Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
Alessandra Algostino Il ritorno della tortura e la fragilità dei diritti The Return of Torture and the Fragility of Rights. Through judicial and normative examples, which are representative of legal return of torture, the Author focuses on the ban on torture made uncertain, which is related to the changing of concept of “safety”: from security of law to the right to security. Torture back again shows fragility of rights, in spite of their pretended “eternity”, and the difficulty of saving them from human history’s motion: the Twentieth Century, age of rights (at least declared), confronts itself to the Twenty-first Century, as era of return of economical, political and juridical totalitarianism, reappearing in a transformed way. Keywords: Torture, Security, Human Rights, Rule of law, Totalitarianism. 1. Premessa. Tortura illegale e tortura tollerata Il divieto di tortura, ovvero il diritto «a non essere torturati», è citato da Bobbio come esempio dei diritti «privilegiati, perché non vengono posti in concorrenza con altri diritti» e non vengono limitati per il verificarsi di casi eccezionali1. Dopo secoli di tortura contemplata come legale, in specie dal diritto penale, sia come mezzo di prova sia come sanzione, si giunge, passando per le prime abolizioni della tortura nel Settecento2, al diritto assoluto di non essere torturati. Il testo costituisce versione rivista e ampliata della relazione presentata al Convegno internazionale “Le nuove giustificazioni della tortura nell’età dei diritti”, organizzato dal Centro Studi Interateneo per la Pace, Vercelli-Torino, 20-21 novembre 2014. 1 N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, 1990, 11. R. Dworkin (Is democracy possible here? Principles for a New Political Debate, 2006, trad. it. La democrazia possible. Principi per un nuovo dibattito politico, Milano, 2007, 52) ricorda il diritto di non essere torturati come «il diritto umano più basilare, il primo di qualsiasi lista». 2 Si possono ricordare la Prussia, che nel 1740 abolisce, se pur con alcune eccezioni, la tortura, per arrivare all’abolizione totale nel 1754; l’approdo all’abolizione della Sassonia nel 1770, della Polonia e dell’Austria-Boemia nel 1776, della Francia nel 1780, del Granducato di Toscana nel 1786, del Belgio nel 1787 (cfr., anche per una ricostruzione del 1| 2015 DPCE, pp. 167-188 ISSN 1720-4313 © Società editrice il Mulino Alessandra Algostino Nel XX secolo il diritto contempla la tortura per sancirne il divieto e condannarla. I principali cataloghi internazionali sui diritti umani (di origine pattizia ma ormai parte dello ius cogens)3, così come i patti regionali4, proclamano che «nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti»5. Esistono, sia a livello globale che continentale, convenzioni specificamente dedicate alla condanna della tortura. Nell’ambito delle Nazioni Unite, si può ricordare la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984 (cui adde il Protocollo opzionale del 2003); a livello continentale, si possono citare la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (1987), con i Protocolli n. 1 e n. 2 del 1993, e la Convenzione inter-americana sulla prevenzione e repressione della tortura (1984). Da menzionare è poi anche lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale del 1998, che, fra i crimini contro l’umanità, annovera la tortura, se commessa «nell’ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili» (art. 7). La pratica della tortura nel Novecento è dunque vietata e sanzionata6 nel mondo del diritto e negli Stati democratici, anche se – ça va sans dire – non ha mai cessato di esistere nel mondo reale, adeguandosi finanche dibattito e delle argomentazioni filosofiche e giuridiche in tema, M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, Legalizzare la tortura? Ascesa e declino dello Stato di diritto, Bologna, 2013, 57 ss.). Fra le prime Costituzioni o documenti costituzionali che aboliscono o limitano la tortura, si possono citare il Bill of Rights inglese del 1689 («non debbono essere richieste cauzioni eccessive, né imposte eccessive ammende; né inflitte pene crudeli o inusitate»), la Costituzione degli Stati Uniti del 1787 (VIII emendamento: «non si potranno... infliggere pene crudeli e inusitate»), la Costituzione spagnola di Cadice del 1812 (art. 303: «non si userà nessun tormento né violenza»). 3 Si veda, fra gli altri, A. Marchesi, Il divieto di tortura nel diritto internazionale generale, in Riv. Dir. Internaz., 4/1993, 979 ss. 4 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, art. 3; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 4; Convenzione Americana sui diritti umani del 1969, art. 5 (c. 2); Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del 1981, art. 5. 5 Così la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, art. 5; similmente, il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, art. 7. 6 In tema peraltro non si può non citare il ritardo italiano nell’adempiere alle prescrizioni della Convenzione ONU del 1984 introducendo il reato di tortura, reato che, peraltro, avrebbe già dovuto essere previsto in ottemperanza all’art. 13, c. 4, Cost. (da ultimo, cfr., A. Pugiotto, Repressione penale della tortura e Costituzione: anatomia di un reato che non c’è, in Diritto Penale Contemporaneo, 17 febbraio 2014; A. Colella, La repressione penale della tortura: riflessioni de iure condendo, in Diritto Penale Contemporaneo, 22 luglio 2014; A. Troncone, Notazioni sulla mancata previsione del rato di tortura: un vuoto nella tutela dei diritti fondamentali della persona, in Federalismi.it, 10 settembre 2014); si segnala, fra i disegni di legge attualmente in discussione in Parlamento, l’A. C. 2168 (già approvato dal Senato il 5 marzo 2014). 168 Il ritorno della tortura e la fragilità dei diritti all’evoluzione scientifico-tecnologica. I trattamenti inumani e degradanti sono prassi quotidiana negli Stati autoritari, dove assumono il ruolo di “normale” forma di controllo del dissenso7, ma non mancano nemmeno negli Stati democratici, nei luoghi dove sono più deboli il diritto ed anche i soggetti titolari di diritti, dietro le mura dei centri di detenzione per migranti, i cancelli delle carceri, le porte delle caserme o delle case di cura. Come non pensare, ad esempio, a quanto emerso dal rapporto, recentissimamente reso pubblico, del Senate Select Committee on Intelligence degli Stati Uniti, sui metodi di detenzione ed interrogatorio della CIA8? Sono solo singoli episodi, una deviazione dalla retta via della democrazia, condannati e puniti? Ovvero, al di là della loro riconosciuta illegalità, sono perseguiti o tollerati? Si può qui aprire una riflessione sulla differenza fra illegalità formalmente e sostanzialmente sanzionata ed illegalità formalmente perseguita e sostanzialmente tollerata. Nella seconda ipotesi si scivola pericolosamente verso forme di Stato non democratiche, o dove esistono luoghi di non-diritto: quanto può definirsi democratico uno Stato che permette enclaves autocratiche o prassi che violano i diritti? Ciò, per tacere di alcuni episodi-limite di violenze (para)istituzionali (facile pensare alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto, nella Genova del G8 del 2001), dove si può ragionare tout court di prove tecniche di autoritarismo nei confronti del dissenso9. Proseguendo lungo questa china si rischia di raggiungere i paIn argomento, cfr., fra gli altri, A. Cassese, I diritti umani oggi, Roma-Bari, 2009, spec. 174; sul significato politico, che, oltre il suo immediato uso giudiziario, la tortura veicola, sia come mezzo per alimentare un regime di terrore sia come riferimento all’idea della prevalenza dell’utilità comune sugli interessi particolari dei singoli, si veda M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, Legalizzare la tortura?, cit., spec. 25 ss. Di tortura «come strumento di controllo e di governo, utilizzata a suo tempo in America latina e oggi praticata ad Abu Grahib, Guantanamo, in Afghanistan», ragiona L. Ferrajoli (Una inquietante assenza di leggi, intervista a cura di R. Samonà, in Fondazione internazionale Lelio Basso, 2/3, aprile-settembre 2005, 9-10), che la definisce in tali casi «sistemica» e «strategica». 