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Archeologia Industriale

ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE 1 Università degli stUdi di Cagliari, FaColtà di ingegneria e arChitettUra, Corso di laUrea in sCienze dell’arChitettUra Corso di teoria e storia del restaUro, a.a. 2014-2015 ProF.ssa arCh. Caterina giannattasio tUtor arCh. valentina PintUs stUdenti: Carlo Corda, alessandro CUCCU, anna Maria irde, andrea lai, CaMilla MasCia, sara PlaCentino, roberta Podda, ManUela serreli, FederiCo serventi, Martina sias, FranCo sPettU indiCe Parte i - arCheologia indUstriale 9 introdUzione 13 1 | arCheologia indUstriale 13 17 20 1.1 | Definizione 1.2 | Storia Dell’archeologia inDuStriale 1.3 | normative 27 2 | origine dell’arChitettUra indUstriale 27 28 32 2.1 | il lavoro pre-inDuStriale 2.2 | l’età inDuStriale 2.3 | l’era poSt-inDuStriale 39 3 | l’arCheologia indUstriale nel Mondo 39 40 44 3.1 | archeologia inDuStriale nel panorama internazionale 3.2 | archeologia inDuStriale negli Stati uniti 3.3 | archeologia inDuStriale in europa 53 4 | l’arCheologia indUstriale in italia 53 58 65 68 4.1 | programmazione e geStione Del recupero Delle aree DiSmeSSe in italia 4.2 | norD italia 4.3 | centro 4.4 | SuD 79 5 | l’arCheologia indUstriale in sardegna 79 80 82 5.1 | introDuzione 5.2 | miniera Di montevecchio 5.3 | porto flavia 5 indiCe Parte ii - Casi di stUdio 89 1 | Forni di CalCinazione 96 1 | Biografia: caStillo e miraS 99 1 | BiBliografia; iconografia; Sitografia 101 2 | Casa del leCtor 107 1 | Biografia: garcia e aBril 109 1 | BiBliografia; iconografia; Sitografia 113 3 | löwenbräU-areal 126 1 | Biografia: gigon e guyer 128 1 | BiBliografia; iconografia; Sitografia 131 4 | bötzow braUerei 143 1 | Biografia: chipperfielD 146 1 | BiBliografia; iconografia; Sitografia 149 5 | Città delle CUltUre 159|1 | Biografia: chipperfielD 162|1 | BiBliografia; iconografia; Sitografia 165 6 | benetton stUdios 175|1 | Biografia: afra e toBia Scarpa; DaviD zannor. 177|1 | BiBliografia; iconografia; Sitografia 6 7 8 introdUzione Il lavoro di analisi e ricerca svolto in questi mesi, e raccolto in questo libro, intende descrivere per larghe sentenze la nascita e gli odierni sviluppi dell’archeologia industriale, gli aspetti normativi e architettonici per inserire deinitivamente questa disciplina come tematica essenziale dell’architettura contemporanea. E’ dificile dare una deinizione completa di archeologia industriale: sarebbe solo parzialmente corretto deinirla come disciplina che si occupa di riscoprire e catalogare gli impianti industriali, intesi come testimoni degli avvenimenti economici, storici e sociali che son andati a modiicare i vari paesaggi urbani e rurali. L’archeologia industriale o meglio, gli architetti, ingegneri, archeologi e gli amanti di questa disciplina, hanno soprattutto l’obbiettivo di valorizzazione e di riusare questi complessi, talora imponenti e abbandonati a loro stessi. Riscontrata l’impossibilità di deinire l’esatto campo di studio di questa disciplina, ne consegue che la stessa impossibilità, è valida nel caso in cui si provi ad esplicitare anche una data di nascita. Ne è emblema l’Arsenale di Venezia, che deve il suo nome all’arabo daras-sina’ah, letteralmente casa d’industria o casa del mestiere, nato prima del XII secolo ma rifunzionalizzato, riorganizzato e restaurato nel corso del tempo, e in funzione sino ad oggi. A partire dalla ine degli anni Settanta, con la ine dell’era industriale, si iniziò a pensare di recuperare questi impianti, non solo per questioni economiche, ma anche per la prima questioni ambientali. Queste aree son così diventate vere e proprie “oficine di sperimentazione” sia per gli architetti-restauratori, sia per le persone che vivono questi spazi. Di certo tutt’oggi la fabbrica rimane uno dei grandi soggetti del moderno, nonostante si parli paradossalmente di fabbrica del terziario, nascondendo al proprio interno l’industria e incorporando i servizi. Gli insediamenti industriali storici vengono posti all’attenzione delle comunità come veri monumenti dell’uomo, insostituibile da altre fonti. Alcuni dei principali caratteri guida, alla base di questi recuperi, son proprio la riqualiicazione architettonica, l’impatto ambientale e la sostenibilità economica, ottenuti dall’integrazione degli stabilimenti industriali nei tessuti urbani limitroi, per ridisegnare la città in termini qualitativamente migliori. Queste tematiche son le fondamenta della nostra ricerca per indirizzare i lettori verso nuovi punti di vista e nuove argomentazioni sulle quali rilettere. Per ottenere questo prezioso lavoro abbiamo portato avanti una ricerca bibliograica, iconograica e sitograica, che ispezionasse qualsiasi ambito riguardasse l’industria, come simbolo del lavoro, di una cultura, di un’epoca. Il nostro contributo vorrebbe tendere ad un miglior coordinamento delle conoscenze nei confronti di determinate strutture industriali, proprio per l’esigenza di vivere e condividere il comune scenario futuro. Buona lettura. 9 10 Parte i - arCheologia indUstriale 12 1 | arCheologia indUstriale 1.1 deFinizione Il termine “archeologia industriale” fu coniato nei primi anni cinquanta da Donald Dudley, allora direttore del dipartimento extra-mural e successivamente professore di latino dell’Università di Birmingham. Per quanto egli non si deinisse un “archeologo industriale”, tuttavia suggerì che forse valeva la pena di indagare sulle possibilità accademiche e pratiche di quel che egli aveva ribattezzato archeologia industriale. Michael Rix1, collega di Dudley, scrisse nel 1955 un articolo per The Amateur Historian, nel quale non fece un vero e proprio tentativo di deinire questa materia, ma puntualizzò che i suoi interessi si focalizzavano principalmente su materiali del diciottesimo e diciannovesimo secolo (ad esempio macchine a vapore, locomotive, i primi ediici di cemento armato, i primi tentativi di costruzione di ferrovie, dighe e canali). Riteneva che tutto ciò fosse un campo nuovo e interessante da esplorare. In Italia l’iniziatore del dibattito fu Karl Marx con la sua deinizione di “grande industria”2. Si discute in sostanza, se l’Archeologia Industriale debba limitare la propria indagine esclusivamente all’ambito temporale della Rivoluzione Industriale (Archeologia dell’Industria), ovvero se sia lecito indagare anche sull’età delle manifatture (Archeologia Industriale), risalendo così nel tempo anche alle più remote manifestazioni del lavoro umano3. Kenneth Hudson invece non era pienamente d’accordo sul fatto che l’archeologia industriale dovesse incentrarsi esclusivamente sui monumenti della Rivoluzione industriale. All’epoca, appoggiò la tesi sostenuta da O. G. S. Crawford, fondatore e primo editore della rivista Antiquity4, il quale sosteneva che “l’archeologia non è che il tempo passato dell’antropologia. Lo sviluppo della cultura umana nel tempo è il suo oggetto”5. fig. 1 | ganD (Belgio), houSe SanDerSwal, architecten De vylDer vinck taillieu 13 Nella terza edizione del suo lavoro World Industrial Archeology: a New Introduction, Hudson avanzò l’ipotesi che l’archeologia industriale in Gran Bretagna fosse passata per due fasi di sviluppo, e che stesse entrando in una terza. La prima fase, terminata circa nel 1960, aveva visto un “piccolo gruppo di pionieri” sensibilizzare l’opinione pubblica sulla scomparsa rapida di macchinari e di ediici che rappresentavano la storia dell’industria britannica. La seconda fase, che va dagli anni sessanta ai primi anni settanta, vide alcuni gruppi di dilettanti che facevano dell’archeologia industriale una sorta di hobby, la creazione di un ‘Registro Nazionale dei Monumenti Industriali’ e inine la crescita dell’interesse riguardo la materia presso gli ambienti accademici. La terza nasceva inine dal chiedersi cosa avessero signiicato le prime due fasi, e quindi nell’interrogarsi sulla reale importanza e consistenza di questo campo sempre più vasto. Hudson sottolinea come inizialmente l’archeologia industriale fosse un accumulare oggetti, privo di speculazione. Come se, davanti alla rovina incombente e alla distruzione, a possibili incendi, si fosse reso necessario salvare tutto ciò che rimaneva come testimonianza dell’industria, ma senza interrogarsi realmente sul perché valesse la pena fare ciò. La rivista Industrial Archaeology Review6, succeduta alla Industrial Archaeology, iniziò il suo operato nel 1976, ma fu da subito attaccata in una recensione di Philip Riden apparsa sul Times Literary Supplement7 (14 gennaio 1977). Riden aveva deinito l’archeologia industriale come “un informe ammasso di oggetti accatastati su oggetti senza criterio e ordine”. Non la pensava così il Dr. R. A. Buchanan, che al contrario manifestava un maggiore ottimismo rispetto all’interesse verso questa disciplina: « l’archeologia industriale è un campo di studi che si interessa all’investigazione, dell’esame, della catalogazione e, in alcuni casi, della conservazione dei monumenti industriali. Essa mira altresì a collocare il signiicato di questi monumenti nel contesto della storia sociale e tecnologica».8 Neil Cossons9, insiste sull’importanza di evitare di deinire in maniera troppo severa una materia così nuova: sarà il tempo a deinire i conini dell’archeologia industriale. Egli afferma che l’archeologia industriale deve essere inserita in un contesto culturale adeguato, e non deve fare capo solamente al diciottesimo e diciannovesimo secolo. Successivamente la limitazione fu separata e gli studi estesi anche ai secoli immediatamente precedenti. fig. 2 | maiolati Spontini (an), BiBlioteca effemme 23, anna Sernazzareno petrini retti, 14 dibattito teMPorale |Anche in Italia si discute quindi se si debba limitare l’indagine esclusivamente all’ambito temporale della Rivoluzione Industriale, alla cui posizione sembrano aderire gli studiosi di ispirazione gramsciana. Ci si chiede se sia lecito indagare anche sull’età delle manifatture, risalendo così nel tempo anche alle più remote manifestazioni del lavoro umano, e prescindere dal momento della conlittualità di classe come fattore storiograico. Si può parlare di “prodotto industriale” e di “industria” solo in presenza di un determinato processo produttivo con con precise caratteristiche economiche e tecnologiche, nelle quali emergono i rapporti di forza esistenti fra le componenti sociali della produzione E’ questo il periodo, ancora oggi, che si predilige nell’indagine, sia in Italia che altrove in Europa, piuttosto che l’età della produzione artigiana e del mercantilismo, nella quale assisteremo peraltro alla prima organizzazione proto-capitalistica delle manifatture cittadine e rurali. In deinitiva manifattura e industria hanno signiicati distinti, che andrebbero utilizzati con cautela poiché sottendono modi di produzione antitetici. La manifattura è tipica dell’assetto economico e politico dell’ancien régime, è tipicamente lavoro artigianale e cottimismo, prodotto con caratteristiche di unicità ed irripetibilità. L’industria è tipica del mondo contemporaneo: si basa sulla divisione del lavoro e i salariati sono asserviti alle macchine, il prodotto è di tipo seriale, è la base del capitalismo avanzato e le conlittualità di classe. Non ci si deve però ancorare all’esatto signiicato delle parole, perché ciò contrasta innanzitutto con la stessa deinizione di Archeologia Industriale, la quale è di per sé una contraddizione in termini; ma è soprattutto inaccettabile sul piano storiograico perché per il solo fatto di avere nella deinizione il termine “industria” si tende a generalizzare cronologicamente il fenomeno, che invece è diversiicato sia per ambiti geograici che culturali e sociali. Hudson portò avanti, in questo clima di controversie tra dilettanti e accademici, nel 1976, una vera e propria indagine, attraverso un questionario sottoposto all’attenzione dei più eminenti archeologi britannici del mondo preistorico, romano e medioevale. Undici dei diciotto interpellati risposero positivamente alla domanda “Prende sul serio l’archeologia industriale”, due negativamente. Vengono poste questioni diverse nelle loro risposte, come ad esempio il fatto che l’architettura industriale avesse bisogno di essere rideinita e organizzata. Rimangono ed emergono due punti fermi: la convinzione generale che l’archeologia industriale abbia fatto molto per portare l’attenzione sulla “storia dell’industria” e il fatto che nessuno sappia collocare, dal punto di vista accademico, l’archeologia industriale. fig. 3 | riccione, recupero ex fornace, pietro carlo pellegrini 15 dibattito lingUistiCo |Un’altra delle dificoltà da affrontare era quella linguistica secondo Hudson, in quanto il termine “archeologia” è stato sempre identiicato con la parola “scavo”. Michael Rix nel 1967 sosteneva già che i termini “archeologia” e “industria” fossero apparentemente contraddittori: il primo termine rimanda ad un’antichità che affonda le sue radici nella notte dei tempi, il secondo rinvia, invece, ad un processo tutto interno alla modernità che ha investito e modiicato profondamente l’Europa e l’America del Nord, con sempre più ampie propaggini in America latina, in Asia, in Oceania e in alcune porzioni dell’Africa. Sembrava quasi che i due lemmi non riuscissero a stare assieme e le suggestioni che essi evocavano apparivano avere un ruolo solo nel breve periodo, come strumento propagandistico utilizzato per proteggere i resti della rivoluzione industriale. Le cose non sono andate così: il campo disciplinare ha retto alla prova del tempo e si è progressivamente esteso a buona parte dei paesi del mondo10. fig. 4 | Stoccolma, octapharma Brewery, Joliark 16 Le tecniche e le pratiche dell’archeologo dell’età della pietra non appartengono all’archeologo industriale, per questo è dificile far affermare tale riconoscimento. L’archeologo industriale non deve scavare, e ripulire i reperti, catalogarli secondo le età sottoponendoli a una serie di prove di laboratorio. Bensì, l’archeologo industriale ha il compito di intervistare chi ha lavorato in quei luoghi, chi ha guadagnato da vivere utilizzando i primi macchinari utilizzati. Si serve di fotograie, disegni, analisi scritte per documentare strutture che ancora esistono, e ne analizza i materiali e le tecnologie di funzionamento. Queste operazioni specialistiche sono importanti quanto il lavoro di scavo più tradizionale dell’archeologia ino ad allora conosciuta e concepita come tale. Hudson afferma che il processo di ricostruzione delle condizioni di lavoro di una fabbrica, partendo da ciò che rimane di essa, è essenzialmente identico alla ricostruzione della vita di una comunità preistorica. Fino ad oggi, l’Archeologia è sempre stata considerata come “scienza del passato” e si è identiicata con lo studio delle “antichità” e dello sviluppo della cultura umana nel tempo. Recentemente, infatti, si tende ad identiicare la ricerca archeologica nel recupero delle testimonianze materiali del tempo trascorso (che può essere sia recente che remoto), con la possibilità di interagire con altre discipline. La disciplina risulta, in questo modo, al centro di molteplici interessi. Questo è il signiicato che oggi assume la deinizione di Archeologia Industriale. Alla base del lavoro dell’archeologo dell’industria vi sono lo studio comparato dei resti materiali, della catalogazione dell’esistente, le istanze di conservazione. In conclusione, si può affermare che « oggi l’Archeologia Industriale è vista come una sorta di scintillante “crocevia intellettuale” alla frontiera di discipline diverse, nella consapevolezza che il “fatto industriale” (come il “fatto archeologico”) è soprattutto conseguenza di un rapporto fra uomini, fra classi sociali e che dallo studio dei dati materiali si possa derivare una migliore comprensione dei dati antropologici»11. 1.2 storia dell’arCheologia indUstriale L’archeologia industriale, intesa come disciplina afine all’archeologia classica, nasce con notevole ritardo rispetto a quest’ultima essendo rivolta allo studio di un patrimonio di recentissima creazione. Unici punti in comune tra questo dominio e l’archeologia classica sono il carattere interdisciplinare ed il metodo investigativo, che sottintende un legame tra storia sociale, storia economica e tecnologica. Il termine nella sua accezione attuale è stato coniato nei primi anni cinquanta da Donald Dudley, professore di latino all’Università di Birmingham, ma è stato grazie a Michael Rix che nel 1955, attraverso la pubblicazione di un articolo sulla rivista “The Amateur Historian”, l’archeologia industriale viene consacrata come disciplina. È stato proprio il lavoro di Rix a muovere per la prima volta la sensibilità nazionale verso questo campo, ottenendo come risultato la formulazione di standard di documentazione e protezione del patrimonio industriale da parte del Council for British Archaeology, nel 1959. Il riconoscimento uficiale della disciplina è quindi relativamente recente, ma possiamo far risalire l’archeologia industriale alla ine del XVIII secolo, ovvero alla fondazione nel 1794 del primo museo della tecnologia al mondo, il Conservatoire des arts et métiers12 di Parigi. Bisognerà aspettare un secolo prima che l’interesse del grande pubblico si rivolga alla protezione del patrimonio industriale: ovvero nel 1891, con la fondazione del museo Skansen13 a Stoccolma, primo museo all’aria aperta al mondo, voluto dal sociologo svedese Arthur Hazelius. L’archeologia industriale ricevette una nuova pulsione nel 1903, con l’istituzione del Deutsches Museum, a Monaco di Baviera, oggi il più grande museo di scienza e tecnologia al mondo. È a partire dal primo decennio del novecento che cominciano a vedersi i primi musei installati in vecchi complessi industriali. Ad esempio, tra 1903 e 1906, una delle fonderie Rademacher venne trasformata in museo a Eskilstuna, in Svezia. fig. 6 | eSkilStuna, fonDeria raDemacher Il rapido sviluppo tecnologico e le distruzioni causate dalla Prima guerra mondiale permetteranno, tra anni Venti e Trenta, lo stabilirsi di nuove realtà museali rivolte all’industria. Successivamente, le devastazioni causate dalla Seconda guerra mondiale comporteranno uno sforzo senza precedenti rivolto alla conservazione degli ediici industriali. La più importante di queste realizzazioni è rappresentata dalla fondazione dello Ironbridge Gorge Museum Trust, nel 1968, nella vallata della Severn (Shropshire), con i centri di Coalbrookdale ed Ironbridge. Di uguale importanza sul piano internazionale è che, nel 1973, il primo congresso di archeologia industriale si tenga proprio a Ironbridge Gorge14 . fig. 5 | pariS, conServatoire national DeS artS et metierS 17 Il secondo incontro di questo tipo si terrà nel 1975 a Bochum. L’incontro avviene poco dopo un importante intervento di salvaguardia del patrimonio archeologico con lo spostamento del pozzo minerario Germinia di Dortmund, alto 68 metri. Il pozzo è stato situato sopra l’entrata del museo minerario di Bochum e può essere visto a chilometri di distanza. Oggi questo monumentale resto dell’era industriale è rappresentativo non solo del museo minerario di Bochum, uno dei più importanti d’Europa, ma dell’intero patrimonio industriale europeo. La conservazione di questo ediicio, costruito negli anni Trenta, illustra un altro aspetto importante dell’archeologia industriale contemporanea: l’interesse rivolto ad ediici di un passato recente, che sono in un certo senso dei monumenti all’avvenire, alla modernità. L’importanza acquisita dall’archeologia industriale in certi paesi è dimostrata, ad esempio, dalla fabbrica di carta di Frövifors in Svezia, presentata al terzo Congresso di archeologia industriale di Stoccolma nel 1978. L’intervento riguardava la protezione di un laboratorio di considerevoli dimensioni contenente macchinari d’inizio secolo, per effettuare uno studio sui metodi e le condizioni di lavoro. Un altro importante Congresso dell’archeologia industriale si è tenuto in Francia, a Lione e Grenoble, nel 1981. È stata l’occasione per osservare sul posto i risultati del progetto Le Creusot. Questo centro dell’industria pesante francese fondato nel 1782 e ripreso in mano dalla famiglia Schneider nel 1837 è stato successivamente chiuso nel 1960. Quattordici anni più tardi, viene uficialmente inaugurato l’Écomusée15, che è stato destinato alla raccolta di documentazione e alla presentazione d’oggetti che mostrano l’evoluzione dell’importanza di questo settore industriale. Gli anni ’80 segnano, con l’ediicazione di un’importante opera, l’aumentare di interesse da parte del pubblico verso la disciplina: un nuovo museo di scienze e tecnologie, completato nel 1985 al Parco de la Villette16 a Parigi, copre una supericie di quarantamila metri quadrati, dove sono esposti oggetti relativi a una diversissima quantità di industrie, da quella aerospaziale a quelle alimentari e dell’intrattenimento. fig. 7 | parigi, parco De la villette fig. 8 | grenoBle, le creuSot 18 I monumenti industriali degli stati dell’Est europeo occupano una un posto di particolare rilievo nell’ambito dell’archeologia industriale. La Polonia, che fu tra le prima ad adottare una legislazione per tutelare gli oggetti “tecnologici e culturali”, ci offre un esempio originale di conservazione dei siti industriali storici che consiste nel far coesistere museo e produzione economica. L’antica fabbrica tessile Fiedler d’Opatowek17, presso Kalisz, è stata trasformata in museo di storia industriale, ma in un’ala dell’ediicio è stata rilanciata la produzione tessile. Usan- do i macchinari antichi, vi si fabbricano certi tipi di tweed18. È interessante notare come per certe fabbriche si sia adoperato un approccio di restauro stilistico, con ediici industriali che, in nome della loro importanza storica o estetica, sono stati ricostruiti o parzialmente ricostruiti. Uno degli esempi più eclatanti è quello della fonderia di Sayn, in Germania, costruita nel 1830, la cui facciata principale è stata ricostruita nel 1980-’81. fig. 9 | Sayn, fonDeria 19 1.3 norMative Conseguenza diretta del nuovo atteggiamento nei confronti del passato industriale è stata l’applicazione della legislazione corrente per la salvaguardia delle opere d’arte - D.Lgs 42/200419 - anche ai monumenti industriali. Per “monumento industriale” si intenda «(…) qualunque ediicio o altra struttura issa, specialmente del periodo della rivoluzione industriale, che in sé o associato a impianti o strutture illustra l’inizio e lo sviluppo di processi tecnici e industriali, compresi i mezzi di comunicazione»20. Simultaneamente si è sviluppato un sistema di catalogazione inalizzato alla conservazione dei monumenti industriali. Di seguito si riporta la Deinizione di patrimonio culturale (Art.2. comma 1-2-3-4 del Codice Urbani dei Beni Culturali D.Lgs 42/2004 )21: 1. Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici. 2. Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 1022, e 1123, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliograico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà. 3. Sono beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati all’Articolo 13424, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge. 4. I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e sempre che non vi ostino ragioni di tutela. I beni culturali della civiltà industriale vanno considerati in relazione al loro speciico spazio, tempo e contesto culturale e paesaggistico: difatti il bene archeo-industriale è strettamente legato al suo territorio. La sostenibilità e attuazione degli interventi sono inluenzate da problemi di tipo ambientale, economico e normativo. Per lo sviluppo sostenibile si dovrà quindi ricercare un equilibrio tra questi fattori. È quindi essenziale tener conto della collocazione ambientale e territoriale di un bene archeo-industriale per poterlo valutare, catalogare, tutelare e conservare correttamente. 20 In concomitanza con questa maggiore attenzione verso il patrimonio archeo-industriale si assistette alla nascita e allo sviluppo di un sistema di catalogazione dei monumenti industriali, strumento essenziale per la tutela, la gestione e la valorizzazione del patrimonio industriale. Ogni azione verso il patrimonio culturale, infatti, può essere messa in atto in modo corretto soltanto tramite la raccolta di dati conoscitivi attendibili. In Italia l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) ha promosso una prassi di rilessione metodologica volta alla valorizzazione del patrimonio culturale, che vede nella catalogazione un momento importantissimo per deinire l’identità e la valenza dei beni, ponendoli nel contesto di relazioni storiche, logiche e spaziali che li hanno portati al loro stato attuale. La catalogazione non si presenta esclusivamente come mera rilevazione dell’esistente in quanto realtà tangibile concretamente, bensì come supporto per la “conservazione della memoria” che ha come ine la trasmissibilità al futuro. All’interno della catalogazione, importanza primaria ha l’impostazione multidisciplinare: le informazioni risultano utili se si indentiica un unico insieme di dati integrabile con fonti esterne. Per una corretta catalogazione del bene archeo-industriale e delle relazioni che esso ha con le componenti ambientali, si deve predisporre una approfondita e articolata campagna di raccolta dati. Essa si sviluppa in due diverse fasi: in un primo momento si raccolgono informazioni di base che riguardano i siti di riferimento, fornite da Enti locali, regionali e nazionali; in un secondo momento si eseguono delle campagne di rilievi diretti sul terreno esaminato. Gli Enti coinvolti nel governo del territorio forniscono dati in qualche modo collegati alle problematiche ambientali: ad esempio georeferenziazione del sito, descrizione isica e tipologica, descrizione stato di inquinamento. Le indagini analitico-conoscitive condotte su molti siti dismessi mettono in evidenza una compromissione della qualità del suolo che spesso impedisce lo sviluppo delle funzioni che questo dovrebbe svolgere, e solo in alcuni casi gli interventi di ripristino ambientale riducono i danni: di frequente permettono solo un recupero parziale della funzionalità del suolo. Gli scenari di contesto del bene archeo-industriale, conseguentemente a tali considerazioni, sono: - siti potenzialmente contaminati: aree nelle quali si ipotizza un’alterazione delle caratteristiche del suolo e delle acque da parte di agenti inquinanti; comprende aree produttive che possono aver subito un inquinamento del suolo o delle acque sotterranee, ad esempio utilizzate come trattamento riiuti; - siti effettivamente contaminati: aree in cui è stata accertata un’alterazione delle caratteristiche del suolo e delle acque da parte di un agente inquinante presente in concentrazioni superiori ai limiti stabiliti25, ad esempio aree industriali attive; - siti industriali dismessi: aree a più alto rischio per la contaminazione del suolo, per esempio vecchi stabilimenti industriali, che al loro interno avevano zone in cui venivano accatastati scarti e riiuti del ciclo di produzione; - siti boniicati: dove per boniica si intenda «ogni intervento di rimozione della fonte inquinante e di quanto dalla stessa contaminato, ino al raggiungimento dei valori limite conformi all’utilizzo dell’area»26. Questi contesti necessitano di differenti modalità di analisi e intervento. Il D.M. del 25 ottobre 1999, n47127 deinisce gli elementi necessari per la caratterizzazione del sito contaminato. Questi sono relativi alla raccolta dei dati e delle informazioni esistenti (tipologia del sito, mappatura dell’area e localizzazione del sito, planimetria di ediici e impianti produttivi, tipo di dismissione dell’ediicio) e all’organizzazione della documentazione, che deve corrispondere ai criteri e gli elaborati richiesti per la redazione del Piano della caratterizzazione. La descrizione delle condizioni del sito deve essere adeguatamente dettagliata afinché sia possibile stabilire i possibili effetti dell’attività svolta in precedenza e individuare le possibili fonti di contaminazione, le sostanze contaminanti e la relativa tossicità. Le aree costituiscono un’importante risorsa urbana, strategica per la collocazione, una notevole risorsa economica, per il processo di trasformazione della produzione di beni, ma anche una stimolante risorsa progettuale. Tali siti, afinché rimangano emittenti di identiicazione culturale, non solo devono durare, ma devono anche rimanere attivi, ovvero mantenersi in relazione con gli uomini. Perché ciò avvenga ciò, bisogna far sì che si predisponga un’attività che esprima una funzione neoproduttiva, e quindi di reinserire attivamente i beni all’interno del lusso del cambiamento sociale. Le occasioni di sviluppo sono legate al riuso delle aree; la trasformazione e la valorizzazione di queste aree vede coinvolti sia soggetti pubblici come regioni, province, comuni, sia soggetti privati. Le caratteristiche isiche, strutturali, economiche del sito ne determinano l’attitudine alla riqualiicazione. Sulla base della potenzialità i siti si possono distinguere in: -siti con potenzialità di trasformazione di tipo paesistico o ambientale; -siti con potenzialità di trasformazione legata alla produzioni di beni e/o servizi di natura pubblica; -siti con potenzialità di trasformazione legata ad attività a reddito. Per analizzare un sito industriale dismesso, e conseguentemente per valutarne la potenzialità ad essere oggetto di interventi di valorizzazione, è necessario tenere in conto non solo gli aspetti di natura tecnico-ingegneristica legati al tipo di inquinamento e alle possibili tipologie di boniica, ma anche aspetti collegati a temi paesistici-ambientali, urbanistici, ecologici e socio-economici, per mettere in luce tutti gli elementi strategici rilevanti. Questi dati sono essenziali per analizzare e conseguentemente ricostruire le relazioni esistenti tra Bene archeo-industriale e gli altri elementi (naturali e/o artiiciali) presenti nel territorio. È proprio nella correttezza delle informazioni che si basa il successo di un progetto di catalogazione. L’approccio di tipo conoscitivo deve essere volto non solo agli aspetti ambientali o ai fattori di rischio dei siti contaminati, ma anche alle potenzialit di trasformazione alla luce dei possibili usi. 21 note 1 M. RIX, Historical Archeology, London, The Historical Association, 1967, in A. NEGRI (a cura di), L’archeologia in- pubblicata a Londra dalla News International, una sussidiaria della News Corporation. dustriale, Messina-Firenze, 1978, pp. 114-120. 8 2 Come attività collettiva organizzata intorno a materiali da trasformare in vista di un certo uso, essa esiste in dall’antichità; l’estrazione di minerali e la costruzione di ediici, per esempio, sono forme antichissime di industria basate quasi esclusivamente sul lavoro degli schiavi e sull’uso di macchine molto semplici (mulini ad acqua, argani, ecc.) o di strumenti di lavoro individuali. Per questo Marx, criticando le considerazioni ideologiche sui rapporti tra uomo e natura, poteva affermare che «la celeberrima unità dell’uomo con la natura è sempre esistita nell’industria». Qui infatti l’uomo attraverso il lavoro conosce, utilizza e modiica forze e materiali naturali. Ma è con l’introduzione di «macchinari», cioè di un insieme comprendente la macchina motrice, il meccanismo di trasmissione, la macchina utensile o operatrice, che sorge quella che Marx chiama la «grande industria», l’industria moderna, erede della manifattura. 3 G. E. RUBINO, Industrialismo e archeologia industriale. Riepilogo metodologico, 1993. 4 Antiquity è una rivista peer-reviewed di archeologia mondiale. Fondata da O.G.S. Crawford nel 1927 , la rivista riporta le nuove ricerche archeologiche, il metodo e le questioni di rilevanza internazionale in un linguaggio semplice ad un ampio numero di lettori accademici e professionali. 5 K. HUDSON, World Industrial Archeology, Cambridge, 1979. R.A. BUCHANAN, Industrial Archeology, London, 1974, p.20. 9 Neil Cossons è uno dei più eminenti archeologi industriali della Gran Bretagna, direttore dello Ironbridge Gorge Museum Trust. 10 Al XII congresso mondiale del TICCIH, l’organizzazione internazionale che raggruppa gli studiosi d’archeologia industriale di tutto il mondo, tenutosi a Terni nel settembre 2006, erano presenti 450 partecipanti provenienti da 39 paesi del mondo. 11 G. E. RUBINO, Industrialismo e archeologia industriale. Riepilogo metodologico, 1993, p. 5 12 Fondato dall’abbate Henri Grégoire a Parigi il 10 ottobre 1794, il Conservatoire des arts et métiers nasce con l’intento di perfezionare l’apparato industriale nazionale, istituendo una scuola d’ingegneria a vocazione multidisciplinare. 13 Lo Skansen è un museo all’aria aperta che espone una miniatura dell’intera Svezia, dal caratteristico villaggio lappone dell’estremo nord al tipico podere della regione Scania. 14 Ironbridge Gorge è una delle comunità che, aggregate, forma la new town di Tellfort. Deve il suo nome alla prima architettura di ferro della storia, l’Ironbridge. 15 6 Industrial Archaeology Review è la rivista dell’ Association for Industrial Archaeology. Viene pubblicato due volte l’anno; il tema comune dei suoi contenuti è la testimonianza di attività industriali superstiti. Istituito a Ungersheim (Alto-Reno), l’Écomusée d’Alsace apre al pubblico il primo giugno 1984; è stato inaugurato poco dopo dall’allora Ministro della Cultura M. Jack Lang. Situato nel XIX arrondissement di Parigi, il parco de La Villette è stato realizzato nel 1979 sul sito dei grandi mattatoi de La Villette, distrutti nel 1974. Il parco s’inserisce in 16 7 The Times Literary Supplement (o TLS, sulla prima pagina dal 1969) è una rivista letteraria settimanale britannica 22 un contesto fortemente industriale della capitale francese, recentemente oggetto di diverse opere di riqualiicazione urbana. 17 La struttura ospita il museo della storia dell’Industria in cui è esposta una collezione riguardante lo sviluppo industriale della regione di Kalisz dall’inizio del XIX secolo. 27 D.M 25 ottobre 1999, n. 471, in materia di “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la boniica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modiicazioni e integrazioni”. Il tweed è un tipo di tessuto di lana originario della Scozia, diventato icona del tradizionale abbigliamento rurale Irlandese e Britannico. Caratteristica del tessuto sono la sua consistenza solida e l’armatura a saia che ne conferisce la tipica rigatura diagonale a spina di pesce. 18 19 D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”. Deinizione dell’Inspectorate of Ancient Monuments del Ministero dei Lavori Pubblici britannico. 20 21 D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”. 22 Articolo 10 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di “Beni culturali”. 23 Articolo 11 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di “Beni oggetto di speciiche disposizioni di tutela”. 24 Articolo 134 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di “Beni paesaggistici”. 25 D.M 25 ottobre 1999, n. 471, in materia di “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la boniica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modiicazioni e integrazioni”. 26 D.Lgs 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui riiuti, 91/689/CEE sui riiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui riiuti di imballaggio”. 