati dove
sono ospitate attività di ricerca e progettazione dei nuovi
negozi, gli archivi dei prodotti, gli spazi espositivi e per le
silate.
fig. 13 | caStrette Di villorBa, ex DiviSione lana, viSta Della StraDa
fig. 12 | DiSegni Di StuDio per le Strutture Di copertura
interna Durante la coStruzione
169
ex divisione lana- stUdios (2010-2012) | Nel 2012 viene portato a compimento un nuovo intervento, da parte
di Tobia Scarpa, progettista architettonico e David Zannoner6, progettista strutturale. Il disegno per la trasformazione del Magazzino Divisione Lana comprende la realizzazione di un centro per silate ed esibizioni.
La strada interna è stata ripartita in tre aree:
I.
l’atrio di accoglienza, in prossimità dell’ingresso principale posto a nord-est;
II. l’ambiente intermedio, destinato alle silate di moda,
capace di ospitare più di tremila persone;
III. lo spazio espositivo, dove è esposta una collezione
permanente di oggetti che documentano gli esiti delle
attività svolte da Benetton, come ad esempio le automobili di proprietà della “Benetton Formula”7.
La divisione degli spazi nelle navate laterali è stata effettuata grazie a delle tamponature con pannelli di legno.
Questi in parte son stati concepiti issi, per celare alla vista
gli impianti di condizionamento, e in parte apribili, per
consentire l’accesso agli spazi laterali, riorganizzati in funzione delle nuove destinazioni.
Le nuove destinazioni son state anche la motivazione
della suddivisione dell’ex stabilimento per ali. Infatti
nell’ala nord sono state sistemate l’area guardaroba, la
sala banchetti, una sala di regia e il backstage per le silate, gli archivi dei documenti e dei prodotti, le sale di
posa fotograica.
170
fig. 14 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, ingreSSo
fig. 15 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, Spazio
eSpoSizioni “Benetton formula”
fig. 16 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, pareti
fig. 17 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, pareti
DiviSorie fra StraDa e ali laterali
DiviSorie fra StraDa e ali laterali
Le estremità ovest dell’ala nord e dell’ala sud accolgono
il “laboratorio negozi”.
Parte dell’ala sud è stata destinata a ufici e aree di lavoro, open space, organizzate intorno a patii-giardino ottenuti asportando porzioni di volume della copertura. Dentro le campate del magazzino, aventi luci di 45 m, si son
facilmente ricavati, attraverso il lavoro di rinforzo sulle
strutture esistenti, attuato da Zannoner, ampi cavedi prima inesistenti, contenenti corti interne con vetrate perimetrali per ottenere un’illuminazione naturale per i nuovi
ambienti.
fig. 18 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, uffici
fig. 19 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, uffici
fig. 20 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, uffici
fig. 21 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, viSta Della
fig. 22 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, Dettaglio
corte interna
copertura uffici
171
La nuova area silata può contenere in totale 3000 posti,
dove trovano spazio tribune prefabbricate di cemento
armato, concepite per essere totalmente removibili e facilmente spostate, e con impalcati in pannelli di legno
X-Lam, speciali pannelli multistrato. Lo spazio che ne deriva è totalmente versatile per ogni esigenza espositiva e
per ogni tipo di silata. Si sono inoltre attuate modiiche
alle pareti perimetrali attraverso:
I. interventi limitati e puntuali che hanno portato all’apertura di nuove porte e di nuove inestre, conseguenti
alla nuova distribuzione;
II. interventi più rilevanti come quelli sulle testate est ed
ovest della strada centrale, in cui i portoni in ferro zincato
sono stati sostituiti da serramenti in ferro Cor-ten e vetro,
appositamente disegnati.
fig. 23 | DiSegno Di StuDio per le triBune Dello Spazio Sfilate, toBia
Scarpa
fig. 24 | caStrette Di villorBa,
fig. 25 | caStrette Di villorBa,
DiviSione lana
- StuDioS, Dettagli
Delle triBune Dello Spazio Sfilata
fig. 26 | caStrette Di villorBa,
Delle triBune Dello Spazio Sfilata
172
DiviSione lana
- StuDioS, Dettagli
Delle triBune Dello Spazio Sfilata
DiviSione lana
- StuDioS, Dettagli
fig. 27 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDio, Dettagli
Delle triBune Dello Spazio Sfilata
L’esterno è stato anch’esso oggetto di ridisegno, in particolare lo spazio di fronte all’ingresso principale est.
