Prospettiva
Rivista di storia dell’arte antica e moderna
Università degli Studi di Siena
Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’
Centro Di
145
Gennaio 2012
Prospettiva
Rivista di storia dell’arte antica e moderna
N. 145, Gennaio 2012
Università degli Studi di Siena
Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’
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Sommario
Saggi
Francesco Caglioti
Il ‘San Giovannino’ mediceo di Michelangelo,
da Firenze a Úbeda
Alessandro Angelini
Due bozzetti in terracotta per ‘Angeli con nuvole’
di Antonio Raggi e di Giuseppe Mazzuoli.
Sulla funzione didattica dei modelli preparatori
nella Roma di età chigiana
82
English Abstracts
99
2
Il ‘San Giovannino’
mediceo di Michelangelo,
da Firenze a Úbeda
Francesco Caglioti
Da quasi mezzo secolo gli studi su Michelangelo concordano nel ritenere che il
suo ‘San Giovannino’ marmoreo, scolpito
fra il 1495 e il 1496 per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici il “Popolano”, sia
un’opera perduta ab immemorabili. Siccome di essa non sembra sapersi quasi
nulla al di là del committente e della cronologia, anche le monografie più approfondite si limitano a dedicarle poche parole fugaci, risparmiandosi ormai il vecchio rosario delle proposte di identificazione (sei o sette) avvicendatesi in passato. Il fallimento pieno di tutte queste candidature, talvolta assurde, ha finito per
causare il pessimismo e i silenzi della bibliografia più recente.1
Da moltissimi anni – addirittura fin da
quando, liceale, mi appassionavo al Rinascimento fiorentino – nutro la convinzione che il ‘San Giovannino’ esista ancora,
e che sia uno dei pretendenti sepolti senz’appello dagli studi. È la statua della Capilla de El Salvador di Úbeda in Andalusia (figg. 1-17), cioè uno tra gli esemplari più sfortunati: talmente sfortunato che
gli innumerevoli specialisti in lingua italiana, tedesca, inglese o francese succedutisi dopo il 1930 – quando esso fu pubblicato da Manuel Gómez-Moreno con l’attribuzione michelangiolesca2 – si sono
perlopiù evitati l’incomodo di menzionarlo, sia pure per respingerlo. E nessuno di
loro, per quanto ne so, l’ha mai accettato,
nemmeno cautamente.
In una nota a piè di pagina del 2000 ho
anticipato, in forma breve ma esplicita,
che il ‘San Giovannino’ di Úbeda può
vantare, oltre ai presupposti dello stile e
della qualità (assolutamente irrinunciabili, è ovvio), una serie di ragioni davvero
cospicue, e soprattutto coerenti, ricavabili
dalla storia politica, dinastica e collezionistica del primo Cinquecento:3 la concatenazione dei fatti e delle circostanze è
così stringente, che ancora adesso non mi
2 [Saggi]
capacito di come nessuno l’abbia afferrata. Proprio a causa di questa aporia, ho
esitato per altri dodici anni a riprendere il
discorso, che nel 2000 davo invece come
imminente: so bene, infatti, a quali critiche anche feroci si espone oggi chiunque
osi avanzare un’attribuzione a Michelangelo. Mi si potrebbe rispondere che l’attribuzione non è nuova, e che, se qualcuno mai dovesse accoglierla, si affretterà a
rimarcare (com’è tipico del nostro mondo) che è merito soltanto di Gómez-Moreno. A me pare tuttavia più ardua e delicata la rivalutazione positiva di un’opera
già nota ma la cui importanza è stata lungamente e massicciamente negletta, che
non la scoperta di un’opera inedita spuntata fuori dal nulla, magari per impulso
primo di un proprietario privato: da ciò la
mia istintiva, quasi cronica riluttanza finora. Ma poiché non ha senso continuare
a far finta di nulla, esco finalmente allo
scoperto, raccogliendo ed esponendo in
queste pagine ciò che ho trovato e meditato sul tema sino al presente.
Il caso storiografico del
‘San Giovannino’ mediceo
Prima di procedere a trattare costruttivamente del ‘San Giovannino’ di Úbeda, è
tuttavia necessario che io mi soffermi sulle sue disavventure critiche e, in più in generale, sulla fortuna storiografica del
‘San Giovannino’ mediceo, mai raccontata, per quel che ne so, nel suo complesso:
solo attraverso una simile narrazione, infatti, si potrà capire come mai si sia dovuto attendere sino ai nostri giorni per recuperare un’opera capitale e misconosciuta
di Michelangelo. Il lettore troppo specialista o insofferente che non fosse interessato ai preliminari, e volesse arrivare al
dunque più speditamente, può saltare, dopo il prossimo capoverso, tutto questo
paragrafo e i tre successivi.
La prima, sbrigativa menzione letteraria
del ‘San Giovannino’ mediceo si ha, vivente ancora Michelangelo, nella sua biografia ‘autorizzata’, data alle stampe da
Ascanio Condivi nel 1553. Qui, in maniera sintomatica, si tace il luogo dell’opera,
introdotta per incidens, e quasi soltanto
per amore di logica narrativa: il suo committente, Lorenzo di Pierfrancesco de’
Medici, sarebbe stato infatti, subito dopo,
una figura-chiave nel famoso episodio del
‘Cupido dormiente’ pseudo-antico realizzato dal giovane Michelangelo a Firenze e
spedito presto a Roma.4 Dal testo di Condivi il ‘San Giovannino’ passa quindici
anni più tardi nella seconda edizione delle Vite di Vasari (1568), dopo che la prima
edizione ne è rimasta del tutto priva
(1550):5 e, non meno significativamente,
anche Vasari, per sincera ignoranza o per
studiata reticenza, ci nega qualsiasi collocazione. Tra Condivi e Vasari c’è infine il
silenzio completo dell’Orazione funerale
di Benedetto Varchi per Michelangelo, lungo testo subito stampato (1564), nel quale
non manca una rassegna di sculture ‘minori’ del maestro conservate a Firenze, inclusi il Tondo Pitti e il Tondo Taddei.6
Queste omissioni ragguardevoli avrebbero pesato decisamente sulla bibliografia
successiva, che per tre secoli rimase del
tutto all’oscuro, e quasi si disinteressò, di
una simile primizia dell’artista divino.7
Un unico, possibile momento di rottura, e
di equivoco, si ebbe verso la fine del Seicento, nella Parigi del Re Sole. Prima del
1687 François Girardon, fine collezionista di scultura oltre che grande scultore,
entrò in possesso di un piatto marmoreo
con la testa mozzata del Battista (figg. 1920), che avrebbe esibito fino alla morte
(1715) nella propria galleria – concessagli
dal sovrano presso il Louvre – come capolavoro di Michelangelo. Non è chiaro
se tale attribuzione fosse costruita sulla
notizia di Condivi e Vasari, fraintendendone l’accenno laconico ma sicuro a un
“San Giovannino”, cioè a una statua del
patrono di Firenze raffigurato in età precoce (così come si è sempre inteso giustamente nella letteratura posteriore): certo è
invece che, essendo il ‘Battista’ parigino
rimasto pressoché invisibile per quasi tre
secoli dopo la morte di Girardon, nel
1943 Charles de Tolnay cadde nell’inganno di pensare che quel marmo fosse un
frammento della testa della statua medicea, andata prematuramente distrutta.8
L’abbaglio di Tolnay fu subito corretto da
Otto Kurz e da Ulrich Middeldorf (1945),9
i quali conoscevano bene una stampa della Galerie de Girardon (ante 1709), da
cui la testa del Battista emerge con la piena evidenza di un trofeo mortuario in sé
concluso (fig. 18).10 Ma ci vollero altri
vent’anni circa perché tutta la bibliografia, presso la quale i cinque grandi volumi michelangioleschi di Tolnay (19431960) si erano intanto affermati con troppa autorevolezza, ne prendesse atto definitivamente.11 In tempi a noi più vicini,
Jean-René Gaborit è stato abile a scovare
il pezzo Girardon a un’asta parigina, acquisendolo alle collezioni del Louvre
(1987).12 A contatto diretto con l’originale, è oggi facile capire come nel tardo Seicento, mentre la conoscenza della scultura rinascimentale italiana era al suo nadir,
si potesse prendere per Michelangelo un
marmo di ottima qualità, che a mio avviso viene comunque dalle mani di un maestro fiorentino – o di cultura fiorentina –
1. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (1495-96).
Úbeda, Capilla de El Salvador, presbiterio (stato prima
del luglio 1936).
[Saggi] 3
attivo fra Quattro e Cinquecento.13
Il vero dibattito sul ‘San Giovannino’ mediceo si accese quasi due secoli dopo Girardon, nei primi decenni dell’Unità italiana, quando si era all’apice dell’intraprendenza collezionistica dei musei tede-
schi nell’ambito del nostro Rinascimento
e, conseguentemente, fervevano come
non mai gli scambi di storiografia artistica tra un versante e l’altro delle Alpi. Nel
1875, per di più, cadde il quarto centenario della nascita di Michelangelo, celebra-
4 [Saggi]
2. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda,
Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936).
to con gli onori dovuti, e, già allora, sfruttato anche per iniziative improprie. Tutti
gli sguardi si concentrarono su una statua
comprata a Firenze e trasferita a Pisa nel
1817 dal cavaliere Ranieri Venerosi Pesciolini, ma venuta alla ribalta giusto all’aprirsi del 1875 per volontà del nuovo
proprietario del suo palazzo pisano (nell’odierno Corso Italia), il conte Lodovico
Rosselmini Gualandi (figg. 21, 23). Tra il
1879 e il 1880 l’opera emigrò nei Musei
berlinesi per acquisto appassionato di
Wilhelm Bode.14 Anche se questo impareggiabile conoscitore non fu il primo a
pronunciare il nome di Michelangelo, l’identificazione con il San Giovannino mediceo si lega correttamente a lui, che la difese in modo strenuo fino alla morte
(1929), affiancato da una serie cospicua
di studiosi illustri (tra cui Jacob Burckhardt, Karl Frey, Henry Thode, Carl Justi,
Ernst von Liphart),15 e osteggiato da altri
colleghi non meno degni, ma un po’ meno
numerosi (p.e. Heinrich Wölfflin,16 Alois
Grünwald,17 Carlo Gamba).18 Se prima e
durante il dibattito le attribuzioni alternative si mossero perlopiù tra Quattro e Cinquecento (Donatello, Matteo Civitali, Girolamo Santacroce, Silvio Cosini),19 tale
confusione fu chiarita da Alois Grünwald
(1910) col mostrare che l’opera è del secondo quarto del Seicento, e spetta a uno
dei due fratelli Giovambattista e Domenico Pieratti (figg. 22, 24).20 A questa drastica esclusione cronologica se ne può aggiungere una, non meno pesante, di ordine iconografico, poiché l’attitudine iperbucolica dell’adolescente quasi ballerino
di Bode non si addice neppure al più addomesticato dei Precursori. Tutto lascia
credere che la figura sia mitologica: verosimilmente un Aristeo con il favo di miele (adattissimo a un’ambientazione nel
gusto del Giardino di Boboli).21 Tale identificazione era affiorata nel modo più
sensato e naturale, per suggerimento del
marchese lucchese Antonio Mazzarosa
(studioso di Civitali), già nel 1825-26,
ben prima che scoppiasse il caso michelangiolesco:22 ma fu poi facilmente nascosta e obliterata sotto la mole di polemiche
sempre più settarie – come dovrò accennare anche oltre – e, a ogni modo, poco
italiane.
Il candidato ‘michelangiolesco’ di Berlino potrebbe reggere da solo un intero e
non piccolo volume sulla storia della connoisseurship nella Germania prussiana,
sui suoi metodi, sulle sue dinamiche e sulle sue tensioni universitarie e museali.
Mettendo nondimeno da parte tutto ciò, ci
basti ricordare che esso è, fra i molti pretendenti, quello che ha sottratto più energie agli studi sul ‘San Giovannino’ medi-
ceo, per oltre sessant’anni: esso abbandona davvero la scena, e nel modo più drammatico possibile, solo con la Seconda
Guerra Mondiale, andando anche materialmente perduto nell’apocalisse del
1945. Nel frattempo si erano fatti avanti
altri due candidati, ma senza ancora oscurare la fama del marmo berlinese. Il primo, nel 1930, fu il ‘San Giovannino’ di
Úbeda, sul quale mi fermerò più tardi, essendo il protagonista delle mie pagine.
Nel 1938 Wilhelm Reinhold Valentiner
propose invece, con impegno monografico, il ‘San Giovanni Battista’ della J. Pierpont Morgan Library di New York (figg.
25, 37):23 sebbene tale soluzione incontrasse, fra qualche consenso, anche quello
vistosissimo di Wölfflin,24 pesava negativamente su di essa il fatto che fin dal
1935 Middeldorf aveva riconosciuto nel
medesimo marmo lo scalpello di Giovanfrancesco Rustici.25 Pur avendo riscosso
sulle prime meno fortuna che l’altro, il riferimento a Rustici si è infine imposto
giustamente nella bibliografia odierna su
questo scultore.26
A ricordare agli studi tutto il peso affannoso della questione, nel 1958 prese la
parola Roberto Longhi, compiendo così
una delle sue rarissime incursioni nel
campo della scultura (rarissime e – si deve ammetterlo – sempre fuori scala). Il
candidato longhiano, in San Giovanni dei
Fiorentini a Roma, è tra quelli più vicini,
per cultura e cronologia, alla giovinezza
di Michelangelo, ma ciò non toglie che
fosse ugualmente mal scelto (figg. 26,
38). Pur di far rientrare nel percorso dell’artista una statua così acerba, che fino a
quel momento aveva sollecitato negli studi soltanto attribuzioni quattrocentesche
(Donatello, Mino da Fiesole, Bertoldo di
Giovanni),27 Longhi si vide costretto a
ipotizzare una confusione narrativa da
parte di Condivi e Vasari: il Lorenzo de’
Medici committente non sarebbe stato il
figlio di Pierfrancesco il Vecchio, ma il
suo biscugino ben più famoso, ossia il
Magnifico, e dunque l’opera cadrebbe a
cavallo della morte di costui nell’aprile
1492, prima di qualunque altra prova statuaria di Michelangelo.28 Pochi hanno
osato esprimersi, almeno in forma netta,
contro un pronunciamento così grave: ma,
inascoltato per anni, anzi neppure notato,
c’è stato Eugenio Luporini, che nella sua
monografia del 1964 su Benedetto da Rovezzano ha incluso senz’altro la statua romana nel catalogo di tale scultore.29 Dopo
che nel 2002 ho richiamato l’attenzione
su questa mossa del tutto sfortunata, ma
che a me pareva e pare ineccepibile, vedo
ora che gli studi si stanno finalmente convertendo in suo favore.30
3. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda,
Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936).
Le ultime due candidature per il ‘San
Giovannino’ fecero seguito di pochi anni
a quella longhiana. Nel 1960 Alessandro
Parronchi propose il ‘San Giovanni gradivo’ del Bargello (fig. 27),31 nonostante
che esso sia ben più adulto di un ‘San
Giovannino’, e che fosse stato brillantemente restituito già nel 1931 da Hans
Kauffmann a Francesco da Sangallo (intorno al 1530):32 attribuzione, questa, che
si è poi stabilizzata negli studi in misura
definitiva (cfr figg. 28-29).33 Nel 1964
(anno cruciale, perché quarto centenario
[Saggi] 5
della morte di Michelangelo) uscì infine
il testo più lungo mai dedicato al ‘San
Giovannino’: un volume, patinatissimo
per l’epoca, scritto in inglese da Fernanda
de’ Maffei a spese dell’antiquario Piero
Tozzi di New York († 1974), proprietario
6 [Saggi]
di una squisita figura seduta del giovane
Precursore, comprata in Italia (pare nei
dintorni di Bologna) nell’anno 1900
(figg. 30, 32).34 Mai seriamente accettato
da nessuno, il ‘San Giovannino’ Tozzi, introdotto dalla copertina del volume come
4. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda,
Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936).
