REMO CAPONI
Ordinario dell’Università di Firenze
Corti europee e giudicati nazionali ( *)
SOMMARIO: I. Introduzione. - 1.
Delimitazione dell’indagine. – 2. Dimensioni del
giudicato. – 3. Prospettiva europea. – II. Una prospettiva di lungo periodo. – 1.
Stato moderno e giustizia. – 2. Apogeo e crisi del giudicato. – III. Casistica. – 1.
Premessa. – 2. Cedu nelle fonti del diritto (cenno). – 3. Segue: accesso. – 4. Segue:
Dangeville. – 5. Segue: nell’ordinamento italiano. – 6. Corte di giustizia: Van Gend
& Loos. – 7. Segue: Costa v. ENEL. – 8. Segue: Simmenthal. – 9. Segue: rinvio
pregiudiziale. – 10. Segue: condizioni dell’incidenza su precedenti giudicati. - 11.
Segue: Köbler. – 12. Segue: Kühne & Heitz e Kempter. – 13. Segue: Lucchini. – 14.
Segue: Olimpiclub. - IV. La prospettiva dell’efficacia del giudicato civile nel tempo. –
1. Premessa. – 2. Effetti delle pronunce delle corti europee come sopravvenuti
rispetto al giudicato. – 3. Effetti delle pronunce della Cedu. – 4. Effetti delle
decisioni pregiudiziali della Corte di giustizia. – 5. Parametro giuridicocostituzionale e retroattività degli effetti. – V. Effetti accertati ed effetti
sopravvenuti. – 1. Tipologia dei rapporti. – 2. Assenza di conflitto tra effetti
accertati ed effetti sopravvenuti. – 3. Conflitto tra effetti accertati ed effetti
sopravvenuti. – 4. Situazione sostanziale ad effetti istantanei. – 5. Situazione
sostanziale ad effetti durevoli. – 6. Conflitto tra l’effetto accertato ed effetto
sopravvenuto come antinomia. – 7. Resistenza dei rapporti esauriti nei confronti
dello ius superveniens retroattivo. – 8. Transazione e figure affini come fonti di
esaurimento del rapporto. – 9. Intangibilità del giudicato da parte dello ius
superveniens retroattivo. - VI. Giudicato e costituzione. – 1. Premessa. – 2.
Incontro col diritto costituzionale. – 3. Scontro col diritto costituzionale. - 4.
Verfassungsbeschwerde. – 5. Il fondamento costituzionale del giudicato
nell’ordinamento italiano. – 6. Giurisprudenza della Corte costituzionale italiana. –
7. Il potere del giudice di dire l’ultima parola. – 8. Protezione del giudicato
nell’interesse della parte vittoriosa. – 9. Salvezza del giudicato civile dinanzi alla
dichiarazione di incostituzionalità – 10. Segue: eccezioni. – 11. Giudicato e altri
valori costituzionali: bilanciamento. – 12. La mancanza del ricorso diretto di
costituzionalità nell’ordinamento italiano. - VII. Ricostruzione. – 1. Premessa. – 2.
Nozione di «incidenza» degli effetti giuridici di una successiva pronuncia di una
delle due corti europee sull’anteriore giudicato civile. – 3. Salvezza del giudicato
civile dinanzi alla dichiarazione di incostituzionalità. – 4. Rapporto tra diritto
sostanziale e processo – 5. Nel sistema Cedu. – 6. Nel sistema eurounitario. – 7.
Effet utile. – 8. Strumentalità del processo. – 9. Separazione del diritto processuale
dal diritto sostanziale. – 10. Teoria processuale del giudicato. – 11. Diritto
processuale e ius publicum. – 12. Recupero di una correlazione di valutazioni tra
diritto privato e diritto processuale civile. – 13. Segue: impatto. – 14. Giudicato
come istituto sociale, prima che statale. - 15. Poli costitutivi della nozione di Stato
di diritto. – 16. Pensare senza precedenti? – 17. Resistenza del giudicato civile
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nazionale dinanzi alla pronuncia della Corte di giustizia. – 18. Eccezioni. – 19.
Giudicato e altri valori costituzionali: bilanciamento. – 20. L’accertamento della
violazione ad opera della Cedu. – 21. Cedimenti del giudicato dinanzi alla Corte di
giustizia. – 22. Conflitto di attribuzioni. – 23. Sopravvenienza di effetti più
favorevoli al soggetto privato. – 24. Giudicato formatosi secondo modalità
incostituzionali. – 25. Olimpiclub. – 26. Asturcom. - VIII. Triangolo
giurisprudenziale europeo. – 1. Premessa. – 2. Controlimiti. – 3. Svolgimenti
dinanzi alla Corte costituzionale e alla Corte di giustizia - 4. Nonché dinanzi alla
Cedu. – 5. Prognosi. - IX. Conclusioni.
(*) Relazione al XXVII Congresso nazionale dell’Associazione italiana fra gli studiosi del
processo civile, «Corti europee e giudici nazionali», Verona, 25-26 Settembre 2009.
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I. Introduzione
1. – Il tema dei rapporti tra pronunce delle corti europee e giudicati
nazionali può essere affrontato da diverse prospettive ed articolarsi in una
pluralità di aspetti.
È opportuno pertanto delimitare immediatamente il punto di vista prescelto
e il profilo collocato al centro dell’attenzione.
Ho intenzione di esaminare la possibile incidenza degli effetti di una
pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo e, con analisi distinta, ma
parallela, della Corte di giustizia dell’Unione europea resa su rinvio pregiudiziale
ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea - TFUE
(ex art. 234 del Trattato CE) ( 1), sulla incontestabilità dell’accertamento contenuto
nella sentenza passata in giudicato, emanata anteriormente dal giudice civile
italiano.
Nella parte ricognitiva dell’indagine prendo in considerazione anche casi
tratti dal settore della giustizia amministrativa. Spero quindi che la mia
riflessione possa essere utile anche per gli studiosi del processo amministrativo.
Escludo dal campo di indagine il giudicato penale, poiché la normale
diversità dei valori in gioco (la libertà personale) influenza tutta la problematica e
ne condiziona notevolmente il profilo ricostruttivo.
Sebbene il concetto di giudicato sia correttamente riferito anche alle
decisioni della Corte costituzionale ( 2), non esamino il problema della incidenza
degli effetti di una successiva pronuncia di una delle due corti europee su tali
decisioni. Questo problema è un aspetto del quadro più ampio dei rapporti tra
corti europee e corti costituzionali e merita pertanto di essere affrontato in quella
diversa cornice ( 3).
La trattazione del tema è preceduta da alcune premesse generali, che
servono soprattutto come tappa di avvicinamento e di ambientazione
dell’indagine.
Chi non è interessato ad esse, può passare a leggere direttamente la
seconda sezione, senza pregiudizio per la comprensione degli aspetti fondamentali
del mio discorso.
(1) Entrato in vigore il 1° dicembre 2009, con il Trattato di Lisbona.
(2) Nella letteratura italiana, v. da ultimo F. DAL CANTO, Il giudicato costituzionale nel
giudizio sulle leggi, Torino, 2002, ove a p. 102 ss. lo studio della ipotesi di conflitto tra le pronunce
della Corte costituzionale e quelle della Corte europea dei diritti dell’uomo.
(3) Sul punto rinvio a R. MASTROIANNI, Corti europee e corti costituzionali, in questi Atti.
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2. - Un solo aspetto è oggetto d’indagine: quello della intangibilità o meno
dell’accertamento del diritto, fatto valere in un giudizio civile nazionale, da parte
di una sentenza dell’una o dell’altra delle due corti europee.
Questa prima delimitazione ha bisogno di poche parole per essere
giustificata. La resistenza o meno del giudicato nazionale (non solo civile, bensì –
in precedenza sul piano dell’evoluzione giurisprudenziale – di quello penale ed
amministrativo) agli effetti di successive pronunce delle corti europee è infatti al
giorno d’oggi uno dei profili di maggiore interesse nel più ampio contesto dei
rapporti tra giurisdizioni internazionali e sovranazionali e ordinamenti nazionali
( 4).
La seconda delimitazione dell’indagine, quella relativa all’ordinamento
italiano, necessita invece di un discorso un poco più sfaccettato.
Si può obiettare infatti che la restrizione dell’angolo visuale ad un
particolare ordinamento nazionale, sebbene esso sia quello proprio dei destinatari
principali della riflessione (gli studiosi del processo civile italiano), urti con la
dimensione del problema oggetto dell’indagine, poiché esso si dovrebbe
presentare in modo identico, rispettivamente, nei diversi paesi membri
dell’Unione europea e nei diversi paesi contraenti la convenzione europea dei
diritti dell’uomo.
A sostegno di questa obiezione, si possono formulare due osservazioni
congiunte.
In primo luogo, in ciascuno di questi ordinamenti, nel settore della giustizia
civile, si ritrova almeno un processo «ordinario», con le seguenti caratteristiche: a)
esso è atipico quanto a controversie che ne possono costituire l’oggetto; b) esso
consente che il contraddittorio si esplichi in modo pieno; c) esso serve alla giusta
composizione della controversia ad opera di un giudice.
In considerazione di queste caratteristiche, il provvedimento finale che
definisce la controversia è dotato di un forte grado di stabilità, e di conseguenza il
(4) Si riceve nel testo la definizione dell’ordinamento comunitario come «sovranazionale».
Rispetto a «internazionale», tale qualificazione si distingue per indicare che le norme comunitarie
esplicano efficacia diretta e prevalente sulle norme interne di qualunque grado. La distinzione è
una variabile che dipende dalla nozione dei rapporti tra diritto internazionale e diritto nazionale.
Essa sfuma se si accoglie una nozione monistica moderata, che concepisce diritto internazionale e
diritto nazionale come componenti di un unico ordinamento e garantisce la prevalenza delle
norme internazionali attraverso la disapplicazione degli atti nazionali contrastanti. Per un
tentativo di ridurre la specificità dell’ordinamento comunitario rispetto all’ordinamento
internazionale, v. B. DE WITTE, Retour à «Costa». La primauté du droit communautaire à la lumière
du droit international, in Rev. trim. dr. eur., 1984, p. 425 ss.; sulla distinzione tra monismo e
dualismo nel diritto internazionale ho impiegato T. STEIN, C. VON BUTTLAR, Völkerrecht, 12a ed.,
Köln, 2009, p. 55 s.
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suo contenuto è fornito di una notevole misura di incontestabilità (5): il maggiore
grado di stabilità e di incontestabilità nell’ordinamento cui ci si riferisce.
In secondo luogo, le pronunce delle due corti europee proiettano la loro
efficacia con contenuto rispettivamente uniforme nei diversi ordinamenti giuridici
degli Stati membri dell’Unione europea o degli Stati contraenti la convenzione
europea dei diritti dell’uomo.
Ciò si percepisce immediatamente per la pronuncia interpretativa della
Corte di giustizia, che - sebbene sia resa su un rinvio pregiudiziale compiuto nel
corso di un processo dinanzi ad un determinato giudice nazionale - risolve il
dubbio interpretativo relativo al diritto eurounitario con efficacia per tutti gli
ordinamenti degli Stati membri, anche per quelli che non hanno riconosciuto alla
Corte del Lussemburgo la competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale ( 6).
Ma ciò non è meno vero per la pronuncia della Corte europea dei diritti
dell’uomo, che - sebbene accerti una determinata violazione commessa da uno
Stato contraente e vincoli immediatamente solo quest’ultimo, esplica un’efficacia
persuasiva nei confronti degli organi (specialmente giurisdizionali) degli altri Stati
contraenti.
In definitiva: il problema si presenterebbe nelle medesime condizioni nei
diversi ordinamenti nazionali e pertanto dovrebbe essere affrontato fin dall’inizio e
risolto alla fine in modo unitario.
L’obiezione si espone tuttavia alla seguente replica: questa impostazione
non può essere data per scontata e non può essere quindi chiamata ad ispirare,
come un postulato, l’intero corso della ricerca. Essa potrà costituire
eventualmente una delle possibili conclusioni della indagine, o meglio di una
serie di indagini di volta in volta focalizzate su un singolo ordinamento nazionale.
Nell’esaminare il tema dell’intangibilità del giudicato civile da parte di una
successiva pronuncia della Corte di giustizia o della Corte europea dei diritti
dell’uomo non si può prescindere dalla particolare dimensione che il giudicato
riceve dall’ordinamento nazionale in cui esso si inserisce. Altrimenti si corre il
rischio di imprimere all’indagine un’astrazione che è foriera di indebite
generalizzazioni e pregiudica la corretta messa a fuoco dei fenomeni studiati.
Infatti le caratteristiche del processo civile «ordinario» che si sono elencate
indietro sono pressoché le uniche ad essere comuni nei diversi ordinamenti
nazionali dei paesi europei. Poi cominciano le differenze, che sono
(5) Sulla distinzione tra la stabilità del provvedimento giurisdizionale, espressa dalla cosa
giudicata formale, e l’incontestabilità del suo contenuto, espressa dalla cosa giudicata sostanziale,
v. nella letteratura italiana, S. MENCHINI, Regiudicata civile, voce del Digesto civile, Torino, 1997,
XVI, p. 404 ss., spec. p. 412.
(6) Cfr. la dichiarazione prevista dall‘art. 35, comma 2° Trattato Ue. Così, R. BIEBER, A.
EPINEY, M. HAAG, Die Europäische Union. Europarecht und Politik, 7a ed, Baden-Baden, 2006, p.
265.
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particolarmente sensibili proprio con riferimento al giudicato ( 7), nonostante la
comune base costituita dalla recezione del diritto romano (8).
Si pensi alle diversità già in ordine alla formazione del giudicato. Essa può
essere ancorata alla semplice emanazione di un provvedimento di carattere
decisorio, conclusivo del procedimento: così è per la chose jugée nell’ordinamento
francese e per la res judicata nell’ordinamento inglese. Ovvero può essere riferita
al fatto ulteriore che la sentenza non sia più soggetta a determinati mezzi di
impugnazione: così è per l’ordinamento italiano e per la maggior parte degli
ordinamenti dell’Europa continentale ( 9).
Si pensi poi alle profonde divergenze relative alla determinazione della
natura del giudicato, ovvero alla spiegazione del modo di essere e di operare del
vincolo promanante da esso. Si consideri per esempio la soluzione accolta
nell’ordinamento francese, che ricostruisce la natura del giudicato in termini
sostanziali, di presunzione iuris et de iure (art. 1351 c.c.). Si veda inoltre la
concezione propria dall’ordinamento inglese, di carattere parimenti sostanziale,
che attribuisce alla sentenza di merito l’effetto di estinguere la cause of action,
nonché l’effetto di sostituire ad essa i diritti (eventualmente) creati dalla sentenza.
Si tenga presente infine la tradizionale disputa, che si svolge principalmente nella
cultura processuale tedesca e italiana, ma anche in quella spagnola ( 10), tesa ad
indagare «se destinatari dell’autorità di cosa giudicata siano i giudici, avanti ai
quali la domanda sarà per avventura riproposta (teoria processuale della cosa
giudicata), ovvero le parti, tra le quali si era svolto il processo (teoria sostanziale,
o materiale della cosa giudicata)» (11).
Si pensi infine ai limiti oggettivi del giudicato: si passa dalla ristretta
soluzione tedesca, in cui l’oggetto del processo e del giudicato è delimitato dalla
pretesa processuale fatta valere della parte, individuata attraverso i fatti allegati,
alla intermedia soluzione italiana, in cui la legge e non solo la volontà delle parti
può contribuire alla delimitazione oggettiva del giudicato (art. 34 c.p.c.), per
arrivare all’ampia soluzione anglosassone, che può precludere ogni nuova
considerazione dei fatti oggetto della decisione giudiziale.
(7) Per un panorama, cfr. R. STÜRNER, Rechtskraft in Europa, in Festschrift für R. Schütze,
München, 1999, p. 913 ss.; N. TROCKER, voce Giudicato (diritto comparato e straniero), in Enc. Giur.
Treccani, vol. XV, Roma, 1989; A. ZEUNER, Rechtsvergleichende Bemerkungen zur objektiven
Begrenzung der Rechtskraft im Zivilprozeβ, in Festschrift für K. Zweigert, Tübingen, 1981, p. 603
ss.; G. PUGLIESE, voce Giudicato civile (dir. vig.), in Enc. del dir., vol. XVIII, Milano, 1969, p. 785 ss.;
A. MENDELSSOHN BARTHOLDY, Grenzen der Rechtskraft, Leipzig, 1900.
(8) Cfr. M. KASER, K. HACKL, Das römische Zivilprozessrecht, 2a ed., München, 1996, §§ 42
III, 43, 55 II, III; G. PUGLIESE, voce Giudicato civile (storia), in Enc. del dir., vol. XVIII, Milano, 1969,
p. 727 ss.
(9) Cfr. N. TROCKER, voce Giudicato (diritto comparato e straniero), cit., p. 1.
(10) Cfr. A. DE LA OLIVA SANTOS, Oggetto del processo civile e cosa giudicata, trad. it. e saggio
introduttivo di D. Volpino, presentazione di M. Taruffo, Milano, 2009, p. 124 ss.
(11) Così, V. ANDRIOLI, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, p. 995.
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Meno distanti sono le posizioni sui limiti soggettivi del giudicato. In tutti gli
ordinamenti si riscontra la regola fondamentale – di matrice legislativa o
giurisprudenziale – secondo la quale l’efficacia del giudicato si produce solo nei
confronti delle parti, degli eredi e dei successori post rem iudicatam. La regola è in
diversa misura temperata, oltre che in ipotesi eccezionali di efficacia erga omnes o
nei confronti di una collettività determinata, laddove entri in gioco la posizione di
terzi titolari di una situazione giuridica dipendente da quella accertata ( 12).
Meno distanti sono infine le posizioni sui limiti temporali del giudicato. In
tutti gli ordinamenti si riscontra la regola fondamentale secondo la quale
l’efficacia del giudicato è riferita all’ultimo momento in cui possono essere allegati
fatti sopravvenuti o applicate nuove norme giuridiche sopravvenute nel corso del
processo e non preclude la rilevanza di nuovi fatti (13). Significative divergenze si
possono constatare però anche in questo settore, specialmente con riferimento
alla proiezione temporale del giudicato sulle situazioni soggettive ad effetti
durevoli accertate in giudizio.
3. – In conclusione, il tema deve essere svolto, in primo luogo ed almeno in
un primo tempo, quello in cui la presente indagine è chiamata a compiersi, entro
la dimensione normativa che il giudicato riceve dall’ordinamento nazionale di
provenienza.
Mi varrò certamente dell’apporto della comparazione giuridica, come di uno
degli approcci che dovrebbero essere sempre seguiti per la migliore conoscenza
del proprio ordinamento nazionale ( 14).
Ho intenzione inoltre di tracciare un profilo del problema come esso si
presenta nell’ordinamento italiano, colto però da una prospettiva europea. Ciò mi
suggerisce di adottare una terminologia e definizioni concettuali che rendano
meno difficile il confronto tra diversi sistemi e il colloquio tra giuristi di diverse
culture ( 15).
Cerco di venire incontro anche al giurista straniero che, muovendo a sua
volta dalla propria cultura, tenti di comprendere come si atteggia nei suoi
lineamenti essenziali, più che nelle sue infinite questioni di dettaglio, il problema
della incidenza degli effetti di una successiva pronuncia dell’una o dell’altra delle
due corti europee sul giudicato civile italiano. Non mi indirizzo ad un giurista
(12) Cfr. R. STÜRNER, Rechtskraft in Europa, in Festschrift für R. Schütze, cit., p. 933 ss.; N.
TROCKER, voce Giudicato (diritto comparato e straniero), cit., p. 3.
(13) Cfr. R. CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991.
(14) Cfr. M. TARUFFO, Il processo civile di civil law e di common law: aspetti fondamentali, in
Foro it. 2001, V, c. 345 ss.
(15) Cfr. M. TARUFFO, Dimensioni transculturali della giustizia civile, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 2000, p. 1047 ss., ora in Sui confini. Scritti sulla giustizia civile, Bologna, 2002, p. 11 ss., p.
39 ss.
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straniero proveniente da un determinato ordinamento nazionale. Assumo di
rivolgermi invece ad un giurista proveniente da uno qualsiasi dei paesi appartenenti all’Unione europea.
Il discorso ha per oggetto un ordinamento processuale di civil law, ma forse
potrà essere chiaro, oggi più di ieri, anche per il giurista proveniente
dall’ordinamento inglese, dopo l’adozione in Inghilterra delle Civil Procedure Rules
alla fine del secolo XX e dopo l’intensificarsi della circolazione di idee e di modelli
tra ordinamenti che pur vantano tradizioni storiche diverse tra di loro o che
appartengono a diverse famiglie giuridiche ( 16).
L’esigenza di adottare definizioni concettuali che agevolino il colloquio tra
giuristi europei mi suggerisce di continuare a fare come ho tacitamente fatto fin
dall’inizio, cioè di prendere alla lettera l’art. 2909 c.c., che riferisce il giudicato,
l’autorità di cosa giudicata sostanziale, solo all’accertamento (del diritto dedotto
in giudizio) come elemento basilare comune ai diversi contenuti delle sentenze
definitive di merito (mero accertamento, condanna, tutela costitutiva). Prendere
alla lettera l’art. 2909 c.c., esattamente come farebbe ad esempio uno studioso di
cultura processuale tedesca, perché da sempre abituato ad identificare la
Rechtskraft con la Feststellungswirkung, cioè il giudicato con l’efficacia di
accertamento della sentenza.
Ciò mi impone di prescindere, oltre che dalla identificazione della cosa
giudicata con il comando che il giudice rivolge alle parti ( 17), dalla distinzione di
Enrico Tullio Liebman, tra «l’efficacia della sentenza, che è l’attitudine ad imporre
i suoi effetti in modo analogo ad ogni altro atto dello Stato; e l’immutabilità di
questi effetti, che sopravviene quando la sentenza passa in giudicato» (18). Ciò mi
impone di prescindere, quindi, dall’idea di riferire il giudicato non solo all’efficacia
di accertamento, ma anche all’efficacia esecutiva, nonché all’efficacia costitutiva
della sentenza. Non posso dire infatti che la dottrina di Liebman, pur avendo
ricevuto adesioni in Italia (19) ed attenzione all’estero (20) si sia imposta come uno
degli elementi fondanti del patrimonio comune europeo in tema di giudicato.
Si tratta peraltro di una rinuncia più terminologica (in termini prosaici: per
farsi capire meglio al di là dei confini nazionali), che concettuale. Non si può
(16) Così M. TARUFFO, Il processo civile di civil law e di common law: aspetti fondamentali, cit.
(17) Secondo la teoria di E. FAZZALARI, Cosa giudicata e convalida di sfratto, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 1956, p. 1304 ss.
(18) Così, E. T. LIEBMAN, Efficacia ed autorità della sentenza (1935), rist., Milano, 1983, p.
VII.
(19) Per un elenco delle prese di posizione sulla teoria di Liebman, v. E. T. LIEBMAN, Efficacia
ed autorità della sentenza, cit., p. X; si è aderito alla dottrina di Liebman, in R. CAPONI, L’efficacia
del giudicato civile nel tempo, cit., p. XV.
(20) Cfr., in senso critico, S. KOUSSOULIS, Beiträge zur modernen Rechtskraftlehre, Köln,
1986, p. 17 ss. Lo stesso Liebman ha avuto occasione di esporre le sue idee in lingua tedesca, cfr.
E. T. LIEBMAN, Urteilswirkungen und Rechtskraft, in ZZP 91 (1978), p. 449 ss.
-8-
nascondere infatti che la teoria di Liebman ha colto con decenni di anticipo uno
dei segni della crisi attuale del giudicato civile ( 21).
II. Una prospettiva di lungo periodo
1. – Il punto attuale dei rapporti tra pronunce delle corti europee e giudicati
nazionali richiede di essere inquadrato in una prospettiva storica di lungo periodo
( 22).
La risalente vicenda storica che, nell’Europa continentale, proietta ancora
oggi pesantemente i propri riflessi sul nostro tema e sul modo in cui si è scelto di
affrontarlo è che lo Stato moderno ha assunto su di sé il compito di amministrare
la giustizia.
Il legame tra Stato moderno e funzione di rendere giustizia è il frutto di un
preciso disegno, maturato in quel profondo mutamento della temperie culturale e
politica che, fra il secolo XVII e il secolo XVIII, segna il progressivo affermarsi
nell’Europa continentale dei moderni ordinamenti processuali. Quel momento di
svolta relega definitivamente al margine una dimensione di giustizia astatuale,
resa in un processo - l’ordo iudiciarius medievale – i cui principi provengono dalle
regole della retorica e dell’etica, regole elaborate quindi dalla stessa comunità cui
appartengono i protagonisti della vicenda processuale ( 23).
Il disegno politico dello Stato moderno è animato dalla tensione a rimediare
alla degenerazione del processo romano-canonico e ad apprestare certezza alla
disciplina del processo, affidandola ad un’autorità superiore ed esterna rispetto ai
soggetti della vicenda processuale. Esprimendoci con le parole di Nicola Picardi:
«fino all’età moderna la procedura era considerata manifestazione di una ragione
pratica e sociale, che si era realizzata nel tempo attraverso la collaborazione della
prassi dei tribunali e della dottrina [..]. Con la formazione degli Stati moderni, pur
fra notevoli resistenze, si andò invece affermando l’opposto principio della
statualità del processo: il sovrano rivendicò il monopolio della legislazione in
materia processuale» ( 24).
Questi sviluppi si inseriscono successivamente in una svolta di portata
ancora più vasta, quella conosciuta dalla storia giuridica dell’Europa continentale
(21) Su questo punto, rinvio avanti.
(22) Prospettiva storica delineata nella cultura italiana in particolare dalle indagini di
Alessandro Giuliani e di Nicola Picardi. Di quest’ultimo A., v. La giurisdizione all'alba del terzo
millennio, Milano, 2007.
(23) Cfr. A. GIULIANI, Ordine isonomico ed ordine asimmetrico: «nuova retorica» e teoria del
processo, in Sociologia del diritto, 1986, p. 81 ss.; sulle ricerche di Giuliani e di Picardi, v. le
osservazioni di K. W. NÖRR, Alcuni momenti della storiografia del diritto processuale, in Riv. dir.
proc., 2004, p. 1 ss.
(24) Così, N. PICARDI, voce Processo (dir. moderno), in Enc. del Dir., XXXVI, Milano, 1987, p.
101 ss., specie p. 114 ss., con ampia indicazione delle fonti.
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alla fine del secolo XVIII con la trasformazione della dimensione giuridica, cioè la
puntigliosa realizzazione di un monopolio del diritto da parte dello Stato (25).
Due i risultati salienti di questa evoluzione: la disciplina del processo viene
statalizzata; l’esercizio della giurisdizione si profila così come una delle
manifestazioni salienti della sovranità degli Stati nazionali.
In questo panorama, lo scopo del processo civile si delinea come attuazione
della legge statale in caso di controversia tra soggetti privati.
Lo scopo del processo penale si accredita come attuazione della pretesa
punitiva dello Stato in relazione alla commissione di fatti che integrano le
fattispecie legali di reato.
Lo scopo del processo amministrativo segue una traiettoria che muove
dall’idea del controllo di legalità dell’attività della amministrazione statale e si
avvicina progressivamente, con differenti velocità nelle diverse nazioni, verso lo
scopo del processo civile (nel senso dell’attuazione della legge al rapporto dedotto
in giudizio).
In sintesi, gli scopi ascritti rispettivamente al processo civile, al processo
penale e al processo amministrativo rinvengono una cornice comune
nell’applicazione di norme giuridiche statuali (eccezionalmente di un canone
equitativo, nel processo civile) a fattispecie concrete, nel rispetto di
predeterminate regole procedurali.
Il primo tratto peculiare dei processi giurisdizionali statali, rispetto ad altri
procedimenti di applicazione del diritto, è che l’applicazione del diritto da parte
del giudice è destinata a sostituirsi autoritativamente all’applicazione compiuta
da parte di altri soggetti (privati, pubblica amministrazione) oppure riguarda
norme la cui applicazione è riservata al giudice statale (norme penali) ( 26).
È questa sostituzione autoritativa dell’applicazione del diritto da parte del
giudice statale che costituisce la prima e fondamentale contropartita
dell’imposizione del divieto di autotutela.
Nelle parche considerazioni che gli inizi del pensiero giusnaturalista nel
secolo XVII riservano al processo civile, esso viene colto, nella prospettiva del
superamento dello status naturalis nello status civilis, come lo strumento che
prende il posto dell’autotutela (27). Nello stato di natura non esistono giudici
dotati di potere coercitivo al fine di comporre le controversie: iudex non datur, qui
lites exortas pro imperio definiat et componat ( 28). In tale stato si deve far ricorso
(25) Cfr. P. GROSSI, Scienza giuridica e legislazione nella esperienza attuale del diritto, in
Rivista di diritto civile, 1997, p. 175 ss.
(26) Cfr. A. PIZZORUSSO, L’organizzazione della giustizia in Italia, Torino, 1990, p. 3 ss.
(27) Cfr. K. W. NÖRR, Naturrecht und Zivilprozess, Tübingen, 1976, p. 3 ss., p. 48.
(28) Così, PUFENDORF, De Jure Naturae Et Gentium, ed. G. Mascovius, Frankfurt e Leipizig,
1759 (rist. 1967, tomo I), libro V, cap. XIII, De modo litigandi in libertate naturali, § II, p. 843 s.
- 10 -
all’autotutela, cosicché la controversia può sfociare nel bellum privatum ( 29). Dopo
la stipula del contratto sociale e l’istituzione dello Stato, l’esercizio della
giurisdizione viene assegnato da Hobbes al summum imperium ( 30) e collocato da
Pufendorf accanto al potere legislativo, nonché alla potestà punitiva (31).
Nonostante le sfumature di diversità dei percorsi argomentativi seguiti dai
pensatori giusnaturalisti, il punto d’arrivo è, su questo punto, comune: la
giurisdizione nelle controversie civili è affidata alla potestà dello Stato; essa
sostituisce in via di principio l’autotutela; il giudice prende il posto della parte che
si fa giustizia da sé; la disciplina del processo civile viene essenzialmente e
fondamentalmente ancorata all’interno dello ius publicum ( 32).
2. - In questo quadro, l’incontestabilità del contenuto dell’atto che decide la
controversia - peraltro temperata dalla previsione legislativa di casi tassativi ed
eccezionali di mezzi di impugnazione del giudicato - costituisce il coronamento e il
perfezionamento della operazione di sostituzione autoritativa dell’applicazione del
diritto compiuta dal giudice all’applicazione del diritto compiuta delle parti in
controversia.
Il giudicato si concepisce come l’espressione di una specie di ragion di Stato
e si mette in ombra che esso costituisce un tratto ereditato dalle esperienze
giuridiche precedenti e connaturato alla funzione pratica e sociale dell’atto di
composizione della lite.
Il tratto della incontestabilità caratterizza anche l’atto conclusivo dei
processi privati diretti alla risoluzione delle controversie, che continuano a vivere
nell’epoca moderna sul fondamento dell’autonomia privata, sebbene l’idea del
monopolio statuale della giurisdizione generi difficoltà a raccordare l’arbitrato con
la giurisdizione statuale.
Il giudicato si è correlato quindi solo ad un certo punto della sua storia con
le funzioni dello Stato moderno che hanno espresso storicamente la sua
sovranità. La correlazione è frutto di una contingenza storica (33). Essa si è
(29) Così, GROZIO, De jure belli ac pacis, Lugduni Batavorum, 1939, libro I, cap. III, p. 89 s.,
sulla distinzione tra bellum publicum e bellum privatum. Seguito successivamente su questo punto
da Pufendorf, egli indica tre modi per evitare questo esito: il colloquio, il ricorso consensuale ad
un arbitro, la sorte (GROZIO, op. cit., libro II, cap. XXIII, p. 569 ss.).
(30) Cfr. HOBBES, De cive, ed. H. Warrender, Oxford, 1983, cap. 6, § 8.
(31) Cfr. PUFENDORF, De Jure Naturae Et Gentium, cit., tomo II, libro 7, cap. 4, § 4.
(32) Queste proposizioni si ritrovano espressione nell’opera di BOEHMER, Introductio in ius
publicum universale, ex genuinis iuris naturae principiis deductum et in usum iuris publici
particularis quarum cunque rerum publicarum adornatum, Halae Magdeburgicae, 1710, p. 499 ss.
Il brano è riportato da K. W. NÖRR, Naturrecht und Zivilprozess, cit., p. 54 ss.
(33) Vale in fondo per il giudicato ciò che N. PICARDI, La giurisdizione all'alba del terzo
millennio, cit., p. 183 ss., argomenta per la giurisdizione: «in questo contesto, non possiamo non
acquisire consapevolezza della storicità e relatività dell’idea stessa di giurisdizione quale
proiezione della sovranità statuale».
- 11 -
protratta per molto tempo e proietta ancora oggi i propri riflessi su talune
concezioni relative alla natura e al modo di operare del giudicato (come la teoria
processuale della cosa giudicata).
Nella cultura giuridica dell’Europa continentale, all’interno della teoria degli
atti dello Stato, il giudicato raggiunge il proprio apogeo a Vienna nella seconda
decade del secolo XX. Esso si rinviene all’interno di quelle linee di pensiero che
tentano di elaborare una teoria unitaria degli atti giurisdizionali e amministrativi
( 34), ovvero imboccano la strada di una giurisdizionalizzazione dell’atto
amministrativo ( 35).
Al momento della costruzione teorica dell’atto amministrativo, queste
correnti di pensiero sono affascinate in particolare dalla regola della conversione
dei motivi di nullità in motivi di impugnazione della sentenza, che produce
un’assimilazione del regime delle nullità processuali alla Anfechtbarkeit
(annullabilità) e assicura la stabilità degli effetti della sentenza, mettendola al
riparo dai riflessi delle invalidità del procedimento. In questo frangente storico si
consuma un fallimento teorico gravido di conseguenze pratiche ( 36). Il fallimento
della ambiziosa teoria di Bernatzik e Merkl, che tentano di attribuire la qualità
della Rechtskraft, del giudicato, agli atti amministrativi, marca la differenza tra
sentenza e atto amministrativo.
Tale diversità si può cogliere nel differente loro modo di operare nei
confronti della legge. Il giudice applica la legge, come applica la legge anche la
pubblica amministrazione. Però solo il giudice ha il potere di imporre «l’ultima
parola» ( 37) dichiarativa del diritto oggettivo nel caso concreto.
L’ultima parola del giudice diventa tendenzialmente immutabile con il
giudicato. Ciò impedisce che si possa qualificare la sentenza come ingiusta, cioè
come non conforme all’ordinamento in cui essa si inserisce.
Vi è la previsione di mezzi straordinari di impugnazione del giudicato, che
riguardano, a seconda degli ordinamenti, ipotesi di gravi errori o difetti
nell’accertamento dei fatti, di dolo o collusione delle parti o del giudice, di gravi
violazione delle norme processuali.
I mezzi straordinari di impugnazione non toccano pertanto l’operazione di
interpretazione e di applicazione del canone decisorio in sé e per sé considerata.
(34) Cfr. W. JELLINEK, Der fehlerhafte Staatsakt und seine Wirkungen, Tübingen, 1908.
(35) Cfr. E. BERNATZIK, Rechtsprechung und materielle Rechtskraft, Wien, 1886; A. MERKL,
Die Lehre von der Rechtskraft: entwickelt aus dem Rechtsbegriff, Leipzig, 1923. Su queste linee di
pensiero, v. M.S. GIANNINI, Atto amministrativo, in Enc. del Dir., IV, Milano, 1959, p. 157 ss., p.
160.
(36) Fino alla attuale esperienza italiana, in relazione al problema della «pregiudiziale»
amministrativa.
(37) Cfr. W. LEISNER, Das letzte Wort: der Richter späte Gewalt, Berlin, 2003; G. SCARSELLI,
La tutela dei diritti dinanzi alle autorità garanti, Milano, 2000.
- 12 -
La sentenza definitiva di merito è l’unico mezzo per l’accertamento della
situazione sostanziale dedotta in giudizio: l’eventuale divergenza tra la situazione
sostanziale esistente in precedenza e quella accertata dalla sentenza passata in
giudicato è un fenomeno privo di rilevanza giuridica. L’ingiustizia della sentenza
assume rilievo nella pendenza dei mezzi di impugnazione, che sono appunto gli
strumenti posti a disposizione dell’ordinamento per rimuovere tale ingiustizia, ma
perde tale rilievo una volta che la sentenza sia passata in giudicato.
Viceversa l’atto amministrativo non ha il potere di imporre una tale ultima
parola. Esso può essere ulteriormente qualificato dalle norme giuridiche come
fattispecie che può produrre un danno ingiusto, con passaggio dalle regole di
validità alle regole di responsabilità. Si può pertanto predicare l’illegittimità
dell’atto amministrativo pur inoppugnabile, che può essere fonte di un danno
ingiusto risarcibile ( 38).
Il fallimento della teoria che tenta di attribuire la qualità della Rechtskraft
agli atti amministrativi marca la differenza tra sentenza e atto amministrativo, ma
rappresenta indubbiamente l’apogeo della teoria del giudicato e della sua
magnetica forza di attrazione presso altri settori del diritto pubblico.
Come spesso accade, l’avvio della crisi segue subito dopo l’apogeo. La teoria
del giudicato non si sottrae a questa massima di esperienza.
Spostiamoci nella Milano dell’inizio degli anni trenta, dove Enrico Tullio
Liebman comincia a svolgere le sue riflessioni sul giudicato, che trovano sbocco
nella predetta monografia del 1935 ( 39). Il suo punto di partenza è identico a
quello degli studiosi austriaci: una riflessione comparata sull’efficacia e l’autorità
degli atti dei pubblici poteri. Il movimento è però opposto: Liebman lavora sul
versante processuale e chiede aiuto alla teoria dell’atto amministrativo. A lui
interessa demolire l’idea che il giudicato sia un effetto della sentenza, o meglio
l’idea che esso sia l’effetto culminante della sentenza. Al pari dell’atto
amministrativo – scrive Liebman - la sentenza giudiziale, in quanto atto di
pubblici poteri, possiede una efficacia «naturale» di tipo imperativo, ricollegata al
suo venire in essere giuridico, al momento della sua pubblicazione. L’autorità di
cosa giudicata non aggiunge nulla a questi effetti dal punto di vista del
contenuto, aggiunge solo la qualità della (tendenziale) immutabilità.
La teoria di Liebman coglie così in anticipo di qualche decennio i segni della
crisi del giudicato civile. La tutela giurisdizionale dei diritti si realizza oggi
innanzitutto attraverso l’efficacia imperativa del provvedimento giurisdizionale e
non sfocia necessariamente nel giudicato.
(38) Cfr. infatti, da ultimo, A. ROMANO TASSONE, Sui fondamenti della c.d. «pregiudiziale
amministrativa», in www.giustamm.it
(39) E. T. LIEBMAN, Efficacia e autorità della sentenza, cit.
- 13 -
Il giudice conserva sì il potere di dire l’«ultima parola», ma può trattarsi di
una parola provvisoria, non definitiva, esposta ad essere modificata o revocata da
una sua successiva ( 40).
A partire dalla seconda metà del secolo XX, entrambi i tratti salienti della
evoluzione in cui si colloca, sul piano della storia del pensiero processuale,
l’apogeo e l’avvio della crisi del giudicato civile (cioè ripetiamo: la statalizzazione
della disciplina del processo e la concezione della giurisdizione come una funzione
dello Stato moderno diretta all’attuazione della volontà della legge statale nel caso
concreto) sono rimessi in discussione.