Si è optato per la realizzazione di una pavimentazione, di
due vasche ellittiche al centro del piazzale e di un piccolo ponte pedonale, di rafinata concezione, che attraversa il canale Piavesella per collegare gli Studios ai parcheggi interrati esistenti al di sotto degli stabilimenti
strallati.
fig. 28 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDio, fronte eSt
Dell’eDificio e nuovo ponte peDonale Sul canale piaveSella
fig. 29 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDio, l’ingreSSo
Degli StuDioS viSto Dal nuovo ponte peDonale Sul canale piaveSella
fig. 30 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDio, l’ingreSSo
fig. 31 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDio, nuovo ponte
fig. 32 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDio, nuovo ponte
peDonale
peDonale
Degli StuDioS con i Dettagli Della nuova pavimentazione
173
CritiChe e ConClUsioni
L’opera di restauro attuata da Tobia Scarpa sugli stabilimenti, che esso stesso progettò a partire dal 1985, è un
sapiente caso di riuso architettonico di un’impianto industriale reindirizzato al settore terziario. Alcune scelte compositive, come ad esempio la sottrazione di volumi che
genera patii interni, non sono azioni reversibili, ovvero
hanno un impatto inconversibile sulla materia e sulla forma originale dello stabilimento. L’esplicitazione del gusto
moderno, contemporaneamente, rivaluta le caratteristiche isiche proprie dell’ambiente industriale, precedentemente nati come semplici capannoni.
La destinazione d’uso odierna risulta quindi perfettamente conciliabile con la funzione precedente dello stabilimento, anche per l’inesistenza di differenze tra i materiali usati sia nelle parti ristrutturate che nella parti storiche,
annullando qualsiasi rischio di incompatibilità isiche e
chimiche.
Questi interventi di restauro, dunque, non facilitano in sé
la comprensione delle stratiicazioni grazie alla somiglianza dei materiali originari con quelli dei nuovi ampliamenti,
e non risultano percepibili nelle fasi di crescita dell’ediicio.
Non si parla quindi di attualità espressiva del restauro ma
piuttosto come di un vero e proprio palinsesto organico
progettato nel tempo dall’architetto Tobia Scarpa.
La qualità del restauro risulta eccellente sia per le scelte
strutturali connesse al saggio uso di materiali versatili e
innovativi, i quali hanno funzioni potenziali per lo sviluppo
successivo della fabbrica, sia per l’ambiente lavorativo
che deriva dall’adozione degli open spaces e dei patii
interni.
In un momento di crisi come quello vissuto dai mercati
globali, questo caso di restauro potrebbe risultare una
sollecitazione in più sia nei confronti degli impiegati, sia
come biglietto da visita dell’azienda per le pubbliche relazioni, svolte all’interno degli stabili.
fig. 33 | caStrette Di villorBa, Dettaglio Della copertura Del centro
Di DiStriBuzione
174
tobia sCarPa e aFra bianChin
tobia sCarPa
aFra bianChin
Nasce a Venezia nel 1935. Nel 1969 si laurea in
Architettura all’Università di Venezia, affermandosi come
amante dell’architettura e del design, concepiti secondo
termini di eleganza e ricercatezza sia nelle forme sia nella
scelta dei materiali.
Scarpa segue insieme alla moglie Afra Bianchin gli indirizzi
del celebre padre Carlo, che non aveva aderito a
speciiche linee di tendenza, nutrendo la convinzione di
una necessità di prodotti durevoli e corretti, sia in design
sia in architettura. Il suo lavoro di designer riceve molti
riconoscimenti nel corso degli anni.
Per quanto riguarda il campo architettonico, lavora con
committenti pubblici e privati, curando l’arredamento
dei punti vendita di note aziende italiane tra cui Benetton,
progettandone anche le sedi di alcuni stabilimenti:
ricordiamo la sede Benetton (1964), Benetton Lana
(1985), Benetton Jeans (1993), per la quale progetta
l’intero complesso industriale di Castrette di Villorba
(Treviso).
I progetti realizzati per Benetton sono considerati ancora
oggi un paradigma estetico-funzionale e un lavoro
esemplare di architettura industriale, al punto che sono
stati esposti nel corso della Biennale di Architettura del
2012.