23 Fonti bibliograFiChe e sitograFia doCUMentazione iConograFiCa R. COVINO, Archeologia Industriale: usi impropri e potenzialità euristiche, in “Patrimonio industriale”, Anno II, n. 3, dicembre 2008, pp.14-16 Copertina | (Iron Bridge) G. E. RUBINO, Industrialismo e archeologia industriale. Riepilogo metodologico, 1993 Fig. 2 | © PAOLO SEMPRUCCI, www.divisare.com Fig. 1 | © FILIP DUJARDIN, www.divisare.com Fig. 3 | © MARIO CIAMPI, www.divisare.com K. HUDSON, Archeologia dell’Industria, S. MOSCATI (a cura di), Roma, 1979 S. RICOSSA (a cura di), Archeologia industriale e dintorni, Comitato Giorgio Rota, Torino, 1993 Fig. 4 | © TORJUS DAHL/JOLIARK, www.archdaily.com Fig. 5 | Tratta dal sito www.aviewoncites.com Fig. 6 | Tratta dal sito www.marcellburger.com M. WEHDORN, F. ORDONEZ, Conseil de l’Europe - Situation du patrimoine bâti technique et industriel en Europe, Strasburgo, 1985 Fig. 7 | Tratta dal sito www.hotelrelaisbergson.com Fig. 8 | Tratta dal sito www.wikimedia.org P. E. MARTIN, Industrial Archaeology, in T. MAJEWSKI, D. GAIMSTER (a cura di), International Handbook of Historical Archaeology, 2007, pp. 285-297 R. FRANCOVICH, D. MANACORDA (a cura di), Dizionario di Archeologia, Temi, concetti e metodi, 2009 A. VALITUTTI, Ambiente, territorio e beni archeologico-industriali: una prospetiva di sistema per la tutela, conservazione e valorizzazione sostenibile dei siti contaminati, in M. STOCHINO, M. PIRAS, J. MIGONE RETTIG (a cura di), Congreso Internacional : Puesta en valor del patrimonio industrial sitios, museos y casos, pp. 66-74 Sito uficiale dell’Écomusée d’Alsace, www.ecomusee-alsace.fr Sito uficiale del TICCIH, www.ticcih.org Sito uficiale dell’ICOMOS, www.icomos.org Sito uficiale della Camera dei deputati, www.camera.it Sito www.normattiva.it 24 Fig. 9 | Tratta dal sito www.danke-berlin-2015.de 2 | origine dell’arChitettUra indUstriale 2.1 il lavoro Pre-indUstriale I processi di sviluppo della città pre-industriale furono assai lenti da essere contenuti entro lo spazio delle mura: i nuovi spazi residenziali, infatti, coincidenti spesso con gli ambienti lavorativi, e ricavati per addensamento dei tessuti edilizi esistenti1. Prima di studiare il fenomeno dell’architettura industriale vera e propria, è necessario affrontare il tema partendo dalle sue radici. Tra i prototipi dell’industria, sviluppatasi solo nell’Ottocento grazie alle nuove fonti di energia, si può assumere come emblematico il caso del mulino. Una delle prime testimonianze dell’uso del mulino è attestata nel De Architettura di Vitruvio2, dove l’ediicio, in quanto sede di un sistema eolico o idraulico, diviene sede del lavoro pre-industriale, associato a qualunque ambito richiedesse l’utilizzo di macchine per la trasformazione e lavorazione di materie prime.Vista l’esigenza, la localizzazione di tale sistema produttivo non poteva che essere presso i corsi o presso le cadute d’acqua o presso zone ventilate, sia per la diffusione delle risorse aria e acqua, quest’ultima spesso usata come infrastruttura commerciale, sia per la sua continuità temporale. Si assistette quindi sia al processo di fondazione di nuovi centri urbani, in funzione della preesistenza di un mulino, sia alla realizzazione di un mulino, inalizzata allo sviluppo di centri urbani già esistenti. Il mulino comunque divenne un elemento caratterizzante vari territori. Lo sviluppo architettonico del mulino, sia esso a vento o ad acqua, seguiva un andamento verticale: nei piani interrati trovavano posto i sistemi che sfruttavano un forza isica, come l’inerzia il lusso idrico, mentre nei piani superiori si andavano a collocare gli ambienti più speciici per la produzione. Ad esempio, nel caso dei mulini per la macinazione, al livello più basso si collocava la macina e superiormente gli ambienti per il caricamento dei cereali da macinare3. fig. 1 | mulino vitruviano, De architectura, 1521 fig. 2 | mulino hook, long iSlanD, new york, 1806 fig. 3 | mulino thomaS ShepherD, weSt virginia, 1739 27 2.2 l’età indUstriale «La città borghese ha potenzialità di sviluppo ininito». C. Aymonino4 L’invenzione della macchina a vapore, che nella seconda metà del Settecento, segna l’inizio della prima rivoluzione industriale. Non sempre si assistette ad un aggiornamento tecnologico degli stessi mulini, infatti, piano piano nasceva l’esigenza di progettare strutture capaci di ospitare macchine, caldaie, oficine per la riparazione e le ciminiere5. Si svilupparono, quindi, nuove architetture più funzionali al lavoro industriale. In ambito urbano, i mulini, spesso caddero in disuso, mentre in ambito rurale si assistette più frequentemente alla loro riconversione funzionale, la quale variava dall’abitazione privata a magazzini e depositi. La necessità di localizzare le manifatture 1886 fig. 4 | mulini a vento montmartre, vincent van gogh, presso i corsi d’acqua o presso fonti di energia naturale viene meno con lo sviluppo delle nuove vie di comunicazione, specialmente le strade ferrate, che consentivano di trasportare la materia prima low cost. Di conseguenza la città andava a scavalcare il perimetro murario storico, ponendo le basi per il futuro accrescimento delle periferie. Si preferì, quindi, adempiere al bisogno di collocare la fabbrica presso luoghi in cui era disponibile una mano d’opera a basso costo, facilmente reperibile nei contesti urbani, dove lo sviluppo delle nuove manifatture era puntuale e andava a collocarsi negli spazi residui della città storica, saturandoli. L’attività manifatturiera proto-industriale concentrava, per la prima volta, il lavoro e i lavoratori, che prima diffusi e dispersi in piccole attività artigianali spesso coincidenti col domicilio: al piano inferiore si dislocavano le attività commerciali, come avveniva già in epoca romana, durante la quale tali ambienti erano architettonicamente segnalati da spazi-iltro come porticati. Il piano superiore era invece destinato a residenza del proprietario-commerciante6. Nella prima fase di espansione dell’industria, si sviluppò il paradigma progettuale concepito come metodo compositivo che partiva da «una rigorosa analisi delle esigenze spazio-funzionali a cui doveva rispondere la costruzione di aspetti formali, derivati da un processo analitico»7. Tale tendenza funzionalista, eficacemente espressa dalla deinizione “Architettura senza Architetti”, conosce grande sviluppo nell’incontro collaborativo tra industriali (committenti), imprenditori edili (realizzatori) e “costruttori di mulino” 28 fig. 5 | pioggia, vapore e velocità, J. m. william turner, 1844 fig. 6 | Don chiSciotte, paBlo picaSSo, 1955 fig. 7 | cryStal palace, hyDe park, 1851 fig. 8 | illuStrazione harD timeS, matthew J. perlman. (progettisti). Nonostante il forte impatto di queste architetture, sorte al di fuori dei canoni estetici, esse furono poste ai margini della produzione di ediici, rivalutati dalle Accademie e dagli architetti solo nel corso del Novecento, grazie alle forme degli impianti chiare e leggibili, basate su schemi geometrici e sull’uso opportuno di nuovi materiali da costruzione, primo fra tutti il ferro, per la sua versatilità, per le prestazioni meccaniche e per la sua lavorabilità. Il ferro diventava così metafora della prima epoca della produzione di massa: era il materiale utile alla costruzione delle ferrovie, delle fabbriche, delle grandi gallerie coperte, dei grandi spazi per le esposizioni. Emblema di tale fenomeno è il Crystal Palace dell’esposizione universale di Londra del 1851, primo ediicio-macchina smontabile, che introduce per la prima volta la lessibilità spaziale congiunta a una sempliicazione realizzativa, determinata dalla standardizzazione degli elementi costruttivi8. Tutto ciò portò ben presto allo sviluppo di un nuovo concetto di capitalismo, caratterizzato, alla ine dell’Ottocento, da una nuova divisione del lavoro, sul modello degli americani Ford9 e Taylor10, e fondata prevalentemente sull’organizzazione gerarchica della fabbrica e sulla sempliicazione delle mansioni inalizzata a rendere più eficiente il processo della catena di montaggio, nuovo elemento di comunicazione orizzontale dei fabbricati industriali. Sul tema della macchina, come oggetto meccanico utile a produrre,si son avuti numerosi dibattiti proprio sulla conciliabilità con la produzione artigianale e con la cura estetica complessiva del prodotto. Nell’ambito dell’architettura si devono ricordare Herman Muthesius, che esaltava la macchina come dio creatore, e Walter Gropius, che paragonò invece l’architettura industriale con le sue grandi infrastrutture ai monumenti egiziani riprendendo l’interesse per le forme pure e compatte. La città iniziò a farsi contaminare dagli stabilimenti industriali presenti, creando estreme situazioni di disagio, descritte in molte letterature come ad esempio nei romanzi di Emile Zolà11 e da Dickens12, che nel 1854 in Hard Times, riferendosi all’ambiente inglese, denunciava le nuove tensioni e i nuovi conlitti sociali: il romanzo moderno nasce proprio in questo momento da una profonda analisi del contesto socio-culturale, economico ed architettonico della società post-classica. 29 In questo periodo si cercarono diverse soluzioni ai problemi della città nei più svariati campi della ilosoia e sociologia13, dell’economia14, dell’urbanistica15 inine dell’architettura stessa. A tal proposito il processo di urbanizzazione, in termini di crescita demograica e urbana, assunse ritmi impensati, conseguenza dello sviluppo della produzione industriale, permesso a sua volta dalla concentrazione di manodopera spesso sottratta alle campagne, con la conseguente trasformazione sociale da contadino a proletario, e alla creazione di nuovi mercati di consumo. Nel rapido processo di urbanizzazione però la prima fase coincise con la crescita sovrapposta, ossia con l’intensiicazione dello sfruttamento delle volumetrie edilizie e dei suoli urbani. Tutto ciò mostrò i limiti di adeguatezza del centro storico che, per via della sua morfologia, non poteva ospitare i grandi complessi industriali e che di conseguenza non poteva accogliere le grandi masse che richiedevano un posto di lavoro e un’abitazione16. Ciò provocò un processo di degrado della città storica e delle sue strutture isiche che si può sintetizzare attraverso: I. la densità edilizia residenziale, che portava ad un addensamento all’interno dei centri storici e-o alla creazione di slum periferici II. la carenza nei sistemi di smaltimento dei riiuti, che comportava peggiori condizioni igieniche gli sventramenti nella città storica in favore della costruzioni delle vie di trasporto per il crescente trafico, nelle sue varie forme. Inoltre la relazione tra beni di consumo collettivi quali sanità, istruzione, verde pubblico, e i loro riconoscimenti come diritti dell’operaio, a lui dovuti a prescindere dalla sua capacità di pagare, dovevano essere presi a carico dell’imprenditore in primis, e dello stato in seguito. Arriva in questo periodo, anche in Italia, la moda dei villaggi operai, in cui l’insieme di fabbriche, abitazioni e servizi, creavano nuovi aggregati urbani, o concorrevano al cambiamento vecchi tessuti urbani. La formazione della comunità attorno alla fabbrica cresceva con l’ipotesi che il lavoro industriale fosse estraneo al conlitto di classe, potendo attuare un controllo assoluto delle ore libere dei dipendenti, eliminando così l’assenteismo e ottenendo più potere nelle dinamiche sociali ed economiche. Per contro, spesso le nuove residenze offrivano migliori condizioni igienico-sanitarie spesso collegate a migliori condizioni educative per i igli dei lavoratori17. 30 fig. 9 | trezzo Sull’aDDa, centrale iDroelettrica D’aDDa, gaetano moretti fig. 10 | arc et SenanS, pianta Delle Saline reali Di chauS, leDoux, 1771 fig. 11 | arc et caSa Del Direttore SeSanS, viSta generale Delle Saline, al centro la fig. 12 | creSpi D’aDDa, viSta proSpettica Sui capannoni inDuStriali Quindi, la necessità dei villaggi operai era reale sia per aggiudicarsi il controllo lavorativo e personale della comunità, ma anche per il controllo in ambito politico e sociale, per evitare il contatto con le altre masse inluenzate dalle correnti politiche che trovavano diffusione tra i vari lavoratori, come socialismo e comunismo, e per spezzare le nascenti manifestazioni dei nuovissimi movimenti sindacalisti che proponevano nuovi modi di associazione e di boicottaggio alla produzione e di disobbedienza sociale come gli scioperi, in Italia riconosciuti come reato sino al 1889. In Europa l’esempio più eficace, emblema sia della cultura dei villaggi operai, sia dell’economia basata sulle manifatture statali, sono sicuramente le Saline di Chaux18 (1771-1793) mentre in Italia, in particolare al Nord, i tre esempi più signiicativi di villaggi operai son quelli di Varano Borghi19 (1808) e Crespi d’Adda (1878) in Lombardia, Nuova Schio 21(1872-1896) in Veneto. Si procedeva alla costruzione dell’industria e contemporaneamente alla costruzione degli stabili per la residenza operaia: le case plurifamiliari, progettate in base alle gerarchie delle fabbriche, venivano spesso circondate da cancelli che davano una parvenza di proprietà per ogni nucleo familiare, inserite in mezzo a un percorso costretto tra ediici quali chiesa, piazza, infermeria, scuola e altri centri vitali per l’aggregazione dei lavoratori e delle loro famiglie. fig. 13 | creSpi D’aDDa, particolare Della caSa paDronale fig. 14 | mauSoleo paDronale nel cimitero fig.16 | creSpi D’aDDa, caSa monofamiliare Dei lavoratori Del cotonificio fig. 15 | creSpi D’aDDa, viSta generale, 1927 fig. 17 | creSpi D’aDDa, caSa Bifamiliare Dei lavoratori del 31 2.3 l’era Post-indUstriale Il concetto che forse più di tutto ha inluenzato la città del Novecento e l’inserimento delle architetture del lavoro fra i suoi tessuti, è sicuramente quello di zoning o zonizzazione, in cui l’ottica del piano è quella di separazione delle diverse funzioni, non più compatibili fra loro, come quella residenziale e industriale, cancellando però rapporti funzionali storicamente consolidati, come il già citato rapporto commercio-residenza. Le zone devono essere dapprima individuate durante la stesura del piano, ponendovi un vincolo al ine di preservarne l’utilizzo futuro, sottraendolo all’uso privatistico. Il piano dunque inizia a controllare le dinamiche d’uso dell’intero territorio della municipalità21. Tuttavia anche se l’organizzazione razionale della città è una necessità della produzione, i meccanismi del libero mercato non sono in grado di assicurare una crescita razionale della stessa poiché esistevano ed esistono ancora diverse contraddizioni: la prima è rappresentata dalla rendita fondiaria e dai suoi effetti negativi sul processo di sviluppo. Quando essa cresceva al di sopra di una certa soglia, comprime i consumi familiari inluenzando negativamente sulla riproduzione della forza lavoro, riducendone i margini di proitto del capitale industriale, con un eccessiva pressione sull’operaio per le spese di abitazione o per il trasporto, accrescendo così il bisogno di aumenti di salario. Col passare del tempo si palesa il fatto che la zonizzazione mono-funzionale ha causato un impoverimento dello spazio urbano attraverso appunto la rigida divisione della città in parti urbane, creando periferie anonime dove trovavano, e trovano tuttora, sede le industrie, afiancate a quartieri dormitorio e caratterizzate da un pendolarismo che segue il binomio sociale residenza-lavoro22. La riduzione delle necessità dell’uomo sintetizzate dal Movimento Moderno, il trinomio di abitare-lavorare-riposare standardizza i bisogni reali dell’uomo, considerando per lo più le problematiche spaziali a dispetto di quelle psicologiche. L’era post-industriale è caratterizzata da momenti di crisi, derivati spesso dalla rottura tra Stato e Nazione23, dalla dispersione globale delle fasi produttive, studiate attraverso processi di specializzazione: il nuovo sistema economico in deinitiva rompe gli schemi della vecchia igura del lavoratore, cambiando completamente i ritmi della vita e del lavoro di quest’ultimo24. 32 fig. 18 | città Di caStello, perugia, ex Seccatoi Del taBacco fig. 19 | città Di caStello, perugia, collezione Burri fig. 20 riccione, viSta generale Sull’ex fornace fig. 21 riccione, confronto tra i Due SiStemi murari Con il crearsi del settore terziario, non solo quindi si ha una rivalutazione della totalità della cultura umana, ma si pensa anche all’espansione del concetto da “Patrimonio Storico” a “Patrimonio Culturale”, allargando il campo di analisi alla totalità della ricchezza della cultura umana. Oggi è forte il bisogno di reintegrare quelle architetture nate in precedenza senza connotati estetici particolarmente rilevanti, sia per una questione storico-sociale, considerando l’archeologia industriale anche in ambito sociologico come rappresentazione e narrazione di un patrimonio derivante dalla storia dell’uomo, sia per una questione economica, come fonte di potenziale lusso turistico e quindi di rendita, e inine per una questione di sostenibilità ambientale, per poter così frenare il forte fenomeno di cementiicazione aggressiva, riscontrabile anche in Italia, come negli esempio fotograici addotti. fig. 22 | Schio, interni Del muSeo Della civiltà inDuStriale Si può dunque affermare che l’emissione di un giudizio di valore riguardo le così dette architettura industriali, deinite in precedenza come “architetture senza qualità”, è da intendersi come la prima presa di coscienza del loro valore storico e didascalico, per poter in seguito considerare l’auspicata rifunzionalizzazione dei complessi industriali. fig. 23 | Schio, contraSto tra carattere Stereotomico Storico e carattere tettonico moDerno. 33 note 1 G. FERA, Urbanistica. Teorie e storia, 2002, p.32 13 Vedi sociologia urbana e scuola di Chicago 2 VITRUVIO, De Architettura, libro X 4; 3-4, 5; 1-2 14 Vedi geograia economica ed economia dello spazio. A. NEGRI, C. DE SETA, TOURING CLUB ITALIANO, Archeologia industriale. Monumenti del lavoro tra XVIII e 3 15 Vedi Utopie Ottocentesche, esproprio, regolamenti edilizi. XX secolo, 1983, pp.80-95 16 4 C. AYMONINO, Origini e sviluppo della città moderna, Padova, 1971, p. 30 G. FERA, Urbanistica. Teorie e storia, Gangemi, 2002, p.49-53 A. NEGRI, C. DE SETA, TOURING CLUB ITALIANO, Archeologia industriale. Monumenti del lavoro tra XVIII e XX secolo,1983, pp. 96-117 17 5 Ivi nota 3 6 G. FERA, Urbanistica. Teorie e storia, Gangemi, 2002, p.32-35 P.CAPUTO, A. PIVA, C. FAZZINI, Archeologia del lavoro, Marsilio Editori, 1979, p.77 18 M. BIRAGHI, Storia dell’architettura contemporanea (1750-1945), v. 1, p.18 7 P.CAPUTO, A. PIVA, C. FAZZINI, Archeologia del lavoro, Marsilio Editori, 1979, pp. 136-137 19 8 M. BIRAGHI, Storia dell’architettura contemporanea (1750-1945), v. 1, p.39 9 Henry Ford (Dearborn, 30 luglio 1863 – Detroit, 7 aprile 1947) imprenditore statunitense. 10 Frederick Winslow Taylor (Germantown, 20 marzo 1856 – Filadelia, 21 marzo 1915) ingegnere e imprenditore. Emile Zolà (Parigi, 2 aprile 1840 – Parigi, 29 settembre 1902) Zola oltre alle sue opere più famose in cui espone le idee naturalistiche, pubblicò Nana (1880), sulla prostituzione e la piccola borghesia; La joie de vivre (1884), Germinal (1885), sulla vita dei minatori, che per la prima volta nella letteratura francese metteva al centro le lotte sociali. Le ultime opere furono ispirate ai valori del socialismo e del cristianesimo; soprattutto l’ultimo romanzo Lavoro (1901), apologia del lavoro salariato come occasione di redenzione cristiana, riscosse un successo particolare. 11 12 N. GARDINI, Il romanzo e l’industria, la lezione di Dickens, in www.treccani.it 34 A. NEGRI, C.DE SETA, TOURING CLUB ITALIANO, Archeologia industriale. Monumenti del lavoro tra XVIII e XX secolo,1983, pag. 96-117 L’Unesco nel 1995 ha inserito Crespi d’Adda nella World Heritage List in quanto “Esempio eccezionale del fenomeno dei villaggi operai, il più completo e meglio conservato del Sud Europa”. 20 21 G. FERA, Urbanistica. Teorie e storia, Gangemi, 2002, p.61 22 G. FERA, Urbanistica. Teorie e storia, Gangemi, 2002, p.84 23 Vedi: Zygmunt Bauman (Poznan, 19 novembre 1925) sociologo e ilosofo polacco. Ulrich Beck (Stolp, 15 maggio 1944 – 1º gennaio 2015) sociologo e scrittore tedesco. 24 Città di Castello La Fondazione Burri è stata costituita nel 1978 per volontà del pittore A. Burri. La Fondazione ospita in due sedi espositive a Città di Castello, Perugia, (Palazzo Albizzini ed Ex Seccatoi del Tabacco) la raccolta antologica più esaustiva su Alberto Burri. La Collezione Burri agli Ex Seccatoi è stata aperta nel luglio 1990, a seguito dell’acquisizione e ristrutturazione dei capannoni industriali utilizzati ino agli anni sessanta per l’essiccazione del tabacco tropicale. La struttura è stata costruita fra la ine degli anni cinquanta e la metà degli anni sessanta ed è stata dismessa negli anni settanta. Riccione Il progetto riguarda il recupero della ex-Fornace di Riccione, complesso industriale adibito alla produzione di laterizi, costruito nel 1908 e dismesso nel 1970. Il proposito progettuale è creare volumi architettonici semplici e riconoscibili, uniformando forme, materiali e colori, reinterpretando gli aspetti storici delle preesistenze archeologiche alla luce della contemporaneità; il progetto aspira ad una certa continuità con la Storia in termini disintassi compositiva, consentendo la trasformazione dell’uso delle opere nel tempo, senza che queste perdano la loro identità. L’intervento globalmente è improntato da un lato al recupero e alla valorizzazione degli elementi murari in laterizio esistenti dall’altro a differenziare il nuovo dall’esistente, mantenendo coerenza compositiva nell’intervento. Esternamente con i brise soleil di cotto si utilizza un materiale tradizionale in una forma innovativa portando coerenza e differenziazione nell’intervento. Schio Il nuovo Museo della Civiltà Industriale di Schio, nella sua costruzione, è stato caratterizzato da due fasi: nella prima fase si svolseil progetto del restauro conservativo e della ridestinazione; nella seconda fase si sviluppò il progetto per i due nuovi ingressi del Museo e per i relativi spazi espositivi. L’intervento aveva come obiettivo quello di raccogliere le testimonianze dell’importante storia industriale che ha caratterizzato lo sviluppo economico ed urbanistico della città di Schio, per educare non solo sulle macchine e sugli strumenti della produzione tessile, ma anche, e soprattutto, sui luoghi dove questa produzione avveniva. sitograFia Archeologia Industriale www.archeologiaindustriale.net Treccani www.treccani.it Wikipedia www.wikipedia.it Architettura italiana www.architettura-italiana.net Villaggio Crespi d’Adda www.villaggiocrespi.it doCUMentazione iConograFiCa Copertina (P. Behrens, Fabbrica Hoechst AG, Francoforte) | foto di Peter Hoppe Fig. 1 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org Fig. 2 | Caputo et alii op cit Fig. 3 | Caputo et alii op cit Fig. 4 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org Fig. 5 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org Fig. 6 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org Fig. 7 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org Fig. 8 | Tratta dal sito matthewjperlman.wordpress.com Fig. 9 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org Fig. 10 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org Fig. 11 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org Fig. 12 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org Fig. 13 | © LUIGI CHIESA 35 Fig. 14 | © Associazione Crespi d’Adda, www.crespidadda.it Fig. 15 | © Associazione Crespi d’Adda, crespidadda.it Fig. 16 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org Fig. 17 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org Fig. 18 | Tratta dal sito www.architettura-italiana.com Fig. 19 | Tratta dal sito www.architettura-italiana.com Fig. 20 | © MARCO CIAMPI Fig. 21 | © MARIO CIAMPI Fig. 22 | © LUCA FREGOSO Fig. 23 | © LUCA FREGOSO 36 38 3 | arCheologia indUstriale nel Mondo 3.1 arCheologia indUstriale nel PanoraMa internazionale Il processo di industrializzazione ha avuto origine in Inghilterra, nella seconda metà del Settecento, come conseguenza della rivoluzione industriale. Da lì la diffusione degli stabilimenti industriali ha interessato tutti i continenti, a partire da quello europeo ino ad arrivare a quello asiatico, passando per gli sviluppi del continente americano. Tuttavia, mentre l’industrializzazione, seppure in tempi diversi, ha visto una propagazione a livello mondiale, gli stati in cui oggi è presente la cultura della salvaguardia del patrimonio archeologico industriale sono quasi esclusivamente quelli europei e quelli nordamericani. Sul piano internazionale sono due le organizzazioni che si sono distinte per la promozione dell’archeologia industriale all’interno del mondo accademico: il TICCIH in Gran Bretagna e il SIA negli Stati Uniti. Gli obiettivi ed i protagonisti di queste due organizzazioni sono spesso convergenti. Il TICCIH è un’organizzazione internazionale che include diverse igure accademiche: storici, archeologici, professori, student e professionisti del patrimonio storico che hanno interesse nello sviluppare la conservazione della memoria della società industriale. L’oganizzazione è costituita da individui ed istituzioni, e si organizza attraverso associazioni nazionali in quelle nazioni dove sia riconosciuto un patrimonio industriale nazionale. Il TICCIH è l’organizzazione più presente sul piano internazionale, avendo sedi nella maggior parte dei paesi europei, nel Nord America e in numerosi stati dell’America Latina. Più rara la presenza in Africa, dove aderiscono soprattutto i paesi mediterranei, e in Asia1. Estremamente attivo anche il lavoro di studio e di catalogazione negli Stati Uniti, dove nel 1971 venne fondata la Society for Industrial Archaeology2. L’attività americana si distingue per l’accuratezza delle rilevazioni e della documentazione, risultato di collaborazioni interdisciplinari, cui tuttavia fa riscontro un atteggiamento meno rigoroso sul piano della conservazione e del riuso, non privi infatti di carattere speculativo. La igura principale dell’archeologia industriale americana è quella di Robert Vogel3 della Smithsonian Institution di Washington4 (cui fa capo anche la Society). Oggi i monumenti dell’industria sono normalmente inseriti nell’inventario dei beni d’interesse storico (National Register of Historic Places), mentre il governo federale ha promosso la costituzione dell’Historic American Engineering Record5 , cui è afidato il compito di catalogare il patrimonio industriale nazionale. 39 3.2 la qUestione della Conservazione del PatriMonio indUstriale negli stati Uniti la Preservazione del PatriMonio storiCo negli stati Uniti L’interesse verso il patrimonio storico negli Stati Uniti è a lungo esistito sotto diverse forme, a partire dal IX secolo in cui, su iniziativa di facoltosi privati, si hanno avuto diversi episodi di salvaguardia e conservazione di ediici storici sotto forma di istanze isolate6. Fino al XX secolo non erano presenti nel paese leggi federali riguardanti la protezione di questo tipo di patrimonio, e ino a tempi relativamente recenti gli Stati Uniti non hanno prodotto strumenti adeguati alla conservazione dell’edilizia storica. Nel 1906, una Public Law7 viene promulgata per incoraggiare la preservazione di strutture e oggetti di proprietà del governo statunitense. Tuttavia, bisognerà aspettare l’Historic Sites Act del 1935 per vedere negli Stati Uniti una volontà di preservare il patrimonio attraverso un approccio più deciso ed esauriente. Nella prima sezione del documento8 lo Stato si investe dell’incarico di «preservare per uso pubblico i siti storici, gli ediici e gli oggetto signiicativi a livello nazionale per l’ispirazione ed il beneicio del popolo degli Stati Uniti9» . Con questa legge, il National Park Service10 è stato incaricato di fare ispezioni di ediici e siti, al ine di determinarne il valore, condurvi ricerche, acquisire importanti siti storici e sviluppare programmi educativi pertinenti. Nel 1966 l’Historic Preservation Act ha dato un apporto strumentale alla legge sulla protezione del patrimonio storico permettendo l’espansione del National Register of Historic Places, con la redazione di una lista di «quartieri, siti, ediici, strutture, e oggetti signiicativi della storia, dell’architettura, dell’archeologia e della cultura americana11» . Con questo atto il Congresso ha stabilito programmi di preservazioni aiutando a livello inanziario gli stati ed il National Trust for Historic Preservation12. soCiety For indUstrial arChaeology | L’archeologia industriale negli Stati Uniti d’America è una disciplina che ha avuto, come in Europa, un grande sviluppo a partire degli anni ’70, soprattutto grazia alla fondazione della Society for Industrial Archaeology, che negli anni si è guadagnata una posizione di grande rilievo nel panorama accademico, ponendosi come obbiettivo quello di salvaguardare e studiare il patrimonio storico 40 industriale del paese13. Le origini della Società per l’Archeologia Industriale risalgono ad un’importante seminario sull’archeologia industriale tenutosi allo Smithsonian Institution a Washington D.C., l’11 aprile del 1967. La igura principale del seminario fu Kenneth Hudson, noto archeologo Britannico, autore di diverse pubblicazioni riguardanti la disciplina. Al seminario parteciparono una grande quantità di professionisti del settore museale e di autorità del governo federale, coinvolte nella tutela del patrimonio storico. Le sessioni si sono concentrate su cosa era necessario fare in Europa continentale ed in Gran Bretagna per promuovere lo studio dell’archeologia industriale, con una particolare attenzione alle misure che si sarebbero dovute prendere negli Stati Uniti in questo senso. Il seminario è stato sicuramente un evento promotore della successiva fondazione del SIA, avvenuta pochi anni più tardi. Il SIA nasce uficialmente con la conferenza tenutasi allo Smithsonian Institution il 16 ottobre 1971. Paul E. Rivard, direttore allora dell’Old Slater Mill Museum, propose un incontro per sviluppare e condividere informazioni tra le persone che si occupavano di questa “nuova” archeologia industriale. Theodor Anton Sande e Robert M. Vogel, organizzarono l’incontro, cui parteciparono circa 50 persone, da storici dell’architettura, archeologi, museologi a storici della tecnologia14. Questa riunione di igure e di campi di studio diversi contribuì allo sviluppo attuale della disciplina, che come sosterrà più tardi Sande sarà fondamentale al perfezionamento dell’archeologia industriale, che necessita di un approccio olistico e multidisciplinare15. Oggi il SIA si propone come un’organizzazione aperta a tutti gli appassionati dell’archeologia industriale, con l’obbiettivo di deinire dei metodi e delle linee guida per la diffusione e la pratica della disciplina. Nella prima uscita del Society for Industrial Archeology Newsletter (Ottobre 1972) vengono esposti i principali obbiettivi della società, che si possono riassumere nello scambio interdisciplinare delle informazioni, la produzione di informazioni bibliograiche pertinenti e la diffusione della disciplina attraverso l’educazione. fig. 1 | l’eDificio Della troy gaS light company, Situato a new york. la faBBrica rappreSenta uno Dei pochiSSimi eSempi rimanenti Di una tipologia molto comune nelle aree urBane Dell’america norDorientale Di DiaciannoveSimo Secolo. QueSta immagine, tratta Dall’hiStoric american engineering recorD, è Stata uSata Dal 1971 come logo Della Society for inDuStrial archeology. 