Innanzitutto, dopo la fine della seconda guerra mondiale, nell’Europa
continentale, determinate garanzie attinenti alla funzione giurisdizionale ed al
processo cominciano ad essere avvertite come diritti fondamentali ed inviolabili
dell’uomo e vengono inserite nelle nuove costituzioni democratiche (e
successivamente nelle carte internazionali dei diritti dell’uomo). Grazie
all’introduzione di meccanismi di controllo di costituzionalità delle leggi, il loro
rispetto si impone al legislatore ordinario.
La fonte di disciplina del processo non è più solo la legge ordinaria, ma è in
primo luogo la Costituzione e, sulla sua base, la giurisprudenza della Corte
costituzionale. È appena il caso di osservare che le ultime due fonti sono
radicalmente diverse dalla prima, in quanto «la Costituzione rifiuta la riduzione
positivistica della legittimità (ossia della giustizia) alla legalità, ma converte il
problema della fondazione etica della legittimità in un problema giuridico, e
quindi in materia di giudizio di un organo giurisdizionale, mediante
l’istituzionalizzazione dei valori morali, che ne costituiscono il referente
pregiuridico, in opzioni interne al diritto positivo, espresse nella forma di
enunciati normativi di principio, strutturati o come clausole generali (per
esempio, i principi complementari di giustizia e di solidarietà) o come diritti
soggettivi (diritti fondamentali)» ( 41).
Nella nuova realtà istituzionale che si profila a partire dalla seconda metà
del secolo XX, il giudicato entra in crisi non solo nelle pagine dei giuristi con lo
sguardo puntato verso il futuro come Enrico Tullio Liebman, bensì anche nella
vita quotidiana dell’ordinamento.
Come tradizionale presidio di stabilità dell’applicazione giudiziale della legge
ordinaria, il giudicato è chiamato a confrontarsi con il moltiplicarsi dei piani di
legalità nazionale: sopra a quello della legge ordinaria, si staglia prima di tutto
quello della costituzione.
(40) Cfr. A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, 5a ed., Milano, 2008, p. 143.
(41) Così, L. MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1997, p. 117.
- 14 -
Se la legge che il giudice ha applicato nel risolvere la controversia è
successivamente dichiarata incostituzionale, che dovrà accadere del giudicato?
Il cedimento del giudicato penale, nonché la sofferta riaffermazione
dell’intangibilità del giudicato civile e amministrativo ( 42), sono una testimonianza
eloquente della gravità della crisi.
Il dominio della ordinaria legge statale sul diritto, il monopolio dello Stato
sulla giurisdizione, nonché l’idea del giudicato come concretizzazione definitiva
della sola legge nazionale sono messi in crisi anche dalla crescente
internazionalizzazione dei rapporti sociali ed economici, dalla fisiologica
inettitudine degli ordinamenti giuridici nazionali a regolamentare in modo
efficiente i rapporti transnazionali, dalla correlata tendenza della loro disciplina a
trasferirsi dal piano della legislazione statale ad istanze internazionali o
sovranazionali, nonché dalla progressiva incidenza di fonti normative
internazionali o sovranazionali sugli stessi rapporti interni ad uno Stato.
In questo contesto un ruolo normativo a livello mondiale esplicano:
l’autonomia privata degli operatori del commercio internazionale (circolazione di
clausole o di modelli di contratto uniformi, lex mercatoria), organizzazioni non
governative, commissioni di studio che agiscono su incarico di organizzazioni
internazionali o sulla base di una loro iniziativa «privata», che si fonda sulla
autorevolezza e competenza dei giuristi che le compongono (ad es., i principi
Unidroit dei contratti commerciali internazionali).
Fioriscono inoltre i modi di risoluzione delle controversie astatuali, tra cui
spicca l’arbitrato commerciale internazionale, e si profila di nuovo netta la
percezione di una dimensione originaria della società civile, quella che affida ad
un terzo imparziale e disinteressato la giusta composizione di una controversia,
mercé la dichiarazione del diritto preesistente al termine di un processo a cui
possono partecipare in condizione di parità, per dire e contraddire, i destinatari
degli effetti dell’atto finale ( 43).
I processi di circolazione giuridica transnazionale, che prima avevano ad
oggetto diritto prodotto da ordinamenti statali, oggi veicolano prevalentemente
norme che non rinvengono la loro originaria base autoritativa in un ordinamento
statale. Tali fenomeni procedono in maniera frammentata o reticolare, e in modo
relativamente indipendente dalla sfera politica. Essi hanno per veicolo non solo
l’economia, ma anche la scienza, la tecnica, la cultura ( 44).
(42) Nell’ordinamento italiano cfr. art. 30, comma 4° l. n. 87 del 1953.
(43) Cfr. G. VERDE, Sul monopolio dello Stato in tema di giurisdizione, in Riv. dir. proc., 2003,
p. 371 ss., p. 380, ove si parla di «ormai acquisita fungibilità delle giurisdizioni – di quella statale,
di quelle straniere, di quella affidata ai privati –, che non può non essere in contrasto con ogni
idea di monopolio riservata alla giurisdizione dello Stato».
(44) Cfr. G. TEUBNER, ‘Globale Bukowina: Zur Emergenz eines transnationalen
Rechtspluralismus’, in Rechtshistorisches Journal, 15 (1996), 255–290; E. FAZZALARI,
- 15 -
Un ruolo normativo a livello regionale giocano istituzioni sovranazionali cui
una determinata comunità di Stati ha attribuito il potere di emanare atti
normativi con efficacia diretta, all’interno dei rispettivi ordinamenti nazionali, e
prevalente sulle norme nazionali (Unione europea) o sistemi di protezione
internazionale dei diritti dell’uomo che si affidano a corti giudiziarie (convenzione
europea dei diritti dell’uomo).
In questo quadro di ulteriore moltiplicazione e sovrapposizione dei piani di
normatività, si lanciano alle decisioni giudiziarie le sfide più recenti e
impegnative.
L’idea del giudicato come manifestazione definitiva della volontà della legge
statale in riferimento alla fattispecie concreta oggetto della cognizione giudiziale,
già entrata in crisi con il sovrapporsi della dimensione costituzionale nazionale e
del controllo di costituzionalità al piano della legge ordinaria, è chiamata
attualmente a confrontarsi con i piani della legalità internazionale e
sovranazionale, il cui rispetto è affidato parimenti al controllo di corti giudiziarie.
Si scopre (o si riscopre) ciò che è naturale: l’ordinamento, o gli ordinamenti,
in cui il giudicato si inserisce ed entra in circolazione possono conformare e
dimensionare quest’ultimo, molto più di quanto il singolo ordinamento sia
conformato dai giudicati che si producono al suo interno ( 45).
La tensione tra giudicati comuni e giustizia costituzionale nazionale è stata
anticipatamente prevista e composta in sede di disciplina istitutiva degli organi di
giustizia costituzionale, salvo il giudizio sulla tenuta teorica delle diverse soluzioni
adottate dai vari ordinamenti.
Viceversa, la tensione e il conflitto tra giudicati nazionali, da un lato, e
decisioni delle corti internazionali e delle due corti europee, dall’altro lato, è
piuttosto il frutto della evoluzione dei rapporti reciproci tra ordinamenti nazionali
e ordinamenti ultrastatali.
L’evoluzione è avvenuta sotto il segno della progressiva apertura degli
ordinamenti statali e del progressivo rafforzamento della effettività degli
ordinamenti ultrastatali ( 46).
«Mondializzazione», politica, diritto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2000, p. 681 ss.; A. FISCHERLESCANO, G. TEUBNER, Regime-Kollisionen. Zur Fragmentierung des globalen Rechts, Frankfurt am
Main, 2006; S. CASSESE, Il diritto globale, Torino, 2009; S. CASSESE, I tribunali di Babele. I giudici
alla ricerca di un nuovo ordine globale, Roma, 2009.
Per un più ampio discorso sul punto rinvio a R. CAPONI, Rezeption und Transmission des
Zivilverfahrensrechts: Überlegungen zu einem ‚grenzenlosen‘ Thema, relazione tenuta il 27 marzo
2009 al convegno organizzato dal prof. Masahisa Deguchi presso la Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università Ritsumeikan di Kyoto, in Ritsumeikan Law Review, International edition, 27 (2010),
p. 177 ss.
(45) Cfr. R. CAPONI, Il giudicato civile dimensionato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, p. 941
ss.
(46) In questa sede, la riflessione è limitata al rapporto tra corti europee e giudicati
nazionali, ma il fenomeno è più ampio e riguarda il contrasto del giudicato civile nazionale con il
- 16 -
III. Casistica
1. - L’incidenza degli effetti di una successiva pronuncia di una delle due
corti europee sull’anteriore giudicato civile italiano deve essere studiata in modo
distinto, ma congiunto, a seconda che si tratti di una pronuncia della Corte di
Strasburgo o di una pronuncia della Corte del Lussemburgo.
Se si considerano la diversità del ruolo e della funzione delle due corti
europee, nonché dell’efficacia delle loro pronunce, la necessità di un approccio
distinto è talmente evidente da sollecitare perfino il dubbio che una trattazione
congiunta delle due ipotesi si risolva in una mera giustapposizione dello studio di
due fenomeni intrinsecamente diversi.
In realtà, l’indagine parallela e contestuale, lungi dal risolversi in una mera
giustapposizione, promuove una ricostruzione che si giova proprio del confronto
fra le due ipotesi.
2. - Per cogliere la possibile incidenza su precedenti giudicati civili della
pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, conviene svolgere una breve
premessa relativa al rango che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu)
riveste nel sistema delle fonti del diritto italiano.
La Cedu non contiene indicazioni sulla sua posizione e il suo modo di
operare all’interno degli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati contraenti ( 47).
Di conseguenza il suo ruolo all’interno del sistema delle fonti del diritto dei singoli
Stati contraenti, e in particolare il suo rapporto con le costituzioni nazionali, è
eterogeneo e si articola fondamentalmente in tre varianti. La prima, propria per
diritto internazionale. Esempio: cass., sez. un., 11 marzo 2004, n. 5044, Ferrini c. Governo della
Repubblica federale tedesca.
Statuisce la Corte di cassazione italiana: il rispetto dei diritti inviolabili della persona
umana ha assunto il valore di principio fondamentale dell’ordinamento internazionale, riducendo
la portata e l’ambito di altri principi ai quali tale ordinamento si è tradizionalmente ispirato, quale
il riconoscimento della immunità statale dalla giurisdizione civile straniera, con riferimento alle
attività statali compiute iure imperii. Ne consegue – prosegue la Corte - che non ha carattere
assoluto la norma consuetudinaria di diritto internazionale che impone agli stati l’obbligo di
astenersi dall’esercitare il potere giurisdizionale nei confronti degli stati stranieri. In particolare
tale immunità non può essere invocata in presenza di comportamenti dello stato straniero di tale
gravità da configurare, in forza di norme consuetudinarie di diritto internazionale, crimini
internazionali.
Quest’orientamento della nostra Corte suprema - confermato da una serie di pronunce del
2008: Cass. 29 maggio 2008, n. 14199 a 14212, caso Distomo e altri – ha suscitato la reazione
della Repubblica Federale Tedesca, che il 23 dicembre 2008 ha convenuto in giudizio la
Repubblica italiana dinanzi alla Corte internazionale di giustizia. La Germania fa valere che
attraverso questo orientamento giurisprudenziale l’Italia violi l’obbligo di diritto internazionale di
riconoscere l’immunità giurisdizionale della Repubblica Federale Tedesca come Stato sovrano.
(47) È rimasta isolata l’idea di attribuire alla Cedu un primato applicativo analogo a quello
del diritto comunitario. Cfr. in questa direzione, J. POLAKIEWICZ, Die Verpflichtungen der Staaten
aus den Urteilen des Europäischen Gerichtshofs für Menschenrechte, Berlin, 1993, p. 360.
- 17 -
esempio dell’ordinamento austriaco, attribuisce alla Cedu rango costituzionale.
La seconda, propria della maggior parte dei paesi, attribuisce alla Cedu un rango
intermedio tra la Costituzione e la legge ordinaria. La terza, propria della
Germania e dei paesi scandinavi attribuisce alla Cedu il rango di legge ordinaria
( 48), che però costituisce un ausilio nell’interpretazione della disciplina nazionale
relativa ai diritti fondamentali ( 49).
Dopo le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte costituzionale (50),
l’ordinamento italiano è passato dalla terza alla seconda variante. Prima
dell’introduzione del nuovo testo dell’art. 117 Cost. ( 51), la legge di adattamento
della Cedu aveva «normalmente rango di legge ordinaria e quindi potenzialmente
modificabile da altre leggi ordinarie successive». Con la nuova disposizione prosegue la Corte - le norme della Convenzione assumono il ruolo di «fonti
integratrici del parametro di costituzionalità di cui all’art. 117, comma 1°» ( 52).
Il giudice comune non può direttamente disapplicare le norme giuridiche
nazionali contrastanti con la convenzione (come accade invece nei rapporti con il
diritto dell’Unione europea), bensì - qualora il contrasto non possa essere
composto a livello interpretativo, facendo applicazione del canone di
interpretazione conforme alla Cedu - deve rimettere la relativa questione alla
Corte costituzionale ( 53).
(48) Molto rilevante in questo contesto, come introduzione al trattamento delle sentenze
della Corte europea dei diritti dell’uomo da parte dei giudici tedeschi è la sentenza della Corte
costituzionale tedesca sul caso Görgülü, cfr. BVerfGE 111, p. 307 ss., p. 324 ss. Sul punto, cfr. H.
J. PAPIER, Umsetzung und Wirkung der Entscheidungen des Europäischen Gerichtshofes für
Menschenrechte aus der Perspektive der nationalen deutschen Gerichte, in EuGRZ 2006, p. 1 ss.;
C. GRABENWARTER, Das mehrpolige Grundrechtsverhältnis im Spannungsfeld zwischen
europläischem Menschenrechtsschutz und Verfassungsgerichtsbarkeit, in Festschrift für C.
Tomuschat, Kehl, 2006, p. 193 ss.
(49) Così la sintesi di C. GRABENWARTER, Europäische Menschenrechtskonvention, 4a ed.,
München, 2009, p. 15 ss.
(50) Cfr. Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 348 e n. 349, in Foro it., 2008, I, c. 39 ss., con nota
di R. ROMBOLI, A. TRAVI e L. CAPPUCCIO, e in Riv. dir. int., 2008, p., 229 ss., con nota di G. GAJA, E.
CANNIZZARO, M. L. PADELLETTI e A. SACCUCCI; O. POLLICINO, Constitutional Court at cross road
between constitutional parochialism and cooperativeconstitutionalism, in European Constitutional
Law Review, 2008, 463 ss.
(51) Il testo è stato introdotto dalla riforma del Titolo V della Costituzione, adottata con la l.
cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
(52) In particolare, secondo un espediente tecnico proprio della dottrina costituzionalistica
italiana, le norme della Cedu operano, ai sensi dell’art. 117, comma 1°, Cost., come parametro
«interposto» di legittimità costituzionale delle leggi, sebbene esse non siano coperte dalle
limitazioni di sovranità consentite dall’art. 11 Cost.
(53) Dubbi residuano sul rapporto tra Cedu e leggi anteriori, poiché Corte cost. 24 ottobre
2007, n. 348, cit., non è esente da una certa schematicità, di cui - in caso di contrasto di queste
ultime con la Cedu - rischia di rimanenere vittima l’effetto abrogativo, a vantaggio della necessità
di rimettere la relativa questione alla Corte costituzionale. Cfr. infatti Corte cost. 27 febbraio
2008, n. 39, in Foro it., 2008, I, c. 1037, su cui vedi le osservazioni critiche di R. MASTROIANNI, La
sentenza della Corte cost. n. 39 del 2008 in tema di rapporti tra leggi ordinarie e Cedu: anche le
leggi
cronologicamente
precedenti
vanno
rimosse
dalla
Corte
costituzionale?
in
www.forumcostituzionale.it (Forum di Quaderni costituzionali).
- 18 -
Questo orientamento giurisprudenziale ha subito un notevole sviluppo in
Corte cost. 26 novembre 2009, n. 311 e Corte cost. 4 dicembre 2009, n. 317,
nella prospettiva di un dialogo tra giudici nazionali e internazionali finalizzato alla
«massima espansione» delle tutele dei diritti fondamentali, pur nel bilanciamento
con altri «diritti fondamentali che potrebbero essere incisi dall’espansione di una
singola tutela» ( 54).
3. - La Corte europea dei diritti dell’uomo può essere adita da una persona
fisica, una organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga di
essere vittima di una violazione dei diritti riconosciuti nella convenzione o nei
suoi protocolli da parte di uno degli stati contraenti (art. 34 conv.), ovvero può
essere adita da uno Stato per qualunque inosservanza delle disposizioni della
convenzione e dei suoi protocolli che esso ritenga possa essere imputata ad un
altro Stato contraente (art. 33 conv.).
La Corte non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso
interne ( 55), come inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente
riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione
interna definitiva ( 56).
Come atto lesivo entra in considerazione ogni condotta statale o comunque
imputabile ad uno degli Stati contraenti, che – in linea con il carattere di diritto
internazionale della convenzione – sono in via di principio i destinatari diretti ed
esclusivi dell’obbligo di rispettare i diritti riconosciuti dalla convenzione (57).
L’obbligo abbraccia ogni atto autoritativo dei pubblici poteri: legislativo, esecutivo
e giurisdizionale, nella misura in cui esso incida sui diritti protetti dalla Cedu ( 58).
Pertanto si può ricorrere dinanzi alla Corte di Strasburgo contro una
sentenza passata in giudicato adottata, quanto a norma sostanziale applicata per
risolvere la controversia o a disciplina processuale, in violazione della Cedu.
(54) Cfr. O. POLLICINO, Margine di apprezzamento, art 10, c.1, Cost. e bilanciamento
“bidirezionale”: evoluzione o svolta nei rapporti tra diritto interno e diritto convenzionale nelle due
decisioni nn. 311 e 317 del 2009 della Corte costituzionale?, in www.forumcostituzionale.it; A.
RUGGERI, Conferme e novità di fine anno in tema di rapporti tra diritto interno e CEDU (a prima
lettura di Corte cost. nn. 311 e 317 del 2009), ibidem.
(55) Sul punto si rinvia a C. GRABENWARTER, Europäische Menschenrechtskonvention, cit., p.
56 ss.
(56) Sul punto si rinvia a C. GRABENWARTER, Europäische Menschenrechtskonvention, cit., p.
65 ss.
(57) Cfr. art. 1 conv.: «le alte parti contraenti riconoscono ad ogni persona sottoposta alla
loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel titolo primo della presente convenzione».
(58) Cfr. J. ABR. FROWEIN, W. PEUKERT, Europäische Menschenrechtskonvention. EMRKKommentar, 2a ed., Kehl, 1996, sub art. 25, nota a margine n. 40; C. GRABENWARTER, Europäische
Menschenrechtskonvention, cit., p. 103.
- 19 -
4. - Illustriamo un caso in cui si è posto in concreto il problema della
incidenza su di un precedente giudicato della pronuncia della Corte europea dei
diritti dell’uomo.
La società francese Dangeville presentava ricorso alla Corte di Strasburgo
facendo valere la lesione dell’art. 1 del protocollo addizionale, relativo alla
protezione della proprietà (59), per il fatto di essere stata indebitamente
assoggettata ad imposizione Iva per l’attività esercitata, nonostante l’esenzione
esplicitamente prevista nella fattispecie da una direttiva comunitaria dotata di
effetto diretto ( 60).
Infatti l’amministrazione finanziaria francese, in assenza di una normativa
interna di attuazione della direttiva comunitaria, aveva continuato ad ingiungere
il pagamento dell’imposta. Con una serie di giudicati, anche del Conseil d'Etat,
venivano rigettate le domande di restituzione dell'imposta pagata. Dinanzi alla
Corte di Strasburgo la Francia difende la posizione del Consiglio di Stato, che
aveva respinto la rinnovata domanda di restituzione richiamandosi ad un
precedente giudicato di rigetto. La Corte europea si limita ad osservare
laconicamente che con ciò il Consiglio di Stato ha privato il ricorrente dell’ultimo
rimedio interno per far valere la violazione dell’art. 1 del primo protocollo
addizionale.
Accertata così la violazione, la Corte europea quantifica la somma che
l’amministrazione francese deve restituire, insieme agli interessi, alla società
attrice. Indirettamente, ma incisivamente, la Corte di Strasburgo si assume il
compito di sanzionare l’inosservanza del diritto comunitario da parte della
amministrazione francese ( 61).
5. - In Italia il problema è aperto innanzitutto nei processi penali ( 62).
(59) Cfr. art. 1 - Protezione della proprietà: «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al
rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di
pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto
internazionale».
(60) Si tratta della direttiva n. 77/388 del Consiglio (c.d. sesta direttiva), adottata con il
proposito di disciplinare in modo uniforme la base imponibile dell’Iva. L’art. 13 b a) esenta
espressamente dalla imposta sul valore aggiunto l'attività di mediazione assicurativa, esercitata
dalla società ricorrente.
(61) Corte europea dei diritti dell’uomo, 16 aprile 2002, 366677/97, Dangeville c. France, in
Europäische Grundrechte Zeitschrift (EuGRZ), 2007, p. 671 ss., p. 655 ss., con nota di M. BREUER,
Zur unmittelbaren Wirkung von EG-Richtlinien im französischen Verwaltungsrecht: Betrachtung aus
Anlass des EGMR-Urteils im Fall Dangeville; L. MARIN, La Corte di Strasburgo garante del diritto
comunitario, in Quad. cost., 2003, p. 856 ss. Un altro caso simile è il seguente: Corte europea dei
diritti dell’uomo, 22 luglio 2003, Cabinet Diot c. France.
(62) Cfr. Cass. 12 luglio 2006, Somogyi, in Foro it., 2007, II, 286. Statuisce la corte: in
presenza di gravi violazioni dei diritti della difesa, il giudice nazionale italiano è tenuto a
conformarsi alla giurisprudenza della corte di Strasburgo, anche se ciò comporta la necessità di
mettere in discussione, attraverso il riesame o la riapertura dei procedimenti penali, l’intangibilità
del giudicato. Sulla base di quest’assunto la corte stabilisce che, nel pronunciare su una richiesta
- 20 -
A tal riguardo, una recente sentenza della Corte costituzionale ( 63) rivolge al
legislatore un pressante invito ad adottare i provvedimenti ritenuti più idonei, per
consentire all’ordinamento di adeguarsi alle sentenze della Corte europea dei
diritti dell’uomo che abbiano riscontrato, nei processi penali, violazioni ai principi
sanciti dall’art. 6 della Cedu ( 64).
6. - Passiamo alle pronunce della Corte di giustizia. La tensione con le
decisioni nazionali definitive è una vicenda già iscritta nel corso evolutivo degli
eventi, fin dall’avvio del cammino costituzionale della Corte di giustizia ( 65).
Nella pronuncia Van Gend & Loos v. Olanda, la novità rivoluzionaria
dell’ordinamento comunitario è annunciata con una dichiarazione solenne, di
taglio costituente: «La comunità economica europea costituisce un ordinamento
giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale a favore del quale
gli stati membri hanno rinunziato, se pure in settori limitati, ai loro poteri sovrani
ed al quale sono soggetti non soltanto gli stati membri, ma pure i loro cittadini. Il
diritto comunitario, indipendentemente dalle norme emanate dagli stati membri,
nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi, attribuisce loro dei diritti
soggettivi. Tali diritti sorgono non soltanto allorché il trattato espressamente li
menziona, ma anche quale contropartita di precisi obblighi che il trattato impone
ai singoli, agli stati membri ed alle istituzioni comunitarie» ( 66).
7. - Il legame diretto tra le statuizioni contenute nelle storiche pronunce
della Corte di giustizia e il problema oggetto di questa indagine si può cogliere con
nettezza rileggendo i classici e solenni passi centrali di Costa v. ENEL: «a
differenza dei comuni trattati internazionali, il trattato Cee ha istituito un proprio
di restituzione nel termine per appellare proposta da un condannato dopo che il suo ricorso è
stato accolto dalla corte europea dei diritti dell’uomo, il giudice è tenuto a conformarsi alla
decisione di quest’ultima. Pertanto il diritto al nuovo processo non può essere negato escludendo
la violazione dell’art. 6 della convenzione europea, né invocando l’autorità del pregresso giudicato
formatosi in ordine alla ritualità del giudizio contumaciale in base alla normativa del codice di
procedura penale.
Cass. 1° dicembre 2006, Dorigo, in Foro it., 2007, II, 278. Il giudice dell’esecuzione deve
dichiarare, a norma dell’art. 670 c.p.p., l’ineseguibilità del giudicato quando la corte di Strasburgo
abbia accertato che la condanna è stata pronunciata per effetto della violazione delle regole sul
processo equo sancite dall’art. 6 della convenzione europea e abbia riconosciuto il diritto del
condannato alla rinnovazione del giudizio.
(63) Cfr. Corte cost. 30 aprile 2008, n. 129, in Foro it., 2009, I, 103 e 621, con nota di G.
ARMONE; in www.forumcostituzionale.it, con nota di V. SCIARABBA, Il problema dell’intangibilità del
giudicato tra Corte di Strasburgo, giudici comuni, Corte costituzionale e… legislatore?
(64) Si veda anche Cass. 12 luglio 2006, Somogyi, in Foro it., 2007, II, 286.
(65) Su questo cammino, v. da ultimo A. TIZZANO, Qualche riflessione sul contributo della
Corte di giustizia allo sviluppo del sistema comunitario, in Il diritto dell’Unione europea, 2009, p.
141 ss., p. 142, ove si parla del ruolo «strutturale» della Corte di giustizia nella costruzione
dell’edificio europeo.
(66) Cfr. Corte giust., 5 febbraio 1963, causa 26/62, Van Gend & Loos v. Olanda, in Racc.,
p. 3.
- 21 -
ordinamento giuridico, integrato nell’ordinamento giuridico degli stati membri
all'atto dell'entrata in vigore del trattato e che i giudici nazionali sono tenuti ad
osservare. Istituendo una comunità senza limiti di durata, dotata di propri organi,
di personalità, di capacità giuridica, di capacità di rappresentanza sul piano
internazionale, ed in ispecie di poteri effettivi provenienti da una limitazione di
competenza o da un trasferimento di attribuzioni degli Stati alla Comunità, questi
hanno limitato, sia pure in campi circoscritti, i loro poteri sovrani e creato quindi
un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro stessi.
Tale integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che
promanano da fonti comunitarie e, più in generale, lo spirito e i termini del
trattato, hanno per corollario l'impossibilità per gli Stati di far prevalere, contro
un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un
provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non è opponibile
all'ordinamento stesso. Scaturito da una fonte autonoma, il diritto nato dal
trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un
limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere
comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa
comunità.
Il trasferimento, effettuato dagli stati a favore dell' ordinamento giuridico
comunitario, dei diritti e degli obblighi corrispondenti alle disposizioni del trattato
implica quindi una limitazione definitiva dei loro poteri sovrani» ( 67).
Il messaggio è chiaro: il diritto comunitario si impone senza limiti contro
qualsiasi «provvedimento interno» contrastante, sia esso legislativo ordinario,
costituzionale, amministrativo o giurisdizionale, provvisorio o definitivo.
La possibile incidenza nei confronti dei giudicati - esplicata attraverso il
vincolo che la pronuncia interpretativa della Corte di giustizia produce nei
confronti del processo principale - è l’ultima e certamente più problematica
espressione di questa direttiva fondamentale.
8. - Con Simmenthal l’ansia di fondazione di un potere comunitario
esercitato in forma giuridica, ma in modo pienamente efficace e utile, si manifesta
nel ventaglio di aggettivi qualificativi impiegati: «l’applicabilità diretta del diritto
comunitario significa che le sue norme devono esplicare pienamente i loro effetti,
in maniera uniforme in tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore
e per tutta la durata della loro validità. Le disposizioni direttamente applicabili
sono una fonte immediata di diritti e di obblighi per tutti coloro che esse
riguardano, siano questi gli Stati membri ovvero i singoli, soggetti di rapporti
giuridici disciplinati dal diritto comunitario».
(67) Corte giust., 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa v. ENEL, in Racc., p. 1129.
- 22 -
L’opera robustamente costituente della Corte di giustizia completa il profilo
di superiorità di rango normativo del diritto comunitario anche nei confronti delle
norme nazionali posteriori: «il principio della preminenza del diritto comunitario
si proietta anche sulle norme statali posteriori, le norme del Trattato e le norme
secondarie direttamente applicabili hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto
interno degli stati membri, non solo di rendere ipso jure inapplicabile, per il fatto
stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della
legislazione nazionale preesistente, ma anche [..] di impedire la valida formazione
di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili
con norme comunitarie».
L’effettività dei diritti di derivazione comunitaria è ancora parte di questo
disegno più complessivo, teso alla effettività dell’efficacia diretta e del primato del
diritto comunitario (in senso oggettivo): «Questo effetto riguarda anche tutti i
giudici che, aditi nell’ambito della loro competenza, hanno il compito, in quanto
organi di uno stato membro, di tutelare i diritti attribuiti ai singoli dal diritto
comunitario [..] il giudice nazionale [..] ha l’obbligo di garantire la piena efficacia
di tali norme [comunitarie], disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa,
qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore,
senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o
mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale» ( 68).
Colto il presupposto fondamentale della tensione tra pronunce della Corte
di giustizia e giudicati nazionali, cioè l’efficacia diretta e il primato del diritto
comunitario, possiamo accennare allo strumento che veicola il confronto: il rinvio
pregiudiziale.
9. - Secondo l’art. 267 TFUE (ex art. 234 del TCE), quando nel corso di un
giudizio nazionale sorge un ragionevole dubbio sulla interpretazione di una
norma del Trattato ovvero sulla validità o l’interpretazione di un atto delle
istituzioni comunitarie, il giudice nazionale, dinanzi a cui si svolge il processo,
qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo
punto, può domandare alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla questione.
Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a
un giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso
giurisdizionale di diritto interno, tale giudice è tenuto a rivolgersi alla Corte di
giustizia ( 69).
(68) Corte giust. 9 marzo 1978, C 106/77, Simmenthal, in Racc., p. 629.
(69) Sul rinvio pregiudiziale nella letteratura processualistica italiana, v. P. BIAVATI,
Pregiudizialità comunitaria, in Il diritto-Encicl. giur., Milano, 2007, vol. XI, 314; G. RAITI, La
collaborazione giudiziaria nell’esperienza del rinvio pregiudiziale comunitario, Milano, 2003; N.
TROCKER, Das Vorabentscheidungsverfahren aus italienischer Sicht: Erfahrungen, Probleme,
- 23 -
La pronuncia pregiudiziale della Corte del Lussemburgo assolve ad una
duplice funzione.
In primo luogo, essa serve ad assicurare l’uniforme interpretazione del
diritto comunitario all’interno degli ordinamenti giuridici degli Stati membri,
nonostante la pluralità delle culture giuridiche degli organi chiamati ad
applicarlo.
In secondo luogo, essa assume un notevole significato per la tutela
giurisdizionale dei diritti dei singoli. Come parti di un processo, essi possono
sollecitare il giudice ad operare un rinvio alla Corte di giustizia per cercare di
ottenere la dichiarazione d’invalidità dell’atto comunitario lesivo dei loro diritti o
un’interpretazione a loro favorevole della normativa comunitaria.
La questione interpretativa è in via di principio limitata al diritto
comunitario anche quando entri in gioco la compatibilità di una norma giuridica
nazionale con il diritto comunitario. L’applicazione al caso concreto del diritto
comunitario, così come interpretato dalla Corte di giustizia, è compito del giudice
nazionale ( 70). Quest’ultima si spinge peraltro molto in avanti nell’offrire al giudice
nazionale, su sollecitazione di quest’ultimo, i criteri che gli consentano di valutare
la compatibilità della prescrizione nazionale con il diritto comunitario e adotta
dispositivi in cui si statuisce che la normativa comunitaria è di ostacolo a che il
diritto nazionale assuma un certo contenuto, o viceversa ( 71).
10. - Quanto all’incidenza su precedenti giudicati delle pronunce
pregiudiziali della Corte di giustizia, essa è subordinata a due condizioni:
a) l’instaurazione di un secondo processo relativo allo stesso oggetto del
precedente giudicato, ovvero teso comunque a diminuire o a disconoscere
l’autorità del giudicato ( 72).
b) la pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia, sollecitata nel secondo
processo o in un altro processo successivo al giudicato, ove risulta l’«ingiustizia»
comunitaria di quest’ultimo.
Entwicklungstendenzen, in Rabels Zeitschrift für ausländisches und internationales Privatrecht,
2002, p. 417 – 458; A. BRIGUGLIO, Pregiudiziale comunitaria e processo civile, Padova, 1996.
(70) Cfr., per tutti, B. WEGENER, in EUV/EGV. Das Verfassungsrecht der Europäischen Union
mit Europäischer Grundrechtecharta, a cura di C. Callies e M. Ruffert, 3a ed., München, 2007, p.
2059.
(71) Cfr. A. TIZZANO, Qualche riflessione sul contributo della Corte di giustizia allo sviluppo del
sistema comunitario, cit., p. 147, ove si parla di «uso alternativo» della competenza pregiudiziale;
E. D’ALESSANDRO, Riflessioni sull’ambito soggettivo di efficacia delle sentenze interpretative della
Corte di giustizia, in Riv. dir. proc., 2007, p. 1345 ss., p. 1346.
(72) Oppure è instaurato un secondo processo di impugnazione di un atto stragiudiziale, il
quale si sia proposto l’obiettivo di diminuire o disconoscere l’autorità del precedente giudicato.
- 24 -
Sono queste le ipotesi che hanno suscitato attenzione e scalpore
nell’ordinamento italiano, anche perché alcune vicende si sono svolte o si stanno
svolgendo in Italia. Ne illustriamo alcune esemplari.
11. - Il professore universitario Gerhard Köbler chiede allo Stato austriaco
che nel calcolo dell’indennità di anzianità di servizio vengano computati anche i
suoi anni di servizio presso università di altri paesi membri dell’Unione europea
( 73). Passata in giudicato la sentenza della Corte suprema amministrativa che
rigetta il suo ricorso contro il diniego dell’amministrazione, Köbler propone
un’azione risarcitoria contro lo Stato austriaco dinanzi al tribunale civile di
Vienna, chiedendo il risarcimento dei danni discendenti dalla mancata o erronea
applicazione delle norme comunitarie sulla libera circolazione dei lavoratori. Il
tribunale rimette alla Corte di giustizia la questione pregiudiziale se la
giurisprudenza della Corte sulla responsabilità statale verso i singoli per
violazione del diritto comunitario sia applicabile anche nel caso in cui l’atto lesivo
sia costituito da una sentenza di un organo giurisdizionale di ultimo grado.
La risposta della Corte è affermativa. L'importanza del principio
dell'autorità della cosa definitivamente giudicata - che la Corte coglie al fine di
garantire la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché una buona
amministrazione della giustizia - non può essere contestata, ma ciò non si oppone
al riconoscimento della responsabilità dello Stato per la decisione di un corte di
ultimo grado. Un processo inteso a far dichiarare la responsabilità dello Stato non
ha lo stesso oggetto e non implica necessariamente le stesse parti del processo
che ha dato luogo al giudicato dannoso. Infatti, l’attore in tale giudizio risarcitorio
ottiene, in caso di successo, la condanna dello Stato a risarcire il danno, ma non
necessariamente la revisione del giudicato dannoso.
12. - Gli uffici doganali olandesi avevano dapprima concesso alla società
Kühne & Heitz determinati rimborsi all’esportazione in paesi terzi e poi ne
avevano richiesto la restituzione sulla base di una certa interpretazione del diritto
comunitario sfavorevole alla società, attinente ad una determinata classificazione
della merce esportata nella tariffa doganale. L’azione contro l’ingiunzione di
restituzione veniva respinta in ultima istanza dalla corte olandese, che
(73) Corte giust. 30 settembre 2003, C-224/01, Köbler, in Racc., p. 10239; in Foro it., 2004,
IV, c. 3 ss., con nota di E. SCODITTI, «Francovich» presa sul serio: la responsabilità dello Stato per
violazione del diritto comunitario derivante da provvedimento giurisdizionale; in Int’l Lis, 2005, 2,
62 ss., con nota di P. BIAVATI, Inadempimento degli Stati membri al diritto comunitario per fatto del
Giudice supremo: alla prova la nozione europea di giudicato.
Sulla scia della sentenza Köbler, Corte giust., 13 giugno 2006, C-173/03, Traghetti del
Mediterraneo, in Foro it. 2006, IV, 418, con nota di E. SCODITTI, A. PALMIERI, T. GIOVANNETTI.
- 25 -
confermava l’impostazione degli uffici doganali senza investire la Corte di giustizia
con un quesito interpretativo.
Anni dopo, la Corte di giustizia in un altro caso adottava invece
l’interpretazione favorevole alla concessione dei rimborsi all’esportazione per
quella determinata categoria di merci. In conseguenza di ciò la Kühne & Heitz
chiedeva la restituzione dei rimborsi e impugnava il nuovo provvedimento di
rigetto dinanzi al giudice, che rimetteva alla Corte di giustizia la questione relativa
al venire meno dell’efficacia di un atto amministrativo inoppugnabile
nell’interesse di un’efficace e completa attuazione del diritto comunitario. La
Corte di giustizia afferma che il principio di cooperazione di cui all’art. 10 Trattato
CE (dopo il trattato di Lisbona: art. 4 TUE) impone alla pubblica amministrazione
l’annullamento in autotutela di un provvedimento (sfavorevole al cittadino),
adottato sulla base di una interpretazione del diritto comunitario
successivamente smentita dalla Corte di giustizia.
In particolare, tale dovere sussiste in presenza di quattro condizioni (quelle
che si erano presentate nella causa principale): in primo luogo, l’organo
amministrativo deve disporre, secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare
su tale decisione (revoca, annullamento d’ufficio); in secondo luogo, la decisione
amministrativa in questione deve essere divenuta definitiva in seguito ad una
sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza; in terzo luogo,
tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla
medesima, deve risultare fondata su una interpretazione errata del diritto
comunitario adottata senza che la Corte fosse adita in via pregiudiziale alle
condizioni previste all’art. 234, comma 3°, Trattato CE (dopo il trattato di
Lisbona: art. 4 TUE); in quarto luogo, l’interessato deve essersi rivolto all’organo
amministrativo immediatamente dopo essere stato informato della detta
giurisprudenza della Corte ( 74).
Importanti precisazioni relative a due delle quattro condizioni derivano
dalla recente decisione sul caso Kempter ( 75).
(74) Corte di giustizia, 13 gennaio 2004, C-453/00, Kühne & Heitz, in Urbanistica e appalti,
2004, p. 1151 con nota di R. CARANTA, Effettiva applicazione del diritto comunitario e certezza del
diritto; dello stesso A. v. anche il commento pubblicato in lingua inglese in Common Market Law
Review, 42 (2005), p. 179 ss.; G. MARI, La forza del giudicato delle decisioni dei giudici nazionali di
ultima istanza nella giurisprudenza comunitaria, in Riv. it. dir. pubb. comun., 2004, p. 1007 ss.; C.
RASIA, Il controllo della Commissione europea sull’interpretazione del diritto comunitario da parte
delle corti supreme degli Stati membri, in Riv. trim.. dir. proc. civ., 2005, spec. p. 1040 ss.; G.
MORBIDELLI, Corte costituzionale e corti europee: la tutela dei diritti (dal punto di vista della corte del
Lussemburgo), in Dir. proc. amm., 2006, p. 285.