“the greatest art discovery of the century”, aveva e avrebbe ottenuto ulteriori
assegnazioni cinquecentesche (Andrea
Sansovino,35 Pierino da Vinci)36 e, naturalmente, poi, anche datazioni ottocentesche
(per via di quella nemesi che arriva sempre, presto o tardi, alle antiche sculture attribuite da taluno in forme smodate).37 Esso pone invece ancora una volta, così come l’‘Aristeo’ berlinese, un problema di
squisito Seicento fiorentino: più di dieci
anni fa mi sono accorto che spetta a Giovanfrancesco Susini intorno al 1635, per
affinità stringenti con le sue poche ma sicure statue marmoree grandi (p.e. la ‘Frode’ – o ‘Dissimulazione’ – di Palazzo Pitti, firmata e datata al 1622; la ‘Venere’ di
Villa “La Pietra”, firmata e datata 1637; e
soprattutto il ‘Bacco’ del conte d’Orsay al
Louvre, firmato: figg. 31, 33).38 Sulla base di questo mio riconoscimento Nicholas
Penny è poi arrivato opportunamente ad
acquisire l’opera per la National Gallery
of Art di Washington (2005).39
Fortuna moderna del ‘San Giovannino’
di Úbeda. Prima parte
Benché il ‘San Giovanni Battista’ di Longhi (1958) abbia raccolto tutto sommato
poche adesioni vere, esso è stato decisivo,
per quel che stimo, nel condizionare il dibattito sulla giovinezza di Michelangelo,
almeno in Italia, e specialmente nello
sbarrare la strada al ‘San Giovannino’ di
Úbeda. Longhi non esitava infatti a bollare la statua spagnola come “scadente”.40
Per ricostruire subito, a più di mezzo secolo di distanza, quale clima di rispetto
circondava allora ogni uscita, anche irregolare, da parte del nostro massimo studioso di pittura, basti ricordare che Alessandro Parronchi, nello stesso momento
in cui lanciava un nuovo ‘San Giovannino’ mediceo (1960), proponeva di salvare
comunque l’attribuzione michelangiolesca di Longhi, semplicemente ipotizzando che vi fossero due ‘Santi Giovannini’
scolpiti in giovinezza dallo stesso autore:
quello del 1495-96 per Lorenzo di Pierfrancesco (cioè il ‘San Giovanni’ maturo e
barbato di Francesco da Sangallo) e quello di Longhi, alle date 1492-93 da lui suggerite (cioè il ‘San Giovanni’ rovezzanesco di Roma, meno adulto di quello sangallesco, ma, come vedremo più avanti,
neppure esso un vero ‘San Giovannino’).41
Fino alla sua morte (2007) Parronchi
avrebbe pubblicato migliaia di pagine
buonarrotiane, raccogliendone più di mille in sei volumi di Opere giovanili di Michelangelo (1968-2003), ma non avrebbe
mai ritenuto necessario degnare di un solo mezzo rigo la statua di Úbeda.42
Sul fronte tedesco, divenuto poi americano, la proposta di Gómez-Moreno era stata d’altronde già soffocata, e quasi (anzi)
neppure avvertita, a causa del dibattito accesissimo sul presunto ‘San Giovannino’
di Berlino (figg. 21, 23), contro cui, a un
certo punto, andò a cozzare il ‘San Giovanni Battista’ Morgan (figg. 25, 37). Autentico protagonista di questo capitolo
storiografico (nonostante le cautele da lui
stesso adoperate per non apparire troppo)
fu Heinrich Wölfflin, impegnato per più
di mezzo secolo a contrastare la statua
berlinese e, tramite essa, l’autorità del suo
potentissimo mentore, Bode. Wölfflin era
stato, a ventisette anni (1891), tra i primi
avversari tedeschi dell’attribuzione michelangiolesca del marmo ex Venerosi
Pesciolini, alla quale aveva opposto via
via, in un crescendo di consapevolezza
critica, prima una generica datazione cinquecentesca, poi, nella prima edizione di
Die klassische Kunst (1899), un’attribuzione a Girolamo Santacroce al tempo
dell’Altare del Pezzo in Santa Maria di
Monteoliveto a Napoli (1524),43 e infine,
a séguito della restituzione a uno dei fratelli Pieratti da parte di Alois Grünwald
(1910), una certa inclinazione verso quest’ultima risultanza secentesca (nella sesta e ultima edizione ‘autografa’ di Die
klassische Kunst).44 Il modo non difforme
in cui Bode e Wölfflin si accostavano alla
statua era in definitiva l’unico che due
brillanti studiosi dotati di molta cultura e
di solido senso storico potevano praticare
per un oggetto dei cui trascorsi non si sapeva nulla se non che nel 1817 era stato
acquistato presso un rigattiere fiorentino:
si trattava, dunque, di istituire una rete di
raffronti col maggior numero possibile di
sculture del passato, per cercare la giusta
collocazione crono-geografica al ‘capolavoro’ ricomparso senza una carta d’identità. A lungo andare, tuttavia, la forte divergenza dei risultati attributivi che Bode
e Wölfflin conseguirono fu recepita dai
loro colleghi – a causa del prestigio delle
due personalità – come un caso esemplare di scontro metolodogico: da una parte
la connoisseurship empiristica e induttiva
di Bode, dall’altra il purovisibilismo teoretico e deduttivo di Wölfflin. È dunque
assai curioso che poco dopo la morte di
Bode (1929), per tentare di risolvere a favore di Wölfflin questa contesa tra scuole
fosse chiamato un conoscitore quale Wilhelm Valentiner, di gran lunga più vicino
alla sensibilità e alla prassi di Bode. Ed è
ancora più curioso che Valentiner, all’inseguimento del vero ‘San Giovannino’
mediceo, giocasse la carta della statua
Morgan di New York, cioè di un’opera
che non solo era priva dei requisiti di sti-
5. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda,
Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936).
le e qualità per candidarsi (al pari del
marmo di Berlino), ma che aveva inoltre
già trovato – per merito del giovane Ulrich Middeldorf – la sua giusta classificazione come Rustici.
Fin dall’apertura del suo saggio monografico sulla statua Morgan (1938) Valentiner disegna la densa fortuna critica del
‘San Giovannino’ mediceo riducendola a
una mera partita tra Bode e Wölfflin per
la statua di Berlino.45 Il ruolo di Wölfflin
sale così in vista da far scomparire in una
mezza nota l’attribuzione (impropria) del
marmo berlinese a Silvio Cosini, avanzata da Carlo Gamba nel 1929-30,46 e accettata da Valentiner a preferenza di quelle a
[Saggi] 7
Santacroce e Pieratti, cioè a preferenza
delle conclusioni stesse di Wölfflin. Il sospetto che dietro questa mossa ci fosse
proprio l’ispirazione di Wölfflin si rafforza e infine si conferma nel prosieguo della bibliografia. Nel 1941, quattro anni prima della morte di Wölfflin, uscì su ‘Pantheon’ un articolo monografico di Kurt
Gerstenberg sul ‘San Giovanni Battista’
Morgan, che non è altro che una parafrasi
tedesca di quello di Valentiner, assimilato
in tutte le sue conclusioni (anche la paternità di Cosini per la statua di Berlino): a
differenza dell’archetipo valentineriano,
però, l’articolo di Gerstenberg trasferisce
la polemica Wölfflin-Bode dalle prime
pagine all’ultima, per congedare il lettore,
nel modo più enfatico e definitivo, con il
fallimento del metodo di Bode e con il
trionfo di quello di Wölfflin.47 Nel 1945,
Charles de Tolnay provò a rispondere in
‘The Art Bulletin’ a una recensione molto
critica appena pubblicata in quelle pagine
da Martin Weinberger al suo volume su
The Youth of Michelangelo (1943): a proposito del ‘San Giovannino’ – dato per disperso da ambedue i contendenti – Tolnay
mostrava di sapere che l’attribuzione dell’esemplare Morgan a Michelangelo da
parte di Valentiner “was accepted by other
distinguished scholars, e.g., Wölfflin (in a
letter to Valentiner)”.48 Il riferimento, implicito, era a una nota di Valentiner stesso
in calce a un suo articolo recente su Michelangelo nella Cappella Piccolomini del
Duomo di Siena: stando a Valentiner, dopo la pubblicazione della proposta Morgan egli aveva ricevuto i consensi epistolari di colleghi come Hermann Voss, Kenneth Clark, Lionello Venturi e, soprattutto,
“Professor Wölfflin, still the leading authority on the young Michelangelo”, il
quale, “fully convinced” dell’idea, era stato “especially emphatic” nel lodarla.49
Quest’ultima adesione fu infine resa nota
nella sua pienezza da Valentiner medesimo, che pubblicò la sua corrispondenza
del 1938 con Wölfflin nella ‘Kunstchronik’
del 1950: anche in tale circostanza il pretesto era dato da una recensione, poiché
Luitpold Dussler, nel discutere per quella
rivista il Tolnay di The Youth of Michelangelo nella riedizione emendata del 1947,
aveva contestato il riferimento michelangiolesco della statua Morgan, e dunque
Valentiner rispondeva per difenderlo, appellandosi all’autorevolezza di Wölfflin.50
Dal carteggio viene fuori, nientemeno,
che Wölfflin era stato il committente dell’articolo di Gerstenberg: “Es ist besser,
wenn er es tut: ich bin gewissermaßen
Partei”, scriveva Wölfflin a Valentiner, da
8 [Saggi]
Zurigo, il 20 settembre 1940!51
Mentre Valentiner, Wölfflin e Gerstenberg tacciono del tutto il ‘San Giovannino’ di Úbeda, così come poi Tolnay e
Weinberger (nonostante che Tolnay stesso
vi avesse accennato in The Youth, dandone nella riedizione del 1947 la figura
164b),52 Dussler se ne ricorda per un attimo, ma solo per respingerlo in modo
inappellabile: “Daß auch über die Statuette in Ubeda (Zuschreibung von GomezMoreno) nicht weiter zu diskutieren ist,
verrät schon die Kenntnis der Reproduktion 164b [von Tolnay 1947]”.53
Fortuna moderna del ‘San Giovannino’
di Úbeda. Seconda parte
Piuttosto che rievocare altri episodi simili, ed esplorare tutta la coltre tombale di
oblio calata sul ‘San Giovannino’ di El
Salvador, conviene ora abbandonare per
un po’ il fronte internazionale degli studi
michelangioleschi e far rotta verso la Spagna, alla ricerca di qualche elemento positivo.
Tra il tardo Cinquecento e il tardo Ottocento, il ‘San Giovannino di Úbeda, collocato entro una nicchia in cornu Evangelii dell’altar maggiore di El Salvador (a sinistra, dunque, della grande e celebre
‘Trasfigurazione’ di Alonso Berruguete in
legno dipinto e dorato), ha goduto di menzioni succinte ma costanti presso l’erudizione spagnola di carattere araldico e periegetico (fig. 34). Sono due o tre i topoi
che si radunano ogni volta, nel giro di una
frase, all’interno di tali testi: la statua, di
alabastro (ma in verità di marmo di Carrara), sarebbe stata scolpita da un’ottima
mano anonima, e sarebbe stata donata a
El Salvador, così come l’edificio stesso e
tutto ciò che esso contiene, dal segretario
dell’imperatore Carlo V, Francisco de los
Cobos y Molina (1477c.-1547), il quale
l’avrebbe a sua volta ottenuta in regalo dal
Senato della Repubblica veneziana.54 Una
leggera variante tarda di tale racconto,
sorta forse non prima dell’Ottocento, e
per via di semplificazione piuttosto che di
complicazione, mette in mezzo lo stesso
Carlo V, il quale, primo destinatario del
dono veneziano, avrebbe offerto a sua
volta l’opera a Cobos e al santuario da lui
fondato.55
In un momento di snodo tra questa letteratura e la moderna bibliografia storicoartistica si fa notare una citazione del
‘San Giovannino’ da parte di Carl Justi
(1894), impegnato a trattare dei rapporti
tra Alfonso I d’Este e Tiziano, e, in particolare, di un celebre ritratto tizianesco del
duca di Ferrara che il duca stesso, per motivi di convenienza politica, sarebbe stato
spinto a donare nel 1533, insieme ad altri
dipinti del suo pittore massimo, all’imperatore Carlo V. Il dono sarebbe avvenuto
tramite il segretario Francisco de los Cobos, anche lui grande estimatore di Tiziano, e destinatario di altre sue opere: il che
fornisce a Justi lo spunto per una digressione su questo committente e su Úbeda,
introdotta antonomasticamente come “die
Stadt von Cobos”. Se ho usato i verbi al
condizionale nel riferire la ricostruzione
di Justi, è perché egli, che si basava su un
resoconto d’archivio pubblicato vent’anni
prima dal marchese Giuseppe Campori
(1874),56 ne fraintendeva un punto essenziale: il regalo del ritratto di Alfonso e degli altri capolavori di Tiziano non era infatti per Carlo V, ma proprio per Cobos;57
e ciò, come si vede, avrebbe potuto dare
materia più robusta all’attenzione di Justi
verso il segretario imperiale. Justi, inoltre,
specialista di Michelangelo, e grande pioniere dell’interesse storiografico tedesco
per le cose artistiche di Spagna, era lo studioso ideale per mettere il ‘San Giovannino’ nella giusta prospettiva. E invece il
suo accenno alla statua si esaurisce tutto
nella ripresa asciutta della solita frase tramandata dagli antiquari spagnoli: “Über
dem Hochaltar [der Kirche S. Salvador]
ist eine venezianische Marmorstatue des
Knaben Johannes des Taufers, die ihm
[Cobos] die Signoria verehrt hatte” (dove
si può rilevare, in aggiunta, la forzatura
lieve e forse inconsapevole, ma decisiva,
per cui la statua semplicemente regalata
da Venezia diventa un’opera di produzione veneziana). Justi, del resto, sarebbe
stato presto uno fra i principali sostenitori del preteso ‘San Giovannino’ michelangiolesco di Bode, e la sede in cui usciva questo suo articolo su Tizano era il
‘Jahrbuch der königlich preussischen
Kunstsammlungen’, ovvero la principale
cassa di risonanza dell’acquisto statuario
fatto da Bode per i musei titolari di quel
periodico.58
Mentre il saggio di Justi inaugurava quell’indifferenza verso il ‘San Giovannino’
di Úbeda durata sino a oggi al di fuori della Spagna, qualche autore spagnolo denunciava la speranza di una restituzione
attributiva illustre, e preparava così la
strada all’uscita michelangiolesca di Gómez-Moreno nel 1930. In particolare,
sembra che un erudito di Úbeda, Alfredo
Cazabán Laguna (1870-1931), pronunciasse il nome di Benvenuto Cellini (ovviamente più facile in terra iberica, a causa del ‘Crocifisso’ marmoreo dell’Escorial). A tale assegnazione allude tra il
1913 e il 1915 Enrique Romero de Torres,
responsabile della provincia di Jaén nell’ambito del vasto progetto nazionale del
6. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda,
Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936).
[Saggi] 9
7. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda,
Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936).
