La traduzione “regionale” di Pirandello:
Eduardo De Filippo
di Alessandra Sorrentino
In questo articolo vorrei discutere il rapporto tra due grandi del Novecento
italiano, Luigi Pirandello ed Eduardo De Filippo. La critica in proposito si
è schierata fin da subito1, come spesso accade in questi casi, su due fronti
contrapposti: alcuni parlano di un presunto pirandellismo di Eduardo, altri
considerandolo del tutto originale parlano di eduardismo.
Gli elementi che hanno contribuito a queste due tendenze della critica
sono da un lato il rapporto forte che Eduardo ha sempre ammesso con l’opera
pirandelliana e dall’altro lato la tradizione del teatro napoletano in cui Eduardo
si forma e da cui non si distaccherà mai del tutto. La stima che Eduardo ha
nei confronti di Pirandello è confermata da più elementi (cfr. De Filippo,
1936a, p. 31; 1976, p. 173). Si faccia caso al nome della compagnia di teatro
della famiglia che per l’appunto si chiama Compagnia Teatro Umoristico
“I De Filippo”, con chiaro riferimento all’agrigentino. Oppure si legga come
è riportata nelle sue memorie la prima volta che vide in scena, nel 1922, Sei
personaggi in cerca d’autore:
Serata indimenticabile. Ricordo ancora lo sgomento, la profonda emozione che provai
assistendo alla recita. Alla fine dello spettacolo attraversammo i corridoi del teatro,
muti tra la folla che discuteva Pirandello. I sei personaggi mi avevano letteralmente
scombussolato, mi pareva quasi impossibile continuare a far ridere la gente con i
quadri delle riviste, mentre in altra sede l’arte drammatica raggiungeva quella potenza
di idee e di espressione. (De Filippo, 1937, p. 36)
Nelle memorie di Eduardo viene dato ampio spazio al racconto della passione che, sin da giovane, ebbe per l’opera di Luigi Pirandello, e dell’incontro
del 1933, che diede inizio alla loro collaborazione. Ma non di meno egli stesso
si difende in più circostanze dalle accuse di pirandellismo2.
1. Cfr. in proposito Bentley (1951), Meldolesi (1987, p. 63), Quarenghi (1993). Uno dei più
convinti sostenitori del pirandellismo di Eduardo è Ugo Piscopo (1994); cfr. anche Di Franco
(1975), Giammattei (1982), De Miro D’Ajeta (1993), Barsotti (1995). Per un resoconto breve sul
tema cfr. Fischer (2007).
2. Valga ad esempio una delle ultime interviste a Eduardo: «Pirandello ha influenzato
tutti […] ma diverso è il modo di esprimersi. Il suo è un teatro delle ragioni. Il mio è un teatro
PIRANDELLO E L A TRADIZIONE CULTURALE
D’altro canto Eduardo nasce a Napoli nel 1900, circa trent’anni dopo Pirandello, da una famiglia di teatro. Il padre Eduardo Scarpetta è capocomico, attore3
e scrittore di commedie, i suoi lavori si inseriscono nel filone della tradizione
napoletana classica, per intenderci quella di Antonio Petito4, del teatro di varietà,
dell’avanspettacolo, apportando però a questa consolidata tradizione teatrale
un contributo personale, ovvero un interesse per la classe borghese, come si
diceva a quei tempi, e per le sue ipocrisie. Si potrebbe parlare di una forma di
critica sociale, che Scarpetta affronta nelle sue commedie, pur non tradendo
mai la commedia leggera di cui è figlio. È questo il mondo da cui Eduardo proviene che lascia un’impronta decisiva su tutta la sua produzione.
Se si volesse uscire da categorie di giudizio, che prevedono un’imitazione
(pirandellismo) o un’originalità (eduardismo) di un autore e delle sue opere
rispetto a un altro autore e alle sue opere, dando come principio di base l’intertestualità5 e ripercorrendo il processo di negoziazione conflittuale fra i testi
all’interno di una traduzione culturale (Rössner, 2012), si può guardare alle
relazioni tra Pirandello ed Eduardo da un punto di vista, a mio parere, più
stimolante.