In precedenza, per la disapplicazione di un atto amministrativo contrastante con il diritto
comunitario, v. Corte giust. 29 aprile 1999, C-224/97, Ciola, in Racc. p. I- 2517.
(75) Corte giust., 12 febbraio 2008, C-2/06, Kempter, sulla quale vedi E. CANNIZZARO, Sui
rapporti tra sistemi processuali nazionali e diritto dell’Unione europea, in Il diritto dell’Unione
europea, 2008, p. 447 ss.; L. RAIMONDI, Atti nazionali inoppugnabili e diritto comunitario tra
principio di effettività e competenze di attribuzione, in Il diritto dell’Unione europea, 2008, p. 773
- 26 -
In primo luogo, la Corte chiarisce che non è di ostacolo all’istanza di revoca
della decisione amministrativa che il privato abbia invocato il diritto comunitario
nell’ambito dell’impugnazione giurisdizionale avverso la decisione amministrativa,
poiché il giudice è tenuto a rilevare d’ufficio l’applicabilità del diritto comunitario.
In secondo luogo, la Corte chiarisce che il diritto comunitario non impone
alcun limite temporale per presentare una domanda diretta al riesame di una
decisione amministrativa divenuta definitiva. Gli Stati membri rimangono tuttavia
liberi di fissare termini di ricorso ragionevoli, conformemente ai principi
comunitari di effettività e di equivalenza.
13. - Nel 1985, la Lucchini s.p.a. presenta al Ministero dell’industria una
domanda di agevolazioni finanziarie, ai sensi della l. n. 183 del 1976, per
l’ammodernamento di taluni impianti siderurgici. Poiché il contributo è accordato
solo in parte, nel 1989 la società agisce in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma
nei confronti del Ministero per l’accertamento del suo diritto all’erogazione
dell’intero aiuto originariamente richiesto. Nel 1990, mentre il giudizio di primo
grado era ancora pendente, la Commissione europea dichiara incompatibili con il
mercato comune tutti i contributi previsti a favore della Lucchini, poiché ritiene
non dimostrata, a cagione delle informazioni mancanti o lacunose da parte del
Ministero dell’industria, la sussistenza di presupposti per derogare al divieto degli
aiuti di Stato. La decisione della Commissione è notificata al Ministero e
pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee. La Lucchini non
impugna la decisione dinanzi alla Corte di giustizia. L’Avvocatura dello Stato, che
difende in giudizio il Ministero dell’industria, non fa valere in giudizio la decisione
della Commissione. Nel 1991 il Tribunale accoglie la domanda fondandosi
esclusivamente sulla l. n. 183 del 1976. Nel 1994 la sentenza di primo grado è
confermata in appello. Nel 1995 l’Avvocatura dello Stato comunica al Ministero
che la sentenza d’appello è corretta e che quindi non ravvede l’opportunità di
proporre ricorso per cassazione. Il 28 febbraio 1995 la sentenza passa in
giudicato. Nel 1996, in esecuzione della sentenza, il Ministero corrisponde alla
Lucchini oltre un miliardo e settecento milioni delle vecchie lire.
Successivamente, su intimazione della Commissione europea, il Ministero revoca
il provvedimento che accorda il contributo e ordina la restituzione. La Lucchini
impugna il provvedimento dinanzi al giudice amministrativo, che accoglie il
ricorso in primo grado, fondandosi essenzialmente sul giudicato civile. In sede di
ss.; W. WEIß, Bestandskraft nationaler belastender Verwaltungsakte und EG-Recht, in Döv 2008, p.
477;
M.
KANITZ,
M.
WENDEL,
Gemeinschaftsrechtlich
gebotene
Grenzen
der
Bestandskraftdurchbrechung im europäisierten Verwaltungsverfahren? - Zur Frage prozessualer
Vorbedingungen
und
zeitlicher
Schranken
der
Überprüfungspflicht
bestandskräftiger
Verwaltungsakte, in EuZW, 2008, p. 231.
- 27 -
appello, il Consiglio di Stato rimette alla Corte di giustizia due questioni
pregiudiziali, chiedendole sostanzialmente di dirimere il conflitto tra la decisione
della Commissione europea e il successivo giudicato civile italiano.
La Corte di giustizia risponde che il diritto comunitario osta all’applicazione
di una norma nazionale, come l’art. 2909 del codice civile italiano, volta a sancire
il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale
norma impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto
comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è stata dichiarata con
decisione della commissione divenuta definitiva (76). La decisione della Corte è
motivata laconicamente. Il motivo portante sembra essere che «la valutazione
della compatibilità con il mercato comune di misure di aiuto o di un regime di
aiuti rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che opera sotto il
controllo del giudice comunitario» ( 77).
Più incisive le conclusioni dell’Avv. generale Geelhoed: il giudicato
«scavalca anche la competenza esclusiva della Corte, retta dal diritto comunitario,
di valutare l’aiuto controverso [..]. Si tratta di una controversia che, in prima
istanza, deve essere risolta a livello di diritto comunitario e in cui la ripartizione di
poteri tra l’ordinamento giuridico comunitario e quello nazionale [..] va rispettata
molto rigorosamente [..]. Essenziale è il fatto che il giudice nazionale,
nell’interpretazione del diritto interno, non può emettere sentenze che non
tengono conto della fondamentale ripartizione di poteri tra la Comunità e gli Stati
membri, sancita dai trattati. Ciò vale anche se siffatte sentenze hanno ottenuto
autorità di cosa giudicata» ( 78).
14. – Un ultimo caso, deciso all’inizio di settembre del 2009. La Olimpiclub
s.r.l. proprietaria di un complesso sportivo insistente su terreno demaniale cedeva
nel 1985 in comodato l’uso del complesso sportivo ad una omonima associazione
(76) Corte giust. comunità europee, 18 luglio 2007, n. 119/05, Min. ind. c. Soc. Lucchini),
in Foro it, 2007, IV, c. 533, con nota di E. SCODITTI, Giudicato nazionale e diritto comunitario; N.
PICARDI, Eventuali conflitti fra principio del giudicato e principio della superiorità del diritto
comunitario, in Giust. civ. 2008, I p. 559 ss.; C. CONSOLO, La sentenza «Lucchini» della corte di
giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamenti processuali interni e in specie del nostro?,
in Riv. dir. proc., 2008, p. 225 ss.; P. BIAVATI, La sentenza Lucchini: il giudicato nazionale cede al
diritto comunitario, in Rassegna tributaria 2007, p.1591 ss.; B. ZUFFI, Il caso Lucchini infrange
l'autorità del giudicato nazionale nel campo degli aiuti statali, in Giur. it., 2008, p. 382 ss.; C.
KREMER, Effektuierung des europäischen Beihilferechts durch die Begrenzung der Rechtskraft, in
EuZW, 2007, p. 726 ss.; C. F. GERMELMANN, Neue Wege in der Rechtsprechung des EuGH zu
nationalen Rechtskraftregeln? in EWS 2007, p. 392 ss.; A. HATJE, Gemeinschaftsrechtliche Grenzen
der Rechtskraft gerichtlicher Entscheidungen - zur Entscheidung des EuGH in der Rs. C-119/05
(Lucchini) vom 18. Juli 2007, in Europarecht, 2007, p. 654 ss.
(77) Cfr. il n. 52 della motivazione, richiamato dal n. 62.
(78) Tra gli aspetti salienti, l’Avv. generale sottolinea che in nessuno dei precedenti in cui la
Corte di giustizia ha riaffermato il principio dell’autorità di cosa giudicata, «era in discussione
l’esercizio di una facoltà comunitaria in quanto tale».
- 28 -
polisportiva, senza altri oneri che l'assunzione del canone demaniale, un
rimborso spese annuo, nonché il trasferimento alla società di tutte le entrate
lorde dell'associazione polisportiva (cioè le quote associative). Una verifica fiscale
constatava una serie di irregolarità protrattesi per più anni nella corresponsione
dell’Iva. Gli avvisi di rettifica che ne erano seguiti erano stati oggetto di più
impugnazioni dinanzi alla commissione tributaria, alcune accolte con
provvedimenti passati in giudicato. In un ulteriore processo di impugnazione
ancora aperto e giunto dinanzi alla Corte di cassazione, quest’ultima sottopone
alla Corte di giustizia il seguente quesito: se il diritto comunitario osti
all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come quella di cui
all’art. 2909 c.c., tesa a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, quando
tale applicazione venga a consacrare un risultato contrastante con il diritto
comunitario, frustrandone l’applicazione, anche in settori diversi da quello degli
aiuti di stato, e, segnatamente, in materia di Iva e di abuso di diritto posto in
essere per conseguire indebiti risparmi d’imposta. Nel sottoporre il quesito la
Corte suprema italiana precisa che, secondo il diritto vivente italiano, nelle
controversie tributarie il giudicato esterno esplica efficacia vincolante anche se
formatosi in relazione ad un diverso periodo d’imposta, qualora l’accertamento
giudiziario concerna un punto fondamentale comune ad altre cause» ( 79).
La Corte di giustizia risponde che il diritto comunitario osta
all’applicazione, in circostanze come quelle della causa principale, di una
disposizione del diritto nazionale, come l’art. 2909 c.c., in una causa vertente
sull’Iva concernente un’annualità fiscale per la quale non si è ancora avuta una
decisione giurisdizionale definitiva, in quanto essa impedirebbe al giudice
nazionale investito di tale causa di prendere in considerazione le norme
comunitarie in materia di pratiche abusive legate a detta imposta.
La decisione si fonda sulle seguenti considerazioni. Il principio dell’autorità
di cosa giudicata riveste importanza sia nell’ordinamento giuridico comunitario
sia negli ordinamenti giuridici nazionali al fine di garantire sia la stabilità del
diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia. Il
diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme
processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione,
anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto
comunitario da parte di tale decisione. Le modalità di attuazione del principio
dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli
Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi.
Esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano
situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né essere
(79) Cass. 21 dicembre 2007, n. 26996, in Giur. it., 2008, 1025.
- 29 -
strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile
l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di
effettività).
La Corte afferma che l’ampia l’interpretazione dell’art. 2909 c.c.
presupposta dal provvedimento di rinvio urta contro il principio di effettività,
senza poter essere ragionevolmente giustificata dal principio della certezza del
diritto. Infatti una siffatta applicazione del principio dell’autorità di cosa giudicata
avrebbe la conseguenza (inaccettabile) che, laddove la decisione giurisdizionale
divenuta definitiva sia fondata su un’interpretazione delle norme comunitarie
relative a pratiche abusive in materia di Iva in contrasto con il diritto
comunitario, tale scorretta applicazione si riprodurrebbe per ciascun nuovo
esercizio fiscale, senza possibilità di correzione ( 80).
IV. La prospettiva dell’efficacia del giudicato civile nel tempo
1. - L’esame parallelo della casistica presentatasi dinanzi alle due corti
europee lascia intravedere già la prospettiva ricostruttiva, dall’angolo visuale dello
studioso del processo civile.
Lo studio della incidenza degli effetti delle pronunce delle corti europee sul
giudicato civile nazionale si presta ad essere considerato come un nuovo capitolo
della dottrina dei limiti temporali del giudicato, o meglio, della dottrina
dell’efficacia del giudicato civile nel tempo (81), come è preferibile dire, con una
variazione non solo terminologica, che è in grado di rimensionare le critiche
rivolte all’autonomia di questa categoria dogmatica ( 82).
Questa operazione non ha una valenza meramente classificatoria, bensì
dischiude la possibilità di un impiego – ancorché meditato e sorvegliato – dei
risultati di quella dottrina per affrontare i problemi che stanno oggi dinanzi a noi.
La teoria dell’efficacia del giudicato civile nel tempo si occupa di coordinare
i rapporti tra l’incontestabilità dell’accertamento contenuto nella sentenza
definitiva di merito (il giudicato) e l’incidenza di eventi sopravvenuti.
La valutazione dell’impatto di un effetto giuridico sopravvenuto è il tratto
peculiare della dottrina dell'efficacia del giudicato civile nel tempo, che la
distingue da quella dei limiti oggettivi del giudicato ( 83).
(80) Corte giust. 3 settembre 2009, C-2/08, Olimpiclub. Cfr. G. RAITI, Le pronunce
Olimpiclub ed Asturcom Telecomunicaciones: verso un ridimensionamento della paventata «crisi
del giudicato civile nazionale» nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in Riv. dir. proc., 2010.
(81) Cfr. R. CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, cit.
(82) Ci si riferisce alla critiche di A. DE LA OLIVA SANTOS, Oggetto del processo civile e cosa
giudicata, cit., p. 286 ss., che infatti si indirizzano più contro la formula «limiti temporali del
giudicato», che contro la sostanza concettuale.
(83) Laddove non si discute dell'esistenza e della rilevanza di un nuovo effetto sostanziale,
ma si tratta di questioni di fatto o di diritto dedotte o deducibili nel primo giudizio, il campo
- 30 -
I canoni ricostruttivi di questa materia derivano fondamentalmente
dall'assunto che l’espressione «efficacia del giudicato civile nel tempo» è una
ellissi: si deve parlare di efficacia del giudicato civile nel tempo delle situazioni
sostanziali oggetto del processo.
Oggetto di studio è dunque l'incidenza dell'efficacia del giudicato sullo
sviluppo temporale della situazione sostanziale accertata in giudizio.
L'incontestabilità dell’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato
si riferisce ad un certo momento del tempo (referente temporale del giudicato).
Ciò comporta, in via di primissima approssimazione, due conseguenze
uguali e contrarie: l’irrilevanza degli effetti anteriori a tale referente temporale non
dedotti in giudizio (il giudicato copre il dedotto e il deducibile) e la necessità di
dover valutare l’incidenza degli effetti sopravvenuti.
L'intera dottrina dell'efficacia del giudicato nel tempo consiste nello studio
della successione temporale di effetti giuridici sul piano del diritto sostanziale:
l'effetto giuridico accertato in giudizio, l'effetto prodotto dall'evento sopravvenuto.
2. - Il primo elemento da vagliare se si segue questa impostazione è se le
pronunce delle due corti europee producano un effetto giuridico sopravvenuto
rispetto al giudicato.
Il termine «effetto giuridico» è impiegato nel suo significato tecnico, cioè nel
senso di regola concreta di condotta. La definizione avvia già la risposta positiva,
in via di prima approssimazione, salve tutte le ulteriori distinzioni e precisazioni.
L’effetto giuridico della pronuncia dell’una o dell’altra corte europea è sempre una
regola concreta di condotta, che si indirizza allo Stato nel suo complesso, nel caso
della Corte europea dei diritti dell’uomo, o al giudice che ha effettuato il rinvio,
nel caso della Corte di giustizia.
proprio della dottrina dell’efficacia del giudicato civile nel tempo è varcato, così come non rientra
in questo campo l’esperibilità di mezzi d'impugnazione straordinari, volti a far valere non la
sopravvenienza di effetti giuridici sostanziali rispetto al momento a cui si riferisce l'efficacia del
giudicato, ma circostanze anteriori ad esso, come quelle ricomprese nel processo civile italiano
nell'elenco tassativo dell'art. 395, n. l, 2, 3, 6 c.p.c.
Sulla revocazione, v. le trattazioni monografiche di G. DE STEFANO, La revocazione, Milano,
1957; A. ATTARDI, La revocazione, Milano, 1957; V. COLESANTI, voce Sentenza civile (revocazione
della), in Noviss. Dig. It., vol. XVI, Torino, 1969, p. 1161 ss.; C. A. NICOLETTI, La revocazione della
sentenza, Milano, 1988; E. FAZZALARI, voce Revocazione, in Enc. del Dir., vol. XL, Milano, 1989, p.
293 ss.
Sarebbe però un errore spingere l'innegabile specialità dei problemi posti alla attenzione
della dottrina dell'efficacia del giudicato nel tempo fino a far perdere di vista che quest'ultima e la
dottrina dei limiti oggettivi del giudicato perseguono un fine comune: la salvaguardia dell'essenza
del giudicato sostanziale, individuata dall'art. 2909 c.c. nel fare stato a ogni effetto
dell'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato ex art. 324 c.p.c. Sull'essenza del
giudicato sostanziale, vedi le osservazioni di A. PROTO PISANI, Appunti sul giudicato civile e sui suoi
limiti oggettivi, in Riv. dir. proc., 1990, p. 386 ss.
- 31 -
Di tale regola di condotta deve essere valutata l’incidenza su un precedente
giudicato ( 84).
In questo stadio di avvio della ricostruzione è ancora irrilevante
determinare se le pronunce delle due corti europee, oltre all’efficacia nel caso
concreto da cui esse traggono origine, rivestano o meno la qualità di fonti del
diritto che integrano gli ordinamenti giuridici in cui si inseriscono. Infatti la teoria
dell’efficacia del giudicato civile nel tempo si occupa della successione temporale
di effetti giuridici in riferimento ad una singola e concreta situazione sostanziale
accertata in giudizio, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie
produttiva dell’effetto sopravvenuto sia una fonte del diritto.
Si tratta della successione tra l'effetto accertato in giudizio e l'effetto sorto
dall'evento sopravvenuto, che può essere costituito da un nuovo fatto o atto
giuridicamente rilevante, da una nuova legge, da una decisione della corte
costituzionale, da una pronuncia di una delle due corti europee, ecc.
Certamente, se l’effetto giuridico sopravvenuto è prodotto da una fonte del
diritto, la soluzione raggiunta con riferimento alla singola e concreta situazione
sostanziale accertata in giudizio vale tendenzialmente per le altre situazioni
sostanziali che si presentano in condizioni identiche.
Diverso è, nel dettaglio, il modo in cui le pronunce delle due corti europee
possono incidere sulla situazione sostanziale decisa dai giudici nazionali.
I due diversi modi di operare devono certamente essere oggetto di una
distinta attenzione, ma costituiscono una differentia specifica che non ostacola la
comune appartenenza al genus proximum degli effetti sopravvenuti rispetto
all’accertamento giudiziale.
D’altra parte la teoria dell’efficacia del giudicato civile nel tempo si occupa
di fenomeni giuridici diversi tra di loro quanto a struttura e modo di funzionare.
3. - Per quanto attiene agli effetti delle sentenze della Corte europea dei
diritti dell’uomo, determinante ai nostri fini è la previsione dell’art. 46 Cedu,
(84) L’incidenza di nuove pronunce giurisprudenziali sui precedenti giudicati è tema che
appartiene tradizionalmente alla dottrina dell’efficacia del giudicato civile nel tempo. Cfr., per
esempio, D. LEIPOLD, in F. STEIN, M. JONAS, Kommentar zur Zivilprozessordnung, 22a ed., 4,
Tübingen, 2008, p. 1247; R. CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, cit., p. 46.
In via di principio, il mutamento dell’indirizzo giurisprudenziale a base della norma
giuridica applicata dal giudice per risolvere la controversia non tocca l’anteriore giudicato, ma
l’ampia impostazione consente comunque di censire all’interno di questa dottrina fenomeni in cui
il legislatore prevede eccezionalmente qualcosa di diverso, come il § 19 della legge tedesca sulle
condizioni generali di contratto (AGB-Gesetz), oggi inserito nell’art. 11 della legge speciale sulle
azioni inibitorie (Unterlassungsklagegesetz), il quale prevede che l'utilizzatore di condizioni
generali di contratto, al quale sia stata vietata l'utilizzazione di una certa clausola inforza di una
sentenza passata in giudicato, può invocare, per superare il divieto, una successiva pronuncia del
BGH o delle sezioni unite delle corti supreme che non interdice l'utilizzabilità della medesima
clausola per il medesimo tipo di atti negoziali.
- 32 -
secondo cui gli Stati contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze
definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti ( 85).
Da questa disposizione si desume che il contenuto della sentenza della
Corte è limitato al mero accertamento della violazione. L’annullamento dell’atto
statale lesivo non rientra nella sua competenza ( 86), bensì in quella dello Stato
responsabile della violazione. Quest’ultimo è obbligato non solo alla cessazione
della violazione, ma anche - già sulla base di un principio consuetudinario di
diritto internazionale ( 87) - ad una restitutio in integrum, cioè ad adottare tutte
quelle misure di ordine generale e - se del caso – individuale, che sono idonee a
rimuovere gli effetti della violazione ripristinando lo stato ad essa anteriore (88).
Secondo una interpretazione evolutiva dell’obbligo di non ripetere la violazione, lo
Stato si deve adoperare affinché violazioni omologhe a quella accertata non
abbiano a ripetersi in futuro ( 89).
Dalla convenzione non discende però l’obbligo di introdurre una ipotesi di
riapertura dei processi all’esito di una pronuncia della Corte europea che abbia
accertato una violazione della convenzione ( 90). Al contrario, la previsione del
potere della Corte di accordare al soggetto leso un’equa soddisfazione se il diritto
interno dello Stato responsabile non permette se non in modo imperfetto di
rimuoverne le conseguenze della violazione (91) è espressione della volontà degli
Stati contraenti di proteggere il proprio ordinamento giuridico interno, e in
particolare i giudicati, dagli effetti delle pronunce della Corte di Strasburgo ( 92).
È però da osservare che in alcune occasioni, a partire dagli anni novanta la
Corte si è spinta a suggerire il rimedio della riapertura del procedimento come il
(85) L’art. 46, comma 2° Cedu prevede inoltre che la sentenza definitiva della corte sia
trasmessa al comitato dei ministriche ne sorveglia l’esecuzione.
(86) J. POLAKIEWICZ, Die Verpflichtungen der Staaten aus den Urteilen des Europäischen
Gerichtshofs für Menschenrechte, cit., p. 223 ss.
(87) Cfr. Corte permanente di giustizia internazionale, Chórzow Factory, Germania v.
Polonia, 26 luglio 1927, Series A, no. 9, p. 21; C. TOMUSCHAT, ‘Reparation for Victims of Grave
Human Rights Violations’, Tulane Journal of International and Comparative Law, vol. 10 (2002), p.
157-184; M. TRAßL, Die Wiedergutmachung von Menschenrechtsverletzungen im Völkerrecht, Bonn,
1992, p. 53; A. BUYSE, Lost and Regained? Restitution as a Remedy for Human Rights Violations in
the Context of International Law, in http://igitur-archive.library.uu.nl
(88) C. GRABENWARTER, Europäische Menschenrechtskonvention, cit., p. 93.
(89) Cfr. W. KARL, in C. SCHWAIGHOFER, W. KARL, P. CZECH, Der Europäische Gerichtshof für
Menschenrechte vor neuen Herausforderungen, Salzburg 2007, p. 39.
(90) Cfr. J. POLAKIEWICZ, Die Verpflichtungen der Staaten aus den Urteilen des Europäischen
Gerichtshofs für Menschenrechte, cit., p. 112 ss., p. 143; E. PACHE, J. BIELITZ,
Verwaltungsprozessuale Wiederaufnahmepflicht kraft Völker- oder Gemeinschaftsrecht, in
Deutsches Verwaltungsblatt, 2006, p. 325 ss.
(91) Cfr. art. 41 Cedu.
(92) Cfr. J. POLAKIEWICZ, Die Verpflichtungen der Staaten aus den Urteilen des Europäischen
Gerichtshofs für Menschenrechte, cit., p. 113.
- 33 -
più adeguato, specialmente in caso di condanna penale emessa da una corte non
indipendente e non imparziale ( 93).
Inoltre, vi è una raccomandazione del comitato dei ministri che incoraggia
gli Stati contraenti ad assicurare adeguate possibilità di riapertura dei processi
nei casi in cui la Corte abbia accertato una violazione della Convenzione,
specialmente quando: a) la parte lesa continua a sopportare conseguenze molto
negative a causa dell’esito della decisione interna, che non possono essere
ristorate adeguatamente attraverso l’equa soddisfazione e non possono essere
corrette se non attraverso la riapertura del processo, e b) la pronuncia della Corte
giunga alla conclusione che la decisione interna impugnata è contraria alla
Convenzione nel suo contenuto di merito, ovvero che la violazione accertata
discende da errori o vizi processuali di una tale gravità da generare un serio
dubbio sul risultato della decisione ( 94).
La raccomandazione è stata seguita da alcuni Stati (95), prevalentemente
con riguardo ai processi penali. Nell’ordinamento tedesco, è stato introdotto un
apposito motivo di revocazione della sentenza civile ( 96).
Sebbene accerti una determinata violazione commessa da uno Stato
contraente e vincoli immediatamente solo quest’ultimo, la pronuncia della Corte
europea dei diritti dell’uomo esplica una efficacia persuasiva nei confronti degli
organi (non solo giurisdizionali) degli altri Stati contraenti. Questa efficacia si
produce nel massimo grado quando le legislazioni e gli orientamenti delle corti di
questi ultimi tengono conto della giurisprudenza della Corte di Strasburgo,
indipendentemente dal fatto che sia stata emanata una sentenza contro lo Stato
cui appartengono.
Incerta e non esente da qualche contraddizione è la qualificazione di questa
efficacia nelle concezioni prevalenti: essa non potrebbe essere qualificata come
efficacia giuridica in senso stretto (97); si potrebbe parlare invece di efficacia
(93) Corte europea dei diritti dell’uomo, 23 ottobre 2003, Gençel c. Turchia; sul punto, cfr.
G. RESS, Der Europäische Gerichtshof für Menschenrechte, seine Reform und die Rolle der
nationalen Gerichte, in Internationale Gerichtshöfe und nationale Rechtsordnung, Simposio in onore
di Franz Matscher, Kehl, 2009, p. 39 ss., specie p. 71.
(94) Raccomandazione del Comitato dei ministri No. R (2000) 2 del 19 gennaio 2000.
(95) Nell’ordinamento austriaco, dove la convenzione europea dei diritti dell’uomo gode di
rango costituzionale, è consentita la riapertura dei processi penali fin dal 1963, nel caso in cui la
Corte europea accolga il ricorso contro una sentenza penale austriaca.
(96) Cfr. § 580, n. 8 ZPO, aggiunto nel 2006, dopo che una corrispondente modifica era
stata introdotta qualche anno prima nel codice di procedura penale. In dottrina, in senso critico,
J. BRAUN, Restitutionsklage wegen Verletzung der Europäischen Menschenrechtskonvention, in
NJW 2007, p. 1620; in senso positivo, E. SCHUMANN, Endlich nach über 50 Jahren: Die Feststellung
der Menschenrechtsverletzung durch den EGMR wird in Deutschland zum zivilprozessualen
Restitutionsgrund, in Festgabe zum 80. Geburtstag von Rudolf Machacek und Franz Matscher, Wien
e Graz, 2008, p. 901 ss.
(97) Così, J. ABR. FROWEIN, Report of the European Commission of Human Rights (7th
Conference of the European Constitutional Courts, Lisbon, 26 - 30 April 1987), in Human rights
- 34 -
indiretta ( 98); però quando gli organi di altri Stati contraenti si orientano alla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ciò accadrebbe «non senza alcun
vincolo giuridico, bensì nella considerazione che la Convenzione in sé vincola gli
Stati e che una diversa prassi dei tribunali, divergente rispetto alla sentenza della
Corte europea dei diritti dell’uono, conduce probabilmente all’accertamento di
una violazione della convenzione. Sebbene la sentenza stessa non è vincolante, si
può parlare di un vincolo alla convenzione nell’efficacia concretizzata dalla Corte»
( 99).
In attesa che il problema riceva un’adeguata sistemazione teorica, che non
può essere affidata a questa indagine, condivido l’idea che il precedente
giudiziario – anche quello destinato ad esplicare una efficacia meramente
persuasiva, come è indubbiamente quello della Corte di Strasburgo al di là delle
parti in controversia, sia fonte di norme giuridiche che integrano l’ordinamento
giuridico di riferimento, poiché il diritto si caratterizza per il fatto di «consistere
nella creazione di un complesso di ‘norme’ destinate ad operare nell’ambito della
struttura sociale di una comunità e nel conferire ai precetti che esse esprimono
una particolare ‘efficacia’, la quale le rende più o meno strettamente ‘vincolanti’
(quando il vincolo è più tenue, si parla di efficacia ‘persuasiva’ delle norme)» ( 100).
Questa tesi muove dal presupposto che «l'efficacia delle fonti del diritto non
è sempre identica a se stessa, ma consiste in una pressione sui destinatari delle
norme affinché ne osservino il comando [..]. Conseguentemente, anche con
riferimento alle fonti tradizionali, possono individuarsi ipotesi nelle quali esse
producono precetti dotati di una forza vincolante più intensa ed altri dotati di una
forza vincolante più blanda» (101).
In particolare, le pronunce giudiziarie costituiscono una fonte produttiva di
norme interpretative, carattere «derivato dal fatto che i precedenti sono principi di
diritto individuati in occasione della pronuncia di concrete decisioni, le quali sono
istituzionalmente destinate a dare applicazione alle norme derivanti dalla legge o
da altre fonti del diritto» ( 102).
law journal (HRLJ), (1988), p. 23–55, specie p. 40; C. GRABENWARTER, Europäische
Menschenrechtskonvention, cit., p. 98.
(98) Così, J. ABR. FROWEIN, Report of the European Commission of Human Rights, cit., p. 40;
C. GRABENWARTER, Europäische Menschenrechtskonvention, cit., p. 98.
(99) Cfr. G. RESS, Supranationaler Menschenrechtsschutz und der Wandel der Staatlichkeit,
in Zeitschrift für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht (ZaöRV), 64 (2004), p. 621–639,
specie p. 630; C. GRABENWARTER, Europäische Menschenrechtskonvention, cit., p. 98.
(100) Così, A. PIZZORUSSO, Sistemi giuridici comparati, 2a ed., Milano, 1998, p. 6.
(101) Nella sua monumentale opera sulle fonti del diritto, Alessandro Pizzorusso include
infatti tra queste ultime anche il precedente giudiziario, in forza della sua efficacia persuasiva.
Cfr. A. PIZZORUSSO, Delle fonti del diritto, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e
Branca, Bologna-Roma, 1977, p. 532 ss., p. 533. In tema vedi anche G. GORLA, voce
Giurisprudenza, in Enc. del Dir., vol. XIX, Milano, 1970, p. 489 ss. la Corte giust. 24 giugno 1969,
causa 29/68, Milchkontor, in Racc., p. 169.
(102) Così, A. PIZZORUSSO, Delle fonti del diritto, cit., p. 536.
- 35 -
L’impatto pratico dell’accoglimento di questa concezione nella prospettiva
della presente indagine si coglie in quegli ordinamenti, ad onor del vero diversi da
quello italiano, in cui si discute della possibilità di estendere in via analogica i
motivi di revocazione della sentenza (103), poiché l’estensione analogica potrebbe
essere messa in moto anche dalla considerazione dell’orientamento della
giurisprudenza della Corte di Strasburgo in fattispecie analoghe a quella da
dedurre nel giudizio di revocazione ( 104).
In ogni caso il problema rimane sul tappeto anche se si assume una
posizione agnostica nei confronti dell’efficacia delle sentenze della Corte di
Strasburgo in fattispecie analoghe, ma diverse da quella decisa e si limita il
discorso a quest’ultima, poiché la teoria dell’efficacia del giudicato civile nel
tempo - come detto - si occupa della successione temporale di effetti giuridici in
riferimento ad una singola e concreta situazione sostanziale accertata in giudizio.
4. - Per quanto attiene agli effetti della decisione pregiudiziale della Corte di
giustizia, essi vincolano il giudice a quo e gli altri giudici nazionali chiamati a
pronunciarsi nel processo principale, compresi i giudici di impugnazione (105).
Più incerta è la soluzione del problema se ci troviamo di fronte ad una
noma giuridica integrativa dell’ordinamento comunitario, nel rapporto con il
diritto interno degli Stati membri, chiamata a disciplinare fattispecie analoghe a
quella che ha originato il rinvio pregiudiziale. Si tratta della questione relativa
all’efficacia delle pronunce interpretative nei processi diversi da quello che ha
originato la rimessione.
Se si aderisce all’idea che il precedente giudiziario dotato di efficacia
persuasiva è fonte di norme giuridiche che integrano l’ordinamento giuridico di
riferimento, non vi sono difficoltà ad accogliere questa tesi per la pronuncia
interpretativa della Corte di giustizia, che - sebbene resa su un rinvio
pregiudiziale compiuto nel corso di un processo dinanzi ad un determinato
(103) Così in quello tedesco dopo la fondamentale monografia di H. F. GAUL, Die Grundlagen
des Wiederaufnahmerechts und die Ausdehnung der Wiederaufnahmegründe: zugleich ein Beitrag
zum Problem der Analogie beim enumerativen Ausnahmerechtssatz, Bielefeld, 1956; H. F. GAUL,
Möglichkeiten und Grenzen der Rechtskraftdurchbrechung unter Berücksichtigung neuerer
Tendenzen im deutschen Zivilprozeßrecht, cit., p. 30.
(104) Cfr. l’opinione, isolata, ma autorevole, di P. SCHLOSSER, Das völkerrechtswidrige Urteil
nach deutschem Prozeβrecht, in ZZP, 79 (1966), p. 164 ss., specie p. 184 ss., che per il diritto
tedesco desume dal canone di interpretazione delle leggi interne in modo favorevole al diritto
internazionale l’obbligo di applicare analogicamente i motivi di revocazione al caso della violazione
accertata dalla Corte europea (accertata per la verità nella stessa fattispecie da dedurre poi nel
giudizio di revocazione dinanzi al giudice tedesco, ma ragionevolmente questa tesi può essere
estesa a fattispecie diverse, ma analoghe).
(105) Cfr. Corte giust., 24 giugno 1969, causa 29/68, Milchkontor, in Racc., p. 169, ove si
precisa che i giudici restano liberi di stabilire se la pronuncia abbia fornito loro lumi sufficienti
oppure sia necessario interpellare nuovamente la corte di giustizia. Cfr. J. SCHWARZE, in J.
SCHWARZE, B. BÄR-BOUYSSIÈRE, EU-Kommentar, 2a ed., Baden-Baden, 2009, p. 1826.
- 36 -
giudice nazionale - risolve il dubbio interpretativo relativo al diritto comunitario
con efficacia per tutti gli ordinamenti degli Stati membri.
In realtà, questa idea non è così distante da quella di attribuire alle
sentenze interpretative della Corte del Lussemburgo un effetto vincolante
«fattuale»: nel senso che queste sentenze, analogamente a quelle delle corti
supreme dei sistemi di civil law, non spiegherebbero effetto immediato al di là
della controversia nel corso della quale sono state emanate, bensì, a cagione della
«loro funzione direttiva per l’applicazione del diritto comunitario» (106),
spiegherebbero una efficacia creativa del diritto dal punto di vista fattuale ( 107).
In realtà, parlare di un effetto vincolante «fattuale» tende semplicemente ad
esorcizzare, a rimuovere un fenomeno giuridico di carattere generale che invece
non è più eludibile: le categorie concettuali che nell’epoca moderna hanno
organizzato la riflessione giuridica, specialmente negli aspetti dinamici (la norma
legislativa, la fattispecie, l’effetto, il rapporto) appaiono sempre di più come voci di
un repertorio chiamate a misurare quanto lo sviluppo dei fatti (in questo caso:
degli atti giurisprudenziali) riesca a proiettare le proprie istanze regolative sui
tradizionali parametri normativi, attraendoli e piegandoli in un certo senso a sé
( 108).
Una riprova si desume dal fatto che le obiezioni tempestivamente svolte nei
confronti della tesi del carattere vincolante in via generale delle pronunce
interpretative della Corte del Lussemburgo ( 109) possono incontrare oggi delle
repliche puntuali sulla base di questo più ampio approccio.
Così è, in primo luogo, per l’obiezione che il contenuto delle pronunce
interpretative è strettamente correlato alle particolari circostanze del caso
concreto oggetto del processo principale. L’obiezione prova troppo: la norma
giuridica è, in una certa misura, sempre ricettiva delle istanze che promanano dal
fatto che la fronteggia, chiedendo di essere regolato ( 110).
Così è, in secondo luogo, per l’obiezione secondo la quale il riconoscimento
di un vincolo discendente dalle pronunce della Corte non è compatibile con il
(106) Così, U. EVERLING, Das Vorabentscheidungsverfahren vor dem Gerichtshof der
Europäischen Gemeinschaften, 1a ed., Baden-Baden, 1986, p. 66.
(107) Così, M. DAUSES, Das Vorabentscheidungsverfahren nach Artikel 177 EG-Vertrag, 2a
ed., München, 1995, p. 155 s.; J. SCHWARZE, in J. SCHWARZE, B. BÄR-BOUYSSIÈRE, EU-Kommentar,
2a ed., Baden-Baden, 2009, p. 1826
(108) Per un più ampio discorso sul punto si rinvia a R. CAPONI, Quanto sono normativi i fatti
della vita? Il rapporto amministrativo, in Diritto pubblico, 2009, p. 159 ss.
(109) Da C. TOMUSCHAT, Die gerichtliche Vorabentscheidung nach den Verträgen über die
europäischen Gemeinschaften, Köln, 1964, p. 184 ss.
(110) Il fenomeno è particolarmente evidente quando la norma trova espressione attraverso
principi, clausole generali, concetti giuridici indeterminati. Ove si tratti della concretizzazione di
principi, ecc., il confronto e influenzamento tra i tratti della situazione di fatto possibilmente
rilevanti e i tratti della norma giuridica possibilmente applicabili, che sempre caratterizzano
l’attività di applicazione delle norme giuridiche ai casi della vita, si profilano per un’intensa
proiezione sul parametro normativo delle istanze di regolazione del caso concreto.
- 37 -
fatto che i giudici nazionali possono chiedere alla Corte di giustizia di
pronunciarsi di nuovo sulle questioni interpretative già decise. L’obiezione
misconosce la già ricordata modulazione dell’efficacia vincolante delle fonti del
diritto.
Così è, in terzo luogo, per l’obiezione secondo la quale le pronunce delle
corti supreme non hanno efficacia integratice dell’ordinamento in cui si
inseriscono e, a fortiori, non possono avere tale efficacia le pronunce
interpretative della Corte di giustizia. L’obiezione urta contro l’ampia possibilità di
negare la stessa premessa su cui essa si fonda.
Questa impostazione sembra la più calzante rispetto all’impatto effettivo
delle pronunce della Corte del Lussemburgo, al di là di quello che dicono o non
dicono le prescrizioni dei Trattati, nonché rispetto alla concezione, sostenuta
dalla stessa Corte di giustizia, secondo la quale tali pronunce hanno una efficacia
corrispondente a quella di una norma di interpretazione autentica ( 111), che
impone alle corti nazionali di ultima istanza di rimettere di nuovo al questione
alla Corte di giustizia, qualora intendano discostarsi dall’interpretazione adottata
dalla Corte del Lussemburgo ( 112). Un vincolo quest’ultimo che non può esercitare
una pressione anche sui giudici non di ultima istanza in favore del rinvio alla
Corte di giustizia o, in alternativa, dell’adesione all’orientamento di quest’ultima
( 113).
In ogni caso vale in riferimento all’efficacia delle pronunce della Corte del
Lussemburgo in fattispecie diverse da quella che ha originato il rinvio
pregiudiziale quanto sostenuto in riferimento all’efficacia delle pronunce della
Corte di Strasburgo: il problema rimane sul tappeto anche se si assume una
posizione agnostica e si limita il discorso alla fattispecie che ha originato il rinvio
pregiudiziale.
(111) Cfr. Corte giust. 27 marzo 1980, cause riunite 66, 127 e 128/79, Amministrazione
delle finanze contro srl meridionale industria salumi, in Racc., p. 1237: «l’interpretazione di una
norma di diritto comunitario data dalla corte nell’esercizio della competenza ad essa attribuita
dall’art . 177 chiarisce e precisa, quando ve ne sia il bisogno, il significato e la portata della
norma, quale deve, o avrebbe dovuto, essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in
vigore».