10 [Saggi]
Catálogo Monumental de España, avviato
all’inizio del Novecento dal Ministerio de
Instrucción Pública y Bellas Artes, e posto sotto la direzione generale di Manuel
Gómez-Moreno: “A la derecha del altar
una estatuita de alabastro de San Juan
Bautista donada por Carlos I°, a quien se
la había regalado a su vez la República de
Venecia. Algún escritor ha dicho, no sé
con qué fundamento, que esta pequeña
escultura era de Benvenuto Cellini”.59
Vengo ora a Gómez-Moreno stesso, e alla
sua attribuzione michelangiolesca del
1930. Qui è necessario riconoscere che lo
studioso, pur credendo di avere tra le mani la soluzione giusta, non pervenne a
comprendere tutto l’onore che meritava
darle. Egli pubblicò infatti il ‘San Giovannino’ entro un articolo intitolato
Obras de Miguel Ángel en España, nel
quale gli affiancava ben altre due attribuzioni consimili, relative a oggetti di sua
proprietà (un Crocifisso in argento, di un
tipo noto in più esemplari, e un modestissimo bronzetto di un David): qualunque
cosa si voglia pensare del retroterra stilistico di tali pezzi, non v’è dubbio alcuno
che essi non hanno nulla che fare con
l’autografia di Michelangelo. Inoltre, Gómez-Moreno dedicò ben sei foto d’insieme, di dettaglio e di confronto al secondo
e al terzo ‘Michelangelo’, mentre il ‘San
Giovannino’ fu licenziato con una foto
d’insieme soltanto (fig. 13).60 Ancora:
quantunque fosse consapevole, per la tradizione pervenuta fino a lui, del primo,
importantissimo proprietario spagnolo
del ‘San Giovannino’, ossia Cobos, Gómez-Moreno non condusse degli approfondimenti sul personaggio, accontentandosi di raccogliere da quella stessa tradizione la notizia secondo la quale il segretario di Carlo V avrebbe ricevuto in dono
la statua dalla Repubblica di Venezia. Infine, pur avendo vissuto e operato intensamente sino al 1970, cioè per altri quarant’anni dopo l’articolo michelangiolesco, Gómez-Moreno non tornò più sul
‘San Giovannino’, se non per brevi sintesi o mezze parole che rinviavano a quella
pubblicazione.61 Al contrario, già nel 1933
l’‘Archivo español de arte y arqueología’,
che aveva ospitato tre anni prima le Obras
de Miguel Ángel en España, accoglieva
un suo articolo monografico in cui si rilanciava la seconda opera lì discussa.62
È ben facile immaginare che le due attribuzioni michelangiolesche di troppo formulate da Gómez-Moreno creassero esse
stesse i primi, involontari ostacoli alla
comprensione del ‘San Giovannino’ da
parte degli studiosi non spagnoli. Del resto, anche le pagine sul ‘San Giovannino’,
nonostante la loro capacità di arrivare in
definitiva al dunque, non facevano buona
stampa allo studioso, rivelandolo poco
addentro ai problemi della scultura italiana e michelangiolesca. Gómez-Moreno,
per esempio, provava anche lui a dire la
sua sul preteso ‘San Giovannino’ di Berli-
no, ma ne proponeva la soluzione più inverosimile di tutte, riferendo l’opera a
uno scultore veneziano del secondo Quattrocento, e confondendo poi Tullio Lombardo con Alessandro Leopardi. Inoltre,
nel cercare un’iconografia più plausibile
per l’efebo berlinese, Gómez-Moreno
pensò di poterla trovare in Adamo, ma in
virtù di un confronto davvero incomprensibile con l’‘Adamo’ di Antonio Rizzo nel
cortile di Palazzo Ducale a Venezia.63
A complicare le cose giunse, il 26 luglio
1936, la tragedia. Nei primi giorni della
Guerra Civile spagnola, il ‘San Giovannino’ fu ridotto in pezzi dalla furia iconoclasta degli attivisti repubblicani.64 Tutta
la bibliografia dopo il 1930 ha valutato la
statua sulla sola foto di Gómez-Moreno
(fig. 13) e su due o tre altre:65 troppo poche, si obietterà, per farsene un’idea decente. Eppure la riproduzione di GómezMoreno non impedì a Longhi, e a chiunque prima e dopo lui, di rifiutare l’opera,
mentre a me la stessa foto, ristampata in
uno dei tanti volumi michelangioleschi di
Charles de Tolnay (1951),66 diede subito
un’impressione promettentissima. Da
quando ho incontrato tale immagine, e poi
un’altra diversa – ma sempre d’insieme
(fig. 4) – stampata nella Escultura del siglo XVI dell’Ars Hispaniae (1958), mi sono messo a cercare senza posa tutte le altre superstiti della statua, cominciando
dall’Arxiu Mas di Barcellona, cui aveva
attinto José María Azcárate per l’Ars Hispaniae.67 A Barcellona non c’era in verità nient’altro. Ma il volume di Andrée de
Bosque sugli Artistes italiens en Espagne
du XIVme siècle aux Rois Catholiques
(1965) lasciava indovinare nuove piste:
qui l’autrice francese riproduce, accanto
alla foto d’insieme già utilizzata da Gómez-Moreno, due bellissimi particolari
della testa e della parte superiore del torso del ‘San Giovannino’ (figg. 16-17),
con lo scopo di rigettare l’attribuzione a
Michelangelo e di proporne una ad Antonio Rossellino (del tutto irricevibile, però,
a paragone con un ‘San Giovannino’ documentato di questo maestro, su cui tornerò più avanti: fig. 40).68
Il bottino fotografico più generoso stava
nel posto più felice per me (e per moltissimi altri), cioè nella fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze, ove si conservano ben undici riproduzioni donate
all’inizio degli Anni Trenta – in due gruppi di cinque e sei – rispettivamente da
George Haydn Huntley e da Friedrich
Kriegbaum. I due studiosi dovettero recarsi a visitare la statua, in modo del tutto
indipendente ma negli stessi tempi, subito
dopo la pubblicazione di Gómez-Moreno,
se non in concomitanza con essa. Lo sta-
8. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda,
Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936).
[Saggi] 11
12 [Saggi]
9. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda,
Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936).
tunitense Huntley (1905-2001) era alla ricerca di notizie e materiali su Andrea
Sansovino, cui avrebbe dedicato una monografia stampata nel 1935:69 le cinque
foto che egli donò al Kunsthistorisches
Institut, e che risultano catalogate il primo
maggio 1932, sembrerebbero essere state
scattate da lui stesso, non sappiamo con
quale pensiero attributivo in mente (figg.
3, 5, 9-10, 15).70 Il tedesco Kriegbaum
(1901-1943), direttore del medesimo
Kunsthistorisches Institut dal 1935 fino
alla morte precoce, aveva, dal canto suo,
un interesse più vasto per Michelangelo e
per la scultura fiorentina del Cinquecento, su cui stava scrivendo e avrebbe scrit-
10-11. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda,
Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936).
to vari contributi impegnati, gravitanti intorno alla tesi di abilitazione (1932).71 Le
sue sei immagini del ‘San Giovannino’,
catalogate il 14 maggio 1932 (figg. 7-8,
11-12, 16-17),72 sembrano essere state acquistate presso una ditta di Úbeda (Ventura), giacché due di esse sono gli stessi dettagli della testa e del torso che ricompaiono più di trent’anni dopo, con quella referenza fotografica, nel volume di Andrée
de Bosque (figg. 16-17),73 e giacché una
terza immagine si ritrova assai più avanti
– sia pure senza referenza – all’interno di
una voce bibliografica spagnola (fig. 8).74
Come si ricava da un’annotazione autografa apposta da Kriegbaum su uno dei
cartoni delle sue foto,75 ma anche su due
cartoni delle foto donate da Huntley,76 egli
credeva che la statua fosse di Giovanfrancesco Rustici.77
Alla foto stampata da Gómez-Moreno nel
1930 (fig. 13), e realizzata dallo storico
dell’arte e fotografo Ricardo de Orueta
(1868-1939), a quella dell’Arxiu Mas
(fig. 4), alle cinque di Huntley e alle sei
che chiamerò “Ventura/Kriegbaum”, se
ne aggiungono almeno altre tre connesse
[Saggi] 13
di nuovo con l’attività di Gómez-Moreno
e Orueta, e conservate oggi, per una catena istituzionale che rimonta in parte ai loro lasciti, nella fototeca del Consejo Superior de Investigaciones Científicas,
Centro de Ciencias Humanas y Sociales, a
Madrid, insieme con la foto stampata nel
’30 (figg. 1-2, 6, 14). Qui le ha rintracciate il mio allievo Fernando Loffredo, cui ne
debbo, con gratitudine, la prima conoscenza (2009). A mia volta, ho ritenuto
importante comunicare tutte queste foto
tedesche e madrilene all’Opificio delle
Pietre Dure di Firenze, impegnato dal
1994 nel delicatissimo lavoro di ricomposizione e integrazione dei frammenti del
‘San Giovannino’ per volontà della Casa
Ducale di Medinaceli, proprietaria della
statua in virtù di una trasmissione ereditaria indiretta ma ininterrotta a partire da
Francisco de los Cobos.78 Poiché queste
reliquie fotografiche (diciassette in tutto)
hanno ormai un valore di testimonianze
insostituibili, mi sembra opportuno darne
in nota un inventario archivistico preciso,
con un rinvio ricapitolativo alle poche
volte in cui alcune di esse sono apparse in
letteratura.79
Da un primo, complessivo raffronto tra
tutte queste immagini, si ricava che prima
della distruzione del 1936 il ‘San Giovannino’ aveva già sofferto una drammatica
rottura alla radice del collo, senza tuttavia
subire perdite sensibili di materia. Un’altra rottura significativa era occorsa all’indice della mano destra, perduto: esso è
presente, ma grazie a un goffo risarcimento, solo nella foto pubblicata da Gómez-Moreno nel 1930 (fig. 13), che non è
chiaro se sia la più antica o la più recente
di tutte; tale foto è anche l’unica a mostrare la statua fuori dalla sua nicchia abituale, e messa provvisoriamente in piedi
su delle assi di legno.80 In alcune foto prese da destra (figg. 8-11) s’intravvede infine la sbreccatura di un margine verticale
del cartiglio, a destra di chi guarda.
Fortuna moderna del ‘San Giovannino’
di Úbeda. Terza e ultima parte
Nel 1932, al momento di schedare tutte le
foto Huntley e Ventura/Kriegbaum, Ulrich Middeldorf, illuminato fototecario
del Kunsthistorisches Institut (e più tardi
suo direttore), le accolse nelle cartelle michelangiolesche con l’annotazione “Michelangelo zugeschr(ieben)”, utile a indicare che, pur essendo l’attribuzione ritenuta non valida, non era ancora spuntato
un nome alternativo sicuro (malgrado la
proposta di Kriegbaum per Rustici).81 L’e14 [Saggi]
sperienza di quelle undici foto permise a
Middeldorf di prendere una confidenza
con la statua che nessuno sembra avere
mai più eguagliato. Fu così che nel 1945,
scrivendo a ‘The Art Bulletin’ per correggere l’errore di Tolnay che aveva creduto
il ‘Battista’ Girardon un frammento del
‘San Giovannino’ mediceo, Middeldorf
poteva concludere la sua lettera con tali
parole:
“Among the candidates which claim to be
Michelangelo’s lost figure, the statue in Ubeda in Spain is one of the more respectable
ones. It has been sponsored by a distinguished
a scholar as Gómez-Moreno (Archivo español, 1930, pp. 189 ff.). I am not yet convinced
that it is the lost figure. But it certainly would
deserve a more considerate treatment than Mr.
de Tolnay has allowed it”.82
Si tratta, a mia conoscenza, del momento
più alto (o meno basso) della fortuna dell’opera al di fuori della Spagna. Di fatto,
Middeldorf costrinse Tolnay a rimaneggiare un po’ la prima edizione di The
Youth of Michelangelo (1943), aggiungendo nella seconda (1947), per illustrarla, una foto, presa da Gómez-Moreno
(mentre fin da subito i candidati respinti
di Berlino e di New York avevano goduto
di quattro foto per ciascuno),83 e commentando il ‘San Giovannino’ in questa forma: “It shows Michelangelo’s youthful
style and technique and may be a copy of
the early sixteenth century” (mentre la didascalia della foto recita “School of Michelangelo”).84 Con tale garbata sentenza
Tolnay si congedava tuttavia quasi per
sempre dalla statua, nonostante i successivi trentaquattro anni di onorata carriera
da michelangiolista. Dico “quasi” perché,
in modo davvero bizzarro, in quei trentaquattro anni Tolnay avrebbe ripetuto decine di volte che il ‘San Giovannino’ di Michelangelo era perduto, e che nessuno dei
tentativi fatti dai suoi colleghi era valido
(Tolnay poté essere spettatore di tutte le
candidature fino all’ultima); e talvolta
egli, come molti altri studiosi, si trovò a
dimenticare, tra tutte le proposte respinte,
proprio quella di Úbeda: ma nella sua monografia michelangiolesca in un solo volume che vide la luce in italiano e in francese nel 1951, e che, con vari ritocchi,
avrebbe poi conosciuto una buona diffusione anche in inglese, giapponese e spagnolo, quella foto di Gómez-Moreno che
egli si era procurato fra il 1945 e il 1947
ricompare senza un commento specifico
nel testo, e con una didascalia che la riferisce alla “scuola di Michelangiolo”.85
Se si esclude la reazione implicita e tenue
di Tolnay, rimane che il commento di
Middeldorf sul ‘San Giovannino’ di Úbeda non è mai entrato in letteratura, pur ve-
nendo da un autore molto letto e citato.
Quanto a Middeldorf stesso (che non
avrebbe mai più scritto su Úbeda sino alla fine dei suoi giorni, nel 1983), sembra
che l’amicizia con Alessandro Parronchi
gli giocasse più tardi un tiro mancino. Infatti, incaponitosi Parronchi nel difendere
il proprio ‘San Giovanni gradivo’ pseudomichelangiolesco (fig. 27), fece mille
pressioni su di lui perché accettasse, almeno lui, quell’attribuzione impossibile,
nonostante che giusto lui fosse stato tra i
primi sottoscrittori della sacrosanta restituzione fatta da Kauffmann a Francesco
da Sangallo.86 Qui lo strano rapporto Middeldorf-Parronchi, che metteva insieme
un conoscitore sagace e un sognatore poetico e commovente, del tutto remoto da
quella lettura visiva che pure si ostinava a
praticare, incontrava un’altra e più scottante querelle su Michelangelo giovane,
quella per il ‘Crocifisso’ ligneo di Santo
Spirito, appena riscoperto da Margrit Lisner (1962). Middeldorf, com’è ben noto,
lo avversò duramente per tutta la vita, e
Parronchi, anche lui contrarissimo alla restituzione a causa del ‘suo’ ‘Crocifisso’
michelangiolesco (un’opera del séguito di
Giambologna), trovò nell’allora direttore
dell’Istituto Tedesco un comodo alleato
ad excludendum (benché fosse ovvio che
giammai Middeldorf avrebbe accettato
l’esemplare parronchiano).87 In tale fronte
comune Parronchi insisté per far accogliere anche il suo ‘San Giovanni gradivo’, e Middeldorf finì per capitolare, se
non attraverso una pubblicazione, almeno
attraverso i cambiamenti introdotti nell’ordine delle fotografie dell’Istituto, da
lui sorvegliatissimo.88 Di una modifica
così incoerente ebbe presto a sorprendersi e lamentarsi la stessa Lisner,89 mentre
più tardi Parronchi se ne sarebbe ovviamente compiaciuto.90
Con questa nuova ma ultima tenzone su
un preteso ‘San Giovannino’ michelangiolesco che finisce per far ombra al marmo di Úbeda si giunge ormai agli scorsi
Anni Sessanta, quando, al di fuori della
Spagna, si assesta in tutti la convinzione
che sia ormai completamente vano inseguire la statua medicea. In Spagna, d’altro
canto, rimane la memoria costante ma
sempre laconica – fino a sembrare talvolta perentoria – della proposta di GómezMoreno: e in essa l’attrazione per il nome
grandissimo dell’artista si confonde altrettanto costantemente con il rispetto dovuto a uno dei padri della storiografia artistica iberica moderna. Non pochi scrittori citano il riferimento michelangiolesco – lungo un arco di opzioni che va dalla fiducia più netta al distacco più aperto
– nell’ambito di varie rassegne generali
12. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda,
Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936).
[Saggi] 15
sulla scultura e l’arte del Rinascimento,
sui rapporti con l’Italia, o sulla fioritura
cinquecentesca di Úbeda, ma nessuno di
loro sembra avere ragioni per rompere
con ulteriori argomenti l’indifferenza o la
diffidenza dei colleghi stranieri.91 E, soprattutto, nessuno trova mai lo spunto per
condurre nuove ricerche sulla questione,
mentre non mancano gli approfondimenti, sia in Spagna che nel resto d’Europa,
sui contatti tra Francisco de los Cobos e
altri grandi artisti italiani della sua epoca
(Tiziano, Sebastiano del Piombo).92 A
ogni modo, nessuna eco delle aspettative
michelangiolesche dei seguaci di GómezMoreno arriva mai fuori dalla Spagna, e
anche l’Italia ne rimane all’oscuro, in linea con quella drammatica povertà di relazioni storiografiche tra i due Paesi che
attraversa buona parte del Novecento, e
che riguarda tuttavia un Rinascimento in
gran parte comune.
Iconografia, stile e qualità del
‘San Giovannino’ di Úbeda.