41 42 la PerCezione della disCiPlina negli stati Uniti l’arCheologia indUstriale negli stati Uniti L’archeologia industriale è una disciplina che apre alla rilessione su diverse questioni, siano esse storiche o sociali. Lo sviluppo di questa negli Stati Uniti sarebbe banalmente ascrivibile alla realtà storica del paese, che vede nel suo apparato industriale la chiave del suo successo economico e del suo potere. Tuttavia, malgrado lo sviluppo industriale costituisca un momento estremamente signiicativo nella formazione degli Stati Uniti d’America, il suo ricordo e il suo studio sono stati oggetto di critiche e di un iniziale disinteresse del popolo statunitense, che vedeva nella disciplina lo studio e l’esaltazione di una realtà che aveva causato l’erezione di amenità architettoniche e di sofferenza. Fino a tempi recenti, anche in America, la regola è stata quella di guardare a questi oggetti come al frutto di un imbarazzante utilitarismo, di ignorarli se possibile o di criticarli. Questo atteggiamento è meno evidente oggigiorno. Come scrive Teodor Andon Sande nel 1976: «Si stanno rivalutando i mulini, le fabbriche, le stazioni, le abitazioni industriali e tutte quelle strutture usate quotidianamente dalle precedenti generazioni. Le stiamo imparando a guardare e a trovare in loro un intero nuovo oggetto di studio e apprezzamento. Ormai è chiaro che questi siti industriali, vecchi e recenti, siano parte essenziale della storia Americana. Come si aggiungono più capacità e forze allo studio di questo tema, l’archeologia industriale entra in essere. Attraverso la Società per l’archeologia industriale e ad una crescente letteratura, questo campo ha già superato importanti traguardi nell’accumulazione di un importante corpo di conoscenze sulla storia industriale nordamericana16». Paul A. Shackel mette in luce le discrepanze tra la storia uficiale ed uficiosa del lavoro e del capitalismo, sostenendo che la comprensione di questi siti industriali mette in luce la realtà del popolo Americano, inteso come comunità e come nazione17. Per Shackel, considerare il lavoro operaio come una componente integrante dell’archeologia industriale ci consente di avere gli strumenti necessari per rivisitare la storia dei siti industriali, e ci consente di pensare al lavoro operaio in termini evolutivi. Theodor Anton Sande18 , nel 1976 colloca gli Stati Uniti d’America nell’era post-industriale: «ovvero un tempo in cui fabbriche, centrali elettriche, ferrovie, autostrade, ecc., appartengono ormai al passato, e non al futuro. La teoria post-industriale ci insegna che questa forte spinta industriale si è esaurita e che è ora di riconoscere una nuova e vasta serie di differenti princìpi19». L’aumentare dell’interesse verso l’archeologia industriale, avvenuto proprio a cavallo tra anni 80 e 70, è da interpretarsi come una voglia di apprendere e apprezzare ciò che è stato da poco perso, soprattutto in un ambito, quello Statunitense, dove questo patrimonio è ciò che più rappresenta la società Americana, sia dal punto di vista storico che culturale. Se già da inizio ‘800 gli europei tendono a riconoscere i loro princìpi morali e la loro cultura in un ideale medioevo, gli Statunitensi vedono nell’industria e nella produzione industriale la loro identità più autentica. È questo modo di vedere gli strumenti e gli ediici della società industriali come artefatti culturalmente signiicativi che è caratteristica dell’archeologia industriale, pratica che in America prenderà piede con un leggero ritardo rispetto all’Europa. Probabilmente nessuno degli uomini coinvolti nella costruzione delle moderne industrie potrebbe aver pensato che l’industria sarebbe diventata l’oggetto di un serio studio da parte di un’ampia quantità di persone, dagli studenti agli amateurs entusiastici, che si fanno chiamare archeologi industriali. bUFFalo: l’eMbleMa nordaMeriCano dello svilUPPo edile indUstriale | La città di Buffalo, New York, occupa una posizione straordinaria, sia nella storia della tecnologia Americana (e mondiale), sia dal punto di vista architettonico, che la rende una sorta di Coalbrookdale20 dell’archeologia industriale Nordamericana.21 Ciò che ha caratterizzato la città di Buffalo nel suo percorso di sviluppo industriale è stata senz’altro la vicinanza con una fonte di energia idroelettrica a basso costo, proveniente dalle cascate del Niagara. Questo vantaggio ha reso possibile un’età d’oro dal punto di vista edilizio, che si è protratta dal 1890 al 1925. I due silos della città di Buffalo, il Washburn-Crosby e il Dakota, furono ripresi da Gropius nel suo articolo Die Entwicklung Moderner Industrie-baukunst del 1913, che contribuì a creare l’immagine del silos che persiste in Le Corbusier, Mendelsohn, Brun Taut, Lewis Mumford, per diventare lo standard mondiale di un futuro funzionale, onesto e geometricamente semplice. Il tesoro architettonico che l’industria di Buffalo ha prodotto durante la sua crescita economica sono impressionanti in quantità e qualità. Un’opera importantissima nella storia dell’architettura è senz’altro l’ediicio per ufici della Larkin Company, realizzato da Frank Lloyd Wright, ediicio che oggi purtroppo non possiamo più vedere a causa della sua demolizione nel 1950. Oggi non restano che pochi pezzi di muro del vecchio palazzo, tra i quali è stato installato un parcheggio. Caso aMeriCana west Point FoUndry di stUdio di arCheologia indUstriale del ventUnesiMo seColo: la La West Point Foundry è stata costruita nel 1817 nella Hudson River Valley, per volontà di prominenti uomini d’affari e igure militari. La fonderia si è specializzata per oltre 100 anni nella produzione di armamenti per la Marina Americana, nello speciico di cannoni. Nello stabilimento venivano prodotti inoltre oggetti d’impiego civile, come stoviglie o implementi per le prime locomotive americane. L’attività della West Point Foundry comprendeva tutti gli aspetti della produzione, dall’ottenimento delle materie prime alla distribuzione. Il successo della fabbrica era da ricercarsi nello stretto rapporto che aveva con lo stato e le igure detenenti il potere all’epoca. fig. 2 | new york, weSt point founDry Il sito della West Point Foundry, della dimensione di circa 40 ettari, rimase in stato di totale abbandono negli ultimi cento anni, ino a quando la Scenic Hudson Land Trust Inc. la rilevò nel 1996 con l’intento di preservare gli spazi verdi e di migliorare l’accessibilità del iume nella valle dell’Hudson. Presa coscienza del valore storico del sito rileato, la Scenic Hudson ha stabilito una collaborazione con il programma di archeologia industriale della Michigan Technological University, al ine di sfruttare e di sviluppare la dimensione storica del sito22. Il sito fa parte oggi di un’aria protetta dalla Scenic Hudson aperta per un breve tratto alle visite del pubblico dalla vicina stazione di Cold Spring Metro-North. Tra il 2002 e il 2008 la Michigan University ha portato avanti un’importante studio archeologico che ha portato alla luce diversi macchinari ed informazioni storiche della fabbrica. fig. 3 | new york, weSt point founDry, viSta interna 43 3.3 arCheologia indUstriale in eUroPa L’Europa vanta una serie di atti pionieristici nell’ambito dell’archeologia industriale, intesa non solo nella sua accezione più accademica, ma anche come oggetto espositivo, che può suscitare l’interesse del grande pubblico. L’origine dell’archeologia industriale come pratica formale è da cercarsi in Gran Bretagna, nella prima metà degli anni Cinquanta, per approfondire la conoscenza della storia del passato e del presente produttivo, prendendo in analisi le tracce archeologiche generate nei luoghi in cui questi processi hanno inizio, dalla seconda metà del Settecento, prima fase della rivoluzione industriale, ino ai giorni nostri. Secondo Hudson23, la disciplina ha conosciuto in Gran Bretagna tre fasi di sviluppo. Le prime due pionieristiche e spontaneistiche, caratterizzate dall’urgenza di compilare un primo inventario dei beni superstiti. La terza, a partire dalla prima metà degli anni Settanta, applicata alla discussione sui problemi di metodo. Nel 1973 fu costituita l’Association for Industrial Archaeology24. Nel frattempo si era fatta progressivamente strada la convinzione di un necessario ampliamento cronologico e dell’estensione della materia allo studio del paesaggio e dell’ecosistema. Al giorno d’oggi la Gran Bretagna può contare su una rete molto vasta di associazioni locali, mentre presso l’Università di Bath si trova il National Record of Industrial Monuments25, dipendente dal Council of British Archaeology26. Nel frattempo si era fatta progressivamente strada la convinzione di un necessario ampliamento cronologico e dell’estensione della materia allo studio del paesaggio e dell’ecosistema. Al giorno d’oggi la Gran Bretagna può contare su una rete molto vasta di associazioni locali, mentre presso l’Università di Bath si trova il National Record of Industrial Monuments , dipendente dal Council of British Archaeology . L’attività conservativa, coordinata dal Ministero dei Lavori Pubblici, ha avuto sviluppi interessanti. L’esempio più importante è dato dall’Ironbridge George Museum Trust Ltd, diretto da Neil Cossons27, uno dei più eminenti archeologi industriali. Altrettanto importante è il complesso delle Saline reali di 44 Chaux (Arc et Senans), opera del celebre architetto C. N. Ledoux. In Francia due sono gli organismi principali per la catalogazione e la conservazione del patrimonio industriale: il Conservatoire National des Arts et Métiers28 (dal 1794) ed il Musée des Arts et Traditions Populaires29. In Belgio l’interesse relativamente recente per la materia appare particolarmente legato allo studio del rapporto fra industrializzazione e paesaggio ed ai problemi di recupero dei principali complessi industriali: ad esempio i villaggi carboniferi di Le Grand Hornu e di Bois-du-Luc. Gli esempi della più rigorosa impostazione metodologica vengono però dai Paesi ex comunisti: Polonia, Cecoslovacchia e Repubblica Democratica Tedesca, in cui l’Archeologia Industriale ha trovato la sua naturale collocazione nell’ambito della “cultura materiale”. fig. 4 | arc et SenanS, Saline reali Di chaux fig. 5| hornu, villaggio carBonifero le granD hornu fig. 6 | la louviere, vollaggio carBonifero BoiS-Du-luc Agli inizi dell’industrializzazione possiamo identiicare, in Spagna, due tipi di architettura industriale: una accademica (stili storicisti), l’altra più sperimentale, perpetrata non da architetti, quanto più da tecnici di settore (costruttori di mulini, capicantiere, ecc…). Questa seconda “corrente”, più o meno inconsciamente ha contribuito a rivitalizzare l’architettura accademica, offrendole nuovi spunti. In Portogallo gli esempi di archeologia industriale sono collegati ai processi produttivi : nei suoi spazi si realizza un processo che è industriale soltanto in minima parte, dal momento che il sistema produttivo ha una forte componente artigianale. inghilterra: ironbridge gorge MUseUM trUst | Nei paesi anglosassoni, oltre che al relativo studio e conservazione, si è pervenuti anche a notevoli realizzazioni di riuso e di popolarizzazione di ediici industriali, macchinari, ambienti e territori, sedi storiche del processo di industrializzazione. L’attenzione era rivolta principalmente alle rimanenze isiche e alla qualità della documentazione. Questo atteggiamento verso i beni archeo-industriali ha avuto un importante impatto sui valori culturali. Ogni contea in Inghilterra presenta un museo dedicato alla storia delle industrie, generalmente incentrato su un importante sito, e impegnato attivamente per il pubblico. Molti siti e paesaggi sono esempio di signiicativi sforzi di preservazione ed interpretazione. Come primo esempio, viene subito in mente l’Ironbridge. Questo è conosciuto in tutto il mondo come il simbolo della Rivoluzione Industriale. Il sito contiene tutti gli elementi di progresso che contribuirono al rapido sviluppo di questa regione industriale nel XVIII secolo, dalle mine alle linee ferroviarie. Situato a Coalbrookdale, l’Ironbridge è il primo ponte interamente in ghisa, che valica il Severn a sud di Telford, new town nella contea dello Shropshide. Il manufatto, è articolato su cinque arcate a tutto sesto, per una lunghezza di 30.6 m. Qui, nel 1709, Abraham Darby30 introdusse nuove tecniche che permisero una produzione su larga scala di ferro: usò per la prima volta il coke per produrre ghisa. Fu suo nipote, Abraham Darby III31, che nel 1779 realizzò il suddetto ponte. Il paesaggio locale è stato completamente trasformato dalla lunga attività umana e conserva numerose tracce del suo passato industriale. Oggi l’Ironbridge Gorge Museum Trust è un gigantesco Eco-museo all'aria aperta e uno dei maggiori interventi di recupero di archeologia industriale del mondo; è costituito, oltre che dal ponte in ghisa, dalle famose fonderie Darby, da miniere, depositi, villaggi operai, infrastrutture, riuniti in un solo complesso amministrativo che ne cura la manutenzione e la gestione. Questa serie di musei, lungo un percorso di circa una decina di chilometri, racconta la storia dell'industrializzazione dell'area. 45 fig. 7 | ironBriDge gorge fig. 8 |ironBriDge gorge gerMania: ristrUttUrazione ed aMPliaMento del MUseo Minerario tedesCo di boChUM | In Germania è forte l’attenzione nei confronti della Industriekultur, letteralmente “cultura industriale”. Uno dei primi impulsi verso la divulgazione del bene industriale al grande pubblico venne dato dall’istituzione del Deutsches Museum di Monaco di Baviera nel 1903, insediato in un vecchio complesso industriale, che oggi si conigura come il più importante museo di scienza e tecnologia al mondo. I danni causati dalla seconda guerra mondiale porteranno a un impegno signiicativo, a livello europeo, verso la conservazione e tutela del patrimonio industriale. Verranno infatti svolti importanti congressi internazionali, tra cui uno, nel 1975, proprio in Germania, a Bochum, città nota per il suo museo minerario, la cui conservazione è divenuta simbolo dell’interessamento verso ediici industriali di un passato recente. Il museo minerario tedesco di Bochum (Deutsches Ber- 46 gbau-Museum Bochum abbreviato DBM), fondato nel 1930, con una supericie espositiva di 12000 mq, una miniera sotterranea che si sviluppa per 2,5 km e una torre d’estrazione, è uno dei più importanti musei minerari del mondo e uno dei musei più visitati della Renania Settentrionale-Vestfalia. Per il riallineamento strategico del museo il DBM ha lanciato, nel 2013, il progetto “DBM 2020”. Questo progetto ha lo scopo di riposizionare il museo agli occhi dell’opinione pubblica, e quindi a garantirne il futuro. Il DBM sarà ulteriormente sviluppato come un centro di ricerca centrale per l’estrazione e l’utilizzo di georisorse e come il luogo della memoria dell’industria carboniera tedesca. L’attuazione degli interventi di natura strutturale si svolge in quattro fasi costruttive. La prima prevede la riparazione completa della metà settentrionale dell’ediicio principale, che in futuro comprenderà mostre sul patrimonio dell’industria carbonifera tedesca e sulla storia culturale delle miniere. Nella seconda fase è programmata la riabilitazione della metà meridionale dell’ediicio principale seguita dal rinnovamento della mostra orientata alla ricerca di georisorse. La terza è volta all’istituzione di alcuni depositi scientiici in una ex sala per la miscelazione del carbone; questa soluzione, di quasi 5000 mq di supericie, è destinata all’ archiviazione di documenti. La fase inale, invece, prevede l’istituzione di un corpo adiacente all’ediicio principale con circa 2000 mq di supericie. Il inanziamento per la fase di costruzione è garantito da un pegno di fondi di terzi. Ulteriori sezioni sono ancora in fase di richiesta di contributi pubblici.32 fig. 9 | Bochum, muSeo minerario teDeSco Di Bochum Portogallo: il Caso delle “Cantine del vino di Porto” a vila nova de gaia |Il caso di studio di seguito presentato evidenzia le caratteristiche dell’archeologia industriale portoghese, legata ai processi di produzione. Quello delle Cantine del vino di Porto è un complesso sorto a partire da metà del XVII sec., nella città di Vila Nova de Gaia (situata nell’area metropolitana di Oporto) con un manifesto valore patrimoniale, pur fondandosi su un’ architettura di tipo spontaneo pensata per essere soltanto funzionale e priva di quelle qualità estetiche che invece caratterizzano molti altri ediici industriali. Le Cantine del vino di Porto sono una delle espressioni più marcanti della cultura materiale portoghese, un esempio notevole di capacità d’occupazione del suolo, di funzio- nalità tipologica. Tutte queste caratteristiche, insieme alla monumentalitá dei luoghi, renderebbero questo complesso particolarmente adatto a essere trasformato in museo, un museo di se stesso all’aria aperta, dove gli oggetti esposti fossero gli stessi ediici. L’area in cui cui si ha la produzione del Vino di Porto è situata nella riva sinistra del iume Douro, di fronte alla città di Porto. Questa si conigura come un triangolo i cui vertici sono Porto (polo amministrativo), Regua (polo produttivo) e Vila Nova de Gaia (polo commerciale). Nella città di Gaia vi è l’area industriale, in cui sorgono dei capannoni nei quali è immagazzinato il vino di Porto prima che entri nel circuito commerciale. Il complesso degli ediici viene appunto identiicato come “Cantine del fig. 10 | vila nova De gaia, viSta Delle cantine Dal ponte D. luiS, metà xx Secolo fig. 11 | vila nova De gaia, viSta Delle cantine Dal ponte D. luiS, Stato attuale 47 vino di Porto. Quest’area, posta a ridosso del iume Douro, si formò a metà del XVIII secolo, e attualmente è costituita da una serie di manufatti edilizi legati alla produzione del vino . L’area in oggetto e i manufatti inclusi mostrano un’unità morfologica, ma hanno subito nel tempo un lento e inesorabile processo di degrado. Per questo il Comune di Vila Nova de Gaia e alcune delle compagnie produttrici del vino di Porto hanno avviato, negli ultimi tempi, dei lavori di recupero sull’ediicato e riqualiicazione del tessuto urbano. Gli esiti non sono però stati soddisfacenti, a causa della mancanza di una linea unitaria d’azione che considerasse questa serie di manufatti industriali come un unicum, esempio mirabile sia di architettura industriale che di impianto urbano. Svolgendo un’analisi d’insieme, le principali caratteristiche del caso speciico sono: -Straordinarietà delle dimensioni: le Cantine occupano infatti una supericie di circa 143 ha, che corrisponde al perimetro del Centro Storico della città, che ne fanno uno dei pochi esempi europei di grande concentrazione per supericie e densità di una realtà produttiva legata al vino in ambito urbano; -suggestività dei luoghi, legati alla bellezza del paesaggio e alla monumentalità dell’insieme in antitesi al degrado urbano e sociale; -anomalia della sua collocazione urbana: infatti si tratta di una zona di produzione industriale, in parte ancora attiva, che occupa quasi per intero l’area corrispondente al centro storico della città di Gaia e quasi a ridosso del centro storico di Porto. Sarebbe auspicabile che le strategie di intervento fossero volte a fornire un contributo allo sviluppo compatibile del complesso. Il recupero di questa zona potrebbe rappresentare un’occasione unica per il rilancio dell’intera città: si potrebbe pensare di dotarla per nuove funzioni, per esempio di tipo culturale, che possano dare l’incipit per un processo di trasformazione urbana, pur nel rispetto della memoria storica.33 48 note 1 Sito uficiale del TICCIH: www.ticcih.org La Society Industrial Archaeology (SIA) è un’organizzazione nordamericana dedicata allo studio e alla conservazione di siti e strutture storico-industriali, fondata nel 1971. 2 3 Richard M. Vogel è un professore di ingegneria civile e amientale, membro dello Smithsonian Institution di Washington. 4 Lo Smithsonian Institution è un istituto di istruzione e ricerca con annesso un importante museo, amministrato e inanziato dal governo degli Stati Uniti. La sede principale si trova a Washington. 5 L’Historic American Engineering Record (HAER) venne fondato nel 1969 dal National Park Service per la documentazione di siti storici e strutture attinenti all’ingegneria e all’industria. una legge organica del Congresso. 11 Historic Sites Act, 21 agosto 1935 (49 Stat. 666; 16 U.S.C. 461-467). Section 1: declaration of national policy. 12 Acquisita dal Congresso nel 1949, fu la prima fondazione privata no-proit con l’obbiettivo di incoraggiare la preservazione storica dei monumenti. 13 Sito uficiale del Society for Industrial Archaeology www. sia-web.org CHARLES K. HYDE, IA, The Journal of the Society for Industrial Archeology, Vol. 17, No. 1 1991 Copyright 19911999, The Society for Industrial Archeology 14 15 THEODORE ANTON SANDE, Industrial Archaeology, A new look at the American Heritage, Penguin Books, New York, 1976 THEODORE ANTON SANDE, Industrial Archaeology, A new look at the American Heritage, pag. vii, Penguin Books, New York, 1976 16 6 L’evento singolo più importante riguardante la preservazione di ediici storici occorso nel XIX secolo è rappresentato dalla fondazione di Ann Pamela Cunningham: la Mount Vernon Ladies’ Association, creata con l’intento di salvare la casa di George Washington, che avevano acquisito nel 1858. 7 Un Act of Congress degli Stati Uniti, ovvero uno statuto promulgato dal parlamento contenente norme rivolte sia al pubblico (Public Law) o ad individui ed istituzioni speciici (Private Law) La parte relativa alla 16 U.S.C. 461, ovvero la Declaration of national policy 8 Historic Sites Act, 21 agosto 1935 (49 Stat. 666; 16 U.S.C. 461-467). Section 1: declaration of national policy. PAUL A. SHACKEL, Labor’s Heritage: Remembering the American Industrial Landscape, Historical Archaeology, 2004 17 Theodor Anton Sande è un architetto e storico dell’architettura, formatosi a Yale e all’University of Pennsylvania. È stato uno dei “padri fondatori” della Società per l’Archeologia industriale, di cui è stato il primo presidente. THEODORE ANTON SANDE, Industrial Archaeology, A new look at the American Heritage, Penguin Books, New York, 1976 18 THEODORE ANTON SANDE, Industrial Archaeology, A new look at the American Heritage, Penguin Books, New York, 1976 9 19 10 L’agenzia federale statunitense incaricata della gestione dei Parchi nazionali, dei monumenti nazionali e di altri luoghi protetti. Fu creato il 12 agosto 1916 mediante 20 Villaggio inglese sul bordo del iume Severn che fu culla dell’industria mineraria e metallurgica della prima 49 formazione nell’ambito del patrimonio industriale. artigianale essenzialmente dal XIX secolo ino al 1960. 21 REYNER BANHAM, febbraio 1980, Buffalo Archaeological. The Architectural Review 996, pp. 88-94 30 PATRICK E. MARTIN (2009). Industrial Archaeology. Tratto dall’International Handbook of Historical Archaeology (pp. 285–297) di T. Majewski e D. Gaimster. New York, NY: Springer. della rivoluzione industriale inglese e la storia della siderurgia. 22 23 Kenneth Hudson (1916-1999) è stato uno studioso e divulgatore di storia sociale ed industriale, nonché fondatore e direttore nel 1963 della rivista “The Journal of Industrial Archaeology” 24 L’Association for Industrial Archaeology (AIA) fu instituita nel 1973 per promuovere lo studio dell’archeologia industriale e per incoraggiare operazioni di ricerca, conservazione e pubblicazione. 25 Il National Record of Industrial Monuments (NRIM) venne creato come archivio centrale dei documenti catalogati da Angus Buchanan all’Università di Bath. 26 Il Council of British Archaeology (CBA) fu istituito nel 1944 ed è un organismo che opera nel Regno Unito per coinvolgere le persone nell’archeologia e favorire l’apprezzamento e la tutela dei beni storici. Sir Neil Cossons (1939) è stato Direttore del Museo delle Scienze di Londra. Fu il primo direttore dell’Ironbrifge Gorge Museum Trust dal 1971, e poi del National Maritime Museum, Greenwich dal 1983. 27 28 Il Conservatoire National des Arts et Métiers (CNAM) è un famoso e prestigioso organismo di concessione di istruzione superiore, gestito dal governo francese, dedicato a fornire l’istruzione e la conduzione di ricerche per la promozione della scienza e dell’industria. Venne fondato durante la Rivoluzione Francese, nel 1794. 29 Il Musée national des Arts et Traditions Populaires (MNATP) è un ente pubblico fondato nel 1937 da Georges Henri Rivière . Ha presentato una visione d’insieme della società francese tradizionale, rurale ed 50 Abraham Darby (1678-1717) fu un imprenditore inglese, pioniere dell’industria siderurgica e il primo di una dinastia di fonditori che hanno caratterizzato il primo periodo 31 Abraham Darby III (1750-1791). Nipote di Abraham Darby, proseguì l’attività di famiglia, avviando anche la produzione di rotaie. 32 Informazioni ottenute dal sito di Europaconcorsi : www. europaconcorsi.com 33 G.C.GUAZZO, Archeologia industriale in Portogallo : Il caso delle cantine del vino di Porto a Vila Nova de Gaia, in M. STOCHINO, M. PIRAS, J. MIGONE RETTIG (a cura di), Congreso Internacional : Puesta en valor del patrimonio industrial sitios, museos y casos, pp 75-78 Fonti bibliograFiChe e sitograFia doCUMentazione iConograFiCa THEODORE ANTON SANDE, Industrial Archaeology, A new look at the American Heritage, Penguin Books, New York, 1976 Copertina © Tratta dalla voce di Bochum su: www. wikiwand.com Fig. 1 | commons.wikimedia.org THEODORE ANTON SANDE, Industrial Archaeology and the Cause for Historic Preservation in the United States, in Historical Archaeology, Vol. 11 (1977), pp. 39-44, Society for Historical Archaeology (SHA). Stone Mountain, Georgia CHARLES K. HYDE, IA, The Journal of the Society for Industrial Archeology, Vol. 17, No. 1 1991 Copyright 19911999, The Society for Industrial Archeology PAUL A. SHACKEL, Labor’s Heritage: Remembering the American Industrial Landscape, Historical Archaeology, 2004 REYNER BANHAM, Buffalo Archaeological. in “The Architectural Review” 996, pp. 88-94. Febbraio 1980 PATRICK E. MARTIN. Industrial Archaeology. In di T. MAJEWSKY e D. GAIMSTER International Handbook of Historical Archaeology (pp. 285–297). New York, 2009 MANFRED WEHDORN, FERNANDEZ ORDONEZ (a cura di), Conseil d’Europe. Situation du patrimoine bâti technique et industriel en Europe, Strasburgo, 1985 G. DE MARTINO, Archeologia Industriale, wikitecnica.com/archeologia-industriale B.CORTI, Archeologia Industriale, enciclopedia/archeologia-industriale www. Fig. 2 | © Paulson Brothers Ordnance Corp. www. civilwarartillery.com/westpoint Fig. 3 | © Paulson Brothers Ordnance Corp. www. civilwarartillery.com/westpoint Fig. 4 | © PATRICK GIRAUD, Fotograia dal sito www. casabellaweb.eu, Fig. 5 | © Fotograia dal sito www.mac-s.be Fig. 6 | © BERNARD VANROYE, Fotograia dal sito www. ecomuseeboisduluc.be Fig. 7 | © AMOS CHAPPLE, Fotograia dal sito whc.unesco. org Fig. 8 | © Fotograia dal sito whc.unesco.org Fig. 9 | © JOCHEN SCHLUTIUS, Fotograia dal sito www. germany.travel Fig. 10 | © Fotograia dal sito www.academia.edu Fig 11 | © Fotograia dal sito www.academia.edu www.treccani.it/ G.LAMELZA, La nascita della salvaguardia del patrimonio industriale in Inghilterra da Hudson a Rix, aimol.altervista. org/archeologia-industriale P. E. MARTIN, Industrial Archaeology, www.mtu.edu 51 52 4 | l’arCheologia indUstriale in italia 4.1 PrograMMazione e gestione del reCUPero delle aree disMesse in italia In Italia la questione delle aree dismesse nasce verso la ine degli anni Settanta1, con la crisi della grande industria e la dismissione dei grandi complessi industriali siderurgici, meccanici, chimici e petroliferi (ig. 1). Tuttavia sono gli anni Ottanta/Novanta il riferimento cronologico in cui questa problematica inizia ad acquisire parvenze signiicative: un esemplare caso fu il grande laminatoio costruito a Napoli nello stabilimento siderurgico di Bagnoli2 del Gruppo IRI3 (ig. 2), entrato in funzione nel 1984 e chiuso dopo pochi anni. Il tema del disuso ha assunto nel corso del tempo un’importanza crescente e rilevante, sia per le dimensioni – solo alcuni anni fa si contavano almeno 100 milioni di mq circoscritti solamente alle città capoluogo di provincia - ma specialmente poichè, annesso a questo fenomeno, vi si è innescato un deleterio processo di degrado isico, ambientale e sociale, generatore del deterioramento e deperimento delle città stesse. Nonostante l’evidente necessità di un’operazione razionale di interventi, che ha posto dunque con urgenza la problematica della riconversione, i provvedimenti portati al termine ino alla metà degli anni Novanta sono risultati assai scarsi e ottenuti solo dopo considerevoli attese: tra i più celebri si citano gli stabilimenti PirelliBicocca a Milano4 (ig. 3), Fiat-Lingotto a Torino5 (ig. 4), Ilva-Campi a Genova6 (ig. 5). Le cause sono incentrate in un fattore prettamente economico, legato sia ai costi che ai ricavi degli interventi. Sul piano urbanistico dal dopoguerra in poi l’unico modello di sviluppo è stato quello della espansione urbana, tuttavia, i costi degli interventi di trasformazione sono risultati notevolmente superiori, legati ad un’operazione più speciica di preurbanizzazione comprendente demolizioni e boniiche. Va inoltre considerata agli inizi degli anni Novanta una nuova lessione del mercato immobiliare, che ino ad allora aveva invece sempre mostrato un trend di continuo sviluppo. La risultante di queste componenti sono stati tempi di attuazione di addirittura 10-15 anni, trascurando la casistica di interventi mai portati a termine. fig. 1 | SeSto San giovanni, ex area falk, interno Dello StaBilimento t5 Del comparto concorDia. fig. 2 | Bagnoli, StaBilimento Sala macchine Di Bagnoli Dell’ilva , laminatoio, 53 fig. 3 | milano Bicocca, StaBilimento pirelli nel 1922 fig. 4 | torino, StaBilimento lingotto fiat nel 1928 54 fig. 5 | genova, capannoni Dell’anSalDo nella frazione Di campi La svolta si è veriicata nella seconda metà degli anni Novanta, in cui la società ha sviluppato una sensibilità sempre più incisiva riguardo il tema delle aree dismesse, rivalutando l’originaria problematica come una nuova importante risorsa di rinnovo della città. L’entrata nel mercato globale e l’ingresso in Europa ha determinato l’esaltazione della competizione tra le città e le regioni, evidenziando il divario soprattutto tra città italiane ed europee, specialmente in termini di servizi urbani e di dotazioni infrastrutturali e tecnologiche. Le aree dismesse, grazie alla non indifferente collocazione strategica nel contesto urbano, si sono qualiicate come privilegiate sedi centrali per funzioni terziarie e servizi di alto rango. Si è così valutata l’esigenza di una cooperazione, un comune accordo tra settore pubblico e privato, per la realizzazione di interventi di interesse comune, e dunque la necessità della creazione di nuovi strumenti di pianiicazione, i cosidetti “programmi complessi”7 di contrattazione negoziata. Nasce così l’epoca della concertazione tra pubblico e privato. Questa tipologia pianiicatoria si contraddistingue per due fondamentali caratteristiche: si declinano in alternativi piani di sviluppo che possono essere redatti come variazioni agli ordinari piani regolatori e vengono approvati con procedure sempliicate, o, possono concernere tematiche e concetti economici di intervento volti a prevedere e controllare le risorse inanziarie statali e comunitarie. Il rilancio si ebbe con i Programmi di riqualiicazione urbana (PRU)8, avviati alla ine del 1994 grazie all’ottenimento di una buona dotazione inanziaria: circa 800 miliardi del Governo, ed altri ancora con risorse europee e regionali. L’esperienza dei PRU ha determinato un successo autorevole, almeno nelle città medio grandi, con principali interventi riconducibili a opere di boniica, portando ad un progresso importante per tutta la panoramica dell’archeologia industriale. Quasi tutti gli originari interventi di recupero italiani si sono convertiti in trasformazioni radicali. Molti degli ediici industriali preesistenti sono stati abbattuti per lasciar posto a nuovi insediamenti urbani, destinati a mix funzionali di tipo residenziale, terziario e per grandi servizi, come ad esempio, tra i casi più illustri, La Spina Centrale a Torino9, Campi a Genova10, Novoli a Firenze11, Bagnoli a Napoli12 (ig. 6) e tanti altri ancora. fig. 6 | napoli, Quartiere commerciale-reSiDenziale Di Bagnoli fonDato Sull’antica area inDuStriale 55 Quasi sempre tuttavia, all’interno dei complessi industriali, si ritrova qualche fabbricato o qualche elemento che, per ragioni architettoniche o di semplice memoria storica, acquisisce un valore per cui ne si attua la sua conservazione. E’ proprio in questi contesti che prende avvio la questione dell’archeologia industriale: come confrontarsi con la preesistenza? Gli enti statali e comunali sono chiamati all’esaminazione degli ediici esistenti al ine di stabilire una ipotetica gestione e manutenzione, eventualmente convertendoli in strutture atte ad accogliere nuove funzioni. Ed è soprattutto la Soprintendenza dei beni ambientali e architettonici l’istituzione pubblica che svolge un ruolo predominante nel decretare e sancire lo stato futuro del manufatto oggetto di studio, deinendo una serie di prescrizioni vincolanti che precludono qualsiasi contestazione o modiica. Sorge dunque un nuovo quesito su quali siano le possibilità di intervento e le rispettive limitazioni e quale stato potenziale si possa attribuire al reperto. L’analisi trova origine da uno speciico coeficiente di partenza. La riconversione delle aree dismesse infatti è a tutti gli effetti un’operazione di tipo imprenditoriale; certamente più complessa di altre in quanto deve confrontarsi non solo con il mercato, rispettando dunque rigide condizioni di natura economico-inanziaria, ma anche con le procedure tecnico amministrative della pianiicazione e quindi con ulteriori vincoli di natura politica e sociale. Il sistema di rinnovo deve mantenere un costante riferimento al bilancio costi-beneici. I criteri per determinare questi parametri costituiscono un delicato procedimento ove la valutazione di ciascuna variabile, tecnico-amministrativa e economicoinanziaria, risulta essenziale. In aggiunta a questo fondamentale aspetto economico, il riuso industriale non può prescindere dal confronto con i termini di tipo storico-culturale, di cui si avvalora un dato manufatto, e con una serie di componenti che possono conseguentemente rivelarsi veri e propri vincoli di progettazione, nonostante questi siano in realtà vagamente e arbitrariamente deiniti e costituiscano il frutto di una consolidata tradizione sociale. Un tipo di riuso che nel corso degli anni ha trovato terreno fertile su cui radicarsi riguarda la reindustrializzazione. 56 Se in una prima fase gli interventi di trasformazione sono stati prettamente destinati ad un uso urbano e residenziale, successivamente la domanda di residenza e soprattutto di terziario è divenuta sempre più debole, rispetto ad una sempre più sostenuta domanda per le attività industriali. Il nuovo polo del mercato si è conigurato così non tanto nell’industria pesante, quanto invece nella piccola impresa, la così detta new economy13. Questa nuova tecnica di riconversione delle preesistenze a scopi produttivi – è il caso di stabilimenti meccanici e siderurgici ma anche minerari - si è contraddistinta nella nuova risorsa principale dell’economia, trovando col tempo differenti declinazioni evolutive, come musei e parchi mineralogici, oltre che come aziende di stampo commerciale e turistico. Oggi, nonostante i successi siano ancora esigui e limitati, siamo proiettati verso una nuova politica di sviluppo, alla quale devono essere riconosciuti importanti progressi, economici e sociali. I nuovi termini di trasformazione si riferiscono dunque ad una profonda rigenerazione e rinascita interiore, che gradualmente sta avanzando i primi passi verso la riconquista della qualità non solo urbana, ma anche e soprattutto sociale. fig. 7 | roma, ex mattatoio Di teStaccio riconvertito DiDattici per la facolta Di architettura Di roma tre in Spazi fig. 8| milano, fonDazione pomoDoro, viSta Su Sala centrale. 57 4.2 nord italia Fondazione arnaldo PoModoro | La fondazione Arnaldo Pomodoro14 ospita dal 2005 mostre sulla scultura italiana del XX secolo e ha sede in una ex fabbrica di turbine. Dopo le esperienze a Rozzano e in via Solari15 a Milano, l’attività della Fondazione prosegue dalla primavera 2013 in un nuovo spazio espositivo, appena restaurato, afidato agli architetti Cerri e Colombo16, in via Vigevano n.9, adiacente agli archivi della Fondazione e allo studio dell’artista. L’involucro esterno non ha subito modiiche mentre lo spazio interno è stato svuotato da tutti gli impianti che avevano inluenzato la genesi di quegli spazi. Dopo la messa in sicurezza degli apparati murari e delle vetrate è stata inserita, in corrispondenza del salto di quota delle coperture, una macchina composta da trailati d’acciaio che accoglie larghi camminamenti adattabili facilmente alle diverse esigenze espositive. Sono inoltre intervenuti nell’assemblaggio del camminamento centrale montando i componenti con il chiaro intento di riprendere metodi costruttivi industriali tradizionali, ora in disuso, quasi a voler compiere un’operazione di archeologia invertita. Inine hanno recuperato lo scavo, necessario al funzionamento dell’altoforno, tramite una gradinata che ne permette l’utilizzo come piccolo auditorium. In quest’opera sono molto chiare le scelte operate dagli architetti e si evince come ogni particolare costruttivo si rifaccia al passato, anche grazie all’appropriato uso dei materiali, senza cadere in un uso banale e nostalgico degli stessi. 58 Fig. 1 © NOME AUTORE, Titolo, EDITORE,Dove quando e fig. 9| milano, fonDazione pomoDoro, Ballatoi interni. fig. 10| milano, fonDazione pomoDoro, traSverSali. viSta Sui collegamenti fig. 11 | milano, fonDazione pomoDoro, alleStimento Della Sala centrale. fig. 12 | milano, fonDazione pomoDoro, copertura. viSta Della fig. 13 | milano, fonDazione pomoDoro, Ballatoi e Bucature Della parete. 59 fig. 14 | milano, fonDazione pomoDoro, alleStimento muSeale. 60 MUlino stUCky | Il Molino Stucky era un complesso industriale simbolo del patrimonio archeologico industriale di Venezia e italiano, frutto di numerosi rimaneggiamenti quali demolizioni, ristrutturazioni e ampliamenti, legati all’esigenza di adeguare continuamente il complesso alle attività in esso svolte.17 fig. 15 | venezia, mulino Stucky, lavraneri e Di San Biagio. viSta Delle facciate Di calle fig. 16| venezia, mulino Stucky, proSpetto Dalla giuDecca. Dei Tra il 1882 ed il 1883, l’imprenditore svizzero Giovanni Stucky scelse di costruire il primo mulino a vapore, segnando così l’avvio della sua carriera di imprenditore, comprando un’area estrema dell’isola della Giudecca, nella laguna veneziana. Su quest’area, dislocata tra il rio di San Biagio, il canale della Giudecca e il rio dei Lavranieri, sorgeva precedentemente il complesso religioso costituito dalla chiesa e dal convento dei Santi Biagio e Cataldo, il cui ordine era stato soppresso da Napoleone nel 1809. Questa iniziativa fu molto interessante e proicua per la città di Venezia che, per sopperire al fabbisogno cerearicolo della popolazione era sempre stata strettamente collegata all’attività molitoria dell’entroterra, eliminando la necessità di trasporto, occupandosi direttamente della macinazione cerealicola, e in seguito fungendo anche da pastiicio per ambire all’autonomia nel settore dell’industria alimentare. I Molini Stucky si presentavano come una fabbrica a pianta rettangolare dalle rigide linee, si sviluppavano su sei piani con inestre ornate da cornici in calcare d’Istria che si snodavano a intervalli regolari lungo le pareti.18 Il Molino appena costruito guardava, come esempio per la creazione del suo biglietto da visita, le grandi realtà portuali del nord Europa, dove l’architettura Neo Gotica era da tempo entrata in simbiosi con i nuovi complessi delle industrie e delle infrastrutture. La svolta per questo complesso industriale avviene tra il 1895 e il 1897 quando Giovanni Stucky afida la costruzione del silos e della torre d’angolo all’ architetto tedesco Ernst Wullekopf19. La commissione comunale allora si trovò di fronte ad una interpretazione architettonica estranea alla cultura veneziana, e deinibile nell’ambito dell’eclettismo architettonico. fig. 17 | venezia, mulino Stucky, proSpetto Dalla giuDecca. 