(112) Cfr. Corte giust. 27 marzo 1963, cause riunite 28, 29 e 30/62, Da costa, in Racc., p.
59: «l’obbligo che l’articolo 177, comma 3°, impone al giudice nazionale di ultima istanza può
essere privato della sua causa (e reso senza contenuto ) dall’autorità dell' interpretazione data
dalla corte in virtù dell'articolo 177, qualora la questione sollevata sia materialmente identica ad
altra questione sulla quale la corte si sia già pronunciata in via pregiudiziale con riguardo ad
analoga fattispecie». Nello stesso senso, Corte giust., 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit, in
Racc., p. 3415.
(113) Così, infatti, E. D’ALESSANDRO, Riflessioni sull’ambito soggettivo di efficacia delle
sentenze interpretative della Corte di giustizia, cit., p. 1455 s.
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5. – Precisate le differenze tra gli effetti delle pronunce delle due corti
europee sull’anteriore giudicato, si può riprendere il discorso comune dall’angolo
visuale della teoria dell’efficacia del giudicato civile nel tempo.
In primo luogo, le pronunce scaturiscono dall’applicazione di un
paramentro normativo sovraordinato rispetto alla legge ordinaria. Si può parlare
di un canone normativo di ordine giuridico-costituzionale, senza che la diversità
tecnico-giuridica del modo di esplicarsi di questo carattere sovraordinato tra il
diritto comunitario e la Cedu impedisca di svolgere un’analisi contestuale.
In secondo luogo, gli effetti delle pronunce delle due corti europee sono in
senso lato «retroattivi». Dico in senso lato e impiego il termine tra virgolette poiché
non intendo far dipendere questa qualificazione dalla annosa e difficilmente
risolubile controversia relativa alla individuazione dell’essenza del fenomeno della
retroattività, delle leggi in particolare, ma non solo delle leggi ( 114).
Parlo della retroattività connaturata alla giurisdizione, come attività che si
fa sempre interprete di una dimensione preesistente, secondo l’etimo della parola
«giurisdizione» (iurisdictio) ( 115): dire il diritto presuppone che questo sia già
creato, significa renderlo manifesto, applicarlo, non crearlo. Pacifico è, d’altra
parte, il carattere retroattivo dell’efficacia del precedente giudiziario, retroattività
paragonabile a quella delle altre norme interpretative ( 116).
Se il termine retroattività appare inappropriato, si può parlare di
retrospettività, ma la sostanza non cambia.
È appena il caso di cercare conferme nella giurisprudenza delle due corti
europee. Può essere sufficiente richiamare in questo contesto l’orientamento della
Corte del Lussemburgo, secondo cui le pronunce rese su rinvio pregiudiziale
spiegano un’efficacia ex tunc. I giudici nazionali sono obbligati ad applicare anche
(114) Dall’art. 11 Preleggi si ricava a contrario una definizione di norma retroattiva che,
nonostante la sua indeterminatezza e genericità, si può assumere come ipotesi di lavoro: la norma
retroattiva «dispone per il passato». Controverso è che cosa ciò significhi in concreto.
Nodo centrale: il trattamento delle situazioni pendenti al momento dell’entrata in vigore
della nuova norma.
A mio avviso la retroattività va intesa come valutazione o rivalutazione di un interesse
istantaneo del passato o di quel tratto dell'interesse durevole che si situa nel passato. Il principio
d'irretroattività comporta dunque che l'esistenza e il modo di essere della situazione istantanea
sorta in un momento anteriore rimangano definitivamente acquisiti, così come sono stati fissati
dalla norma giuridica anteriore, al patrimonio del soggetto titolare.
Punto fermo: ci sono alcune situazioni del passato che di regola non vengono travolte dalla
norma retroattiva. Si tratta delle situazioni che esauriscono i rapporti giuridici (res finitae) non
solo alla stregua della norma anteriore, ma anche nei confronti della norma posteriore retroattiva.
Punto controverso è l’elenco di tali situazioni, che è oscillante nel corso della storia, ma da
sempre comprende la cosa giudicata, come si vedà meglio in seguito nel testo.
Per un più ampio discorso sulla retroattività, nonché per la citazione della letteratura
classica, rinvio a R. CAPONI, La nozione di retroattività della legge, in Giur. cost., 1990, p. 1332 ss.
(115) Cfr. GROSSI, L’ordine giuridico medievale, Bari, 1995, p. 95, p. 130 ss., in riferimento
alla peraltro complessa e polivalente nozione di iurisdictio nell’esperienza medievale.
(116) Così, A. PIZZORUSSO, Delle fonti del diritto, cit., p. 536.
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ai rapporti giuridici sorti nel passato l’interpretazione del diritto comunitario
adottata dalla Corte di giustizia ( 117).
Ne segue che, all’interno della teoria dell’efficacia del giudicato civile nel
tempo, nella prospettiva di trovare indicazioni utili per il nostro tema, devono
essere approfonditi in particolare i rapporti tra il giudicato e l’incidenza di effetti
sopravvenuti retroattivi.
È opportuno cercare di rendere fruttuosi nella prospettiva della presente
indagine, lo studio di tali rapporti ( 118).
Questo è l’obiettivo della prossima sezione.
V. Effetti accertati ed effetti sopravvenuti
1. - Tra l’effetto giuridico accertato in giudizio e quello sopravvenuto può
esservi un rapporto di semplice successione temporale o di conflitto.
2. - L'effetto giuridico sopravvenuto non confligge con quello accertato
quando esso è prodotto dall'intervento di un fatto modificativo o estintivo
rilevante, dopo l’accertamento giudiziale di un effetto istantaneo o durevole ( 119), o
di una norma giuridica irretroattiva, che rileva solo se l’accertamento ha avuto ad
oggetto un effetto durevole, riqualificandone per l’avvenire taluni aspetti ( 120).
(117) Cfr. fra le altre Corte giust. 27 marzo 1980, cause riunite 66, 127 e 128/79,
Amministrazione delle finanze contro srl meridionale industria salumi, cit. la norma così
interpretata dalla Corte del Lusssemburgo può, e deve, essere applicata dal giudice anche a
rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa, se, per il resto, sono
soddisfatte le condizioni che consentono di portare alla cognizione dei giudici competenti una
controversia relativa all'applicazione di detta norma.
(118) Cfr. R. CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, cit., passim.
(119) Per qualche rilievo di ordine sistematico sulla distinzione tra situazioni soggettive ad
effetti istantanei e ad effetti durevoli, si rinvia avanti.
(120) In questa prima ipotesi i problemi da risolvere sono essenzialmente due.
Il primo problema: l'individuazione del momento nel tempo al quale si riferisce l'efficacia
del giudicato e a partire dal quale si può parlare di effetto giuridico sopravvenuto.
In relazione ai fatti, è il tempo della precisazione delle conclusioni. Il momento della
precisazione delle conclusioni è infatti l’ultimo momento in cui i fatti possono essere introdotti in
giudizio (o meglio, in quel grado di giudizio che si è chiuso con la sentenza passata in giudicato).
Tutti i fatti sopravvenuti dopo questo momento, nella misura in cui sono rilevanti per la
situazione sostanziale accertata in giudizio, mantengono intatta rilevanza e possono essere fatti
valere, se necessario, in un successivo giudizio.
In relazione alle norme giuridiche, è il tempo della pubblicazione della sentenza. Il
momento della pubblicazione della sentenza è infatti l’ultimo momento in cui il giudice può tenere
conto dello ius superveniens, provocando sul punto il contraddittorio delle parti.
Il secondo problema: l'individuazione dei presupposti e dei criteri che determinano la
rilevanza dell’effetto sopravvenuto. Evidentemente non tutti i fatti e le leggi sopravvenuti sono in
quanto tali rilevanti. Sono tali, rispetto ad un giudicato che accerta l'esistenza di un rapporto tra
le parti, quei fatti che si sono verificati successivamente al momento della precisazione delle
conclusioni e che producono un effetto estintivo o modificativo del rapporto accertato. Irrilevante
è, in linea di principio, la circostanza che la parte che si sarebbe avvantaggiata dell'allegazione di
un fatto verificatosi anteriormente al momento della precisazione delle conclusioni, venga a
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3. - L’effetto giuridico sopravvenuto può confliggere con quello accertato
quando il primo è prodotto dall'intervento di uno ius superveniens retroattivo
(retrospettivo).
Il conflitto si verifica quando lo ius superveniens retroattivo ricollega un
nuovo effetto giuridico nel presente ad una situazione di fatto in maniera tale che
risulta mutato il trattamento giuridico dell'interesse protetto dalla situazione
sostanziale accertata in giudizio.
4. - Se è accertata in giudizio una situazione sostanziale ad effetti
istantanei, essa riceve disciplina integrale da parte della sentenza. Le norme
giuridiche che sopravvengono dopo il momento a cui si riferisce il giudicato non
possono toccare la situazione istantanea senza essere retroattive. Esse
introducono un effetto giuridico che entra in conflitto con l'accertamento
giudiziale precedente e che può effettivamente prodursi nei confronti della
situazione istantanea accertata solo se è possibile dimostrare che tale conflitto sia
risolto dall'ordinamento a favore della legge retroattiva.
5. - In ipotesi di situazione sostanziale ad effetti durevoli nel tempo, la
norma è retroattiva solo quando modifica gli effetti della situazione durevole già
prodottisi fino al momento della sua entrata in vigore. La legge non è retroattiva
nel momento in cui interviene sugli effetti della situazione durevole da prodursi
dopo la sua entrata in vigore.
Se la situazione durevole è accertata in giudizio essa riceve una disciplina
solo parziale ad opera dell’accertamento giudiziale: la disciplina di quel tratto di
essa che si è svolto fino al momento a cui si riferisce il giudicato. Lo ius
superveniens retroattivo introduce dunque un effetto giuridico in conflitto con il
precedente giudicato solo nell'ipotesi in cui vengano attaccati gli effetti della
situazione durevole prodottisi entro il referente temporale del giudicato. Lo ius
superveniens retroattivo può intervenire sugli effetti della situazione durevole
saperedella sua esistenza solo dopo questo momento. La nozione di rilevanza è elaborata sulla
base del criterio che gli svolgimenti di fatto inerenti alla situazione giuridica accertata successivi
al momento della precisazione delle conclusioni vengono disciplinati dalle norme di diritto, a meno
che non si tratti delle condotte delle parti funzionali alla rimozione dell'illecito constatato nel
precedente giudizio, le quali rinvengono ormai la fonte della loro rilevanza giuridica nella
prescrizione concreta che si origina dall'accertamento giudiziale, e che le assume ad oggetto.
Questo criterio può essere applicato alla sopravvenienza successiva all'accertamento delle
situazioni istantanee e di durata.
Un discorso particolare merita peraltro l'ipotesi in cui dopo il giudicato prosegua un
rapporto tra le parti, in relazione al quale entramhe o una di esse siano titolari di un potere di
modificazione o di estinzione, esercitabile immediatamente sul terreno sostanziale o per mezzo di
domanda giudiziale (per l’esame di questo problema si rinvia a R. CAPONI, L’efficacia del giudicato
civile nel tempo, cit., p. 133 ss.
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prodottisi tra il momento a cui si riferisce il giudicato e la sua entrata in vigore
senza entrare in conflitto con questo.
6. - Il conflitto tra l’effetto giuridico accertato in giudizio e quello
sopravvenuto è un’antinomia in senso tecnico tra la regola di comportamento per
le parti ricavabile dal giudicato e quella ricavabile dallo ius superveniens
retroattivo. Essa deve essere risolta assicurando la prevalenza all'una o all'altra
regola di comportamento.
In questo caso il principale criterio che determina la rilevanza dell'effetto
giuridico sopravvenuto è lo stesso criterio risolutivo del conflitto tra l'effetto
giuridico accertato e quello prodotto dallo ius superveniens retroattivo.
L'individuazione di tale criterio passa in primo luogo attraverso la verifica della
tenuta teorica del tradizionale principio che sancisce l'esistenza di taluni fatti o
atti (tra cui la sentenza passata in giudicato) che impediscono l'applicazione dello
ius superveniens retroattivo ai rapporti giuridici che essi assumono ad oggetto.
7. - Il principio della resistenza dei rapporti esauriti nei confronti dello ius
superveniens retroattivo affonda le proprie radici in una tradizione storica
risalente al diritto romano. Esso afferma l'esistenza di talune situazioni giuridiche
che, in mancanza di una espressa o comunque inequivocabile manifestazione di
volontà da parte della legge retroattiva, sono sottratte all'ambito di operatività di
quest’ultima.
Questo principio può essere accolto dal diritto positivo solo a patto che la
categoria delle situazioni giuridiche che determinano l’esaurimento del rapporto
sia opportunamente ristretta, rispetto ai contorni che essa ha assunto nel corso
dei secoli. Essa non può ricomprendere sic et simpliciter tutte le situazioni che
determinano l'esaurimento del rapporto alla sola stregua del diritto anteriore.
Questo esaurimento non è in grado di per sé di impedire che quelle situazioni che
la legge anteriore considerava estinte cadano nella sfera di dominio dello ius
superveniens retroattivo, anche quando esso non contenga una previsione che
sancisca espressamente la caducazione dell'efficacia dei fatti o degli atti giuridici
di esaurimento del rapporto. La norma giuridica - sia essa retroattiva o meno opera infatti ricollegando effetti a fattispecie e l'unica condizione per il verificarsi
dei primi è il venire in essere o la presenza del fatto che integra l’ipotesi
normativa.
È opportuno quindi ricercare il proprium delle situazioni che esauriscono il
rapporto nei confronti dello ius superveniens retroattivo in un effetto peculiare da
loro prodotto proprio sul piano del funzionamento della norma giuridica. Tale
effetto consiste nell'impedire che la fattispecie costitutiva del rapporto possa
ormai essere oggetto di sussunzione entro l'astratto schema legislativo.
- 42 -
8. - Questo effetto si può produrre, fuori e indipendentemente dal processo,
in virtù di una dichiarazione di volontà che incide su un precedente rapporto
giuridico in corso fra due o più parti, in maniera tale che essa diventa la fonte
esclusiva a cui si deve fare riferimento nella disciplina del rapporto. Ciò accade
quando, verificatasi una situazione d’incertezza intorno all'esistenza o al modo di
essere di un rapporto giuridico, essa viene tolta di mezzo mercé un atto di
autonomia negoziale che, affermando in maniera vincolante una determinata
configurazione del rapporto, sancisce la perdita di rilevanza giuridica della sua
esistenza o del suo modo di essere originari. È proprio la recisione del nesso di
condizionalità tra fattispecie concreta ed effetto giuridico previsto dalla norma
astratta di legge e la conseguente sostituzione di quest'ultimo con il precetto
dell'autonomia privata che consente di accreditare l'esaurimento del rapporto sul
piano non solo della lex temporis ma anche dello ius superveniens retroattivo.
Idonee a produrre tale esaurimento intertemporale del rapporto sono,
accanto alla transazione, ricompresa espressamente sin dall'inizio (accanto al
giudicato), nel novero delle situazioni che esauriscono il rapporto, le figure che ad
essa possono essere assimilate sotto il profilo funzionale: la conciliazione, il
riconoscimento (o, più in generale, il negozio di accertamento) e la rinunzia (121).
9. - Si può passare a questo punto ad esaminare il tema dell'intangibilità
del giudicato da parte dello ius superveniens retroattivo. Se si postula che questo
principio trovi un fondamento teoricamente attendibile nella tradizione storica e
nelle esigenze di opportunità che ad essa sono sottostanti, e si tenta di
individuare, in base alle tradizionali teorie sulla natura del giudicato, il modo di
operare di quest'ultimo che sia teoricamente adeguato e coerente con tale
principio, non si è in grado di pervenire ad un risultato soddisfacente.
D'altra parte se si assume lo stesso dato della resistenza del giudicato nei
confronti dello ius superveniens retroattivo come problematico e necessitante di
(121) Inidonei a produrre l'esaurimento intertemporale del rapporto sono tutti i fatti e gli atti
giuridici in senso stretto. Gli effetti di questi fatti ed atti sono determinati sempre in via generale
ed astratta dalla legge. Essi continuano a risentire delle vicende temporali della norma astratta
che li dispone. Se la legge viene retroattivamente abrogata, vengono regolarmente meno anche gli
effetti dei fatti giuridici verificatisi e degli atti giuridici in senso stretto compiuti medio tempore, a
meno che dallo ius superveniens non si possa evincere la volontà di tenerli in piedi.
L'impostazione proposta esclude la prescrizione del diritto dal novero delle situazioni che
esauriscono il rapporto. Essa non è in grado di provocare lo sganciamento della rilevanza giuridica
della fattispecie del rapporto dalla normativa astratta, sganciamento che è il proprium del modo di
operare delle situazioni che esauriscono i rapporti nei confronti della legge retroattiva. L'effetto
provocato dalla prescrizione rimane dunque nella piena disponibilità del legislatore successivo, il
quale, con una norma retroattiva, può abolire questo effetto e ridare vita ad una situazione
giuridica che si è esaurita solo dal punto di vista della lex temporis e non anche da un punto
divista intertemporale.
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giustificazione sul piano del diritto positivo e non solo con un mero richiamo alla
tradizione storica, occorre constatare l'insufficienza dei tentativi di accreditare la
resistenza del giudicato nei confronti dello ius superveniens retroattivo con gli
argomenti tratti dal diritto positivo.
È invece decisivo appoggiarsi ai risultati conseguiti in tema di
individuazione dei tratti caratteristici della categoria delle situazioni che, in via
stragiudiziale, esauriscono il rapporto giuridico nei confronti dello ius
superveniens retroattivo.
Né questo deve sorprendere più di tanto, considerato che il giudicato è
un’istituzione sociale che ad un certo punto della sua storia si è collegato con le
funzioni che lo Stato moderno ha assunto su di sé. Il giudicato costituisce
piuttosto uno degli elementi di quella dimensione originaria della società civile,
che affida ad un terzo imparziale e disinteressato la giusta composizione di una
controversia, nel contraddittorio dei destinatari degli effetti dell’atto finale.
Anche l’accertamento giudiziale - al pari della transazione, mutato il molto
che si deve mutare - determina lo sganciamento della rilevanza giuridica della
fattispecie dedotta dalla norma astratta. Dopo il giudicato, la situazione dedotta
in giudizio rinviene ormai compiutamente la propria disciplina non più nella
norma astratta, ma nella sentenza.
La norma sopravvenuta retroattiva, anche se scalza ora per allora l'efficacia
della lex temporis, non può rimettere in discussione la situazione accertata in
giudizio: la tenuta di quest'ultima, diversamente da quella della situazione non
accertata in giudizio, non dipende dalla permanenza del vigore della norma
astratta.
Lo sganciamento della rilevanza giuridica della fattispecie dell’effetto
accertato dalla norma astratta, e dunque l'operatività del principio
dell'intangibilità dell'accertamento giudiziale rispetto alle norme retroattive, ha
luogo sempre entro le dimensioni temporale e oggettiva dell'accertamento
giudiziale.
VI. Giudicato e costituzione
1. - La sintesi di alcuni fra i risultati più rilevanti per la presente indagine
di uno studio compiuto alla fine degli anni ottanta del secolo XX ( 122), compiuta
nel capitolo precedente, deve essere integrata e arricchita da un approfondimento
della dimensione costituzionale del problema ( 123).
(122) Cfr. R. CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, cit.
(123) Dimensione costituzionale certamente già presente allora nello studio, come è
attestato dall’ultimo capitolo, R. CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, cit., p. 361 ss.,
ma probabilmente sottovalutata nella sua effettiva portata.
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Come tradizionale presidio di stabilità dell’applicazione giudiziale della legge
ordinaria, il giudicato è chiamato a confrontarsi con il moltiplicarsi dei piani di
legalità: sopra a quello della legge ordinaria, si staglia prima di tutto quello della
costituzione.
Giudicato e diritto (nonché giustizia) costituzionale: incontri e scontri.
Così possono sintetizzarsi gli esiti di questo confronto, nella esperienza
giuridica europeo-continentale più ricca e riflessiva: quella tedesca, a cui si
indirizza dapprima l’esame.
2. - Il giudicato incontra il diritto costituzionale, nel momento in cui esso,
insieme all’atto amministrativo inoppugnabile ( 124), trova una garanzia
costituzionale nei confronti degli interventi retroattivi del legislatore, attraverso il
principio della certezza del diritto come componente dello Stato di diritto (125).
Il legislatore conserva il potere di disporre in ipotesi eccezionali il venir
meno dei giudicati, componendo la tensione tra giustizia del caso concreto e
certezza del diritto a favore della prima, nel rispetto dei criteri della
proporzionalità e della esigibilità nel caso singolo ( 126).
Qual è l’intonazione della protezione che il giudicato riceve dal principio
dello Stato di diritto?
È un’intonazione soggettiva (è protetto soprattutto l’interesse individuale e
concreto della parte che ha vinto il processo?) oppure è un’intonazione oggettiva
(è protetto soprattutto il principio della separazione dei poteri, ovvero sono
protette le attribuzioni dell’autorità giudiziaria in materia di tutela dei diritti?).
La domanda è ineludibile, perché il concetto di Stato di diritto, al pari di
molti altri cardini dell’esperienza giuridica moderna nell’Europa continentale è
bipolare.
L’esaltazione dell’individuo e della sua libertà, propria delle correnti del
giusnaturalismo nel secolo XVII e dell’illuminismo giuridico nel secolo XVIII,
conduce a costruire sull’individuo un ricco apparato di situazioni soggettive, che
rinvengono il loro fondamento nel diritto naturale e non possono pertanto essere
attaccate sul piano storico, né essere violate dal potere politico contingente (127).
Sorretta dall’intento di proteggere il nuovo individuo borghese e la sua libertà
economica, si afferma la tendenza a parlare preferibilmente il linguaggio dei diritti
(124) Si mantiene tuttavia teoricamente distinta la Rechtskraft della sentenza dalla
Bestandskraft dell’atto amministrativo inoppugnabile.
(125) Cfr. BVerfGE, 2, p. 380 ss., p. 404. Cfr. M. SACHS, in Grundgesetz. Kommentar, 5a ed.,
a cura di M. Sachs e U. Battis, München, 2009, sub art. 20.
(126) Cfr. BVerfGE, 59, p. 128 ss., p. 166. Per una critica di questo approccio un poco
metafisico, v. J. BRAUN, Rechtskraft und Restitution, 2 voll., Berlin, 1979-1985.
(127) Per questi sviluppi e per la relativa bibliografia si vedano R. ORESTANO, voce Azione, in
Enc. del Dir., vol. IV, Milano, 1959, p. 785 ss., p. 788; P. GROSSI, Scienza giuridica italiana, Milano,
2000, p. 5.
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sostanziali, piuttosto che quello delle azioni giudiziali. Se l’individuo ha attributi
originari e inviolabili, anche la loro protezione giudiziale non può scaturire da un
rimedio concesso dal giudice, ma deve sgorgare da quello stesso apparato di
situazioni soggettive sostanziali.
In questo contesto, la tradizionale distinzione tra ius privatum e ius
publicum si accentua progressivamente fino a spezzare l’unità concettuale del
diritto: «l’elaborazione del diritto privato, inteso come sistema dei diritti soggettivi,
e quella del diritto pubblico, inteso come l’insieme delle norme di organizzazione
dell’ordinamento politico, cominciarono ad andare ciascuna per la propria strada,
facendo capo a fondazioni diverse, l’una basandosi sugli attributi originari della
persona, l’altra sugli attributi originari dello Stato e della sovranità» (128).
In questa temperie, l’impianto ideologico e politico teso ad esaltare gli
attributi dell’individuo non avrebbe potuto conseguire il suo durevole successo se
non avesse cercato e trovato un alleato nel potere politico, in una figura
idealizzata di Principe, chiamato a leggere la natura delle cose e a tradurla in
regole per la nuova società composta di soggetti formalmente liberi ed uguali ( 129).
Con questa alleanza, la contraddizione tra la prospettiva di un ordinamento
imperniato sugli attributi originari della persona e quella di un ordinamento
imperniato sugli attributi originari dello Stato formalmente si supera, ma si
conserva anche, quasi come sintesi dialettica e proietta la propria tensione
bipolare anche all’interno di un pilastro concettuale dell’esperienza moderna,
come lo Stato di diritto.
Quest’ultimo si fonda su due colonne portanti, entrambe orientate al
vincolo, alla limitazione e al bilanciamento del potere statale. La prima colonna è
il principio della separazione dei poteri (intonazione oggettiva: si guarda
all’organizzazione dello Stato), la seconda è la garanzia dei diritti fondamentali
dell’uomo e del cittadino (intonazione soggettiva: si guarda all’individuo) ( 130).
Si tratta di una nozione di Stato di diritto che, per il fatto stesso di essere
inserita fra le garanzie delle attuali costituzioni europeo-continentali, non può
essere più appiattita entro la nozione ottocentesca, perché - di nuovo le parole di
Luigi Mengoni sono molto felici: «la Costituzione rifiuta la riduzione positivistica
della legittimità (ossia della giustizia) alla legalità, ma converte il problema della
fondazione etica della legittimità in un problema giuridico» ( 131).
(128) Così, R. ORESTANO, voce Azione, cit., p. 789.
(129) A tale proposito, P. GROSSI, Scienza giuridica italiana, cit., p. 5, parla della «più grossa
e ingombrante antinomia della cultura giuridica modena».
(130) Cfr. per tutti, E. SCHMIDT-AΒMANN, Der Rechtstaat, in Handbuch des Staatsrechts der
Bundesrepublik Deutschland, I, 2a ed., Heidelberg, 1995; C. CALLIES, Rechtsstaat und Umweltstaat,
Tübingen, 2001, p. 51.
(131) Così, L. MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1997, p. 117, già citato
indietro.
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È una nozione di Stato di diritto che, nonostante la fedeltà del nome alla
tradizione, si è già spostata nella prospettiva della rule of law. Cioè in una
dimensione in cui non si postula lo Stato, bensì «piuttosto, un diritto extrastatuale, autonomo: il diritto comune, il case law, insomma il diritto dei giudici e
dei giuristi. Dunque, c'è rule of law anche, e soprattutto, «senza Stato»; o, più
esattamente, senza che lo Stato avochi a sé la produzione del diritto. [..] Lo Stato
di diritto propriamente detto è uno Stato che si autolimita giuridicamente,
laddove la rule of law è la limitazione dello Stato mediante un diritto non statuale.
Nel primo caso lo Stato si subordina al suo diritto; nell'altro caso lo Stato è
subordinato da un diritto non suo ( 132).
Mi sembra che questo spostamento in direzione della rule of law sia
promosso non solo dal sovrapporsi alla dimensione nazionale di una dimensione
giuridica - e soprattutto giurisdizionale - internazionale e sovranazionale ( 133), ma
già dalla trasformazione del concetto di Stato di diritto in parametro di giudizio di
costituzionalità delle leggi ordinarie, affidato ad un organo, la Corte
costituzionale, che si colloca in realtà - almeno negli auspici e nelle realizzazioni
migliori - al di fuori dello «Stato-apparato» ed assume un ruolo di cerniera tra
Stato e società.
Non vi è dubbio che l’intonazione della protezione che lo Stato di diritto
offre al giudicato sia soggettiva: campeggia la tutela dell’affidamento delle parti
sul risultato del processo ( 134). Né ciò deve sorprendere: come detto, il giudicato
non serve alla ragion di Stato, ma è connaturato alla funzione pratica e sociale
dell’atto di composizione della lite e tutela in primo luogo ed essenzialmente
l’interesse individuale e concreto della parte che ha vinto il processo: il
chiovendiano bene della vita.
3. - Il giudicato si scontra con il diritto costituzionale, laddove il rispetto di
quest’ultimo è presidiato da una Corte costituzionale che può pronunciare
l’incostituzionalità di una legge, determinandone la perdita di efficacia erga omnes
ed ex tunc.
Se la legge che il giudice ha applicato nel risolvere la controversia è
successivamente dichiarata incostituzionale, che dovrà accadere del giudicato?
(132) Così, G. SARTORI, Nota sul rapporto tra Stato di diritto e Stato di giustizia, in Riv. int. fil.
dir., 1964, p. 310 s. Il pensiero di Sartori, che peraltro sottovaluta il cambiamento introdotto dalle
costituzioni del secondo dopoguerra e dal controllo giurisdizionale di costituzionalità delle leggi,
poiché egli continua a cogliervi solo una ottocentesca «autolimitazione dello Stato mediante il
diritto», è ricordato da N. PICARDI, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, cit., p. 77 s.
(133) Come inclina a ritenere N. PICARDI, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, cit., p.
191.
(134) Cfr. per tutti, M. SACHS, in GG Grundgesetz Kommentar, 5a ed., a cura di M. Sachs,
München, 2009, p. 819.
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Il § 79 della legge istitutiva del Tribunale costituzionale federale ( 135), dopo
aver previsto al comma 1° che l’accertamento della incostituzionalità della norma
su cui si basa una sentenza penale di condanna dischiude le porte della
riapertura del processo secondo le norme del codice di procedura penale, dispone
al comma 2° che rimangano intatte le «decisioni non più impugnabili» che si
fondano su una norma dichiarata nulla per incostituzionalità. Peraltro, se la
decisione non è stata ancora eseguita, l'esecuzione forzata non è ammessa e la
dichiarazione di incostituzionalità può fondare l’opposizione all’esecuzione ai
sensi del § 767 Zpo. Rimane esclusa l'azione di arricchimento senza causa.
Entro il concetto di decisione non più impugnabile, ai sensi del § 79,
comma 2° BVerfGG, rientrano le sentenze (e i provvedimenti giudiziali aventi
forma diversa dalla sentenza) passate in giudicato e gli atti amministrativi
inoppugnabili. La disposizione si riferisce cioè agli «atti di autorità» (Hoheitsakte).
Se si limita il discorso alle sentenze civili passate in giudicato, il significato
di questa disposizione è di escludere che la dichiarazione di incostituzionalità
della norma applicata in giudizio possa essere fatta valere come motivo di
revocazione. Questo significa che la sentenza rimane intatta «con tutta la forza e
la debolezza» che essa possiede secondo i principi generali.
Secondo la Corte costituzionale tedesca questa disposizione è il risultato di
un compromesso tra la certezza del diritto e la giustizia del caso concreto: una
esclusiva considerazione del punto di vista della giustizia condurrebbe a
prevedere il superamento di tutte le decisioni emanate sulla base della norma
dichiarata incostituzionale e annullata, ma questa scelta radicale viene evitata in
considerazione della certezza del diritto, della quale il legislatore avrebbe
riconosciuto il sopravvento (136).
L'esperienza giuridica tedesca ha rifiutato pertanto di desumere tutte le
conseguenze dall'assunto radicale della nullità della legge incostituzionale.
Muovendo da una posizione così radicale, l'ordinamento tedesco ha ritenuto
opportuno sancire espressamente la salvezza dell'autorità dei giudicati civili. Il §
79, comma 2° BVerfGG è una disposizione di notevole rilievo, poiché essa
sancisce codesta salvezza in via generale nei confronti di un atto successivo (la
pronuncia della Corte costituzionale) che, in forza del suo ambito d'efficacia,
metterebbe teoricamente in discussione i giudicati precedenti.
Non può destare meraviglia quindi che proprio nella dottrina tedesca sia
stata avanzata una proposta interpretativa secondo la quale il legislatore
(135) Bundesverfassungsgerichtsgesetz - BVerfGG. Cfr. D. C. UMBACH, T. CLEMENS, F-W.
DOLLINGER, Bundesverfassungsgerichtsgesetz. Mitarbeiterkommentar und Handbuch, 2a ed,
Heidelberg, 2005.
(136) Cfr. BVerfGE, 2, p. 380 ss., p. 404.
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moderno ha preso nel § 79, comma 2° BVerfGG una decisione fondamentale, che
si estende al di là della fattispecie espressamente regolata e tocca, in particolare,
la questione degli effetti che una legge retroattiva esercita nei confronti di una
sentenza passata in giudicato: «l'abolizione retroattiva di una semplice norma di
legge attraverso un nuovo atto di legislazione non può avere, nei confronti della
resistenza di una decisione passata in giudicato, efficacia più forte della
dichiarazione di nullità retroattiva di una norma incostituzionale da parte del
Bundesverfassungsgericht» ( 137).
4. - La salvezza del giudicato civile conosce un temperamento fondamentale
nell’ordinamento tedesco, quando esso viola un diritto fondamentale
dell’individuo e la violazione è fatta valere impugnando la sentenza passata in
giudicato davanti alla Corte costituzionale entro un termine breve, grazie alla
presenza del ricorso individuale di costituzionalità (Verfassungsbeschwerde):
«chiunque affermi la lesione di un proprio diritto fondamentale ad opera del
pubblico potere, può proporre ricorso alla Corte costituzionale (138).
In questo contesto l’espressione «potere pubblico» si riferisce a tutti e tre i
poteri dello Stato ( 139): legislativo, esecutivo, giudiziario: «con la
Verfassungsbeschwerde il controllo del comportamento conforme a Costituzione
di tutti e tre i poteri statali è posto nelle mani di un’unica Corte centrale» (140).
Il rapporto tra la Verfassungsbeschwerde e la tutela giurisdizionale dinanzi
ai giudici comuni è impostato in via di principio in termini di sussidiarietà (e di
straordinarietà) della prima rispetto alla seconda. Tale carattere trova la sua
espressione legislativa di base nel § 90, comma 2°, BVerfGG, nella sua prima
parte, secondo la quale: «se contro la violazione è ammissibile la via giudiziaria, la
(137) Per i riferimenti, cfr. R. CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, cit, p. 370 ss.
(138) Così dispone oggi l’art. 93, comma 1°, n. 4 a GG, diversamente dalla versione
originaria del Grundgesetz, che non prevedeva il ricorso individuale di costituzionalità. Oltre
all’art. 93, comma 1°, n. 4 a GG, cfr. i §§ 13, n. 8a, 90-95 BVerfGG. Sulla Verfassungsbeschwerde
nella letteratura in lingua italiana, oltre al classico studio di M. CAPPELLETTI, La giurisdizione
costituzionale delle libertà, Milano, 1955, cfr. A. ANZON, Il ricorso individuale di costituzionalità in
Germania federale, Austria e Spagna, in Politica del diritto, 1989, p. 329; P. HÄBERLE, La
Verfassungsbeschwerde nel sistema della giustizia costituzionale tedesca, Milano, 2000.
(139) Fino al 1993, era orientamento costante del Bundesverfassungsgericht che oggetto di
ricorso potessero essere solo gli atti del pubblico potere della Repubblica federale tedesca, ma
nella sua sentenza sul trattato di Maastricht ha annunciato per il futuro di ritenere ammissibili
Verfassungsbeschwerden che si indirizzino contro atti comunitari (così, BVerfG 12 ottobre 1993,
in BVerfGE 89, p. 155, p. 175). Questo orientamento è stato confermato dalla recente sentenza sul
Trattato di Lisbona: cfr. BVerfG, 2 BvE 2/08, 30 giugno 2009. Per un più ampio discorso sul
punto, rinvio a R. CAPONI, Democrazia, integrazione europea e circuito delle corti costituzionali (in
margine al Lissabon-Urteil), in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2010, p. 387 ss.
(140) Così, K. SCHLAICH-S. KORIOTH, Das Bundesverfassungsgericht, 6a ed., München, 2004,
p. 141.
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Verfassungsbeschwerde può essere proposta solo dopo l’esaurimento della via
giudiziaria» ( 141).
La presenza della Verfassungsbeschwerde costituisce così un elemento che
caratterizza il sistema tedesco di tutela dei diritti fondamentali ( 142). La tutela
giurisdizionale dei diritti fondamentali nei confronti del potere statale è affidata in
via ordinaria ai giudici comuni, ma l’ultima parola può spettare al
Bundesverfassungsgericht, anche contro le sentenze passate in giudicato. La
Verfassungsbeschwerde è da proporre entro il termine di un mese dalla
notificazione o comunicazione della decisione definitiva ( 143) e, in caso di
accoglimento, conduce all’annullamento con rinvio della decisione impugnata
( 144).
5. – L’esame dell’esperienza italiana offre utili indicazioni complementari
rispetto all’analisi dell’ordinamento tedesco.
Innanzitutto: il fondamento costituzionale dell’autorità di cosa giudicata.
Non riveste un carattere decisivo la circostanza che, durante i lavori
dell'Assemblea costituente non sia stato approvato l’art. 104 del progetto di
costituzione elaborato dalla commissione dei settantacinque, secondo il quale «le
sentenze non più soggette ad impugnazione di qualsiasi specie non possono
essere annullate o modificate neppure per atto legislativo, salvo i casi di legge
penale abrogativa o di amnistia, grazia ed indulto» (145).
Nondimeno, l’idea che si possa rinvenire un fondamento costituzionale
dell’intagibilità del giudicato da parte dello ius superveniens retroattivo merita di
essere consolidata.
Punto di partenza è il principio di irretroattività della legge.
Nell’ordinamento italiano esso trova espressione nell’art. 11 disp. prel. c.c.: «la
legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo».
Nella Costituzione italiana, la irretroattività è una regola enunciata per le
sole norme penali incriminatrici ( 146). La Corte costituzionale frappone tuttavia al
potere del legislatore ordinario di disciplinare le situazioni pregresse una serie di
limiti, che trovano espressione non già in divieti puntuali, bensì in principi
(141) La possibilità di prevedere il presupposto del previo esaurimento delle vie di ricorso
dinanzi ai giudici comuni è ammessa dall’art. 94, comma 2° GG.
(142) Sui ritardi decisori dovuti al sovraccarico della Corte costituzionale, v. le
considerazioni critiche di W. LEISNER, Das letzte Wort: der Richter späte Gewalt, cit., p. 247.
(143) Cfr. § 93, comma 1° BVerfGG.
(144) Cfr. § 95, comma 1° BVerfGG, norma i cui effetti sono fatti salvi dal § 79, comma 2°,
BVerfGG.
(145) Per indicazioni, cfr. R. CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, cit, p. 368, in
nota 18.
(146) Cfr. art. 25, comma 2°, Cost.
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generali: ragionevolezza, eguaglianza, legittimo affidamento, rispetto delle
attribuzioni costituzionali del potere giudiziario ( 147).
Pertanto, se si intende offrire una descrizione dell’ordinamento italiano
fedele alla sua realtà normativa, quale risulta dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale, il principio di irretroattività delle leggi vi trova un ancoraggio
costituzionale corrispondente, quanto ad ampiezza e consistenza della garanzia, a
quello proprio degli ordinamenti che lo fanno discendere sic et simpliciter dalla
garanzia della certezza del diritto connaturata allo Stato di diritto ( 148).
Se l’irretroattività della legge, ovvero i limiti del potere del legislatore di
disporre per il passato, ha un ancoraggio costituzionale sulla base di un
complesso di elementi normativi che trovano nella certezza del diritto la loro
sintesi concettuale, a fortiori dovrà essere protetta dalla Costituzione l’autorità di
cosa giudicata, che della certezza del diritto costituisce una manifestazione
saliente.
È irrilevante che lo ius superveniens retroattivo colmi una lacuna valutativa
del legislatore ordinario. Rimane intatto il provvedimento passato in giudicato con
cui il giudice, dinanzi al divieto di non liquet, ha dettato una disciplina giuridica
della fattispecie.
Esempio: il provvedimento della Corte di appello di Milano del 9 luglio
2008, che ha autorizzato l’interruzione dei trattamenti sanitari di alimentazione
artificiale di E. E. Nella fase finale il Governo ha tentato di frapporre ostacoli
all’interruzione dell’alimentazione artificiale di E. attraverso un intervento
legislativo ( 149). Ad E. è stata risparmiata quest’ultima battaglia ( 150).