Ma ritorniamo a noi; Pirandello conosce personalmente Eduardo nel 1933
a Napoli, al Teatro Sannazzaro, dopo la messa in scena di una commedia della
Compagnia I De Filippo. In quell’occasione Pirandello propone a Eduardo
di mettere in scena Liolà. La compagnia si occupa unicamente di teatro dialettale e Peppino, il fratello di Eduardo, tradurrà l’opera pirandelliana in
napoletano. In un secondo momento, Pirandello ed Eduardo decidono di
tradurre in commedia la novella dell’agrigentino, L’abito nuovo. Durante i
mesi di lavoro a quattro mani sul testo, Pirandello propone a Eduardo di rappresentare Il berretto a sonagli. Anche in questo caso è necessaria una traduzione dall’italiano al napoletano, ma questa volta se ne occupa lo stesso Eduardo
supervisionato da Pirandello. La commedia, nella versione napoletana, riscuoterà un successo di pubblico incredibile e Pirandello si dimostrerà molto soddisfatto dell’interpretazione che Eduardo fa di Ciampa, tant’è che gli scriverà
che questo personaggio aspettava il suo interprete da vent’anni e che solo
adesso lui aveva trovato (Giammusso, 1993, pp. 365-7). Eduardo continuerà a
riproporre Il berretto a sonagli con successo per oltre quarant’anni.
delle cose quotidiane, dei fatti. Davanti ai fatti, cioè davanti ai problemi concreti, pratici, d’una
società che non regge, che crolla» (“Corriere della Sera”, 24 maggio 1984).
3. Memorabile il personaggio di Felice Sciosciammocca, il cui cognome in dialetto napoletano rappresenta un uomo che è sempre a bocca aperta, ossia colui il quale si meraviglia di
tutto, ingenuo, quasi stupido, che si può considerare un’evoluzione della maschera di Pulcinella, ma più che maschera lo si dovrebbe definire un personaggio di un attore caratterista.
4. Uno dei Pulcinella più famosi della storia di questa maschera tradizionale napoletana.
5. Cfr. il termine introdotto da Julia Kristeva (1978, p. 121): «Ogni testo si costruisce come
mosaico di citazioni, ogni testo è assorbimento e trasformazione di un altro testo».
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L A TRADUZIONE
“ REGIONALE ”
DI PIRANDELLO : EDUARDO DE FILIPPO
Non dimentichiamo che questa è un’opera che ebbe una gestazione
alquanto difficile. Mi riferisco ai problemi a essere portata in scena che ebbe
sia la prima versione dell’opera in dialetto siciliano dal titolo ’A biritta cu ’i
ciancianeddi, scritta di getto in soli sette giorni nel 1916, come egli stesso racconta a Martoglio in una lettera del 12 febbraio 1917 (Zappulla Muscarà, 1980,
p. 83), che non trovò un interprete adeguato, almeno dal punto di vista dell’autore, sia la successiva traduzione in italiano che Pirandello ne fece. Una traduzione probabilmente dovuta a una forma di esasperazione nei confronti
del provincialismo delle compagnie di teatro siciliane, che avevano problemi
a rappresentare una commedia con una tematica così scabrosa e poco appetibile al pubblico.