8 Senate Select Committee on Intelligence, Committee Study of the Central Intelligence Agency’s Detention and Interrogation Program, Approved December 13, 2012, Declassification December 3, 2014. Il dossier, che consta di 500 pagine di sommario che ripercorrono le 6700 cartelle che lo compongono, documenta che «under any common meaning of the term, CIA detainees were tortured», che «the conditions of confinement and the use of authorized and unauthorized interrogation and conditioning techniques were cruel, inhuman and degrading» e che «evidence of this is overwhelming and incontrovertible» (così la senatrice D. Feinstein, Chairman della Commissione senatoriale, nella prefazione al rapporto, 4). 9 Nella ormai ampia letteratura sul tema, cfr., recentemente, V. Agnoletto, L. Guadagnucci, L’eclisse della democrazia. Le verità nascoste sul G8 2001 a Genova, Milano, 2011; per riferimenti giudiziari, si vedano Cass. pen., sez. V, 5 luglio 2012, n. 38085 (sui fatti avvenuti nella scuola Diaz) e Cass. pen., sez. V, sent. 14 giugno 2013, n. 3708813 (sugli accadimenti della caserma di Bolzaneto). 7 169 Alessandra Algostino radossi della (fu) democrazia razziale del Sud Africa, con un discrimine in questo caso relativo allo status di migrante non cittadino, alla condizione sociale e/o di residenza, o, per citare un tragico esempio attuale, dello Stato di Israele. Una democrazia che è tale solo per alcuni, e nei confronti di altri utilizza metodi e pratiche che violano diritti umani fondamentali, non è una contraddizione? Si noti: una doppia contraddizione. Da un lato, infatti, la democrazia è isonomia, ovvero contiene nella sua essenza l’eguaglianza e non tollera dunque discriminazioni; dall’altro, democrazia e diritti rappresentano una endiadi i cui termini si costituiscono e sostengono a vicenda. Esiste, peraltro, una differenza fra casi in cui i trattamenti inumani e degradanti, pur praticati e non perseguiti come dovrebbe essere in una democrazia, sono formalmente illegali e casi in cui sono considerati legali. Sul ritorno legale della tortura e sul suo significato, si intende qui riflettere. 2. Il ritorno della tortura di Stato «Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura»: la lettera e il tono sono quelli di un divieto assoluto, di una proclamazione che non contiene margini di flessibilità, di una sanzione che non conosce eccezioni. Ad evitare interpretazioni restrittive delle pratiche passibili di integrare “tortura” il divieto contempla il riferimento ai trattamenti che comunque sia appaiono «crudeli, inumani o degradanti», oltre a prevedere espressamente l’impossibilità di introdurre delle eccezioni10. Tuttavia oggi la rigidità della formula è spezzata e si ragiona di «grado» di coercizione ammissibile e di base legale dei trattamenti inumani e degradanti11. Due esempi: il Military Commission Act del 2006 degli Stati Uniti e la sentenza Issa Ali Batat et al. v. The General Security Service et al. del 6 settembre 1999 della Corte Suprema di Israele. Convenzione Onu contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984, art. 2, c. 2: «nessuna circostanza eccezionale, qualunque essa sia, si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, d’instabilità politica interna o di qualsiasi altro stato eccezionale, può essere invocata in giustificazione della tortura»; nello stesso senso, ovvero in favore di una protezione assoluta, si pronuncia in più occasioni la Corte europea (per riferimenti, tra gli altri, F. Bilancia, Anche l’Europa condanna la violenza di Stato, in A. Gianelli, M.P. Paternò, Tortura di Stato. Le ferite della democrazia, Roma, 2004; A. Colella, La giurisprudenza di Strasburgo 2008-2010: il divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU), in Diritto Penale Comtemporaneo, 2011, 221 ss.). 11 Per una approccio ampio alla tortura oggi, cfr., tra gli altri, D. Luban, Torture, Power and Law, Cambridge, 2014; L. Zagato, S. Pinton (cur.), La tortura nel nuovo millennio. La reazione del diritto, Padova, 2010. 10 170 Il ritorno della tortura e la fragilità dei diritti Nel Military Commission Act del 2006, poi parzialmente modificato nel 2009, per sanare i vizi di incostituzionalità rilevati dalla Corte Suprema12, si legge che «a statement obtained by use of torture shall not be admissible» (§ 948r., b)), affermazione però la cui apparente rigidità è immediatamente resa flessibile con la precisazione, ai paragrafi successivi ((§ 948r., c) e d)), che «a statement in which the degree of coercion is disputed may be admitted only if the military judge finds that (1) the totality of the circumstances renders the statement reliable and possessing sufficient probative value; and (2) the interests of justice would best be served by admission of the statement into evidence», se lo stesso è «obtained before December 30, 2005 (the date of the enactment of the Defense Treatment Act of 2005)», mentre, nell’ipotesi che sia «obtained on or after December 30, 2005», la dichiarazione può essere ammessa se è rispettata l’ulteriore condizione che «the interrogation methods used to obtain the statement do not amount to cruel, inhuman, or degrading treatment prohibited by section 1003 of the Detainee Treatment Act of 2005»13. Le dichiarazioni così ottenute possono quindi essere utilizzate come prova: «shall not be excluded from trial by military commission on grounds of alleged coercion or compulsory self-incrimination so long as the evidence complies with the provisions of section 948r of this title» (§ 949a.). La tortura è vietata, ma esistono differenti gradi di coercizione ed alcuni sono ammissibili e le dichiarazioni così raccolte possono costituire un mezzo di prova legale: si spezza il divieto assoluto della tortura e si riaffaccia, se pur ad alcune condizioni, la tortura giudiziaria14. Affiorano classici argomenti dei sostenitori della (ri)legalizzazione della tortura15: ridefinizione in senso restrittivo del concetto di tortura, ovvero riduzione delle condotte suscettibili di rientrare nel divieto; bilanciamento fra supposti superiori interessi e inviolabilità e dignità del torturato, nel senso che i primi giustificano e legittimano restrizioni nei confronti della tutela della persona. Da un lato, dunque, viene introdotta la previsione di condizioni che permettono di invadere l’area oggetto del divieto, rendendola Corte Suprema USA, sent. Boumediene v. Bush et al., 12 giugno 2008. Nel Military Commission Act del 2009 è abolita la distinzione ed in ogni ipotesi deve essere applicata anche la terza condizione. 14 Osservazioni in merito in L. Patruno, Il Congresso americano vara il “Military Commission Act”: l’estremismo dello «stato di eccezione» e l’incostituzionalità delle sue regole “speciali”, in www.costituzionalismo.it, 20 ottobre 2006. 15 Una sintesi (e una critica) degli argomenti, utilizzati in ambito giuridico, a favore della (ri)legalizzazione della tortura, da ultimo, in M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, Legalizzare la tortura?, cit., spec. 151 ss., che, oltre quelli citati infra, ricordano quelli che muovono dall’analogia e dalla rilevazione di una lacuna nell’ordinamento. 12 13 171 Alessandra Algostino meno ampia e più permeabile; dall’altro, compare il richiamo all’eccezione ed al bene collettivo quale legittimazione alla violazione della dignità dell’individuo. Nella prima ipotesi, negli Stati Uniti, l’opera – portata avanti da giuristi come Yoo e Dershowitz16 – di “ammorbidimento” del divieto trova un supporto giuridico nelle riserve apposte alla nozione di tortura sin dalla ratifica (21 ottobre 1994) della Convenzione Onu contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 198417. Nella seconda ipotesi ad essere citato testualmente quale condizione-parametro nel Military Commission Act è l’interesse della giustizia, un bene collettivo che, nel caso specifico, è riconducibile alla ratio sottesa alla legislazione antiterrorismo, di cui la legge del 2006 è un tassello, ovvero garantire la sicurezza, a fronte di una situazione di emergenza18. 