6. - Su questa strada si è collocata la giurisprudenza della Corte
costituzionale italiana, che richiede solo qualche precisazione. La sua
(147) Così, Corte cost. 15 luglio 2005, n. 282, in Foro it., Rep. 2005, voce Impiegato dello
Stato, n. 193. Sulla stessa linea, tra le altre, v. Corte cost. n. 24 del 2009, id., 2010, I, 415; n. 74
del 2008, id., 2008, I, 2411; n. 156 del 2007, id., 2007, I, 3012; n. 376 del 2004, id., 2005, I, 319;
n. 291 del 2003, id., Rep. 2003, voce Infortuni sul lavoro, n. 180; n. 446 del 2002, id., Rep. 2002,
voce Previdenza sociale, n. 204; n. 374 del 2002, id., Rep. 2002, voce Previdenza sociale, n. 360;
n. 525 del 2000, id., 2000, I, 3397; n. 416 del 1999, id., 2000, I, 2456; n. 229 del 1999, id., 1999,
I, 2145; n. 376 del 1995, id., 1997, I, 346.
(148) Cfr. infatti Corte cost. 22 novembre 2000, n. 525: «in questa sede occorre in
particolare soffermarsi sull’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica; principio che, quale
elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetti retroattivi che
incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti».
(149) Cfr. il disegno di legge governativo n. 1369, «disposizioni in materia di alimentazione e
di idratazione», presentato al Senato il 6 febbraio 2009: «in attesa dell’approvazione di una
completa e organica disciplina legislativa in materia di fine vita, l’alimentazione e l’idratazione, in
quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non
possono in alcun caso essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se
stessi».
(150) Per un più ampio discorso sul punto, v. R. CAPONI, A. PROTO PISANI, Il caso E.: brevi
riflessioni dalla prospettiva del processo civile, in Foro it., 2009, I, c. 984 ss.
- 51 -
argomentazione è la seguente. Una legge che dispone espressamente la
cessazione di efficacia di provvedimenti del giudice civile anteriormente passati in
giudicato è incostituzionale, poiché: a) viola le attribuzioni costituzionali
dell’autorità giudiziaria cui spetta la tutela dei diritti (artt. 102 e 113 Cost.); b)
lede l’affidamento della parte vittoriosa sul carattere definitivo del risultato del
processo (artt. 3 e 24 Cost.) ( 151).
A ben vedere le due giustificazioni - apparentemente parallele - si risolvono
in una sola: il giudicato come strumento di tutela giurisdizionale dei diritti è
costituzionalmente protetto in vista della garanzia della certezza e della stabilità
del risultato del processo, nell’interesse delle parti. Infatti, precisa la stessa Corte
costituzionale: «non vi è dubbio che l’emissione di provvedimenti idonei ad
acquistare autorità di giudicato costituisca uno dei principali strumenti per la
realizzazione del suindicato compito» di tutela giuridizionale dei diritti affidato alla
autorità giudiziaria.
Le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria sono quindi piuttosto
una espressione delle garanzie apprestate alla tutela giurisdizionale dei diritti. Se
nel ragionamento della Corte costituzionale le prime campeggiano in primo piano,
ciò è dovuto piuttosto ad una distorsione prospettica, un riflesso della vicenda
storica che ha portato lo Stato moderno ad assumere su di sé la funzione
giurisdizionale. Tale distorsione ha portato a ricostruire lo scopo del processo
civile dal punto di vista dello Stato che rende giustizia, piuttosto che da quello dei
cittadini che la chiedono.
Tale concezione vede nell’amministrazione della giustizia una funzione
essenziale propria dello Stato moderno al servizio della realizzazione del diritto
oggettivo (con il crisma dell’autorità di cosa giudicata) e relega sullo sfondo
l’utilità che gli individui, in quanto parti del processo, ricavano dall’esercizio della
giurisdizione. Questa idea entra in tensione con la connessione tra etica e utilità
(151) Chiamata a pronunciarsi su disposizioni legislative che prevedevano il travolgimento
di provvedimenti passati in giudicato, la Corte ha ritenuto che esse «violino le attribuzioni
costituzionali dell’autorità giudiziaria cui spetta la tutela dei diritti (artt. 102 e 113 Cost.)./Infatti
non vi è dubbio che l’emissione di provvedimenti idonei ad acquistare autorità di giudicato
costituisca uno dei principali strumenti per la realizzazione del suindicato compito./Nel
contempo, le disposizioni denunciate contrastano con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto in parte
vanificano i risultati dell’attività difensiva svolta, sulla cui definitività i creditori [..] potevano fare
ragionevole affidamento».
Nella fattispecie la norma dichiarata incostituzionale disciplinava un aspetto di una
concreta vicenda di successione tra enti ed aveva un contenuto di provvedimento, inteso ad
alleggerire la massa dei debiti del nuovo ente. Le norme sostanziali su cui i giudicati si basano
non vengono toccate, trattandosi della disciplina generale dell’adempimento delle obbligazioni.
L’incostituzionalità è manifesta, non vi è in gioco alcun altro valore costituzionale
contrapposto che possa prevalere sulla protezione del giudicato.
Corte cost. 7 novembre 2007, n. 364, in Foro it., 2009, I, c. 996, con nota di R. CAPONI,
Giudicato civile e leggi retroattive.
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del singolo ed etica sociale, che si profila come caratteristica nell’ambiente
contemporaneo.
Infatti attualmente lo scopo del processo civile tende ad essere colto, in
prima battuta, nell’attuazione dei diritti soggettivi dei privati. Se questo è vero,
allora in primo piano deve campeggiare l’utilità che gli individui si ripromettono di
conseguire nel momento in cui intraprendono (o si difendono in) un processo
civile.
Di conseguenza la giurisdizione non è da concepire tanto come una
funzione dello Stato moderno diretta all’attuazione del diritto oggettivo nel caso
concreto, quanto piuttosto come servizio pubblico diretto alla composizione delle
controversie secondo giustizia (cioè con l’applicazione di criteri di giudizio
oggettivi e predeterminati).
7. - Nel quadro di una giustizia civile concepita oggi come servizio pubblico,
il giudicato è una utilità che spetta in primo luogo agli utenti del servizio
richiedere o meno, in relazione ai loro bisogni e alle loro necessità. Non è un
orpello che deve necessariamente accompagnare la tutela giurisdizionale dei
diritti, in considerazione di un preteso onnipresente interesse del gestore del
servizio ( 152), se gli utenti non ne hanno bisogno e non lo chiedono.
Si possono solo tipizzare delle situazioni sostanziali che mal si prestano ad
essere tutelate in una forma provvisoria, sganciata da una prospettiva di stabile
accertamento: ad esempio, quando la controversia cade sull’esistenza di uno
status ( 153). Ove questi rapporti precipitino in una situazione di incertezza a causa
di una controversia, non è irragionevole imporre legislativamente di presidiarne la
tutela attraverso un processo che sbocca in un giudicato.
La tutela giurisdizionale dei diritti si realizza innanzitutto attraverso
l’efficacia imperativa del provvedimento giurisdizionale e non culmina
necessariamente nel giudicato. Il carattere essenziale della giurisdizione non è da
individuare nel giudicato ( 154), bensì nel fatto che l’applicazione giurisdizionale del
(152) A tale idea si ispira invece, in modo notevolmente più intenso in confronto con i
modelli europei, la maggior parte dei procedimenti speciali previsti nella giurisdizione contenziosa
cognitiva italiana, se si eccettua la pur rilevante novità dell’allentamento del nesso strutturale di
strumentalità in relazione al rilascio di un provvedimento cautelare anticipatorio. Lo
confermerebbe una breve rassegna dell’impianto legislativo e del diritto vivente. Per un attuale
revival di questa idea, si veda però il procedimento sommario di cognizione di cui all’art. 702-bis
ss. c.p.c., introdotto dalla l. n. 69 del 2009. Per un più ampio discorso sul punto, v. R. CAPONI,
Sulla distinzione tra cognizione piena e cognizione sommaria (in margine al nuovo procedimento ex
art. 702-bis ss. c.p.c.), in Il giusto processo civile, 2009, p. 1115 ss.
(153) Oppure quando la controversia cade su di una situazione sostanziale durevole nel
tempo connotata da tratti di staticità (ad esempio, rapporti reali), ovvero in materia di circolazione
di beni infungibili.
(154) Contra, E. ALLORIO, Saggio polemico sulla giurisdizione volontaria, ora in Problemi di
diritto, Milano 1957.
- 53 -
diritto si sostituisce d’autorità all’applicazione compiuta dai soggetti
dell’ordinamento e non può essere oggetto di controllo, se non da parte di un altro
organo giurisdizionale, ad es., attraverso l’impugnazione del provvedimento.
Il giudice conserva quindi il potere di dire l’«ultima parola», anche se può
trattarsi di una parola provvisoria, non definitiva, (come quella che è pronunciata
attraverso un provvedimento sommario), esposta ad essere modificata o revocata
da una sua parola successiva ( 155).
Questa evoluzione, prima sociale e poi giuridica, si muove nell’alveo dei
principi costituzionali. La Costituzione richiede che la tutela giurisdizionale dei
diritti possa sempre avvenire in un processo a cognizione piena destinato a
concludersi con un provvedimento avente attitudine al giudicato formale e
contenente un accertamento idoneo al giudicato sostanziale. Ciò non implica però
che la giurisdizione contenziosa debba sempre - per imposizione costituzionale mirare alla formazione del giudicato ( 156).
8. - Tuttavia - e questo è un punto fondamentale nella presente indagine quando le parti chiedono ed ottengono il giudicato per la tutela dei loro diritti, la
stabilità del risultato del processo è protetta al massimo grado e gode della
copertura costituzionale, non per una ragione di Stato, ma perché ciò realizza
l’interesse della parte vittoriosa, nel modo in cui esso è stato apprezzato e
realizzato da quest’ultima.
Con l’affermazione della intangibilità del giudicato civile da parte dello ius
superveniens retroattivo ( 157), la Corte costituzionale italiana si allinea alla
soluzione adottata in altri ordinamenti, che non contengono una esplicita
statuizione costituzionale di rispetto del giudicato civile (158), ma la desumono –
come il principio di irretroattività - dalla garanzia della certezza del diritto,
(155) Cfr. A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, 5a ed., Milano, 2008, p. 143.
(156) Così, V. DENTI, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, sub art. 111,
Bologna – Roma, 1987, p. 21 ss.; A. PROTO PISANI, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737
ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, p. 393 ss., spec. p. 402; ID., Verso la riforma del codice di
procedura civile? Prospettive in tema di processi a cognizione piena e sommaria in un recente
disegno di legge delega, in Foro it., 1981, V, c. 226 ss., spec. c. 244.
(157) Da un passaggio della motivazione di Corte cost. n. 364 del 2007 traspare qualche
dubbio sul carattere retroattivo della norma impugnata. Non è chiaro quale nozione la Corte
presupponga, ma se non è retroattiva la legge sopravvenuta che travolge i giudicati anteriori,
quale legge sarà mai retroattiva? Cfr. da ultimo M. LUCIANI, Il dissolvimento della retroattività - Una
questione fondamentale del diritto intertemporale nella prospettiva delle vicende delle leggi di
incentivazione economica, in Giur. it., 2007, p. 1825 e p. 2089.
(158) Tale statuizione è contenuta invece nell’art. 5, XXXVI della Costituzione federale del
Brasile. Fresco di stampa sul tema, l’approfondito saggio di L. G. MARINONI, Coisa julgada
inconstitucional, Sâo Paulo, 2008.
- 54 -
inerente allo Stato di diritto (159), colta nella suo profilo soggettivo di protezione
dell’affidamento delle parti sul risultato del processo.
Lo stesso profilo soggettivo si coglie nella suggestiva ipotesi che fonda la
copertura costituzionale dell’autorità di cosa giudicata sulla garanzia
costituzionale del ricorso per cassazione (160), sebbene essa si fondi su una norma
costituzionale fomite di problemi sotto altri profili e difficilmente esportabile in un
auspicabile dialogo tra le culture giuridiche europee su questo tema.
9. - Come già accade nell’esperienza giuridica tedesca, anche in quella
italiana, è sancita - dall’art. 30, comma 4°, l. n. 87 del 1953 - la salvezza del
giudicato civile dinanzi alla dichiarazione di incostituzionalità della legge ( 161).
Questa disposizione è più stringata della omologa norma tedesca ( 162) e rimette
ad operazioni ermeneutiche la soluzione di problemi risolti direttamente dal testo
della disposizione tedesca.
L’art. 30, comma 4°, cit., rappresenta una deroga espressa per la materia
penale della resistenza del giudicato nei confronti dello ius superveniens
retroattivo e una implicita conferma per la materia civile ( 163).
La disposizione costituisce evidentemente un forte argomento in favore
della resistenza del giudicato nei confronti di una legge retroattiva, pur diretta a
realizzare per il passato valori costituzionalmente protetti.
A fortiori resisterà il giudicato nei confronti della legge retroattiva che non è
diretta a realizzare per il passato valori costituzionalmente protetti ( 164).
10. - Vi è un temperamento fondamentale: l’esaurimento del rapporto non
si verifica se la dichiarazione di illegittimità costituzionale colpisce proprio la
norma giuridica che costituisce la fonte di esaurimento del rapporto (la norma
(159) Così il già citato leading case del 1° luglio 1953, pubblicato in BVerfGE, 2, p. 380 ss.,
p. 404. Per un quadro aggiornato, v. M. SACHS, in Grundgesetz. Kommentar, cit., sub art. 20.
(160) Oggi art. 111, comma 8°, Cost. Cfr. A. CERINO CANOVA, La garanzia costituzionale del
giudicato civile, in Riv. dir. civ., 1977, p. 395 ss., p. 427: «l’art. 1112 assicura il requisito minimo e
indispensabile - il giudicato formale - per proteggere il valore più alto della funzione
giurisdizionale: l'autorità di cosa giudicata dei provvedimenti che statuiscono sui diritti».
(161) Testo: «Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata
pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali».
(162) Il citato § 79, comma 2°, BVerfGG.
(163) Meritevole di approfondimento - impossibile in questa sede - è il problema se la
dichiarazione di incostituzionalità possa valere come motivo di opposizione all'esecuzione della
sentenza civile di condanna.
(164) Così, Corte cost. 15 luglio 2005, n. 282, cit., nonché A. PUGIOTTO, Nulla di nuovo (o
quasi) sul fronte costituzionale delle leggi interpretative, in Giur. cost., 2005, p. 5145, paragrafo 5.
In precedenza un ambiguo inciso di Corte cost. 27 luglio 2000, n. 374, in Foro it., 2000, I, 3410,
aveva condotto taluno a ritenere che la Corte consentisse ad una legge di interpretazione
autentica di incidere sul giudicato, «purché questo costituisca l’effetto consequenziale della
creazione di una norma astratta». Così, N. ZANON-F. BIONDI, Diritto costituzionale dell’ordine
giudiziario, Milano, 2002, p. 59.
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sulla prescrizione, la norma sulla decadenza, la norma sul giudicato, ecc.), a
causa del modo (incostituzionale appunto) in cui essa ha determinato
l’esaurimento del rapporto. In tal caso, l’esaurimento del rapporto giuridico è un
effetto dipendente dall’applicazione della norma dichiarata incostituzionale e deve
cedere di fronte alla dichiarazione di incostituzionalità.
Il problema si è posto nell’ordinamento italiano in seguito alla serie di
interventi della Corte costituzionale sulla decorrenza della prescrizione in materia
di crediti derivanti dal rapporto di lavoro subordinato (165). Questo indirizzo della
giurisprudenza della Corte fu inaugurato con la sentenza del 10 giugno 1966, n.
63 ( 166), che dichiarò l'illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 36
Cost., degli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2 e 2956, n. 1 c.c., nella parte in cui
consentivano che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorresse durante il
rapporto di lavoro.
Osserviamo questa ipotesi da vicino. Conviene riferire nel dettaglio
l’argomentazione seguita dalla Corte di cassazione nel decidere una fattispecie in
cui erano stati fatti valere crediti di lavoro già prescritti alla data di pubblicazione
della sentenza n. 63 del 1966 della Corte costituzionale: «se è pur vero che la
prescrizione rientra nella categoria degli eventi idonei a determinare il
consolidamento di una situazione giuridica per effetto dell’estinzione del diritto
che essa determina, è da rilevare che, quando la dichiarazione d’incostituzionalità
investe proprio la norma che quella prescrizione avrebbe dovuto rendere
operante, si rimane fuori dall’ambito dei rapporti consolidati, in quanto viene
meno ab origine lo strumento idoneo a determinare l’estinzione del diritto. Cioè
per effetto della dichiarazione di incostituzionalità di cui alla citata sentenza n. 63
del 1966 è divenuto irrilevante, ai fini della prescrizione, il decorso del tempo
verificatosi in pendenza del rapporto di lavoro, talché, nella specie, l’applicazione
della prescrizione quale causa di consolidamento del rapporto equivarrebbe ad
un’affermazione di conservazione degli effetti della norma dichiarata
incostituzionale, la quale, invece, siccome invalida sin dall’origine non poteva
determinare l’estinzione del diritto del lavoratore nel corso del rapporto di lavoro
subordinato. L’effetto dell’estinzione avrebbe potuto essere invocato nell’ipotesi
che fosse stata dichiarata illegittima una norma diversa da quella regolatrice della
prescrizione, quale, ad esempio, una norma regolatrice del diritto di credito del
lavoratore. In tal caso, restando ferma l’operatività della prescrizione, rispetto a
questa sarebbe del tutto irrilevante la dichiarazione d’illegittimità costituzionale.
Ma è certamente da escludere che possa ammettersi il consolidamento di una
(165) Per riferimenti a questa vicenda si rinvia a R. CAPONI, Gli impedimenti all’esercizio dei
diritti nella disciplina della prescrizione, in Riv. dir. civ., 1996, p. 721 ss., p. 744 s.
(166) in Foro it., 1966, I, c. 985, con (alle c. 1652 ss.) nota di G. PERA, Sulla decorrenza della
prescrizione per il diritto al salario.
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posizione per prescrizione, quando la dichiarazione d’incostituzionalità investe
proprio la norma che avrebbe dovuto determinare quel consolidamento» (167).
Le lettura di questo passo rivela con sufficiente chiarezza, se ce ne fosse
bisogno, che la dichiarazione di incostituzionalità riapre i rapporti già prescritti,
non perché la prescrizione sia in sé incostituzionale, ma per il modo
incostituzionale in cui la prescrizione è decorsa in quel caso: durante la pendenza
del rapporto di lavoro.
Il problema si pone anche in relazione al giudicato. Quando la mancata
proposizione che ha determinato l’immutabilità della sentenza è dovuta ad un
impedimento non imputabile, non vi è salvaguardia dell’immutabilità del
provvedimento giurisdizionale che tenga di fronte all’esigenza di tutelare il diritto
di difesa della parte che è incolpevolmente decaduta dal potere d’impugnazione
( 168). Non si può invocare infatti l’esigenza di salvaguardare il giudicato, quando il
passaggio in cosa giudicata formale è avvenuto in spregio del principio del
contraddittorio e quindi in modo incostituzionale. Evidentemente, non è il
giudicato in sé ad essere incostituzionale, ma è incostituzionale il modo in cui si è
formato il giudicato in questo caso: in spregio della garanzia costituzionale del
contraddittorio. Ciò è stato finalmente riconosciuto dalla recente legge di riforma
del processo civile italiano nel 2009 ( 169), con l’estensione della rimessione in
termini anche al potere di impugnare ( 170).
11. – Come le altre garanzie costituzionali, la protezione del giudicato civile
nei confronti della sopravvenienza di effetti retroattivi o retrospettivi non è una
monade, ma è esposta anche nell’esperienza giuridica italiana al confronto e al
bilanciamento con altri valori costituzionali, in particolare con il principio di
uguaglianza (art. 3 Cost.). In certi casi eccezionali, il legislatore ordinario deve
poter assicurare l'uniformità di trattamento per tutte le fattispecie del passato che
rientrano
astrattamente
nell'area
dello
ius
superveniens
retroattivo,
(167) Così, Cass. 18 ottobre 1973, n. 2634, in Foro it., 1974, I, c. 105, c. 107 s. In questo
senso, F. SAJA, L’efficacia nel tempo delle sentenze di accoglimento, in Quad. cost., 1989, p. 9 s.; G.
ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, p. 267 s.; R. CAPONI, L'efficacia del
giudicato civile nel tempo, cit., p. 207; R. PINARDI, La corte, i giudici ed il legislatore, cit., p. 28 s.
Per un più ampio discorso sul punto, v. R. CAPONI, La sentenza della corte costituzionale
sulle notifiche per posta: processi in corso e rapporti esauriti, in Corr. giur., 1998, p. 1430 ss.
(168) Cfr. R. CAPONI, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, p. 150.
(169) Cfr. l. n. 69 del 2009.
(170) Dal punto di vista tecnico processuale, l’operazione è stata compiuta abrogando l’art.
184-bis c.p.c., che limitava la rimessione in termini alle decadenze nel corso di un giudizio in
corso di svolgimento, e trasferendone il contenuto normativo in un secondo comma aggiunto
all’art. 153 c.p.c.
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indipendentemente dalla circostanza che talune di esse siano state oggetto di una
sentenza passata in giudicato ( 171).
Ciò può accadere fondamentalmente in due ipotesi:
a) in quei rari casi in cui i valori giuridici introdotti dalla nuova legislazione
siano così meritevoli di affermazione da prevalere sulla tutela dell'affidamento
delle parti sull'intangibilità del risultato del precedente processo ( 172);
b) in quei casi in cui non si ponga un problema di tutela dell’affidamento
delle parti, pur dinanzi ad un giudicato.
Conviene fare degli esempi.
Per la prima ipotesi, si pensi alla legge retroattiva diretta a riconoscere i
diritti inviolabili dell’uomo rinnegati da un precedente periodo di barbarie.
Esempio: nel 1944 fu giudicato in applicazione delle leggi razziali che era nulla la
trascrizione di un matrimonio e che dovevano rispondere dei danni la sposa e il
padre, per aver taciuto l’appartenenza della sposa alla razza ebraica. Nel 1946,
dopo l’abrogazione delle leggi razziali, l’altro coniuge agì per la liquidazione dei
danni, ottenendo una sentenza favorevole. In verità, il giudicato avrebbe dovuto
essere travolto ( 173).
Per la seconda ipotesi, si ricordi la struttura bipolare del concetto di Stato
di diritto e l’intonazione soggettiva della protezione da esso offerta al giudicato:
l’autorità di cosa giudicata tutela l’interesse individuale della parte che ha vinto il
processo, la tutela dell’affidamento sul risultato del processo.
La conclusione è da mantenere assolutamente ferma nei rapporti tra
privati.
Prendiamo in considerazione una situazione diversa. Il rapporto oggetto
della sentenza passata in giudicato corre tra un privato e lo Stato, o una pubblica
amministrazione, o insomma un organismo di diritto pubblico che ha agito in
posizione di supremazia per la cura concreta di un interesse pubblico.
Sopravviene uno ius superveniens retroattivo che dispone, in riferimento alle
fattispecie quali quella giudicata, un effetto più favorevole al privato di quello
disposto dalla norma giuridica previgente a base del giudicato.
Dobbiamo mantenere fermo il giudicato anche in questo caso?
Istintivamente avvertiamo una differenza. Vi è in primo luogo una importante
indicazione tratta dalla dottrina dell’efficacia del giudicato civile nel tempo, a suo
tempo lasciata in ombra nel concludere che l'operatività del principio
(171) Così, G. GROTTANELLI DE’ SANTI, Profili costituzionali della irretroattività delle leggi,
Milano, 1970, p. 65.
(172) Si può citare come esempio la normativa che, nel corso degli anni, ha facilitato il
riconoscimento dello status di filiazione.
(173) Per un più ampio discorso sul punto, v. R. CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel
tempo, cit., p. 386.
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dell'intangibilità del giudicato da parte delle norme retroattive, ha luogo sempre
entro le dimensioni temporale e oggettiva dell'accertamento giudiziale.
Se si prende in considerazione specificamente la dimensione oggettiva
dell’accertamento giudiziale ( 174), l'area del conflitto tra giudicato e ius
superveniens retroattivo si allarga o si restringe a seconda della concezione dei
limiti oggettivi che si ritenga di dover accogliere. I confini dello sganciamento della
rilevanza giuridica della fattispecie dell’effetto giuridico accertato sono fissati
dall'oggetto del giudicato.
In questo contesto, si è sostenuto (175) che, quando lo ius superveniens
retroattivo introduce un nuovo diritto, esso non è compreso nell'oggetto del
giudicato precedente e quindi può essere liberamente fatto valere in giudizio.
La tesi è suggestiva perché muove in fondo dall’idea della retroattività in
bonam partem, che il giudicato non si presta ad ostacolare. Tuttavia essa è
scarsamente praticabile nei rapporti interprivati paritari, in cui il nuovo diritto
attribuito ad una parte trova di regola la propria realizzazione in un obbligo
imposto alla controparte. La retroattività in bonam per una parte è in malam per
l’altra, che ha tutto il diritto di invocare la protezione del giudicato ( 176).
Ad una conclusione diversa si può giungere a proposito del rapporto tra un
soggetto privato e un organismo di diritto pubblico, quando interviene una legge
retroattiva che introduce un nuovo diritto a favore del primo.
Le motivazioni tradizionalmente addotte a sostegno del principio di
irretroattività non valgono a proposito dell’intervento della legge più favorevole,
purché essa «sia veramente tale e tale soltanto» (177). ll concetto di legge più
favorevole può essere apprezzato appunto al di fuori dei rapporti paritari di diritto
privato: quindi essenzialmente nei rapporti tra un soggetto privato e un
organismo di diritto pubblico che persegue un interesse generale. A tal proposito
si è sostenuto: «Quando lo Stato rinunzia a vantaggi giuridici sorti in suo favore
da fattispecie già attuatesi, si può in generale ritenere che esso non ha voluto fare
eccezione per i casi, di regola numericamente irrilevanti, in cui vi sia stata una
sentenza passata in giudicato». La giustificazione risiede nel fatto che nei
confronti dello Stato, e più in generale degli organismi di diritto pubblico non
(174) Rinviando avanti l’esame della dimensione temporale, in collegamento con l’analisi del
caso Olimpiclub.
(175) Così W. HABSCHEID, Effetti della sentenza e cambiamento della legge, trad. di F. Satta,
in Studi in onore di Segni, II, Roma, 1967, p. 535 ss., p. 571.
(176) Ad una diversa soluzione si potrebbe pervenire qualora lo ius superveniens retroattivo
attribuisca rilevanza giuridica costitutiva di un nuovo diritto ad un fatto prima irrilevante: il
giudicato di rigetto rende inammissibile la riproposizione della domanda a situazione giuridica
immutata (ne bis in idem), ma non impedisce la qualificazione dei fatti dedotti in giudizio ad opera
della legge retroattiva e la riproposizione della domanda su tale base. Forse.
(177) Così, R. QUADRI, Dell’applicazione della legge in generale, in Commentario del codice
civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1974, p. 103 ss., specie p. 104
- 59 -
entra in gioco l’esigenza di tutelare l’affidamento che scaturisce dal giudicato
( 178).
In effetti, siamo portati a pensare che la tutela dell’affidamento è a
vantaggio del soggetto privato nei confronti dell’attività dei pubblici poteri e non
viceversa. È un elemento di garanzia che si colloca nella prospettiva liberale
classica: libertà da interventi dei pubblici poteri che vengano contra factum
proprium e scuotano la ragionevole aspettativa dei privati circa la coerenza
dell’azione dei pubblici poteri in un determinato arco temporale.
12. - Al cospetto con l’ordinamento tedesco, l’ordinamento italiano rivela un
notevole difetto. La mancanza del ricorso individuale di costituzionalità determina
una lacuna di tutela specifica (demolitoria) contro le lesioni dei diritti
fondamentali ad opera di sentenze passate in giudicato.
Progredisce infatti anche negli ambienti italiani la consapevolezza che il
controllo ex post della conformità a Costituzione degli atti di esercizio del potere
giurisdizionale completa il sistema di controllo di costituzionalità dei poteri
statali.
L’esperienza pratica ha però presentato alla nostra attenzione una notevole
ipotesi di tutela specifica contro il giudicato incostituzionale e di conseguente
annullamento di quest’ultimo da parte della Corte costituzionale, su ricorso che
deve essere proposto entro il termine di sessanta giorni ( 179).
Questa ipotesi costituisce in un certo senso il pendant dell’annullamento
del giudicato per violazione di un diritto fondamentale dell’individuo, poiché
integra un caso di protezione della sfera fondamentale di un soggetto dagli effetti
lesivi di un giudicato incostituzionale. Si tratta della sfera di attribuzioni di un
organo costituzionale.
Il caso si è presentato all’esame della Corte costituzionale in sede di
conflitto intersoggettivo tra poteri dello Stato. Era accaduto che una sentenza
della Corte di cassazione aveva espressamente disapplicato una disposizione
legislativa regionale. Su ricorso della Regione interessata la Corte afferma che
«non spetta allo stato, e per esso alla corte di cassazione, disapplicare disposizioni
contenute in leggi regionali; va, pertanto, annullata la sentenza della corte di
cassazione che aveva disapplicato la legge regionale» ( 180).
(178) Così W. HABSCHEID, Effetti della sentenza e cambiamento della legge, cit., p. 571.
(179) A decorrere dalla notificazione o pubblicazione ovvero dall'avvenuta conoscenza
dell'atto impugnato: cfr. art. 39, comma 2°, l. n. 87 del 1953.
(180) Cfr. Corte cost. 14 giugno 1990, n. 285, in Foro it.. 1991, I, c. 2346; in Giur. it., 1991,
I, 1, 1289, con nota di C. CONSOLO, Di una ipotesi di «cassazione» costituzionale di decisione della
corte di cassazione: il giudicato e la stessa pronuncia dell’organo della nomofilachia quale atto
illecito ed invasivo? in Regioni, 1991, p. 1047 ss., con nota di A. CERRI, Ancora sui limiti di
sindacabilità dell’atto del giudice in sede di conflitto. In senso critico su questo indirizzo, A.
RUGGERI, La certezza del diritto allo specchio, il «gioco» dei valori e le «logiche» della giustizia
- 60 -
VII. Ricostruzione
1. - L’indagine compiuta fino a questo punto è servita ad elaborare ed
argomentare il parametro alla stregua del quale ricostruire non ciò che accade
(questa operazione è stata già compiuta), ma ciò che deve accadere secondo
diritto nei casi di incidenza degli effetti di una pronuncia di una due corti europee
su di un anteriore giudicato civile, emanato nell’ordinamento italiano.
2. - Il primo elemento da precisare è la nozione di «incidenza» (o di altri
termini atecnici che si possono adoperare: impatto, interferenza, ecc.) degli effetti
giuridici di una successiva pronuncia di una delle due corti europee sull’anteriore
giudicato civile.
Fra le occasioni eclatanti che hanno sollecitato a riflettere sul tema dei
rapporti tra corti europee e giudicati nazionali vi è la sentenza Lucchini della Corte
di giustizia. Un soggetto privato consegue dal giudice civile con una sentenza
passata in giudicato la condanna dello Stato italiano al pagamento di un
contributo finanziario. La Corte di giustizia statuisce - in sostanza - che lo Stato
deve ingiungere al privato la restituzione del contributo.
In questo caso è chiara l’incidenza: è la contraddittorietà pratica, il
contrasto tra due precetti giudiziali, quello scaturente dal giudicato nazionale e
quello discendente dalla sentenza della Corte di giustizia. Un’antinomia che si
risolve nel senso che il precetto della Corte di giustizia avvia - secondo modalità
che in questo momento non ci interessa approfondire - un meccanismo che
culmina in una invalidazione e conseguente perdita di efficacia del giudicato
precedente.
Ma la crisi del giudicato civile non scoppia solo con la sentenza Lucchini. La
crisi deve essere colta già come indietreggiamento rispetto all’apogeo del
giudicato, al giudicato che conforma l’ordinamento nel caso concreto e rende
improponibile la domanda circa l’ingiustizia della sentenza.
La negazione della rilevanza giuridica della sentenza ingiusta, o quanto
meno la negazione che l’eventuale divergenza tra l’accertamento giudiziale e la
situazione sostanziale anteriore possa produrre effetti giuridici è il dato dogmatico
fondamentale della teoria del giudicato.
Ripensiamo alla dottrina classica tedesca, in cui è scoppiata l’accesa
polemica tra teoria processuale e teoria sostanziale del giudicato. Konrad Hellwig
costituzionale (a proposito dei conflitti di attribuzione originati da sentenze passate in giudicato), in
Diritto e società, 1993, p. 137; di quest’ultimo A. si veda però la recente rimeditazione, Alla ricerca
dell’identità del “diritto processuale costituzionale”, Relazione al Seminario su Sistemi e modelli di
giustizia costituzionale, Bologna 31 marzo 2009, in www.forumcostituzionale.it, paragrafo 4.
- 61 -
e Max Pagenstecher erano su fronti contrapposti, la dottrina era spaccata in due
sul modo di spiegare come mai non si potesse predicare l’ingiustizia della
sentenza ovvero, secondo una variante meno radicale, sul modo di spiegare come
mai l’eventuale divergenza tra l’accertamento giudiziale e la situazione anteriore
non potesse produrre effetti giuridici.
Ma su di un punto erano fondamentalmente tutti d’accordo: Rechtskraft ist
eben Rechtskraft. Il giudicato è per l’appunto il giudicato. Oltretutto nella lingua
tedesca il termine Rechtskraft («forza del diritto», «vigore giuridico») esprime
plasticamente l’idea che il giudicato guarda l’ordinamento giuridico ad altezza
d’occhio e costituisce la quintessenza dell’attuarsi dell’ordinamento nel caso
concreto.
Come può tollerare una parola come Rechtskraft di avere accanto a sé,
come aggettivo, un qualcosa come «ingiusto», «illecito» o «illegittimo», in modo tale
che essa si trasformi in una paradossale Unrechtskraft? ( 181). Si spiega così
l’umore cupo della dottrina tedesca, quando è costretta a parlare delle operazioni
che la giurisprudenza conduce disinvoltamente sotto l’ombrello del § 826 BGB
( 182).
Se questo è vero, allora il giudicato è toccato nel suo valore di
accertamento, sebbene non ancora nel suo contenuto precettivo, dalla sentenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo quando accerta che un giudicato
nazionale costituisce una violazione della Cedu, ed ancora di più è toccato dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia ( 183), quando afferma - con la sentenza
Köbler - che una sentenza passata in giudicato, proprio perché rimane ferma nel
suo contenuto precettivo, è fonte di un danno ingiusto che legittima il soggetto
privato ad agire contro lo Stato per il risarcimento del danno.
Questa sentenza è considerata da molti un vessillo della «resistenza
comunitaria» del giudicato. In effetti vi si può trovare scritto che «l'importanza del
principio dell'autorità della cosa definitivamente giudicata non può essere
contestata».
(181) Nella lingua tedesca, a quanto mi consta, non esiste un termine come Unrechtskraft.
Ma è un neologismo che si potrebbe coniare, tenuto conto che il prefisso Un- esprime nella lingua
tedesca l’idea della negazione come l’alfa privativo. Ci si collocherebbe sulla scia di Unrechtsstaat,
la negazione di Stato di diritto, termine con il quale i tedeschi chiamano frequentemente lo Stato
nazista.
(182) Il testo del § 826 BGB prevede sostanzialmente che chi cagiona dolosamente danno ad
un altro in un modo contrario al buon costume, è obbligato al risarcimento del danno. La
giurisprudenza del BGH ritiene che, entro limiti ristretti, la fattispecie del credito risarcitorio
possa essere integrata anche quando è stata ottenuta una sentenza passata in giudicato o quando
la si mette in esecuzione con dolo, nella consapevolezza della sua ingiustizia. In senso critico, per
tutti, v. H. F. GAUL, Möglichkeiten und Grenzen der Rechtskraftdurchbrechung unter
Berücksichtigung neuerer Tendenzen im deutschen Zivilprozeßrecht, Athen, 1986, p. 39.
(183) Per non parlare dello scontro del giudicato con la dimensione costituzionale nazionale,
che si verifica mezzo secolo prima.
- 62 -
È una questione di punti di vista: il giudicato è l’accertamento o il giudicato
è il comando? La Corte di giustizia ritiene che l’autorità di cosa giudicata non sia
contestata, se il contenuto precettivo della sentenza diventa fonte di un danno
ingiusto risarcibile. Quindi essa restringe l’essenza del giudicato (e la sua
salvaguardia) al comando.
Questa restrizione è in realtà il primo passo dell’incidenza sui giudicati
nazionali delle pronunce della Corte di giustizia. L’art. 2909 c.c. italiano riferisce
il giudicato, l’autorità di cosa giudicata sostanziale, all’accertamento del diritto
come elemento basilare comune ai diversi contenuti delle sentenze definitive di
merito (mero accertamento, condanna, tutela costitutiva). L’art. 2909 c.c. ha tutte
le ragioni di disporre in questo senso: secondo la concezione classica, il giudicato
è l’efficacia di accertamento della sentenza.
Si obietta: su che cosa si fonda allora l’autorità di cosa giudicata del decreto
ingiuntivo non opposto? Si replica: il debitore poteva instaurare il processo a
cognizione piena e non lo ha fatto. Come l’inerzia del convenuto nel processo a
cognizione piena consente all’attore di ottenere l'accertamento dell'esistenza del
diritto dedotto in giudizio sulla base della allegazione e della prova dei soli fatti
costitutivi, così accade nel procedimento di ingiunzione, in caso di inerzia del
debitore ingiunto. La controversia tra le parti trova anche in questo modo la
propria soluzione. Il giudicato non è l’accertamento per l’accertamento, ma
l’accertamento per la giusta composizione della controversia.
Se il giudicato è l’efficacia dichiarativa della sentenza e la sua autorità si
ricollega all’accertamento, che cosa rimane del valore giuridico del giudicato, se
esso è degradato al rango di un qualsiasi fatto illecito fonte di un’obbligazione
risarcitoria? E non c’è equilibrismo ricostruttivo che tenga, sospeso tra monismo
e dualismo, che possa cancellare questa semplice realtà, di fronte alla quale ci ha
messo dinanzi la Corte di giustizia. Ma se non la si contesta trasfigurando il
giudicato in un fatto illecito, con che cosa mai si potrà contestare l’autorità di
cosa giudicata? E non si tratta dell’iniziativa della parte soccombente, bensì
dell’organo giurisdizionale deputato ad assicurare l’uniformità dell’interpretazione
del diritto comunitario.
Beninteso: mi limito a descrivere il fenomeno, senza assoggettarlo ad un
giudizio di valore. Al contrario. Incassato e assimilato questo affondo teorico che
fa colare a picco l’immagine tradizionale del giudicato, il giurista appena un poco
legato ai vecchi miti, accoglie quasi con irritazione che poi, dal punto di vista
pratico, per una sorta di contrappasso, sia negato al prof. Gerhard Köbler, noto a
livello internazionale per i suoi studi di storia e di linguistica giuridica, compiuti
anche grazie ai soggiorni in altri paesi della Unione europea, di computare nella
indennità di anzianità gli anni di servizio trascorsi all’estero.