Sua cronologia
Ma veniamo, infine, all’opera stessa, per
passare poi alle sue vicende antiche (nei
due paragrafi successivi).
Da quando anche Michelangelo è diventato materia per specialisti, talvolta dediti
a lui in modo esclusivo, la stragrande
maggioranza della letteratura che lo riguarda viene dal mondo dei cinquecentisti. Troppo condizionati, quasi viziati,
dalla Maniera Moderna, tali studiosi
chiedono istintivamente alle prime opere
del maestro di accordarsi allo stile che
egli ha dispiegato dalla ‘Pietà’ vaticana in
poi, o addirittura dal ‘David’. Paradossalmente, Michelangelo stesso è il principale responsabile, in virtù della svolta grandiosa compiuta nel 1498-1500 circa, delle difficoltà che gli studi incontrano con i
suoi juvenilia. E non è un caso, forse, che
almeno tre dei sette candidati per il ‘San
Giovannino’ mediceo siano assai più tardi della fine del Quattrocento (il Sangallo, il Pieratti, il Susini). Due, addirittura,
scendono di quasi un secolo e mezzo più
in qua del 1496.
Per accostarsi alla statua di Úbeda, cioè a
un’opera che, a causa di punti esterni fermi, precede il 1547 (anno della morte di
Cobos), conviene essere assidui frequentatori non solo di Michelangelo e del Cinquecento, ma anche e soprattutto del
Quattrocento. Solo col pensiero rivolto
contemporaneamente ai ‘Santi Giovannini’ marmorei di Donatello, Desiderio, Mino, Antonio Rossellino e Benedetto da
16 [Saggi]
Maiano (figg. 35-36 e 39-40), ma anche di
Benedetto da Rovezzano e di Rustici (figg.
37-38), si possono cogliere appieno l’originalità e le straordinarie potenzialità della
figura spagnola (alta cm 130 circa).
Prima di entrare nel vivo di tali paragoni,
mi sembra tuttavia non più procrastinabile, dopo decenni e quasi secoli di equivoci da parte della bibliografia michelangiolesca, un chiarimento semantico sul diminutivo “San Giovannino”. Troppo spesso,
infatti, il dibattito sulla statua medicea è
stato condotto da studiosi non italiani che,
per quanto sagaci e scrupolosi, non potevano periodizzare facilmente le evoluzioni della nostra lingua attraverso i secoli. E
troppo spesso i nostri connazionali, intimoriti o confusi dalla qualità e dalla
quantità degli interventi dei colleghi stranieri, hanno perso di vista lo specifico
storico del volgare fiorentino e toscano
del Rinascimento di fronte all’iconografia
del Battista.
Nel 1945, rispondendo in ‘The Art Bulletin’ a varie critiche che Martin Weinberger gli aveva appena rivolto in quella stessa sede – sotto forma di recensione – per
il volume del 1943 su The Youth of Michelangelo, Charles de Tolnay ribadiva e
sottolineava lungamente, a proposito del
‘San Giovannino’, ciò che in The Youth
egli aveva accennato appena, ma che nondimeno lo aveva guidato in tutte le sue
speculazioni sulla statua perduta: intendo
la convinzione che un ‘San Giovannino’
potesse indifferentemente cercarsi sia tra
le raffigurazioni infantili sia tra quelle
adolescenziali del Precursore.93 La realtà
è, tuttavia, ben diversa. Se si scorrono i testi degli scrittori d’arte del Cinquecento
fiorentino, da Vasari a Raffaello Borghini
a Francesco Bocchi (compito, questo, oggi assai facilitato dalla rete),94 si può rilevare che, per essere definito “San Giovannino”, il Battista doveva mostrarsi sempre
e soltanto prima dell’adolescenza, e non
durante. Gli autori che ho appena menzionato usano dunque l’espressione quasi solo per descrivere quei dipinti della Maniera Moderna (o, meno spesso, del primo
Rinascimento) che riuniscono la Vergine
e il Bambino – o la Sacra Famiglia – in
compagnia del Precursore bambino anche
lui: opere di Sandro Botticelli, Raffaello,
Fra Bartolomeo, Andrea del Sarto, Domenico Puligo, ma pure di artisti forestieri
come Giulio Romano, Tiziano, don Giulio Clovio. Nel campo statuario, quegli
stessi scrittori parlano di un “San Giovannino” solo per l’opera medicea di Michelangelo95 e, prima di essa, per la figura
marmorea ritenuta di Michelozzo (ma in
verità di Antonio Rossellino) che stava
nella lunetta della porta esterna dell’Ope-
ra di San Giovanni, e che nell’Ottocento
passò prima agli Uffizi e poi al Bargello
(fig. 40).96 Sempre presso quegli autori, le
statue famose di Donatello e di Benedetto
da Maiano che rappresentano il Battista
adolescente, e che abbiamo ormai l’abitudine di chiamare “San Giovannino Martelli” e “San Giovannino di Palazzo Vecchio” (figg. 35-36), sono citate come “un
San Giovanni tutto tondo di marmo” (Vasari e Borghini per Donatello),97 “un San
Giovanni giovanetto” (Vasari e Borghini
per Benedetto da Maiano),98 o “un” (ovvero “il”) “San Giovanni di marmo di giovenile età” (Bocchi, tanto per Donatello
che per Benedetto).99 Prima di Vasari, di
Borghini e di Bocchi, del resto, anche il
Libro di Antonio Billi, l’Anonimo Gaddiano e Giovambattista Gelli definiscono
il ‘San Giovannino’ Martelli in modo analogo (mentre non menzionano la statua
maianesca): “una fiura di Santo Giovanni” e “una figura di San Giovanni” (Libro
del Billi);100 “una fiura di San Giovanni di
marmo” (Gaddiano);101 “uno Santo Giovanni di marmo giovane” (Gelli).102 Solo
nell’indice onomastico delle Bellezze di
Bocchi accade che il “San Giovanni di
marmo di giovenile età” di Donatello, appena prelevato dal testo, diventi estensivamente un “San Giovannino”,103 non è
chiaro se perché quella figura incarna
un’adolescenza ancora acerba, o perché
allo scadere del Cinquecento il diminutivo cominciava già a espandersi nella direzione che diamo oggi per acquisita, oppure per ambedue le ragioni insieme. A me
sembra, anzi, che proprio il ‘San Giovanni’ Martelli abbia fatto virare il diminutivo, almeno in ambito scultoreo, verso
quell’allargamento di significato che si è
imposto poi (non solo l’infanzia e la fanciullezza, ma anche l’adolescenza), e che
ci consente oggi, p.e., di etichettare come
‘Maestro dei Santi Giovannini’ un plasticatore fiorentino di primo Cinquecento
nel cui catalogo abbondano le raffigurazioni del Precursore adolescente e giovinetto, ma non bambino o fanciullo.104
Nei mesi avanzati del 1569 Vasari annotava così tra le proprie “ricordanze”: “Ricordo come questo anno si fecie per il
Gran Duca un quadro d’un San Giovannino ingniudo che fu ’l ritratto di Don Giovanni suo ultimo figliol maschio, et si donò a Sua Altezza”.105 Il principino, nato
nel maggio 1567 da Cosimo I de’ Medici
ed Eleonora degli Albizzi, aveva allora
due anni: e questo esempio, che ovviamente non è esclusivo, vale però a ricordarci che lo sviluppo iconografico dei
‘Santi Giovannini’ si esauriva, allora, nel
primo decennio di vita del soggetto.
Sia come sia di tutto ciò, non si può più
13. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda,
Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936).
[Saggi] 17
negare che, fra le sei o sette figure candidate per essere quella michelangiolesca e
medicea del Precursore, nessuna è un vero ‘San Giovannino’ tranne la statua di
Úbeda (figg. 1-17): tutte le altre avrebbero dovuto essere scartate prim’ancora di
essere proposte. Ciò non basta, è ovvio, a
fare del marmo spagnolo il ‘San Giovannino’ di Michelangelo (che potrebbe essere invece, come vogliono tutti, un’opera scomparsa). Ma almeno possiamo ragionare d’ora in poi su presupposti più
chiari.
A differenza dei ‘Santi Giovanni’ di Donatello, dei due Benedetti (da Maiano e da
Rovezzano), e di Rustici, che dunque restituiscono il Battista in vari momenti dell’adolescenza, il ‘San Giovannino’ di
Úbeda è ancora un bambino, precisamente di 7-8 anni. Esso dà forma nel marmo,
attraverso una vera e propria statua, a un
età del santo che Desiderio e Mino avevano accolto soltanto nelle forme limitate
dei busti (fig. 39), e che il solo Antonio
Rossellino si era spinto a tentare con pari
compiutezza nel ‘San Giovannino’ gradivo dell’Opera di San Giovanni (1477, fig.
40).106 Mentre, però, tutti questi maestri
adottano l’infanzia nel senso più chiuso,
l’autore di Úbeda predilige – unico fra
quelli a me noti – la fanciullezza o (se si
vuole) la prima fase della puerizia latinamente intesa.107
A tale scelta singolare per un ‘San Giovannino’ di fine Quattrocento (e che diverrà sintomaticamente comune poco dopo) se ne associa un’altra ancora più autonoma nella postura e nell’attitudine del
bambino.
Una semplice seriazione di tutti i ‘Santi
Giovanni giovinetti’ e dei ‘Santi Giovannini’ statuari, da Donatello in poi, mostra
che le prove di Benedetto da Maiano e di
Rustici discendono direttamente, sebbene
con gradi diversi di inventività e qualità,
dal modello donatelliano di Casa Martelli
(figg. 35-37).108 Anche il ‘San Giovanni’
di Benedetto da Rovezzano (fig. 38), per
quanto tenti ormai di imboccare una sua
via propria al genere, non riesce a scrollarsi di dosso alcuni degli elementi figurativi forti che avevano decretato la fortuna della statua di Donatello (fig. 35): penso alla posa stabilmente eretta su una base quasi o interamente piana; alla foggia
della casacca di cammello, ben appesa a
entrambe le spalle e interrotta sopra il ginocchio; al taglio e al drappeggio del
manto, gettato sulla spalla sinistra, raccolto in folte pieghe tra l’ascella e il gomito,
e prolungato a strascico dietro le gambe e
sino a terra, così da dare al marmo il suo
18 [Saggi]
supporto statico principale, e insieme
discreto; e ancora al gesto della mano sinistra, impegnata di volta in volta a reggere un cartiglio (Donatello) o l’asta della croce (Rovezzano), e nondimeno poggiata saldamente sul corpo; e penso ancora, e soprattutto, al volto e allo sguardo, che cercano lo spettatore nello stesso
momento in cui si perdono nel vuoto dell’ispirazione, mentre la bocca si schiude
a profetare.109
Unica vera alternativa alla tradizione statuaria donatelliana fin quasi agli sgoccioli del Quattrocento, il ‘San Giovannino’
rosselliniano è dal canto suo un fanciullino minuto e ingenuo che va alla scoperta
del mondo (fig. 40). Avanzando dalla nostra sinistra verso destra, egli ha il medesimo passo volenteroso con cui lo vediamo avviarsi verso il deserto – nelle scene
della sua infanzia – tra i vecchi mosaici
del Battistero, nel dossale argenteo dello
stesso tempio e nella porta bronzea di Andrea Pisano.110
Nulla di tutto ciò si ritrova nel ‘San Giovannino di Úbeda’ (fig. 42), quasi gemello biblico del satiretto del ‘Bacco’ michelangiolesco (fig. 43), e fratellino minore
di quest’ultimo (fig. 85).
Il fanciullo ci appare in piedi come in bilico sopra uno spezzone roccioso memorabile (fig. 44): fratto, scosceso, crivellato di fori di trapano, quasi non lo si distingue da quello su cui traballa il ‘Bacco’
(figg. 45, 47). Per puntellare la presenza
instabile della figura, dietro di essa fa capolino un tronco d’albero schiantato, che
sorge meravigliosamente dal masso, e che
al masso è collegato dall’avvolgersi leggero e insieme tenace di un’erba selvatica
(fig. 46).111 L’innesto come prepotente del
piede arboreo tra i sassi ricorda ancora
una volta il ‘Bacco’, dove un ciocco analogo s’interpone fra il dio e il suo satiretto (fig. 47). Non è questa, peraltro, l’unica volta che Michelangelo rinverdisce i
fasti classici del tronco d’albero come rinforzo statuario, elemento irrinunciabile
anche nel ‘David’, nelle due versioni del
‘Cristo’ della Minerva, e ancora nell’‘Apollo’ Valori (fig. 92).112 Benché l’essenza botanica del rampicante di Úbeda
sia diversa, le sue foglie conducono subito il pensiero, per la finitura essenziale
ma efficace, ancora una volta al ‘Bacco’,
ovvero ai pampini che cingono la testa del
nume (figg. 87-88).
Privo del mantello di panno, il piccolo
Precursore indossa soltanto la tunichetta
di cammello, che lascia del tutto scoperta
la spalla destra, e che veste il suo torso a
mo’ di bandoliera, come fa la pelliccia del
San Giovannino nel Tondo Doni (figg.
48-49). La maniera in cui gli orli del vel-
lo si rigirano, esibendo allo spettatore sia
la faccia interna che quella esterna, è una
e la stessa sotto l’ascella destra del San
Giovannino Doni e attraverso la schiena
della statua di Úbeda (fig. 50).113 Ma quest’ultima trova un equivalente dipinto ben
più inaspettato nella maniera obliqua in
cui si apre la tunica di stoffa – quasi in
conseguenza di una lacerazione – sul petto dell’Evangelista nel ‘Trasporto al Sepolcro’ di Londra (fig. 51). Il raffronto
con la pittura di Michelangelo s’impone
anche per i lembi inferiori della casacca
del ‘San Giovannino’, che ha la medesima consistenza spessa di quella del San
Giovannino nella “Madonna di Manchester”, e i cui lembi inferiori, appunto, scivolano in un sol modo sulle gambe e tra
le gambe delle due figurette (figg. 5253). Poiché, però, è soprattutto nel marmo che bisogna cercare i valori tattili di
confronto, il gruppo del ‘Bacco’ è pronto
a darceli sia nel satiretto, con le sue gambette pelose, sia nella spoglia di tigre, con
le sue parti più folte in alto e in basso
(figg. 54-55).
La scomparsa del mantello e la taglia succinta della tunica del ‘San Giovannino’
servono a lasciare la massima evidenza
alla cura fanatica e allo splendore del nudo. A contrasto con la testa soavissima e
malinconica, che ci guida maggiormente
nel definire i suoi anni (figg. 77, 80), il
Precursore nasconde sotto le carni fanciullesche la promessa di una struttura
anatomica che un giorno diventerà possente e monumentale. Le braccia si raccordano al torso in maniera da impostare
delle spalle già discretamente quadrate,
così come in tutte le figure presenti nella
“Madonna di Manchester” (figg. 56-57,
84) e in tutte le altre rappresentazioni
marmoree e pittoriche della Vergine e del
Bambino, dalla ‘Madonna della scala’ alla ‘Madonna’ di Bruges, dal Tondo Doni
al Tondo Pitti (per tacere affatto, ovviamente, i tipi maschili giovani e maturi).
Ma tutta la posa instabile e il moto interiore del Giovannino andaluso sono quelli di un adulto, e mandano completamente in crisi – come ho già detto – il modello di ponderazione che, dal ‘San Giovanni’ Martelli di Donatello al ‘San Giovanni’ di Benedetto da Maiano, fino al Rovezzano e al Rustici, è sempre lo stesso,
benché variato (figg. 35-38).
Sotto le falde cascanti della tunica il fanciullo di Úbeda sfoggia un lieve avvitamento di gambe nude di un’eleganza inarrivabile (fig. 59, 62), che tollerano un
confronto, negli stessi anni e al di fuori di
Michelangelo, soltanto con il ‘San Sebastiano’ di Benedetto da Maiano nell’Oratorio della Misericordia (fig. 58), e che
14. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo
(particolare). Úbeda, Capilla de El Salvador
(stato prima del luglio 1936).