16 Cfr. J.C. Yoo (Office of the Deputy Assistant Attorney General, Office of Legal Counsel, U.S. Department of Justice), Letter to Alberto R. Gonzales, August 1, 2002; J.S. Bybee (Office of the Assistant Attorney General, Office of Legal Counsel, U.S. Department of Justice), Memorandum for Alberto R. Gonzales (Counsel to the President), August 1, 2002; A.M. Dershowitz, Why Terrorism Works. Understanding the Threat Responding to the Challenge, 2002, trad. it. Terrorismo. Capire la minaccia, rispondere alla sfida, Roma, 2003, nonché, da ultimo, Id., Terror Tunnels. The Case for Israel’s Just War Against Hamas, Gatestone Institute, 2014, e, sinteticamente, Id., The Case for Torture Warrants, in www.alandershowitz.com, 2002. Un’introduzione e un’ampia ricognizione dei vari memorandum, sono in K.J. Greenberg, J.L. Dratel (ed.), The Torture Papers: The Road to Abu Ghraib, Cambridge, 2005; nella dottrina italiana, sinteticamente, C. Mazza, Guantanamo, Abu Ghraib e la questione tortura: una delle maggiori sfide del nuovo Presidente statunitense, in Nuvole, 35, 2008. 17 Per il testo della riserva, cfr. il sito www.treaties.un.org; in estrema sintesi, per quel che qui più rileva, si può ricordare come venga ridimensionata l’interpretazione di alcuni articoli (quali gli artt. 1, 10-14, 16, 30) e, in specifico, previsto che «the United States considers itself bound by the obligation under article 16 to prevent ‘cruel, inhuman or degrading treatment or punishment’, only insofar as the term ‘cruel, inhuman or degrading treatment or punishment’ means the cruel, unusual and inhumane treatment or punishment prohibited by the Fifth, Eighth, and/or Fourteenth Amendments to the Constitution of the United States» e che «in order to constitute torture, an act must be specifically intended to inflict severe physical or mental pain or suffering and that mental pain or suffering refers to prolonged mental harm caused by or resulting from (1) the intentional infliction or threatened infliction of severe physical pain or suffering; (2) the administration or application, or threatened administration or application, of mind altering substances or other procedures calculated to disrupt profoundly the senses or the personality; (3) the threat of imminent death; or (4) the threat that another person will imminently be subjected to death, severe physical pain or suffering, or the administration or application of mind altering substances or other procedures calculated to disrupt profoundly the senses or personality». 18 Fonte prima della legislazione antiterrorismo statunitense, sia in senso normativo (come autorizzazione all’intervento, anche legislativo, del Presidente) sia in senso logico, è la Joint Resolution n. 23, Authorization for Use of Military Force, approvata dal Congresso all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle il 14 settembre 2001, che stabilisce che «the President is authorized to use all necessary and appropriate force against those 172 Il ritorno della tortura e la fragilità dei diritti Emergono due tradizionali e contemporanei vettori di aggressione ai diritti in generale e al divieto di tortura in particolare: la sicurezza e l’emergenza. La logica dell’emergenza è sia – potremmo dire – quasi strutturalmente fonte di autoritarismo e limitazione del diritto e dei diritti19 sia veicolo della mutazione del concetto di sicurezza. La sicurezza subisce un mutamento di senso: da humus per la garanzia dei diritti (sicurezza dei diritti) a elemento del bilanciamento con i diritti (diritto alla sicurezza versus diritti). È abbandonata la prospettiva della Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 del diritto alla sicurezza dei propri diritti ed è decostruita, in parallelo con lo smantellamento della democrazia sociale e la liquidazione del diritto del lavoro, la declinazione della sicurezza come sociale20. Prevale un’accezione in senso fisico del concetto, che è utilizzata per legittimare le discipline antiterrorismo e il sotteso bilanciamento fra sicurezza e diritti, per cui, in nome della prima, si limitano i secondi (si pensi alla dilatazione dei tempi della detenzione in presenza di sospette attività o appartenenze terroristiche21, in violazione della libertà personale, o alle restrizioni della libertà di manifestazione del pensiero in relazione a fattispecie quali incitamento al terrorismo22)23. nations, organizations, or persons he determines planned, authorized, committed, or aided the terrorist attacks that occurred on September 11, 2001, or harbored such organizations or persons, in order to prevent any future acts of international terrorism against the United States by such nations, organizations or persons», in relazione alla sct. 5 (b) della War Powers Resolution del 5 novembre 1973. 19 Per un approccio ampio sul tema dell’emergenza, cfr. G. Agamben, Stato di eccezione, Torino, 2003; M. Ignatieff, The Lesser Evil. Political Ethics in an Age of Terror, 2004, trad. it. Il male minore. L’etica politica nell’era del terrorismo globale, Milano, 2006; per un tentativo di normare l’emergenza, B. Ackerman, The Emergency Constitution, 2004, trad. it. La costituzione di emergenza. Come salvaguardare libertà e diritti civili di fronte al pericolo del terrorismo, Roma, 2005. 20 Per riflessioni sul concetto di sicurezza, nella prospettiva costituzionale, cfr. M. Ruotolo, La sicurezza nel gioco del bilanciamento, relazione presentata al Convegno “I diversi volti della sicurezza”, Università degli Studi di Milano – Bicocca, 4 giugno 2009, consultabile in www.archivio.rivistaaic.it; T.F. Giupponi, Le dimensioni costituzionali della sicurezza, Bologna, 2008; in prospettiva comparata, T.E. Frosini, Il diritto costituzionale alla sicurezza, in www.forumcostituzionale.it, 2005. 21 Nel Regno Unito, il Terrorism Act 2000 prevede misure di detenzione preventiva sino a 7 giorni, poi estesi a 14 nel 2003 (Criminal Justice Act) e a 28 nel 2006 (Terrorism Act 2006); per tacere dei tentativi dei Primi Ministri, rispettivamente Tony Blair e Gordon Brown, di portare i giorni a novanta, il primo, e a quarantadue, il secondo. 22 Paradigmatica in tal senso, la disciplina del britannico Terrorismo Act 2006 (per un commento, cfr. J.-C. Paye, Terrorism Act 2006: la fine del Politico, in Dem. e dir., 3/2006, 167 ss.; D. Colarossi, La difficile convivenza tra regimi emergenziali e diritto di espressione: le ultime misure predisposte dal Governo di Tony Blair contro la minaccia del terrorismo, in Dir. Pubbl. Comp. ed Europeo, 2006-III, 1214 ss.). 23 La bibliografia sul rapporto diritti-sicurezza in relazione alle recenti legislazioni antiterrorismo è sterminata; si segnalano, fra tutti, G. de Vergottini, La difficile convivenza 173 Alessandra Algostino La ritrazione della sicurezza al mero profilo dell’esistenza in vita di un individuo e la sua separazione dai diritti – di libertà, ma anche sociali – può essere letta come parte del cammino che, dal Novecento dei diritti, si dirige verso un XXI secolo (almeno per ora) all’insegna dell’affermazione di un modello dalle aspirazioni autoritarie, che tende a ridurre gli spazi di democrazia? E ancora, il contrarsi del concetto di dignità della persona, che, dall’individuo contestualizzato, la cui dignità è legata al complesso di relazioni sociali, economiche, culturali, politiche nelle quali vive, e alla soddisfazione dei relativi bisogni, si restringe alla vita come fatto biologico (che la legalizzazione della tortura contrae ulteriormente, introducendo la differenza fra intangibilità del corpo fisico e mera esistenza in vita), come si lega all’approccio quantitativo al concetto di dignità veicolato dalle tesi che ruotano attorno all’argomento della c.d. ticking bomb 24? Come possono convivere la democrazia, e lo stato di diritto, con una dignità umana che, oltre essere ridotta ai minimi termini, è diseguale? Infine, da