- 63 -
Un comando nudo, svilito e privato del fondamento dell’accertamento,
privato della sua qualità di essere dichiarazione del diritto preesistente, anzi
assoggettato ad un giudizio di disvalore. Un comando che protegge ingiustamente
una pubblica amministrazione contro la legittima pretesa di un suo dipendente: è
questo il risultato che vogliamo vedere protetto dalla garanzia costituzionale
dell’autorità di cosa giudicata? È veramente questo ciò che vogliamo coprire sotto
il mantello della certezza del diritto? Ma non si è sempre detto che uno dei pilastri
dello stato di diritto e della certezza del diritto che da esso discende - oltre
all’aspetto della separazione dei poteri dello Stato - è la protezione dei diritti
dell’individuo nei confronti di un esercizio arbitrario dei pubblici poteri?
Non si può sostenere che la rivisitazione della nozione di giudicato, come
fatto illecito fonte di responsabilità risarcitoria non sia un novum, almeno negli
ordinamenti che conoscono norme simili a quella dell’art. 2738 c.c. italiano (184).
La differenza tra le due ipotesi è di percezione immediata: l’ingiustizia del
giudicato nell’art. 2738 c.c. dipende da un erroneo accertamento del fatto dovuto
ad un falso giuramento di una parte.
L’ingiustizia del giudicato contrario al diritto comunitario è un’ingiustizia
che si annida nel nucleo più delicato, qualificato e proprio dell’attività del giudice,
in cui egli non è vincolato alle iniziative, alle azioni o alle omissioni delle parti: la
valutazione giuridica della fattispecie, in applicazione del canone iura novit curia.
Non vi può essere un’autentica autorità del giudicato, una volta che
quest’ultimo sia spogliato del suo contenuto di accertamento del diritto.
Nell’aprire la sua voce sul Potere del giudice per l’Enciclopedia del Diritto, Giovanni
Fabbrini ricordava: «che la giurisdizione nel suo momento ultimo e conclusivo (nel
momento cioè della formazione del giudicato) si presenti nei confronti dei
destinatari degli effetti come potere puro, non controllabile né sindacabile da
parte di costoro, è un dato ovvio e scontato; ma altrettanto ovvio e scontato è che
l’esercizio della giurisdizione (il modo cioè in cui il processo è organizzato per
giungere alla formazione del giudicato) tende a garantire, nel grado più elevato
possibile, la giustizia del risultato finale» (185).
In altri termini, il giudicato è potere puro perché è stato preceduto da un
accertamento proteso alla giustizia del risultato finale. L’autorità della decisione
(184) Art. 2738 c.c.: «se è stato prestato il giuramento deferito o riferito, l'altra parte non è
ammessa a provare il contrario, né può chiedere la revocazione della sentenza qualora il
giuramento sia stato dichiarato falso./Può tuttavia domandare il risarcimento dei danni nel caso
di condanna penale per falso giuramento (p. 371). Se la condanna penale non può essere
pronunziata perché il reato è estinto, il giudice civile può conoscere del reato al solo fine del
risarcimento
(185) Così, G. FABBRINI, voce Potere del giudice, in Enc. del Dir., vol. XXXIV, Milano 1985, p.
721 ss., p. 722.
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giudiziaria non si esaurisce nel comando del giudice ( 186), ma si fonda sulle
argomentazioni giuridiche che la sostengono, che ne sorreggono la forza
persuasiva di precedente, che fondano il carattere distintivo, rispetto al diritto
legislativo, del diritto giurisprudenziale, in quanto basato «sull’idea che il giudice
[..] trovi il diritto, mediante una ricerca svolta essenzialmente mediante l’uso della
ragione» ( 187).
Se si accerta ex post - come è accaduto nel caso Köbler - che questa ricerca
ha conseguito un risultato sbagliato, l’autorità del giudicato è disconosciuta.
In conclusione, l’«incidenza» degli effetti delle pronunce delle corti europee
sul giudicato civile anteriore è sempre un conflitto tra la regola di condotta
(indirizzata alle parti della controversia) scaturente dal giudicato e la regola di
condotta (indirizzata allo Stato o al giudice a quo) scaturente rispettivamente
dalla pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo o dalla Corte di giustizia.
Due sono le varianti fondamentali.
Una incidenza più grave è il conflitto pratico, nel senso che il precetto
scaturente dalla pronuncia di una Corte europea mette in moto un meccanismo
che culmina in una invalidazione e conseguente perdita di efficacia del giudicato
precedente. Si tratta di un’antinomia in cui il giudicato viene toccato sia nel suo
valore di accertamento, che nel suo profilo di comando (caso Lucchini).
Una incidenza meno grave dal punto di vista pratico, ma non meno
profonda della prima dal punto di vista logico, è il conflitto (solo) di valore, in cui
l’effetto della pronuncia della Corte europea è compatibile sul piano pratico con
l’effetto del giudicato (non si mette in moto necessariamente un procedimento che
culmina in una invalidazione e conseguente perdita di efficacia del giudicato
precedente), ma il valore di quest’ultimo come dichiarazione del diritto è
degradato e rovesciato nel suo contrario (caso Köbler).
3. - L’indagine compiuta nei capitoli precedenti profila in particolare un
parametro da tenere presente nella valutazione delle soluzioni di questo conflitto:
il trattamento del giudicato dinanzi ad una successiva dichiarazione di
illegittimità costituzionale di una norma su cui esso si basa.
A questa ipotesi si deve prestare particolare attenzione, perché essa
presenta decisive somiglianze con quella oggetto della nostra attuale attenzione.
(186) Come l’autorità della legge non si fonda solo sull’atto di volontà del legislatore,
svincolato da qualsiasi indicazione di contenuto, dopo l’introduzione del controllo di
costituzionalità.
(187) La frase tra virgolette è di A. PIZZORUSSO, Comparazione giuridica e sistema delle fonti
del diritto, Torino, 2005, p. 41; nello stesso senso D. LEIPOLD, Urteilswirkungen und
Rechtsfortbildung, in Ritsumeikan Law Review - International edition, 1989, n. 4, p. 161 ss., p.
162.
- 65 -
In entrambe abbiamo a che fare con successive pronunce di corti giudiziarie che
applicano un parametro decisorio di rango sovraordinato rispetto alla legge
ordinaria e proiettano i loro effetti in via retrospettiva, poiché constatano un vizio
originario del parametro decisorio impiegato dal giudice civile per risolvere la
controversia.
Il tenore del conflitto nelle due ipotesi è lo stesso, mentre costituisce solo
una differenza specifica la diversità degli strumenti tecnici attraverso il quale è
assicurato il primato del parametro decisorio sovraordinato.
Le sentenze della Corte costituzionale incidono sulla validità della norma,
determinandone la perdita di efficacia. Esse sono un atto performativo, che
assicura in prima battuta il primato del parametro sovraordinato semplicemente
pronunciando le parole dichiarative della incostituzionalità (188).
Le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo e le pronunce
interpretative della Corte di giustizia esibiscono una caratteristica comune che le
distingue dalle pronunce della Corte costituzionale. Esse non assicurano il
primato del diritto sovraordinato attraverso un effetto immediatamente costitutivo
sul piano della validità, rispettivamente dell’atto impugnato (dinanzi alla Corte di
Strasburgo), o della norma nazionale che sollecita la proposizione del quesito
interpretativo sul diritto comunitario (dinanzi alla Corte del Lussemburgo). Esse
impongono solo regole concrete di condotta, rispettivamente allo Stato
responsabile della violazione e al giudice a quo.
In particolare, le decisioni della Corte di Strasburgo assicurano il primato
della Convenzione attraverso una pronuncia di mero accertamento della
violazione che concretizza l’obbligo statale di rispettare la Cedu.
Le sentenze della Corte di giustizia assicurano il primato del diritto
comunitario concretizzando la regola di collisione che impone la non applicazione
della norma nazionale contrastante con il diritto comunitario.
In ultima analisi, si tratta però di differenze specifiche che non impediscono
si svolgere un discorso congiunto. In tutte e tre le ipotesi (pronuncia della Corte
costituzionale nazionale, pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo,
pronuncia della Corte di giustizia) la realizzazione pratica del primato della norma
superiore (come la realizzazione di ogni interesse umano) è affidata a condotte
umane concrete che, sul piano della realtà effettuale, diano attuazione alle
pronunce delle corti. Se un anteriore accertamento giudiziale deve cedere in base
(188) Ci si riferisce alle acquisizioni maturate in seno alla discussione sul tema delle norme
costitutive, avviata nella filosofia del diritto italiana dalle due monografie di G. CARCATERRA Le
norme costitutive, 1974, e La forza costitutiva delle norme, 1979 e proseguita poi con i lavori di A.
CONTE, di cui si può vedere, in una prospettiva riassuntiva la voce Costitutività di regole, in Digesto
delle discipline privatistiche, sezione civile. Da ultimo in tema, C. ROVERSI, Sulla duplicità del
costitutivo, in http://www.cirsfid.unibo.it
- 66 -
a queste ultime nella realtà dei fatti e non solo in quella delle parole, può cedere
solo in questo modo, comune alle tre ipotesi.
4. - Punto di partenza è - come sempre - il rapporto tra diritto sostanziale e
processo.
In questo caso si tratta del rapporto tra il diritto sostanziale applicato dalle
due corti europee, cioè rispettivamente la Convenzione europea dei diritti
dell’uomo per la Corte di Strasburgo e il diritto comunitario per la Corte del
Lussemburgo, da un lato, e, dall’altro lato, il processo giurisdizionale nazionale
che ha prodotto il giudicato.
Il parallelo tra i due diritti sostanziali e le due corti si rivela utile, anche per
mettere a fuoco le differenze.
Il giurista lavora prima di tutto con le parole. Le parole che esprimono i
concetti giuridici per lui sono importanti. In questo caso le differenze cominciano
con le parole.
5. - Nel sistema della Cedu, la parola diritto soggettivo (dell’uomo) compare
fin dal titolo. La convenzione riconosce certi diritti fondamentali alle persone, sia
sul piano sostanziale che processuale. Il processo nazionale è strumento
privilegiato di attuazione di questi diritti soggettivi, nell’occasione di una
controversia civile o amministrativa o nell’esercizio di un’azione penale, nel
rispetto delle garanzie processuali parimenti riconosciute. La Corte europea dei
diritti dell’uomo è chiamata a valutare, attraverso la vicenda che è sottoposta al
suo esame, se è come hanno trovato realizzazione i diritti fondamentali dell’uomo.
6. - Nel sistema eurounitario campeggia fin dall’inizio la parola diritto
(oggettivo) dell’Unione europea. La preoccupazione principale - anche della Corte
di giustizia, anzi soprattutto di quest’ultima - è stata fin dall’inizio e continua ad
essere ancora oggi l’attuazione dell’ordinamento giuridico eurounitario per mezzo
degli Stati membri e all’interno di questi ultimi.
È inevitabile che sia così, pena il fallimento di questo grandioso progetto.
Il corpo eurounitario cammina fondamentalmente con le «gambe» degli Stati
membri: gambe legislative (in primo luogo, con l’attuazione delle direttive
eurounitarie), gambe amministrative (al di fuori delle ipotesi eccezionali di
esecuzione diretta come nel settore della concorrenza e degli aiuti di Stato), e
gambe giurisdizionali (i giudici nazionali sono giudici eurounitari in senso
funzionale). È la prospettiva dell’art. 4 TUE, e in precedenza dell’art. 10 Trattato
- 67 -
CE ( 189), del principio di leale collaborazione degli Stati membri nei confronti
dell’Unione europea. Esso genera obblighi statali di attuazione sul piano
legislativo, obblighi di esecuzione sul piano amministrativo, obblighi di
realizzazione sul piano giurisdizionale.
Campeggia un obiettivo fondamentale: la piena efficacia pratica del diritto
dell’Unione europea (effet utile). In questa prospettiva, prima che strumenti di
attuazione e di garanzia dei diritti dell’uomo (come nel sistema Cedu), i processi
giurisdizionali nazionali sono strumenti di attuazione del diritto eurounitario in
senso oggettivo.
Inoltre, certamente, il diritto comunita cammina con le gambe dei cittadini
dell’Unione europea. Le molte volte che l’ordinamento eurounitario riscontra
omogeneità di interessi tra la costruzione dell’edificio eurounitario e l’interesse
individuale dei soggetti privati, riconosce a questi ultimi dei diritti: appunto, i
diritti di derivazione eurounitaria. Ed allora i cittadini possono far valere in un
giudizio nazionale tali diritti anche nei confronti dello Stato membro: in presenza
di determinati presupposti, possono per esempio chiedere la revoca della
decisione controversa (Kühne & Heitz) ( 190).
Realizzando così i loro interessi individuali, i cittadini realizzano anche
l’interesse dell’Unione europea. Le istituzioni eurounitarie - e la Corte di giustizia
in prima linea - hanno a cuore l’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti di
derivazione eurounitaria perché essa rappresenta un cardine dell’effettività,
dell’efficacia piena e completa del diritto comunitario, oltre che dell’accettazione
dell’Unione fra i popoli europei.
Come si può dare loro torto?
7. - Non vorrei riaprire a questo punto l’eterna polemica sui rapporti tra
diritto oggettivo e diritto soggettivo. Non ci porterebbe da nessuna parte.
Ma non ci porterebbe nemmeno da nessuna parte negare che vi sia una
qualsiasi differenza: ci troveremmo nel bel mezzo della proverbiale notte
(189) Testo dell’art. 4 TUE: «In conformità dell'articolo 5, qualsiasi competenza non
attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. 2. L'Unione rispetta l'uguaglianza
degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura
fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali.
Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità
territoriale, di mantenimento dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In
particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro. 3. In
virtù del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono
reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. Gli Stati membri adottano ogni
misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti
dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. Gli Stati membri facilitano
all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere
in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione».
(190) Cfr. le conclusioni dell’Avv. generale Geelhoed nella causa Lucchini.
- 68 -
hegeliana. Quanto meno dovremo constatare una diversa intonazione, se non una
diversa prospettiva, tra il sistema Cedu e il sistema eurounitario.
Dopo tutto ci troviamo pur sempre dinanzi ai poli costitutivi dell’esperienza
giuridica moderna nell’Europa continentale.
Non è un caso che, da quando è scoccata «l’ora dei diritti fondamentali
nell’Unione europea» (191), la Corte del Lussemburgo ricorre alla Cedu come
parametro valutativo ( 192).
Nondimeno, se fossimo costretti ad individuare in uno solo il principio
fondamentale che ispira tutta la giurisprudenza della Corte di giustizia dai suoi
inizi fino ad oggi, dovremmo individuarlo nella piena realizzazione della efficacia
diretta e del primato del diritto comunitario (nella sua intonazione oggettiva).
Conosciamo anche le strategie messe in campo dalla Corte di giustizia per
evitare di ingabbiarsi in strutture preconcette e cogliere così le istanze normative
che promano dal caso concreto che di volta in volta le si presenta davanti.
Una di queste tecniche è impiegata proprio per inquadrare i rapporti fra
sistemi processuali nazionali e diritto dell’Unione europea.
Si tratta dell’uso argomentativo di due coppie di concetti, tra di loro opposti
(tesi e antitesi), che vengono superati nella sintesi conclusiva che sorregge il
dispositivo della sentenza, in cui si dà la prevalenza all’uno o all’altro dei due
(spesso, ma non sempre, al concetto nato più recentemente nella giurisprudenza
della Corte). Si tratta appunto di una sintesi dialettica nel senso hegeliano, una
Aufhebung: termine che reca con sé contemporaneamente
l’idea del
superamento, ma anche l’idea della conservazione della contraddizione.
Infatti la coppia concettuale antitetica immancabilmente si ripresenta alla
prossima pronuncia, assicurando alla giurisprudenza della Corte di giustizia il
carattere flessibile, pragmatico, adogmatico che la contraddistingue. In questo
modo il reciproco confronto e influenzamento tra i tratti della situazione da
giudicare e i tratti del canone decisorio, che sempre caratterizzano l’attività di
applicazione delle norme giuridiche ai casi della vita ( 193), si profilano specialmente nella giurisprudenza della Corte del Lussemburgo - per un’intensa
proiezione sul parametro decisorio delle istanze di regolazione del caso concreto.
Da un lato, la Corte ha affermato e continua ad affermare il principio
dell’autonomia processuale degli Stati membri. Fra le più citate in questo senso è
(191) Così, M. CARTABIA, L’ora dei diritti fondamentali nell’Unione europea», in I diritti in
azione, a cura di M. Cartabia, Bologna, 2007.
(192) Cfr. Corte giust. 15 maggio 1986, C-222/84, Johnston, in Racc., p. 1663 ss., sulla
quale v. N. TROCKER, La carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed il processo civile, in
Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, p. 1171, p. 1193.
(193) Così, K. ENGISCH, Logische Studien zur Gesetzesanwendung, 3a ed., Heidelberg, 1963,
p. 14 s.: «Hin- und Her- Wandern des Blicks».
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la sentenza Rewe ( 194): «allo stato attuale del diritto comunitario, caratterizzato
dalla mancanza di una specifica disciplina processuale, è l’ordinamento giuridico
interno di ciascuno stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le
modalità procedurali delle azioni giudiziali intese a garantire la tutela dei diritti
spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi efficacia diretta» ( 195).
Secondo la prospettazione originaria di questa posizione, quale si riscontra nella
sentenza Rewe e in quelle degli anni immediatamente successivi, gli unici limiti
che gli ordinamenti processuali incontrano nella loro autonomia è che la tutela
dei diritti di derivazione eurounitaria non può essere meno favorevole di quella
assicurata ad analoghi diritti di derivazione nazionale (principio di equivalenza) e
che non deve essere resa praticamente impossibile ( 196).
L’accoglimento integrale e consequenziale di questa prospettiva metterebbe
al sicuro il giudicato nazionale da qualsiasi attacco proveniente dal diritto
eurounitario.
Ma la giurisprudenza della Corte di giustizia non è rimasta ferma. Nel corso
degli anni, il secondo limite posto all’autonomia processuale degli Stati membri
(quello relativo alla garanzia di un livello minimo di protezione dei diritti di
derivazione comunitaria) è cresciuto. Pur essendo inserito formalmente, ancora
nelle pronunce più recenti, nella stessa massima che si apre con il principio
dell’autonomia, esso si contrappone sostanzialmente a quest’ultimo: dalla
richiesta di un livello minimo di protezione, la Corte è passata ad una nozione di
effettività della tutela particolarmente incisiva ( 197). Infatti, a partire soprattutto
dalla pronuncia Factortame la Corte di giustizia ha ritenuto che l’attuazione dei
principi dell’effetto diretto e del primato del diritto comunitario comporti la non
applicazione di «qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria»
nazionale, e quindi anche di norme processuali, che diminuiscano l’efficacia
piena e utile delle norme eurounitarie, la loro effettività ( 198).
(194) Corte giust. 16 dicembre 1976, C-33/76, Rewe, in Racc., p. 1989.
(195) Cfr. N. TROCKER, La carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed il processo
civile, cit., p. 1189; E. CANNIZZARO, Sui rapporti tra sistemi processuali nazionali e diritto dell’Unione
europea, in Il diritto dell’Unione europea, 2008, p. 447 ss., p. 447.
(196) Cfr. N. TROCKER, La carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed il processo
civile, cit., p. 1171, p. 1189 ss. cui si rinvia per le indicazioni giurisprudenziali di questo periodo.
(197) Cfr. Corte giust. 24 aprile 2008, C-55/06, Arcor. La formula è la seguente: «spetta
esclusivamente agli Stati membri, nell’ambito dell’autonomia procedurale di cui essi dispongono,
stabilire, nell’osservanza dei principi di equivalenza e di effettività della tutela giurisdizionale…».
(198) Le parole tra virgolette sono tratte dalla celebre Corte giust. 19 giugno 1990, causa C213/89, Factortame, in Racc., p. I-2433, in cui la Corte si è pronunciata sul divieto per il giudice
britannico di emettere misure cautelari nei confronti del governo, nel senso che «la piena efficacia
del diritto comunitario sarebbe [..] ridotta se una norma di diritto nazionale potesse impedire al
giudice chiamato a dirimere una controversia disciplinata dal diritto comunitario di concedere
provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della pronuncia giurisdizionale
sull'esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario. Ne consegue che in una
situazione del genere il giudice è tenuto a disapplicare la norma di diritto nazionale che sola osti
alla concessione di provvedimenti provvisori».
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Così la Corte di giustizia enuncia il principio della massima strumentalità
del processo nazionale nei confronti del diritto eurounitario: siamo agli antipodi
rispetto all’autonomia.
L’accoglimento integrale e consequenziale di questa prospettiva metterebbe
al sicuro il diritto eurounitario da qualsiasi resistenza opposta da un giudicato
nazionale, di cui si potrebbe sempre predicare l’ingiustizia dal punto di vista
comunitario, al fine di non applicarlo.
Notevole è infatti, come si è visto, l’impatto sui giudicati nazionali della
decisione della Corte di giustizia. Essa pone un vincolo determinato nel suo
contenuto e indirizzato al giudice del processo principale, del seguente tenore «il
diritto comunitario osta all’applicazione di una norma nazionale, come l’art. 2909
del codice civile italiano».
Apparentemente non sussistono margini di manovra per il giudice a quo,
una volta creatasi l’occasione dell’apertura di un secondo processo, del rinvio
pregiudiziale, nonché di una pronuncia così intonata.
Nel caso concreto il giudicato cede.
8. - Segnati i limiti estremi (teorici) di oscillazione del pendolo della
giurisprudenza della Corte di giustizia, occorre cominciare ad orientarsi.
In realtà, un sistema processuale o è autonomo oppure è strumentale
rispetto al diritto sostanziale che chiede di essere attuato nel processo. Quindi il
processo, se è veramente tale, non può che essere solo strumentale.
L’autonomia del diritto processuale civile si riduce alla disciplina
procedurale: competenza del giudice, forme procedimentali, termini, ecc. Il
processo è disciplina di forme e di termini, come scrivevano i nostri antichi, come
non ha mai negato lo stesso Savigny, nello stesso momento in cui affermava che il
diritto d’azione era lo stesso diritto soggettivo sostanziale che reclamava
protezione dalla ferita della violazione.
Il discorso fondamentalmente non cambia tra diritto sostanziale
comunitario e diritto processuale degli Stati membri. Anzi, nella giurisprudenza
della Corte di giustizia questo aspetto si profila particolarmente bene: quanto più
essa si incammina nella direzione tesa ad assicurare l’effettività del diritto
sostanziale (comunitario), tanto più essa riduce l’autonomia dei diritti processuali
nazionali a disciplina di competenze, di forme procedimentali, di limiti temporali.
È inevitabile ed è corretto che sia così.
Per un’attenta ricostruzione della evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia,
v. N. TROCKER, La carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed il processo civile, cit., p.
1171, p. 1192 ss., che cita sulla stessa linea il precedente caso Corte giust. 15 maggio 1986, C222/1984, Johnston, in Racc., p. 1651.
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Se questo è vero, allora il conflitto tra il giudicato nazionale e le pronunce
della Corte di giustizia non è il conflitto tra l’autonomia degli ordinamenti
processuali nazionali e l’effettività del diritto eurounitario.
Se mettiamo il problema in questi termini, non c’è gara: abbiamo già dato
implicitamente la risposta a favore dell’effettività del diritto eurounitario. Il valore
dell’autonomia dei diritti processuali nazionali è stato già ridotto ai minimi
termini e l’abbattimento del giudicato contrastante con il diritto eurounitario, pur
temperato da declamazioni in senso contrario e calibrature sul caso concreto, è
solo un passo ulteriore in una direzione già ampiamente tracciata, e non da ieri,
ma da Costa v. Enel.
Il giudicato non può resistere dinanzi all’urto del diritto eurounitario se lo si
ricostruisce puramente e semplicemente come istituto di diritto processuale.
In realtà, la partita deve essere giocata su di un altro terreno.
Il conflitto tra il giudicato nazionale e le pronunce della Corte di giustizia è
il conflitto tra due diverse strumentalità del processo civile e, alla fine, tra due
diversi diritti sostanziali: la lex specialis concretizzata nel giudicato, a protezione
dell’interesse individuale del soggetto privato che ha vinto il processo, e l’effet utile
del diritto eurounitario.
Solo se si imposta il conflitto in questi termini, si dischiude qualche
prospettiva di resistenza per il giudicato.
9. - Per incamminarci in questa direzione, dobbiamo allargare di nuovo un
momento la prospettiva.
Se si parla congiuntamente strumentalità e di autonomia del processo
(autonomia rispetto alle valutazioni del diritto sostanziale, e non solo autonomia
nella disciplina di requisiti soggettivi, di requisiti formali e di termini), ciò accade
perché si accoglie una nozione mitigata di strumentalità, sulla quale si proiettano
ancora le ansie di fondazione del diritto processuale (civile) come branca
autonoma rispetto al diritto privato.
La Germania di metà del secolo XIX è l’epicentro di un vero e proprio
terremoto ideale, che conduce in pochi lustri ad un cambiamento di natura della
riflessione sulla protezione giudiziaria dei diritti rispetto alla sua fondazione
giusnaturalista: l’abbandono dell’alveo dello ius privatum e la netta scelta di
campo in favore della collocazione del diritto processuale civile entro lo ius
publicum.
Nell’indicare lo storico distacco del diritto processuale dal diritto
sostanziale, l’esperienza giuridica tedesca impiega frequentemente il termine
Trennung: lo stesso sostantivo che significa, in altri contesti e accompagnato da
diversi aggettivi, la separazione dei coniugi, la scissione di un legame chimico, la
segregazione razziale.
- 72 -
La separazione del diritto processuale dal diritto sostanziale costituisce al
giorno d’oggi, specialmente negli ordinamenti giuridici dell’Europa continentale,
uno strumento cui difficilmente si può rinunciare nella costruzione e
comprensione del sistema ( 199).
Tuttavia l’impiego del termine Trennung costituisce il segno di una
originaria separazione traumatica, di cui ancora oggi sono visibili i postumi, non
solo a causa della vischiosità dell’evoluzione dell’esperienza giuridica.
In che cosa è consistito questo trauma?
Non già, di per sé, nel fatto che il diritto processuale cominci ad uscire
dall’alveo del diritto privato sostanziale e si affermi come autonoma parte del
diritto.
Non già, di per sé, nel fatto che, liberato dalla corrispondenza con il diritto
soggettivo privato, il diritto di azione si profili ormai come una situazione
giuridica soggettiva appartenente al campo del processo, indipendente dal diritto
sostanziale.
Il trauma consiste in una sorta di mutazione genetica che il diritto
processuale subisce nel costruire la propria autonomia disciplinare: «con la
separazione tra diritto sostanziale e processo si dischiude la prospettiva della
qualificazione del diritto processuale come diritto pubblico: nel processo le parti
compaiono dinanzi al giudice, che esercita il potere statale; non si può più parlare
di un assetto paritario come nel diritto privato» (200).
Siamo nella seconda metà del secolo XIX. Non sono certo questi i tempi in
cui una branca del diritto appena nata, se vuole crescere bene, possa
assecondare la propria intrinseca natura interstiziale e possa coltivare una
visione chiaroscurale del proprio posizionamento all’interno dell’esperienza
giuridica. È questo il tempo della grande dicotomia, della grande contrapposizione
tra diritto privato e diritto pubblico.
Bianco o nero: la nuova scienza del diritto processuale non può rimanere
sospesa nel mezzo tra i due poli, come le suggerirebbe il modo di essere dei
fenomeni studiati, ma deve far violenza a questi ultimi, deve prendere
risolutamente partito: abbandonare la vecchia culla del diritto privato e correre
tra le braccia possenti della scienza del diritto pubblico ( 201).
(199) Cfr. W. HENCKEL, Prozessrecht und materielles Recht, Göttingen, 1970, p. 5.
(200) Così, P. ARENS, Die Grundprinzipien des Zivilprozeßrechts, Humane Justiz, a cura di
Peter Gilles, Frankfurt, 1977, p. 1, il quale prosegue sostenendo che questa qualificazione del
diritto processuale come diritto pubblico oggi non può essere posta più in dubbio.
(201) Per un più ampio discorso su questo punto si rinvia a R. CAPONI, Autonomia privata e
processo civile: gli accordi processuali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2008, supplemento al n. 3.
- 73 -
10. - In questa temperie culturale ha potuto felicemente attecchire la teoria
processuale del giudicato, prevalente nella cultura tedesca, al giorno d’oggi più
per la forza d’inerzia della tradizione ( 202).
La visione prospettica dello storico ha colto questo legame immediatamente:
la teoria processuale del giudicato rifletteva, «la posizione di autonomia, che la
scienza del diritto processuale era venuta rivendicando, e poteva apparire un
completamento o una difesa di tale autonomia, mostrando che le norme del
diritto processuale, non solo si distinguevano da quelle sostanziali, ma
costituivano pure un sistema concluso, capace di stabilire e garantire
autonomamente gli effetti degli atti processuali, compresi quelli della sentenza
passata in giudicato» ( 203).
Secondo una delle sue formulazioni più recenti, la prescrizione concernente
l'osservanza della cosa giudicata si risolverebbe in una «norma processuale di
comportamento» per il giudice futuro e non in una norma di comportamento per
le parti; la sentenza passata in giudicato sarebbe vincolante per le parti, ma solo
come conseguenza del vincolo per il giudice ( 204). Si può prendere questa
formulazione come modello espressivo della teoria processuale in senso classico,
avviata dalle riflessioni di Stein e Hellwig; essa ha dunque come caratteristica
determinante quella di negare ogni influenza della sentenza passata in giudicato
sul diritto sostanziale.
Il vizio di appiattimento prospettico di questa teoria è quello di aver
trasformato un legame contingente - quello tra il giudicato e il potere dello Stato,
quale si manifesta attraverso il potere del giudice - in un legame appartenente
all’essenza del giudicato. Questo passaggio è del tutto evidente nel sistema di
pensiero di James Goldschmidt. Con la sua ricostruzione del processo come
situazione giuridica (Rechtslage) egli attacca al cuore la teoria del processo come
rapporto giuridico tra parti e giudice, soprattutto perché egli non ritiene che essa
tenga conto in modo sufficiente del peso degli interessi pubblici immanenti al
processo civile per il carattere statuale della giurisdizione. Tali interessi prosegue Goldschmidt - sono protetti dagli obblighi in capo al giudice che si
inseriscono nella sequenza processuale, ma che hanno la loro fonte in un
rapporto di diritto pubblico esterno al processo: un profilo che la dottrina del
rapporto giuridico processuale difficilmente può inquadrare ( 205). E poi egli chiude
(202) L’adesione alla teoria processuale di A. DE LA OLIVA SANTOS, Oggetto del processo civile
e cosa giudicata, cit., p. 129 ss., mi sembra il frutto di un atteggiamento più «realista del re».
(203) Così, G. PUGLIESE, voce Giudicato civile (dir. vig.), cit., p. 817 s., il quale prosegue
osservando che «le spiegazioni e giustificazioni storiche non bastano a rendere oggi accettabile ed
esauriente quella teoria».
(204) Così, H. F. GAUL, Möglichkeiten und Grenzen der Rechtskraftdurchbrechung unter
Berücksichtigung neuerer Tendenzen im deutschen Zivilprozeßrecht, cit., p. 19.
(205) Cfr. infatti J. GOLDSCHMIDT, Der Prozess als Rechtslage (1925), rist., Aalen, 1962, p. 77
s.
- 74 -
il sistema con il giudicato: quegli stessi obblighi di diritto pubblico che fanno capo
al giudice veicolano anche la forza e la stabilità del giudicato: la Rechtskraft è
ribattezzata Gerichtskraft, nel duplice senso che la validità dell’accertamento
giudiziale si fonda sul potere del tribunale ed è limitata all’ordinamento
processuale, rivolgendosi ai giudici futuri ( 206).
Al giorno d’oggi la teoria processuale del giudicato appare recare
pesantemente su di sé i segni del tempo in cui è nata ed è prosperata.
Essa non è in grado di offrire una solida giustificazione di un elemento
costitutivo dell’essenza del giudicato, che riveste un ruolo centrale nella presente
indagine: l’intangibilità del giudicato da parte dello ius superveniens retroattivo.
È difficile comprendere come una concezione che si vanta di spiegare
l'efficacia del giudicato come quella che si produce esclusivamente sul terreno del
processo possa giustificare teoricamente la resistenza del giudicato nei confronti
dello ius superveniens retroattivo, dal momento che l'attacco portato da
quest'ultimo alla situazione giuridica accertata si colloca direttamente sul terreno
sostanziale. Invero: la teoria processuale è in grado di rendere conto
dell'immutabilità del giudicato a situazione giuridica immutata, ma non in
presenza di una legge retroattiva che interviene sulla stessa situazione giuridica
accertata.
La percezione di ciò concorre a spiegare perché attualmente prevalgano in
modo persuasivo - lo conferma l’analisi comparatistica, pur nella varietà delle
vedute e delle ricostruzioni - le concezioni sostanziali sulla natura e il modo di
operare del giudicato, come quella accolta nel presente lavoro, secondo cui il
giudicato ha la virtù di «sganciare» la rilevanza giuridica della fattispecie dedotta
in giudizio dalla norma giuridica generale ed astratta e di sostituirsi a
quest’ultima nella disciplina di quella. In via di principio, la sentenza si
sostituisce alla norma come lex specialis del caso concreto ( 207).
11. - La necessità della scienza del diritto processuale di scegliere il settore
dello ius publicum, per non essere frantumata nel campo di tensione provocato
dai due poli concettuali contrapposti, non è quindi un’operazione indolore, come
possiamo scorgere tra le righe del discorso di Chiovenda: «volendo ricondurre la
legge processuale civile in una delle due grandi partizioni del diritto, può dirsi che
essa appartiene al diritto pubblico, perché regola più o meno immediatamente
un’attività pubblica. Ma si deve riconoscere che essa è autonoma, cioè ha una
posizione speciale, che deriva dall’intreccio continuo dell’interesse generale e
dell’interesse individuale nel processo civile. Se l’attuazione delle legge in sé è una
(206) Cfr. infatti J. GOLDSCHMIDT, Der Prozess als Rechtslage (1925), cit., p. 211 s.
(207) Per un più ampio discorso sul punto, si rinvia a R. CAPONI, L’efficacia del giudicato
civile nel tempo, cit., p. 219 ss.
- 75 -
funzione dello Stato, il quale è sommamente interessato al modo e agli effetti del
suo esercizio, alla rispondenza della propria attività al suo scopo, è certo che
all’andamento del processo e al suo risultato nel caso concreto sono
principalmente interessate le parti, che aspirano traverso l’attuazione della legge
a un bene della vita» ( 208).
Questo passo di Chiovenda è molto significativo: egli concede (è costretto a
concedere) che il diritto processuale civile appartiene al diritto pubblico, ma poi
sviluppa effettivamente la sua argomentazione in tutt’altra direzione, sondando la
possibilità di collocare il diritto processuale in un territorio intermedio tra diritto
pubblico e privato. Una possibilità allora ancora difficile, ma oggi concretamente
praticabile, poiché ci troviamo al definitivo tramonto della grande dicotomia.
12. - Fino ai giorni nostri, la teoria e la prassi della protezione giudiziaria
dei diritti si sono sentite costrette a muoversi nel campo di tensione provocato da
due poli concettuali contrapposti (diritto pubblico, diritto privato).
Oggi si deve però apertamente riconoscere - per usare una bella immagine
di Michael Stolleis ( 209) - che questa polarità è come la luce di una stella che si
irradia ancora, molto tempo dopo che la sua sorgente si è esaurita. Per
consolidare la propria esistenza, il diritto processuale civile non ha più bisogno di
coltivare in modo geloso la propria assoluta autonomia rispetto al diritto
sostanziale, come è accaduto all’inizio della sua storia moderna.
Da molti decenni si è dischiusa la prospettiva del recupero di una
correlazione di valutazioni tra diritto privato e diritto processuale civile. Scriveva
Wolfram Henckel nel 1970: «noi non possiamo dire che il processo persegue lo
scopo di attuare il diritto soggettivo o di difenderlo. Noi diciamo piuttosto che il
diritto soggettivo può essere esercitato nel processo e che il diritto processuale
fissa limiti di questo esercizio, limiti che nei loro effetti sono comparabili con i
limiti fissati dal diritto sostanziale. Se gli effetti sono comparabili e sono
riconducibili a condotte comparabili, allora anche le valutazioni del diritto
processuale devono accordarsi con quelle adottate dal diritto sostanziale in
relazione all’esercizio stragiudiziale del diritto. Il vantaggio che l’una parte
consegue a carico dell’altra nello svolgimento del processo non può essere fondato
su punti di vista attinenti al bene pubblico. Tale vantaggio deve fondarsi su
valutazioni adeguate al diritto soggettivo privato» ( 210).
(208) G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1935, I, p. 102.
(209) M. STOLLEIS, Öffentliches Recht und Privatrecht im Prozeß der Entstehung des modernen
Staates, in HOFFMANN-RIEM, SCHMIDT-ASSMANN, in Öffentliches Recht und Privatrecht als
wechselseitige Auffangsordnungen, Baden-Baden, 1996, p. 59.
(210) Così, W. HENCKEL, Prozessrecht und materielles Recht, cit., p. 62 s., con rinvio in nota
al pensiero di NEUNER, Privatrecht und Prozeßrecht (1925).
- 76 -
13. - Qual è l’impatto del recupero di una correlazione di valutazioni tra
diritto privato e diritto processuale civile sul nostro discorso? È tutto condensato
nella frase finale del passo di Henckel. Ciò che egli riferisce al processo nel suo
complesso, vale a fortiori per il giudicato.
Il vantaggio che l’una parte consegue a carico dell’altra con il giudicato non
può essere fondato su punti di vista attinenti al bene pubblico, cioè sul giudicato
come manifestazione del potere giurisdizionale, come attuazione della volontà
della legge nel caso concreto, se non addirittura come manifestazione della
sovranità dello Stato. Sarebbe il modo migliore per offrirlo sull’altare del primato
del diritto comunitario.
Il vantaggio che l’una parte consegue a carico dell’altra con il giudicato si
fonda e deve fondarsi su valutazioni adeguate al diritto soggettivo privato,
all’interesse individuale che attraverso il giudicato deve ricevere protezione
definitiva: «se è stata emessa una sentenza, contro la quale non è più proponibile
alcun mezzo di impugnazione e che quindi chiude l’iter processuale – sostiene
Henckel - la parte soccombente non viene più ascoltata, in via di principio, se
allega che la decisione è sbagliata. Il giudicato vincola le parti anche alla
decisione sbagliata. Se la sentenza devia dalla situazione giuridica effettiva,
perché la parte soccombente non ha allegato fatti e prove per sé vantaggiose, essa
deve sentirsi opporre che non ha sfruttato le possibilità messe riccamente a
disposizione dal processo e che l’avversario ormai può fare affidamento sul fatto
che la controversia è stata decisa in modo definitivo e vincolante, dopo che
entrambe le parti hanno potuto esporre il loro punto di vista. L’efficacia di
preclusione del giudicato si fonda sul fatto che entrambe le parti potevano
allegare tutto ciò che era rilevante e lo dovevano fare nell’interesse dell’avversario.
Chi non utilizza le chances del processo, decade da un ulteriore esercizio del suo
diritto, nell’interesse meritevole di tutela dell’avversario» ( 211).
Una concezione liberale che si fonda sulla libertà del soggetto di prendere
l’iniziativa per la tutela del proprio interesse e sulle conseguenti ricadute in
termini di autoresponsabilità ( 212).
14. - Conviene fare propri in una prospettiva ricostruttiva i risultati già
conseguiti nella parte analitica.
Il giudicato è un aspetto connaturato alla funzione sociale dell’atto di
composizione della lite e risponde essenzialmente all’interesse delle parti, non è
un elemento peculiare della funzione dello Stato di rendere giustizia e non
risponde all’interesse di quest’ultimo.