[Saggi] 19
preparano in modo sorprendente prima il
‘Bacco’ (figg. 60, 63) e poi il ‘Prigione
morente’ del Louvre (fig. 65).114 Tale avvitamento sgorga a Úbeda da quella tendenza a imperniare la posa di una figura
su una gamba, accennando la roteazione
dell’altra anca in avanti (a Úbeda la sinistra), che Michelangelo persegue in misura quasi ossessiva fin dal ‘Crocifisso’
di Santo Spirito, dai due ‘Santi protettori’
dell’arca di Bologna, e dal ‘Bacco’ e dal
suo satiretto (figg. 42-43), arrivando poi
agli eccessi gloriosi dell’età matura. Se la
“Madonna di Manchester” fosse giunta a
compimento (fig. 84), avremmo visto
qualcosa di simile al ‘San Giovannino’,
in pittura, nella figura angelica alla nostra estrema sinistra (figg. 61, 64, dove
inoltre la tunica scivola e si annida tra le
gambe al pari della pelliccia nella statua,
figg. 59, 62). Mi chiedo se gambe come
quelle del ‘San Giovannino’ di Úbeda
non siano state profondamente meditate
da Pontormo giovane, per esempio nel disegno 6506F recto agli Uffizi, preparatorio per il ‘San Michele Arcangelo’ della
Cappella della Madonna a Pontorme
(1519, fig. 66).115
Il braccio destro del Giovannino, atteggiato quasi come quello incompiuto dell’angelo all’estrema sinistra nella “Madonna
di Manchester” (figg. 67-68), trova in
questa stessa pala due riscontri più finiti
nel braccio sinistro dell’angelo che interpreta il cartiglio e in quello destro del suo
compagno di lettura (figg. 56-57). Ma il
suo equivalente scultoreo, e dunque un
equivalente ancora più persuasivo, è il
braccio sinistro del satiretto del ‘Bacco’
(figg. 54-55), una figura che ha pure – significativamente – la stessa età del Precursore di Úbeda, e che ne ha la stessa
massa muscolare promettente ma non ancora tonica, rivestita di pelle carezzevole
come non mai, dalle infinite vibrazioni
luminose (figg. 42-43).
Il nesso strettissimo e ricorrente con questo satiretto mi spinge a tornare per un attimo sugli anni del ‘San Giovannino’ di
Úbeda. Nella descrizione che Condivi dà
del ‘Bacco’ viene rimarcata l’età del satiretto, “che mostra circa sette anni, come il
Bacco diciotto” (fig. 85).116 Una sola altra
indicazione simile si trova presso Condivi, e riguarda il perduto ‘Cupido dormiente’ pseudo-antico, “d’età di sei anni
in sette”.117 Giudicherà il lettore, alla fine
di questo paragrafo, se tali coincidenze
sono casuali, o se nel breve giro di tempo
fra il 1495 e il 1497 non vi sia stato da
parte di uno stesso artista, Michelangelo,
un interesse specifico per il tema sculto20 [Saggi]
reo della prima puerizia. Qui, però, il discorso si fa intanto complicato, e diventa
molto suggestivo, per il fatto che nel 1495
il figlio primogenito di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici committente del
‘San Giovannino’, ossia Pierfrancesco,
compiva otto anni, essendo nato nel 1487.
Coincidenza anche questa? O il ‘San Giovannino’ di Úbeda, pur senza essere il ritratto di un rampollo mediceo (a differenza del ‘San Giovannino’ vasariano del
1569 ricordato prima), tributava un omaggio al figlio del committente almeno nella scelta dell’età?
Come ho anticipato nel paragrafo precedente, nelle foto del ‘San Giovannino’ anteriori al 1936 si nota distintamente la
perdita antica del suo indice destro (figg.
1, 6-11, 14, 16-17), che orientava lo
sguardo dello spettatore verso il cartiglio.118 Quest’ultimo – ennesimo corrispettivo lapideo di uno dei dettagli della
“Madonna di Manchester” (figg. 69-70) –
si srotola da una mano sinistra che nel
contempo aderisce alla pelliccia e all’anca sottostante, creando un’apertura irregolare delle dita e una bellissima pressione sul morbido (fig. 71). Tale soluzione,
profondamente meditata, si può seguire
attraverso vari marmi di Michelangelo e,
insieme, attraverso quattro fasi di crescita
del corpo maschile (infanzia, fanciullezza, giovinezza, virilità), mettendo a riscontro con il ‘San Giovannino’ la mano
sinistra del ‘Bacco’, affondata nella pelle
di tigre (fig. 73); poi quella del Bambino
nella ‘Madonna’ di Bruges, ove si aggrappa dolcemente alla gamba panneggiata
della madre (fig. 72); e poi quella del
‘Cristo’ della Minerva nella versione di
Bassano Romano, dove essa (che è rimasta una tra le parti dell’opera più vicine
alle prime intenzioni del maestro) fa quasi tutt’uno con il sudario (fig. 74).
In segno della futura missione di “battista”, il ‘San Giovannino’ di Úbeda regge
sotto il braccio sinistro, che stringe delicatamente al fianco, una scodella (fig.
75): quasi la stessa che, incompiuta, si vedrà pendere più tardi su un fianco del piccolo Precursore nel Tondo Taddei di Londra (fig. 76).119
In questa rassegna di raffronti ho lasciato
per ultimi il capo del fanciullo, dalle ciocche stupendamente inquiete, e il volto,
dagli occhi intagliati e segnati come quelli del ‘Bacco’ e del suo satiretto (figg. 7779, 80-81).120 Niente è più difficile che
rendere con termini adeguati l’attitudine
pensosa, e sommessamente e tragicamente consapevole, nella quale lo scultore è
riuscito a cogliere il profetino. La sua è la
stessa aria che avvolge le teste dei due angeli con il cartiglio nella “Madonna di
Manchester” (figg. 56-57), e che pervade
la Vergine medesima in questa paletta
(fig. 84). E il suo è lo stesso spirito di preveggenza superiore che l’artista riuscirà
miracolosamente a captare ogni qual volta ritrarrà Maria e i più stretti congiunti di
Cristo.
Poiché Michelangelo è stato uno tra gli
artisti più orgogliosamente fedeli a sé
stessi dell’intera nostra storia figurativa,
l’elenco dei raffronti potrebbe seguitare (e
annoiare) molto oltre. Ma lo concludo qui
sull’uso virtuosistico del trapano a vista,
che le foto anteriori al 1936 fanno balenare dalla base rocciosa di Úbeda (figg. 44,
46), così come dalle pieghe interne della
pelliccia del profetino, e dalle sue linee di
confine con il cartiglio e con il tronco
d’albero (fig. 82). È il medesimo sapere
tecnico che conosciamo dal ‘Bacco’, e
che nel ‘San Giovannino’ attinge di già il
grado consumato di quel gruppo (fig. 83).
Nella base petrosa di Úbeda i buchi di trapano formano dei canalicoli di una maestria geniale e poetica, che fa sentire la vita segreta e minuta del sottobosco: da
quei buchi sembra quasi di veder sudare
qualche goccia di rugiada, o uscire da un
momento all’altro la testa di un piccolo
verme (figg. 44, 46).
Nonostante il ‘Trasporto al Sepolcro’ e la
‘Madonna’ di Bruges, il Tondo Doni e il
Tondo Taddei, e poi il ‘Cristo’ della Minerva e varie altre opere realizzate da Michelangelo dopo l’anno 1500, il bilancio
delle comparazioni con il ‘San Giovannino’ di Úbeda premia decisamente, come
si vede, il ‘Bacco’ e la “Madonna di Manchester” (figg. 85, 84). Per il ‘Bacco’ la
cosa non poteva desiderarsi migliore, poiché esso è la prima grande statua marmorea del maestro che ci sia pervenuta intera, e poiché ha una cronologia (1496-97)
appena successiva a quella che tutti o quasi, sulla base di Condivi e Vasari, assegnano al ‘San Giovannino’.121 Per la “Madonna di Manchester”, non direttamente
documentata, e spesso ingiustamente rifiutata dagli studi del passato, le datazioni proposte dalle migliori voci recenti
oscillano fra il 1494 e il 1497.122 I rapporti stringenti che riemergono oggi tra la
‘Madonna’ e la statua di Úbeda permettono di confermare non solo la restituzione
del dipinto a Michelangelo (ammesso che
ve ne sia tuttora bisogno), ma anche la sua
cronologia stilistica induttiva, delimitandola al 1495-96, in concomitanza perfetta
con il ‘San Giovannino’.
Uno scrupolo di completezza m’impone
infine di ricordare che qualche rara volta,
in passato, ci si è chiesti, pur in assenza
del ‘San Giovannino’, o davanti a falsi
candidati, se Michelangelo non potesse
15. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo
(particolare). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima
del luglio 1936).
[Saggi] 21
22 [Saggi]
16. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo
(particolare). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima
del luglio 1936).
17. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo
(particolare). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima
del luglio 1936).
[Saggi] 23
18. René Charpentier (disegnatore) e Nicolas Chevallier
(incisore): “Gallerie du S.r Girardon Sculpteur ordinaire
du Roy” (ante 1709), tav. II (particolare con la “teste de
saint Jean Baptist par Michel Ange”).
aver cominciato la statua già prima di
scappare a Bologna nell’autunno 1494,
oppure durante il soggiorno bolognese del
1494-95, terminandola poi in quel 1496
accettato da tutti.123 Poiché si parla di cronologie misurate sul metro dei mesi e non
degli anni, il discorso rischia di essere
troppo sottile e pretenzioso. Ciononostante, mi sembra di aver raccolto nelle note
precedenti alcuni indizi figurativi discreti
ma forti che rivelano nella statua di Úbeda la conoscenza del ‘Battista’ di Niccolò
dell’Arca oggi all’Escorial (fig. 86), cioè
di un capolavoro che, quando Michelangelo arrivò a Bologna nell’autunno del
1494, si trovava in casa dei due figli dell’autore appena morto (marzo 1494), e vi
era esibito in vendita al migliore offerente.124 Anche se Michelangelo ci ha dato
un’invenzione del Precursore quasi diametralmente opposta a quella di Niccolò,
i risvolti della pelle di cammello sulla
schiena del bambino di Úbeda, e il rampi-
24 [Saggi]
19-20. Scultore di cultura fiorentina: ‘Testa del Battista’
(1500 circa). Parigi, Musée National du Louvre,
Département des Sculptures.
cante selvatico intorno all’albero, sembrano in debito proprio con il grandissimo
maestro dell’Arca di San Domenico. Ancora i pampini tra i capelli del ‘Bacco’ vogliono competere con il tralcio ammirato
da Michelangelo presso gli eredi di Niccolò a Bologna (figg. 87-88).
Ovviamente non si potrà escludere del tutto che il ‘San Giovannino’ fosse richiesto
a Michelangelo da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici già nel 1493 o nel 1494, e
che lo scultore ne avviasse già allora una
prima sbozzatura. Ma, per dar corpo a una
simile ipotesi, è ormai chiaro che possono
essere utili soltanto delle prove esterne al
linguaggio intimo dell’opera.
Vicende antiche del ‘San Giovannino’
mediceo. Prima parte (sino al 1537)
Ho già accennato, di fatto, come tutta la
bibliografia moderna sia partita dall’assunto che il ‘San Giovannino’ mediceo
fosse un statua, nonostante che Condivi e
Vasari non siano espliciti in tal senso: ma
il loro parlare sintetico, quasi per antonomasia, è proprio un riferirsi a una figura
intera e a tutto tondo, non a un mezzo rilievo o a una mezza figura. Tale interpretazione corrente è avvalorata dagli inventari della Casa Vecchia dei Medici in Via
Larga, dove i figli, nipoti e pronipoti di
Pierfrancesco de’ Medici il Vecchio abitarono ininterrottamente sino al 1537. John
Shearman, pubblicando quelle liste nel
1975, vi ha scovato per il 1498-99, nella
“camara terrena di Lorenzo [di Pierfrancesco]”, “uno San Joambaptista di marmo
di rilievo” ovvero “di marmo di tutto rilievo”, e per il 1503 “uno Sancto Giovanni di marmo”.125 Sensatamente, Shearman
non ha avuto dubbi che si trattasse della
statua michelangiolesca, per la quale, tuttavia, non credeva a nessuno dei candidati proposti fino a quel momento.126
In alcuni numeri della vecchia bibliogra-
fia sul ‘San Giovannino’ (soprattutto
quella connessa con il falso pretendente
da me restituito a Giovanfrancesco Susini
e oggi a Washington) si è dato spazio a
una delle non poche lettere che Paolo Somenzi da Cremona, ambasciatore di Ludovico il Moro a Firenze, spedì al suo signore tra il febbraio e l’agosto 1497, cioè
nella fase culminante del dramma di fra
Girolamo Savonarola, per tenerlo costantemente informato su di esso. Il 29 giugno, poco più di un anno dopo il completamento della statua michelangiolesca,
Somenzi scriveva al duca di Milano, tra le
altre cose, che circa tre mesi prima Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, temendo il clima politico surriscaldato di Firenze, aveva cominciato a svuotare a poco a
poco la sua casa di “tutte le robe mobile
che sono di valuta”, e le aveva ricoverate
per sicurezza nel Mugello (cioè nella sua
villa di Cafaggiolo), dov’era infine andato ad abitare di recente “con tucta la sua
brigata”.127 Questa testimonianza ha ingenerato il dubbio che anche il ‘San Giovannino’ venisse rimosso da Via Larga e
che magari non vi facesse mai più ritorno.
Ma gli inventari pubblicati da Shearman
mostrano che, indipendentemente dalle
traslazioni subìte o non subìte nel 1497, il
San Giovannino’ era di nuovo nel suo luogo originario il 15 settembre 1498 (cioè
pochi mesi dopo il martirio di Savonarola), e ancora nel 1503.128
Basta una conoscenza anche non sofisticata delle vicende patrimoniali medicee,
per sapere che le opere d’arte della Casa
Vecchia rimasero al loro posto fino al 6
gennaio 1537, giorno in cui, nella camera
di Lorenzo di Pierfrancesco di Lorenzo
detto Lorenzino, costui assassinò il duca
Alessandro, suo parente e amicissimo.129
Nel frattempo, alla morte di Lorenzo di
Pierfrancesco il Vecchio, committente di
Michelangelo e nonno del futuro omicida
(1503), le sue proprietà erano passate al
[Saggi] 25
26 [Saggi]
21. Domenico Pieratti: ‘Aristeo’ (1625-30 circa). Già
a Berlino, Kaiser-Friedrich-Museum.