un’altra prospettiva: anche prescindendo dall’inviolabilità della dignità della persona – di tutte le persone –, e, ammesso e non concesso che sia possibile individuare un nesso causale diretto e privo di aleatorietà fra informazioni estorte con la tortura e la salvezza di vite umane, stanti le mille variabili da cui può dipendere un accadimento futuro25, non sono poi (troppo) facili i passi successivi? Ovvero, non è semplice dalla legittimazione della tortura per salvare esistenze in vita, trascorrere alla previsione della tortura che potrebbe salvare la vita e, quindi, alla tortura di alcuni per migliorare la vita di altri? È il pericolo insito nelle teorie che ruotano attorno all’idea del “male minore” o, anche, procedendo nel cammino della fra libertà e sicurezza. La risposta delle democrazie al terrorismo, in Rass. parl., 2004/2, 427 ss; R.A. Wilson, Human Rights in the “War on Terror”, Cambridge, 2005; P. Bonetti, Terrorismo, emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006; T. Groppi (cur.), Democrazie e terrorismo, Napoli, 2006; D. Bigo, L. Bonelli, T. Deltombe (dir.), Au nom du 11 septembre... Les démocraties à l’épreuve de l’antiterrorisme, Paris, 2008; G. de Vergottini, T.E. Frosini (cur.), Libertà e sicurezza, fascicolo monotematico, Percorsi costituzionali, 1/2008; P. Gargiulo, M.C. Vitucci (cur.), La tutela dei diritti umani nella lotta e nella guerra al terrorismo, Napoli, 2009; A. Conte, Human Rights in the Prevention and Punishment of Terrorism, Springer, 2010; gli interventi sul tema in A. Torre (cur.), Costituzioni e sicurezza dello Stato, Rimini, 2014. 24 Sul tema, oltre i rinvii infra, cfr., tra gli altri, Y. Ginbar, Why Not Torture Terrorists? Moral, Practical and Legal Aspects of the “Ticking Bomb” Justification for Torture, Oxford, 2008; M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, Legalizzare la tortura?, cit., 119 ss. 25 Oltre a considerare – come è noto – che la tortura, proprio per il suo essere causa di sofferenze, non garantisce la verità: «l’unica sua preoccupazione era divenuta, in fine, quella di riuscire a trovare che cosa volevano fargli confessare, e quindi di confessarlo subito» (G. Orwell, 1984, Milano, 1950). 174 Il ritorno della tortura e la fragilità dei diritti “tortura di salvezza”, nel dilemma che Dostoevskij, ne I fratelli Karamazov, adombra nelle appassionate parole di Ivan: «Ti sfido, rispondimi: immagina che tocchi a te innalzare l’edificio del destino umano allo scopo finale di rendere gli uomini felici e di dare loro pace e tranquillità, ma immagina pure che per far questo sia necessario e inevitabile torturare almeno un piccolo esserino, ecco, proprio quella bambina che si batteva il petto con il pugno, immagina che l’edificio debba fondarsi sulle lacrime invendicate di quella bambina – accetteresti di essere l’architetto a queste condizioni?». L’incrinatura anche minima del divieto di tortura introduce nella «slippery slope», nella «china scivolosa»26, dove, procedendo di male minore in male minore, si dissolve ogni limite e si precarizza ogni diritto. Torneremo sull’argomento, per ora riprendiamo il discorso sulla rilegalizzazione della tortura. Un secondo esempio emblematico è rappresentato dalla sentenza della Corte Suprema di Israele, nella sua funzione di Alta Corte di Giustizia, Issa Ali Batat et al. v. The General Security Service et al. del 6 settembre 1999 (HCJ 5100/94)27. Ricorrono anche in tal caso sia la disquisizione intorno al grado di tortura sia la considerazione della variabile “emergenza”. La questione riguarda la liceità dell’utilizzo da parte dei membri del General Security Service (GSS) di mezzi definiti di pressione fisica moderata («moderate physical pressure») – che includono lo “scuotimento” («shaking»), la messa in posizione Shabach o rannicchiata («“frog crouch”»), l’eccessivo stringimento delle manette, la privazione del sonno –, in presenza di situazioni eccezionali, nelle quali la “pressione fisica” si presenta come necessaria per salvare vite umane. Senza qui ripercorrere tutto il percorso argomentativo della Corte, si possono evidenziare alcuni passaggi chiave. In primo luogo, si può notare la presenza di un approccio garantista: la Corte non manca di rilevare come il destino di una democrazia «does not see all means as acceptable» e come «a democracy must sometimes fight with one hand tied behind its back», aggiungendo altresì che «the rule of law and the liberty of an individual constitute important components in its understanding of security». Per riferimenti bibliografici e un primo approccio, cfr. M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, Legalizzare la tortura?, cit., spec. 131 ss. 27 Il testo della sentenza è reperibile, in lingua inglese, sul sito della Corte Suprema: www.court.gov.il (da qui sono tratti i passi citati nel testo); per un primo commento, cfr. P. Bonetti, Terrorismo, cit., 269 ss.; E. Ottolenghi, Una sentenza della Corte Suprema israeliana sulla facoltà dei servizi di sicurezza di fare uso della forza nel corso di interrogatori, in questa Rivista, 1999-IV, 1489 ss. 26 175 Alessandra Algostino L’argomento della democrazia che non può contraddirsi per restare tale e il riferimento ad un concetto ampio di sicurezza convivono però con la considerazione della «difficult reality in which Israel finds herself», ovvero di situazioni riconducibili ad ipotesi come la ticking bomb. La Corte, dunque, esclude che i membri del GSS abbiano il potere di utilizzare pratiche come quelle prima citate28, ma poi, con un’operazione di self-restraint, apre alla possibilità che il legislatore, nella sua opera di mediazione e ponderazione politica, preveda i casi nei quali possono essere utilizzati «physical means»: «whether it is appropriate for Israel, in light of its security difficulties, to sanction physical means is an issue that must be decided by the legislative branch, which represents the people. We do not take any stand on this matter at this time. It is there that various considerations must be weighed. The debate must occur there». In altri termini, «according to the existing state of the law, neither the government nor the heads of the security services have the authority to establish directives regarding the use of physical means during the interrogation of suspects suspected of hostile terrorist activities» e, «similarly, the individual GSS investigator – like any police officer – does not possess the authority to employ physical means», né un’autorizzazione può essere desunta dalla «“necessity defense”», che «does not constitute a source of authority»29. Occorre l’intervento della legge: «the rule of law, both as a formal and as a substantive principle, requires that an infringement of human rights be prescribed by statute». Dunque, i mezzi di pressione fisica sono vietati, ma in quanto manca una legge che preveda il loro utilizzo, non in quanto esista un divieto assoluto correlato all’inviolabilità della persona e alla sua dignità30. Non a caso, il giudice Y. Kedmi chiede che la sentenza venga sospesa per un anno, onde La Corte si discosta dalle indicazioni della Commissione Landau (istituita nel 1987 dal Governo, al fine di indagare sui metodi investigativi del GSS; cfr. Report of the Commission of Inquiry into the Methods of Investigation of General Security Service (GSS) Regarding Hostile Terrorist Activity, October 1987), la cui apertura all’utilizzo di metodi coercitivi, ovvero una sorta di loro “legalizzazione”, era già stata oggetto di condanna da parte del Comitato ONU contro la tortura, Report A/49/44, 1994, par. 168: «the Landau Commission Report, permitting as it does “moderate physical pressure” as a lawful mode of interrogation, is completely unacceptable to this Committee...». 29 «The “necessity defense” has the effect of allowing one who acts under circumstances of “necessity” to escape criminal liability. The “necessity defense” does not possess any additional normative value». 