61 fig. 18 | venezia, mulino Stucky, viSta Dal tetto con la città Sullo SfonDo. 62 Forma e volumetria risultavano essere fuori scala rispetto al complesso tessuto urbano dell’isola, così furono proposte delle modiiche. Il laterizio è l’elemento caratterizzante del complesso, utilizzato sia per la creazione di un nuovo aspetto esteticodecorativo, sia per una risoluzione omogenea in ambito strutturale. I metodi costruttivi degli ediici sono prevalentemente basati sull’impiego di esili strutture verticali in mattoni abbinate al calcestruzzo armato, tecnica certamente pionieristica negli anni di ediicazione della fabbrica, venendo a costituire, in un certo senso, una poetica tecnologica della contaminazione. Attraverso varie soluzioni costruttive basate su abbinamenti di materiali diversi quali mattone e ferro, mattone e calcestruzzo, mattone e calcestruzzo e ferro, i progettisti tentarono di confutare il dogma secondo il quale solo la muratura a grossa sezione si dimostrava adatta a sostenere carichi importanti. Non soddisfatto da tale esito, lo Stucky, con la minaccia di licenziamento di quasi duecento operai, convinse la commissione che si vide quasi costretta a formulare un giudizio positivo in seconda istanza: il complesso industriale iniziò a rappresentare una vera e propria roccaforte produttiva insediata nel cuore della laguna. Nel 1884, all’inizio dell’attività, la possibilità molitoria è di 600 q. ogni 24 ore. Con la costruzione del nuovo silos si raggiungono 2.500 q. al giorno. Nel 1903 viene costruito un grosso pastiicio annesso al mulino e nel 1907 un mulino autonomo per granoturco dove è ripreso il repertorio formale del progetto Wullekopf. Tre anni più tardi la storia del Molino Stucky si tinge di nero con l’omicidio di Giovanni Stucky per mano di un operaio. Dopo un rinnovo parziale degli impianti nel 1920-26, ed il passaggio dalla proprietà della famiglia Stucky ad S.p.A. nel 1933, l’attività molitoria chiude deinitivamente nel 1955. Da allora lo stato di abbandono in cui si trovava il Molino ha indotto la proprietà, l’Acqua Pia Antica Marcia, a promuovere soluzioni progettuali inalizzate ad un suo reale ed effettivo recupero funzionale all’inserimento attivo nella vita economicaculturale della città lagunare.20 fig. 19 | venezia, mulino Stucky, proSpetto Della torre D’angolo Dell’ architetto ernSt wullekopf . 63 fig. 20| venezia, mulino Stucky, ingreSSo principale. Solo nel 1994 determinati fattori, legati alla situazione politica e amministrativa della città, favoriscono l’iniziativa di recupero delle fabbriche superstiti, dall’area ex-Scalera Film e dall’area Trevisan. Il progetto di recupero del Molino inizia nel 1997 e prevede la destinazione di 3 grandi ediici a funzione residenziale, venduti a prezzo convenzionato, e di 23 ediici, di diversa consistenza, destinati ad un grande complesso alberghiero, congressuale e commerciale. I lavori, iniziati nel settembre del 2002 e tuttora in corso, son conclusi indicativamente alla ine del 2006. Tale tempistica è stata dilatata per una lunga interruzione dovuta a un incendio che nel 2003 ha provocato il crollo pressoché totale di due ediici del complesso. Il Molino Stucky, composto da 13 ediici distribuiti su nove piani, è ancora oggi una delle costruzioni più alte della città. L’hotel, che oggi trova posto nell’antico complesso industriale, ospita 379 camere e il più grande centro congressi alberghiero della città, oltre ad accogliere il più grande centro benessere e la prima e unica piscina sul rooftop di Venezia. fig. 21| venezia, mulino Stucky, viSta canale Di San Biagio 64 4.3 Centro il ParCo-MUseo Minerario di abbadia san salvatore Il complesso iter progettuale attivato dal Comune di Abbadia San Salvatore in Provincia di Siena (Toscana) (ig. 22), per la realizzazione del Parco-museo minerario, risulta essere di un processo conseguente alla chiusura della miniera, una dei più importanti giacimenti di cinabro21 al mondo (ig. 23), secondo solo a quello di Almaden22 in Spagna (ig. 24) e a quello di Idria23 in Slovenia. La dismissione dell’attività mineraria, che ha colpito l’intero territorio dell’Amiata24, ha costituito alla metà degli anni Settanta un evento catastroico ed epocale per la comunità, la cui economia risultava totalmente dipendente dall’esistenza della miniera. E’ stato quindi fondamentale l’intervento operato dall’amministrazione locale, puntando su nuove prospettive di cambiamento per la riqualiicazione del territorio e promuovendo per l’intera area mineraria un nuovo piano di recupero che prevedesse un riuso non solo di tipo museale, ma anche per attività produttive, ricreative, turistiche-ricettive, e scientiico culturali, così da costituire il punto di riferimento spaziale, la struttura connettiva per un progetto integrato di sviluppo economico-sociale a lungo termine. Nell’affrontare questo processo di riconversione l’Amministrazione Comunale ha innanzitutto deliberato una immediata salvaguardia sul patrimonio edilizio ed impiantistico della miniera, di cui la Società mineraria aveva precedentemente iniziato la demolizione. E’ stato poi insediato un Comitato Scientiico Permanente al ine di garantire la compatibilità del processo di riconversione, con la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico minerario, la cui prima operazione è consistita nella conservazione e catalogazione dei documenti. Successivamente è stata attivata l’elaborazione di una Variante Urbanistica per il recupero dell’intero complesso minerario in base alla L.R. n 59/198025. Tale variante approvata dalla Regione Toscana nell 1987, ha previsto il recupero e una nuova destinazione d’uso di quasi tutti i manufatti esistenti, nonchè la suddivisione del territorio in comparti urbanistici ciascuno dei quali caratterizzati da una funzione prevalente (museale, artigianale, ricreativa, parco, campeggio). fig. 23 | minerale Del cinaBro fig. 22 | aBBaDia San Salvatore, Siena, centro Storico fig. 24 | almaDen, Spagna, interno Di una miniera Del parco 65 Una posteriore fase di progetto è stata la redazione di un Piano Urbanistico di Dettaglio per ciascun comparto che costituisce lo strumento di coordinamento morfologicofunzionale degli insieme degli interventi sui singoli ediici o sulle singole aree, così da garantire la coerenza e l’unitarietà del processo di riconversione. Il comparto dedicato al Parco-museo minerario contiene sicuramente i manufatti edilizi storici di maggior pregio. Le scelte previste dal Piano per questo comparto si concretizzano in un’operazione di riqualiicazione e valorizzazione di un sistema interconnesso miniera-città, luogo della memoria tra ieri e oggi. Il Museo, che testimonia la storia dell’estrazione e della lavorazione del cinabro e la storia della comunità abbadenga, è solo il nocciolo di un articolato organismo, la cui area territoriale del comparto funziona e si conigura come grande contenitore museale, sviluppando una serie di percorsi espositivi in una pluralità di spazi sia esterni che interni, delineandosi in tre tipologie didattiche: il percorso dell’escavazione, che grazie al recupero del sistema dei binari preesistente ha permesso il collegamento tra impianti di lavorazione e gallerie (ig. 25); il percorso della metallurgia, funzionale a mostrare le singole fasi di lavorazione del materiale; il percorso della memoria, che attraversa lo spazio centrale dell’area mineraria ove erano localizzati i vecchi impianti di lavorazione. Questa sequenza di itinerari conluisce in un vuoto centrale, originariamente occupato dai vecchi impianti, denominato oggi “piazzale della memoria” che costituisce il fulcro, l’agorà dell’intero Parco-museo. fig. 25 | aBBaDia San Salvatore, Siena, gallerie Della miniera con antico SiStema Di rotaie 66 Un’analisi a parte può essere dedicata per ciò che concerne l’intervento di recupero dei più importanti manufatti edilizi per i quali sono stati redatti dei singoli Progetti Esecutivi, applicati grazie a inanziamenti esterni garantiti dalla Comunità Europea. In questa fase la priorità è stata data al recupero dell’antico ediicio denominato “La Torre dell’Orologio” (ig. 26), che costituisce per la popolazione locale una sorta di immagine-simbolo della miniera. fig. 26| aBBaDia San Salvatore, Siena, torre Dell’orologio SeDe Del muSeo minerario L’intervento è stato inalizzato alla creazione di un centro studi, comprendente biblioteca, sala conferenze, centro di ricerca, servizi e amministrazione del Parco, oltre che principale sede dell’archivio museale dei documenti storici della miniera, dove è possibile osservare gli strumenti di lavoro (ig. 27), attrezzature (ig. 28), fotograie (ig. 29 e 30), una ricca collezione di minerali, la storia delle miniere stesse, la storia del mercurio. Un’altra importante opera di riqualiicazione riguarda l’ediicio dell’ex oficina meccanica, rifunzionalizzato come sede del museo documentario permanente che reinterpreta nella sua strutturazione concettuale e spaziale il tema del percorso, riproponendo i caratteri tipici del Parco-Museo. Tra i diversi ruderi soggetti al ripristino viene ricordato anche l’antico ediicio storico dei vecchi essicatoi, oggi destinato a spazio espositivo per mostre temporanee. fig. 27 | aBBaDia San Salvatore, Siena, Strumenti Di lavoro fig. 29 | aBBaDia San Salvatore, Siena, antico lavoro in miniera fig. 28| aBBaDia San Salvatore, Siena, macchinari Di lavoro fig. 30 | aBBaDia San Salvatore, Siena, comunità operaia Della miniera 67 4.4 sUd il CoMPlesso siderUrgiCo di Mongiana, Calabria Il Complesso Siderurgico oggetto del presente studio è dislocato nel territorio di Mongiana, piccolo centro in provincia di Vibo Valentia. Più precisamente si trova alla conluenza dei due iumi Allaro e Ninfo. In quest’area sorse l’8 marzo del 1771 il primo nucleo di abitanti, che in seguito avrebbe costituito il comune di Mongiana. Il territorio è caratterizzato dalla presenza di rigogliosi boschi e miniere, attraversati da numerosi torrenti incontaminati. L’esperienza siderurgica meridionale iniziò nel 1749 con Carlo III di Borbone che avviò un processo di ristrutturazione e di ammodernamento delle Ferriere calabresi. Il sovrano chiamò a Napoli i migliori mineralogisti sassoni e ungheresi per studiare le potenzialità estrattive del territorio calabrese, e per ammodernare i processi produttivi. La riorganizzazione delle ferriere calabresi era considerato compito improrogabile e necessario. L’enorme consumo di carbone vegetale ,dovuto ai processi di fusione basati sul cosiddetto “metodo catalano”26, e il conseguente disboscamento intensivo costrinse lo spostamento degli impianti di lavorazione. Tuttavia la creazione di una fonderia stabile richiedeva consistenti risorse. Solo con Ferdinando IV di Borbone si decise di avviare la realizzazione di un moderno complesso siderurgico, consapevole che avrebbe dato un forte impulso all’economia calabrese ed a quella dell’intero regno di Napoli. Nel 1768 Giovanni Francesco Conty27, coordinò una commissione incaricata di localizzare un’area per il nuovo complesso siderurgico. La scelta della località di Cima, detta poi Mongiana (o Mungiana), venne dettata sia dalla presenza di boschi e di miniere, sia dalla presenza di due iumi (Allaro e Ninfo) le cui acque avrebbero garantito la forza motrice. Il governo borbonico comprò quindi una vasta area sulla piana Stagliata-Micone di propietà del Principe di Roccella, feudatario di Fabrizia (ig. 31). A partire dal 1770 si comincia a trasportare il minerale nella nuova area28 e nel 1771 viene trasferito il primo nucleo di forni, intorno ai quali si stanzierà il primo nucleo di abitanti. La costruzione del Villaggio Siderurgico di Mongiana iniziò lo stesso anno, sotto la direzione prima dello stesso 68 Fig. 1 © NOME AUTORE, Titolo, EDITORE,Dove quando e fig. 31 | mongiana, pianta Del territorio compreSo fra i torrenti ninfo eD alaro (l), con l’uBicazione Della fonDeria (a), Delle ferriere S. Bruno (c), S. carlo (g), S. ferDinanDo (h), real principe (k) e Delle StraDe che le collegavano. Conty, poi del iglio Massimiliano, su progetto del noto architetto napoletano Mario Gioffredo29. Egli dovette progettare, oltre all’intero ediicio, anche tutte le opere idrauliche necessarie al funzionamento di quei meccanismi utili al processo di fusione. Prima che la fonderia venisse completata trascorsero 10 anni, infatti la produzione vera e propria cominciò nel 1781. I metodi di lavorazione non ancora innovativi limitarono inizialmente la produzione. Per questo motivo dal 1789 al 1797 i Borbone inviarono in Europa un gruppo di studiosi meridionali30 per apprendere le più moderne tecnologie applicate nei vari distretti minerari e trasferirle negli impianti siderurgici nel Regno di Napoli. A ine ‘700, in seguito all’accusa di aver causato un eccessivo consumo di minerale, Massimiliano Conty venne sollevato dall’incarico di amministratore e imprigionato per un periodo a Catanzaro. Al suo posto subentrò Vincenzo Squillace. Nel XIX secolo il re Ferdinando IV assegnò prima la gestione degli impianti siderurgici al corpo militare, per poi assegnarne nel 1806 la direzione ai preparati uficiali di artiglieria31. Con l’arrivo dei militari migliorano le condizioni dei lavoratori, dalla paga giornaliera si passò al lavoro a cottimo, inoltre, in seguito alla crescente domanda generata dalle guerre napoleoniche, nel primo decennio aumentò la produzione, soprattutto nel settore degli armamenti. Nel 1807 Napoleone assegnò Mongiana al Ministero di Guerra e Marina, nominando come direttore il Tenente Colonello Ritucci, e degradando Squillace al compito di cassiere e pagatore. Ritucci rimase in carica ino al 1812, si dedicò al miglioramento dei metodi e della produzione, e si occupò anche del perfezionamento delle macchine e della riparazione delle strade. Nel 1812-13 il nuovo direttore di Mongiana è Michele Caracossa. Egli propose di rimettere in funzione le “Vecchie Ferriere” di Stilo, di potenziare l’attività di Mongiana con la costruzione di due nuove ferriere e una fabrica d’armi, e tanto altro. Purtroppo tutte queste ipotesi migliorative non ebbero il tempo di concretizzarsi. Con l’amministrazione di Nicolò Landi (1814-1816) lo stabilimento si ampliò e la produzione crebbe sensibilmente32. Fu realizzata una fabbrica per la produzione delle canne dei fucili, dismessa pochi anni dopo. Il 7 giugno 1815 i Borbone, con Ferdinando II, riacquistano la guida del Sud Italia, divenuto Regno delle Due Sicilie. Grazie al completamento di opere avviate negli anni precedenti, il complesso siderurgico crebbe ulteriormente. Si iniziò a produrre anche per la società civile, vennero infatti realizzate parti dei primi ponti in ferro italiani: il ponte “Real Ferdinando” sul Garigliano ed il ponte “Cristina” sul iume Calore. Gli anni sotto il regno di Ferdinando II segneranno il momento di maggior splendore. Nel 1852 il governo borbonico costruì una moderna fabbrica33 per la produzione di armi leggere, in sostituzione alla fabbrica di “canne da fucile” (ig. 32). Il progetto fu afidato all’ingegnere Domenico Fortunato Savino34. L’ediicio era disposto su tre livelli paralleli e terrazzati per meglio sfruttare la caduta delle acque per il funzionamento delle macchine. L’ingresso principale era ornato da una coppia di alte colonne doriche in ghisa con relativo architrave. Savino si occupò dell’ampliamento della fonderia progettando tre nuovi altiforni chiamati rispettivamente S. Barbara (ig. 33), S. Ferdinando e S. Francesco. Progettò parte del paese ed altre numerose opere annesse alla fonderia; magazzini, depositi nonchè «la stanza dei modelli degli oggetti di fusione; le oficine dei forgiatori; dei falegnami; della stafferia; le stanze dei fonditori scientiici; i cortili per riporvi le piramidi dei proiettili; la ribatteria dei medesimi, ed una sega idraulica per uso di tavolame»35. Nella nuova fabbrica d’armi nacque il famoso fucile da fanteria, mod. Mongiana a molla indietro, più moderno e funzionale del fucile francese a cui si ispirava. La fabbrica di Mongiana continuò la produzione ino al 1860, in seguito fu declassata a “oficina trasformazioni”, per poi essere dismessa deinitivamente verso le metà del 1870. A seguito dello sbarco di Garibaldi e la successiva uniicazione dell’Italia, il nuovo governo unitario, abolendo tutti i dazi, negò il sostegno alle nascenti industrie che si affacciavano verso i mercati internazionali. Il governo estese sull’ex Regno delle Due Sicilie le nuove 24 tasse piemontesi, e , abbattendo di colpo il sistema protezionistico borbonico, mise in ginocchio molte delle fig. 32 | mongiana, reSti Della faBBrica D’armi, facciata principale Sec xix 69 fig. 33 |mongiana, ruDeri altoforno S. BarBara fig. 34 |mongiana, ruDeri fonDeria BorBonica attività industriali. Iniziò così il lento declino che portò i 3000 addetti di Mongiana, e di tutti gli altri stabilimenti meridionali, alla crisi, costringendoli ad emigrare. Al declino della nascente industria meridionale, seguì la nascita della grande industria del Nord. «L’atto uficiale di morte del più importante centro metallurgico del meridione d’Italia è individuato nella vendita degli stabilimenti di Mongiana il 25 maggio del 1874, all’onorevole deputato Achille Fazzari, senza alcuna valida esperienza, nessuna capacità organizzativa e nessuna conoscenza tecnica»36. Le origini e la storia del polo siderurgico di Mongiana sono raccontate nel Museo delle Reali Ferriere Borboniche inaugurato il 22 Ottobre 2013. fig. 35 |mongiana, ruDeri fonDeria BorBonica 70 Già dal 1975 si avviarono i lavori di restauro, ma solo nel 2009, grazie ad un nuovo inanziamento della Regione Calabria, si concretizza il recupero di questo antico insediamento industriale. I lavori, iniziati nel 2010 a cura degli architetti Gennaro Matacena e Francesco Ferraro, prevedevano il completamento di magisteri incompiuti o non realizzati nei restauri precedenti, la progettazione delle opere di adeguamento alle normative sulla sicurezza e delle strutture di allestimento espositivo. Il Museo racconta il legame con il territorio e con la sua popolazione; ripercorre gli oltre 100 anni di storia di questo “rudere” unico nel suo genere in tutto il Mezzogiorno d’Italia. fig. 38 | mongiana, Sala convegni fig. 36 | mongiana, facciata ‘’faBBrica D’armi’’ fig. 39 | mongiana, alleStimento muSeo ‘’faBBrica D’armi’’ fig. 37 | mongiana, interno ‘’faBBrica D’armi’’ fig. 40 | mongiana, le armi Bianche, fucile moDello 71 note 1 I principali studi riguardo questa tematica sono stati affrontati dall’AUDIS, Associazione Aree Urbane Dismesse, nata nel Luglio 1995 come luogo di incontro tra pubblico e privato per la trasformazione delle aree e degli immobili dismessi. AUDIS raggruppa molti comuni interessati dalla presenza di aree dismesse , operatori e proprietari privati, utenti inali. Lo scopo dell’Associazione è quello di scambiare esperienze ed informazioni tra i soggetti interessati, individuando orientamenti e strategie e svolgendo un’azione di pressione e stimolo verso i governi nazionali e regionali, attività svolta mediante l’organizzazione di seminari, convegni e pubblicazioni. 2 Uno dei maggiori centri siderurgici subordinati alla società ILVA/Italsider, venne costruito nel 1905, nel quartiere Bagnoli di Napoli, già sede di alcuni impianti industriali nella seconda metà del XIX secolo. Un importante organo dello stabilimento fu il laminatoio, responsabile della lavorazione di lamiere e proilati metallici tramite laminazione e sagomatura a caldo. Il nucleo industriale, entrato in funzione nel 1984 fu il risultato di una manovra economica dell’azienda, rappresentante un tentativo di contrasto alla crisi dello stabilimento, che aveva subito la chiusura di alcuni impianti del complesso pochi anni prima. Il 1991 fu l’anno del fallimento, che portò alla dismissione sia del treno di laminazione sia, in deinitva, dell’intero centro siderurgico Italsider. 3 L’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, è stato un ente pubblico italiano, istituito nel 1933 e liquidato nel 1992, con compiti di politica industriale. A questo fanno riferimento diverse aziende italiane operanti nel settore siderurgico, come la CimiMontubi S.p.A., proprietaria delle grandi aree della ex siderurgia di Stato, fra le quali Bagnoli a Napoli. 4 72 Lo stabilimento della Bicocca a Milano, fondato nel 1908, è stato ino agli anni ’70 il più impotante centro di produzione della Pirelli. Nel 1970, con la ristrutturazione produttiva dell`azienda, un terzo dell`area è stato dismesso e gran parte della produzione trasferita al Sud. Nel 1985 un accordo fra la Pirelli e l`amministrazione comunale ha decretato che tutta l`area della Bicocca venisse trasformata in un polo tecnologico integrato e multifunzionale, in cui acquistasse sempre più importanza il settore della ricerca e venisse progressivamente diminuita la produzione. Il Lingotto di Torino è un comprensorio di ediici situato nel quartiere Nizza Millefonti, chiuso tra Via Nizza e un ramo del passante ferroviario, adiacente all’omonimo quartiere Lingotto. Fu uno dei principali stabilimenti di produzione della fabbrica automobilistica FIAT, mentre oggi è un grande centro polifunzionale. 5 6 Il centro industriale localizzato nel quartiere di Campi, una frazione del comune di Genova, fu anch’esso un polo siderurgico appartenente alla Società ILVA. Fondato nel 1937, venne considerato uno dei più prestigiosi stabilimenti a ciclo integrale, ovvero sede di produzione di ghisa e acciaio a processo continuo. 7 I programmi complessi sono un insieme di strumenti di governo del territorio, operanti nella dimensione della riqualiicazione urbana. A differenza dei Piani tradizionali, il loro campo di attuazione riguarda solo la realizzazione di alcuni determinati interventi, per i quali sono deiniti i soggetti attuatori, le risorse economiche, i progetti preliminari e i tempi di attuazione. Introdotti dall’inizio degli anni ‘90, risultano essere dei dispositivi funzionali a promuovere la trasformazione qualitativa e a deinire interventi pubblici e privati, tra loro coordinati, così da migliorare l’assetto e la qualità di un ambito urbano, organizzando la gestione e risoluzione di problematiche di carattere amministrativo-gestionale. 8 I programmi di recupero urbano si presentano come meccanismo di trasformazione dei tessuti urbani consolidati e degradati per favorire una più equilibrata distribuzione dei servizi e delle infrastrutture e migliorare la qualità ambientale e architettonica dello spazio urbano, al ine di eliminare le condizioni di abbandono e di degrado edilizio, ambientale e sociale che investono le aree urbanizzate. La Spina Centrale è una vasta area urbana della Città di Torino, realizzata solo in parte ai giorni nostri. Si tratta di una lunga e imponente area che si sviluppa in direzione nord-sud nel territorio comunale, in posizione pressoché baricentrica rispetto al contesto cittadino. La zona, un tempo occupata dal passante ferroviario di Torino, è oggetto di una profonda e radicale riorganizzazione a livello urbanistico, con la realizzazione di un nuovo viale, l’avveniristico viale della Spina, progettato sul sedime della vecchia ferrovia e la riqualiicazione dell’intera area circostante. Stando al Comune di Torino, si tratta del più grande intervento infrastrutturale realizzato nella città dal secondo dopoguerra. 9 10 Campi è una frazione del comune di Genova, situata nella bassa Val Polcevera e compresa nell’ex circoscrizione di Cornigliano. Sede per quasi un secolo di grandi industrie siderurgiche e meccaniche, dagli anni novanta ospita centri commerciali e piccole e medie imprese commerciali e manifatturiere. 11 Novoli è un quartiere nella zona nord-ovest di Firenze, protagonista di una grande espansione a seguito del boom edilizio degli anni cinquanta e sessanta del XX secolo. La zona, un tempo paludosa, fu poi boniicata e da ciò deriva l’antico toponimo Novoli, usato nelle mappe del Comune dal 1871. 12 Bagnoli è un quartiere appartenente alla decima municipalità del comune di Napoli. Il nome Bagnoli deriva probabilmente da balneolis, in quanto, prima della realizzazione degli insediamenti industriali, ospitava diversi luoghi termali. Bagnoli poi ha legato indelebilmente il suo nome alla tradizione operaia: è stata, infatti, sede di uno dei più importanti insediamenti industriali del mezzogiorno e in particolare delle acciaierie dell’Ilva, ex Italsider, attive dall’inizio del ‘900 e dismesse dagli anni novanta. L’insediamento del polo industriale ha profondamente modiicato la struttura dell’area che si trova nel golfo di Pozzuoli, alle pendici della collina di Posillipo. L’amministrazione comunale, attuando anche le necessarie opere di boniica, ha intrapreso le prime operazioni di riqualiicazione della zona. Un primo passo verso il recupero e risanamento del territorio è stato compiuto con l’avvio nel 1987 delle attività sperimentali della Città della Scienza, aperta deinitivamente al pubblico nel 1996 che è stata il primo museo scientiico interattivo d’Italia. 13 La locuzione new economy fu coniata nel 1998 dal saggista statunitense Kevin Kelly col best-seller “New Rules for a New Economy”. Nel libro si elencano dieci buone regole per affrontare i “nuovi mercati”, in altri termini le nuove frontiere della commercializzazione e le nuove opportunità offerte dall’economia globale. Tra queste l’idea della massimizzazione a tutti i costi dei proitti, il ricorso al web, la deinizione dell’idea di lusso, inanziario e informativo, legato alle nuove tecnologie e alla mondializzazione degli scambi, lo sfruttamento della categoria più redditizia di consumatori, la necessità di sfruttare l’opportunità prima ancora dell’eficienza. I punti cardine su cui si fonda la new economy non sono riconducibili tanto a beni materiali quanto a quelli immateriali, come le idee innovatrici, l’informazione come bene di scambio, il software. L’inluenza dell’opera di Kevin Kelly sugli sviluppi di questa nuova concezione è stata indubitabile. È possibile parlare del sorgere di una new economy ogniqualvolta si ha l’introduzione e la diffusione di tecnologie innovative determinanti cambiamenti profondi a livello economico e sociale, con una conseguente accelerazione della crescita della ricchezza, della produttività (ma non necessariamente dello sviluppo sociale), degli investimenti (in capitale isico e umano, in ricerca e innovazione), associata a una trasformazione degli stili di vita e ad un impatto sul proilo sociale degli individui-consumatori. Alcuni esperti continuano a usare infatti il termine new economy per descrivere gli sviluppi contemporanei nel mondo degli affari e dell’economia. 14 Nel 1926 nasce a Morciano di Romagna Arnaldo Pomodoro. Frequentò l’Istituto d’Arte di Pesaro, dove scoprì la passione per la scenograia. Insieme al fratello Gio’ e a Giorgio Perfetti forma, nel 1952, il gruppo 3P, e con loro realizza gioielli,monili e oggetti d’uso, esperienza che si conclude nel 1959. 73 E’ uno degli scultori che più longevi dello scenario italiano, ed è noto per caratterizzare la propria scutura con grande dinamicità e monumentalità. di mercurio, tra i più ricchi del mondo, sfruttati sin dall’epoca preromana. Vi ha sede una scuola mineraria. 23 15 La strada attraversa un quartiere urbano in cui, dalla ine dell’Ottocento, son sorte fabbriche storiche che hanno contribuito allo sviluppo industriale di Milano. Determinante per lo sviluppo di quest’area è la localizzazione: infatti è delimitata da un lato dal Naviglio e dall’altro dalle infrastrutture ferroviarie. I partners, Pierluigi Cerri e Alessandro Colombo, coordinano uno staff di 25 professionisti: architetti, designers e graici. Progetti dello Studio Cerri & Associati sono stati realizzati in Italia, Francia, Germania, Portogallo, Spagna, Stati Uniti d’America, Giappone e Australia. 16 17 M. FURINI, Molino Stucky. Architettura e ipotesi di restauro, in Costruire in Laterizio, p.38 Il Molino Stucky a Venezia – ora Hilton Molino Stucky Venice, Patrimonio industriale in Italia, in www. Archeologiaindustriale.net 18 Ernst Wullekopf (Patterson 1858-1927) proveniente da Hannover. 19 architetto P. ROSSI e D.TURRINI, La Rinascita del Molino Stucki. Conversazione con i progettisti, in Costruire in Laterizio p.47 Idria è un comune situato nella porzione occidentale della Slovenia. È nota per le sue miniere di mercurio (oggi non più attive), e per la produzione di pizzi. Questo territorio è uno dei pochi luoghi al mondo dove il mercurio si trova sia nella sua forma liquida sia come minerale di cinabro (solfuro di mercurio). Il pozzo di ingresso sotterraneo alle miniere, noto come “Antonijev rov” (“Pozzo di Antonio”) viene usato oggi per visite ai livelli superiori. 24 Il monte Amiata è un massiccio montuoso dell’Antiappennino toscano posto tra la Maremma, la Val d’Orcia e la Val di Chiana, compreso tra la provincia di Grosseto e quella di Siena. È un antico vulcano, ormai spento, con presenze di rocce e di laghetti di origine vulcanica. L’origine del toponimo “Amiata” è stata da alcuni individuata nel latino “ad meata”, ossia “alle sorgenti”. Nel 1897 sorse sull’Amiata, ad Abbadia San Salvatore, una delle più importanti e rinomate miniere di mercurio del mondo. L’attività di estrazione e trasformazione del cinabro contribuì enormemente allo sviluppo industriale ed economico di Abbadia San Salvatore, apportando ricadute positive anche negli altri paesi Amiatini. 20 Il cinabro (dal greco antico Κιννάβαρι, έως e dal latino cinnàbaris) o cinnabrite o cinnabarite o solfuro di mercurio, è un minerale appartenente alla classe dei solfuri dall’aspetto rossiccio. Chimicamente è un’unione di zolfo e mercurio (formula chimica HgS), pertanto, dato il suo contenuto in mercurio, è da considerarsi minerale tossico. Da questo minerale, tramite arrostimento e successiva condensazione, si estrae il mercurio. 21 22 Almaden è un comune spagnolo situato nella comunità autonoma di Castiglia-La Mancia, nella provincia di Ciudad Real, sul versante Nord della Sierra de Almadén. Il territorio è particolarmente rinomato per i suoi giacimenti 74 25 La Legge Regionale 21 maggio 1980, n. 59 concerne norme di intervento per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Questo strumento giurisdizionale permette di regolare provvedimenti indirizzati al superamento delle condizioni di degrado presenti nelle zone di recupero, nonchè a conseguire la valorizzazione degli assetti sociali e produttivi esistenti, le utilizzazioni idonee rispetto ai caratteri degli immobili, il soddisfacimento delle esigenze residenziali e il recupero delle attività produttive compatibili, la dotazione dei servizi pubblici e collettivi e degli standards di legge e la tutela e valorizzazione dei caratteri culturali, espressivi, ambientali e di testimonianza storica degli ediici, nonchè delle aree di particolare valore paesistico. 26 Questo metodo viene utilizzato per quei minerali di ferro che contengono minor quantità di sostanze eterogenee, come il ferro ossidato. Minerali con queste caratteristiche si cavano soprattutto nella Catalogna, a cui si deve il nome di metodo catalano. Detto anche metodo francese, consiste nel sopprimere la fusione del minerale portandolo direttamente nelle “forge catalane”. Questi forni, di piccole dimensioni, formate da una cavità principale quadrangolare provvista di lamine di ferro fuso. Per direzionare le correnti d’aria verso la concavità del focolare, vengono inseriti i tubi dei doppi mantici nelle lamine di ferro. Nella cavità quadrata viene introdotto il minerale con il combustibile. In questo modo il metallo viene facilmente ridotto dal carbone che lo trasforma, dopo qualche ora, in una massa pastosa lavorabile raccolta nel piano del forno. 32 passò da 4000 a 14000 quintali di ferro annui. 33 La fabbrica d’armi occupava un’area di 4.000 mq. Domenico Fortunato Savino (Positano, 1804 - Napoli, 22 ottobre 1872). Dopo aver conseguito la laurea in ingegneria all’Università degli Studi di Napoli Federico II, iniziò ad esercitare la professione negli ambienti napoletani. E’ considerato personaggio chiave della storia edilizia e tecnica della ferriera. Progettò la Fabbrica d’armi, la caserma, la fonderia, la scuola, il cimitero, le nuove oficine, le strade, ponti e canali, nel territorio di Mongiana. 34 35 Già direttore delle ferriere di Stilo e di Assi, oggi andate perdute. 27 G. E. RUBINO, L’archeologia industriale e mezzogiorno, Napoli 1978, p.92 36 www.comune.mongiana.vv.it 28 «In questo libro si comincia annotare il minerale trasportato dalla Grotta della Regina in questo Regio lavatore della Fornace detta la Vecchia e dopo lavato servir deve trasportarlo nelle nuove Oficine che s’erigono nel luogo detto la Mungiana incominciando in quest’anno 1770 (agosto)» (cfr. A.S. CATANZARO, Fondo Mongiana, cit., cart.1, fase. n. 7) 29 Mario Gioffredo (Napoli, 14 maggio 1718 - Napoli, 8 marzi 1785) è stato un architetto, ingegnere, incisore e topografo italiano. A partire dal 1741 progettò ediici in molte città del Regno di Napoli. Tra le sue opere ricordiamo: il Carro del Battaglino, il Sedile di Porto, il rifacimento della Basilica dello Spirito Santo, la chiesa di Maria Santissima del Carmine a Vasto, il Polo Siderurgico di Mongiana. Faicchio, Savarese, Ramondini, Lippi, Tondi e Melograni. A questi studiosi si deve la riattivazione delle “Ferriere Vecchie” di Stilo, grazie all’introduzione dei grandi mantici alla “tedesca”, l’abolizione del cottimismo, causa principale dello sfruttamento delle miniere,e l’apertura di nuove miniere nel comune di Pazzano. 30 Oltre agli uficiali, trovavano occupazione 280 operai carbonieri, 100 mulattieri e 100 artiicieri tutti civili del luogo, detti “paesani”. 