Il berretto a sonagli che Eduardo traduce in napoletano (dando come
assunto che ogni traduzione è un testo a sé, autonomo, e come tale deve essere
valutato)6 rimane alquanto fedele al testo pirandelliano. Mi spiego: ovviamente
c’è una traslazione, la decontestualizzazione del testo e la ricontestualizzazione
del testo in un contesto altro, l’esempio più lampante è quello spaziale: nel
testo di Eduardo la provincia Catania diventa Caserta, il centro di Palermo
diventa Napoli. Certamente alcuni modi di dire che in italiano rimandano a
immagini note e ai loro significati metaforici sono sostituiti con delle espressioni dialettali. Ad esempio, in Pirandello la Saracena per convincere Beatrice
dice che sarebbe inutile nascondere il tradimento perché ormai è già sulla
bocca di tutti e per farlo usa l’espressione «si chiama nascondere il sole con
la rete» (Pirandello, 2005, p. 636). In Eduardo verrà sostituito con il modo di
dire comune in napoletano «annasconnere Pulcinella dint’a d’o gravunaro»7
(De Filippo, 1936b, p. 2). Il testo in dialetto accentua ed esplicita l’elemento
comico, più di quello che non faccia quello italiano, riprendendo i modi di
quella tradizione partenopea a cui accennavo. Nonostante ciò, a me è sembrato di percepire un limite nel testo eduardiano, come se Eduardo si inibisse
nell’intervenire sul testo, probabilmente per una forma di imbarazzo nei confronti del grande maestro Pirandello. Il sospetto si acuisce quando si nota che
alcune parti del testo pirandelliano vengono riportate in italiano non tradotte,
neanche in parte, e ciò avviene non per scene di minore importanza, bensì per
il famoso monologo di Ciampa del primo atto, dove cerca con una serie di
allusioni di far riflettere Beatrice sulle conseguenze del suo gesto. Probabilmente la negoziazione (Bhabha, 1994, pp. 37-8) che avviene durante il processo
6. Mi riferisco alla teoria della traduzione di Walter Benjamin, di cui cfr. nello specifico
Die Aufgabe des Übersetzers, prefazione alla traduzione di Charles Baudelaire. Tableaux parisiens (Benjamin, 1923, pp. 1-6).
7. In italiano: «si nasconde Pulcinella nella bottega del carbonaro». Il costume di Pulcinella è di colore bianco, ovviamente nella bottega del carbonaro, dove tutto è nero carbone,
Pulcinella darebbe nell’occhio.
PIRANDELLO E L A TRADIZIONE CULTURALE
traduttivo è troppo sbilanciata a favore di Pirandello. Anche perché l’anima
di attore di Eduardo è ancora predominante rispetto alla sua anima di scrittore di teatro, che si esprimerà più propriamente solo in un momento successivo; il che porta De Filippo a intervenire sul testo ben poco, rispettando in
questo modo l’autorità dell’autore Pirandello.
Ciò che ho detto fin qui dovrebbe servire a far nascere il sospetto che
per indagare i rapporti tra questi due autori, piuttosto che soffermarsi sulle
opere a cui i due lavorarono insieme o che vennero tradotte, serve forse
un’operazione diversa. Ritengo che valga la pena cercare le tracce (Derrida,
1967; Spivak, 1976, p. XVII) molto tempo dopo l’incontro con Pirandello. In
tal modo arriveremo a guardare ad alcuni giudizi critici, molto diffusi, con il
dovuto scetticismo, che consentirà di proporre una nuova via interpretativa
del rapporto tra i due autori. Ripercorriamo questo tracciato da un momento
di molto successivo all’incontro che Eduardo ebbe con Pirandello e precisamente dal 1947, quando Eduardo mette in scena Questi fantasmi.
Questi fantasmi è una delle commedie che più di altre ha interessato la
critica, sia quella che ci vede una forma esasperata di pirandellismo, sia quella
che vuole legarla alla tradizione napoletana, definendola l’opera più napoletana di Eduardo. Questa commedia è scritta al di là dello spartiacque storico
della seconda guerra mondiale, il contesto è cambiato e con esso anche la
visione del mondo degli individui, questa è una commedia che testimonia o
prefigura cambiamenti critici della società. Il fatto che la seconda guerra
mondiale abbia un significato importante nell’opera di Eduardo è chiaro, se
solo si pensa al fatto che egli stesso nel 1975 divide la raccolta delle sue opere
in Cantata dei giorni pari, contenente tutte le opere precedenti alla seconda
guerra mondiale, e in Cantata dei giorni dispari, con tutte quelle posteriori.