30 Il Comitato ONU contro la tortura, pronunciandosi sui Rapporti presentati dagli Stati ai sensi dell’articolo 19 della Convenzione, osserva, a proposito di Israele, che «while acknowledging the importance of the September 1999 Supreme Court decision», «the ruling does not contain a definite prohibition of torture» (CAT/C/XXVII/Concl. 5, 2001). 28 176 Il ritorno della tortura e la fragilità dei diritti dar modo alla Knesset di intervenire e, pur affermando che non si vuole legalizzare un’azione illegale, prevede che nel frattempo «the GSS will be allowed to employ exceptional interrogative methods», se pur solo «in those rare cases of “ticking bomb”, on the condition that explicit authorization is granted by the Attorney-General». La persona perde la sua inviolabilità e il divieto di tortura la sua assolutezza ed entrano nella disponibilità del legislatore: un cedimento dello stato di diritto costituzionale? Certo, si può osservare come i tentativi di legalizzazione della tortura incontrino molte resistenze e spesso vengano abbandonati31 ma intanto il muro dell’intangibilità è crepato e il rapporto fra tortura e diritto non è più di reciproca negazione ma all’insegna di “a certe condizioni”, con “certe modalità” e in nome di “certi interessi”. Nel caso di Israele, ad esempio, la Knesset adotta nel 2002 il General Security Service Act, in cui, pur non ammettendo l’utilizzo di mezzi di coercizione fisica, prevede che «a Service employee or a person acting on behalf of the Service shall not bear criminal or civil responsibility for any act or omission performed in good faith and reasonably by him within the scope and in performance of his function» (art. 18). L’utilizzo delle scriminanti della responsabilità o della legittima di32 fesa è un’altra delle modalità attraverso cui, in forma meno esplicita, a posteriori e caso per caso, la tortura trova comunque giustificazione legale nell’ordinamento. 3. Sul senso dei diritti e la loro fragilità Se è sufficiente, perché i diritti cedano, porre sul piatto della bilancia emergenza e sicurezza e condire poi magari il tutto con le forme della legge, qual è il senso delle proclamazioni – costituzionali e internazionali – dei diritti? Per restare agli esempi di cui supra, si pensi alla sentenza della Corte Suprema USA, Boumediene v. Bush et al., 12 giugno 2008, al Military Commission Act del 2009, alla stessa sentenza della Corte Suprema israeliana appena citata per la parte in cui pone comunque un freno rispetto alla “liberalizzazione” della Commissione Landau, o agli interventi del Comitato ONU contro la tortura; per riferimenti ampi alle resistenze del diritto e degli organi internazionali e sovranazionali, cfr., fra gli altri, A. Saccucci, Divieto di tortura ed esigenze di sicurezza nel contesto della war on terror: verso una flessione “al ribasso” degli obblighi internazionali?, in Dir. Umani e Dir. Internaz., 1/2009, 5 ss. 32 Senza approfondire qui il punto, e senza riprendere l’argomento principale contro il suo utilizzo, fondato sull’inviolabilità della dignità, ad adiuvandum, si può notare come la legittima difesa debba comunque essere legata ad un pericolo attuale e sia tenuta a rispettare il principio di proporzionalità. 31 177 Alessandra Algostino Una prima risposta è già emersa: è la proclamazione, specie se associata a meccanismi di garanzia, in particolare giudiziaria, a fondare condanne o revirement che accompagnano i tentativi di affievolire i diritti e introdurre forme legali di tortura. La sanzione giuridica di un diritto o un divieto rende le condotte o le scelte con essi contrastanti delle violazioni e legittima l’intervento di autorità di garanzia, come le corti, così come rafforza l’opposizione delle forze politiche e sociali contrarie. Il diritto, in questa prospettiva, è uno strumento della resistenza nel nome dei diritti; uno strumento, certo, come vedremo, a sua volta non intoccabile, dato che, in quanto fenomeno sociale, vede la sua vita dipendere dagli esiti dei conflitti che attraversano la società. Veniamo però ora all’analisi di due casi “virtuosi”, ovvero in cui emerge la reazione garantista del diritto in nome dei diritti (se pure sempre come risposta a precedenti interventi restrittivi nei confronti dei diritti)33: la sentenza della House of Lords inglese, A and Others v. Secretary of State for the Home Department (No. 2), 8 dicembre 2005, che direttamente concerne il divieto di tortura, e la pronuncia del Bundesverfassungsgericht sulla Legge sulla Sicurezza Aerea, 15 febbraio 2006, che più ampiamente riguarda il bilanciamento fra dignità e sicurezza. L’Appellate Committee della House of Lords, nel pronunciarsi sull’ammissibilità di prove ottenute sotto tortura, afferma, con le parole di Lord Bingham of Cornhill, che la risposta «is to be found not in a governmental policy, which may change, but in law» e che «the principles of the common law, standing alone, ... compel the exclusion of third party torture evidence as unreliable, unfair, offensive to ordinary standards of humanity and decency and incompatible with the principles which should animate a tribunal seeking to administer justice», aggiungendo che «the principles of the common law do not stand alone. Effect must be given to the European Convention, which itself takes account of the all but universal consensus embodied in the Torture Convention»34. Affermazioni queste che possono leggersi in connessione con quanto osservato da Lord Hoffmann, in una pronuncia del 2004, a proposito di forme di detenzione senza il rispetto dell’habeas corpus, previste per stranieri sospettati di terrorismo: «the real Non mancano inoltre “cadute” anche in queste ipotesi, come, ad esempio, la possibilità, ammessa dalla maggioranza dei Law Lords, di acquisire prove nel caso in cui non ci sia la certezza che siano state raccolte utilizzando la tortura (cfr., tra gli altri, P. Bonetti, Terrorismo, cit., 264). 34 In ambito CEDU, sull’inutilizzabilità delle prove estorte attraverso tortura, cfr., ad esempio, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sent. 17 gennaio 2012, Othman (Abu Qatada) v. Regno Unito (ric. n. 8139/09). 33 178 Il ritorno della tortura e la fragilità dei diritti threat to the life of the nation, in the sense of a people living in accordance with its traditional laws and political values, comes not from terrorism but from laws such as these»35. La democrazia e i diritti – potremmo dire – rischiano di perdersi più nelle violazioni compiute in loro nome dalle istituzioni e legalmente piuttosto che per il verificarsi di fatti che li violano. Dal medesimo idem sentire muove il giudice costituzionale tedesco nel sancire, con una dibattuta sentenza, l’illegittimità costituzionale di una disposizione (art. 14, c. 3) della Legge sulla Sicurezza Aerea (Luftsicherheitsgesetz, 11 gennaio 2005) che autorizzava l’aviazione militare ad abbattere un aereo civile, con membri dell’equipaggio e passeggeri, nell’ipotesi in cui fosse dirottato dai terroristi con il fine di colpire obiettivi civili o militari36. L’argomentazione che qui interessa ruota attorno all’art. 2, c. 2 (diritto alla vita e all’integrità fisica), in combinato disposto con l’art. 1, c. 1 (intangibilità della dignità umana), della Legge fondamentale. Il Tribunale costituzionale ritiene che lo Stato non possa, allo stesso modo dei terroristi, considerare equipaggio e passeggeri degli oggetti. Lo Stato non può, se pur per difendere e salvaguardare altri, spersonalizzare e privare dei diritti degli essere umani, anche quando gli individui, come nel caso di un aereo dirottato da terroristi per essere utilizzato quale arma impropria, sarebbero destinati a morire a breve. La vita e la dignità devono essere protette da parte dello Stato, che non può trasformarsi in aggressore di persone innocenti prive di tutela. Da un lato – si potrebbe sintetizzare – in questi esempi “virtuosi”, la persona e i suoi diritti, costituiscono sempre fine e mezzo, mentre, negli esempi di legalizzazione della tortura, vengono dichiarati o sottintesi quale fine ma sconfessati come mezzo. In altri termini, in un caso, divieti, a presidio della dignità della persona, quale quello di tortura sono inviolabili “senza se e senza ma”; nell’altro, sono garantiti, “salvo casi particolari”. House of Lords, Appellate Committee, A and Others v. Secretary of State for the Home Department, 16 December 2004 (consultabile in www.publications.parliament. uk); per un primo riferimento, cfr. C. Bassu, La Camera dei Lords giudica illegittima la legislazione Britannica anti-terrorismo, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 22 febbraio 2005. 