(211) Così, W. HENCKEL, Prozessrecht und materielles Recht, cit., p. 96.
(212) A questa concezione di fondo mi sono ispirato anche in R. CAPONI, La rimessione in
termini nel processo civile, Milano, 1996, passim.
- 77 -
Il giudicato è una istituzione sociale, prima che statale.
Come utenti di un servizio pubblico di composizione delle controversie, le
parti sono libere in via di principio di domandare la tutela giurisdizionale dei
propri diritti attraverso un provvedimento giudiziale con attitudine al giudicato o
meno.
Quando le parti domandano ed ottengono il giudicato per la tutela dei loro
diritti, la stabilità del risultato del processo è protetta al massimo grado e gode
della copertura costituzionale, non per una ragione di Stato, ma perché ciò
realizza l’interesse della parte vittoriosa (ed anche della parte soccombente a non
essere più destinataria di ulteriori pretese entro i limiti oggettivi del giudicato), nel
modo in cui esso è stato apprezzato e condotto a realizzazione.
L’autorità di cosa giudicata nel settore civile, al pari di altre situazioni che
determinano l’esaurimento del rapporto, è in via di principio protetta dalla
Costituzione, come un aspetto della certezza che discende dalla garanzia dello
Stato di diritto, non solo nei confronti di successivi interventi retroattivi del
legislatore, ma anche nei confronti di successive dichiarazioni di
incostituzionalità delle norme.
La resistenza del giudicato civile, anche qualora esso si basi su una norma
successivamente dichiarata incostituzionale, conferma espressamente il principio
discendente da una tradizione giuridica plurimillenaria nei confronti di un
fenomeno comparso nella scena giuridica solo di recente, ma di portata più
rilevante rispetto alla introduzione di una pura e semplice norma ordinaria che
ricollega nuovi effetti ad una fattispecie già giudicata.
L'intangibilità del giudicato, pur in conseguenza dell'esito positivo del
sindacato di costituzionalità della norma applicata, significa resistenza di una
decisione che pure si fonda su una norma riconosciuta ex post affetta dal vizio
più grave.
15. - Occorre giocare fino in fondo la partita che contrappone i due poli
costitutivi della nozione di Stato di diritto.
Stato di diritto significa certamente e sempre (non solo nel diritto
dell’Unione europea), da un lato, effetto utile: signoria piena, efficace, utile del
potere esercitato in forma giuridica. Tuttavia Stato di diritto significa anche limite
imposto dal diritto al potere ( 213)
Il giudicato rientra fra questi limiti che il diritto impone al potere: al potere
delle parti, al potere del giudice, al potere dei terzi, al potere del legislatore, al
(213) Per queste due dimensioni, riferite peraltro alla nozione di potere costituente,
costituzione e costituzionalizzazione, v. C. MÖLLERS, Verfassungsgebende Gewalt - Verfassung Konstitutionalisierung, in Europäisches Verfassungsrecht, cit., p. 227 ss., specie p. 229 ss.
- 78 -
potere della Corte costituzionale che dichiara l’incostituzionalità della norma sulla
base del quale il giudice.
16. - Il problema subisce a questo punto una nuova formulazione: vi sono
ragioni sufficienti affinché questo limite che il diritto impone al potere non valga
come limite agli effetti della pronuncia della Corte del Lussemburgo che constata
successivamente che la lex specialis in esso contenuta contrasti con il diritto
dell’Unione europea?
Nel rispondere a questa domanda sarebbe davvero miope costringersi «a
pensare senza precedenti», come talvolta si suggerisce per la riflessione sulla
costruzione dell’Unione europea ( 214).
I cambiamenti e le novità che si dischiudono davanti ai nostri occhi
possono essere colti ed apprezzati solo se inseriti entro una linea di evoluzione
storica che può indicare appunto un senso e una direzione di marcia, «una linea
che nasce prima e continua dopo, una linea vitale entro la quale il punto si situa,
si compie, assume pienezza di significato» ( 215).
Questo approccio non scaturisce solo dal buon senso metodologico, ma con particolare riguardo all’Unione europea - discende da un vincolo normativo.
L’Unione europea «si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello Stato di diritto» e «rispetta i diritti
fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea [..] e quali risultano
dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi
generali del diritto comunitario» ( 216).
L’idea che la composizione della controversia civile ad opera degli organi
giurisdizionali possa esibire un carattere di particolare stabilità - istituto dalle
radici antichissime - è certamente un elemento che rientra nelle tradizioni
costituzionali comuni degli Stati membri dell’Unione europea, al di là della
diversità con cui questa idea trova realizzazione nei vari ordinamenti nazionali
( 217).
(214) Così, invece, G. F. SCHUPPERT, Anforderungen an eine europäische Verfassung, in Zur
Zukunft der Demokratie. Herausforderungen im Zeitalter der Globalisierung, Berlin, 2000, p. 237
ss., specie p. 249.
(215) Così, P. GROSSI, Il punto e la linea (L’impatto degli studi storici nella formazione del
giurista), in L’insegnamento del diritto oggi, a cura di G. Rebuffa e G. Visintini, Milano, 1997, p.
255 ss.
Per tacere del fatto, purtroppo sempre più frequente, che la tendenza a pensare senza
precedenti si manifesta perché i precedenti non si conoscono o non si sanno riconoscere.
(216) Cfr. art. 6 TUE. Nella letteratura italiana più recente, v. A. ADINOLFI, Il principio di
legalità nel diritto comunitario, in Dir. comunitario scambi internaz., 2008, p. 1 ss.
(217) Cfr. per tutti R. STÜRNER, Rechtskraft in Europa, in Festschrift für R. Schütze,
München, 1999, p. 913 ss., p. 913.
- 79 -
Nelle affermazioni contenute in una serie di pronunce dalla Corte di
giustizia, tra cui Eco Swiss ( 218), Köbler ( 219), Kapferer ( 220), il giudicato è
considerato un cardine, al fine di assicurare la certezza del diritto e dei rapporti
giuridici, nonché una buona amministrazione della giustizia.
Irrilevante è, in favore di un cedimento del giudicato nazionale, la retorica
della novità e superiorità della dimensione internazionale e sovranazionale delle
corti europee, ove questi caratteri non siano circostanziati, bensì siano enunciati
in modo generico e apodittico, perché la reazione sarebbe immediata: sono le
carte internazionali e sovranazionali ad essere salite «sulle spalle dei giganti», cioè
i documenti costituzionali nazionali del secondo dopoguerra nell’Europa
continentale, nonché le corti costituzionali nazionali chiamate al controllo di
costituzionalità.
Del tutto irrilevanti le argomentazioni che facessero un semplice e generico
appello alle «limitazioni di sovranità». Il giudicato non c’entra con la sovranità
statale, ma è connaturato alla funzione sociale dell’atto di composizione della lite.
Esso riceve protezione costituzionale nella accezione di uno Stato di diritto che,
nonostante la fedeltà del nome alla tradizione, si è già spostata nella prospettiva
della rule of law.
17. - È giusto allora che il giudicato civile nazionale ceda dinanzi alla
pronuncia della Corte di giustizia?
Tutto il senso di questo studio, tutti i risultati intermedi da esso conseguiti,
l’intero parametro che si è cercato di elaborare per valutare ciò che deve accadere
secondo diritto nei casi di incidenza degli effetti di una pronuncia di una delle
due corti europee su di un anteriore giudicato civile emanato nell’ordinamento
italiano inducono a dare una risposta negativa a questa domanda.
(218) Corte giust. 1° giugno 1999, C-126/97, Eco Swiss, in Racc., p. 3055: l’accertamento
passato in giudicato (attraverso un lodo parziale) della validità di un contratto non può essere
rimessa in discussione per valutare se il contratto sia nullo per contrasto con l’art. 81 del Trattato
CE: « (46) Inoltre si deve sottolineare che [..] norme di procedura nazionali che limitano la
possibilità di impugnare per nullità un lodo arbitrale successivo che sviluppa un lodo arbitrale
interlocutorio avente natura di decisione definitiva per il motivo che quest'ultimo è rivestito
dell'autorità di cosa giudicata si giustificano in virtù dei principi che stanno alla base del sistema
giurisdizionale nazionale, quali il principio della certezza del diritto e quello del rispetto della cosa
giudicata che ne costituisce l'espressione».
(219) Corte giust., 30 settembre 2003, C-224/01, Köbler, cit.
(220) Corte giust., 16 marzo 2006, C-234/04, Kapferer, in Rivista di diritto internazionale
2006, p. 549; in Giur. it., 2007, p. 1091 ss., con nota di C. DI SERI, L’intangibilità delle sentenze
«anticomunitarie: «il principio di cooperazione derivante dall’art. 10 CE non impone ad un giudice
nazionale di disapplicare le norme processuali interne allo scopo di riesaminare ed annullare una
decisione giudiziaria passata in giudicato qualora risulti che questa viola il diritto comunitario.
Infatti, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona
amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive
dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi
ricorsi non possano più essere rimesse in discussione».
- 80 -
Il giudicato in via di principio resiste dinanzi ad una successiva pronuncia
della Corte di giustizia dalla quale risulti che il parametro decisorio adottato dal
giudice non è conforme al diritto comunitario.
Senza necessità di ripetere nel dettaglio tutte le argomentazioni, basterà
sottolineare che non si intravedono motivi per assoggettare in questa ipotesi il
giudicato ad una protezione minore di quella che lo assiste dinanzi alla
dichiarazione di incostituzionalità della norma a base della decisione giudiziale.
18. - La resistenza del giudicato ha sempre conosciuto delle eccezioni.
Innanzitutto vi sono le ipotesi predeterminate in via tassativa ex ante dalla
legge nella disciplina dei mezzi di impugnazione straordinari. Nell’ordinamento
italiano si tratta di: dolo di una delle parti in danno dell’altra, prove false (tranne
il giuramento falso, in cui la controparte è ammessa a chiedere solo il
risarcimento del danno) (221) ritrovamento di documenti decisivi, dolo del giudice,
dolo o collusione delle parti in danno di terzi titolari di diritti dipendenti,
collusione delle parti per frodare la legge ( 222).
Vi è poi la possibilità, in ipotesi eccezionali, che i giudicati vengano travolti
in seguito ad effetti sopravvenuti retroattivi.
In particolare, i risultati della parte analitica di questa indagine profilano i
tre casi seguenti.
In primo luogo, il giudicato cede in quei casi in cui i valori giuridici
introdotti dalle norme giuridiche sopravvenute siano così meritevoli di
affermazione da prevalere sulla tutela dell'affidamento delle parti sull'intangibilità
del risultato del processo: ad esempio, quando le norme retroattive sono dirette a
riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo rinnegati in un regime precedente.
In secondo luogo, il giudicato cede in tutti quei casi in cui non si pone un
problema di tutela dell’affidamento dei soggetti privati: in particolare, quando il
giudicato riguarda un rapporto tra un soggetto privato e un organismo di diritto
pubblico in posizione di supremazia ed interviene una norma retroattiva che
introduce effetti più favorevoli al soggetto privato di quelli conseguiti con il
precedente giudicato. Questa ipotesi può considerarsi recepita dalla dimensione
costituzionale che protegge il giudicato come fattispecie produttiva di certezza e di
affidamento nella sua intonazione soggettiva.
In terzo luogo, il giudicato cede dinanzi ad una dichiarazione di illegittimità
costituzionale, qualora questa colpisca proprio la norma sul giudicato, non in sé,
bensì a causa delle circostanze (incostituzionali appunto) che hanno
accompagnato l’esaurimento del rapporto.
(221) Cfr. art. 2738, comma 2° c.c.
(222) Art. 395, 397, 404 c.p.c. italiano.
- 81 -
Inoltre, con il sovrapporsi al piano della legge ordinaria della dimensione
costituzionale affidata al controllo accentrato di una corte, si profila l’esigenza di
proteggere la sfera di diritti e di attribuzioni degli individui e degli organi
costituzionali dagli effetti lesivi di un giudicato incostituzionale.
Nell’esperienza tedesca, la tutela specifica dei diritti fondamentali dinanzi
alla Corte costituzionale, demolitoria del giudicato lesivo, ha luogo attraverso
l’impugnazione entro un breve termine di decadenza (Verfassungsbeschwerde).
Nell’esperienza italiana, la mancanza del ricorso individuale di
costituzionalità determina una lacuna, che si comincia a percepire anche
nell’ordinamento italiano. D’altra parte l’esperienza pratica presenta in Italia una
notevole ipotesi di tutela specifica contro il giudicato che usurpa la sfera di
attribuzioni di un organo costituzionale, attraverso la proposizione dinanzi alla
Corte costituzionale di un conflitto tra poteri dello Stato entro un breve termine di
decadenza.
19. - Come le altre garanzie costituzionali, la protezione del giudicato civile
è esposta quindi al confronto e al bilanciamento con altri valori costituzionali. Il
valore della definitiva composizione della controversia e l’affidamento che le parti
vi ripongono cedono in determinate circostanze.
Ciò non costituisce una novità indotta dall’emergere delle giurisdizioni
internazionali e sovranazionali.
Decisivo è determinare con il massimo della precisione possibile il quando,
il come e il perché.
Si tratta a questo punto di comparare la serie di ipotesi circostanziate, già
elencate, in cui il giudicato viene meno con la tipologia di cedimenti del giudicato
già maturata (o che può maturare) dinanzi alle corti europee, per valutare se e
come in questi casi le argomentazioni che le due corti hanno adottato o possono
adottare sulla base dei loro attuali orientamenti si lascino inserire in questa linea
che inizia nel passato e si proietta verso il futuro.
20. - L’accertamento della violazione ad opera della Corte di Strasburgo non
conduce all’annullamento del giudicato. L’obbligo di conformarsi alle sentenze
definitive della Corte europea dei diritti dell’uomo ricade in generale sullo Stato
responsabile della violazione. È affare interno di quest’ultimo individuare gli
organi competenti ad eseguire la pronuncia o a predisporre gli strumenti per
l’esecuzione. In particolare, nel caso in cui la Corte europea accerti la contrarietà
alla Cedu di un giudicato civile italiano, ben difficilmente questo può essere
travolto in via interpretativa, stante la tassatività dei motivi dei mezzi di
impugnazione straordinari.
- 82 -
In questo caso l’impatto della pronuncia della Corte di Strasburgo sul
giudicato civile anteriore è inferiore rispetto a quello che può e deve essere,
secondo lo standard che è proprio di un ordinamento a costituzione rigida,
protettivo dei diritti fondamentali dell’individuo, in cui gli atti dei pubblici poteri
(ivi compresi quelli dei giudici comuni) sono sottoposti ad un controllo di
costituzionalità ex post da parte di una Corte costituzionale (è il modello della
Verfassungsbeschwerde tedesca).
Che il giudicato civile statale possa cedere dopo essere stato
vittoriosamente impugnato in via principale, entro un termine perentorio
ragionevolmente breve, dinanzi ad una corte internazionale che abbia accertato,
all’esito di un processo giurisdizionale, la violazione di un diritto fondamentale
dell’uomo non potrebbe, né dovrebbe sorprendere.
Ma proprio questo non accade (ancora).
Si può solo osservare che nel caso Dangeville, l’accertamento della lesione
dell’art. 1 del protocollo addizionale, relativo alla protezione della proprietà, per il
fatto che la società era stata indebitamente assoggettata ad imposizione Iva per
l’attività esercitata, nonostante l’esenzione esplicitamente prevista nella
fattispecie da una direttiva comunitaria dotata di effetto diretto, la statuizione di
un equa soddisfazione ha condotto di fatto ad aggirare il giudicato.
La fattispecie rientra significativamente nel modello in cui il giudicato cede
dinanzi ad un effetto retroattivo che introduce per il soggetto privato un
trattamento più favorevole di quello conseguito con il precedente giudicato nei
confronti di un organismo di diritto pubblico.
21. - Come già compiuto con la Corte di Strasburgo, si può comparare la
serie di ipotesi in cui il giudicato viene meno con la tipologia di cedimenti del
giudicato già maturata (o che può maturare) dinanzi alla Corte del Lussemburgo.
22. - In primo luogo, è opportuno considerare l’esigenza di proteggere la
sfera di diritti e di attribuzioni degli individui o degli organi costituzionali dagli
effetti lesivi di un giudicato incostituzionale, attraverso l’impugnazione di
quest’ultimo da proporre entro un termine perentorio ragionevolmente breve.
In questo schema rientra il caso Lucchini. La sequenza dei fatti - narrata
indietro - è impressionante. È sufficiente collocarli semplicemente uno dopo
l’altro, senza commenti. Il carattere eccezionale della vicenda si rivela da sé. Il
caso fa testo solo per confermare la regola ( 223).
(223) Ritornano in mente il celebre passo in cui Carl Schmitt cita il pensiero di Kierkegaard:
«l’eccezione spiega la regola generale e se stessa. E quando si vuol studiare la regola generale, si
ha bisogno solo di cercare una vera eccezione». Ancora: «alla lunga questo continuo discorrere
della regola generale diventa nauseante; ci sono eccezioni. Se non le si può spiegare, allora non si
- 83 -
Altro che crisi del giudicato civile! Ben altre sono le espressioni che si è
tentati di impiegare per qualificare il caso Lucchini. E così si potrebbe parlare di
una violazione dell’obbligo di lealtà e probità processuale ex art. 88 c.p.c. in
danno del terzo (la Commissione europea) ( 224). Oppure si potrebbe parlare, in
progressione di intensità, di collusione posta in opera dalle parti per frodare il
diritto comunitario e la Commissione europea ( 225). La società Lucchini non
impugna la decisione della commissione dinanzi alla Corte di giustizia e il
Ministero non la invoca nel giudizio dinanzi al Tribunale.
Preferibile è però parlare, in termini sintetici e pregnanti, di abuso del
giudicato, poiché esso viene impiegato per mettere in circolazione un precetto che
entra in conflitto diretto con i poteri delle istituzioni comunitarie (della
Commissione e, indirettamente della Corte di giustizia). In altri termini sorge una
incompatibilità diretta tra la regola di condotta concreta scaturente dal giudicato
(cioè, l’obbligo dello Stato italiano di corrispondere il contributo finanziario) e la
regola di condotta scaturente dall’anteriore esercizio del potere della commissione
(cioè l’obbligo dello Stato di chiedere la restituzione del contributo già versato)
( 226).
La sentenza della Corte di giustizia è un colpo di ramazza con cui ci si
libera della sporcizia che nemmeno il giudicato riesce a coprire.
La vicenda si inserisce in una linea che nasce dal passato, sebbene recente.
Come detto, entra in gioco l’esigenza di proteggere dagli effetti lesivi di un
giudicato incostituzionale la sfera fondamentale di attribuzioni di organi
costituzionali.
In realtà gli effetti della sentenza passata in giudicato nel caso Lucchini non
entrano in conflitto con una norma di diritto comunitario generale e astratta,
può spiegare nemmeno la regola generale». Infine: «L’eccezione… pensa la regola generale con
energica passione». Cfr. SCHMITT, Politische Teologie, 8a ed., Berlin, 2004, p. 21; su cui v. H.
HOFMANN, Legitimität gegen Legalität, 4a ed., Berlin, 2004.
(224) In questa direzione, v. F. P. LUISO, L’attività interpretativa del magistrato e la c.d.
clausola di salvaguardia, in Corr. giur., 2008, p. 730 ss.: «In sostanza, la situazione era del tutto
analoga a quella che si verifica in sede di opposizione di terzo: vi era la pretesa di un terzo (la
Comunità), asseritamente prevalente sul diritto della Lucchini». Il passo riportato tra virgolette si
può leggere nell’ultima nota del suo contributo.
(225) Assimila questa vicenda a quella che trova soluzione attraverso l’opposizione di terzo,
P. BIAVATI, La sentenza «Lucchini»: il giudicato nazionale cede al diritto comunitario, in Rass. trib.,
2007, p. 1591.
(226) Cfr. le conclusioni dell’Avv. Generale Geelhoed, n. 47: «nella causa in esame tuttavia la
sentenza della Corte d’Appello passata in giudicato [..] scavalca anche la competenza esclusiva
della Corte, retta dal diritto comunitario, di valutare l’aiuto controverso e incide sugli obblighi a
cui è assoggettato lo Stato italiano ai fini della concessione dell’aiuto di Stato»; n. 72: «essenziale è
il fatto che il giudice nazionale, nell’interpretazione del diritto interno, non può emettere sentenze
che non tengono conto della fondamentale ripartizione di poteri tra la Comunità e gli Stati
membri, sancita dai trattati. Ciò vale anche se siffatte sentenze hanno ottenuto autorità di cosa
giudicata»; n. 87: «l’autorità di cosa giudicata di una sentenza di un giudice nazionale, che
condanna l’autorità nazionale al pagamento dell’aiuto di Stato da essa concesso, non può incidere
sull’esercizio dei poteri conferiti alla Commissione dagli artt. 87 e 88 CE».
- 84 -
bensì con gli effetti di un atto anteriore di una istituzione comunitaria (la
Commissione) che riguarda direttamente e individualmente singole persone
fisiche o giuridiche.
Il soggetto nei cui confronti è presa la decisione o che è comunque colpito
direttamente e individualmente dal provvedimento comunitario (se del caso,
anche da un regolamento) ( 227) ha l’onere di proporre ricorso dinanzi alla Corte di
giustizia. Non gli è consentito di eludere l’intervento di quest’ultima, cercando
tutela dinanzi al giudice nazionale. Se egli percorre quest’ultima strada ed ottiene
un giudicato a sé favorevole, ma confliggente con l’anteriore atto delle istituzioni
comunitarie, deve imputare a se stesso il cedimento del giudicato, in quanto
lesivo delle attribuzioni delle istituzioni comunitarie, comprese in particolare
quelle della Corte di giustizia.
Si tratta in sostanza della soluzione di un conflitto di attribuzioni.
Si pone il problema di come attuare processualmente le disposizioni
contenute nella sentenza Lucchini. Il problema sorge nelle fattispecie diverse da
quella che ha originato il rinvio pregiudiziale, in forza dell’efficacia di precedente
persuasivo delle pronunce della Corte del Lussemburgo. Fondamento normativo
dell’operazione è evidentemente l’art. 10 Trattato CE (oggi l’art. 4 TUE).
Da ciò mi sembra che discendano le seguenti conseguenze. La
legittimazione ad agire in giudizio spetta al governo, attraverso il dicastero
competente per materia, sotto pena altrimenti di essere destinatario di azione di
infrazione del trattato dinanzi alla Corte di giustizia. Competente è l’ufficio
giudiziario che ha emanato la decisione passata in giudicato. Il processo deve
ispirarsi ai principi dell’equivalenza e dell’effettività è quindi seguire il modello di
un giudizio revocatorio.
L’aspetto più delicato è la previsione del termine di decadenza, che
naturalmente vi deve essere per chiudere la vicenda. Ricostruita la fattispecie
come un conflitto di attribuzioni tra istituzioni comunitarie e giudice nazionale, si
dischiude la possibilità di applicare in via analogica l’art. 39, comma 2° della l. n.
87 del 1953, relativa al conflitto di attribuzioni: sessanta giorni a decorrere dal
passaggio in giudicato. Così si evita la necessità di introdurre un motivo di
revocazione straordinaria ad hoc ( 228).
23. - In secondo luogo, fra le ipotesi in cui il giudicato cede, secondo una
linea nata nel passato che si proietta verso il futuro, vi è quella in cui la sentenza
(227) Analisi della giurisprudenza apud G. GAJA, Introduzione al diritto comunitario, Bari,
2005, p. 54 ss.
(228) Cfr. C. CONSOLO, La sentenza Lucchini della Corte di giustizia: quale possibile
adattamento degli ordinamenti processuali interni e in specie del nostro?, in Riv. dir. proc., 2008, p.
224 ss., specie p. 237, che suggerisce di coniare un nuovo motivo di revocazione straordinaria,
promuovibile anche dal pubblico ministero, ritagliato essenzialmente sulla fattispecie oggetto della
sentenza Lucchini.
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interpretativa della Corte di giustizia accerti effetti più favorevoli al soggetto
privato di quelli conseguiti con il precedente giudicato nei confronti di un
organismo di diritto pubblico.
In questo schema rientra l’orientamento avviato dalla sentenza Kühne &
Heitz e proseguito dalla sentenza Kempter.
Queste fattispecie sono discusse soprattutto fra gli studiosi del processo
amministrativo sotto il profilo dell’annullamento in via di autotutela dell’atto
amministrativo illegittimo per violazione del diritto comunitario, ma rilevano
parimenti - se non maggiormente - sotto il profilo del cedimento del giudicato
amministrativo tout court, poiché fra le condizioni poste da Kühne & Heitz vi è come detto - che l’atto amministrativo in questione sia stato confermato da una
sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza (229). Il giudicato
amministrativo proietta infatti la propria efficacia precettiva, a situazione
giuridica e fattuale immutata, sul futuro comportamento dell’amministrazione
( 230).
L’orientamento avviato dalla sentenza Kühne & Heitz e proseguito dalla
sentenza Kempter merita di essere condiviso, poiché trova conferma nell’idea
tradizionale secondo cui le ragioni addotte a sostegno dell’intangibilità del
giudicato (affidamento) non valgono nei rapporti tra organismi di diritto pubblico
che agiscano in posizione di supremazia e soggetti privati, quando intervenga uno
ius superveniens favorevole a questi ultimi.
Viceversa nel precedente caso Köbler la Corte ha inteso conservare un
giudicato anticomunitario sfavorevole al privato e ha rinviato quest’ultimo alla
possibilità offerte dal diritto nazionale di chiedere un risarcimento del danno.
Il ragionamento della Corte sembra il seguente. Sebbene l’illegittimità del
giudicato sotto il profilo dell’inosservanza del diritto eurounitario non si può
predicare al fine di travolgere il suo aspetto precettivo, essa non rimane priva di
sanzione, poiché può costituire il presupposto per una responsabilità risarcitoria
dello Stato nei confronti dei soggetti lesi, in presenza di una violazione di una
norma comunitaria preordinata ad attribuire diritti ai singoli, di un carattere
«sufficientemente qualificato» di tale lesione, nonché di un nesso di causalità tra
la violazione del diritto e il danno ( 231). Ciò può accadere infatti anche quando
(229) Nulla in contrario può essere desunto dal distinguishing contenuto al punto 23 della
sentenza Kapferer, citata.
(230) Per un più ampio discorso sull’aspetto precettivo del giudicato, che può rendere
maggiormente comprensibile ciò che si sostiene nel testo, v. avanti.
(231) Secondo la prospettiva dischiusa da Corte cost. 19 novembre 1991, C-6/90 e C-9/90,
Francovich, in Racc., p. 5357; Corte giust. 5 marzo 1996, C-46/93 e C-48/93, Brasserie du
Pêcheur, in Racc., p. 1029.
- 86 -
l’illecito sia integrato dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di
ultimo grado ( 232).
La Corte di giustizia ha anteposto all’interesse individuale del cittadino a
ricevere una tutela specifica demolitoria del giudicato comunitariamente ingiusto
l’interesse dell’ordinamento eurounitario ad arricchirsi di una pronuncia di
rilevante portata sulla risarcibilità dei danni da giudicato.
Ripensiamo ad un tratto saliente della fattispecie Kühne & Heitz: l’azione
contro l’ingiunzione di restituzione viene respinta in ultima istanza dalla
competente corte olandese, che conferma l’impostazione degli uffici doganali. Il
motivo portante del giudicato di rigetto consiste proprio nella conferma in via
giurisdizionale dell’interpretazione (errata) degli uffici doganali. In assenza di
novità normative e fattuali, gli uffici doganali non avrebbero potuto adottare in
sede di autotutela un’interpretazione diversa da quella confermata dal giudice
amministrativo. In queste condizioni concrete (cui sempre presta attenzione la
Corte di giustizia nelle sue decisioni),
l’unica ragione di distinzione di
trattamento della fattispecie Köbler, rispetto alla fattispecie Kühne & Heitz, risiede
nella proiezione sul parametro decisorio delle diverse situazioni processuali che
hanno originato il rinvio (nella fattispecie Köbler si trattava appunto di un’azione
risarcitoria). In realtà i tratti salienti delle due fattispecie sono però simili.
24. - In terzo luogo, fra le ipotesi in cui il giudicato cede vi rientra quella in
cui esso si è formato secondo modalità incostituzionali.
In questo schema può essere ricompreso il caso dell’accordo delle parti
consapevolmente e volontariamente diretto ad evitare - attraverso il giudicato l’applicazione del diritto comunitario nella fattispecie, cioè la collusione per
frodare il diritto comunitario. Probabilmente questa fattispecie si è verificata
anche nel caso Lucchini, sennonché è assorbente in quella fattispecie l’oggettiva
232
( ) Cfr. i passi rilevanti di Corte giust., 30 settembre 2003, C-224/01, Köbler, cit.: «(53) al
fine di stabilire un'eventuale responsabilità dello Stato per una decisione di un organo
giurisdizionale nazionale di ultimo grado, occorre tener conto della specificità della funzione
giurisdizionale nonché delle legittime esigenze della certezza del diritto come hanno fatto valere
anche gli Stati membri che hanno presentato osservazioni in questo procedimento. La
responsabilità dello Stato a causa della violazione del diritto comunitario in una tale decisione può
sussistere solo nel caso eccezionale in cui il giudice abbia violato in maniera manifesta il diritto
vigente./(54) Al fine di determinare se questa condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale
investito di una domanda di risarcimento dei danni deve tenere conto di tutti gli elementi che
caratterizzano la controversia sottoposta al suo sindacato./(55) Fra tali elementi compaiono in
particolare il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere intenzionale della
violazione, la scusabilità o l'inescusabilità dell'errore di diritto, la posizione adottata
eventualmente da un'istituzione comunitaria nonché la mancata osservanza, da parte dell'organo
giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 234, terzo
comma, CE./(56) In ogni caso, una violazione del diritto comunitario è sufficientemente
caratterizzata allorché la decisione di cui trattasi è intervenuta ignorando manifestamente la
giurisprudenza della Corte in questa materia».
- 87 -
lesione delle attribuzioni della Commissione e - in via mediata - della Corte di
giustizia. Ciò esonera dalla prova della collusione.
In questa ipotesi invece gli effetti della sentenza passata in giudicato
entrano in conflitto non con effetti di atti anteriori delle istituzioni che riguardino
direttamente e individualmente singole persone fisiche o giuridiche, bensì con gli
effetti di una anteriore norma comunitaria generale ed astratta (direttamente
applicabile). In altri termini, vi è una sentenza passata in giudicato che - in virtù
di un accordo collusivo tra le parti che il giudice non è riuscito a sventare - urta
contro un’anteriore norma di diritto comunitario, così come interpretata da una
successiva sentenza della Corte di giustizia.
Anche questa variante di cedimento del giudicato non è una novità, ma si
inserisce in una lunga tradizione storica diretta a colpire la collusione delle parti
in danno di terzi (art. 404, comma 2° c.p.c.) o in frode alla legge (art. 397, n. 2
c.p.c.). Evidentemente, non vi è affidamento delle parti da proteggere. Il venir
meno del giudicato assorbe eventuali profili di responsabilità dello Stato per il
mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
Quanto alle forme processuali, si dischiude la possibilità di applicare
analogicamente l’art. 397 c.p.c. ed il termine di trenta giorni di cui all’art. 325
c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza della Corte di giustizia.
L’omissione dell’iniziativa processuale in revocazione comporta responsabilità
dello Stato per infrazione del diritto comunitario.
25. - In tutti gli altri casi diversi da quelli appena elencati, vale il principio
della intangibilità del giudicato ( 233).
Si tratta di esaminare in che misura il principio abbia ceduto nel caso
Olimpiclub ( 234). Per la parca motivazione della Corte di giustizia si può rinviare
indietro. Conviene a questo punto esaminare le conclusioni dell’avvocato generale
nelle quali è svolto più ampiamente il ragionamento accolto dalla Corte.
Nella parte che ci interessa più da vicino, l’avvocato Ján Mazák riassume
innanzitutto gli orientamenti della Corte di giustizia nei seguenti termini. Le
norme che conferiscono carattere definitivo alle decisioni giurisdizionali o
amministrative contribuiscono alla certezza del diritto, che è un principio
fondamentale del diritto comunitario. Il principio della certezza del diritto – e il
(233) Il problema relativo all’eventuale invalidità della norma comunitaria secondaria - con
la quale contrasta il giudicato - per violazione del diritto primario può essere messo da parte,
poiché il soggetto che non è individualmente colpito dall’atto comunitario non ha la legittimazione
ad impugnarlo dinanzi alla Corte di giustizia e quindi non gli può essere imputato nulla. La
legittimazione spetta agli Stati membri e alle altre istituzioni comunitarie, che non hanno bisogno
di dimostrare l’esistenza di un proprio interesse all’impugnazione.
(234) In tema, D. U. GALETTA, Riflessioni sulla più recente giurisprudenza comunitaria in
materia di giudicato nazionale (ovvero sull’autonomia procedurale come competenza procedurale
funzionalizzata), in Diritto dell’Unione europea, 2009, p. 961 ss.;
- 88 -
carattere definitivo delle decisioni derivante da tale principio – non è assoluto,
bensì deve essere bilanciato con altri valori meritevoli di tutela, quali i principi
dello stato di diritto e del primato del diritto comunitario, nonché il principio di
effettività. Di conseguenza, qualora le norme nazionali che conferiscono carattere
definitivo alle decisioni ostacolino l’applicazione di questi ultimi principi, i giudici
nazionali – e, se del caso, gli organi amministrativi – possono essere tenuti a non
applicare tali norme in determinate circostanze. La giurisprudenza della Corte
rispecchia il bilanciamento che occorre trovare, nelle particolari circostanze di
fatto e di diritto della controversia, tra la certezza del diritto, perseguita
attribuendo carattere definitivo alle decisioni, e la legalità comunitaria. Su questa
base, l’Avvocato generale procede quindi ad esaminare, nei seguenti termini, il
contesto in cui la questione interpretativa è stata sollevata.
A questo punto conviene citare tra virgolette: «come comunemente
interpretata, l’autorità di cosa giudicata attribuita a una sentenza osta a che la
medesima questione o controversia – definita con riferimento all’oggetto, al
fondamento normativo e alle parti in causa – venga ridiscussa in un
procedimento successivo. Di regola, un siffatto identico procedimento si conclude
con una dichiarazione di irricevibilità. Nel caso in esame, tuttavia, le sentenze che
hanno acquistato forza di giudicato sono state pronunciate in procedimenti
diversi vertenti sul prelievo dell’Iva con riferimento ad avvisi di rettifica emessi nel
corso degli esercizi fiscali 1987 e 1992, mentre le annualità fiscali in discussione
nella causa principale sono quelle comprese tra il 1988 e il 1991. Allo stesso
modo, mentre esistono decisioni definitive relative al prelievo dell’Iva nel 1987 e
nel 1992, le controversie tributarie in discussione nel procedimento principale
sono tuttora pendenti. Pertanto, la controversia principale, pur presentando varie
analogie con le controversie tributarie definite dalle due sentenze definitive sopra
menzionate, deve essere considerata, nella parte vertente su periodi d’imposta
diversi, sostanzialmente differente per quanto riguarda l’oggetto. [..] Le sentenze
definitive in questione, che sono state pronunciate in relazione ad esercizi fiscali
diversi, non vengono rimesse in discussione in quanto tali dalla decisione che il
giudice del rinvio è chiamato ad adottare nella controversia principale in relazione
al pagamento dell’Iva negli esercizi fiscali controversi. [..] Nella specie, quindi, a
mio giudizio, non sussistono interessi sostanziali connessi alla certezza del diritto
che possano prevalere rispetto all’obbligo incombente al giudice a quo di applicare
e dare piena efficacia al diritto comunitario, in questo caso al divieto di pratiche
abusive nel settore dell’Iva. Pertanto, si deve concludere che il diritto comunitario
osta all’applicazione di una norma che sancisce il principio della cosa giudicata
con la portata e gli effetti in discussione nel caso di specie».
Le conclusioni dell’Avvocato generale, accolte dalla Corte di giustizia,
limitano l’autorità di cosa giudicata in funzione dell’effet utile del diritto
- 89 -
comunitario, rimodulando i limiti oggettivi del giudicato sulle situazioni
sostanziali ad effetti durevoli accertate in giudizio.
Non si tratta tuttavia di un drammatico cedimento.
Dopo essere stata a lungo ancorata, in materia tributaria, al c.d. principio
«della frammentazione dei giudicati», in base al quale ogni periodo di imposta
conserva la propria autonomia rispetto agli altri e comporta la costituzione, tra
contribuente e fisco, di un rapporto giuridico distinto rispetto a quelli relativi alle
annualità precedenti e successive, la Corte di cassazione italiana aveva
recentemente rovesciato questa posizione (235), affermando il principio secondo il
quale il giudicato concernente un punto fondamentale comune può essere
utilmente invocato anche se si è formato in relazione ad un periodo d'imposta
diverso da quello oggetto del giudizio, poiché il criterio dell'autonomia dei periodi
d'imposta non impedisce che il giudicato relativo ad un periodo di imposta faccia
stato anche per altri, quando incida su elementi che siano rilevanti per più
periodi d'imposta.
Sennonché, vale solo finché la situazione normativa e fattuale non muta
questa proiezione del vincolo dell’accertamento giudiziale relativo ad un elemento
fondamentale di un rapporto anche in successivi giudizi relativi a diversi rapporti,
ma legati da un nesso di identità contenutistica e funzionale con quello accertato
(e destinati a sorgere tra le stesse parti sulla base di fatti costitutivi che si
ripetono nel corso del tempo).
L’aspetto precettivo del giudicato sulla situazione soggettiva accertata in
giudizio concretizza la regola di condotta facoltativa o doverosa delle parti, ma
non la rende certo impermeabile all’incidenza degli effetti sopravvenuti. Tutti gli
effetti giuridici rilevanti maturati dopo il referente temporale del giudicato,
possono essere fatti liberamente valere in un successivo giudizio, relativamente al
tratto successivo della situazione ad effetti durevoli accertata nel primo giudizio
(oppure relativamente a rapporti diversi, anche se anteriori, come è successo nel
caso Olimpiclub).
A questo punto possiamo apprezzare nel suo impatto pratico la
qualificazione della pronuncia interpretativa della Corte di giustizia come un atto
che produce un effetto sopravvenuto retroattivo paragonabile a quello di una
norma interpretativa.
Questo è il tratto di novità: il dialogo giurisprudenziale consentito dall’art.
267 TFUE (ex art. 234 Trattato CE) consente al giudice a quo di mettere in moto
(235) Cass., sez. un., 16 giugno 2006, n. 13916, in Foro it., 2007, I, c. 493 In una fattispecie
di esenzione fiscale pluriennale, accertato con sentenza passata in giudicato che al contribuente
spetta l’esenzione per un segmento dell’arco temporale di estensione dell’esenzione medesima, tale
sentenza ha efficacia di giudicato esterno in un diverso giudizio nel quale si discute della
spettanza dell’esenzione per un altro segmento di quell’arco temporale.
- 90 -
quel processo che può condurre ad un effetto sopravvenuto rilevante, se la Corte
di giustizia accerta l’erroneità dell’interpretazione del diritto comunitario posta a
base del precedente accertamento giudiziale.
Questo è accaduto nel caso Olimpiclub. In sostanza abbiamo a che fare con
un giudicato limitato oggettivamente al solo punto di diritto (236) che soggiace alla
sopravvenienza della pronuncia interpretativa della Corte di giustizia.