31 75 Sito uficiale della Provincia di Vibo Valentia: www. Fonti bibliograFiChe e sitograFia DIONISIO VIANELLO (a cura di), Programmazione e gestione del recupero delle aree dismesse in L. FAUSTINI, E. GUIDI, M. MISITI (a cura di), Archeologia Industriale (Atti del Convegno, Prato 2000), Firenze 2001, pp. 31-38. ALBERTO PEDROLLI (a cura di), Il Parco-Museo Minerario di Abbadia San Salvatore in L. FAUSTINI, E. GUIDI, M. MISITI (a cura di), Archeologia Industriale (Atti del Convegno, Prato 2000), Firenze 2001, pp. 187-191. G. E. RUBINO, L’archeologia industriale e mezzogiorno, Napoli 1978 D.STENTELLA, Polo industriale di Mongiana (VV), in: www. archeologiaindustriale.org Casabella 652 pag. 52-59 Costruire in Laterizio, p.47 S.POLITINI, I l Molino Stucky a Venezia – ora Hilton Molino Stucky Venice, dal sito www.Archeologiaindustriale.net, 2014 www.arnaldopomodoro.it www.fondazionearnaldopomodoro.it www.neuramagazine.com www.cultureteatrali.org www.inarchmarche.it wikipedia.it www.molinostuckyhilton.it Sito uficiale del Comune di Mongiana: www.comune. mongiana.vv.it 76 provincia.vibovalentia.it Sito uficiale della Regione Calabria: www.regione. calabria.it Restauro e riuso della ex fabbrica d’armi di Mongiana (VV), in: www.archilovers.com doCUMentazione iConograFiCa Copertina | (Ex Area Falck) wikipedia.it Fig. 1 | Tratta dal sito wikipedia.org Fig. 2 | © ROBERTO ZABBA, Fotograia dal sito dei beni culturali della Lombardia, www.lombardiabeniculturali.it Fig. 3 | Tratta dal sito wikipedia.it Fig. 4 | Tratta dal sito wikipedia.it Fig. 5 | Tratta dal sito wikipedia.it Fig. 6 | Tratta dal sito www.napoliperquartiere.it/ Fig. 7 | Tratta dal sito www.arketipomagazine.it Fig. 8 | Tratta dal sito www.fondazionearnaldopomodoro.it Fig. 9 | Tratta dal sito www.arnaldopomodoro.it Fig. 10 | Tratta dal sito www.cultureteatrali.org Fig.11 | Tratta dal sito www.fondazionearnaldopomodoro.it Fig. 12 | Tratta dal sito www.fondazionearnaldopomodoro.it Fig. 13 | Tratta dal sito www.cultureteatrali.org Fig. 14 | Tratta dal sito www.fondazionearnaldopomodoro.it Fig. 15 | Tratta dal sito www.cultureteatrali.org Fig.19 | Tratta dal sito commons.wikimedia.org Fig. 20 | Tratta dal sito www.Archeologiaindustriale.net Fig. 21 | Tratta dal sito www.molinostuckyhilton.it Fig. 22 | Tratta dal sito wikipedia.it Fig. 23 | Tratta dal sito www.videograica01.com Fig. 24 | Tratta dal sito www.spain.info.it Fig. 25 | Tratta dal sito www.parcoamiata.com Fig. 26 | Tratta dal sito wikipedia.it Fig. 27 | Tratta dal sito www.museidimaremma.it Fig. 28 | Tratta dal sito www.sienafree.it Fig. 29 | Tratta dal sito www.museominerario.it Fig. 30 | Tratta dal sito www.museominerario.it Fig. 31 | dal libro G. E. RUBINO, L’archeologia industriale e mezzogiorno, Napoli 1978, p.83 Fig. 32 | dal libro G. E. RUBINO, L’archeologia industriale e mezzogiorno, Napoli 1978, p.92 Fig. 33 | © FRANCESCO LABRUNA, fotograia dal sito www.facebook.com ig 34, 35 | © PASQUALE RULLO, fotograia dal sito www. facebook.com ig. 36-40 | © RaConsulting srl, fotograia dal sito www. raconsulting.it Fig. 16 | Tratta dal sito www.Archeologiaindustriale.net Fig. 17 | Tratta dal sito www.Archeologiaindustriale.net Fig. 18 | Tratta dal sito www.cultureteatrali.org 77 78 5 | l’arCheologia indUstriale in sardegna 5.1 introdUzione Soltanto in anni recenti la Regione Sardegna ha prestato attenzione alle problematiche ed agli interventi nel campo dell’Archeologia Industriale, attraverso degli speciici programmi che mirassero a risolvere i problemi concernenti una disciplina di recente riconoscimento e di dificile inserimento nelle già ben codiicate categorie culturali. Il campo dell’Archeologia Industriale è un campo delicato, in quanto coinvolge aspetti della vita sociale ed economica del territorio, sia per le particolari categorie di beni ad essa afferenti, sia per il loro valore spaziale, nonchè per il loro valore di “musei di se stessi”. Fin dal 1994 la Regione Sardegna ha approvato una norma speciica che riguarda l’archeologia industriale, la L.R. 29/94, che ha stentato a diventare effettiva, sia per la dificoltà di attuazione, sia per la mancanza di inanziamenti. Il primo effettivo intervento in termini di valorizzazione si deve all’avvio di una catalogazione del patrimonio di archeologia industriale, in quanto si subordina l’erogazione di inanziamenti e la concessione di contributi alla predisposizione di un inventario dei beni. Tale catalogazione si inquadra nella più generale catalogazione dei beni culturali isolani, avviata nel 1996. Tale catalogazione fu realizzata dall’Università di Cagliari (attraverso la collaborazione di diverse facoltà, tra cui quella di Architettura, che hanno formato gli schedatori e hanno seguito i primi lavori di rilevamento dati) e dall’Istituto per i Beni Culturali e Ambientali della Regione Emilia Romagna, soprattutto per quanto riguarda l’informatizzazione dei dati e la predisposizione degli elaborati cartograici e graici a corredo delle schede di rilevamento. Dalla catalogazione emerge che la gran parte delle testimonianze dei processi produttivi oggetto di studio dell’archeologia industriale presenti in Sardegna è costituita dai luoghi legati all’attività estrattiva mineraria. Tra questi due dei più importanti dal punto di vista storico e artistico sono quelli del complesso della miniera di Montevecchio a Guspini, nel Medio Campidano, e il complesso di Masua nel Sulcis Iglesiente. fig.2 | in eviDenza: montevecchio e porto flavia, SarDegna 79 5.2 Miniera di MonteveCChio fig.3 | guSpini, montevecchio fig.4 | guSpini, veDuta Del compleSSo minerario Di montevecchio 80 La miniera di Montevecchio, ricco bacino di risorse e iloni metalliferi piombo-zinciferi, fu utilizzata a partire da metà Ottocento e data in concessione alle società Montevecchio e Pertusola, ma chiuse i battenti nel 1991. Gli impianti sono suddivisi nei settori di Levante e Ponente (Fig.2), separati dal passo di Gennaserapis1, nei pressi del quale sono collocati tutti gli ediici simbolo della miniera (direzione, ospedale, scuola, chiesa e dopolavoro), realizzati in stili diversi in base ai differenti periodi di ediicazione (Fig.3). Si possono identiicare quindi citazioni colte all’architettura del passato, l’uso del Liberty2 ino al linguaggio semplice e funzionale derivante dal Razionalismo. Il primo rifugio costruito nella valle di Gennaserapis, costruito da Giovanni Antonio Sanna3, era una modesta capanna, chiamata dai pastori “Domu de is Oreris”: letteralmente casa dove far trascorrere le ore, probabilmente nell’attesa dei turni di lavori. Dopo questa modesta costruzione, con lo sviluppo dell’attività estrattiva crebbe esponenzialmente tutto il patrimonio edilizio industriale e civile, conseguentemente all’opera di spianamento che aumentò lo spazio utile. In quest’area sorse la prima palazzina, dove oggi è ubicato l’uficio postale, che forse fu anche sede della prima direzione. Successivamente sorse l’ospedale e successivamente anche quella che è l’attuale palazzina della direzione. Quest’ultima sorge su un terrazzamento, in parte naturale ed in parte artiiciale, sui ruderi di una chiesa che Giovanni Antonio Sanna, titolare e poi proprietario della Miniera di Montevecchio, aveva intenzione di costruire a dominio della vallata. Probabilmente questa chiesa non fu mai terminata. Nel 1875 Sanna morì prematuramente, due anni prima di veder completata la sua direzione. I primi interventi furono rivolti al recupero delle parti artistiche della Direzione: un recupero che è tuttora in atto. Si optò innanzitutto per la creazione di un Centro di Documentazione ed Archivio Storico, che oggi ospita migliaia di documenti cartacei provenienti dall’area di Monteponi4 e da diverse aree nazionali. Attualmente si sta potenziando il Centro Documentale grazie al inanziamento europeo relativo al “Parco letterario Giuseppe Dessì”5, che prevede l’aggiunta di una banca dati sul web ed il caricamento archivistico multimediale da inserire nel Centro del Turismo Culturale, che sarà ospitato nell’ex mensa degli impiegati, dell’ex ospedale e dell’asilo. Lo spaccio e la falegnameria saranno anch’essi recuperati ed in essi troveranno posto la sede Unicef, un laboratorio per il restauro e la sperimentazione delle tecniche di miniera, un laboratorio didattico, un book shop ed un punto ristoro. Lo spaccio e la falegnameria saranno anch’essi recuperati ed in essi troveranno posto la sede Unicef, un laboratorio per il restauro e la sperimentazione delle tecniche di miniera, un laboratorio didattico, un book shop ed un punto ristoro. Nell’area di Levante, dove si estendono i tre cantieri minerari Sant’Antonio, Picalinna e Sartori, sono concentrati gli interventi pertinenti al sistema dei percorsi museali, con sistemi di insonorizzazioni e di proiezioni multimediali che consentiranno una visita di tipo sensitivo: si tratta del progetto denominato “Una Miniera di Sensazioni” (costituita da sette temi museali con 17 servizi annessi compresi i servizi sopracitati) ed ha l’obiettivo di creare un polo d’eccellenza per la ricerca, la formazione e la cultura mineraria. fig.5 | guSpini, veDuta Del compleSSo minerario Di montevecchio 81 5.3 Porto Flavia fig.6 | porto flavia, maSua, 2014 fig.7 | porto flavia, foto Storica 82 Porto Flavia è situato nella costa sud-occidentale dell’isola, amministrativamente fa parte del comune di Iglesias, precisamente della località balneare di Masua, in cui sono localizzate le miniere di Masua, Montecani e Acquaresi (Fig.6). Il sito era conosciuto già dal XVII secolo, come dimostrano gallerie e resti di scavi6. In età moderna il primo signiicativo utilizzo risale al 1857 con la concessione del permesso di ricerca alla Società Anonima delle Miniere di Montesanto che si occupò della costruzione di una fonderia a valle e dell’avvio di nuove estrazioni di minerali7. Intorno alla fonderia iniziò a crescere un centro abitato e si costruirono inoltre un molo e una laveria, facendo diventare Masua uno dei centri minerari più importanti dell’isola a ine ‘800. Agli inizi del ‘900 la Società Montesanto cedette i diritti della concessione alla Società Anonima delle miniere di Lanusei, la quale però bloccò i lavori a causa del fermo dovuto alla prima guerra mondiale. Nel 1922 la società belga Vieille Montagne acquistò le miniere di Masua e Acquaresi facendole diventare un unico complesso minerario. fig.8 | porto flavia, foto oDierna Si iniziò così a studiare una soluzione per l’abbattimento dei costi di produzione che avrebbe portato alla nascita di Porto Flavia. Progettato dall’ingegner Vecelli8 e realizzato nel 1924, Porto Flavia è un porto d’imbarco diretto del materiale estratto dalla montagna. Nasce dalla necessità di rispondere al problema dei trasposti del materiale: prima della sua realizzazione l’estratto veniva caricato in spalla e portato ino alla spiaggia di Masua da cui, tramite le bilancelle(imbarcazioni leggere), arrivava a Carloforte ed era scaricato nei mercantili che lì facevano porto . Questa installazione, realizzata scavando dentro la montagna, era formata da due gallerie e tra queste erano posizionati 9 enormi silos per lo stivaggio del materiale con la capacità di 10000 t. Il funzionamento era semplice: dalla miniera un treno elettrico portava l’estratto nella prima galleria, a quota 38m, la quale convogliava il carico di minerali nei 9 silos sottostanti. Nella seconda galleria, a quota 16m, era presente un nastro trasportatore isso che riceveva i minerali dai silos e un nastro trasportatore estensibile che veniva spinto all’esterno (ig. 7), tramite un’apertura nella falesia, quando si doveva caricare la nave e poi riportato all’interno; questa operazione abbatté notevolmente i tempi e i costi per il trasporto. Il “porto sospeso” ha continuato a funzionare ino al 1964 e fu poi abbandonato con la nascita del porto commerciale e industriale di Portovesme. Recentemente si è deciso di trasformarlo in un museo minerario. Si è proceduto con il recupero delle gallerie interne (ig. 9, ig. 10) per poter rendere fruibile la maggior parte degli ambienti del vecchio sito ed il percorso che i visitatori compiono termina con l’apertura dalla quale si può osservare l’isolotto di Pan di Zucchero9(ig. 11). fig.9 | porto flavia, galleria interna fig.10 | porto flavia, galleria interna fig.11 | porto flavia, viSta pan Di zucchero 83 note 1 Collina sarda così chiamata in riferimento alla divinità greco-egizia Serapide, ferma custode e protettrice del mondo sotterraneo, invocata dagli schiavi che all’epoca della dominazione romana faticavano nelle miniere di questa zona. 2 Nome italiano per identiicare l’Art Nouveau, fu un movimento artistico-ilosoico attivo nei decenni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, che inluenzò arti igurative, architettura ed arti applicate 3 Giovanni Antonio Sanna (Sassari, 29 agosto 1819 - Roma, 9 febbraio 1875) fu un imprenditore e politico italiano. 4 Monteponi è una frazione del Comune di Iglesias, nella provincia di Carbonia-Iglesias 5 Il Parco Letterario Giuseppe Dessì nasce al ine di valorizzare, attraverso l’opera dello scrittore sopracitato, il patrimonio naturalistico e ambientale del territorio di Villacidro e dei comuni dell’area del Linas, presenti anch’essi nell’opera dello scrittore. 6 Nelle gallerie sono stati trovati fornelli nella roccia calcerea per la ricerca di piombo e argento. 7 L’ ingegner Bonacossa, che costruì la fonderia, insistette per avviare nuove coltivazioni di Galena e Calamina. 8 Cesare Vecelli (1881-1947) si laureò in ingegneria e nel 1912 fu assunto dalla società Belga, sotto la quale progettò poi Porto Flavia. 9 L’isolotto di Pan di Zucchero è un blocco bianco di roccia calcarea, presenta segni di scavi ma i lavori non sono mai andati a fondo a causa dell’alto rischio di restare bloccati all’interno per condizioni meteorologiche avverse. 84 Fonti bibliograFiChe e sitograFia doCUMentazione FotograFiCa AYMERICH C.; MIGONE RETTIG J.; STOCHINO M. (a cura di) Archeologia industriale. Esperienze per la valorizzazione in Cile e in Sardegna (Atti del Convegno Internazionale),Gangemi editore,Cagliari, 2003 Copertina | Porto Flavia, dal sito www.panoramio.com Fig.1| Tratta dal sito www.minieramontevecchio.it Fig. 2 | Rielaborazione graica di Andrea Lai Articolo riguardante Montevecchio in: www.betagamma.it Articolo riguardante Montevecchio in: www.minieramontevecchio.it Fig. 3| Tratta dal sito www.sardegnacultura.it Fig. 4 | Tratta dal sito www.sardegnainblog.it Fig. 5, 6| Tratta dal sito wikipedia.it Articolo riguardante Montevecchio in: www.sardegnacultura.it Articolo riguardante Parco Letterario Giuseppe Dessì in: www.parcodessi.it Fig. 7, 8| Tratta dal sito www.minieredisardegna.it Fig. 9 | Tratta dal sito www.nebida.com Fig. 10 | Tratta dal sito www.igeaspa.it Articolo riguardante Porto Flavia in: www.minieredisardegna.it Fig. 11| Tratta dal sito www.nebida.com Articolo riguardante Porto Flavia in: www.igeaspa.it Voce Porto Flavia in: wikipedia.it Articolo riguardante Porto Flavia in: www.nebida.com 85 86 Parte ii - Casi di stUdio 88 1 | Forni di CalCinazione a lUCainena de las torres loCalizzazione geograFiCa lineaMenti storiCi L’opera oggetto del nostro studio è il progetto di restauro dei forni di calcinazione di Lucainena de las Torres, antico paese Andaluso situato nei pressi di Almeria. Il progetto è stato commissionato dalla Conserjería de Cultura de la Junta de Andalucía e realizzato nel 2013. I forni di calcinazione costituiscono non solo un elemento paesaggistico di grande rilievo, ma raccontano la storia di questa località e dell’inluenza che ebbe l’avvio delle attività minerarie nella regione. Lucainena de las Torres deve moltissimo a tutto il sistema di trasporto e rafinamento dell’ossido di ferro che permise al paese, a cavallo tra XIX e XX secolo, di raggiungere standard di benessere molto alti in rapporto alla zona.1 Gli otto forni si trovano in un contesto geograico molto particolare: il deserto di Tabernas, luogo il cui sfruttamento del suolo risale ai tempi in cui i Romani iniziarono la deforestazione per la coltivazione dello sparto. Il paesaggio in cui si inserisce l’intervento di restauro ne determina anche il senso: l’obbiettivo di Castillo-Miras non è quello di fare dei forni dei musei o dei monumenti al lavoro, ma quello di rendere alternativamente fruibile l’immensa vallata, attraverso passaggi dai quali si possano apprezzare l’amenità del luogo e i resti pittoreschi delle torri, ormai facenti parte imprescindibile del paesaggio. 2 Nel 1893 venne istituita a Bilbao la Compañía Minera de la Sierra Alhamilla con l’obbiettivo di sfruttare i giacimenti di ferro di alta qualità presenti nei dintorni di Lucainena de las Torres, nella catena montuosa della Sierra Alhamilla, nella provincia di Almeria. Tra il 1894 e il 1896 venne realizzata una ferrovia lunga 35 Km, che collegava Lucainena de las Torres alla baia di Agua Amarga (Fig 2), dove venne installato il deposito di minerali e un porto di scarico delle merci con montacarichi di tipo Cantilever. Il collegamento con le miniere, situate nella parte alta della catena montuosa, venne ideato come un sistema di piani inclinati – ovvero una funicolare che trainava i vagoni nei tratti più scoscesi – chiamato el burrucho3, che correva lungo 600 metri ramiicandosi poi in due linee distinte. Il primo mercantile venne caricato ad Agua Amarga nel 1896. Nel corso di tre anni i iloni presenti nella parte alta della montagna, costituiti da ossido di ferro di grande purezza, vennero sfruttati ino al loro esaurimento. Con il consumarsi della risorsa, cominciò ad afiorare sempre più il carbonato (molto meno prezioso dell’ossido di ferro), che aveva bisogno di essere calcinato in dei forni speciali perché si raggiungesse il tenore richiesto dall’industria siderurgica. Data l’abbondanza del carbonato di ferro, nel 1900 si procedette alla costruzione di una batteria di 8 forni di calcinazione di minerale, in prossimità di Lucainena. La capacità di ciascun forno era di 50 tonnellate di minerale calcinato al giorno. Miniere e ferrovia rivoluzionarono la vita di Lucainena de las Torres, aumentandone nettamente gli standard economici. Oltre a dare lavoro agli abitanti della zona, impiegati perlopiù nel settore agricolo, permise anche al paese di accedere all’elettricità, grazie all’eccedenza prodotta dalla centrale diesel della compagnia mineraria, sostituendo l’energia a vapore. Il paese si munì di un telegrafo, una scuola, un municipio, un uficio postale, tre sportelli bancari e persino di una stazione della Guardia Civile. L’impresa mineraria arrivò ad istituire un ospedale nel quale si effettuavano anche operazioni di un certo rilievo, vennero inoltre aperte tre fig. 1 | lucainena De laS torreS, inQuaDramento 89 tabaccherie, quattro barbieri, due fabbriche di gassosa, un’orologeria e un teatro che venne dedicato a Cervantes.4 La miniera e la ferrovia restarono in funzione ino al 1942, anno in cui venne caricato l’ultimo mercantile e cessò lo sfruttamento delle miniere. Ferrovia e miniera furono smantellate; le locomotrici, i ponti e le rotaie vennero riportati ad Almeria per la loro riconversione in metallo, data la grave carenza di materia prima in cui versava il paese, stremato dalla ormai conclusasi guerra civile. La ine dei forni fu determinata dall’introduzione nel mercato di ferro importato a basso costo e dall’evoluzione della tecnologia nel campo del rafinamento del metallo – che aveva di fatto reso i forni obsoleti. Dopo l’abbandono, i forni hanno subito mezzo secolo di saccheggi e danneggiamenti, che, uniti all’azione degli agenti atmosferici, hanno trasformato la maggior parte di essi in cumuli di macerie (Figg. 3 e 4). Attualmente, restano pressoché intatti il grande piano inclinato (el burrucho), la stazione superiore e la struttura che permetteva il traino dei vagoni.5 fig. 3 | lucainena De laS torreS, Sito prima Dell’intervento fig. 4 | lucainena De laS torreS, Stato attuale Dei forni Miniere Lucainena de las Torres Perelejos Camanillas La Palmerosa Agua Amarga fig. 2 | percorSo Della ferrovia mineraria Da lucainena De laS torreS a agua amarga 90 fig. 5 | caStillo/miraS, raffigurazione Dei forni in attività il Progetto di restaUro I Castillo-Miras propongono una lettura del complesso archeologico industriale volto a esaltare la tensione tra funzione originaria e destinazione attuale. Infatti, il progetto di Castillo-Miras non si pone come restauro di pura conservazione convenzionale, bensì come progetto il cui tema centrale è quello del riuso e del riciclo: il materiale trovato tra le macerie è stato utilizzato per ricostruire il primo forno. I mattoni refrattari e la muratura sono stati riutilizzati, hanno riacquistato il loro uso architettonico originale, allungando il ciclo di vita di queste costruzioni. D’altra parte invece, tutti i nuovi inserimenti sono leggeri e rimuovibili, pronti ad essere smontati e tolti in qualsiasi momento. Pertanto, la ristrutturazione operata è da intendersi come un intervento temporaneo. Il progetto di restauro è quindi caratterizzato dall’aggiunta puntuale di nuovi elementi, prevalentemente costituiti da passerelle e percorsi che guidano il fruitore in una sorta di promenade architecturale alla scoperta dei paesaggi minerari. L’entrata al sito è data da un ponte che permette di superare una cavità prospicente i primi forni di calcinazione. I materiali scelti dagli architetti sono il legno e il corten, che si mescolano in maniera quasi mimetica con i colori del paesaggio del deserto di Tabernas. Dal ponte si protrae una passerella in doghe di legno che biforcandosi conduce all’ingresso del primo e dell’ultimo forno. La batteria di forni si presenta allo stato di rudere, eccezion fatta per il primo della ila che è stato interamente ricostruito utilizzando le macerie ricavate in sito. Lo scopo è puramente didattico: mostrare allo spettatore come doveva essere un forno ai tempi in cui era ancora attivo. L’uso del materiale raccolto in sito e la sua disposizione seguendo meticolosamente il metodo costruttivo originario non permettono un riconoscimento immediato della parte nuova da quella originale. Il rispetto della materia storica è comunque garantito dall’uso di un trattamento diverso all’interno del forno che permette di capire entro quali limiti si è svolta la reintegrazione della materia muraria. Gli altri forni sono stati consolidati e messi in sicurezza in linea con i princìpi del restauro conservativo. La scelta, più che da ricercarsi nella volontà di conservare la materia storica, ha in sé la volontà di conservare le opere come oggetti che, persa la loro funzione originaria, ne hanno trovata una nuova come elementi del paesaggio. Il primo forno, cui è stata reintegrata la totalità della muratura preesistente, presenta anche una copertura che riprende le forme del tetto iniziale. Essa consiste in un volume cuspidato circondato da una passerella che, grazie all’uso del legno e del corten, corona il forno di calcinazione in maniera poco impattante andando a ricreare l’effetto visivo del materiale originale. Il coronamento del primo forno è raggiungibile da una passerella posta a delimitazione del bastione retrostante. Anche questo elemento ha lo scopo preciso di riproporre in maniera stilizzata i volumi originali.6 fig. 6 | lucainena De laS torreS, panorama Del DeSerto Di taBernaS Dal BaStione Dei forni 91 fig. 7 | forni Di calcinazione, Spaccato aSSonometrico Della copertura fig. 8 | forni Di calcinazione, Sezione traSverSale 92 oPere ConFrontabili Malgrado la decisione dell’amministrazione andalusa di intervenire su dei forni di calcinazione sia quasi unica nel suo genere, il progetto dei Castillo-Miras percorre delle vie già più volte intraprese nella storia del restauro: la decisione di fare delle rovine un luogo più panoramico che rifunzionalizzato e di utilizzare materiali che impattassero minimamente a livello visivo con l’ambiente. L’uso del corten è infatti largamente diffuso nel mondo del restauro: lo stesso studio andaluso aveva già in precedenza usato un concetto simile per la realizzazione della Torre Huercal-Overa di Tahal, ad Almerìa. In questo progetto si era proceduto a rifunzionalizzare la fruizione dell’antica torre attraverso aggiunte puntuali in corten, quali la scala e qualche percorso ai piedi della torre. Un esempio simile lo possiamo trovare anche in Italia, con il restauro di Castel Firmiano, in provincia di Bolzano. Il progetto, irmato da Werner Tscholl7, architetto molto attivo in Alto Adige e molto sensibile al tema del restauro, si connota essenzialmente per due cose: le lunghe passerelle che costeggiano i resti della cinta muraria e i nuovi involucri facilmente identiicabili dall’uso di materiali innovativi. L’intervento è apparentemente minimale, proprio come per i forni di calcinazione, il castello è stato lasciato prevalentemente allo stato di rudere, con opere che sono state rivolte perlopiù al consolidamento delle mura e dei torrioni. Ricompletata quasi completamente invece, la Weißen Turm (la torre bianca) è un elemento di campionatura che ci permette di avere un idea di come dovesse essere il castello in precedenza. Altro punto in comune col progetto dei Castillo-Miras è la ri-funzionalizzazione: il castello non è museo di se stesso ma diventa un percorso di sensazioni alla scoperta della montagna, voluto dal noto alpinista Reinhold Messner. I percorsi e le poche stanze conducono il fruitore in un viaggio che dichiaratamente non vuole essere didattico, ma vuole indurre a rilessioni. Allo stesso modo i percorsi che costellano i forni di calcinazione di Lucainena de las Torres non hanno uno scopo meramente didattico, non ci vogliono mostrare come funzionassero i forni, sono altresì il mezzo con il quale scopriamo la bellezza di un paesaggio raro come quello del deserto di Tabernas, e di come l’intervento umano – ormai reclamato dalla natura – ne sia diventato parte integrante. fig. 9 | almeria, torre huercal fig. 10 | Bolzano, caStel firmiano 93 CritiChe e ConClUsioni La natura dell’intervento operato da Castillo-Miras sui forni di calcinazione di Lucainena de las Torres fa rientrare il progetto nel quadro del restauro critico e, in certa misura, nella pura conservazione. Come già speciicato l’oggetto dell’intervento non è una singola fabbrica, ma più oggetti architettonici che hanno subito un trattamento diverso. La scelta di intervenire in maniera evidente solo su un forno ha in sé una volontà didattica che mira a restituire l’immagine di uno dei forni rendendolo funzionale alla fruizione del paesaggio. L’intervento operato sulla torre non è teso a riprodurla fedelmente, ma a ricostruirne le forme facendo uso di materiali riciclati – come i mattoni recuperati dalle macerie degli altri forni – e di materiali come il corten, che consentono un’integrazione cromatica con la preesistenza. Il principio della riconoscibilità si percepisce soprattutto all’interno del primo forno, dove è possibile distinguere i mattoni preesistenti e quelli riciclati nel nuovo intervento di riposizionamento (ig. 11). fig. 11 | lucainena De laS torreS, interno Del forno Di calcinazione reStaurato Gli altri forni sono stati invece lasciati allo stato di rovine, di cui viene sfruttato l’alto valore paesaggistico e simbolico. Pertanto, possiamo affermare che è stato applicato anche il principio del minimo intervento, consistito essenzialmente nella rimozione delle macerie e delle parti estremamente compromesse. Si è proceduto successivamente al consolidamento delle opere murarie, la cui materia storica è stata lasciata intatta e priva di sovrapposizioni. Risulta essere evidente, da parte degli architetti, la volontà di applicare e rispettare quasi completamente il principio della reversibilità. I nuovi interventi realizzati in corten sono stati progettati in modo tale da non arrecare danni alla materia originale e da essere removibili.9 Se considerato nel suo insieme, l’intervento è in ogni caso ascrivibile al restauro critico. Anche laddove diversi elementi siano stati lasciati allo stato di rudere, il senso generale dell’opera di restauro non è quello di esaltare la qualità architettonica dell’oggetto, che è obbiettivamente scarsa, ma di indurre rilessioni sull’alto valore storico del sito minerario, soprattutto in relazione al territorio di Almeria. 94 fig. 12 | lucainena De laS torreS, rapporto Del Sito con il paeSaggio fig. 13 | lucainena De laS torreS, viSta Del collegamento tra il BaStione e la torre reStaurata fig. 14 | lucainena De laS torreS, paSSarella Di collegamento con il BelveDere Situato Sulla torre Di calcinazione 95 Castillo/Miras arqUiteCtos biograFia arChitetti Lo studio architettonico Castillo-Miras si è formato in Spagna nel 2000, ad Almeria, dall’iniziativa degli architetti Luis Castillo Villegas e Mercedes Miras Varela. I due architetti hanno backgrounds formativi molto diversi. Luis Castillo Villegas studia all’ETSA di Madrid, poi alla School of Architecture di Londra, laureandosi nel 1995. Le sue esperienze lavorative sono concentrate prevalentemente in Spagna ed Olanda. La fondazione dello studio lo impegna nel progetto e nella realizzazione di ediici a destinazione pubblica. La sua opera si distingue per l’esercizio su piccola scala: case monofamiliari e accurati interventi di recupero e restauro su ediici d’eccezione che esprimono la sua attenzione al disegno e all’uso calibrato dei materiali. Mercedes Miras Varela compie il suo ciclo di studi interamente in Spagna, fig. 15 | gli architetti caStillo e miraS 96 laureandosi all’ETSA di Siviglia nel 1997. Lavora come consulente per la Junta de Andalusia ed è responsabile della partecipazione dei cittadini per progetti di alloggi sociali e di spazi urbani in aree socialmente emarginate . I due architetti si pongono come obbiettivo quello di mostrare alla società la necessità di pensare ad una nuova architettura. Un’architettura «che sia capace di risolvere problemi e di non crearne, che sappia apportare soluzioni pragmatiche ed economicamente possibili, ma che sia in grado trascendere il meramente utilitario» 11. I princìpi cui si afidano sono quelli del riciclaggio, della riutilizzazione dell’obsoleto ed il recupero delle strutture, degli spazi e dei paesaggi in degrado. Come dichiarano essi stessi nel sito dello studio, bisogna «sfruttare l’esistente per andare oltre e vedere ciò che i nostri occhi non vedono, recuperando ciò che è stato abbandonato» 12. oPere Insieme Castillo e Miras hanno realizzato prevalentemente opere di restauro commissionate dalla Conserjería de Cultura de la Junta de Andalucía, e quasi tutte nella zona di Almeria. Nell’ottobre del 2005 è stato realizzato a La Almedina, su commissione di Antonio Goméz Escudero, il progetto per la Vivienda Goméz, un esempio di edilizia minore storica completamente rivisitata al suo interno attraverso elementi in muratura ed intonaci. Il Consultorio Medico di Vìcar, realizzato nell’aprile del 2007 e commissionato dalla Conserjería de Cultura de la Junta de Andalucía, è una delle poche opere che non riguardi interventi su strutture preesistenti, trattandosi di un ediicio completamente nuovo e di carattere dichiaratamente contemporaneo. Il Centro Andaluz de Fotograia (CAF), realizzato nel giugno del 2007 per la Conserjería de Cultura de la Junta de Andalucía. L’intervento si inserisce in un ediicio, detto Lieo (liceo), le cui origini risalgono al basso medioevo. Il progetto prevede una serie di risistemazioni a ini espositivi attraverso l’aggiunta di elementi lignei ed in cartongesso. Il restauro della Torre Nazarì di Tahal, Almerìa è stato realizzato nel gennaio del 2008 e commissionato dalla Conserjería de Cultura de la Junta de Andalucía. Il progetto consiste in una serie di sistemazioni interne realizzate esclusivamente in legno e che rendono fruibile la torre. Anche questo progetto si contraddistingue per la reversibilità e l’evidente distinguibilità delle opere eseguite. Il progetto di restauro della Torre Huercal-Overa di Tahal, ad Almerìa rappresenta forse il progetto più simile a quello dei forni realizzato dallo studio Castillo-Miras per la Conserjería de Cultura de la Junta de Andalucía. I lavori sono stati terminati nel febbraio del 2010, il restauro consiste in un completamento dell’antica torre seguendo i princìpi della distinguibilità e della reversibilità, con aggiunte in corten che permettono l’ingresso e la visita della torre. Il penultimo progetto realizzato riguarda la sistemazione dei giardini del quartiere di La Chancha a La Almedina, Almeria, realizzati a giugno 2010. Il progetto si inserisce in un contesto paesaggistico di rilievo, permettendo una visione d’insieme del porto e della città antica. 13A fig. 17, fig. 18 | la almeDina, camminamenti nei giarDini Del la chancha Quartiere Di fig. 16 |almeria,torre nazarì Di tahal fig. 19 |almeria, centro anDaluz De fotografia 97 note 1 Taller empleo conociendo Nijar, De lucainena a aguamarga por ferrocarril, 10 novembre 2011: http:// conociendonijar.blogspot.be Sito uficiale dello studio di Werner Tscholl: www.wernertscholl.com 2 GIOVANNA CRESPI, 2013, Progettare la vita delle rovine. Un’opera di Castillo Miras, Casabella 830, pp.52-59 8 3 9 Denominazione riferita alla seguente fonte: Equipo Texeo (rivista Monsacro), Almeria: Los hornos de Lucainena, 28 dicembre 2007: http://www. arqueologiaypatrimonioindustrial.com/2007/12/almerialos-hornos-de-lucainena.html 4 Taller empleo conociendo Nijar, De lucainena a aguamarga por ferrocarril, 10 novembre 2011: www. conociendonijar.blogspot.be 5 Riferimenti bibliograici: Equipo Texeo (rivista Monsacro), Almeria: Los hornos de Lucainena, 28 dicembre 2007: http://www.arqueologiaypatrimonioindustrial.com e Taller empleo conociendo Nijar, De lucainena a aguamarga por ferrocarril, 10 novembre 2011: www. conociendonijar.blogspot.be Studio del materiale iconograico realizzato da Fernando Alda presente nell’articolo Hornos de Calcinación: www. divisare.com 6 98 Studio del materiale iconograico realizzato da Fernando Alda presente nell’articolo Hornos de Calcinación: www. divisare.com 7 Studio del materiale iconograico realizzato da Fernando Alda presente nell’articolo Hornos de Calcinación: www. divisare.com GIOVANNA CRESPI, 2013, Progettare la vita delle rovine. Un’opera di Castillo Miras, Casabella 830, pp.52-59 10 11 Sito uficiale dello studio CASTILLO/MIRAS ARQUITECTOS, presentazione dello studio architettonico: www. castillomiras.es 12 Sito uficiale dello studio CASTILLO/MIRAS ARQUITECTOS, presentazione dello studio: www.castillomiras.es 13 Sito uficiale dello studio CASTILLO/MIRAS ARQUITECTOS, dossiers dei progetti: www.castillomiras.es Fonti bibliograFiChe e sitograFia GIOVANNA CRESPI, Progettare la vita delle rovine. Un’opera di Castillo Miras, in “Casabella” 830, pp.52-59. 