36 Per commenti, restando alla dottrina italiana, si vedano R. Bin, Democrazia e terrorismo, in www.forumcostituzionale.it, 2006; V. Baldini, Stato di prevenzione v. stato costituzionale di diritto: un nuovo capitolo di una storia infinita, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 23 maggio 2006; A. De Petris, Tra libertà e sicurezza prevale la dignità umana, dice il Bundesverfassungsgericht, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 20 marzo 2006. 35 179 Alessandra Algostino Emerge il senso del diritto, specie come diritto costituzionale e internazionale dei diritti umani, come limite (invalicabile) per il potere a tutela della persona, ed il senso dell’architettura dello stato moderno, fondato sulla separazione e sul bilanciamento dei poteri, e, in specifico, sull’indipendenza della magistratura. Il ruolo delle Corti, peraltro, merita una piccola digressione. Senza dubbio gli esempi citati restituiscono l’immagine di organi giudiziari, indipendenti rispetto ai poteri legislativo ed esecutivo37, ed efficaci nel tutelare i diritti, anche contro quei poteri, come è nella logica della separazione dei poteri. Ciò rimanda senza dubbio ad un buon funzionamento della democrazia, che cela, però, di fronte ad una eccessiva chiamata in causa delle Corti, un doppio problema. Primo. Le corti senza dubbio esercitano una funzione di garanzia (dei diritti), che, con la giustizia costituzionale, si estende al legislatore, ma, di fronte ad un loro eccessivo attivismo contro la politica, non è fuori luogo paventare il rischio di forme di tecnocrazia o di oligarchia giudiziaria38. Secondo. Se dignità e diritti hanno bisogno per esistere di un continuo supporto da parte delle Corti, significa che qualcosa non funziona nel loro riconoscimento sociale o che, quantomeno, si assiste ad uno scollamento fra Costituzione e politica, o ad un abuso di potere da parte degli esecutivi. I diritti rivelano la loro fragilità e, insieme, l’ambiguità insita nella loro sanzione nelle forme del diritto: essi sanciscono e concretizzano la dignità della persona, esprimendo l’aspirazione umana “al bene”, ma, allo stesso tempo, nascono in quanto la dignità è/può essere violata, ovvero dalla consapevolezza e dall’esperienza del male. Il diritto costituzionale moderno o lo ius cogens internazionale dei diritti umani esprimono in forma moderna la «funzione storica costante del giusnaturalismo»: rispondere all’«eterna esigenza... che la vita, alcuni beni e alcune libertà dell’individuo siano protette giuridicamente contro la forza organizzata di coloro che detengono il potere», sottrarre la natura umana 37 Come è noto, a fronte dell’emergenza si assiste in particolar modo ad una concentrazione di potere nell’esecutivo, registrandosi dunque un vulnus nell’equilibrio e nella separazione fra poteri; il caso “tortura” non sfugge alla regola (basti pensare alla provenienza presidenziale della normativa statunitense sugli enemy combatants o al Report della Commissione Landau di matrice governativa). 38 Per un approccio al tema, si vedano G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, Bologna, 2008, che, se pur con la consueta mitezza, disegna un ruolo da attore protagonista per i giudici costituzionali, respingendo però come infondate le critiche di «giuristocrazia»; S. Cassese, I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Roma, 2009. 180 Il ritorno della tortura e la fragilità dei diritti «alla mutevolezza della storia, fondarla oggettivamente, attribuirle un valore universale...»39. L’elemento connotante è la volontà di sancire una prospettiva “protetta”, che sia non solo descrittiva ma anche prescrittiva. È un intento che è di immediata evidenza nel giusnaturalismo, più appannato nel positivismo40, che, con le costituzioni o il diritto internazionale consuetudinario, coniuga il desiderio di “eternità” con la storicità di un diritto, e di diritti, frutto di conflitti contestualizzati in un dato habitat sociale, economico, politico e culturale41. I diritti nascono dai conflitti e dei conflitti registrano l’esito: le difficoltà che oggi vivono il concetto di dignità, o i diritti di libertà, così come quelli sociali, si possono leggere come parte del conflitto sociale che, almeno a partire dagli anni Ottanta, vede indebolirsi una parte e come conseguenza della vis espansiva che attualmente possiede un finanzcapitalismo che trascina con sé nuove forme di autoritarismo42. I diritti, in altri termini, non sono sottratti al «flusso della storia»43, con i suoi corsi e ricorsi, e non possono prescindere dalle dinamiche sociali. Per inciso, ciò apre una riflessione sul ruolo del diritto, sulla sua forza di resistenza, sul rapporto tra la sua forma e le forze materiali che lo sostengono/osteggiano, che coinvolge in primo luogo il senso della costituzione e il rischio dello slittamento da un concetto prescrittivo ad uno meramente descrittivo44. Se il potere rompe le barriere di contenimento ed esonda invaCfr. N. Bobbio, Locke e il diritto naturale, Torino, 1963, 67-79. Così come meno immediata, ma pur presente, è la tensione alla stabilità nelle teorie cosiddette tradizionaliste e/o storiche (basti pensare alla «inalienabile eredità» di E. Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione francese e sulle deliberazioni di alcune società di Londra ad essa relative: in una lettera destinata ad un gentiluomo parigino, 1790, in Scritti politici, Torino, 1963, 192), che saldano il riconoscimento dei diritti al trascorrere del tempo, o nell’approccio c.d. razionalista, che ancora i diritti ad alcuni valori (quali giustizia e democrazia), o alla “fiducia” (fede?) in una determinata procedura. 41 Cfr. G. Azzariti, Diritto e conflitti. Lezioni di diritto costituzionale, Roma-Bari, 2010. 42 Per tutti, cfr. L. Gallino, Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Torino, 2011, e Id., Il colpo di stato di banche e governi. L’attacco alla democrazia in Europa, Torino, 2013; P. Bevilacqua, Il grande saccheggio. L’età del capitalismo distruttivo, Roma-Bari, 2011; P. Dardot, C. Laval, Le nouvelle raison du monde. Essais sur la société néolibérale, Paris, 2009 (tr. it. La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Roma, 2013). 43 N. Bobbio, Presente e avvenire dei diritti dell’uomo, in Id., L’età dei diritti, cit., 26. 44 Da ultimo, si interroga sulla presenza del fondamento materiale del costituzionalismo, identificato nell’esistenza di un progetto di emancipazione e nei soggetti che possono dargli forza, G. Azzariti, Il costituzionalismo moderno può sopravvivere?, Roma-Bari, 2013; sulle relazioni bidirezionali fra testo e realtà, nella prospettiva di una riflessione sulla tensione delle costituzioni all’eternità, coniugata con l’accettazione della prospettiva dinamica, M. Luciani, Dottrina del moto delle costituzioni e vicende della Costituzione repubblicana, in Rivista AIC, 1/2013. 39 40 181 Alessandra Algostino dendo l’area del diritto, e segnatamente del diritto costituzionale, è evidente l’annichilimento del costituzionalismo, che nei suoi geni costitutivi ha la limitazione del potere45. 