Stante l’efficacia di precedente persuasivo della pronuncia della Corte di
giustizia, nelle fattispecie simili a quella che ha originato il rinvio essa ha l’effetto
pratico di rimodulare i limiti oggettivi dell’accertamento, lasciandolo sempre
esposto, con riferimento ai periodi di imposta diversi da quelli accertati,
all’eccezione di una quaestio iuris già deducibile nel corso del primo giudizio: la
mancata o erronea applicazione del diritto comunitario.
Ciò ha costretto la Corte di cassazione italiana a ritornare alla vecchia
teoria della «frammentazione» dei giudicati in relazione ai diversi periodi di
imposta ( 237).
26. – Dopo lo svolgimento di questa relazione, la Corte di giustizia ha deciso
il caso Asturcom, che però non intacca le conclusioni raggiunte.
Nel 2004 viene stipulato un contratto di abbonamento per la telefonia
mobile tra la Asturcom e la signora Rodríguez Nogueira. Il contratto contiene una
clausola compromissoria per arbitrato amministrato. Poiché l’utente non salda
alcune fatture e recede dal contratto prima dello scadere della durata minima, la
Asturcom avvia il procedimento arbitrale e consegue condanna al pagamento di
una somma di 669,60 Euro nei confronti della utente. Il lodo diviene immutabile
per mancata impugnazione da parte della signora (non costituitasi nel processo
arbitrale). Promossa l’esecuzione forzata, il giudice dell’esecuzione rimette alla
Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale: se la tutela dei consumatori
garantita dal diritto comunitario, cioè dalla direttiva 93/13, implichi che il giudice
chiamato a pronunciarsi su una domanda di esecuzione forzata di un lodo
arbitrale definitivo, emesso in assenza del consumatore, rilevi d’ufficio la nullità
della convenzione d’arbitrato e, di conseguenza, annulli il lodo, poiché la
convenzione arbitrale contiene una clausola abusiva pregiudizievole per il
consumatore. La Corte di giustizia risponde che il giudice adito per l’esecuzione
forzata di un lodo arbitrale divenuto definitivo deve rilevare d’ufficio la
vessatorietà della clausola, se la disciplina nazionale lo autorizza a fare ciò in casi
analoghi. Nell’ordinamento spagnolo, da cui il caso trae origine, il giudice
(236) Sul giudicato sul punto di diritto, v. la recente monografia di D. DALFINO, Questioni di
diritto e giudicato. Contributo allo studio dell'accertamento delle "fattispecie preliminari", Torino,
2008.
(237) Cfr. Cass. 25 novembre 2009, n. 24784.
- 91 -
dell’esecuzione forzata ha il potere/dovere di rilevare d’ufficio la violazione di una
norma di ordine di ordine pubblico (come questa) non fatta valere
precedentemente ( 238).
Quindi, nihil sub sole novi per l’ordinamento spagnolo, ma niente di nuovo
sotto il sole nemmeno per l’ordinamento italiano, poiché in questo caso sembra
reggere il limite dell’autonomia procedurale («qualora, secondo le norme
procedurali nazionali, egli possa procedere a tale valutazione nell’ambito di ricorsi
analoghi di natura interna»). Nell’ordinamento italiano il principio secondo cui il
giudicato copre il dedotto e il deducibile copre anche il mancato rilievo
dell’inosservanza di norme di ordine pubblico.
VIII. Triangolo giurisprudenziale europeo
1. - L’essenza del giudicato civile come stabilità della giusta composizione
della controversia ha trovato finora una conferma fondamentale negli
orientamenti delle corti europee, secondo linee provenienti dal passato, con una
rimodulazione dei limiti oggettivi del giudicato sulle situazioni sostanziali ad
effetti durevoli (Olimpiclub).
Tuttavia il compito di un’indagine scientifica non è solo quello di ricostruire
il presente, ma anche di tentare di scrutare il futuro. Inoltre una ricerca di
carattere teorico deve preoccuparsi di affrontare, nei limiti del possibile, non solo i
problemi sorti, ma anche i problemi che possono sorgere pur nella
consapevolezza che si tratta di uno scenario ipotetico. In altri termini conviene
(238) Corte giust., 6 ottobre 2009, C-40/08, Asturcom. In tema, v. G. RAITI, Le pronunce
Olimpiclub ed Asturcom Telecomunicaciones: verso un ridimensionamento della paventata «crisi
del giudicato civile nazionale» nella giurisprudenza della Corte di giustizia, cit.; S. PAGLIANTINI, La
vaghezza del principio di ´non vincolatività` delle clausole vessatorie secondo la Corte di Giustizia:
ultimo atto?, in Rassegna di diritto civile, 2010, fascicolo n. 2; S. PAGLIANTINI, La nullità di
protezione tra rilevabilità d’ufficio e convalida: lettere da Parigi e dalla Corte di giustizia, in Riv. dir.
priv. 2009, fascicolo 3; R. CONTI, C’era una volta il giudicato, in Corr. giur., 2010, fascicolo n. 2.
La Corte di giustizia applica quindi il criterio dell’equivalenza. Esso esige che le condizioni
imposte dal diritto nazionale per applicare d’ufficio una norma di diritto comunitario non siano
meno favorevoli di quelle che disciplinano l’applicazione d’ufficio delle norme di pari rango del
diritto nazionale. Decisivo è il paragrafo 55 (più che il precedente 54): «Orbene, per quel che
riguarda la causa principale, secondo il governo spagnolo, il giudice dell’esecuzione di un lodo
arbitrale divenuto definitivo è competente a valutare d’ufficio la nullità di una clausola
compromissoria, contenuta in un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista, per
essere tale clausola contraria alle norme nazionali di ordine pubblico. Il corsivo è nostro per
sottolineare che la Corte allude ad una situazione soggettiva di «competenza» (nel senso precisato,
in sede di teoria generale, da R. ALEXY, Theorie der Grundrechte, Frankfurt am Main, 1994, p.
211), cioè non ad una mera facoltà discrezionale (che sarebbe sorprendente in capo al giudice in
questo caso, trattandosi di attribuire rilevanza alla contrarietà della clausola all’ordine pubblico),
bensì ad un potere di cui è obbligatorio l’esercizio, una volta constatata la sussistenza dei fatti
costitutivi di quest’ultimo. Diversamente orientato sul punto è R. CONTI, C’era una volta il
giudicato, cit., che parla di un «principio della facoltatività della rilevabilità della nullità del lodo
per contrasto con le norme di ordine pubblico prevista nell’ordinamento spagnolo».
- 92 -
sollevare la questione relativa ai rimedi a disposizione nell’ipotesi in cui il cielo
europeo sopra il giudicato si riempia di qualche nube più minacciosa di quelle
attuali.
Questa ipotesi è attualmente remota, ma non del tutto irrealistica, se si
tiene conto specialmente della intrinseca incisività del primato del diritto
comunitario (quale emerge dalla pronuncia Costa v. Enel e dalle seguenti),
congiunta al vincolo discendente dalle pronunce della Corte di giustizia rese sul
rinvio pregiudiziale, specialmente da quelle che si spingono molto avanti
nell’indicare ai giudici nazionali i criteri di compatibilità delle norme interne con il
diritto comunitario.
Non ho dubbi che la Corte del Lussemburgo, cui si deve un contributo
fondamentale nella costruzione dell’edificio comunitario, abbia il senso del limite
e sappia esercitare self restraint.
Se per qualche ragione, attualmente imperscrutabile, lo dovesse perdere,
anche solo episodicamente, anche solo con riferimento a singoli istituti, come la
protezione dell’autorità di cosa giudicata, si devono trovare gli strumenti per
segnare questi limiti dall’esterno, nell’interesse della stessa equilibrata
prosecuzione della integrazione europea.
2. - Il pensiero va alla dottrina nota nell’ordinamento italiano sotto
l’appellativo dei «controlimiti» costituzionali ( 239).
In modo parallelo all’intensificarsi dell’incidenza del processo di
integrazione comunitaria sullo stesso ordinamento costituzionale, la Corte
costituzionale italiana, al pari di altre corti costituzionali europee, come quella
tedesca, «sottrae alcuni valori costituzionali alla disponibilità degli organi
comunitari. Questi valori godono, se così si può dire, di un trattamento
privilegiato e sono protetti dalla Corte costituzionale anche nei confronti delle
norme comunitarie, che pure, in linea di massima, sono in grado di derogare alle
norme costituzionali interne» ( 240).
Il «cammino comunitario» della Corte costituzionale ( 241) si snoda
attraverso pronunce assai note ( 242). Con l’orientamento emergente dalla coppia di
sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984, il limite al primato del diritto
comunitario, imposto dal rispetto dei «principi fondamentali dell’ordinamento
(239) Cfr. A. TIZZANO, Ancora sui rapporti tra Corti europee: principi comunitari e c.d.
controlimiti costituzionali, in Diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2008, p. 479 ss.; G.
STROZZI, Limiti e controlimiti nell'applicazione del diritto comunitario, in Studi sull'integrazione
europea, 2009, p. 23 ss.; per un panorama comparatistico, A. CELOTTO, T. GROPPI, Diritto Ue e
diritto nazionale: Primauté vs controlimiti, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2004, p. 1309 ss.
(240) Così, M. CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995, p. 6 s.
(241) L’espressione tra virgolette è di P. BARILE, Il cammino comunitario della Corte, in Giur.
cost., 1973, p. 2405 ss.
(242) Corte cost. n. 98 del 1965; n. 183 del 1973; n. 170 del 1984; n. 232 del 1989.
- 93 -
costituzionale», nonché dei «diritti inalienabili della persona» sembrava potersi
esprimere solo attraverso una inverosimile dichiarazione di incostituzionalità
della legge di esecuzione del Trattato, e quindi sembrava presupporre il caso di
scuola di un grave e diffuso contrasto dell’ordinamento comunitario con i principi
e i diritti fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano (243).
Con la pronuncia n. 232 del 1989, la Corte costituzionale amplia le proprie
possibilità di controllo, prevedendo che il controllo di costituzionalità a tutela dei
principi inviolabili possa appuntarsi anche su qualsiasi norma del trattato così
come essa è interpretata ed applicata dalle istituzioni comunitarie ( 244).
Questo orientamento è confermato dalle pronunce più recenti, con una
interessante articolazione, relativa alla possibilità che la Corte costituzionale sia
investita «qualora la non applicazione della disposizione interna determini un
contrasto, sindacabile esclusivamente dalla Corte costituzionale, con i principi
fondamentali dell’ordinamento costituzionale ovvero con i diritti inalienabili della
persona» ( 245).
La Corte costituzionale tedesca è sulla stessa linea e l’ha recentemente
confermata nella sua – molto discussa - sentenza del 30 giugno 2009 sul Trattato
di Lisbona ( 246).
(243) Cfr. Corte cost. n. 170 del 1984, al punto 9 della motivazione: «è appena il caso di
aggiungere che in base all'art. 11 della Costituzione sono state consentite limitazioni di sovranità
unicamente per il conseguimento delle finalità ivi indicate; e deve quindi escludersi che siffatte
limitazioni, concretamente puntualizzate nel Trattato di Roma [..], possano comunque comportare
per gli organi della Cee un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro
ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana. Ed é ovvio che qualora
dovesse mai darsi all'art. 189 una sì aberrante interpretazione, in tale ipotesi sarebbe sempre
assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale di questa Corte sulla perdurante compatibilità
del Trattato con i predetti principi fondamentali. Deve invece escludersi che questa Corte possa
sindacare singoli regolamenti, atteso che l'art. 134 della Costituzione riguarda soltanto il controllo
di costituzionalità nei confronti delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle
Regioni, e tali, per quanto si é detto, non sono i regolamenti comunitari». Punto confermato da
Corte cost. n. 170 del 1984, al n. 9 della motivazione, con una precisazione relativa alla situazione
opposta: «vanno denunciate in questa sede quelle statuizioni della legge statale che si assumano
costituzionalmente illegittime, in quanto dirette ad impedire o pregiudicare la perdurante
osservanza del Trattato, in relazione al sistema o al nucleo essenziale dei suoi principi».
(244) Cfr. Corte cost. 21 aprile 1989, n. 232, punto 3.1. della motivazione, in Giur. cost.,
1989, p. 1001 ss., con nota di M. CARTABIA, Nuovi sviluppi delle «competenze comunitarie» della
Corte costituzionale.
(245) Cfr. Corte cost. n. 454 del 2006.
(246) Cfr. BVerfG 30 giugno 2009, 2 BvE 2/08, v. in particolare il punto n. 240 della
motivazione. La Corte costituzionale tedesca verifica se, salvaguardando il principio di
sussidiarietà previsto dal diritto comunitario e da quello dell’Unione (art. 5, comma 2° Trattato
CE; art. 5, comma 1°, frase 2 e comma 3 Trattato UE Lisbona), gli atti giuridici degli organi ed
organismi europei rispettano i limiti posti dai diritti di sovranità loro concessi attraverso la
begrenzte Einzelermächtigung (controllo ultra vires). La Corte costituzionale tedesca verifica inoltre
se è rispettato il contenuto centrale ed irrinunciabile dell’identità costituzionale del Grundgesetz di
cui all’art. 23 comma 1° frase 3 in connessione con l’art. 79, comma 3° GG (controllo d’identità).
L’esercizio di questi poteri di controllo, richiesti a livello costituzionale, salvaguarda le
fondamentali strutture politiche e costituzionali degli Stati membri sovrani, riconosciute dall’art.
- 94 -
Nonostante l’apertura verso il sindacato sulla mancata applicazione della
disposizione interna, che possa determinare un contrasto con i principi
fondamentali dell’ordinamento, la dottrina dei controlimiti - direi - è pensata
ancora come una rivendicazione astratta del potere di dire l’ultima parola sulle
vicende dell’integrazione europea, quasi una affermazione di sovranità in senso
schmittiano per l’ipotesi di un Ausnahmezustand, di uno stato di eccezione,
teoreticamente postulato, ma contemporaneamente pensato come destinato a non
verificarsi mai in concreto ( 247). A seconda delle prospettive (positiva o negativa):
una specie di riserva aurea da non intaccare; oppure un’arma atomica da tenere
ben sigillata nel deposito militare.
Si tratta di una pretesa di dire l’ultima parola contrapposta ad un’altra
uguale e contraria, quella della Corte di giustizia, in un conflitto tanto ipotetico,
quanto giuridicamente irresolubile. Non ci troveremmo di fronte ad un unico
sistema giuridico integrato, secondo la concezione della Corte di giustizia. Ma non
avremmo a che fare nemmeno con due ordinamenti giuridici distinti, ma
comunicanti, secondo la concezione della Corte costituzionale italiana. Si
tratterebbe piuttosto di due ordinamenti giuridici che semplicemente si
fronteggiano, ciascuno con un proprio ed autonomo fondamento di validità,
cosicché la soluzione di un eventuale conflitto sarebbe una Machtfrage: una
questione di forza ( 248).
Se è impostata in questi termini, la dottrina dei controlimiti rimane
veramente ai margini della costruzione dell’edificio europeo e rischia di indurre
involontariamente degli effetti collaterali controproducenti, come quella recente
pronuncia del Consiglio di stato che ha applicato direttamente un controlimite
(putativo?) senza rimettere la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia ( 249).
Occorre invece mettere in luce il valore dialogico della dottrina dei
controlimiti, spostare il suo piano di incidenza da quello teorico di una sterile
contrapposizione frontale del potere di dire l’ultima parola a quello pragmatico di
una fruttuosa e schietta collaborazione, vissuta nella quotidianità dei rapporti tra
4, comma 2° frase 1 del Trattato UE Lisbona anche ad integrazione avanzata. L’esercizio concreto
segue il principio della Europarechtsfreundlichkeit della Costituzione tedesca.
(247) Cfr. C. SCHMITT, Politische Theologie. Vier Kapitel zur Lehre von der Souveränität,
München e Leipzig, 1934, p. 11: «Souverän ist, wer über den Ausnahmezustand entscheidet».
(248) Così infatti J. ISENSEE, Vorrang des Europarechts und deutsche Verfassungsvorbehalte offener Dissens, in Festschrift für Klaus Stern, München, 1997, p. 1239 ss., specie p. 1265.
(249) Cons. Stato 8 agosto 2005, n. 4207, Admenta Italia c. Federfarma, in Giur. cost., 2005,
p. 3391, con nota di G. MORBIDELLI, Controlimiti o contro la pregiudiziale comunitaria e di C. DI
SERI, Un ‘tentativo’ di applicazione dei «controlimiti». Nella fattispecie il Consiglio di Stato ha escluso
che si potesse prospettare alla Corte di giustizia un quesito pregiudiziale, in presenza di una
statuizione della Corte costituzionale, che vincolava il giudice amministrativo all’applicazione di
una certa norma, come modificata in funzione della tutela di un diritto fondamentale.
- 95 -
corti costituzionali nazionali, Corte di giustizia e Corte europea dei diritti
dell’uomo ( 250).
In questa direzione si colloca la felice decisione della Corte costituzionale
italiana di ricorrere per la prima volta al rinvio pregiudiziale ( 251).
In questo quadro un ruolo notevole potrebbe svolgere un confronto
dettagliato e costruttivo con la densa sentenza della Corte costituzionale tedesca
del 30 giugno 2009 sul Trattato di Lisbona: un confronto che eviti ad essa il
destino toccato - al di là dei confini nazionali tedeschi - alle altre importanti
sentenze del Bundesverfassungsgericht: ovunque citate, di solito sparsamente
lette, di rado studiate nella loro coinvolgente integralità ( 252).
3. - Intuibile è l’incidenza di questa impostazione. Raffiguriamoci una
situazione ipotetica. Un giorno la Corte di giustizia, in risposta ad un quesito
proposto dal giudice italiano, statuisce che «il diritto comunitario osta
all’applicazione di una norma nazionale, come l’art. 2909 del codice civile
italiano». Nella fattispecie de qua, il giudice a quo nutre però il dubbio che questa
statuizione leda l’autorità di cosa giudicata, così come ricostruita
nell’ordinamento italiano e protetta dalla Costituzione italiana. Può egli sottrarsi
di propria iniziativa all’univoco vincolo interpretativo che discende dalla decisione
della Corte di giustizia? Sembrerebbe proprio di no.
Una operazione simile è stata compiuta dal Consiglio di Stato nel caso
Admenta Italia c. Federfarma ( 253), addirittura evitando di rimettere la questione
interpretativa alla Corte di giustizia. La differenza tra questa operazione e quella
di prendere a picconate l’ordinamento comunitario è molto sottile, quasi
ineffabile.
Niente di drammatico: il giudice deve prendere la penna in mano e scrivere
una bella ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, facendo valere che
quest’ultima può essere investita, secondo la sua stessa giurisprudenza, «qualora
la non applicazione della disposizione interna determini un contrasto, sindacabile
esclusivamente dalla Corte costituzionale, con i principi fondamentali
(250) In questa direzione si possono leggere le conclusioni del ragionamento di H. HOFMANN,
«Souverän ist, wer über den Ausnahmezustand entscheidet», in Konstitutionalismus und
Verfassungskonflikt, Tübingen, 2006, p. 283 s.; ma in questo senso v. già le osservazioni di M.
CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea, cit., p. 137: «Detto diversamente, la dottrina
dei ‘controlimiti’ è carica di una duplice valenza: da una lato essa segna i confini insuperabili da
parte delle norme comunitarie e, in questo senso, si presenta come ‘limite’ all'integrazione
europea; dall'altro, però, essa sollecita le istituzioni comunitarie a sviluppare un tessuto di valori
comuni sul quale edificare l'unione europea e, in questo senso, la dottrina dei ‘controlimiti’ è il
‘principium’ di una nuova dimensione dell'integrazione europea».
(251) Cfr. Corte cost. n. 103 del 2008, in Foro it., 2009, I, 2009.
(252) Per un più ampio discorso, v. R. CAPONI, Democrazia, integrazione europea e circuito
delle corti costituzionali (in margine al Lissabon-Urteil), cit., p. 387 ss.
(253) Cons. di Stato, 8 agosto 2005, n. 4207, cit.
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dell’ordinamento costituzionale ovvero con i diritti inalienabili della persona».
Certo c’è da motivare - pur sempre nei limiti della non manifesta infondatezza che il caso de quo integra questo contrasto. Ma ciò non dovrebbe costituire un
onere argomentativo impossibile da assolvere: non ha detto forse la Corte
costituzionale che l’attacco al giudicato viola le attribuzioni costituzionali
dell’autorità giudiziaria cui spetta la tutela dei diritti e lede l’affidamento della
parte vittoriosa sul carattere definitivo del risultato del processo? ( 254).
L’ultima parola sul punto, all’interno dell’ordinamento nazionale, spetta alla
Corte costituzionale. E saranno certamente parole ricche di contenuto, in
quell’auspicabile dialogo tra le corti, sia che la Corte costituzionale ravvisi questo
contrasto, sia che non lo ravvisi.
Se la Corte costituzionale ravvisa questo contrasto, il giudice a quo deve
sottrarsi al vincolo che discende dalla sentenza della Corte di giustizia e decidere
la controversia di conseguenza. Per le parti del processo, la parentesi di diritto
comunitario si chiude qui.
L’illegittimità del giudicato per inosservanza del diritto dell’Unione europea
può essere il presupposto per un procedimento di infrazione dinanzi alla Corte di
giustizia, promosso dalla Commissione o da altri Stati membri nei confronti dello
Stato inadempiente ( 255).
La vicenda potrà avere una coda attraverso un tale procedimento di
infrazione, ma in caso di accertamento della violazione, la conseguenza si limiterà
al pagamento di una sanzione pecuniaria.
Se la Corte costituzionale non ravvisa il contrasto con i principi
fondamentali dell’ordinamento costituzionale, il giudice a quo chiude la
controversia seguendo le indicazioni della Corte di giustizia ( 256).
4. - Questa ipotetica vicenda potrebbe proseguire dinanzi alla Corte di
Strasburgo, attraverso l’impugnazione della decisione giurisdizionale statale
definitiva, poiché la garanzia del giudicato rientra fra quelle della tutela
(254) Così, Corte cost. 7 novembre 2007, n. 364, cit.
(255) Cfr. Corte giust. 9 dicembre 2003, C-129/00, Commissione c. Italia, in Racc. 2003:
«l'inadempimento di uno Stato membro può essere in via di principio dichiarato ai sensi dell'art.
226 CE indipendentemente dall'organo dello Stato la cui azione o inerzia ha dato luogo alla
trasgressione, anche se si tratta di un'istituzione costituzionalmente indipendente». Cfr., P.
BIAVATI, Inadempimento degli stati membri al diritto comunitario per fatto del giudice supremo: alla
prova la nozione europea di giudicato, cit, p. 63; sulla questione sostanziale sottesa alla pronuncia
della Corte di giustizia, v. N. TROCKER, La carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed il
processo civile, cit., p. 1214 ss.
Cfr. W. KAHL, in EUV/EGV. Das Verfassungsrecht der Europäischen Union mit Europäischer
Grundrechtecharta, a cura di C. Calliess e M. Ruffert, 3a ed., München, 2007, sub art. 10 CE, nota
a margine n. 47;
(256) In tema, v. M. G. PULVIRENTI, Intangibilità del giudicato, primato del diritto comunitario e
teoria dei controlimiti costituzionali, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2009, p. 341 ss.
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giurisdizionale dei diritti prevista dall’art. 6, comma 1° della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo.
Di nuovo: niente di drammatico. Le interferenze in questo triangolo
giurisprudenziale in materia di tutela dei diritti fondamentali, che vede come
vertici i giudici nazionali (specialmente le corti costituzionali), la Corte di giustizia
e la Corte europea dei diritti dell’uomo producono reciproco arricchimento.
Devono essere solo razionalizzate e quindi inserite in una linea di sviluppo che
nasce dal passato e si proietta verso il futuro.
Entra in gioco il significato progressivamente centrale che la convenzione
europea dei diritti dell’uomo (e quindi la giurisprudenza della Corte di Strasburgo)
ha assunto in materia di tutela dei diritti fondamentali nell’Unione europea.
Il problema di garantire la protezione dei diritti fondamentali a livello
comunitario si pone già con l’avvio del cammino costituzionale della Corte di
giustizia.
È infatti l’affermazione dei principi dell’efficacia diretta e del primato del
diritto comunitario negli ordinamenti giuridici degli Stati membri che solleva il
problema di assicurare garanzie nei confronti dell’esercizio di poteri così incisivi
da parte delle istituzioni comunitarie.
Se è vero infatti che l’esercizio di tali poteri è originariamente al servizio
dell’integrazione economica, è altrettanto vero che esso rende inevitabile il
superamento della esclusiva dimensione economica del processo di integrazione
europea, in direzione della fondazione di una Grundrechtsgemeinschaft ( 257).
Nello sviluppare lo standard di tutela dei diritti fondamentali come
componente dei principi generali del diritto comunitario, la Corte di giustizia delle
comunità europee – come già detto - ha fin dall’inizio richiamato la Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, nonché le tradizioni costituzionali comuni degli Stati
membri ( 258).
Questa evoluzione, che muove fondamentalmente dalla sentenza Stauder
della Corte di giustizia nel 1969 ( 259) e culminerà nell’attribuzione dello stesso
valore giuridico dei trattati alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(257) Cfr. A. VON BOGDANDY, Grundrechtsgemeinschaft als Integrationsziel?: Grundrechte und
das Wesen der Europäischen Union, in Juristenzeitung, JZ, 56 (2001), p. 157–171; M. CARTABIA,
L’ora dei diritti fondamentali nell’Unione europea, in I diritti in azione, a cura di M. Cartabia,
Bologna, 2007, p. 13.
(258) Questi due elementi sono esplicitamente nominati dall’art. 6, comma 2° Trattato UE:
«L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,
e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi
generali del diritto comunitario».
(259) Corte di giustizia, 12 novembre 1969, causa 29/1969, Stauder. La Corte dice
semplicemente che i diritti fondamentali della persona fanno parte dei principi generali del diritto
comunitario, di cui essa garantisce l' osservanza.
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( 260) è da considerare con grande favore, ma solleva delicati problemi di
coordinamento tra la giurisprudenza della Corte di giustizia e la giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo.
La Corte del Lussemburgo consolida il suo ruolo di giudice dei diritti e delle
libertà fondamentali, non solo economiche, e così ingaggia inevitabilmente un
confronto con la Corte di Strasburgo. Si produce così una commistione tra i due
sistemi di tutela dei diritti dell’uomo, in cui i singoli interventi delle due corti
tendono ad intrecciarsi.
È sorto quindi il problema se il coordinamento tra le due grandi corti
europee debba essere affidato al libero confronto dei loro orientamenti
giurisprudenziali o se invece esso debba essere agevolato dall’introduzione di uno
strumento di ordine formale.
Con il trattato che adottava una Costituzione per l’Europa è stata
imboccata la seconda direzione, con la previsione dell’adesione dell’Unione
europea al Convenzione dei diritti dell’uomo. La scelta è stata confermata dal
Trattato di Lisbona, che l’ha però sottoposta ad alcuni inasprimenti procedurali,
tra cui campeggia la necessità che la delibera di adesione, che il Consiglio è
chiamato ad adottare all’unanimità, sia ratificata dagli Stati membri.
Un rapido sguardo alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo rivela una
tendenza ad intensificare il controllo degli atti comunitari, sebbene lo sviluppo
non presenti un carattere lineare. Finora la Corte europea dei diritti dell’uomo ha
evitato infatti di pronunciare una parola chiara e definitiva sulla sottoposizione
degli atti comunitari al suo controllo (261).
5. - Si può azzardare una prognosi dell’impatto sullo status quo delle due
modifiche apportate all’art. 6 del Trattato sull’Unione europea (l’attribuzione dello
stesso valore giuridico dei trattati alla Carta dei diritti fondamentali; l’adesione
dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo). Ciò consente
di inserire il punto attuale nella linea evolutiva del sistema di protezione dei diritti
fondamentali in ambito europeo.
A tale proposito si possono forse anticipare le alternative fondamentali:
a) il consolidamento di un sistema parallelo di protezione dei diritti
fondamentali, imperniato sulle due corti europee, nel cui seno si svilupperanno
processi di convergenza sul contenuto delle garanzie, oppure
(260) Attraverso le modifiche apportate all’art. 6, comma 1° del Trattato UE ad opera del
Trattato di Lisbona.
(261) Importante in questo quadro è Corte europea diritti dell’uomo, 30 giugno 2005,
Bosphorus Hava Yollary Turizm ve Ticaret Anonim Sirketi c. Gov. Irlanda, in Riv. dir. internaz.,
2005, p. 778 ss., nonché in Corriere giur., 2005, p. 1587 ss.
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b) l’evoluzione verso un sistema tendenzialmente monistico di protezione
dei diritti fondamentali, sotto l’egida della Corte europea dei diritti dell’uomo.
La seconda alternativa solleva evidentemente un delicato problema di
ridefinizione del ruolo della Corte di giustizia, che però non è un motivo per
qualificare a priori come non plausibile tale sviluppo. Si potrebbe pensare infatti
di congegnare il rapporto tra le due corti in termini di sussidiarietà dell’intervento
della Corte di Strasburgo in materia di tutela dei diritti fondamentali.
Alla Corte di Lussemburgo spetterebbe in ogni caso di presidiare il rispetto
delle sfere di competenza tra Unione europea e stati membri. Si prospetterebbe
così il modello di una Corte dei poteri in Lussemburgo e di una Corte dei diritti (in
ultima istanza) a Strasburgo.
Fattore propulsivo dello sviluppo di questo modello sarebbe la tensione e
l’intreccio tra i problemi relativi al rispetto delle sfere di competenza dell’Unione
europea e degli Stati membri e i problemi relativi al rispetto dei diritti
fondamentali degli individui ( 262).
IX. Conclusioni
È giunto il punto di formulare qualche osservazione conclusiva.
La tradizione dell’epoca moderna ci ha consegnato l’immagine di una
pronuncia giudiziale che, come lex specialis, conforma l’ordinamento nel caso
concreto. In altri termini, la tradizione ci ha consegnato l’immagine di un
giudicato che guarda l’ordinamento ad altezza d’occhio: sententia facit ius.
Questa idea è rafforzata e trova in un certo senso un coronamento nelle
teorie che nel secolo XX hanno risolto l’intero ordinamento giuridico nella
giurisdizione. Si ricordi in Germania il pensiero di Julius Binder ( 263), in Italia
quello di Alessandro Pekelis ( 264) e Salvatore Satta: l’unica realtà giuridica è il
concreto; il concreto si determina solo nel processo ( 265).
Peraltro, l’autorità del giudicato ha sempre conosciuto delle eccezioni,
attraverso i mezzi di impugnazione straordinari.
(262) In tema, R. BIN, P. CARETTI, Profili costituzionali dell’Unione europea, Bologna, 2005; M.
CARTABIA (a cura di), I diritti in azione, cit.; K. GEBAUER, Parallele Grund- und
Menschenrechtsschutzsysteme
in
Europa?:
ein
Vergleich
der
Europäischen
Menschenrechtskonvention und des Straßburger Gerichtshofs mit dem Grundrechtsschutz in der
Europäischen Gemeinschaft und dem Luxemburger Gerichtshof , Berlin, 2007; R. STREINZ, C.
OHLER, C. HERRMANN, Der Vertrag von Lissabon zur Reform der EU: Einführung mit Synopse, 2a ed.,
München, 2008; A. VON BOGDANDY, Grundrechtsgemeinschaft als Integrationsziel, cit., p. 157 ss.;
J.H.H. WEILER, Fundamental Rights and Fundamental Boundaries: On Standars and Values in the
Protection of Human Rights (1995), ora in lingua italiana in La Costituzione dell’Europa, Bologna,
2003; J. ZILLER, Il nuovo trattato europeo, Bologna, 2007.
(263) Cfr. J. BINDER, Prozess und Recht, Leipzig, 1927.
(264) Cfr. A. PEKELIS, Il diritto come volontà costante, Padova, 1930, p. 158 ss., p. 160.
(265) Cfr. S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959, passim.
- 100 -
Il giudicato si inserisce poi nella dimensione temporale. Un’idea presente fin
dall’inizio della riflessione, ma rimasta per lungo tempo - per così dire - «sotto
traccia»: una prospettiva tutto sommato marginale, quasi un’appendice della
teoria del giudicato.
È quasi banale osservare che la stabilità della decisione giurisdizionale
della controversia è chiamata a misurarsi con gli eventi sopravvenuti, ma quella
lunga e paziente «marcia sul posto» dei problemi fondamentali che è l’attività di
ricerca legge in quella osservazione una prospettiva feconda.
Dietro all’idea di un giudicato che non può frapporsi al divenire
dell’ordinamento, c’è già il ridimensionamento della iperbole del giudicato che
guarda l’ordinamento ad altezza d’occhio, c’è la scoperta o la riscoperta di ciò che
è naturale: l’ordinamento, o gli ordinamenti, in cui il giudicato si inserisce ed
entra in circolazione possono conformare e dimensionare quest’ultimo, molto più
di quanto il singolo ordinamento sia conformato dai giudicati che si producono al
suo interno.
Così come lo scopo che si ascrive al processo civile può dare dimensione al
giudicato.
Primo esempio: l’approfondimento sempre più frequente dell’esperienza
comparatistica. Essa rivela che esistono molte immagini diverse del giudicato,
quanto a spiegazione della sua natura e del suo modo di operare, quanto a grado
di stabilità, quanto a limiti.
In altri termini, i vari ordinamenti nazionali conformano e dimensionano il
giudicato.
Secondo esempio: la tutela giurisdizionale dei diritti si realizza oggi
innanzitutto attraverso l’efficacia imperativa del provvedimento giurisdizionale e
non culmina necessariamente nel giudicato. Il carattere essenziale della
giurisdizione non è da individuare nel giudicato, bensì nel fatto che l’applicazione
giurisdizionale del diritto si sostituisce d’autorità all’applicazione compiuta dai
soggetti dell’ordinamento e non può essere oggetto di controllo, se non da parte di
un altro organo giurisdizionale. Il giudice conserva quindi il potere di dire
l’«ultima parola», anche se si tratta sempre più frequentemente di una parola
provvisoria, non definitiva, (come quella che è pronunciata attraverso un
provvedimento sommario), esposta ad essere modificata o revocata da una
successiva.
Tali sviluppi battono in breccia l’idea che la tutela giurisdizionale dei diritti
debba necessariamente sfociare in un accertamento con autorità di cosa giudicata. Questa idea è un riflesso della concezione che vede lo scopo del processo
essenzialmente nell’attuazione del diritto oggettivo nel caso concreto. Vedere nella
amministrazione della giustizia una funzione essenziale propria dello Stato
moderno al servizio della realizzazione della volontà della legge, con i crismi della
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relativa incontestabilità sul piano del diritto sostanziale e nel corso dei futuri
processi, significa rendersi interpreti di una tradizione alta e ricca di prestigio, ma
significa altresì relegare piuttosto sullo sfondo l’utilità che gli individui si
ripromettono di conseguire nel momento in cui intraprendono un processo. Tale
utilità campeggia viceversa nella concezione della giustizia civile come servizio
pubblico rivolto alla composizione delle controversie. Dominante in questa
prospettiva è proprio l’utilità aspirata da chi agisce in giudizio, che non si consegue necessariamente solo attraverso un’attuazione della giurisdizione culminante
nel giudicato.
Il cambiamento nella percezione dello scopo del processo civile conforma e
dimensiona il giudicato.
Terzo esempio, tratto dal tema oggi di moda delle azioni collettive. Il
giudicato può avere un oggetto variabile e giudizialmente determinabile in
concreto, in dipendenza della distinzione tra questioni comuni e questioni
individuali ai fini dell’accertamento dei singoli crediti risarcitori. Anche tale
distinzione, dà dimensione al giudicato. Tale dimensionamento non è che uno dei
tanti riflessi dell’applicazione del canone di proporzionalità nell’impiego delle
risorse giudiziali, che suggerisce di configurare la disciplina delle cause seriali di
massa all’esito di un bilanciamento di valori, che colloca su un piatto della
bilancia gli elementi che sorreggono il modello tradizionale di tutela
giurisdizionale dei diritti nel singolo processo (in particolare, contraddittorio,
effettività
della
tutela,
giudicato),
e
sull’altro
piatto
l’efficienza
dell’amministrazione della giustizia, che sorregge la tutela giurisdizionale dei
diritti nell’insieme dei processi o in una classe di essi ( 266).
Ultimo esempio, quello oggetto di questo studio: i rapporti tra pronunce
delle corti europee e giudicati nazionali.
Tradizionale è l’idea del giudicato come definitiva manifestazione della
volontà concreta della legge statale. Il sovrapporsi a quello nazionale dei piani di
normatività internazionale e sovranazionale, affidati al controllo di corti
giudiziarie, impone di inserire il giudicato in questa nuova dimensione, ma la
tensione si compone entro linee che vengono dal passato e individuano una
prospettiva anche per il futuro.
Gli esiti dell’indagine sono, dopo tutto, tranquillizzanti: niente
sconvolgimenti rispetto al passato, almeno rispetto a quel passato recente che ha
visto l’ingresso della dimensione costituzionale, ma certamente un notevole
sviluppo di quelle linee anteriori.
(266) Per un più ampio discorso sul punto, si rinvia a R. CAPONI, Processo civile e nozione di
controversia «complessa»: impieghi normativi, in Foro it., 2009, V, 136.
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Anzi, sotto certi aspetti la dimensione internazionale e sovranazionale è
comprensibilmente ancora arretrata rispetto alle migliori soluzioni cui sono
pervenuti gli ordinamenti nazionali. Valgano due esempi.
In primo luogo, l’impatto della pronuncia della Corte di Strasburgo sul
giudicato civile anteriore è inferiore rispetto a quello che deve essere, secondo lo
standard che è proprio di un ordinamento a costituzione rigida, protettivo dei
diritti fondamentali dell’individuo, in cui gli atti dei pubblici poteri (ivi compresi
quelli dei giudici comuni) sono sottoposti ad un controllo di costituzionalità ex
post da parte di una Corte costituzionale. È il modello della
Verfassungsbeschwerde tedesca, che ci avverte della presenza di una lacuna
nell’ordinamento italiano.
In secondo luogo, attende ancora di presentarsi dinanzi alla Corte di
giustizia il caso dell’accordo delle parti consapevolmente e volontariamente diretto
- attraverso il giudicato - ad evitare l’applicazione del diritto comunitario nella
fattispecie. Anche questa variante di cedimento del giudicato non sarebbe una
novità, ma si inserirebbe in una lunga tradizione storica diretta a colpire la
collusione delle parti in danno di terzi (art. 404, comma 2° c.p.c.) o in frode alla
legge (art. 397, n. 2 c.p.c.).
Per il resto, niente di completamente nuovo sotto il sole.
Non è nuova, nemmeno nell’ordinamento italiano, l’esigenza di proteggere la
sfera di diritti e di attribuzioni degli individui e degli organi costituzionali dagli
effetti lesivi di un giudicato incostituzionale, attraverso l’impugnazione di
quest’ultimo da proporre entro un termine perentorio ragionevolmente breve
(Lucchini).
Non è nuova l’idea che il giudicato ceda quando sopravvengano effetti
retroattivi più favorevoli al soggetto privato di quelli conseguiti con il precedente
giudicato nei confronti di un organismo di diritto pubblico (Kühne & Heitz).
In tutti gli altri casi diversi da quelli appena elencati, vale il principio della
intangibilità del giudicato, che è confermato dagli orientamenti della Corte di
giustizia, pur con la restrizione dei limiti oggettivi del giudicato nei rapporti di
durata (caso Olimpiclub).
In estrema sintesi, le nuove prospettive sul giudicato non ce lo svelano
come debole, ma solo riproporzionato, dimensionato dalla realtà che gli sta
accanto.
Benvenuto è questo nuovo discorso sul giudicato, che lo liberi dal suo
tradizionale manto metafisico.
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