figlio Pierfrancesco, e alla sua morte
(1525) erano andate al suo primogenito
Lorenzino e al secondogenito Giuliano,
entrambi molto giovani e non sposati all’aprirsi del 1537. Fra la fine del Quattrocento e il 1537 c’erano state varie trattative di possesso, e anche liti, tra Lorenzo
di Pierfrancesco il Vecchio, il figlio e i
due nipoti da una parte, e, dall’altra, i loro coinquilini e coeredi della Casa Vecchia (e di vari altri beni fuori di Firenze),
in quanto discendenti di Giovanni di Pierfrancesco il Vecchio (fratello minore del
committente di Michelangelo), morto nel
1498. Tali eredi e discendenti erano stati
ed erano Caterina Sforza Riario vedova
di Giovanni († 1509), Giovanni dalle
Bande Nere suo figlio († 1526), la di lui
vedova Maria Salviati, e l’unico figlio di
Giovanni e Maria, ossia Cosimo, futuro
duca e granduca Cosimo I.130
Che cosa accadesse alle divisioni interne
della Casa Vecchia e ai vari arredi in conseguenza delle liti non ha importanza qui,
perché Lorenzino, scappato da Firenze
subito dopo l’assassinio con un cavallo,
dei vestiti e dei contanti, non avrebbe mai
più rimesso piede nella sua città, vivendo
ramingo per undici anni, e cadendo nel
1548 a Venezia sotto il pugnale dei vendicatori del duca Alessandro.131 Quando
quest’ultimo era stato ucciso, Giuliano
fratello di Lorenzino, la madre e le sorelle si trovavano nella villa di Cafaggiolo, e
anche loro, presto emigrati dallo Stato
fiorentino senza passare per Firenze, non
vi tornarono mai più. A causa del delitto e
della fuga di Lorenzino, lui e i suoi congiunti e coeredi furono banditi per sempre
dalla patria, e le loro proprietà furono interamente rilevate dal nuovo capo dello
Stato, cioè dal loro cugino Cosimo I. Costui, dunque, diventava padrone unico di
tutta la Casa Vecchia e del suo contenuto,
che in parte erano già suoi, e che per la
parte ora acquisita gli sembravano un risarcimento doppiamente dovuto: non tanto in virtù delle confische che il diritto
dell’epoca imponeva ai ribelli (e che andavano nelle casse dello Stato), ma perché
egli era il solo erede legittimo e non bandito dei Medici di Pierfrancesco il Vecchio, e inoltre si riteneva ingiustamente
maltrattato nelle precedenti divisioni con
i cugini. Del resto, nel dettare le proprie
ultime volontà il 18 agosto 1525, Pierfrancesco padre di Lorenzino e Giuliano
aveva espressamente nominato suo cugino Giovanni dalle Bande Nere e i suoi discendenti maschi come eredi nel caso che
Lorenzino e Giuliano e i loro discendenti
maschi fossero mancati: e questa eventualità si concretò appieno de iure nella persona di Cosimo durante l’inverno 1537
(poiché Lorenzino e Giuliano, banditi,
non avevano e non avrebbero avuto figli,
mentre Giovanni era morto sin dal
1526).132
Qui è interessante mettere a confronto le
non poche fonti cronistiche e storiografiche di cui disponiamo per i fatti del 1537:
data la loro grande utilità per la comprensione dei risvolti patrimoniali di quelle
vicende, ho pensato di fare cosa comoda
riunendo alcuni brani principali nell’Appendice I. Mentre talune voci, più prossime agli eventi, parlano esplicitamente di
“confisca” per la roba di Lorenzino e del
fratello Giuliano (Francesco di Giovanni
Baldovinetti, App. I, 4.a; Paolo Giovio,
App. I, 5.a, 5.b),133 tutte le altre si guardano scrupolosamente dall’usare quel vocabolo o un altro affine, avallando invece,
in modo più o meno implicito, il principio
della piena normalità del subentro ereditario di Cosimo: del resto, come fu detto
e ribadito più volte in quei giorni, il nuovo signore aveva raccolto lo scettro di
Alessandro, in nome della legge, proprio
perché i due consanguinei che lo precedevano nella linea di successione – Lorenzino e Giuliano – erano decaduti.134 In effetti il patrimonio dei figli di Pierfrancesco conobbe sul piano procedurale un
trattamento del tutto diverso da quello riservato, negli stessi mesi, a moltissimi altri beni di ribelli fiorentini, incamerati
stabilmente dallo Stato, o venduti all’incanto in pro’ dell’erario. Non a caso non
si trova nessuna traccia dei Medici nel
fondo documentario dell’Ufficio dei Beni
dei Ribelli all’Archivio di Stato di Firenze, all’interno dei cosiddetti “Numeri rossi” dei Capitani di Parte Guelfa, che conservano ancora – malgrado la perdita di
non pochi libri e filze – moltissime registrazioni e tanti inventari di proprietà mobili e immobili sottratte a ribelli e a banditi di ogni rango.135 Un forte argumentum
e silentio sulla radicale differenza giuridica che fu mantenuta tra l’eredità di Pierfrancesco e i beni di tutti gli altri “nemici
dello Stato” si ottiene raffrontando il bando contro Lorenzino emanato il 24 aprile
1537 dagli Otto di Guardia e Balia e quello da loro stessi pubblicato sei giorni dopo contro i suoi due complici nell’assassinio (Piero di Giovannabate detto “Scoroncóncolo” e Matteo da San Piero a Sieve
detto “il Freccia”): mentre nel secondo testo si esplicita, fra la altre pene inflitte
agli omicidi, la “comfiscatione di tutti i
loro beni al Comune di Firenze”,136 non
c’è nel primo testo, pure assai più lungo e
complesso, nessun provvedimento del genere (App. I, 3.b).
Avere sott’occhio un ventaglio ampio delle molte testimonianze del 1537 è utile
per chiarirsi un secondo punto non irrilevante della trasmissione patrimoniale medicea verificatasi in quell’anno.
Il 9 gennaio 1537, poche ore – addirittura
minuti – dopo la proclamazione di Cosimo come nuovo capo della Repubblica da
parte degli ottimati, la plebe e la soldataglia di Firenze misero a sacco tutta la Casa Vecchia, mescolando torbidamente la
22. Domenico Pieratti: ‘Amore che apre un cuore con
una chiave’ (1623). Firenze, Giardino di Boboli.
vendetta verso Lorenzino con l’euforia
per il successo cosimiano. Due storici e
biografi che possiamo in sostanza e a
buon diritto definire palleschi e, per la natura della notizia che ci tramandano, pure
attendibili, ci confermano che in quel momento la Casa Vecchia degli ultimi Medici racchiudeva “molte scolture et pitture
bellissime raunate da’ loro antecessori”
[Saggi] 27
(Giovambattista Cini), ovvero “un numero grandissimo di statue antiche, parte di
marmo e parte di bronzo”, e “tanti mobili
e così preziosi, che la valuta loro ascendeva a un prezzo che non si sarebbe così
agevolmente potuto stimare” (Benedetto
Varchi). Questi stessi autori, e altri osservatori non meno bene e forse ancora meglio informati (Francesco Baldovinetti,
Bernardo Segni), fanno poi capire, con
mezze parole o con piene denunce, che
dietro tale imprevista razzia ‘dal basso’
c’era in verità un abile e spregiudicatissimo regista neanche segreto, ossia Alessandro Vitelli da Città di Castello, comandante delle truppe cittadine del duca Alessandro, e alleato mediceo tra i più infidi
(App. I, 4.b, 7, 8.a, 10.a).
In quei mesi il Vitelli avrebbe dato moltissimo filo da torcere a Cosimo, e il saccheggio della Casa Vecchia fu solo il primo atto di una progressione rapida e pesante. L’indomani (10 gennaio) Vitelli,
giocando d’astuzia, si sarebbe impadronito del comando assoluto della Fortezza da
Basso (la “Cittadella” delle fonti) e delle
sue truppe in parte spagnole, con il pretesto di dover curare primariamente gli interessi dell’imperatore Carlo V e di sua figlia Margherita, vedova di Alessandro de’
Medici. E poche ore dopo avrebbe aiutato
Margherita ad abbandonare il Palazzo
Medici di Via Larga ricoverandosi nella
Fortezza con tutto il favoloso tesoro del
duca defunto, cioè l’eredità di Cosimo il
Vecchio e Lorenzo il Magnifico, che di
28 [Saggi]
23. Domenico Pieratti: ‘Aristeo’ (particolare). Già
a Berlino, Kaiser-Friedrich-Museum.
fatto usciva così, per sempre, dall’asse
mediceo. L’avidissimo Vitelli puntava innanzitutto ad arricchirsi sia con il riscatto
che avrebbe potuto esigere nel restituire
poi la “Cittadella” ai fiorentini, sia con
qualche pingue porzione della guardaroba
medicea lì ammassata; e, in secondo luogo, era indispensabile alla sua ambizione
tenere comunque in ostaggio, manu militari, l’autorità di Cosimo.
Un intarsio attento di tutte le fonti dell’Appendice I consente di appurare nondimeno che la razzia del 9 gennaio nella
Casa Vecchia, durata poche ore, non poté
coinvolgere gli oggetti più ingombranti, e,
soprattutto, che nelle settimane successive Cosimo riuscì pazientemente a recuperare la parte migliore dei beni sottratti, venendo a patti con il Vitelli, i cui soldati
avevano ricoverato in Fortezza il grosso
della refurtiva. Nella Casa Vecchia c’erano state alcune classi di oggetti particolarmente facili da asportare e particolarmente preziose per i proprietari, mentre
erano di assai minore gratificazione per i
ladri. Erano le scritture d’archivio e i libri
in penna e a stampa, soprattutto “greci et
latini”, cui si riferiscono particolarmente
Benedetto Varchi, Giovambattista Adriani
e Giovambattista Cini (App. I, 8.a, 9,
10.a). Per il riscatto di tutti questi volumi
gli Otto di Guardia e Balia emanarono il 5
febbraio 1537 un bando apposito (App. I,
1.b), che è qui notevole per almeno due
ragioni: esso è l’unico atto pubblico del
genere compiuto in quei mesi, a riprova
che le opere d’arte della Casa Vecchia già
non erano più, invece, a rischio; e il testo
del bando (App. I, 3.a) fu lievemente ritoccato in corso di redazione per ampliarne la portata dalla sola “casa Sua Illustrissima Signoria” alla casa “contighua a
quella”, cioè la casa di Lorenzino e Giuliano, visto che ormai non c’era più distinzione tra l’una e l’altra, e tutto era di
un solo proprietario. Che il bando del 5
febbraio avesse infine effetto, almeno per
i volumi della biblioteca, lo sappiamo da
Giovambattista Adriani, secondo cui “la
maggior parte de’ quali [libri] il signor
Cosimo fece poi diligentemente ritrovare
e mettere in salvo” (App. I, 9). Quanto alle carte d’archivio, l’abbondanza di quelle della linea di Lorenzo di Giovanni di
Bicci tuttora custodite nel Mediceo avanti il Principato presso l’Archivio di Stato
di Firenze è la prova stessa del loro avvenuto recupero.137
Nel frattempo il nuovo signore di Firenze
(non ancora ufficialmente “duca”) si era
trasferito nel vicino Palazzo Medici di Via
Larga, lasciato libero dal duca Alessandro
defunto, dalla vedova Margherita e dalla
loro corte: mai più, nei secoli, l’esponen-
te principale della dinastia medicea avrebbe abitato nella Casa Vecchia, svuotata a
poco a poco di tutti i suoi arredi. A suggellare l’abbandono di questo storico edificio intervenne, a partire dal 15 febbraio
1537 e per circa due settimane, un atto rimasto per secoli nella memoria collettiva
dei fiorentini, cioè la demolizione di quel
pezzo della Casa Vecchia dove il delitto di
Lorenzino era stato perpetrato (l’angolo
sud-est, all’estremità sinistra della facciata su Via Larga). Di tale operazione parlano nei modi più diversi quasi tutti i cronisti e gli storici,138 mentre non ve n’è ombra
nelle carte governative di quei giorni: essa fu infatti un ennesimo cattivo gioco di
Vitelli, davanti al quale Cosimo pensò bene di fare buon viso, per non contrastare –
almeno per ora – quel suo sostenitore assai inquieto e temibile. Soprattutto, però,
Cosimo non poteva dare a intendere all’opinione pubblica, e ai troppi osservatori di
parte cesarea e spagnola dentro e fuori di
Firenze, che egli non volesse vendicare sino in fondo la morte del genero dell’imperatore e fosse invece tiepido verso quel
cugino omicida con cui era cresciuto insieme, e il cui folle crimine gli stava di
fatto regalando il trono ducale.
Gli studiosi di Sandro Botticelli sanno bene che i suoi famosi dipinti citati negli inventari della Casa Vecchia, e particolarmente negli spazi connessi col nome di
Lorenzo di Pierfrancesco il Vecchio (la
‘Primavera’, la cosiddetta ‘Pallade con il
centauro’), si incontrano facilmente più
tardi tra i beni della corona granducale di
Toscana.139 Come mai, invece, si perde
ogni traccia inventariale del ‘San Giovannino’ michelangiolesco?140 E come mai
Vasari, Condivi e Varchi dimenticano del
tutto l’opera, o non ne danno la collocazione? Avrebbero avuto senso, questi silenzi, se la statua fosse stata ancora a Firenze, o comunque in una delle città ben
presenti a quegli autori e al loro pubblico,
per esempio Roma o Venezia? E perché
mai Cosimo I e i suoi congiunti, che a
partire dalla nascita dell’erede al trono
Francesco (1541) presero a celebrare i
battesimi in San Giovanni con grandi apparati che ponevano al centro una statua
marmorea del Precursore, si sarebbero avvalsi più volte di un prestito dell’esemplare donatelliano di Casa Martelli, se avessero ancora avuto nei loro palazzi un’opera del tutto omologa, e di mano di Michelangelo?141 Le uniche due spiegazioni ammissibili sono che il ‘San Giovannino’ si
trovava ormai lontano dal mondo del suo
artefice, oppure che fosse già allora distrutto: ma in questo secondo caso, forse,
ce ne sarebbe restata espressa notizia.142
I mesi in cui Cosimo I dovette entrare in
24. Domenico Pieratti: ‘Zelo’ (entro il 1642)
(particolare). Firenze, Palazzo Pitti, Grotta di Mosè.
possesso della statua, nel 1537, furono
anche quelli incomparabilmente più importanti della sua vita. A lui, non ancora
diciottenne, il capriccio della Storia metteva in mano lo Stato fiorentino, ma in
modo estremamente difficile e periglioso.
Cosimo avrebbe avuto bisogno di vari anni, e soprattutto di un saldissimo equilibrio di nervi, di una volontà ferrea e di
una ineguagliabile capacità di tenere sotto
controllo ogni cosa e quasi ogni persona,
per venire a capo della drastica alternativa tra caduta e trionfo in cui si era cacciato, in mezzo a nemici e insidie di ogni sor-
ta. In quei giorni cruciali la figura-chiave
per garantirgli non solo lo Stato, ma prim’ancora la salvezza, era l’imperatore
Carlo V: e la scelta filospagnola e antifrancese, compiuta da Cosimo in maniera
risoluta, sincera e incrollabile (malgrado
le non poche occasioni sempre nuove per
dubitarne e per deflettere), si sarebbe rivelata vincente. Subito dopo Carlo V, e
addirittura prima di lui sulla strada che a
lui portava, stava Francisco de los Cobos,
onnipotente segretario dell’imperatore insieme a Nicolas Perrenot de Granvelle:
ma mentre quest’ultimo si occupava dei
possedimenti asburgici di area franco[Saggi] 29
germanica, a Cobos toccavano gli affari
d’Italia e d’oltremare.143
Cobos, d’altronde, non era soltanto un
deus ex machina della politica e della diplomazia. Gli studiosi moderni di Tiziano
e di Sebastiano del Piombo lo conoscono
da sempre per le pitture importantissime
di questi e di altri maestri che egli riuscì a
procurarsi durante tre memorabili passaggi italiani in compagnia di Carlo (152930, 1532-33, 1535-36), oppure facendosele spedire più tardi in Spagna. E la gran
parte di tali acquisti non fu frutto di commissioni dirette, ma di doni diplomatici, a
lui presentati, per compiacerlo, dai Gon-
zaga di Mantova, da Alfonso I d’Este e da
altri governanti della Penisola.
Naturalmente non ha senso elencare qui
ognuno dei tanti regali artistici a Cobos
che sono tornati alla luce fin da quando,
in pieno Ottocento, i nostri archivi pubblici di Modena, Parma e Mantova vennero
esplorati da cartisti come Giuseppe Campori, Amadio Ronchini o Willelmo Braghirolli: regali che sono poi aumentati di
numero, e sono stati ulteriormente messi
a fuoco, grazie al ritorno alle fonti documentarie compiuto dagli studi del primo e
soprattutto del tardo Novecento (Adolfo
Venturi, Georg Gronau, Michael Hirst,
25. Giovanfrancesco
Rustici: ‘San Giovanni
Battista’ (1500 circa). New
York, The Morgan Library
and Museum.
Clifford Malcolm Brown, Diane Bodart).144 Merita però sottolineare la coincidenza perfetta, quasi da ovvia e ineluttabile regola di vita e di comportamento politico, che lega queste cospicue offerte
con alcuni snodi risolutivi nelle carriere
dei vari donatori: nel caso di Federico II
Gonzaga, si tratta in un primo momento
della sua elevazione da marchese a duca
di Mantova e delle nozze con Giulia d’Aragona dopo l’annullamento di quelle con
Maria Paleologa (1530), e in un secondo
momento dell’annullamento del matrimonio aragonese in favore di quello con
Margherita Paleologa e della conseguente
investitura del Marchesato del Monferrato (1530-34, con strascichi sino al ’36).145
Per Alfonso I duca di Ferrara i suoi rapporti ‘pittorici’ con Cobos (1532-33) hanno senso principalmente in vista del recupero di Modena e Reggio allo Stato estense. Per Ferrante Gonzaga, fratello minore
di Federico, è sempre in gioco la sua fortuna, in continua ascesa, di governante e
di grande feudatario all’ombra del dominio spagnolo in Italia.