Afra Bianchin Scarpa nasce a Montebelluna nel 1937 e
muore a Trevignano il 30 luglio 2011. Era una nota
designer e architetto italiana, conosciuta anche a livello
internazionale. Laureatasi nel 1969 presso l’Istituto
Universitario d’Architettura di Venezia, IUAV, lega la sua
attività lavorativa a quella di Tobia Scarpa con cui irma
Riconoscimenti ottenuti:
il Compasso d’oro ADI8 del 1970;
il Compasso d’oro ADI del 1979;
Il Compasso d’oro ADI del 2008;
il Resource Council Inc. del 1981;
il Neocom merit award del 1982 a Chicago;
il Primer, Premio nacional de diseño otorgado del 1987;
l’Auszeichnung für hohe design qualität del 1992;
l’IF Industrie forum design Hannover dello stesso anno
L’Istituto Italiano di Cultura di Chicago gli ha dedicato
nel 2004 un’importante esposizione itinerante nelle più
importanti città americane: Chicago, San Francisco,
Toronto, Los Angeles.
ogni progetto, deinendo un costante punto di riferimento
per la cultura mondiale del design. I due oltre a
condividere le passioni in ambito lavorativo, condividono
anche un rapporto affettivo privato.
Tra i numerosi oggetti d’arredamento irmati dai due
designer la sedia 925 (Cassina, 1966), il divano Coronado
(B&B, 1966), il sistema di poltrone-divani Soriana (Cassina,
1968, Compasso d’Oro 1970) e, tra le lampade, Papillona
(Flos, 1977) e Butterly.
Tra i committenti di Afra Bianchin Scarpa il gruppo
Benetton, per il quale progettò tra l’altro la prima fabbrica
nel 1964 e l’immagine di numerosi punti di vendita.
Progettò tra gli altri anche per Unifor, Meritalia e San
Lorenzo, per cui, negli anni Novanta, disegnò gioielli e
oggetti domestici in metallo .
fig. 34 | toBia Scarpa e afra Bianchin
175
note
Fonti bibliograFiChe e sitograFia
1
Dal greco, ombelico
A. PIVA, Afra e Tobia Scarpa architetti e designers,
Mondadori, 1985
2
Villa Loredan-Gasparini,Venegazzù, Treviso
Abitare 289 (1990) pp. 230-245; 328 (1994) pp.160-163
Vedi biograia: ivi “Tra i numerosi oggetti d’arredamento
irmati dai due designer la sedia 925 (Cassina, 1966), il
divano Coronado (B&B, 1966), il sistema di poltronedivani Soriana (Cassina, 1968, Compasso d’Oro 1970) e,
tra le lampade, Papillona (Flos, 1977) e Butterly“.
3
Una struttura strallata è una struttura “sospesa” nella
quale l’impalcato è retto da una serie di cavi (gli stralli)
ancorati a piloni (o torri) di sostegno
4
Casabella 608, 609 (1994); 651 (1997); 652 (1998); 820
(2012)
Domus 438 (1966) p. 12; 460 (1968) p. 16; 722 (1990)
Archivio Benetton Group: www.benettongroup.com
Benetton Studios: www.arketipomagazine.it/it/benettonfactory/
5
L’acciaio COR-TEN (in inglese weathering steels) fa parte
della categoria degli acciai basso legati deiniti patinabili
(è detto anche acciaio patinato)
6
David Zannoner. Nel 1998 si laurea con lode presso
l’Università degli Studi di Padova. E’ autore di alcuni
signiicativi progetti nel settore delle infrastrutture e
nell’ambito del restauro. Tra i suoi lavori più recenti le
strutture per il nuovo casello autostradale di Meolo (VE)
ed il relativo viadotto di accesso (con F&MI SpA), un
innovativo sistema di pannelli segnaletici autostradali e,
con Tobia Scarpa, il complesso per silate ed esposizioni
Benetton Studios a Villorba (TV) e la ristrutturazione della
Chiesa di San Teonisto a Treviso. Con Roberto Masiero è
autore di alcuni studi sul rapporto tra ingegneria ed
architettura
Scuderia di Formula Uno di proprietà dell’azienda
omonima, ceduta nel 2001 alla Renault
7
Istituito nel 1954, il Premio Compasso d’Oro ADI è il più
antico ma soprattutto il più autorevole premio mondiale
di design.
8
176
Nicoletta Boraso: www.mediastudies.it/IMG/pdf/
portfolio_c_NicolettaBoraso2013_1_.pdf
Samal Global Italia, azienda: www.samaglobalitalia.
com/Insediamentiindustriali.pdf
Atanor, progetto di Merotto Milani srl www.terrediatanor.
it/designers/tobia-scarpa/
Arredi: www.merottomilani.com
Flos, azienda: www.los.com/it/designers/tobia_scarpa
doCUMentazione iConograFiCa
Copertina| dal sito: www.samaglobalitalia.com
Fig.1 | © GABRIELE BASILICO, Abitare 289
Fig. 19| © Archivio Merotti Milano, www.merottomilani.
com
Fig. 20| © Archivio Merotti Milano, www.merottomilani.