4. Tortura e nuovi sudditi La legalizzazione della tortura revoca in dubbio lo stato di diritto, la democrazia, la dignità della persona. «Parlare di tortura legalizzata vuol dire adoperare un ossimoro», nello Stato di diritto «la tortura non ha mai cittadinanza né può ambire ad ottenerla»46. Non si tratta solo di richiamare il principio di legalità quale asse portante dello Stato di diritto47, con le sue esigenze di certezza e prevedibilità, ovvero di misura e limite, ma valorizzare la connessione assiologica con i diritti. Già nello Stato di diritto liberale è evidente, con l’approccio giusnaturalista, la priorità assegnata ai diritti e alle libertà, rispetto alle quali lo Stato assume natura strumentale. Basti citare, quale esempio emblematico l’art. 2 della Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789: «il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo». Con lo Stato di diritto costituzionale, la supremazia teorica e logica dei diritti assume una veste anche giuridica, garantita dalla rigidità della Costituzione e dalla sua superiorità nella gerarchia delle fonti. Il principio di legalità si estende e limita lo stesso legislatore – e, più ampiamente, la politica – nel nome in primis della persona e dei diritti48. Lo Stato che, con le forme del diritto, si arroga la possibilità di infliggere tortura e viola la dignità umana, contraddice la sua natura di Stato M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giur. cost., 2006, 1668: «è davanti a pólemos, non ad eiréne, che il costituzionalismo deve vincere le proprie sfide», occorre «tornare ad un costituzionalismo polemico che si misuri con il potere» (nel caso di specie in opposizione al costituzionalismo irenico, specie se declinato nella sua versione multilivello); G. Azzariti, Diritto e conflitti, cit. 46 A. Pugiotto, Repressione penale della tortura e Costituzione, cit., 3-4, che specifica quanto osservato rilevando: «la legalità è violenza domata. La tortura, invece, è violenza illimitata»; «la legalità è regola previa. La tortura, invece, è imprevedibile»; «la legalità è misura. La tortura, invece, è arbitrio»; «la legalità, in uno Stato di diritto, è strumentale al rispetto della dignità della persona, che, del reato di tortura, è invece il bene giuridico offeso»; e, infine, constata come nel suo stesso nome sia incluso il concetto di «torto», che è l’opposto di «diritto»; M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, Legalizzare la tortura?, cit., 167 ss. 47 Ex multis, cfr. R. Bin, Lo Stato di diritto, Bologna, 2004, spec. 19 ss. 48 Sul principio personalista, e la sua «“eccedenza assiologica”», cfr., da ultimo, A. Ruggeri, Il principio personalista e le sue proiezioni, in Federalismi.it, 17/2013. 45 182 Il ritorno della tortura e la fragilità dei diritti di diritto, e costituzionale49, nonché, ça va sans dire, democratico, e si trasforma in quel Leviatano, cui «è conferito l’uso di tanto potere e di tanta forza, da essere in grado, con il terrore da essi suscitato, di conformare la volontà di tutti alla pace interna e all’aiuto reciproco contro i nemici esterni»50. Di fronte al Leviatano ci sono sudditi, non cittadini: uno Stato che mistifica, dietro le esigenze di sicurezza, il potere di ledere la dignità delle persone soggette al suo governo, torna ad essere un potere senza limiti. Non solo: lo scambio dignità/libertà con sicurezza rimanda l’immagine di un rapporto vassallatico. La funzione in età medievale assolta dal signore del feudo è oggi per lo più esercitata dal titolare del potere esecutivo: il vulnus allo stato di diritto passa anche per la concentrazione di potere nei vertici dell’esecutivo51, il potere che, fra l’altro, quando si discorre di dignità e diritti, ha minor titolo di intervento (basti pensare alla riserva di legge e al giudice garante dei diritti e proprio, in quanto tale, necessariamente indipendente dall’esecutivo). Ferma restando l’indisponibilità anche per il legislatore della dignità della persona, la regolamentazione del potere di infliggere sofferenze si configura come un tassello nel processo di esautoramento dei parlamenti in favore dei governi e della presidenzializzazione degli esecutivi52, un processo che si spinge sino ad intaccare il consolidato principio della riserva di legge in tema di diritti. E ancora: la legalizzazione della tortura, oltre a violare la dignità e i diritti della persona, veicola un’operazione di disumanizzazione, connessa alla distinzione amico/nemico, contribuendo alla costruzione di quest’ultimo come non umano. La disumanità del nemico legittima la violazione Sulla crisi che oggi attraversa lo Stato di diritto e, segnatamente, lo Stato di diritto costituzionale, in relazione anche alla deregolamentazione, privatizzazione, liquidità e flessibilità del sistema delle fonti e dei processi di governo, specie in relazione al complesso della lex mercatoria, cfr. R. Bin, Lo Stato di diritto, cit., 106 ss. (che, peraltro, vede nell’azione dei diritti e per i diritti a livello internazionale la possibilità che i principi dello Stato di diritto prendano vigore su scala mondiale); L. Ferrajoli, da ultimo in La democrazia attraverso i diritti, Roma-Bari, 2013, che ragiona di estensione del principio, in ragione del paradigma costituzionale, nei confronti dei poteri economici privati e di quelli sovranazionali, nonché della necessità di una «stretta legalità» a livello statale, che ristabilisca una “dignità della legislazione”. 50 T. Hobbes, Leviathan, or the matter, forme and power of a commonwealth ecclesiasticall and civill, 1651, trad. it. a cura di T. Magri, Leviatano, Roma, 1998, II.17. 51 Sostiene la concentrazione di poteri nelle mani del Presidente, in relazione ad ipotesi di tortura, J. Yoo (per un approfondimento della sua posizione, cfr. M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, Legalizzare la tortura?, cit., 113 s.). 52 Per un primo approccio, cfr. T. Poguntke, P. Webb (ed. by), The Presidentialization of Politcs. A Comparative Study of Modern Democracies, Oxford, 2005; A. Di Giovine, A. Mastromarino (cur.), La presidenzializzazione degli esecutivi nelle democrazie contemporanee, Torino, 2007; T.E. Frosini, C. Bassu, P.L. Petrillo (cur.), Il presidenzialismo che avanza. Come cambiano le forme di governo, Roma, 2009. 49 183 Alessandra Algostino della sua dignità e la sottoposizione a tortura, a sua volta, contribuisce a creare l’immagine di un essere “altro”, lontano da “noi”. Il divieto assoluto di tortura è incrinato non solo sotto il profilo dei gradi di coercizione ammissibili ma anche in relazione al tipo di persona, ad elementi di tipo soggettivo/personali: il terrorista, o il presunto terrorista, può essere trattato diversamente in quanto tale. Detto altrimenti, la sicurezza, declinata in termini di pericolosità sociale, legittima introduzioni di gradazioni differenti nel riconoscimento della dignità. Ciò, oltre all’evidente contrasto con i principi di eguaglianza, universalità e inviolabilità, segna un passo in una china pericolosa, che facilmente conduce ad allargare la sfera dei potenziali “meno umani”. Come la legislazione sugli stranieri insegna, spesso discipline restrittive sono introdotte in relazione a categorie deboli o “altre”, per poi – una volta addomesticata la percezione comune53 – essere estese ai cittadini. È l’ipotesi del noto passo di Bertolt Brecht: «prima di tutti vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendermi e non c’era rimasto nessuno a protestare». Il nemico, in combinato disposto con la sicurezza, assolve ad una duplice funzione54. In primo luogo legittima la creazione di un diritto speciale, il «diritto penale del nemico»55, dove la tortura compare come mezzo di confessione, ma anche intimidazione e punizione (basti pensare al trattamento «Il grave magistrato, che ha comperato per una certa somma il diritto di fare queste esperienze [n.d.r.: torture] sul suo prossimo, va poi, a colazione, a raccontare alla moglie quello che ha fatto nella mattinata. La prima volta madama resta nauseata. Alla seconda inizia a prenderci gusto, perché, dopo tutto, le donne son curiose; e capita, infine, che la prima cosa che essa domanda al marito quando rientra in casa dal tribunale, sarà: «Cuore mio, non avete messo alla tortura nessuno quest’oggi?» (Voltaire, Tortura, in Dictionnaire philosophique, 1764, trad. it., Dizionario filosofico, Torino, 1955, 448). 54 Per tacere della sua utilità quale “ammortizzatore sociale”, per scaricare, ad esempio, il peso di un lavoro sempre più servile (quando c’è) o di servizi sociali sempre più ridotti. 