Merita, peraltro, accennare meno frettolosamente a due dei tanti dossiers archivistici sui doni italiani fatti a Cobos. Uno è
il fitto scambio di messaggi che Cobos,
mentre soggiornava a Bologna nell’inverno 1532-33 per il secondo congresso tra
Carlo V e papa Clemente VII, ebbe con
Alfonso I tramite gli agenti di quest’ultimo: approfittando del fatto che il duca di
Ferrara era disposto a tutto pur di ingraziarselo, Cobos, “con indiscrezione veramente schifosa” (Campori), pretese dalle
collezioni estensi non pochi capolavori di
Tiziano (poi in buona parte perduti), tra
cui il ritratto del duca stesso.146 Qualche
mese più tardi, sempre nel 1533, partì (o
ripartì) la lunga vicenda di una ‘Pietà’ su
ardesia che Ferrante Gonzaga, nominato
viceré spagnolo di Sicilia poco dopo
(1535), commissionò per Cobos a Sebastiano del Piombo, e che, a causa della
lentezza davvero esasperante dell’artista,
arrivò a destinazione non prima del 153940. In questa tormentata gestazione, che
coinvolse una miriade di attori grandi e
piccoli tra Roma, Mantova, Napoli e la
Sicilia, ebbe un ruolo umanamente secondario, ma artisticamente centrale, lo stesso Michelangelo, autore di uno o più disegni preparatori risultati decisivi per il
dipinto del Frate, oggi noto a tutti come
“Pietà di Úbeda” (Madrid, Museo del Prado, in deposito dalla Fundación Casa Ducal de Medinaceli, ma con una provenienza, naturalmente, dalla Sacra Capilla de
El Salvador).147
Non è possibile dire se il giovane Cosimo
de’ Medici fosse informato su questi co-
26. Benedetto da Rovezzano: ‘San Giovanni Battista’
(1492 circa). Roma, San Giovanni dei Fiorentini.
[Saggi] 31
32 [Saggi]
27. Francesco da Sangallo: ‘San Giovanni Battista gradivo’
(1530 circa). Firenze, Museo Nazionale del Bargello.
28. Francesco da Sangallo: ‘San Paolo’, particolare della
tomba di Piero di Lorenzo de’ Medici (1532-58).
Montecassino, chiesa abbaziale (stato prima del febbraio
1944).
stumi particolari delle corti d’Italia in
ogni dettaglio (poiché, come vedremo tra
poco, il dono di una “statua” che egli fece
a Cobos nell’estate 1537 sarebbe avvenuto ad insaputa di tutti). Senz’altro, però, si
può affermare che la grossa condiscendenza non solo di Cobos ma anche di
Granvelle verso le opere d’arte, i beni di
lusso, le prelibatezze alimentari e le somme cospicue di denaro offerte loro per far
procedere nel modo più spedito gli affari
d’Italia era cosa genericamente risaputa
da tutti, e che sarebbe stata presto immortalata dagli storici.148 Benedetto Varchi,
per esempio, racconta che nell’inverno
1535-36 Alessandro de’ Medici, recatosi a
Napoli ai piedi di Carlo V per consolidare il suo potere fiorentino, e tornatosene
poi a casa con la doppia vittoria del titolo
ducale pienamente riconosciuto e delle
nozze con Margherita figlia di Carlo, spese moltissimi “danari per corrompere […]
quei primi agenti di Cesare” (ossia Cobos
e Granvelle) “acciocché eglino favorisse-
ro a lor potere la causa sua dinanzi a Sua
Maestà”.149
Pur essendo ancora adolescente – e lontano dalle mene politiche – nei giorni dei
passaggi italiani di Cobos insieme a Carlo V, Cosimo ebbe però modo di partecipare a tali eventi da spettatore privilegiato, poiché andò con sua madre Maria Salviati presso Clemente VII durante il primo convegno di Bologna (1529-30), e nel
secondo convegno fu un membro del séguito di Alessandro de’ Medici (1532-33).
Dopo l’ultima partenza della corte cesarea da Bologna, Cosimo fece anche lui,
con Alessandro, il viaggio di Carlo fino a
Parma, Piacenza, Milano e Genova.150 E
quando Alessandro scese a Napoli nel
1535-36, c’era con lui pure Cosimo.151 È
dunque inevitabile pensare che egli venisse presentato a Cobos (verso il quale si sarebbe sentito di colpo tanto obbligato a
partire dal gennaio 1537) almeno nel
1532-33 e nel 1535-36. Del resto, una
volta lasciata Napoli nel marzo 1536,
Carlo V e i suoi si trasferirono prima a
Roma, poi a Siena, e infine a Firenze, dove l’incontro cordiale tra l’imperatore e
29. Francesco da Sangallo: ‘San Giovanni Battista
gradivo’ (foto stampata in controparte). Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
l’erede ancora sedicenne di Giovanni dalle Bande Nere sarebbe stato ricordato più
tardi dallo storico Lorenzo Poggio.152 A
Roma Cobos esaminò in corso d’opera la
‘Pietà’ che Sebastiano del Piombo dipingeva per lui a spese di Ferrante Gonzaga,
e sui disegni di Michelangelo.153 E a Firenze, il 4 maggio, ebbe luogo una visita
del corteggio imperiale a San Lorenzo, “a
vedere quella maravigliosa Sagrestia che
fece in quella chiesa Michelagnolo Buonarroti scultore fiorentino, il quale meritamente una delle luci della fiorentina
gloria dir si puote”.154 Non v’è nulla di più
verosimile che Cobos, in quell’occasione
o in un’altra analoga, con la sua tenace
abitudine di chiedere, abbia sparso fra gli
astanti la voce di desiderare un marmo del
maestro.
In virtù di tutto ciò, ho sempre creduto,
dunque, che il ‘San Giovannino’ di Michelangelo avesse continuato la sua esi[Saggi] 33
stenza non più medicea e fiorentina come
regalo di Cosimo a Cobos; e che bastava
percorrere i carteggi spagnoli del Mediceo del Principato presso l’Archivio di
Stato di Firenze, tra il 1537 e il 1547, per
imbattersi prima o poi in qualche traccia
del ‘San Giovannino’ di Úbeda, unica
scultura monumentale di soggetto sacro
che Cobos si procurò dall’Italia (a differenza dei molti dipinti e di vari oggetti di
lusso).155 La ricerca poteva anzi limitarsi
entro il 1541, anno in cui Cosimo ottenne
in prestito dalla famiglia Martelli – come
ho già ricordato – il ‘San Giovannino’ di
Donatello per metterlo al centro degli apparati del battesimo di Francesco, suo
primogenito: ripiego invero strano (ho
pure già accennato) se egli avesse posseduto il ‘San Giovannino’ di Michelangelo. Il cammino archivistico da fare era infine ancora più breve, poiché la notizia
utile si offre già nell’estate 1537, e nei
34 [Saggi]
30. Giovanfrancesco Susini: ‘San Giovanni Battista’
(1635 circa). Washington, National Gallery of Art.
primi faldoni del Mediceo che è necessario consultare per un’indagine su Cosimo
e Carlo V.
Gli eventi burrascosi di quell’anno, che
videro Cosimo I alle prese soprattutto con
i nemici interni fiorentini, i “fuorusciti”,
sostenuti dai francesi e non ostacolati da
papa Paolo III, culminarono il 1° agosto a
Montemurlo, quando le truppe toscane e
spagnole fedeli al nuovo signore ebbero
militarmente ragione dei cospiratori. La
cattura e la prossima condanna di Filippo
Strozzi, di Baccio Valori e dei loro collegati chiudevano come meglio non si poteva la prima fase dell’ascesa di Cosimo, e
aprivano d’altronde un nuovo scenario in
cui era la diplomazia a dover fare da protagonista. Cosimo, infatti, aveva ancora
bisogno che l’imperatore gli riconoscesse
il titolo di “duca”, gli restituisse le fortezze toscane in mano spagnola a cominciare da quella fiorentina “da Basso” (e con
esse l’effettivo possesso dello Stato), e gli
concedesse eventualmente in moglie la figlia Margherita, rimasta vedova di Alessandro. Questa terza aspirazione, meno irrinunciabile delle altre due, era pur sempre
importante sul piano politico, per legare
indissolubilmente Firenze e l’Impero, e,
su un piano finanziario, per assicurare a
Cosimo il pieno subentro ad Alessandro
nell’enorme patrimonio del ramo di Cosimo il Vecchio. La scelta che Carlo avrebbe poi compiuto, per ragioni di equilibrio
politico, di dare Margherita a Ottavio Farnese nipote di Paolo III, sarebbe stata ben
compensata da un altro partito spagnolo
per Cosimo (Eleonora di Toledo), ma
avrebbe procurato un’interminabile vertenza ereditaria tra Cosimo e Margherita
per i beni medicei del primo ramo.
Allo scopo di trattare tutto ciò con Carlo
V, e specialmente con i suoi segretari, fin
dal luglio 1537 – vari giorni prima di
Montemurlo – Cosimo aveva deciso di inviare alla corte cesarea, allora in Spagna,
Averardo di Antonio Serristori, ovvero
colui che sarebbe stato infine uno dei suoi
più fidi, esperti e longevi ambasciatori.
Tale incarico, mentre ha avuto scarsi echi
tra i cronisti (attenti alle azioni dagli effetti immediati), è tuttavia ricordato con
ampiezza e ricchezza di dettagli – in forza di un giudizio più a distanza – presso i
principali storici dell’epoca, da Paolo
Giovio a Benedetto Varchi, da Bernardo
Segni a Giovambattista Adriani, da Scipione Ammirato a Giovambattista Cini.156
Pur con diverse simpatie e coloriture, tutti convengono sul ruolo determinante dell’operazione. Dei tre principali obiettivi
di Cosimo e Averardo al momento, solo il
titolo ducale sarebbe stato un esito diretto
della missione spagnola (il 30 settembre):
ma i semi gettati allora dall’oratore mediceo avrebbero dato prima o poi altri buoni frutti.
Averardo, pronto a partire al più tardi il 25
luglio, fu tuttavia trattenuto a Firenze, a
causa di Montemurlo, ancora sino al 7
agosto. Come d’abitudine per i movimenti
verso la Spagna, il suo viaggio si svolse
per via di coste e di costeggi marittimi, con
tappe prima nella Genova filospagnola e
filofiorentina, poi a Nizza, e infine a Palamós in Catalogna. Da qui Averardo risalì
verso Monzón, nel cuore dell’Aragona,
dove raggiunse la corte il 25 settembre.157
Di tale itinerario, e soprattutto del soggiorno in Aragona e Catalogna, il Mediceo del Principato conserva una documentazione assai copiosa. Sono molte, ripetute e incrociate le lettere spedite e ricevute dai tre membri del “corpo diplomatico” fiorentino presso l’imperatore
(giacché Serristori fu affiancato dal segretario Lorenzo Pagni, ed entrambi trovarono a corte Giovanni Bandini, stanziatovi come agente fin dai tempi del duca
Alessandro). Dall’altra parte c’erano, a ricevere e spedire a loro volta, Cosimo e i
suoi fedelissimi rimasti in Toscana (i segretari Francesco Campana e Ugolino
Grifoni, ma anche Maria Salviati). Tutt’intorno, un formicolare variegatissimo
di altri personaggi delle due corti – fiorentina e cesarea – e di altri poli filospagnoli d’Italia (in primis la Genova di Andrea Doria).158 Malgrado quest’abbondanza di carte, spesso ricche di testi in cifra,159
si danno anche gravi lacune antiche, alcune delle quali riguardano la storia particolare che ricostruisco in queste pagine.
Mancano per esempio le lettere che Averardo spedì a Cosimo nel primo mese e
mezzo di cammino, man mano che si allontanava dalla Toscana.160
Mentre Averardo era a Genova (dove si
trattenne fino al 6 settembre a causa dei
venti contrari),161 Cosimo gli mandò da Firenze i doni da esibire a Cobos e a Granvelle, i quali nelle settimane e nei mesi
successivi sarebbero stati, secondo le consuetudini del governo carolino, i veri registi delle trattative. Per entrambi i segretari imperiali, in pari misura, c’erano dei
“drappi d’oro”, il cui pregio si può stimare dal solo fatto che, al loro arrivo a Barcellona e poi a Monzón, l’ambasciatore
dovette sborsare cento ducati in dazî.162
Ma per Cobos c’era, in più, una “statua”,
che anziché sbarcare a Barcellona tagliò
direttamente per Cartagena, cioè per il
porto più vicino a Úbeda e ai possedimenti che Cobos stava accumulando nella
sua terra andalusa d’origine.
Così, dunque, scriveva Cosimo al Serristori il 13 settembre:
31. Giovanfrancesco Susini: ‘Bacco’ (1640 circa). Parigi,
Musée National du Louvre, Département des Sculptures.
[Saggi] 35
“Deli drapi se ne è seguito l’ordine Suo, et la
statua, che per ordine del signor abate di Ne-
gro164 è passata sopra a una nave genovese et
andata a Cartagena, dove sarà molto commoda a chi l’ha havere. Si è ordinato a certi mercanti genovesi, alli quali detto signor abate
l’haveva indirizata, che la consegnino al signor corregidore et governatore di quella terra, secondo che ha ordinato chi l’ha havere.
Et tutto sta bene. I ringratiamenti et le belle
parole fatte, et il debito che costoro dicano tenerne a Vostra Excellentia, non li potrei con
parole exprimere: così piaccia a Dio che correspondino li effecti”.165
36 [Saggi]
32. Giovanfrancesco Susini: ‘San Giovanni Battista’.
Washington, National Gallery of Art.
“Li drappi presenterete la metà a Covos con la
statua et l’altra a Granvella, con quelle parole
iudicherete convenirsi per arra della bona voluntà tenemo [in] mostrar a Lor Signorie la
servitù nostra inverso di quelle”.163
E così il Serristori aggiornava Cosimo su
questa materia il 16 ottobre, da Barbastro
nei pressi di Monzón, per mano del segretario Lorenzo Pagni:
Lo speciale itinerario della “statua” (trasbordata, nel porto di Genova, dalla nave
toscana di arrivo a una nave mercantile
genovese) era dovuto a vari motivi: non
solo non conveniva esibirla a corte, cioè
in presenza di Granvelle, rivelando così la
disparità dei doni; e non solo la corte era
allora in moto, e Monzón (con Barbastro)
rappresentava una semplice sosta; ma il
sessantenne Cobos, che pure aveva fissato la sua dimora principale a Valladolid,
destinava ai possedimenti andalusi tutto
ciò che serviva all’ostentazione pubblica
della sua pietà e alla sua autocelebrazione
funeraria. L’erezione della Capilla de El
Salvador, luogo ultimo del ‘San Giovannino’, era stata avviata proprio un anno
prima del dono della “statua”, il 18 settembre 1536.166
Prevedibilmente, com’è nella natura dei
carteggi che non sono stati creati per i nostri studi, ma solo per permettere ai corrispondenti di intendersi sul momento, queste lettere ci negano l’autore della “statua”, e anche il soggetto. Nella fattispecie,
poi, la normale reticenza dei due principali interlocutori rispetto alle nostre attese è accresciuta – e resa ancora più ovvia
– dal fatto che essi hanno ridotto al minimo i riferimenti espliciti, per timore di fughe di notizie nel caso che le missive venissero intercettate. Nella lettera del 16
ottobre Serristori mette innanzitutto in cifre le parole-chiave che interessano qui, e
che ho reso con il corsivo (“deli drapi”,
“la statua”). E continua poi alludendo ai
due segretari di Carlo V senza darne i nomi: Cobos è per due volte “chi l’ha havere” (con l’oggetto pronominale riferito alla “statua”, in cifra), e Cobos e Granvelle
insieme sono semplicemente “costoro”. In
una seconda e poco più tarda versione del
medesimo documento, questa volta autografa di Serristori, il pronome-soggetto
“costoro” viene eliminato del tutto, e un
personaggio relativamente secondario come l’“abate di Negro” è nascosto anch’esso sotto le cifre.167 Possiamo dunque stare
tranquilli che, se un giorno dovessero tornare alla luce alcuni dei pezzi dispersi di
tale corrispondenza, con nuovi rimandi alla “statua”, il silenzio sull’identità di quest’opera, per metà spontaneo e per metà
calcolato, rimarrebbe tal quale.