2013 ANDRÉS CÁNOVAS, La otra vida de las fábricas. Hornos, Lucainena de las Torres, in “Arquitectura Viva” 148, pp. 20 - 34. Gennaio 2013 Sito uficiale dello studio CASTILLO/MIRAS ARQUITECTOS, dossiers dei progetti: www.castillomiras.es Equipo Texeo (rivista Monsacro), Almeria: Los hornos de Lucainena, 28 dicembre 2007: www.arqueologiaypatrimonioindustrial.com Castillo & Miras: forni di calcinazione ad Almería, 28 febbraio 2013 : www.arquitecturaviva.com Taller empleo conociendo Nijar, De lucainena a aguamarga por ferrocarril, 10 novembre 2011: www.conociendonijar.blogspot.be Fig. 6 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion. Divisare, 2013 Fig. 7 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion. Divisare, 2013 Fig. 8 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion. Divisare, 2013 Fig. 9 | © CASTILLO/MIRAS, Torre Huercal-Overa. www. castillomiras.es Fig. 10 | © ALEXA RAINER, Castel Firmiano. Divisare Fig. 11 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion. Divisare, 2013 Fig. 12 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion. Divisare, 2013 Fig. 13 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion. Divisare, 2013 Divisare, Hornos de Calcinación: www.divisare.com doCUMentazione iConograFiCa Copertina | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion. Divisare, 2013 Fig. 1 | © Google Earth Pro, Immagina area di Lucainena de las Torres rielaborata, 2013 Fig. 14 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion. Divisare, 2013 Fig. 15 | © CASTILLO/MIRAS, Foto degli architetti Castillo e Miras. Divisare, 2013 Fig. 16 | © CASTILLO/MIRAS, Torre Nazarì di Tahal. www. castillomiras.es Fig. 2 | © www. conociendonijar.blogspot.be, Immagine rielaborata da mappa turistica Fig. 17 e 18 | © CASTILLO/MIRAS, Giardini del quartiere di La Chancha. www.castillomiras.es Fig. 3 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion. Divisare, 2013 Fig. 19 | © CASTILLO/MIRAS, Centro Andaluz de Fotografía. www.castillomiras.es Fig. 4 | © CASTILLO/MIRAS, Rafigurazione dei forni in attività. www.castillomiras.es Fig. 5 | © FERNANDO ALDA, Hornos de Calcinacion. Divisare, 2013 99 100 2 | Casa del leCtor loCalizzazione geograFiCa lineaMenti storiCi La Casa del Lector, uno dei padiglioni del complesso del Centro de Creación Contemporanea Matadero1 di Madrid, è situata nel quartiere madrileno di Arganzuela, a ridosso del iume Manzanares, conine naturale tra il centro città e l’area meridionale. L’intervento, iniziato nel 2008 e concluso nel 2012 è opera di Antón García-Abril che, descrivendo la localizzazione geograica del progetto afferma: «Abbiamo trovato il sito, il vecchio Mattatoio di Madrid, straordinariamente ricco di signiicati: strategico non solo in termini di posizione, all’interno dell’area metropolitana di Madrid, ma strategico anche nel momento storico in cui esso è nato. Un sito quasi urbano, apparentemente isolato dal tessuto della città, ma improvvisamente collegato alla più grande rete di infrastrutture ed al paesaggio creato sulle rive del iume Manzanares: il parco lineare del iume di Madrid. Questo parco, la colonna vertebrale dell’anatomia urbana di Madrid, è un importante asse di collegamento. E la sua presenza ci ha aiutato a capire che anche la città è una costruzione che collega la vita delle persone. E che gli ediici dovrebbero essere supportati da questo legame, e quindi che la connettività dovrebbe essere il principio di base del sistema. La nostra intenzione era quella di materializzare questa rete di connessioni e costruire dei ponti verso la lettura. La Casa del Lector darà vita al legame tra le persone e la lettura» 2. Il complesso del Centro de Creación Contemporanea Matadero si costituisce di circa 60 padiglioni e si sviluppa su una supericie di 150.000 mq. Realizzato agli inizi del XX secolo nelle immediate periferie della città, il Matadero nasce come mercato di bestiame e mattatoio industriale, attività che necessitavano di agevoli collegamenti via terra per il trasporto di animali e foraggio. I successivi ampliamenti della città e il progressivo peggioramento delle condizioni igieniche, entrambi fenomeni dovuti al notevole incremento della popolazione, hanno portato allo sviluppo di nuovi ediici nelle aree più periferiche e successivamente all’abbandono degli ediici preesistenti o alla loro attribuzione a nuove funzioni: è questo il caso del mattatoio di Arganzuela, costruito in sostituzione del mattatoio di Puerta de Toledo3. Il concorso per la realizzazione del nuovo mattatoio di Madrid fu indetto il 9 gennaio 1899 e vide come vincitore il madrileno Joaquín Saldaña4 che propose una composizione simmetrica basata sui modelli parigini e londinesi. fig. 1| maDriD, inQuaDramento Numerose vicissitudini portarono all’afidamento deinitivo dell’incarico all’architetto Luis Bellido5 che concluse il progetto nel 1911 dopo aver compiuto un viaggio tra Europa e Stati Uniti. Il complesso venne inaugurato nel 1924; i lavori furono più volte interrotti sia a causa di dificoltà economiche del Comune che per le carestie conseguenti allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. La scelta della nuova sede del Matadero nella dehesa6 di Arganzuela, adiacente al iume Manzanares, fu aspramente criticata sia per l’insalubrità del iume che per il basso livello delle sue acque che rendeva estremamente dificile il processo di drenaggio del terreno. Il costo particolarmente elevato previsto per questa operazione portò a considerare nuove possibilità di ubicazione, ma lo stato di avanzamento del progetto di canalizzazione del iume nel 1910 favorì la scelta della collocazione deinitiva nella dehesa, apportando delle 101 modiiche ai precedenti disegni della rete fognaria. Gli ediici vennero raggruppati in settori: produzione, direzione ed amministrazione, mercato dei generi alimentari, mercato del lavoro e sezione sanitaria. Inoltre furono realizzati alloggi per il personale, una cappella e un sistema di circolazione con una propria ferrovia. Durante la Guerra Civile Spagnola del 1936, alcuni degli ediici del Matadero, posizionati al fronte, vennero utilizzati come deposito di munizioni. Al termine della Guerra numerose aree del complesso furono destinate agli usi più disparati: dal mercato di patate nel 1940 al padiglione per le autopsie nel 1943. Quando, nel 1970 le funzioni cominciarono a risultare obsolete, si iniziò ad intervenire per dotare di nuove e stabili funzioni alcuni dei padiglioni e, a partire dalla Ley de Arganzuela7 emanata nel 1967, si assistette alla demolizione di intere parti del complesso o alla loro completa trasformazione. Tuttavia, la modiica della Ley de Arganzuela del 1983 stabilì il divieto delle demolizioni del mattatoio e dintorni in favore di nuove costruzioni. Da questo momento, gli interventi di modiica del complesso furono inalizzati esclusivamente al riuso e alla riqualiicazione. Negli anni ottanta l’architetto Rafael Fernández-Rañada trasformò l’ediicio della direzione e amministrazione dell’antico mattatoio, noto come Casa del Reloj, in sede della Giunta Municipale di Arganzuela. Lo stesso architetto trasformò il padiglione destinato alla custodia ed alla vendita dei vitelli in uno spazio socioculturale. Negli anni novanta, l’architetto Antonio Fernández Alba8 trasformò i vecchi stabili per i bovini nella sede del Balletto Nazionale di Spagna e della Compagnia Nazionale di Danza. La chiusura deinitiva del mattatoio avvenne soltanto nel 1996. Nel 1997 il nuovo Plan General de Ordenaciòn Urbana di Madrid9 incluse il Mattatoio Municipale nel Catalogo degli Ediici Protetti. Le installazioni, soggette a manutenzione secondo quanto riportato nel Piano Speciale di intervento e adeguamento architettonico, rimasero inutilizzate ino al 2003, anno in cui si decise di attribuirgli la nuova funzione di spazio culturale, dando vita a quello che oggi è conosciuto come Centro de Creación Contemporanea Matadero di Madrid, che aprì le sue porte nel 2007. fig. 2 | maDriD, navi Del macello con DepoSiti per l’acQua fig. 3 | maDriD, aDDetti al macello fig. 4 | maDriD, antico mattatoio 102 il Progetto di restaUro Il progetto per la Casa del Lector prevede il recupero di 4 dei circa 60 padiglioni dell’ex mattatoio di Madrid. L’intervento, inalizzato alla realizzazione di un centro culturale costituito da biblioteca, spazi polivalenti, circa 20 aule e un auditorium, si concretizza attraverso il restauro dei padiglioni 13, 14, 17 b e di parte del padiglione 17c. Nel padiglione 17b è collocato l’auditorium, indipendente dal resto della struttura ma comunque adeguatamente collegato. Esternamente gli interventi sono rivolti al recupero delle forme dell’ediicio preesistente e alla sistemazione della copertura a falde mentre all’interno, l’inserimento di un involucro di lame di alluminio genera uno spazio luminoso e assolutamente contemporaneo. Nel padiglione 17c, interessato solo in parte dagli interventi di recupero, hanno sede gli ufici e e il centro direzionale dell’intero complesso di ediici. I padiglioni gemelli 13 e 14 ospitano gli spazi per le attività educative e di divulgazione culturale. Questi sono oggetto di interventi più complessi e signiicativi principalmente inalizzati al mantenimento e al potenziamento del carattere degli spazi originari. L’impianto basilicale dei due ambienti è attraversato trasversalmente da ponti sospesi capaci di collegare insieme i due padiglioni prima indipendenti, conferendo nuova unità al complesso e delimitando un cortile chiuso tra i due volumi. I nuovi elementi architettonici, realizzati con travi di cemento armato lunghe 23 metri e dal peso di 52 tonnellate ciascuna, incarnano in pieno lo spirito del progetto, ossia la volontà di esprimere le idee di comunicazione e connessione. Questo sistema di collegamenti in quota internamente scandisce il ritmo dell’ediicio e suddivide l’ambiente in due livelli distinti. Il piano terra ospita spazi dinamici, mutevoli, aperti e facilmente accessibili dalla strada, principalmente destinati ad incontri, esposizioni e attività laboratoriali. Gli spazi al piano superiore sono più intimi e riservati, pensati per attività di studio individuale e di ricerca. Il diverso carattere dei due livelli è sottolineato anche dal differente utilizzo dei materiali: i massicci elementi in cemento armato infatti, si contrappongono a quelli leggeri e metallici che costituiscono la struttura originaria. fig. 5 | maDriD, caSa Del lector, interno 103 fig. 7 | maDriD, caSa Del lector, auDitorium fig. 8 | maDriD, caSa Del lector, uffici fig. 6 |maDriD, caSa Del lector, pianta piano terra 104 fig. 9 | maDriD, caSa Del lector, interno Il progetto degli interni è afidato allo studio Jesús Moreno & Asociados10 che attraverso molteplici interventi architettonici e di design ha dato risposta alle esigenze di diversiicazione dei grandi spazi, mediante elementi eterogenei in un intento formale uniforme. Questo obiettivo è perseguito tramite un disegno razionale e rigoroso coniugato con un’accurata scelta di materiali e di trattamenti cromatici. Degno di nota è anche il contributo dello studio Investigación Gráica dei disegnatori Alberto e Oyer Corazón11, incaricati della deinizione dell’identità graica dell’ediicio. Attraverso l’utilizzo di materiali quali l’acciaio, il neon, il vinile, e il dibond, e la creazione di un font ad hoc chiamato “Futura Reader”, i Corazón raggiungono l’ambizioso intento di arricchire l’esperienza della lettura di ciascun individuo. In quest’ottica, ciascuno spazio è dotato di un signiicato programmatico, in funzione della destinazione d’uso, esprimendo concetti collegati al mondo della lettura mediante frasi e parole che diventano veri e propri elementi di design. fig. 11 | maDriD, caSa Del lector, Dettaglio interni fig. 10 | maDriD, caSa Del lector, Dettaglio Scale fig. 12 | maDriD, caSa Del lector, Dettaglio ingreSSo 105 CritiChe e ConClUsioni Gli elementi prefabbricati in cemento armato che attraversano e deiniscono lo spazio dei padiglioni gemelli della Casa del Lector, non possono non richiamare il confronto con altri due progetti ancora a cura di Antón García Abril & Ensamble Studio: l’installazione “Balancing Act” realizzata per la Biennale di Architettura 2010 di Venezia e Casa Hemeroscopium, una villa unifamiliare realizzata a Madrid nel 2008. In entrambi i progetti, così come nella Casa del Lector, gli elementi strutturali prefabbricati perdono la scala e diventano strumento di deinizione dello spazio. L’installazione “Balancing Act”, commissionata da Kazuyo Sejima12 « (…) è una composizione in cui più voci risuonano insieme, e dove le diverse tecniche rappresentano lo strumento per raggiungere un oggetto polifonico»13. Equilibrio, ma anche instabilità e armonia sono anche i principi alla base del progetto di Casa Hemeroscopium, dove sette elementi prefabbricati deiniscono uno spazio architettonico domestico in cui dominano i contrasti tra stabilità e precarietà, leggerezza e solidità. Questi principi, che accomunano tutti i progetti di García Abril & Ensamble Studio, trovano completa espressione nel manifesto del suo pensiero14 ed in particolare in due dei suoi 7 punti: «3. We conceive spaces and design their construction using an explosive mixture of imagination and reality, aiming to excite places and people, to create strong bonds that will improve the quality of life in and around them. (…) 6. Structure is the architecture, which is not only entrusted with the important task of dealing with gravity, but also traces the space, frames the landscape, orders the program, expresses; and so, deines architecture. Without dressings or disguise, with constructive economy and honesty»15. Entrambi i concetti sono alla base dell’intervento di restauro di Casa del Lector: il risultato è un ediicio che incarna e sintetizza passato e futuro, capace di adattare un’operazione di rifunzionalizzazione ad un ediicio 106 mantenendone le forme e rispettando la concezione spaziale. L’intervento quindi «(…) si rivela assai coraggioso. Oltre che svelare la vacuità di senso sottesa al termine “reversibilità” negli interventi su ediici storici, esso propone, infatti, una lettura della “memoria del luogo” depurata da qualsivoglia atmosfera o carattere epidermico, come anche di ogni traccia materiale del trascorrere del tempo; solo i caratteri essenziali dello spazio architettonico, da predisporre afinché in esso possa iniziare il racconto di una “nuova storia”»16. fig. 13 | venezia, Balancing act fig. 14 | maDriD hemeroScopium houSe antón garCía-abril vita Antón García-Abril nasce nel 1969 a Madrid, città in cui frequenta l’Escuela Técnica Superior de Arquitectura. Nel 2000 consegue il suo primo dottorato e nello stesso anno fonda l’Ensamble Studio, un team multidisciplinare cui sono associati Javier Cuesta e Débora Mesa Molina17. I suoi progetti, tesi sempre alla ricerca di un nuovo approccio allo spazio architettonico e urbano, seppur raggiungano esiti formali estremamente differenti si fondano sulla relazione tra concezione strutturale, essenza dei materiali e conigurazioni spaziali, concetti in cui è impossibile non identiicare l’inluenza di Alberto Campo Baeza18, suo docente all’ETSAM. Autore di progetti pluripremiati, García-Abril afianca la sua carriera di progettista ad attività di docenza e di ricerca: è stato professore associato presso la Scuola di Architettura dell’Università Politecnica di Madrid, professore invitato all’Università di Cornell nel 2008 e alla Graduate School of Design ad Harvard e visiting e critic professor in diverse università e istituzioni in Europa e in America. Dal 2011 è professore ordinario alla Scuola di Architettura e Pianiicazione del Massachusetts Institute of Technology. La sua attività si svolge anche attraverso lezioni e conferenze in tutto il mondo, alcune delle quali all’'Architectural Association School of Architecture di Londra, alla Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo, all’Istituto Cervantes di Chicago e alla Bauhaus University di Weimar. fig. 15 | l’architetto antón garcía-aBril PrinCiPali oPere 1999 - Auditorio y Escuela de Música, Medina del Campo, España. 2000 - Escuela de Altos Estudios Musicales, Santiago de Compostela, España. 2004 - Taller de Manolo Valdés, Madrid, España. 2004 - Casa Martemar, Málaga, España. 2004 - Sede SGAE Noroeste, Santiago de Compostela, España. 2005 - Casa Hemeroscopium, Las Rozas de Madrid, España. 2006 - 2010 - Casa Trufa, Costa de la Muerte, Galicia, España. 2007 - SGAE Central Ofice, Santiago de Compostela, España. 2009 - Torre de la Música, Valencia, España. 2010 - Museo Mesoamericano, Salamanca, España. 2010 - Balancing Act, 12 Bienal de Venecia, Italia. 2012 - Casa del Lector, Madrid, España. 2012 - The Cloud, Madrid, España. 2013 - Teatro Telcel, México DF, México. fig. 16 | málaga, martemar houSe 107 note Antonio Fernández Alba (Salamanca, 1927) si laureò in Architettura nella Escuela Arquitectura de Madrid, nella 1 Il complesso del Centro de Creación Contemporanea Matadero, aperto al pubblico dal 2007, rappresenta un 8 grande spazio di scambio di idee riguardanti la cultura ed i valori della società contemporanea, aperto a tutti i campi della creazione, con l’obiettivo di favorire l’incontro ed il dialogo tra artisti e pubblico. Si tratta di un centro creato nel 2006 dal Municipio di Madrid per promuovere l’arte contemporanea e gli ambiti culturali ad essa connessi secondo un approccio multidisciplinare. quale si dottorò nel 1963 e nella quale insegnò per circa 40 anni. Oltre alla carriera di insegnante lavorò nell’Istituto di Restauro del Patrimonio Storico Spagnolo, del quale fu direttore tra il 1984 e il 1987. Successivamente divenne presidente del Patronato del Museo di Arte Contemporanea tra il 1987 ed il 1990. Tra le sue opere spiccano il Monasterio del Rollo de Salamanca ed il Convento de las Carmelitas Descalzas, o il restauro dell’Observatorio de Madrid. Critico nei confronti dell’architettura del suo tempo, la sua opera è il risultato di una rilessione critica sullo spazio architettonico della società attuale. 2 Da Casa del Lector, Ensamble Studio,www.divisare.com La Porta di Toledo è un monumento del primo terzo del XIX secolo della città spagnola di Madrid. Fu eretta come arco di trionfo in onore del re Fernando VII. 3 Il Plan General de Ordenación Urbana (P.G.O.U.) è uno strumento di pianiicazione generale deinito dalla normativa urbanistica spagnola come uno strumento base di ordinazione integrale del territorio di uno o più comuni, attraverso il quale si classiica il suolo, si determina il regime applicabile ad ognuna di queste classiicazioni, e si deiniscono gli elementi fondamentali del sistema di servizi del comune in questione. 9 Joaquín Saldaña y López (Madrid, 1870 - 1939) fu un architetto spagnolo laureato a Madrid nel 1894. Fu l’architetto della classe aristocratica di Madrid di ine XIX secolo, infatti costruì diversi palazzi e case signorili. Le sue opere furono realizzate in alcune aree dell’ensanche di Madrid, in stile Belle Epoque che diventò popolare con il nome “Stile Saldaña”. Vi sono alcune opere architettoniche nella Gran Vía” 4 Jesús Moreno & Asociados è uno studio di architettura e design fondato nel 1993. Il suo carattere multidisciplinare consente la realizzazione di interventi nei diversi campi come graphic design, industrial design, interior design e storia dell’arte, prediligendo però la progettazione di esposizioni temporanee. Tra le più importanti si ricorda l’allestimento realizzato per il Museo Nazionale del Prado a Madrid. 10 Luis Bellido y González ((Logroño, 1869 - 1955) fu un architetto spagnolo responsabile della progettazione di una grande quantità di ediici di Madrid, città nella quale fu architetto municipale. Uno dei più famosi fu appunto il Matadero y Mercado Municipal de Ganados de Madrid. Bellido impiega uno stile storicista nelle costruzioni pubbliche ed istituzionali, e l’eclettismo di chiara inluenza francese per le costruzioni civili. 5 11 6 7 dallo spagnolo, prateria. La Ley de Arganzuela fu una legge emanata nel 1967 con la quale lo Stato cedette al comune di Madrid i terreni dell’antica prateria di Arganzuela, afinchè nell’arco di dieci anni convertisse l’area del Matadero in un parco verde: il Parco di Arganzuela. 108 Alberto Corazón è un disegnatore spagnolo attivo sul campo internazionale, l’unico disegnatore europeo ad aver ricevuto la Medaglia d’Ora dell’American Institute of Graphic Arts. Autore di numerose pubblicazioni nel campo del design e dell’arte, ha collaborato per circa un decennio con il iglio Oyer Corazón, anch’egli disegnatore e direttore generale dello studio, dalla cui collaborazione hanno preso vita numerosi progetti. Kazuyo Sejima è un’architetto giapponese laureata nel 1981 presso la Japan Woman’s University .Nel 1987 apre un proprio studio a Tokyo e nel 1995 fonda insieme a Ryue Nishizawa lo studio SANAA. Ha partecipato a concorsi in Giappone e all’estero ottenendo numerosi premi: tra gli ultimi vi i è quello per il Learnig Center del politecnico federale di Losanna. Tra i suoi lavori più importanti si ricordano il Police Box at Chofu Station del 1995 e il Multi Media-studio del1996 con la collaborazione di Ryue Nishizawa. 12 Sito uficiale dell’Ensamble Studio, Balanzing Act. Venezia : www.ensamble.info 13 Sito uficiale dello Studio Ensamble Studio, manifesto del pensiero: www.ensamble.info 14 Sito uficiale dello Studio Ensamble Studio, manifesto del pensiero: www.ensamble.info 15 A.MANN, Leggere lo spazio, in “Casabella”, LXXVI (2012), 820, p.38. 16 17 Javier Cuesta e Débora Mesa Molina sono rispettivamente architetto associato e architetto codirettore, insieme ad Antón García-Abril dell’Ensamble Studio 18 Alberto Campo Baeza è un architetto spagnolo di fama internazionale. Autore di progetti pluripremiati dalle case unifamiliari a Cadice e Madrid agli ufici del Governo della regione della Castilla y León a Zamora- la sua attività ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti tra i quali l’Arnold W. Brunner Memorial Prize dell’American Academy of Arts and Letters nel 2013 e il RIBA International Fellowship 2014 del Royal Institute of British Architects. Nel 2014 è state eletto Full Member della Royal Academy of Fine Arts di San Fernando in Spagna. Nel 2015 è stato insignito del BigMat 2015 a Berlino e dell’International Prize of Spanish Architecture (PAEI 2015). Fonti bibliograFiChe e sitograFia A.MANN, Leggere lo spazio, in “Casabella”, LXXVI (2012), 820, pp 37-51. www.ensamble.info www.archdaily.com www.lettera43.it www.divisare.com www.arquitecturaviva.com www.room-digital.com www.elcultural.com www.oyercorazon.com www.casalectorfundaciongsr.com www.jmasoc.com www.wikipedia.org www.mataderomadrid.org www.labiennale.org www.architizer.com www.dezeen.com www.architecture.mit.edu www.cersaie.com www.archilovers.com www.it.phaidon.com www.campobaeza.com 109 www.archimagazine.com www.albertocorazon.com www.rolandhalbe.eu Fig. 13 | © ROLAND HALBE, Fotograie dal sito www. rolandhalbe.eu, 2010 doCUMentazione iConograFiCa Fig. 14 | © ROLAND HALBE, Fotograie dal sito www. rolandhalbe.eu, 2008 Copertina | © ARLES IGLESIAS, Fotograie dal sito www. jmasoc.com, 2012 Fig. 1 | © Google Maps, Foto area di Madrid rielaborata, Ottobre 2014 Fig. 2 | © LUIS BELLIDO, Fotograie dal sito www. mataderomadrid.org Fig. 3 | © ARCHIVIO REGINOAL DE LA COMUNICAD DE MADRID, Fotograie storiche dal sito www. mataderomadrid.org Fig. 4 | © JUAN SANDE, Fotograie dal sito www. mataderomadrid.org, 2006 Fig. 5 | © ARLES IGLESIAS, Fotograie dal sito www.jmasoc. com Fig. 6 | © Materiale iconograico della pagina Casa del Lector / Ensemble Studio dal sito www.archdaily.com Fig. 7 | © ADRIÁN VÁZQUEZ, Fotograie dal sito www. room-digital.com Fig. 8 | © ADRIÁN VÁZQUEZ, Fotograie dal sito www. room-digital.com Fig. 9 | © ADRIÁN VÁZQUEZ, Fotograie dal sito www. room-digital.com Fig. 10 | © ADRIÁN VÁZQUEZ, Fotograie dal sito www. room-digital.com Fig. 11 | © ADRIÁN VÁZQUEZ, Fotograie dal sito www. room-digital.com 110 Fig. 12 | © RICARDO SANTONJA, Fotograie dal sito www. oyercorazon.com Fig. 15 | © ROLAND HALBE, Fotograie dell’articolo Garcia-Abril giocoliere della materia dal sito www. lastampa.it Fig. 16 | © ROLAND HALBE, Fotograie dal sito www. rolandhalbe.eu, 2006 111 112 3 | ex area lowenbraU a zUrigo loCalizzazione geograFiCa Zurigo è la più grande città della Svizzera e capoluogo dell’omonimo cantone, supera il milione di abitanti ed è una città tecnologicamente avanzatissima, nonché un importante polo turistico e culturale. Risulta suddivisa in 12 quartieri, tra cui il “Zurich West”, uno dei quartieri simbolo della città che ha subito ad oggi un radicale cambiamento. Quest’area, anche grazie alla presenza di un iume che la attraversa, è stata in dall’ ultimo decennio dell’ 800 un polo industriale in cui venivano progettate navi e s’instauravano fabbriche per differenti tipi di prodotti: dalla produzione di ruote idrauliche e turbine (prima fabbrica insediatasi) a quella di sapone e ruote dentate. Le fabbriche in questa zona hanno vissuto un periodo lorido ino agli anni ’80, momento in cui il settore industriale generale subì un tracollo e molte ditte fallirono o furono dislocate per ammortizzare i costi. fig.1 | la città Di zurigo e il Quartiere zurich weSt fig. 2 | il Quartiere zurich weSt e l’area ex Birrificio lowenBrau 113 fig. 3 | ex viaDotto im viaDukt, eSterno fig. 4 | ex viaDotto im viaDukt, interno Di un negozio 114 Si è intervenuti inizialmente sull’ex viadotto ferroviario, costruito nel 1894, le cui 36 volte ospitano oggi un famoso mercato biologico e una serie di negozi di moda che ne hanno fatto un simbolo del quartiere. Altro polo d’interesse è il parco pubblico “Im Viadukt”, attiguo all’ex viadotto ferroviario e polmone verde della zona. Nelle immediate vicinanze è presente anche la Freitag’s Shop1, un marchio di moda la cui sede è realizzata in una torre di container1, che va a caratterizzare lo skyline dell’area, già fortemente connotato dalla igura della Prime Tower, l’ediicio più alto della città2. fig. 5 | viSta Dal BaSSo Del freitag’S Shop e prime tower fig. 6 | freitag’S Shop fig. 7 | prime tower 115 Un importante recupero è stato effettuato nell’ oficina Les Halles, ex fabbrica Pegeout, la cui ristrutturazione ha permesso di costruire un ristorante con annesso mercato biologico. Un omaggio al passato industriale è anche il Percorso Rosso, camminamento sulle ex rotaie dalle quali le fabbriche, oggi recuperate, erano rifornite e che secondo il progetto originale prevede un attraversamento di tutta l’area industriale terminando in un parco di futura costruzione. fig. 8 | riStorante-mercato leS halleS fig. 9 | percorSo roSSo fig. 10 | viSta aerea Del Birrificio 116 Un momento fondamentale per la riqualiicazione del quartiere è stato il processo di ristrutturazione dell’ex birriicio Lowenbrau3, diventato poi un importante polo culturale. L’ “area Lowenbrau” rappresenta anche una storia di successo e collaborazione tra pubblico e privato in nome di cultura e potenziale economico che ad essa è legato, tant’è che nel 2011, per garantire la presenza dell’arte nonostante la speculazione immobiliare, è nata la società per azioni “Lowenbrau Kunst AG” dalla collaborazione tra la città di Zurigo e il Migros Museum. Il merito del rinnovamento del quartiere va al modo con cui ci si è relazionati al paesaggio esistente e che deriva proprio dall’ Archeologia industriale: nella conversione alla nuova funzionalità i fabbricati non hanno perso la forza della loro storia ma anzi, hanno collaborato a trasformare un paesaggio prettamente industriale in un territorio misto, facendo convivere vita quotidiana con conservazione della memoria del lavoro e delle antiche tradizioni. fig. 11 | logo lowenBrau Sulla muratura Del Birrificio fig. 12 | moDello Dell’area prima Dell’intervento fig. 13 | moDello Dell’area Dopo l’intervento fig. 14 | inQuaDramento urBano Dell’area ex lowenBrau 117 l’intervento fig. 15 | Schema Delle caratteriStichei Dell’intervento fig. 16 | i SiloS D’acciaio preSenti a oveSt fig. 17 | viSta D’inSieme (fotorealiStica) Dalla limmatStraSSe 118 L’intervento asseconda la poliedricità dell’area Lowenbrau, ormai privata della vocazione produttiva industriale. L’ex birriicio infatti ospita, dal 1996, alcune istituzioni in campo artistico: la Kunsthalle Zurich (la galleria più importante della città), la Migros Gallery e alcune gallerie commerciali. Gli interventi, tutti visibili dalla Limmatstrasse, constano di un ampliamento del polo artistico con nuovi spazi, l’addizione di un corpo ospitante ufici che si dispone tra Limmatstrasse e Dammweg e un ediicio centrale composto da corpo di base e torre che ospita appartamenti. Grande importanza è stata data agli spazi serventi: l’ex corte del birriicio e la corte dello spazio artistico. La prima è chiusa su tutti e quattro i lati, sotto tutela monumentale, accessibile solo a piedi da uno stretto passaggio dalla Limmatstrasse. E’ un spazio fondamentale che mette in comunicazione ediici, linguaggi ed elementi della storia dell’area, quali i silos in acciaio e le ciminiere in muratura. La seconda ospita l’ingresso dello spazio artistico, parcheggi per i visitatori e spazi tecnici. 1 Kunsthof (corte dell’arte) 2 Brauereihof (corte del birriicio) 3 Area d’ingresso per l’arte 4 Libreria 5 Sala distribuzione spazi per l’arte 6 Galleria 7 Museo Migros per l’arte contemporanea 8 Lobby 9 Commercio 10 Negozi 11 Ristorazione 12 Kunsthalle Zurich 13 Ufici 14 Studio radiofonico fig. 18 e fig. 19 | pianta e Sezione longituDinale 119 fig. 20 e fig. 21 | viSte fotorealiStiche Dal cortile Del Birrificio fig. 22 | ampliamento polo Dell’arte fig. 24 | il Blocco oveSt per l’arte Il blocco ovest, integrazione agli spazi d’arte, si presenta come volume puro in calcestruzzo bianco accostato e sovrapposto alla preesistenza, che ne riprende le dimensioni e le proporzioni, pur risultando riconoscibile e denunciando la propria contemporaneità. Grande cura è stata posta nell’integrazione tra i due blocchi, visibile nel prospetto lato Gersenstrasse. Al suo interno ospita spazi per esposizioni, ufici, uno spazio polifunzionale, un appartamento per artisti ospiti e una terrazza che si affaccia sulla corte dello spazio artistico. fig. 23 | volume SovrappoSto Dalla limmatStraSSe 120 fig. 26 | una Delle Sale per eSpoSizioni fig. 25 | rapporto tra vecchio e nuovo fig. 27 | interfaccia tra vecchio e nuovo 121 L’ediicio residenziale è costituito da un basso corpo di fabbrica, disposto longitudinalmente, che fa da basamento alla torre sud, parzialmente in aggetto, vera emergenza architettonica che svetta dal prospetto Limmatstrasse in posizione centrale, dando una forte connotazione contemporanea all’intervento, esaltata anche dal colore scuro del paramento. Le unità immobiliari sono 21 nel basamento e 37 nella torre, con alto livello di initure, dimensioni variabili e ognuno con esposizione e vista sulla città varia4. fig. 28 | l’eDificio reSiDenziale Fig. 29 | L’aggetto della torre Sud dalla Limmatstrasse 122 fig. 30 | il Blocco reSiDenziale Dalla corte Del Birrificio fig. 31 | Dettaglio Dell’apertura Degli infiSSi fig. 32| viSta interna Di un appartamento 123 L’ediicio per ufici occupa parte del corpo storico del birriicio e un nuovo corpo di fabbrica, disponendosi ad angolo tra la Limmatstrasse e la Dammweg. L’aggetto del corpo più alto funge da soglia per l’ingresso sul fronte Dammweg. Il blocco residenziale e il blocco per ufici presentano un paramento in elementi di ceramica proilati, neri per il primo, rossi per il secondo (richiamo al laterizio dell’ex birriicio), dalla supericie lucida e ondulata, che attesta l‘attualità dell’intervento. fig. 33 | l’eDificio per uffici Brewer‘s yard – Visualisation Ofice building – „Blue Room“, brewery, main building fig. 36 | viSta Del Blocco uffici Dall’interno Della corte fig. 34 | viSta D’inSieme Dalla limmatStraSSe View from viaduct, Limmatstrasse fig. 35 | l’ingreSSo Dalla Dammweg 124 fig. 37 | viSta interna Blocco uffici CritiChe e ConClUsioni fig. 38 | faSe Di cantiere L’intervento è da ritenersi riuscito in quanto, in pieno accordo col linguaggio e le forme dell’architettura contemporanea riesce a dialogare con la preesistenza, proseguendone la rifunzionalizzazione. L’esito inale è di chiara distinguibilità del nuovo costruito ma anche di richiamo nelle forme e di consapevole distacco, come ad esempio per la torre residenziale. Si sottolinea però che l’esigenza di rifunzionalizzazione è risultata preminente (e soverchiante) rispetto all’integrità della presistenza. Esempliicativa sia la ig. * che mostra la fase di cantiere del blocco ovest: il braccio del birriicio viene sventrato per ospitare ufici open space, lasciando la cortina muraria (puntellata da setti in calcestruzzo) come semplice facciata. In un’ottica più ampia, risulta eficace per la riqualiicazione del quartiere, già in atto con l’intervento precedente sull’ex birriicio e quelli nell’area. FIG. 39 | DETTAGLIO DEL PARAMENTO fig. 40 | paramento in laterizio Del Blocco uffici 125 gigon/gUyer arChitekten biograFia arChitetti Annette Gigon (Herisau, 1959) si è laureata all’ ETH a Zurigo (Politecnico federale) 1984, lavorando successivamente presso Herzog & de Meuron dal 1986 al 1988. Mike Guyer (Columbus, 1958) si è laurato all’ETH a Zurigo nel 1984, inizia poi a lavorare presso l’Ofice Metropolitan Architecture a Rotterdam dal 1984 al 1987. Nel 1989 fondano lo studio Gigon/Guyer Architects. Sono entrambi insegnanti dell’ ETH e i loro progetti sono realizzati prevalentemente nell’area svizzera, specialmente a Zurigo. Hanno vinto numerosi premi e ottenuto importanti riconoscimenti come il “Mies van de Rohe Award ” e l’ “International Fellowship of the RIBA “. fig. 41 | annette gigon e mike guyer PrinCiPali oPere 1999 2000 2002 2003 2005 2007 2008 2009 2011 2012 2013 2014 126 Cabina di manovra, Zurigo (1996, 1998–1999) – PRIMO PREMIO Museo e parco Kalkriese, Germania (1999-2002) - PRIMO PREMIO Tre case su Susenbergstrasse, Zurigo (1998–2000) - PRIMO PREMIO Lottizzazione e rimodellamento, Plegi Area, Zurigo (1998–2002) - PRIMO PREMIO Casa indipendente, Zurigo (2001–2003) Museo dei Trasporti in Svizzera, Lucerne Complesso residenziale Diggelmannstrasse, Zurigo (2005–2007) - PRIMO PREMIO Lottizzazione Brunnenhof, Zurigo (2003–2007) - PRIMO PREMIO Lottizzazione Neumünsterallee, Zurigo (2003–2007) - PRIMO PREMIO Lagerstrasse Building, Europaallee 21, Zurigo - SECONDO PREMIO (con D. Chipperield) Fondazione Marguerite Arp, Locarno, Switzerland (2009-2014) Würth Haus, Rorschach (2009-2013) - PRIMO PREMIO Complesso residenziale Zollikerstrasse, Zurigo (2006–2011) - PRIMO PREMIO Ufici grattacielo Prime Tower, Maag Area, Zurigo (2004–2011) - PRIMO PREMIO Cubus Ofice Building, Maag Area, Zurigo (2005–2011) - PRIMO PREMIO Ristrutturazione ex ediicio industriale, Maag Area, Zurigo (2005–2011) - PRIMO PREMIO Clouds restaurant, Prime Tower, Zurigo (2011) - PRIMO PREMIO Deutsche Bank, Prime Tower, Zurigo (2011) Transammonia, Prime Tower, Zurigo (2011) Swiss Prime Site, Prime Tower, Zurigo (2011) Clouds Conference, Prime Tower, Zurigo (2011) Platform Ofice Building, Zurigo (2007–2011) Complesso Löwenbräu, Zurigo (2004–2012) Museo per l’arte contemporanea Migros, complesso Löwenbräu, Zurigo (2006–2012) Galledia d’arte Zürich, complesso Löwenbräu, Zurigo (2006–2012) Ofice Building Lagerstrasse House, Europaallee 21, Zurigo (2007–2013) Löwenbräu area, centro d’arte, torre residenziale e ufici, Zurigo (2004–2013/14) fig. 42 | annette gigon e mike guyer fig. 45| würth hauS, rorSchach(2009-2013) fig. 43 | SwiSS muSeum of tranSport, lucerne (2005-2009) fig. 46 | fonDaz. marguerite arp, locarno (2008-2014) fig. 44 | muSeo e parco kalkrieSe, germania (1999-2002) fig. 47 | lagerStraSSe BuilDing, zurigo (2007-2013) 127 note 1 doCUMentazione iConograFiCa La Freitag Tower è costituita da 17 containers impilati, per un’altezza totale di 26 metri. Ospita un’esposizione di Copertina |www.archiexpo.com 16’000 borse del marchio Freitag: le Individual Recycled Freewaybags*corsivo*, ottenute dal riciclo di teloni di camion, camere d’aria di biciclette, cinture di sicurezza e airbag usati; ogni borsa è un pezzo unico fatto a mano. 2 La Prime Tower è il grattacielo più alto della Svizzera, progettato dallo studio Gigon/Guyer, loro ediicio più noto, è alto 126 metri. Ospita al suo interno ufici, banche, sale convegni e un ristorante all’ultimo piano, “Clouds”. 3 Il birriicio Lowenbrau è stato fondato, presumibilmente, nel 1516 a Monaco di Baviera, che ospita anche il birriicio più importante, ricostruito in quanto danneggiato dai bombardamenti nel 1945. 