55 In argomento, si veda la provocatoria introduzione della categoria, nel solco della distinzione schmittiana amico/nemico, da parte di G. Jakobs (sinteticamente, cfr. Dogmática de derecho penal y la configuración normativa de la sociedad, Madrid, 2004, cap. I, par. V.2, 42 ss.); per una sua critica, fra gli altri, L. Ferrajoli (ex plurimis, in Il “diritto penale del nemico” e la dissoluzione del diritto penale, in Quest. Giust., 4, 2006, che ragiona in proposito di «ossimoro, di una contraddizione in termini», di «una perversione del diritto penale»); M. Donini, Il diritto penale di fronte al “nemico”, in Cass. pen., 2006, 735 ss.; E.R. Zaffaroni, Alla ricerca del nemico: da Satana al diritto penale cool, in E. Dolcini, C.E. Paliero (cur.), Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006, 757 ss.; F. Zumpani, Critica del diritto penale del nemico e tutela dei diritti umani, in Diritto e questioni pubbliche, 10/2010; una raccolta di interventi sul tema è in M. Donini, M. Papa (cur.), Diritto penale del nemico. Un dibattito internazionale, Milano, 2007. 53 184 Il ritorno della tortura e la fragilità dei diritti degli enemy combatants trattenuti a Guantanamo)56, revocando in dubbio principi canone del diritto, penale e non solo, quali in primis il principio di legalità e il principio di eguaglianza57. In secondo luogo, il nemico, che evoca scenari di guerra e violenza, contribuisce a creare quel clima per cui si scambiano diritti per sicurezza, da cittadini si accetta di diventare sudditi, e si è disposti a trattare sull’inviolabilità della dignità, specie se è quella di un altro, non solo distante ma ostile, ragionando, ad esempio, di riconoscimento al nemico di una sola «personalidad potencial»58. Ciò senza dimenticare che lo stato di guerra si accompagna naturalmente ad una concentrazione di potere negli esecutivi, intaccando lo stato di diritto anche sub specie divisione dei poteri. Tutto si tiene. La tortura annienta la dignità59, impostando una relazione autoritaria con la vittima, ma non solo: è funzionale all’affermazione di un potere che aspira (di nuovo) ad essere senza limiti, rompendo – con l’accondiscendenza di cittadini che, impauriti60 e/o in altro affaccendati, scambiano senza troppe remore protezione per libertà – gli argini nei quali stato di diritto, democrazia e costituzionalismo l’avevano ristretto. In altri termini, i singoli – ma non isolati61 – casi di tortura assumono Nella ormai ampia letteratura sul tema, si segnala, anche per l’appendice documentale, C. Bonini, Guantanamo. Usa, viaggio nella prigione del terrore, Torino, 2004. 57 Si veda L. Ferrajoli, Una inquietante assenza, cit., 9-10: «il nemico... viene identificato come il “male assoluto”... l’Occidente identifica se stesso come il “bene”, legittimando di fatto anche la pratica sistematica della tortura», con una «involuzione fondamentalista..., che mette in pericolo le basi giuridiche delle democrazie occidentali». 58 G. Jakobs, Dogmática de derecho penal, cit.: la categoria della «personalidad potencial» comporta che non si debba sorpassare nella lotta contro il nemico «la medida de lo necesario», ma anche che si possa in tal modo comunque molto, più che nella legittima difesa. 59 Da ultimo, individua come prima parola chiave, in una ricostruzione ampia della tortura, la dignità umana (violata), P. Gonnella, La tortura in Italia. Parole, luoghi e pratiche della violenza pubblica, Roma, 2013. 60 Sulla strategia della paura, cfr. L. Napoleoni, R.J. Bee, I numeri del terrore. Perché non dobbiamo avere paura, Milano, 2008; C. Robin, Paura. La politica del dominio, Milano, 2005. 61 In Italia, sarebbe sufficiente citare le prove di militarizzazione in stile cileno della scuola Diaz e della caserma Bolzaneto, ma purtroppo si devono aggiungere moltissimi altri casi (per un primo riferimento, cfr., fra gli altri, A. Pugiotto, Repressione penale della tortura, cit., 8 ss.), dei quali alcuni – se pur pochi – accertati da Tribunali nostrani (cfr., ad esempio, Tribunale penale di Asti, sent. 30 gennaio 2012, in Quest. Giust., 2012, 197 ss., sulle prassi generalizzate di maltrattamenti nei confronti dei detenuti nel carcere della città; Tribunale di sorveglianza di Bologna, ord. 21 maggio 2013, caso Aldrovandi) o dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (per un rilievo ampio delle violazioni, per lo più compiute dalle forze di polizia, carceraria e non, o all’interno dei CIE, cfr. Commissione 56 185 Alessandra Algostino un significato che trascende anche la singola violazione della dignità della persona e denotano la presenza di un sistema62 antitetico rispetto ai canoni di uno stato di diritto e del costituzionalismo, basato sull’affermazione del potere e non sulla sua limitazione. Non a caso, già Montesquieu osservava, prendendone le distanze («sento la voce della natura che grida contro di me»), che la tortura ispira paura e «potrebbe convenire nei governi dispotici»63. Quando poi si ragiona di previsione legale della tortura non è più nemmeno il caso di un fatto – se pur tendente ad esprimere un sistema – in contrasto con il diritto, ma di un fatto che si è imposto al diritto, stravolgendolo e conformandolo. Un ossimoro, il diritto alla tortura? In parte, senza dubbio, sì, ma non bisogna nemmeno ingenuamente dimenticare che il diritto non è solo quello nella prospettiva dell’emancipazione della persona e della società, ma convive con il diritto che esprime le tendenze egemoniche dei poteri dominanti. La legalizzazione della tortura in questo senso può essere letta come emblema della contrapposizione fra un XX secolo, età dei diritti e del tentativo di limitare il potere, ed un XXI secolo, era di un totalitarismo, economico, politico e giuridico? È ragionevole ipotizzare un legame fra una lex mercatoria sempre più pervasiva, che impone tout court il potere economico, e tentativi, come quello di rovesciare il rapporto antitetico diritto versus tortura, che mostrano la reticenza del potere a rispettare limiti? Il diritto, come forma di regolazione del potere, rischia di perdersi nella sua trasformazione in un quid sempre più flessibile, facilmente adattabile e conformabile alle esigenze del potere. La dignità della persona che gli esiti del conflitto sociale del Novecento (perlomeno sino ai suoi anni Ottanta) avevano avuto la forza di elevare a principio, traducendola nel divieto di tortura, così come nei diritti sociali, nel contesto degli albori del XXI secolo è costretta a cedere, si restringe e si flessibilizza. Si affievolisce la garanzia della dignità che passa attraverso il riconoscimento della liberazione dai bisogni e l’emancipazione, e l’integrità della persona tende a ridursi a nuda esistenza in vita. È in atto un conflitto in cui, sotto più di un profilo – e la tortura ne rappresenta forse quello di più immediata percezione – è revocata in dub- europea per la prevenzione della tortura e dei trattamenti crudeli, inumani o degradanti, Report CPT/Inf (2013) 32). 62 In argomento, cfr. C. Mazza, La tortura in età contemporanea, Roma, 2010. 63 Montesquieu, De l’Esprit des lois, 1748, trad. it. Lo spirito delle leggi, Milano, 2007, Libro VI, cap. XVII (241). 186 Il ritorno della tortura e la fragilità dei diritti bio la dignità umana, l’eguaglianza, l’idea di un diritto teso a garantire la persona, vincolando in suo nome il potere. La posta in gioco è molto alta, gli strumenti della democrazia e del suo diritto – quali in primis la rigidità e prescrittività della Costituzione o la forza dello ius cogens – mostrano la loro capacità di reazione a fronte di tentativi eversivi, che pretendono di assumere forma giuridica, ma non possono resistere a lungo se non sono sorretti dal contropotere di una cittadinanza attiva nel nome dei diritti, per contrastare la sovrapposizione della legge del più forte al costituzionalismo e non lasciare l’uomo nudo alla mercé del potere. Alessandra Algostino Dip.to di Giurisprudenza Università degli Studi di Torino Lungo Dora Siena, 100, Torino alessandra.algostino@unito.it 187