Negli anni che intercorrono tra l’incontro con Pirandello e la stesura di
questa commedia, Eduardo ha bilanciato di più la sua anima di attore con
quella di autore di teatro e si è emancipato dalla tradizione napoletana della
commedia leggera, pur rimanendo fedele alla matrice napoletana dell’attoreche-scrive (De Filippo, 1995, p. XIX)8. Nel 1944, infatti, si separa dal fratello
Peppino, più legato al genere leggero, per incomprensioni di tipo artistico e
personale. Nello stesso anno fonda una nuova compagnia dal nome Compagnia Umoristica Eduardo con Titina De Filippo per percorrere una strada
più autonoma, meno legata alla visione più tradizionale di Peppino, non
rinunciando per questo a un dialogo sempre aperto con il teatro classico
napoletano. La sua scrittura dei testi, nonostante dia più spazio alla tradizione del teatro “alto”, ha sempre presente l’importanza della fisicità del
corpo dell’attore, che gode di un valore aggiunto nella commedia napoletana.
8. Sulla tradizione dell’attore-autore nella tradizione del teatro italiano cfr. Barsotti (2007).
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L A TRADUZIONE
“ REGIONALE ”
DI PIRANDELLO : EDUARDO DE FILIPPO
In Questi fantasmi i riferimenti a Pirandello sono abbastanza evidenti: il
plot lo conosciamo, c’è Pasquale Lojacono, un marito tradito, più anziano di
sua moglie e povero, Alfredo, l’amante della moglie giovane e ricco, Armida,
la moglie dell’amante, che vuole mettere fine al tradimento, e un finale dove
l’omicidio di Maria, la moglie adultera, non avviene. Il riferimento al Berretto
a sonagli è palese, ma anche alle novelle Certi obblighi e La verità.
Pasquale, il protagonista, il marito tradito, va a vivere in una casa che si
dice essere infestata dai fantasmi. Nonostante si dimostri scettico rispetto a
queste storie, dopo una serie di situazioni ambigue e racconti dei vicini e del
portiere, si fa suggestionare e si convince che nella casa abitano veramente
degli spiriti. Poco dopo l’inizio della commedia Pasquale, incontrando incidentalmente Alfredo – l’amante della moglie, che si è nascosto in un armadio
in casa sua –, condizionato dai racconti che ha sentito, crede di trovarsi al
cospetto del famigerato fantasma. Alfredo continuerà a fare regali e lasciare
soldi nascosti in casa alla sua amante e Pasquale si convincerà che il fantasma
è un’anima buona che lo vuole aiutare. In questo modo Pasquale riesce ad
arredare la casa, a vivere più agiatamente e a offrire a Maria la vita da signora
che ha sempre meritato.
In un secondo momento, a mettere fine a questo idillio, arriva in scena
Armida, la moglie di Alfredo che vuole convincere Pasquale a porre fine al
tradimento uccidendo la moglie di questi, Maria. Dopo la piazzata di Armida,
Alfredo ritornerà in famiglia e con la sua uscita di scena finiranno anche i soldi.
La commedia si conclude con un ultimo incontro tra Pasquale e Alfredo in cui
il primo spiega all’altro le sue ragioni e gli confida i sui dolori e il suo grande
amore per la moglie. Alla fine del discorso Alfredo decide di regalare a Pasquale
un’ultima consistente somma di denaro e di abbandonare definitivamente la
casa, lasciandogli credere di essere stato liberato dalle pene che ancora lo
costringevano a vagare sulla terra e di poter finalmente passare oltre.
Rileggiamo alcuni passaggi in cui si esplicitano le tracce di Pirandello e
osserviamo a cosa conduce il risultato della negoziazione conflittuale tra i
testi di questi due autori. Vediamo come avviene l’entrata in scena di
Armida:
Seguita da due ragazzi, maschio e femmina, di dodici e di quattordici anni, e da due
vecchi, entra dalle scale del terrazzo una donna sui quarant’anni. Il suo passo è lento,
inesorabile, deciso. Veste un sobrio completo di colore scuro. Porta un cappellino
calzato male, appena poggiato sulla testa per via di una ferita che ha nel bel mezzo
della fronte, medicata da un quadratino di garza e una croce al collo. Il suo pallore
terreo, i suoi occhi arrossati dal sonno, il suo incedere da sonnambula formano un
insieme di tristezza rassegnata e di amor proprio offeso. Non ha perduto, pertanto,
la dignità. La ragazza veste di bianco pure le calze, pure le scarpe sono bianche. […]
È vestita come vestono i morti in Sicilia. Pallida e magra come un chiodo. Triste per