com
Fig. 2 | © TOBIA SCARPA, Domus 438, p.12
Fig. 21|Archivio Merotti Milano, www.merottomilani.com
Fig. 3 | © TOBIA SCARPA, Domus 438, p.12
Fig. 22|Archivio Merotti Milano, www.merottomilani.com
Fig. 4 | Google Earth
Fig. 5 | Casabella 820, p.54
Fig. 6 | © ORCH_ALESSANDRA COMELLO, Casabella 787,
p.13
Fig.23| © Tobia Scarpa, Casabella 820, p.68
Fig.24| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it
Fig.25| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it
Fig.26| © Archivio Benetton, Casabella 820, p.68
Fig. 7 | © ORCH_ALESSANDRA COMELLO, Casabella 787,
p.17
Fig.27| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it
Fig. 8 | © TOBIA SCARPA, Casabella 651/652
Fig.28| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it
Fig. 9 | © TOBIA SCARPA, Casabella 820, p.55
Fig.29| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it
Fig. 10 | © TOBIA SCARPA, Casabella 820, p.55
Fig.30| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it
Fig. 11 | © TOBIA SCARPA, Abitare 328, 1994 pp.160-3
Fig.31| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it
Fig. 12 | © Tobia Scarpa, Abitare 328, 1994 pp.160-3
Fig.32| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it
Fig. 13 | © Archivio Benetton, Casabella 820, p.58
Fig.33| © Antonia Mulas, Archivio Benetton,
benettongroup.com
Fig. 14 | © Vaclav Sedy, sites.google.com/site/
davidzannoner
Fig.34| © Attilio Vianello, www.umbrella.it
Fig. 15 | © Vaclav Sedy, https://sites.google.com/site/
davidzannoner
Fig. 16| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it
Fig. 17| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it
Fig. 18| © Archivio Merotti Milano, www.merottomilani.
com
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ConClUsioni
Siamo giunti al termine di questo affascinante itinerario
conoscitivo sull’emblematico tema dell’archeologia
industriale. Attraverso studi, ricerche e indagini ilologiche,
vi si è affrontata un’attenta rilessione che ci ha portato a
comprendere come il restauro si riveli essere una vera e
propria arte, capace di declinarsi in molteplici forme di
intervento, e soprattutto plasmarsi e contestualizzarsi a
ciascun manufatto.
Abbiamo dunque notato come la questione dei ruderi
industriali dismessi, materia di grande rilevanza e costante
attualità, sia riuscita nel corso del tempo a trovare risposte
determinanti in termini di riqualiicazione e riconversione,
e a ribaltare un iniziale coeficiente di degrado in un
nuovo e moderno fattore economico.
L’approccio del restauratore, secondo l’analisi dei
differenti casi studio, ha dimostrato bensì un’adesione
più marcata nei confronti di una particolare linea di
tendenza: nel dover intraprendere un’operazione di rifunzionalizzazione architettonica, preservando la conigurazione esistente, la tipologia più idonea sembra
essere stata quella del restauro critico, in grado di
prestarsi positivamente alla tematica della trasformazione e del riuso.
In relazione alle distinte metamorfosi progettuali, un
concetto che ha prodotto interessanti esiti è stato quello
della compatibilità: dare vita a nuove soluzioni
compositive, conservando la natura originaria del sito,
ha comportato infatti un imprescindibile e vincolante
rispetto del vecchio, che ci ha tuttavia anche permesso
di valutare quali evoluzioni funzionali si sono potute
raggiungere e concretizzare.
Il linguaggio stilistico che si è sviluppato in questi progetti
è stato dunque strutturato sul tema della riconoscibilità,
tramite la preservazione della volumetria e dei caratteri
lineari dell’opera, avvalorandone e rafforzandone
l’indole che ha sempre condizionato il tessuto sociale.
Il minimo intervento non sempre è stato assecondato,
ma si è riscontrato un tentativo progettuale di comune
accordo con l’elemento della reversibilità, percepito in
un ampio uso dell’acciaio, che come sappiamo
garantisce il ripristino della primitiva forma.
Presa consapevolezza dell’elevato spessore culturale
che ha acquisito la dialettica architettura/industria,
l’uomo, col passare del tempo, ha elaborato una nuova
matrice di pianiicazione, incentrata non più sulla pura
invenzione ma sul termine del recupero.
E’ grazie a questa importante rivoluzione concettuale,
che oggi l’archeologia industriale rappresenta una
nuova rotta attrattiva, sia sul piano economico che
urbano, e che l’architetto moderno risulta così proiettato
verso una nuova frontiera progettuale, una sida non
soltanto architettonica, ma forse e soprattutto civile, in
cui il restauro si conferma come strumento essenziale di
rigenerazione.
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