4 Le “stanze stagionali” sono attrezzate con inissi ribaltabili che ne consentono la totale apertura nella stagione calda. Il loro telaio è in alluminio e presentano un vetro multistrato a doppia intercapedine: normale all’esterno, isolante al centro, antirilesso all’interno. Fig. 1 | commons.wikimedia.org Fonti bibliograFiChe e sitograFia Domus 974, Sistemazione urbana a Zurigo p. 70-83 El Croquis 102, Gigon/Guyer 1989-2000 El Croquis 143, Gigon/Guyer 2001-2008 Fig. 2 | Apple Mappe Fig 3-6 | zuerich.ch Fig. 7 | commons.wikimedia.org Fig, 8,9 |zuerich.ch Fig. 10 | Domus op. cit. Fig. 11 | res.cloudinary.com Fig. 12,13 | Domus op. cit. Fig. 14 | www.gigon-guyer.ch Fig. 15 |Domus op. cit. Fig. 16 | www.gigon-guyer.ch Fig. 17,18 | Domus op. cit. www.giornalesentire.it www.myswitzerland.com/ www.zuerich.com/ www.inyourpocket.com/ www.e-architect.co.uk/ www.archisearch.gr/ www.gigon-guyer.ch/ Fig. 19,20 | www.gigon-guyer.ch Fig. 21 | Domus op. cit. Fig. 22 |kunsthallezurich.ch Fig. 23-30 |Domus op. cit. Fig. 31 | assets.nbkterracotta.com Fig. 32-40 | Domus op. cit. Fig. 41-47 | www.gigon-guyer.ch 128 129 130 4 | l’ex FabbriCa della birra bötzow a berlino loCalizzazione geograFiCa lineaMenti storiCi Il caso studio preso in esame riguarda l’ex fabbrica di birra Bötzow a Berlino (ig. 1), in Germania. L’antico complesso industriale si estende su un’area di circa 24000 mq, nel quartiere berlinese Prenzlauer Berg, a pochi passi dalla rinomata Alexanderplatz del quartiere Mitte. La piazza, che originariamente ospitava un mercato di bestiame, assunse una crescente rilevanza solo nel tardo XIX secolo, con la costruzione della stazione1 e dei mercati generali, conigurandosì così in uno dei più inluenti poli commerciali della città. In seguito ai tragici bombardamenti del 1940-45, l’area subì numerosi interventi di restauro, comprendenti operazioni di ampliamento e rinnovamento di gran parte dell’ediicato circostante. Tra i principali ediici di maggior pregio e prestigio appartenenti al preesistente aggregato urbano vengono ricordati la Torre della Televisione, l’Hotel Park Inn, l’Orologio del Tempo del mondo e la Brunnen der Völkerfreundschaft2. Il 13 aprile 1864 Giulio Bötzow, nipote di un noto mastro birraio, avviò l’attivazione della fabbrica di birra, collocata nella Alte Schönhauser Straße 23/24. In seguito al considerevole successo ottenuto e alla crescente richiesta del prodotto sul mercato, qualche anno più tardi l’imprenditore provvedette alla realizzazione di una cantina-deposito sotterranea di 5000 mq. Nel 1885 venne dunque uficialmente inaugurata la Bötzow Brauerei sul Windmühlenberg3, che riuscì rapidamente a conquistare incisivi traguardi: in seguito a signiicativi riconoscimenti per l’ottima qualità della birra, appena un anno dopo l’inizio della produzione, Giulio Bötzow venne nominato ‘’fornitore uficiale di Sua Maestà il Re di Prussia’’4. La nuova fabbrica si convertì così in uno dei più moderni ed estesi impianti di produzione di birra del Nord della Germania, il cui organismo aziendale risultava strutturato da due consiglieri, sette commercialisti e 350 operai e impiegati. Il 1887 fu l’anno in cui si concretizzò l’ampliamento dello stabilimento industriale, con la conseguente implemetazione di un nuovo sistema di imbottigliamento. Tra i prodotti simbolo che hanno reso celebre l’azienda si citano le storiche birre HellesVersandbier, Dunkle Nürnberger e HellesJulherna-Bier. Intorno al 1900, Bötzow e la sua famiglia si trasferirono nella sontuosa villa ‘’Castello del Nord’’, a cui venne aggiunto il comparto di un grande giardino (ig. 2), allestito per accogliere 6000 persone. Nel 1919, nel giardino divenuto ormai luogo simbolo di ritrovo della cittadinanza, assiduamente frequentato e vissuto dalla popolazione del quartiere e dai turisti, venne istituito il comitato rivoluzionario dei membri del KPD e dell’ USPD5. Le sorti della fabbrica mutarono alla morte dello storico imprenditore Giulio Bötzow, nel 19 luglio 1914, quando la gestione dell’industria passò per la prima volta nelle mani di una società in nome collettivo6; tuttavia, la nuova gestione non trovò lunga durata poichè, nel 1918, fu una società in accomandita semplice7 a riceverne il possesso. In questa travagliata fase amministrativa, la famiglia Bötzow riuscì, nonostante ciò, a conservare la fig. 1 | Berlino, inQuaDramento 131 fig. 2 | Berlino, ex faBBrica Della Birra, villa e giarDino maggioranza delle azioni così da garantire oltre alla conservazione del proprio nome come marchio del prodotto, anche una genealogica successione governativa. Gli eredi, tra i quali Giulio Ludwig Bötzow, iglio del fondatore, dovettero affrontare un deleterio e gravoso calo della produzione, causato dall’inevitabile carenza di consumo di birra durante il drammatico conlitto mondiale. Al termine della guerra, la fabbrica fu sottoposta ad un incisivo rinnovamento tecnologico e ad un determinante rimodernamento che comportò la nuova dotazione di macchinari di ultima generazione, tra i quali il rivoluzionario sistema di imbottigliamento automatico. Nel 1927, anno della morte di Giulio Ludwig Bötzow, la gestione dello stabilimento traslò alla società per azioni8 ‘’Josef Bötzow Brauerei’’, ma fu poi nuovamente riconvertita in società in accomandita nel 1938, alla quale prese parte l’erede Herman Bötzow9. Concluso il secondo conlitto mondiale, parti del birriicio furono distrutte e degradate, causando consistenti danni all’azienda che non arrestò la produzione ino alla chiusura deinitiva nel 1949. Dal 1950 gli ediici dismessi vennero sfruttati come magazzini e depositi di approvvigionamento, e subito dopo la caduta del muro di Berlino fu trasferito il mercato per la vendita di prodotti occidentali. Dal 1990, in seguito alla rivalutazione del complesso in qualità di memoria storica della società e opera da preservare e conservare, l’intera area venne posta sotto fig. 3 | Berlino, piazza centrale nel 1900 fig. 4 | Berlino, DepoSito per le Botti Di Birra 132 fig. 5 | Berlino, DepoSito per le Botti Di Birra tutela come patrimonio storico-architettonico. Durante tutta la storia del birriicio non mancarono certamente proposte avveniristiche volte a riconferire nuovo volto e qualità urbana all’antica preesistenza, come il progetto presentato nel 1995 dal gruppo societario ‘‘Kriegbaum’’, il quale provvedette all’acquisto dell’area per 48 milioni, al ine di erigere un imponente centro commerciale ampio 40000 mq, che, grazie al vincolo di conservazione, come molti altri estrosi ed azzardati programmi di reindustrializzazione e riuso, non fu mai realizzato. Dal 2001 al 2003 l’associazione “Freunde der Bötzow Brauerei” si preoccupò di curare la riqualiicazione dell’area organizzando interessanti e variegati eventi culturali, visite guidate, feste, mostre e riprese cinematograiche. Nell’autunno del 2010 comparve un nuovo aspirante all’acquisizione della fabbrica: Hans Georg Näder10, passeggiando tra la Saarbrücker Straße e la Prenzlauer Allee, si innamorò della zona ed otto settimane più tardi comprò i locali della birreria. Il nuovo proprietario si propose di consevare le antiche strutture pressoché intatte, e di avviare la realizzazione di strutture ricettive/abitative e spazi artistici nell’area circostante. L’idea rappresentò dunque un progetto vivacemente innovativo, inalizzato a riaccendere il mercato delle piccole imprese e chiaramente improntato sul modello del Chelsea Market newyorkese, con la realizzazione di ristoranti, boutique e loft per artisti, oltre che un lussuoso hotel con centro benessere. fig. 6 | Berlino, cortile interno fig. 7 | Berlino, piazza centrale fig. 8 | Berlino, veDuta interna fig. 9| Berlino, copertura vetrata 133 il Progetto di restaUro Il processo di trasformazione di cui è stata oggetto l’antica fabbrica Bötzow Brauerei è stato il risultato di un intenso iter progettuale che ha coinvolto il complesso industriale per diversi anni. Conseguentemente alla tragica fase della seconda guerra mondiale, il sito ha subito importanti danneggiamenti e gravi distruzioni, ma tuttavia non sono stati mai previsti interventi di ricostruzione dei comparti mancanti. Dalla sua storica apertura, risalente a più di 150 anni fa, la famiglia Bötzow ha sempre cercato di preservare il carattere singolare di questo centro industriale, contraddistinto dalla modernità e qualità di un ambiente di lavoro piacevole e curato nei minimi dettagli. Il sempre più forte coinvolgimento della civiltà verso la tematica dell’archeologia industriale ha condotto la società di tecnologia medica OttoBock11 dell’imprenditore Hans Georg Näder, ad acquistare nel 2011 l’area dell’antica fabbrica, prendendo così parte alla vicenda dell’antico stabilimento con la presentazione nel 2014 di un nuovo piano di riconversione, per opera fig. 10 | Berlino, maSterplan 134 del celebre progettista David Chipperield. (ig. 11 e 12) L’intento principale su cui si è focalizzato il restauro condotto dal rinomato architetto britannico è stato dunque quello di ediicare un organismo architettonico in grado di rilettere e conservare questi valori. Gli obbiettivi del grande progetto generale si sono concretizzati nella rifondazione di una nuova identità in grado di rivitalizzare l’antico manufatto, convertendo, su una supericie di 24.000 mq, il vecchio birriicio in un innovativo polo commerciale di destinazione pubblica nel cuore della città. Per ciò che concerne gli ediici esistenti è stato previsto un accurato programma restaurativo da aggiungersi all’accorpamento di tre nuovi volumi così da ottenere un prolungamento dell’insieme, mantenendo un costante riferimento alla posizione del precedente ediicato. Seguendo le orme storiche dell’articolazione preesistente, nella nuova pianiicazione è stata decretata la disposizione di due nuovi spazi pubblici esterni, fulcri nodali del progetto. Il sito si apre alla città con un ampio e grazioso biergarten o giardino della birra. Parallelamente, i moderni e antichi ediici deiniscono i contorni di una piazza centrale (ig. 24), che incarna la nuova locazione rappresentativa della Bötzow Brauerei, fornendo l’accesso a tutti i blocchi all’interno della proprietà, e riproponendosi come antico nucleo sociale del quartiere. La naturale morfologia del terreno in pendenza ricrea un affascinante ed accogliente sequenza spaziale, dalla strada attraverso il parco ino alla piazza. Circa 6.000 mq dell’originario sistema voltato costituiscono la fondazione ancora conservata del rudere. Per questa delicata porzione è stato programmato un collegamento con punti selezionati della volumetria sovrastante, al ine di non intaccare l’antico manufatto architettonico e preservare la suggestiva atmosfera delle volte ipogeiche. Il prodotto progettuale elaborato da Chipperield si è così delineato nella formulazione di una piccola cittadella a sè stante all’interno della stessa capitale tedesca. Si tratta della combinazione vincente tra dimensione imprenditoriale e componente delle attività di svago e tempo libero. Questo innovativo nucleo commerciale, su cui l’imprenditore ha affermato l’investimento di 250 milioni di euro, rappresenta uno degli elementi più importanti del programma di riqualiicazione dell’area che contraddistinguerà in modo determinante il sito di Bötzow. Insieme al blocco del “FutureLab”12, agli ediicati dell’antico birriicio e al giardino adiacente, il Botzow Brauerei si deinirà anche come dimora di artigianato e manifatture, promotrice di prodotti tipici locali, oltre che sede di diversi esercizi commerciali, come ristoranti, negozi, boutique, e sarà inoltre predisposta ad accogliere una piscina olimpionica (ig. 34) sopraelevata con vista su Alexanderplatz, servizi turistici quali hotel e gallerie d’arte e infrastrutture cittadine come il parcheggio sotterraneo; un interessante concept multifunzionale che si trasformerà in realtà nel 2019. fig. 11 | Berlino, DaviD chipperfielD fig. 12 | Berlino, preSentazione maSterplan, 2014 135 fig. 13 | Berlino, viSita guiData fig. 14 | Berlino, cantine, viSita guiData fig. 15 | Berlino, Sotterranei, viSita guiData 136 fig. 16 | programma funzionale fig. 16 | pianta SeconDo piano Seminterrato fig. 18 | pianta piano terra fig. 17 | pianta primo piano Seminterrato fig. 19 | moDello, futurelaB fig. 20 | proSpetto SuD-oveSt 137 fig. 21 | Sezione a-a 138 fig. 22 | Sezione B-B fig. 25 | planivolumetrico fig. 23 | Sezione c-c fig. 26 | Sezione D-D fig. 24 | moDello, piazza centrale fig. 27 | moDello, ingreSSo al Seminterrato fig. 28 | renDer, inQuaDramento fig. 28 |Sezione D-D fig. 29 | maSterplan 139 fig. 30 | renDer, Birreria 140 fig. 31 | renDer, DeSign galleria fig. 33 | renDer, veDuta interna fig. 32 | renDer, veDuta interna, cantine fig. 34 | renDer, DeSign piScina CritiChe e ConClUsioni Il carattere dell’intervento di recupero e riqualiicazione dell’ex fabbrica di birra Bötzow condotto dal rinomato architetto David Chipperield ci permette di associare solo parzialmente il progetto alla linea di pensiero del restauro critico, promosso da importanti teorici e saggisti come Renato Bonelli, Roberto Pane e Cesare Brandi. Alla base della rilessione concettuale riguardo cui è stato oggetto l’antico stabilimento industriale, vi si è consolidata l’idea della restituzione del manufatto ad una rinnovata unità artistica e della conservazione dell’intrinseco valore espressivo dell’opera. Le integrazioni apportate sono state dunque funzionali alla rievocazione dell’antica forma e degli antichi tracciati attraverso un nuovo e moderno linguaggio espressivo, capace di coniugare ricchezza artistica e razionalità urbana. Risulta chiara l’adesione del progettista al principio di riconoscibilità che, pur sviluppando una trasformazione di esercizio, si attende a preservare l’originaria conigurazione volumetrica del luogo. Si riscontra dunque l’intento di codiicare la moltitudine degli ediici sotto un’unico idioma compositivo, di cui ogni singola componente conferisce logica architettonica al complesso. fig. 36 | Berlino, ex-faBBrica Della Birra, riStorante fig. 35 | Berlino, ex-faBBrica Della Birra, moStra fig. 37 | Berlino, ex-faBBrica Della Birra, interno, riStorante 141 fig. 38 | Berlino, ex-faBBrica Della Birra, Dettaglio fig. 39 | Berlino, ex-faBBrica Della Birra, cantine, Stato attuale fig. 40 | Berlino, ex-faBBrica Della Birra, cantine, Stato attuale 142 La tendenza operativa che si discosta invece da questa tipologia restaurativa si riferisce alla tematica della reversibilità, che non viene contemplata nel programma lavorativo di Chipperield. La riconversione dell’antico birriicio si deinisce bensì come alterazione sostanziale della destinazione d’uso, con la inalità di impiantare una nuova micro realtà multifunzionale capace di rivitalizzare l’antico sito. L’utilizzo di materiali quali il calcestruzzo e la preigurazione di incisive opere come l’imponente piscina olimpionica ci permettono di comprendere l’elevata dimensione di impatto come risultante globale di tutti i provvedimenti e di rilevare come il principio del minimo intervento non venga affatto applicato. La pianiicazione di Chipperield non si accosta ad un approccio puramente conservativo, quanto invece ad una radicale rifunzionalizzazione dell’area di progetto, avvalorando in modo determinante la morale sociale e civile del tessuto urbano. Si intravede quindi una natura di intervento che non si riduce alla scala del singolo manufatto, ma si preigge una rigenerazione capillare della collettività, coinvolgendo direttamente il singolo uomo come ricettore principale del cambiamento, come principale beneiciario di una ritrovata qualità esistenziale. david ChiPPerField biograFia David Chipperield nasce a Londra nel 1953 e si diploma all’Architectural Association nel 1977. Dopo un periodo di apprendistato presso gli studi di Stephen Douglas, Norman Foster e Richard Rogers, apre nel 1984 un proprio studio a Londra con la denominazione “David Chipperield Architects“. Dopo essere divenuto, nel 1985, membro fondatore della 9TH Gallery, assume negli anni seguenti vari incarichi rientranti soprattutto nel campo dell’Architettura d’interni. Con l’apertura di un nuovo studio a Tokio nel 1987, realizza il Gotoh Provate Museum nella prefettura di Chiba (Giappone, 1987-1992), il Design Center a Kyoto (Giappone, 1989-1991), e la sede della Compagnia Matsumoto ad Okyama (Giappone, 19901992). Nel 1993 realizza anche la galleria delle piante e il salone centrale del Natural Hystoru Museum a Londra (Inghilterra). Chipperield svolge anche attività di conferenziere (a Glasgow, Edimburgo, Oxford, Porto e all’Accademia van Bouwkunst di Amsterdam nel 1990) e visiting professor (Harvard University, Boston, – Usa – nel 1987/88; Università di Graz, Austria e Università di Napoli, Italia nel 1992; Ecole Polytechnique di Losanna, Svizzera nel 1993-94). Membro dal 1992 al 1997 del consiglio di amministrazione dell’Architecture Foundation, tra il 1992 ed 1994 pubblica due monograie sulla sua professione. Nel 1995 diviene Professore di Architettura alla Staatilche del Bildenden Kunst, a Stoccarda in Germania. La ilosoia che lo studio ”David Chipperield Architects“ (con sedi internazionali a Londra, Berlino, Milano, Shanghai) si preigge, è quella di dar vita ad ediici dallo stile non predeterminato ma derivante da una stretta connessione tra ambiente esterno e funzionalità per costruzioni dai dettagli estremamente curati. David Chipperield cura personalmente il design e la supervisione del lavoro del proprio staff relativo ad ogni fase di un progetto, il cui requisito basilare è l’eccellenza del design. Tra i numerosi riconoscimenti internazionali conseguiti, ha ricevuto nel 1999 la Medaglia d’Oro Heinrich Tessenow. Nel 2004 è stato fatto Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico (CBE) per i suoi meriti in campo architettonico e dal 2003 è membro onorario dell’Accademia di belle arti di Firenze. È stato insignito del titolo di cavaliere del Regno Unito nel 2010 per i successi conseguiti nel campo dell’architettura. Ha ricevuto il premio Wolf per le arti sempre nel 2010 e la Medaglia d’Oro del Royal Institute of British Architects nel 2011. fig. 41 | DaviD chipperfielD 143 oPere Tra i lavori realizzati da Chipperield negli ultimi 20 anni si ricordano: - il Neues Museum, Isola dei Musei, Berlino (Germania), 1994-2009 - il Wagama Restaurant di Londra (Inghilterra), 1996 - il River & Rowing Museum ad Henley-on-Thames (Inghilterra), 1996-99 - la National Gallery of Art, Roma (Italia), 2000 - la Casa privata, Corrubedo (Spagna), 2002 fig. 42 | Berlino, iSola Dei muSei, neueS muSeum - il Museum of Modern Literature, Marbach am Neckar (Germania), 2006 - la Biblioteca pubblica, Des Moines, Iowa (USA), 2006 - il Ninetree Village, Hangzhou (Cina), 2008 - la Cittadella della Giustizia, Barcellona (Spagna), 2009 - l’Anchorage Museum, Anchorage (Alaska), 2009 - il Museum Folkwang, Essen (Germania), 2010 - Ansaldo Città delle Culture, Milano (Italia), 2011 fig. 43 | milano, anSalDo città Delle culture - i Negozi Valentino, Milano (Italia), 2012 - l’ampliamento del Saint Louis Art Museum, Saint Luis, Missouri (USA), 2013 - il Museo Jumex, Città del Messico (Messico), 2013 - Il Centro Nobel Nobelhuset, Stoccolma (Svezia), 20132018 - la Bötzow Brauerei, Berlino (Germania), 2013-2019 fig. 44 | miSSouri, Saint louiS art muSeum 144 note 1 La stazione di Alexanderplatz venne inaugurata, insieme all’intera linea, nel 1882. Oggi è ancora in uso. 2 Lett: “fontana dell’amicizia fra i popoli”. 3 Nel XVIII secolo Federico II commissionò la costruzione di otto mulini a vento per la macinazione del grano, oggi non più esistenti. L’area, chiamata Windmühlenberg, venne acquistata nel 1826 da Christian F. Bötzow. Guglielmo I, nominato Re di Prussia il 2 gennaio 1861 e imperatore tedesco nel 1871 4 Il comitato dei membri dell’USPD/Partito Socialdemocratico e del KPD/Partito Comunista venne fondato in seguito ad una manifestazione convocata dai leader Karl Liebknecht per protestare contro la rimozione del capo della polizia berlinese Emil Eichhorn, esponente dell’USPD. 5 6 La società in nome collettivo è una società, fondata da almeno due persone isiche o giuridiche, in cui tutti i soci rispondono illimitatamente per le obbligazioni sociali. la vita nell’aprile del 1945 a causa della sua vicinanza al regime nazista. 10 Hans Georg Näder, nato il 4 settembre a Duderstadt, è un imprenditore tedesco nonchè direttore multimilionario della società Otto Bock Health Care dal 1990. Nel 2005 è stato nominato professore onorario presso l’Università privata di Scienze Applicate Göttingen e dal 2009 insegna presso Capital Medical University di Pechino. Hans Georg Näder, oltre che essere imprenditore, è impegnato in attività sociali, culturali, religiose e umanitarie. 11 La Otto Bock, fondata in Germania nel 1919 dall’omonimo protesista , è un’azienda fornitrice di prodotti quali protesi, busti, carrozzine per bambini, cuscini e accessori. Nel 1987 Max Näder, padre di Hans Georg Näder, fondò l’associazione indipendente Otto Bock per promuovere l’istruzione interdisciplinare. La fondazione è impegnata dal 2002 in attività di beneicienza. 12 ‘‘FutureLab’’ diventerà il secondo centro di ricerca della società tecnoogica medica Otto Bock. 7 Una società in accomandita è una società di persone caratterizzata dalla presenza di due categorie distinte di soci: soci accomandanti e soci accomandatari. I primi hanno responsabilità limitata, infatti rispondono delle obbligazioni contratte dalla società limitatamente alla quota conferita. I secondi invece rispondono illimitatamente per le obbligazioni sociali; in genere a loro viene assegnata la rappresentanza e l’amministrazione della società. 8 La società per azioni è una società di capitali nella quale le adesioni dei soci sono rappresentate da titoli trasferibili, chiamati azioni. Il capitale sociale è diviso in un determinato numero di azioni. Ogni azione comprende una quota di partecipazione e diritti sociali inerenti alla quota stessa. 9 Herman Bötzow, secondogenita del fondatore, si tolse 145 Fonti bibliograFiChe e sitograFia doCUMentazione iConograFiCa AA. VV., Reconversiòn de la fàbrica de cerveza Bötzow, Copertina | © OLAF HAJEK, illustrazione Bötzow Breuerei, www.olafhajek.de, 2012 in “El Croquis David Chipperield 2010-2014” (2014), nn. 174-175, pp. 326-333 Fig. 1 | Google Earth Pro, Immagine aerea rielaborata dell’ex fabbrica della birra Bötzow a Berlino, 2015 AA. VV., Recupero e trasformazione dell’ex fabbrica di Fig. 2-5 | in ‘‘El Croquis’’ n.174/175, pp. 327, 329, 330 birra Bötzow, in “Casabella” LXXVIII (2014), n. 843, p. 33 Fig. 6 | www.vagabondbohemian.com Sito uficiale birriicio: www.boetzowberlin.de Sito uficiale dello studio David Chipperield Architects: www.davidchipperield.co.uk Fig. 7| www.de.academic.ru Fig. 8, 9| © DARIO JACOPO LAGANÀ, www.norte.it Fig.10 - 11| www.boetzowberlin.de Z.MUNIZZA, Nuovi progetti a Prenzlauer Berg, in: www. berlinoexplorer.blogspot.it Fig. 12 | © GERD ENGELSMANN, www.berliner-zeitung.de Fig. 13-15 | www.vagabondbohemian.com J.WIEDEMEIER, ABC Der Bötzow-Brauerei, in: www. prenzlauerberg-nachrichten.de Fig. 16-18, 21-24| in ‘‘El Croquis’’ n.174/175, pp. 326-333 V.T.LEINKAUF, Der Dirigent vom Bötzow-Berg, in: www. Fig. 19,20| ivi, ig.10,11 berliner-zeitung.de Fig. 21-23, 26| ivi, ig.16-18, 21-24 Nuova vita per la Bötzow Brauerei: negozi, arte e un centro di ricerca, in: www.ilmitte.com Fig. 25| www.davidchipperield.co.uk Fig. 24, 27-34| ivi, ig.10,11 Fig. 35, 37-39 | www.ilovecuriosity.com Fig. 36,40 | www.boetzowberlin.de Fig. 41 | © UTE ZSCHARNT, www.davidchipperield.co.uk Fig. 42, 44 | ivi ig.25 Fig. 43 | © OSKAR DA RIZ, www.dariz.com 146 147 148 5 | Città delle CUltUre, Milano loCalizzazione geograFiCa L’ex fabbrica Ansaldo è situata a Milano nel quartiere di Porta Genova, alle spalle del Naviglio Grande e dell’ansa disegnata dalla vecchia linea ferroviaria per Vigevano e Mortara, inserita nell’isolato tra le vie Tortona, Bergognone, Savona e Stendhal. Essa è protagonista dell’epopea industriale della prima metà del Novecento che trasformerà il capoluogo lombardo nella prima città moderna d’Italia. fig. 1 | StaBilimenti ex anSalDo, milano, inQuaDramento prima Dell’intervento, 2007 Via Be na e on gn rgo o Sav Via S Via ten dh al Via a ton Tor fig. 2 | StaBilimenti ex anSalDo, milano, inQuaDramento Stato attuale, 2015 149 lineaMenti storiCi Fase di attività indUstriale | L’impianto originario del complesso industriale risale al 1904 ed è riconducibile all’impresa automobilistica di Roberto Züst1. Già nel 1908, però le oficine sono rilevate dall’AEG per la produzione di componenti elettriche e dinamo. Nel 1915, il complesso passa alla Società Elettrotecnica Galileo Ferraris2; nel 1918, alla Franco Tosi3; nel 1921, alla CGE-Compagni a Generale di Elettricità (divisione italiana della statunitense General Electric); approdando, inine, nel 1966, nell’ambito del gruppo Finmeccanica-Ansaldo che si occupava della costruzione di locomotive, carrozze ferroviarie e tramviarie. Ancora al principio degli anni Ottanta, le grandi industrie insediate oltre la cintura ferroviaria di Porta Genova (Ansaldo, CGE, Riva Calzoni, Osram, Candle, Nestlè ecc.) sono per larga parte in attività e concorrono a deinire i caratteri distintivi di una zona della città per metà operaia e per metà artigiana, ma complessivamente popolare. fig. 3 | veDuta interna Dello StaBilimento cge, 1921 Se, al 1982, Ansaldo e CGE assommate possono ancora contare un totale di circa 2.350 addetti, nel 1986 lo stabilimento è chiuso in via deinitiva e nel 1989-90 l’intera area viene acquistata dal Comune, con il vincolo di destinazione a spazi per attività culturali. 150 PriMe attività di riUso e bando di ConCorso | Già dai primi anni successivi alla dismissione la prestanza alle attività teatrali degli ex spazi di fabbrica è stata confermata e avvalorata da diversi eventi tra i quali si ricorda l’esecuzione del Prometeo di Luigi Nono, diretto da Claudio Abbado e impreziosito dalla scenograia curata da Renzo Piano. fig. 4 | l’arca progettata Da renzo piano per il prometeo Nel 1993, in attesa di decidere la combinazione di attività più appropriata e conveniente da immettere nei fabbricati dismessi, si ritiene opportuno procedere a «una prima parziale occupazione» del complesso allo scopo di preservarlo, quantomeno, dal degrado edilizio. Risalgono a quel periodo le prime assegnazioni all’Accademia di Brera (mai consegnate) e, soprattutto, al Teatro alla Scala, che si aggiudica sette delle oficine interne all’isolato per concentrarvi i propri laboratori di produzione teatrale. Dal febbraio 2001, dunque, i laboratori trovano effettiva collocazione in alcuni padiglioni del complesso. La fabbrica dello spettacolo soppianta quella dei treni. Nel frattempo, nel 1999, l’amministrazione comunale lancia un concorso internazionale di progettazione in due fasi per la realizzazione di un polo museale volto a consolidare le dotazioni funzionali dell’area Ansaldo nell’intento di dar vita a una «cittadella della cultura» di rilevanza mondiale, capace di attrarre nuovi interessi e di qualiicare il nuovo proilo multietnico della città. artiColazione del ConCorso | Dieci furono i gruppi di progettazione ammessi alla seconda fase della competizione internazionale: David Chipperield con P+Arch; Guido Canali insieme a Italo Lupi; João Luis Carrilho da Graça con Piero Lissoni; Antonio Citterio e Cino Zucchi; Zvi Hecker; Fumihiko Maki con Fiorentino Architettura; l’Atelier Mendini accanto ad Arata Isozaki, Andrea Branzi e allo Studio Zini; Boris Podrecca con Marco Castelletti; Clorindo Testa; Bruno Vigano e Martorell, Bohigas, Mackay. L’articolato bando elaborato da una commissione di esperti, tecnici e funzionari presieduta da Alessandra Mottola Molino4, in qualità di Direttore centrale alla cultura e musei del Comune di Milano, chiedeva ai partecipanti di progettare all’interno del blocco urbano le sedi di un Centro delle culture extraeuropee (5000 mq), del nuovo Museo archeologico (9000 mq), del Centro Studi sulle Arti Visive (Casva; 6200 mq), della Scuola di cinema, televisione e nuovi media (3000 mq) e del Laboratorio di marionette di tradizione F.lli Colla (800 mq), ristrutturando in parte alcuni ediici esistenti e in parte realizzandone di nuovi sul sedime dell’ex Ansaldo avviata alla demolizione. fig. 5 | area Del concorSo ediici destinati ai nuovi musei ediici per l’Accademia di Brera ediici da demolire ediici per il Teatro alla Scala 151 il restaUro oggetto di stUdio ChiPPerField | La giuria è presieduta dal critico Gillo Dorles e composta da tre architetti (Giancarlo De Carlo, Enric Miralles e Luigi Mirizzi), quattro museologi (Ermanno Arslan, Dieter Bogner, Jean Houbert Martin e Alessandra Mottola Molino), un urbanista (Gigi Mazza), un sociologo (Gianpaolo Fabris), uno storico del design (Francois Burkhardt), uno storico/antropologo (Christian Saglio), un imprenditore (Alberto Alessi). Tra le proposte presentate è premiata quella dell’emergente designer britannico David Chipperield, allora quarantaseienne, irmata insieme allo studio milanese P+arch. Essa è stata valutata come «la soluzione che meglio risolve il rapporto tra nuovo e vecchio, senza dissonanze, ricercando propri valori in un non facile contesto». vinCe la CoMPetizione L’idea vincente, in sintesi, consiste nell’essenziale recupero, da un lato, della lunga cortina edilizia su via Tortona (denominata la “stecca” per la sua forma allungata), dentro la quale sono ricavati in sequenza gli spazi destinati al Museo archeologico, al Casva, al Laboratorio di marionette Colla e alla Scuola di cinema, distribuiti da un colonnato in cemento aperto sul fronte interno e, dall’altro, nella costruzione ex novo del Centro delle culture extraeuropee (oggi MUDEC) quale caposaldo e icona originale dell’intervento, centrato sul volume aaltiano di una grande lanterna invetriata dalla sagoma ondulata: unica forma organica, presumibilmente, disegnata da Chipperield nella sua carriera. fig. 6 | la propoSta Di chipperfielD MUDEC ingressi principali all’area 152 Museo archeologico, Casva, Laboratorio F.lli Colla l’intervento sUlla steCCa | Il fronte strada di via Tortona, elemento preesistente di maggior pregio dal punto di vista architettonico tanto da essere sottoposto a vincolo diretto della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio, è oggetto di ripristino e restauro delle facciate, unitamente alla copertura. Le facciate esterne su via Tortona sono state oggetto di restauro, mentre quelle sul cortile interno sono state ripristinate con la realizzazione del cappotto di coibentazione. Analogamente, la copertura è stata oggetto di rifacimento dell’impermeabilizzazione e dell’inserimento di uno strato isolante termico. Congiuntamente all’operazione di restauro e ripristino, la riqualiicazione degli spazi della stecca viene afidata all’Onsitestudio5 degli architetti Angelo Lunati e Gian Carlo Floridi : «Il progetto dell’ex Ansaldo propone una rilessione contemporanea sul signiicato e la forma delle istituzioni culturali: è il progetto di un ediicio “aperto”, che non è bloccato in un’unica forma ma che, al contrario, deve essere al servizio della lessibilità dei programmi e delle possibili variazioni delle sue attività», spiega lo studio, che pone come primo obiettivo del progetto la sua autodenuncia in qualità di spazio pubblico. La location inluenza in modo determinante l’intervento. Le soluzioni proposte mirano a risaltare le qualità spaziali preesistenti, l’atmosfera ed il tono legati alla matericità, alle proporzioni, alle luci e, in generale, al carattere industriale. In conclusione, emerge come il progetto si focalizzi sulla relazione tra le grandi aule ex-industriali e la serie di piccoli e grandi volumi che contengono i servizi, accuratamente disposti nello spazio a creare una sorta di città, di spazi urbani fatti di slarghi, piazze e strade, in linea con lo spirito dell’iniziativa. fig. 7 | facciata Su via tortona fig. 8 | veDuta Del porticato interno alla Stecca, SeconDo fig. 9 | veDuta Del porticato interno alla Stecca, primo livello 153 fig. 10 | veDuta Del porticato interno alla Stecca, terzo livello fig. 11 | Sezione Della Stecca, propoSta progettuale Dell’onSiteStuDio 154 il MUdeC (MUseo delle CUltUre) | Come anticipato, parallelamente si sviluppa un altro intervento progettuale che verte sulla creazione di una piazza interna quale punto di vista privilegiato sulla nuova architettura, mediante l’elusione della densità del lotto stesso. Essa, infatti, si presenta come architettura della congestione, stretta da tutti i lati tra costruzioni di natura utilitaria accumulatesi nel tempo senza un preciso disegno. Il MUDEC, consapevole dell’impossibilità di essere riguardato da fuori, sceglie di non avere volto e rappresentarsi all’esterno attraverso corpi dalle forme squadrate, praticamente muti, rivestiti di zinco-titanio, raccolti attorno a una struttura in cristallo opalescente. Esso irrompe geometricamente nell’area che lo accoglie e si presenta molto differente dai volumi adiacenti. fig. 13 | Schizzi Di progetto, DaviD chipperfielD fig. 12 | veDuta eSterna Del muDec in confronto con i volumi aDiacenti Planimetricamente si distingue per la sua hall centrale di forma libera e organica, che genera una corte interna dalla caratteristica forma a iore quadrilobato, spazio dalle forme luide e avvolgenti che introduce alle retrostanti sezioni del museo. Tali sezioni sono organizzate per cluster di sale rettangolari comunicanti in successione dalla più grande alle più piccole, che permettono messe a fuoco progressive dei temi dal generale al particolare o letture trasversali degli ambienti, senza interrompere la continuità del percorso di visita. fig. 14 | planimetria Del muDec 155 Le initure sono semplici: pareti intonacate di bianco e pavimenti grigi in basalto Etneo. Le gallerie sono scatole in cemento gettato in opera posate sopra un possente solaio di trasferimento alto 1 m, sorretto da colonne di 80 cm di diametro e scavato da profondi cassettoni prefabbricati. I pilastri sono disposti secondo una maglia regolare di campate di 7.80 m di luce e conferiscono al piano terreno il carattere di uno spazio ipostilo, tenebroso e plastico, che volutamente predispone il visitatore all’ascesa dello scalone verso il chiarore immateriale della hall soprastante in cui la luce, captata da lucernari in copertura, è esclusivamente zenitale. fig. 15 | la Scala Di acceSSo alla corte interna fig. 16 | veDuta interna Sulla granDe hall coperta 156 A un passo dal traguardo, l’intero progetto ha subito una sensibile correzione di rotta nell’arco del trascorso 2012 per iniziativa di Stefano Boeri, allora assessore alla Cultura del Comune di Milano. Il noto architetto ha voluto imprimere il proprio suggello sull’opera modiicandone anzitutto la denominazione, da “Città” a “Museo delle Culture”, e poi, nel merito, rideinendone le inalità dall’esposizione permanente di collezioni etnograiche all’allestimento di mostre, eventi e manifestazioni temporanei volti a «raccontare le culture del mondo in rapporto al contemporaneo». Ciò senza intaccare la conigurazione dell’ediicio, ma solo intervenendo sulla logistica degli spazi funzionali, vale a dire ricalibrando il rapporto tra quelli assegnati rispettivamente all’una e all’altra destinazione d’uso. La presenza etnograica è dunque ridimensionata a occupare una sola ala del museo, mentre le rimanenti sale si rendono disponibili a ospitare grandi rassegne tematiche. fig. 18 | il DeSign Store fig. 17 | il laBoratorio Il piano terra, destinato all’accoglienza, è dotato di bistrot, design store, biglietteria, guardaroba, sala Forum delle Culture, sala conferenze, spazio per la didattica, laboratorio di restauro e depositi allestiti per essere visitati dal pubblico. L’area espositiva del Museo, sita al primo piano, si sviluppa intorno alla grande hall centrale e ospita la sezione del percorso museale con le opere della collezione permanente e le sale dedicate alle grandi mostre temporanee. Completa lo spazio l’auditorium, un teatro da trecento posti dedicato alle performance e alle arti visive. Al secondo piano si trova invece il ristorante, provvisto di ingresso indipendente, che offre scorci inediti sull’ediicio e sull’area circostante e vuole essere un contenitore per eventi legati al mondo dell’arte. fig. 19 | viSta panoramica Sulla Sala ipoStila Di ingreSSo 157 Considerazioni Finali Quella di Chipperield è la soluzione che meglio risolve il rapporto tra nuovo e vecchio, senza dissonanze. Ricercando i propri valori in un dificile contesto, il progetto dell’architetto inglese non interferisce con i volumi degli ediici esistenti, di cui mantiene anche le facciate, comunque interessate da consolidamento e ripristino: la riqualiicazione dei corpi preesistenti ha previsto un mix di initure e soluzioni tecniche che hanno messo in evidenza le caratteristiche intrinseche del luogo, come le grandi travi a vista; la struttura originale è stata resa eficiente dal punto di vista impiantistico, conservandone il carattere di archeologia industriale. Convinto che il loro forte carattere industriale suggerisca una strategia d’intervento minima, l’architetto interviene solo nelle connessioni verticali all’interno dei vari corpi, per privilegiare la creazione di una nuova scelta urbana totalmente introversa. È quindi il MUDEC il nodo dell’area, capace di risolvere nitidamente le divergenze con i capannoni circostanti attraverso la varietà dei volumi e la scelta dei materiali. Il lungo percorso porticato di cemento a vista diventa l’infrastruttura portante dell’intero progetto, la cui vocazione interculturale ispiratrice trova oggi la sua espressione. Milano è adesso in grado di rispondere alla chiamata, negli anni sempre più partecipata, del pubblico culturale in un panorama in continua trasformazione per le istituzioni museali, la loro sostenibilità e la loro identità tra ricerca scientiica, testimonianza storica, interpretazione della contemporaneità e visione sul futuro. fig. 20 | facciata eDificio anSalDo, 2013 fig. 21 | facciata eDificio anSalDo, 2015 158 david ChiPPerField biograFia David Chipperield nasce a Londra nel 1953 e si diploma all’Architectural Association nel 1977. Dopo un periodo di apprendistato presso gli studi di Stephen Douglas, Norman Foster e Richard Rogers, apre nel 1984 un proprio studio a Londra con la denominazione “David Chipperield Architects“. Dopo essere divenuto, nel 1985, membro fondatore della 9TH Gallery, assume negli anni seguenti vari incarichi rientranti soprattutto nel campo dell’Architettura d’interni. Con l’apertura di un nuovo studio a Tokio nel 1987, realizza il Gotoh Provate Museum nella prefettura di Chiba (Giappone, 1987-1992), il Design Center a Kyoto (Giappone, 1989-1991), e la sede della Compagnia Matsumoto ad Okyama (Giappone, 19901992). Nel 1993 realizza anche la galleria delle piante e il salone centrale del Natural Hystoru Museum a Londra (Inghilterra). Chipperield svolge anche attività di conferenziere (a Glasgow, Edimburgo, Oxford, Porto e all’Accademia van Bouwkunst di Amsterdam nel 1990) e visiting professor (Harvard University, Boston, – Usa – nel 1987/88; Università di Graz, Austria e Università di Napoli, Italia nel 1992; Ecole Polytechnique di Losanna, Svizzera nel 1993-94). Membro dal 1992 al 1997 del consiglio di amministrazione dell’Architecture Foundation, tra il 1992 ed 1994 pubblica due monograie sulla sua professione. Nel 1995 diviene Professore di Architettura alla Staatilche del Bildenden Kunst, a Stoccarda in Germania. La ilosoia che lo studio ”David Chipperield Architects“ (con sedi internazionali a Londra, Berlino, Milano, Shanghai) si preigge, è quella di dar vita ad ediici dallo stile non predeterminato ma derivante da una stretta connessione tra ambiente esterno e funzionalità per costruzioni dai dettagli estremamente curati. David Chipperield cura personalmente il design e la supervisione del lavoro del proprio staff relativo ad ogni fase di un progetto, il cui requisito basilare è l’eccellenza del design. Tra i numerosi riconoscimenti internazionali conseguiti, ha ricevuto nel 1999 la Medaglia d’Oro Heinrich Tessenow. Nel 2004 è stato fatto Commendatore dell’Ordine 159 dell’Impero Britannico (CBE) per i suoi meriti in campo architettonico e dal 2003 è membro onorario dell’Accademia di belle arti di Firenze. È stato insignito del titolo di cavaliere del Regno Unito nel 2010 per i successi conseguiti nel campo dell’architettura. Ha ricevuto il premio Wolf per le arti sempre nel 2010 e la Medaglia d’Oro del Royal Institute of British Architects nel 2011. fig. 22 | DaviD chipperfielD oPere Tra i lavori realizzati da Chipperield negli ultimi 20 anni si ricordano: - il Neues Museum, Isola dei Musei, Berlino (Germania), 1994-2009 - il Wagama Restaurant di Londra (Inghilterra), 1996 - il River & Rowing Museum ad Henley-on-Thames (Inghilterra), 1996-99 - la National Gallery of Art, Roma (Italia), 2000 - la Casa privata, Corrubedo (Spagna), 2002 fig. 23 | Berlino, iSola Dei muSei, neueS muSeum - il Museum of Modern Literature, Marbach am Neckar (Germania), 2006 - la Biblioteca pubblica, Des Moines, Iowa (USA), 2006 - il Ninetree Village, Hangzhou (Cina), 2008 - la Cittadella della Giustizia, Barcellona (Spagna), 2009 - l’Anchorage Museum, Anchorage (Alaska), 2009 - il Museum Folkwang, Essen (Germania), 2010 - Ansaldo Città delle Culture, Milano (Italia), 2011 fig. 24 | Berlino, Bötzow Brauerei - i Negozi Valentino, Milano (Italia), 2012 - l’ampliamento del Saint Louis Art Museum, Saint Luis, Missouri (USA), 2013 - il Museo Jumex, Città del Messico (Messico), 2013 - Il Centro Nobel Nobelhuset, Stoccolma (Svezia), 20132018 - la Bötzow Brauerei, Berlino (Germania), 2013-2019 fig. 25 | miSSouri, Saint louiS art muSeum 160 note 1 Ingegnere e imprenditore industriale di origini svizzere, nel 1903 ha fondato la Züst ing. Roberto - Fabbrica Italiana di Automobili, azienda specializzata in costruzioni meccaniche e macchine di precisione con sede a Intra, vicino al Lago Maggiore. Il 26 marzo dello stesso anno Züst decide di trasferire l’azienda a Milano. 2 Galileo Ferraris (1847-1897) è stato un ingegnere e scienziato italiano, scopritore del campo magnetico rotante e ideatore del motore elettrico in corrente alternata. 3 Franco Tosi (1850-1898) è stato un imprenditore italiano dell’industria meccanica, di cui è stato pioniere. Fondatore dell’omonima azienda, è noto per il suo contributo alla tecnologia dei motori a vapore. Storica dell’Arte. Dal 1973 al 1998 ha diretto il Museo Poldi Pezzoli. Dal 1998 al 2006 è stata direttore centrale della Cultura e Musei, Sport e Tempo Libero del Comune di Milano. Tra le attività svolte, è stata curatrice di numerose mostre e relatrice in convegni e conferenze, docente in corsi e seminari di museologia, autrice di numerose pubblicazioni, e ha collaborato con articoli e saggi ad enciclopedie, riviste, cataloghi e periodici specializzati. In particolare si occupa di museologia e collezionismo, storia della cultura materiale, di arti decorative e storia della moda. È membro della direzione dell’ICOM Italia, International Council of Museums. 4 5 Fondato a Milano nel 2006 da Angelo Lunati (1973) e Gian Carlo Floridi (1973); nei suoi 9 anni di esperienza l’Onsitestudio ha partecipato a numerose competizioni internazionali e attualmente il suo lavoro è supportato dal Politecnico di Milano, per il quale i due architetti svolgono attività di ricerca. 161 Fonti bibliograFiChe e sitograFia doCUMentazione iConograFiCa C. BAGLIONE, La Città delle Culture negli ex stabilimenti Ansaldo, in “Casabella Milano” LXV (2001), n. 690, pp. 6873 Copertina | © OSKAR DA RIZ, Fotograia dal sito www. dariz.com M. BIAGI, Una storia milanese: il Museo delle Culture di David Chipperield, in “Casabella” LXXVII (2013), n.826, p. 30 M. G. ZUNNINO, Concorso internazionale per la Città delle Culture, in “Abitare” (2000) n. 394, pp.187-191 AA. VV., Ansaldo City of Cultures, in “El Croquis David Chipperield 1991-2006” (2006) nn. 87+120, pp.270-279 Fig. 1 | Google Earth, Immagine aerea di Milano rielaborata, 2007 Fig. 2 | Google Earth, Immagine aerea di Milano rielaborata, 2015 Fig. 3 | Casabella n° 826, p. 32 Fig. 4 | Tratta dal sito www.fondazionerenzopiano.org Fig. 5 | Rielaborazione da Abitare n°394, p. 187 AA. VV., Ansaldo Museum of Cutures, in “El Croquis David Chipperield 2010-2014” (2014), nn. 174-175, pp. 32-53 Fig. 6 | Rielaborazione da Casabella n°826, p. 37 Sito uficiale del MUDEC: www.mudec.it Fig. 7, 9, 10, 12, 15, 17, 18, 19, 21 | © CARLO CORDA, 2015 Sito www.ppan.it Fig. 8 | Tratta dal sito www.ppan.it Sito www.artbonus.gov.it Fig. 11 | Tratta dal sito www.onsitestudio.it www.archeologiaindustriale.net Fig. 13 | Disegno da El Croquis, Chipperield 2010-2014, n° 174-175 p. 50 www.ilsole24ore.com www.divisare.com www.urbanile.org Fig. 14 | Disegno da El Croquis, Chipperield 1991-2006, n° 87+120 p. 275 Fig. 16 | © OSKAR DA RIZ, Fotograia dal sito www.dariz. com www.turismo.milano.it Fig. 20 | © Fotograia da Casabella n°826, p.47 www.ordinearchitetti.mi.it Fig. 22 | © UTE ZSCHARNT, www.davidchipperield.co.uk Sito uficiale dello studio David Chipperield Architects: www.davidchipperield.co.uk Sito uficiale dell’Onsitestudio: www.onsitestudio.it Comunicato Stampa Comune di Milano, 24 ore cultura 162 Fig. 23-25 | Tratta dal sito www.davidchipperield.co.uk 163 164 6 | benetton stUdios introdUzione Le vicende imprenditoriali del Gruppo Benetton si son sviluppate negli ultimi 50 anni mantenendo il proprio omphalos1 nella campagna veneta, nei pressi di Treviso, dove si trovano i due principali stabilimenti: Castrette di Villorba e Paderno di Ponzano. Iniziano nel 1964 le prime collaborazioni del gruppo industriale con Afra e Tobia Scarpa, progettisti internazionali particolarmente affermati nel campo dell’industrial design, che si occuparono della progettazione del primo stabilimento a Ponzano Veneto, cui segue, tre anni più tardi, il restauro di una villa patrizia2 da destinare a ufici. Per la Benetton, gli Scarpa hanno costruito inoltre la Casa Benetton a Ponzano (1966), Casa-studio a Trevisnano, la Fabbrica di Selva del Montello (1973), in cui la distribuzione è ripartita grazie ad una strada interna, come a Castrette. Afra e Tobia hanno inoltre disegnato una serie di arredi3 per gli ufici Benetton per le sedi di Parigi (1980), Friburgo (1980) e New York (1986). Tutt’oggi Tobia Scarpa si occupa di interventi di restauro per la stessa azienda. loCalizzazione geograFiCa Il distretto degli Benetton Studios, che si trova a Castrette di Villorba, in provincia di Treviso, insiste su un’area di circa 400.000 metri quadrati, totalmente immersa nel verde. La costruzione del complesso industriale ha preso avvio nel 1980 con la costruzione del Benlog, il centro logistico robotizzato. Il nuovo stabilimento si afianca, in un progetto integrato di cittadella tecnologica, ad altri volumi industriali: lo stabilimento Divisione Lana, che è stato trasformato in Studios nel 1985, e Divisione Jeans e Capisapalla (1992,1995) e dal padiglione portineria. Con il passare del tempo, però, sono mutate le esigenze produttive e per questo motivo le costruzioni realizzate son state variamente riadattate, sempre con progetti irmati Scarpa. fig. 1 | ponzano veneto, viSta generale Dello StaBilimento fig. 2 | ponzano veneto, viSta generale Dello StaBilimento fig. 3 | ponzano veneto, Dettaglio Della copertura Dello StaBilimento 165 fig. 4 | caStrette Di villorBa, inQuaDramento geografico fig. 5 | caStrette Di villorBa, planimetria Dello StaBilimento legenDa|1 StuDioS (ex DiviSione lana); 2 Benlog, centro logiStica roBotizzato; 3 StaBilimenti gemelli capiSpalla e cotone camice; 4 portineria D’ingreSSo. 166 il distretto di Castrette fig. 6 | caStrette Di villorBa, Benlog, viSta Dell’ampliamento fig. 7 | caStrette Di villorBa, Benlog, Dettaglio Della Struttura Di copertura Della Baia Di carico benlog (1980)| ll Benlog è un magazzino intensivo robotizzato e svolge il compito di centro di distribuzione per i 7.000 punti vendita della rete mondiale Benetton. Il complesso originale era costituito da una massa grigia contraffortata nel cui interno si trova tutt’ora un organismo meccanico di gigantesche dimensioni, il quale è controllato dal cervello-elettrico, collegato direttamente all’elaboratore centrale della sede principale di Ponzano. benlog (2009)| L’ampliamento del Benlog è consistito in un incremento volumetrico da 22.000 a 30.000 metri quadrati di supericie utile, cui si aggiungono 1000 metri quadri di tettoia coperta, tale da rispondere alle necessità di gestire un cospicuo incremento del numero di pacchi stoccati nel magazzino e quotidianamente movimentati dalle macchine sino alle baie di carico esterne. L’idea generale è che l’ampliamento si integri perfettamente dal punto di vista funzionale, ma anche estetico, con l’ediicio esistente. Per questo motivo si decide di afiancare i due volumi ai lati est ed ovest del vecchio magazzino. In questo modo vengono però sacriicati alcuni elementi: i vecchi puntoni esterni forati in cemento, necessari nel vecchio Benlog per snellire il più possibile i pilastri in cemento armato alti quasi 25 metri ma anche decisivi a deinire l’immagine, dei quali ne vengono conservati solo due, alle estremità nord dell’ediicio. I nuovi volumi tecnici sono realizzati con muri di spinta continui per la parte interrotta (4,5 metri) e con pilastri in acciaio elevati dal piano di campagna, mentre il solaio di copertura è costituito da travi in acciaio appoggiate su un lato alle strutture in cemento armato esistenti e sostenute dall’altro da coppie di stralli d’acciaio agganciati ai nuovi pilastri. La pelle dei nuovi volumi è realizzata in acciaio Cor-ten, per mimetizzarsi con i colori dell’ambiente, ed è sagomata ad onde, a riprendere sia il disegno dei pannelli in cemento ancora visibili del Benlog sia l’ondulazione delle lamiere zincate dei due strallati. fig. 8 | caStrette Di villorBa, DiSegno Di StuDio Del pilone, prima verSione 167 Nella realizzazione, le due grandi travi reticolari, anziché essere appese a piloni, si agganciano da un lato a due robusti plinti di calcestruzzo armato e poggiano dall’altro su un portale d’acciaio uscendo a sbalzo per quasi 11 metri. Le travi secondarie sono sagomate in modo da conferire alla copertura del magazzino la forma di una porzione di calotta sferica, rivestita esternamente da lastre di rame. La baia di carico è anch’essa concepita originariamente come una struttura strallata4. Il tamponamento è costituito dalla stessa lamiera in acciaio Cor-ten5 dei nuovi volumi e tuttavia sui bordi nord ed ovest il rapporto dell’ediicio con il suolo è mediato, come nel vecchio Benlog, da muri realizzati con grossi sassi racchiusi da un prete metallica. divisione CaPisPalla e Cotone CaMiCie 1992-1995 Questo complesso produttivo è localizzato di fronte agli altri stabilimenti e li completa nella concezione totale del complesso industriale. Questa struttura strallata consente così di coprire e proteggere uno spazio di lavoro caratterizzato da una totale lessibilità delle partizioni interne. Le pareti perimetrali sono ventilate e caratterizzate dall’uso dell’acciaio nervato, con pieghe adatte a volate di 10 metri, a zincatura a caldo. L’illuminazione naturale dell’ediicio avviene attraverso dei lucernari, che occupano il 12% del coperto a livelli costanti, per non rovinare la percezione naturale del colore dei tessuti. Con la realizzazione del secondo lotto, il complesso è stato completato con un corpo di accesso vigilato, una appropriata rete viaria, la mensa e le rimesse sotterranee, dotando il complesso industriale di un sistema assai ricco di attrezzature, in una dimensione inusuale di fabbrica, ove parrebbe realizzarsi sin nei dettagli un tangibile, effettivo concetto di qualità globale sia essa intesa nel settore del lavoro, dei prodotti, dei servizi, dello spazio. «Per questa fabbrica abbiamo adottato un sistema di forte impatto come la struttura strallata, che assolve a molti compiti: l’elemento espressivo e visivo, l’alleggerimento del volume nel paesaggio, il tentativo di essere competitivi con strutture estreme poco usate, la massima disponibilità dello spazio interno, che è completamente libero, in funzione delle nuove lavorazioni». Casabella 651-652 Per realizzare questa divisione è stato utilizzato un originale sistema costruttivo, adottato normalmente per i ponti, che oltre a garantire i tempi record di cantiere (8 mesi per il primo lotto), ha permesso di coprire superici amplissime, circa 40.000 metri quadrati per ciascun lotto, libere da ulteriori strutture. Si tratta di un modulo costruttivo di 25 metri, ripetuto in serie di sette volte: un telaio chiuso in cemento armato, alto 9 metri e largo 40 metri, a cui sono ancorati dei piloni binati in acciaio alti 25 metri, a cui, a loro volta, sono agganciate otto coppie di “stralli” (cavi spiralati, 224 per lotto) di sostegno alla duplice struttura in metallo, poggiante su murature in cemento armato di 84,5 metri per parte, che scaricano le tensioni sulla struttura centrale. 168 fig. 9 | DiSegno Di StuDio Del noDo pilaStro-catenaria, toBia Scarpa fig. 10 | DiSegni Di StuDio Strutture e copertura Dello StaBilimento fig. 11 | DiSegni Di StuDio per le Strutture Di copertura divisione lana (1985) | Il vicino e lungo corpo della Divisione Lana è realizzato nel 1985 in collaborazione con lo Studio Greggio e Ass. e A. Lagrecacolonna. Lo spazio si plasma attorno al lungo tunnel rovescio della spina centrale (larga 30 metri) e disegna uno spazio introlesso di grande forza plastica. Per rispondere all’esigenza di ampie superici per il trafico continuo di veicoli necessari per movimentare i prodotti all’interno dell’ediicio è stata ideata una “strada interna”, che viene assunta come vera e propria spina dorsale, in senso funzionale, competitivo e strutturale del progetto. La strada, lunga 150 metri e larga 25 metri, è protetta da una copertura in acciaio a catenaria appoggiata e tesa tra due ile di alti e robusti pilastri in cemento armato. In questo modo si sono quindi formate delle ampie superici ai lati della strada, le quali vengono destinate alla produzione. Questi spazi sono coperti da travi reticolari lunghe 45 metri e prive di sostegni intermedi, agganciate da un lato ai pilastri ai quali è appesa la catenaria e, all’estremo opposto, a setti in cemento armato. Si crea quindi un gioco di forme, che ci fa comprendere una gerarchia macrofunzionale fra la navata centrale che appare come una volta rovesciata, e gli spazi adiacenti, le cui travi deiniscono una sequenza di maniche orientate perpendicolarmente allo spazio centrale e assiale. Oggi è uno spazio di circa 20.000 metri quadrati dove sono ospitate attività di ricerca e progettazione dei nuovi negozi, gli archivi dei prodotti, gli spazi espositivi e per le silate. fig. 13 | caStrette Di villorBa, ex DiviSione lana, viSta Della StraDa fig. 12 | DiSegni Di StuDio per le Strutture Di copertura interna Durante la coStruzione 169 ex divisione lana- stUdios (2010-2012) | Nel 2012 viene portato a compimento un nuovo intervento, da parte di Tobia Scarpa, progettista architettonico e David Zannoner6, progettista strutturale. Il disegno per la trasformazione del Magazzino Divisione Lana comprende la realizzazione di un centro per silate ed esibizioni. La strada interna è stata ripartita in tre aree: I. l’atrio di accoglienza, in prossimità dell’ingresso principale posto a nord-est; II. l’ambiente intermedio, destinato alle silate di moda, capace di ospitare più di tremila persone; III. lo spazio espositivo, dove è esposta una collezione permanente di oggetti che documentano gli esiti delle attività svolte da Benetton, come ad esempio le automobili di proprietà della “Benetton Formula”7. La divisione degli spazi nelle navate laterali è stata effettuata grazie a delle tamponature con pannelli di legno. Questi in parte son stati concepiti issi, per celare alla vista gli impianti di condizionamento, e in parte apribili, per consentire l’accesso agli spazi laterali, riorganizzati in funzione delle nuove destinazioni. Le nuove destinazioni son state anche la motivazione della suddivisione dell’ex stabilimento per ali. Infatti nell’ala nord sono state sistemate l’area guardaroba, la sala banchetti, una sala di regia e il backstage per le silate, gli archivi dei documenti e dei prodotti, le sale di posa fotograica. 170 fig. 14 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, ingreSSo fig. 15 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, Spazio eSpoSizioni “Benetton formula” fig. 16 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, pareti fig. 17 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, pareti DiviSorie fra StraDa e ali laterali DiviSorie fra StraDa e ali laterali Le estremità ovest dell’ala nord e dell’ala sud accolgono il “laboratorio negozi”. Parte dell’ala sud è stata destinata a ufici e aree di lavoro, open space, organizzate intorno a patii-giardino ottenuti asportando porzioni di volume della copertura. Dentro le campate del magazzino, aventi luci di 45 m, si son facilmente ricavati, attraverso il lavoro di rinforzo sulle strutture esistenti, attuato da Zannoner, ampi cavedi prima inesistenti, contenenti corti interne con vetrate perimetrali per ottenere un’illuminazione naturale per i nuovi ambienti. fig. 18 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, uffici fig. 19 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, uffici fig. 20 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, uffici fig. 21 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, viSta Della fig. 22 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, Dettaglio corte interna copertura uffici 171 La nuova area silata può contenere in totale 3000 posti, dove trovano spazio tribune prefabbricate di cemento armato, concepite per essere totalmente removibili e facilmente spostate, e con impalcati in pannelli di legno X-Lam, speciali pannelli multistrato. Lo spazio che ne deriva è totalmente versatile per ogni esigenza espositiva e per ogni tipo di silata. Si sono inoltre attuate modiiche alle pareti perimetrali attraverso: I. interventi limitati e puntuali che hanno portato all’apertura di nuove porte e di nuove inestre, conseguenti alla nuova distribuzione; II. interventi più rilevanti come quelli sulle testate est ed ovest della strada centrale, in cui i portoni in ferro zincato sono stati sostituiti da serramenti in ferro Cor-ten e vetro, appositamente disegnati. fig. 23 | DiSegno Di StuDio per le triBune Dello Spazio Sfilate, toBia Scarpa fig. 24 | caStrette Di villorBa, fig. 25 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDioS, Dettagli Delle triBune Dello Spazio Sfilata fig. 26 | caStrette Di villorBa, Delle triBune Dello Spazio Sfilata 172 DiviSione lana - StuDioS, Dettagli Delle triBune Dello Spazio Sfilata DiviSione lana - StuDioS, Dettagli fig. 27 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDio, Dettagli Delle triBune Dello Spazio Sfilata L’esterno è stato anch’esso oggetto di ridisegno, in particolare lo spazio di fronte all’ingresso principale est. Si è optato per la realizzazione di una pavimentazione, di due vasche ellittiche al centro del piazzale e di un piccolo ponte pedonale, di rafinata concezione, che attraversa il canale Piavesella per collegare gli Studios ai parcheggi interrati esistenti al di sotto degli stabilimenti strallati. fig. 28 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDio, fronte eSt Dell’eDificio e nuovo ponte peDonale Sul canale piaveSella fig. 29 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDio, l’ingreSSo Degli StuDioS viSto Dal nuovo ponte peDonale Sul canale piaveSella fig. 30 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDio, l’ingreSSo fig. 31 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDio, nuovo ponte fig. 32 | caStrette Di villorBa, DiviSione lana - StuDio, nuovo ponte peDonale peDonale Degli StuDioS con i Dettagli Della nuova pavimentazione 173 CritiChe e ConClUsioni L’opera di restauro attuata da Tobia Scarpa sugli stabilimenti, che esso stesso progettò a partire dal 1985, è un sapiente caso di riuso architettonico di un’impianto industriale reindirizzato al settore terziario. Alcune scelte compositive, come ad esempio la sottrazione di volumi che genera patii interni, non sono azioni reversibili, ovvero hanno un impatto inconversibile sulla materia e sulla forma originale dello stabilimento. L’esplicitazione del gusto moderno, contemporaneamente, rivaluta le caratteristiche isiche proprie dell’ambiente industriale, precedentemente nati come semplici capannoni. La destinazione d’uso odierna risulta quindi perfettamente conciliabile con la funzione precedente dello stabilimento, anche per l’inesistenza di differenze tra i materiali usati sia nelle parti ristrutturate che nella parti storiche, annullando qualsiasi rischio di incompatibilità isiche e chimiche. Questi interventi di restauro, dunque, non facilitano in sé la comprensione delle stratiicazioni grazie alla somiglianza dei materiali originari con quelli dei nuovi ampliamenti, e non risultano percepibili nelle fasi di crescita dell’ediicio. Non si parla quindi di attualità espressiva del restauro ma piuttosto come di un vero e proprio palinsesto organico progettato nel tempo dall’architetto Tobia Scarpa. La qualità del restauro risulta eccellente sia per le scelte strutturali connesse al saggio uso di materiali versatili e innovativi, i quali hanno funzioni potenziali per lo sviluppo successivo della fabbrica, sia per l’ambiente lavorativo che deriva dall’adozione degli open spaces e dei patii interni. In un momento di crisi come quello vissuto dai mercati globali, questo caso di restauro potrebbe risultare una sollecitazione in più sia nei confronti degli impiegati, sia come biglietto da visita dell’azienda per le pubbliche relazioni, svolte all’interno degli stabili. fig. 33 | caStrette Di villorBa, Dettaglio Della copertura Del centro Di DiStriBuzione 174 tobia sCarPa e aFra bianChin tobia sCarPa aFra bianChin Nasce a Venezia nel 1935. Nel 1969 si laurea in Architettura all’Università di Venezia, affermandosi come amante dell’architettura e del design, concepiti secondo termini di eleganza e ricercatezza sia nelle forme sia nella scelta dei materiali. Scarpa segue insieme alla moglie Afra Bianchin gli indirizzi del celebre padre Carlo, che non aveva aderito a speciiche linee di tendenza, nutrendo la convinzione di una necessità di prodotti durevoli e corretti, sia in design sia in architettura. Il suo lavoro di designer riceve molti riconoscimenti nel corso degli anni. Per quanto riguarda il campo architettonico, lavora con committenti pubblici e privati, curando l’arredamento dei punti vendita di note aziende italiane tra cui Benetton, progettandone anche le sedi di alcuni stabilimenti: ricordiamo la sede Benetton (1964), Benetton Lana (1985), Benetton Jeans (1993), per la quale progetta l’intero complesso industriale di Castrette di Villorba (Treviso). I progetti realizzati per Benetton sono considerati ancora oggi un paradigma estetico-funzionale e un lavoro esemplare di architettura industriale, al punto che sono stati esposti nel corso della Biennale di Architettura del 2012. Afra Bianchin Scarpa nasce a Montebelluna nel 1937 e muore a Trevignano il 30 luglio 2011. Era una nota designer e architetto italiana, conosciuta anche a livello internazionale. Laureatasi nel 1969 presso l’Istituto Universitario d’Architettura di Venezia, IUAV, lega la sua attività lavorativa a quella di Tobia Scarpa con cui irma Riconoscimenti ottenuti: il Compasso d’oro ADI8 del 1970; il Compasso d’oro ADI del 1979; Il Compasso d’oro ADI del 2008; il Resource Council Inc. del 1981; il Neocom merit award del 1982 a Chicago; il Primer, Premio nacional de diseño otorgado del 1987; l’Auszeichnung für hohe design qualität del 1992; l’IF Industrie forum design Hannover dello stesso anno L’Istituto Italiano di Cultura di Chicago gli ha dedicato nel 2004 un’importante esposizione itinerante nelle più importanti città americane: Chicago, San Francisco, Toronto, Los Angeles. ogni progetto, deinendo un costante punto di riferimento per la cultura mondiale del design. I due oltre a condividere le passioni in ambito lavorativo, condividono anche un rapporto affettivo privato. Tra i numerosi oggetti d’arredamento irmati dai due designer la sedia 925 (Cassina, 1966), il divano Coronado (B&B, 1966), il sistema di poltrone-divani Soriana (Cassina, 1968, Compasso d’Oro 1970) e, tra le lampade, Papillona (Flos, 1977) e Butterly. Tra i committenti di Afra Bianchin Scarpa il gruppo Benetton, per il quale progettò tra l’altro la prima fabbrica nel 1964 e l’immagine di numerosi punti di vendita. Progettò tra gli altri anche per Unifor, Meritalia e San Lorenzo, per cui, negli anni Novanta, disegnò gioielli e oggetti domestici in metallo . fig. 34 | toBia Scarpa e afra Bianchin 175 note Fonti bibliograFiChe e sitograFia 1 Dal greco, ombelico A. PIVA, Afra e Tobia Scarpa architetti e designers, Mondadori, 1985 2 Villa Loredan-Gasparini,Venegazzù, Treviso Abitare 289 (1990) pp. 230-245; 328 (1994) pp.160-163 Vedi biograia: ivi “Tra i numerosi oggetti d’arredamento irmati dai due designer la sedia 925 (Cassina, 1966), il divano Coronado (B&B, 1966), il sistema di poltronedivani Soriana (Cassina, 1968, Compasso d’Oro 1970) e, tra le lampade, Papillona (Flos, 1977) e Butterly“. 3 Una struttura strallata è una struttura “sospesa” nella quale l’impalcato è retto da una serie di cavi (gli stralli) ancorati a piloni (o torri) di sostegno 4 Casabella 608, 609 (1994); 651 (1997); 652 (1998); 820 (2012) Domus 438 (1966) p. 12; 460 (1968) p. 16; 722 (1990) Archivio Benetton Group: www.benettongroup.com Benetton Studios: www.arketipomagazine.it/it/benettonfactory/ 5 L’acciaio COR-TEN (in inglese weathering steels) fa parte della categoria degli acciai basso legati deiniti patinabili (è detto anche acciaio patinato) 6 David Zannoner. Nel 1998 si laurea con lode presso l’Università degli Studi di Padova. E’ autore di alcuni signiicativi progetti nel settore delle infrastrutture e nell’ambito del restauro. Tra i suoi lavori più recenti le strutture per il nuovo casello autostradale di Meolo (VE) ed il relativo viadotto di accesso (con F&MI SpA), un innovativo sistema di pannelli segnaletici autostradali e, con Tobia Scarpa, il complesso per silate ed esposizioni Benetton Studios a Villorba (TV) e la ristrutturazione della Chiesa di San Teonisto a Treviso. Con Roberto Masiero è autore di alcuni studi sul rapporto tra ingegneria ed architettura Scuderia di Formula Uno di proprietà dell’azienda omonima, ceduta nel 2001 alla Renault 7 Istituito nel 1954, il Premio Compasso d’Oro ADI è il più antico ma soprattutto il più autorevole premio mondiale di design. 8 176 Nicoletta Boraso: www.mediastudies.it/IMG/pdf/ portfolio_c_NicolettaBoraso2013_1_.pdf Samal Global Italia, azienda: www.samaglobalitalia. com/Insediamentiindustriali.pdf Atanor, progetto di Merotto Milani srl www.terrediatanor. it/designers/tobia-scarpa/ Arredi: www.merottomilani.com Flos, azienda: www.los.com/it/designers/tobia_scarpa doCUMentazione iConograFiCa Copertina| dal sito: www.samaglobalitalia.com Fig.1 | © GABRIELE BASILICO, Abitare 289 Fig. 19| © Archivio Merotti Milano, www.merottomilani. com Fig. 20| © Archivio Merotti Milano, www.merottomilani. com Fig. 2 | © TOBIA SCARPA, Domus 438, p.12 Fig. 21|Archivio Merotti Milano, www.merottomilani.com Fig. 3 | © TOBIA SCARPA, Domus 438, p.12 Fig. 22|Archivio Merotti Milano, www.merottomilani.com Fig. 4 | Google Earth Fig. 5 | Casabella 820, p.54 Fig. 6 | © ORCH_ALESSANDRA COMELLO, Casabella 787, p.13 Fig.23| © Tobia Scarpa, Casabella 820, p.68 Fig.24| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it Fig.25| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it Fig.26| © Archivio Benetton, Casabella 820, p.68 Fig. 7 | © ORCH_ALESSANDRA COMELLO, Casabella 787, p.17 Fig.27| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it Fig. 8 | © TOBIA SCARPA, Casabella 651/652 Fig.28| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it Fig. 9 | © TOBIA SCARPA, Casabella 820, p.55 Fig.29| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it Fig. 10 | © TOBIA SCARPA, Casabella 820, p.55 Fig.30| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it Fig. 11 | © TOBIA SCARPA, Abitare 328, 1994 pp.160-3 Fig.31| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it Fig. 12 | © Tobia Scarpa, Abitare 328, 1994 pp.160-3 Fig.32| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it Fig. 13 | © Archivio Benetton, Casabella 820, p.58 Fig.33| © Antonia Mulas, Archivio Benetton, benettongroup.com Fig. 14 | © Vaclav Sedy, sites.google.com/site/ davidzannoner Fig.34| © Attilio Vianello, www.umbrella.it Fig. 15 | © Vaclav Sedy, https://sites.google.com/site/ davidzannoner Fig. 16| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it Fig. 17| © Nicoletta Boraso, www.mediastudies.it Fig. 18| © Archivio Merotti Milano, www.merottomilani. com 177 178 ConClUsioni Siamo giunti al termine di questo affascinante itinerario conoscitivo sull’emblematico tema dell’archeologia industriale. Attraverso studi, ricerche e indagini ilologiche, vi si è affrontata un’attenta rilessione che ci ha portato a comprendere come il restauro si riveli essere una vera e propria arte, capace di declinarsi in molteplici forme di intervento, e soprattutto plasmarsi e contestualizzarsi a ciascun manufatto. Abbiamo dunque notato come la questione dei ruderi industriali dismessi, materia di grande rilevanza e costante attualità, sia riuscita nel corso del tempo a trovare risposte determinanti in termini di riqualiicazione e riconversione, e a ribaltare un iniziale coeficiente di degrado in un nuovo e moderno fattore economico. L’approccio del restauratore, secondo l’analisi dei differenti casi studio, ha dimostrato bensì un’adesione più marcata nei confronti di una particolare linea di tendenza: nel dover intraprendere un’operazione di rifunzionalizzazione architettonica, preservando la conigurazione esistente, la tipologia più idonea sembra essere stata quella del restauro critico, in grado di prestarsi positivamente alla tematica della trasformazione e del riuso. In relazione alle distinte metamorfosi progettuali, un concetto che ha prodotto interessanti esiti è stato quello della compatibilità: dare vita a nuove soluzioni compositive, conservando la natura originaria del sito, ha comportato infatti un imprescindibile e vincolante rispetto del vecchio, che ci ha tuttavia anche permesso di valutare quali evoluzioni funzionali si sono potute raggiungere e concretizzare. Il linguaggio stilistico che si è sviluppato in questi progetti è stato dunque strutturato sul tema della riconoscibilità, tramite la preservazione della volumetria e dei caratteri lineari dell’opera, avvalorandone e rafforzandone l’indole che ha sempre condizionato il tessuto sociale. Il minimo intervento non sempre è stato assecondato, ma si è riscontrato un tentativo progettuale di comune accordo con l’elemento della reversibilità, percepito in un ampio uso dell’acciaio, che come sappiamo garantisce il ripristino della primitiva forma. Presa consapevolezza dell’elevato spessore culturale che ha acquisito la dialettica architettura/industria, l’uomo, col passare del tempo, ha elaborato una nuova matrice di pianiicazione, incentrata non più sulla pura invenzione ma sul termine del recupero. E’ grazie a questa importante rivoluzione concettuale, che oggi l’archeologia industriale rappresenta una nuova rotta attrattiva, sia sul piano economico che urbano, e che l’architetto moderno risulta così proiettato verso una nuova frontiera progettuale, una sida non soltanto architettonica, ma forse e soprattutto civile, in cui il restauro si conferma come strumento essenziale di rigenerazione. 179