Ma c’è di più. Una lettera che Giovanni
Bandini scrisse a Cosimo il 9 novembre
1537 da Monzón, per mano del Pagni, riviene in un capoverso sui “drappi d’oro”
consegnati a Cobos e a Granvelle, lamentando che i due avidi segretari di Carlo V,
non paghi di quel dono, si aspettavano altre offerte in moneta sonante per avere appena rilasciato agli emissari del neo-duca
di Firenze – con quasi sei settimane di ri-
tardo rispetto alla data ufficiale – il privilegio cesareo del 30 settembre.168 Da tale
sfogo si ricava indirettamente ma inequivocabilmente che il residente dei Medici
alla corte carolina non aveva saputo nulla
della “statua”, non solo perché non l’aveva vista, ma perché il Serristori, adempiendo una richiesta di Cosimo, non gliene aveva mai parlato, così come gli taceva
d’abitudine altri pensieri e altri giochi del
suo signore. Cosimo, infatti, già allora
non si sentiva molto sicuro del Bandini,
troppo amico degli spagnoli e di non pochi antimedicei fiorentini: e già allora
operava tra i due quel tarlo che avrebbe
portato il Bandini, pochi anni dopo, alla
completa rovina.
Chi, tra gli appassionati di Michelangelo,
vorrà fondare su tali omissioni il proprio
scetticismo verso la statua di Úbeda, dovrà insieme spiegare la perfetta coincidenza per cui, nel breve arco di tempo fra
l’entrata in possesso del ‘San Giovannino’ michelangiolesco da parte di Cosimo
I e l’acquisizione da parte di Cobos di un
‘San Giovannino’ che ha tutti i requisiti
per essere quello di Michelangelo, Cosimo donasse a Cobos proprio una “statua”
e non altre opere d’arte; e dovrà anche
spiegare perché la “statua” di Cosimo venisse spedita appositamente nei luoghi
andalusi di Cobos proprio mentre vi si
erigeva quel santuario del Salvatore in cui
il ‘San Giovannino’ qui discusso sarebbe
stato infine allestito. Spesso, nelle ricostruzioni di simili fatti, conta molto non
solo la raccolta complessiva dei dati, ma
anche il percorso con cui lo studioso li ha
reperiti: e per me è rivelatore il fatto di
non essere partito dai carteggi di Cosimo
I, ma di esservi approdato – trovandovi la
“statua” – soltanto dopo aver ricostruito la
storia sulla base di tutti gli altri elementi.
Vicende antiche del ‘San Giovannino’
mediceo. Seconda parte (dopo il 1537)
A differenza di tutte le altre sezioni di
questo saggio, il paragrafo che segue
adesso non è costruito su materiali di prima mano, ma si fonda sulla collazione di
alcune voci bibliografiche degli ultimi decenni (dal 1960 sino a oggi), contenenti
almeno cinque testimonianze d’archivio
sulla presenza del ‘San Giovannino’ nella
Spagna del Cinquecento. Tale collazione
vorrebbe essere cosa utile, poiché quelle
notizie sono emerse finora soltanto in forma sparsa, mentre qui si prova a metterle
in fila, fornendo la base per un proseguimento futuro delle ricerche.
Quando Manuel Gómez-Moreno pubblicò il ‘San Giovannino’ (1930), la più antica citazione spendibile che ponesse nella
33. Giovanfrancesco Susini: ‘Bacco’. Parigi, Musée
National du Louvre, Département des Sculptures.
[Saggi] 37
Capilla de El Salvador la figura era quella di Gonzalo Argote de Molina nella Nobleza del Andaluzía, stampata nel 1588,
cioè quarantun anni dopo la morte di Cobos:169 ma già da essa si ricavava senza
equivoco che la statua era appartenuta al
potentissimo e straricco segretario di Carlo V. Poiché tuttavia alla scomparsa del
suo fondatore la Capilla de El Salvador,
cominciata nel 1536, era ben lungi dall’essere conclusa, si doveva supporre che
il primo approdo del ‘San Giovannino’ fra
i beni di Cobos non fosse stato direttamente in quel santuario.
Grazie a una tesi di dottorato berlinese su
El Salvador discussa nel 2011 (da Caroline Horstmeier) si dispone ora di una menzione della nostra scultura nel luglio
1547, due mesi dopo la morte di Cobos.
Tale menzione trova spazio all’interno di
un inventario delle reliquie, delle suppellettili e degli arredi già allora connessi
con El Salvador,170 ma per il ‘San Giovannino’ si specifica espressamente che esso
si trovava a Sabiote, ossia in quel feudo a
pochi chilometri a nord-est di Úbeda del
quale Cobos s’insignorì per compera dall’ordine di Calatrava – con il beneplacito
di Carlo V – tra l’estate e l’autunno del
1537.171 Siccome la “statua” donatagli da
Cosimo de’ Medici pervenne a Cobos
proprio mentre l’acquisto di Sabiote era
in corso, pure questa volta si deve concludere che ci fu una più antica e provvisoria
collocazione ubetense del ‘San Giovannino’, la quale ancora ci sfugge.
È verosimile che la presentazione domestica del piccolo ‘Battista’ a Sabiote tendesse a replicare quella fiorentina originaria nella Casa Vecchia dei Medici. Ma il
fatto che ben prima di arrivare a El Salvador la statua figurasse negli inventari di
questo tempio sembra stabilire un legame
allo stesso tempo precoce e definitivo con
esso.172
A ogni modo, sempre a Sabiote il ‘San
Giovannino’ ricorre in un inventario del
1563, segnalato brevemente ma più volte
da Arsenio Moreno Mendoza (1993,
1997, 1998) sulla base di un esemplare
nel fondo notarile dell’Archivo Municipal
di Úbeda.173
Nel 1568, vivente ancora donna María de
Mendoza, vedova di Cobos (morta poi nel
1587), la statua compare infine a El Salvador, dov’è ricordata come “un San Juan
Baptista debulto de alabastro” da un nuovo inventario conservato tra i protocolli
notarili dell’Archivo Municipal di Úbeda
(e fatto conoscere anch’esso da Moreno
Mendoza).174 La confusione tra il marmo
di Carrara e l’alabastro, frequentissima in
38 [Saggi]
passato per sculture estremamente polite
come il ‘San Giovannino’, ci era nota per
la nostra figura già dal passo di Argote de
Molina (1588).175
La testimonianza più loquace e pregnante
sul ‘San Giovannino’ ha luogo nel 1570,
all’interno delle carte relative a un contenzioso fra donna María e il vescovato di
Jaén per il legittimo possesso del patronato di El Salvador. La Mendoza si difese
producendo un memoriale in diciannove
punti, per ognuno dei quali si invocavano
testimoni attempati e fededegni che
avrebbero garantito la mole dell’impegno
finanziario e dello zelo religioso profusi
nel santuario, attraverso i decenni, prima
da Cobos e da sua moglie, e poi da quest’ultima come vedova. Il documento era
già noto al primo, sistematico biografo
moderno di Cobos, lo statunitense Hayward Keniston (1960), che ne diede un
transunto inglese nel quale rientrava anche “the alabaster statue of St. John by
Michelangelo”.176 Ma qui Keniston operò
un corto circuito, forse involontario, tra le
alte lodi tributate alla statua nel 1570, tuttavia senza nominarne lo scultore, e l’esplicito riferimento michelangiolesco apparso solo nell’articolo di Gómez-Moreno. Di fatto, come ho appena accennato,
anche il lungo documento del 1570, al pari dei cursorî e distaccati inventari del
1547, 1563 e 1568, omette il nome dell’artista, forse ormai davvero ignoto al
compilatore. Riporto qui di seguito, perché merita, la citazione che di questa carta ha dato più volte Arsenio Moreno Mendoza (1993, 1997, 1998), prendendola
dalla sezione notarile dell’Archivo Municipal di Úbeda:
“Yten si saben que demás de lo contenido en
la quinta y sesta pregunta d’este ynterrogatorio ansí mesmo el dicho Comendador Mayor y
la dicha doña María de Mendoza, su muger,
án dado y donado a la dicha capilla de la Concepción e iglesia de San Salbador muchas reliquias de grande valor y estimación, y un San
Juan Baptista de alabastro, ymagen de grandísima deboción, y la talla d’esta, vista por
grandes maestros que án ydo a la dicha ciudad
de Úbeda y rodeado muchas tierras solo por la
ber, dizen y án dicho que es pieça de ynestimable valor por la gran perfección que tiene
[…]”.177
La successiva pezza d’archivio sul ‘San
Giovannino’, individuata sempre da Moreno Mendoza, è ancora un inventario di
El Salvador, datato 1586.178 Siamo, ormai,
assai vicini alla stampa della Nobleza del
Andaluzía di Argote de Molina (1588),
dove sarebbe comparso per la prima volta
il riferimento alla provenienza diplomatica della statua da Venezia. In tale enunciazione, fatta con cautela (“un San Juan
niño […] que dizen le presentó el Senado
veneciano”), c’è una parte non trascurabile di vero, che implica il dono a distanza
giunto a Cobos da uno dei principali Stati italiani: e pazienza se la voce raccolta
da Argote operava uno scambio, peraltro
non grossolano, tra le due maggiori signorie di tradizione repubblicana nella
nostra Penisola (giacché “repubblica” si
poteva ancora considerare Firenze nel
1537). Escluderei invece una giustificazione più sottile, e assai meno verosimile,
per il bisticcio Firenze/Venezia, ma vi accenno ugualmente, se non altro per rimarcare una coincidenza: Lorenzino de’ Medici, ultimo importante proprietario del
‘San Giovannino’ prima della precipitosa
sequela di eventi del 1537, era fuggito a
Venezia dopo l’assassinio di Alessandro, e
lì era stato assassinato a sua volta undici
anni più tardi, per volontà ultima di Carlo
V, dopo aver eletto quella città a epicentro
di una vita inquieta per l’Europa e il Mediterraneo.179 Supporre che Argote alludesse confusamente o velatamente al legame Venezia-Lorenzino comporta però
che Cobos (morto quasi un anno prima di
Lorenzino) fosse istruito senza alcuna
omissione sulla vera origine del ‘San Giovannino’ dalle camere fiorentine dove’era
stato ucciso il duca Alessandro: e ciò, in
definitiva, sembra troppo, poiché avrebbe
conferito alla statua una ‘patente’ tanto incresciosa quanto non necessaria.
Qui torna a proposito ricordare, per
un’ultima volta, i silenzi di Condivi e di
Vasari sulla collocazione del ‘San Giovannino’ ai loro tempi. Come ho già detto, è facile spiegare tali silenzi (anzi necessario) con la scomparsa dell’opera
dall’orizzonte visivo dei biografi. Ma forse, adesso, riusciamo a chiarirceli ancora
meglio pensando all’imbarazzo che la
partenza di quel capolavoro alla volta dell’Andalusia poté lasciare in Cosimo e nei
suoi fedelissimi: per non dire del risentimento che la cosa dovette suscitare in Michelangelo, ormai definitivamente romano, e in rotta con la propria patria e con i
nuovi padroni che essa si era data.
Congedo
La lunga tessitura cronistica e archivistica
degli ultimi due paragrafi, per quanto concentrata sul ‘San Giovannino’, ci ha un po’
distolti dallo scopo primario di questo saggio, che è la presentazione di un’opera di
Michelangelo ancora sostanzialmente sconosciuta agli studi su di lui e, più in generale, alla bibliografia artistica.
Il mio impulso iniziale e assoluto a occuparmi del ‘San Giovannino’ di Úbeda è
venuto, come ho già detto, unicamente
34. Capilla de El Salvador, Úbeda (Jaén), presbiterio
(stato prima del luglio 1936).
[Saggi] 39
40 [Saggi]
35. Donatello: ‘San Giovanni Battista’ di Casa Martelli
(1442 circa). Firenze, Museo Nazionale del Bargello.
36. Benedetto da Maiano: ‘San Giovanni Battista’ (147880 circa). Firenze, Palazzo della Signoria, Sala dei Gigli,
Portale della Sala dell’Udienza.
37. Giovanfrancesco Rustici: ‘San Giovanni Battista’.
New York, The Morgan Library and Museum.
38. Benedetto da Rovezzano: ‘San Giovanni Battista’
(particolare). Roma, San Giovanni dei Fiorentini.
[Saggi] 41
Appendice I
Documenti d’archivio e testimonianze di cronisti e storici cinquecenteschi sul sacco della
Casa Vecchia dei Medici dopo l’elezione di
Cosimo I come signore di Firenze (9 gennaio
1536/37), sulla breccia della parte d’edificio
già posseduta da Lorenzino (15 febbraio - 3
marzo 1536/37), e sul bando contro costui (24
aprile 1537).180
1.
Da un diario fiorentino del 1537, manoscritto
anonimo pubblicato nel 1958 da Roberto Ridolfi.181
1.a.
[Martedì 9 gennaio 1536/37]. “E così detto signore Cosimo fu onorato dal detto reverendo
Cibo182 e signore Alessandro Vitelli; e in tale
allegrezza la casa di detto signore Cosimo fu
messa a sacco da e’ soldati della guardia e da
altri popoli, eccettuato una camera con l’anticamera, dove era madonna Maria, madre di
detto signore Cosimo; la quale da’ soldati fu
benissimo guardata. E perché la casa del sopra
nominato Lorenzo era appiccata con la detta di
Cosimo, misono a sacco tutta quella, che durò
sino alla sera, dalla quale ne fu portato fino
agli arpioni. E così tutto il giorno il prefato signore Cosimo istette a’ balconi del Palazzo de’
Medici, dove era comune a ciascheduno andare a visitare Sua Signoria, e la sera si tornò a
’bergo in casa sua, in quella camera salva”.183
1.b.
[Lunedì 5 febbraio 1536/37]. Gli Otto di
Guardia e Balia “mandarono uno bando che
chi avessi libri o scritture perse il signor Cosimo nel giorno di sua creazione, così grechi
come latini, le dovessi riportare infra sei giorni a Sua Signoria”.184
39. Mino da Fiesole: ‘San Giovannino’ (1474 circa). New
York, The Metropolitan Museum of Art, Altman
Collection.
dalla statua, documento precipuo di sé
stessa attraverso la qualità, l’iconografia
e lo stile. Con la certezza di tale premessa, l’aggancio dell’opera alle testimonianze dei biografi antichi di Michelangelo (Condivi, Vasari), così come alle vicende politiche, patrimoniali e diplomatiche dei Medici tra Quattro e Cinquecento, e, insieme, al ruolo di Francisco de los
Cobos nell’Italia di Carlo V, era subito
cosa fatta. Ma c’era naturalmente da sciogliere, come è ormai d’obbligo per ogni
problema michelangiolesco anche minimo, il grosso nodo della fortuna storiografica del ‘San Giovannino’ nell’Otto e
nel Novecento.
Dopo aver affrontato tutto ciò, sia pure
con le esagerazioni – e anche i limiti – che
42 [Saggi]
sono insiti in un contributo d’apertura, mi
preme concludere adesso il mio testo tornando solamente al ‘San Giovannino’(fig.
89). E lo faccio attraverso un’opera di pittura che non ho mai citato finora, perché
non offre campo a diretti riscontri di dettaglio. È uno dei ‘Progenitori di Cristo’
inseriti da Michelangelo, tra il 1508 e il
1510, nei lunettoni della prima metà della
Cappella Sistina (la metà est: fig. 91). A
me pare che la somiglianza essenziale tra
la figura di Sadoch bambino e il ‘San
Giovannino’ di Úbeda sia impressionante
(figg. 89-90), e che non possa spiegarsi né
come fatto fortuito, né, più incautamente,
come discendenza della scultura dall’affresco. È semplicemente Michelangelo,
che sui ponteggi vaticani si ricorda del
suo capolavoro statuario di dodici anni
prima, e lo rilegge a buon fresco attraverso una nuova maturità.
1.c.
[Giovedì 15 febbraio 1536/37] “El giovedì
mattina fu messo mano a disfare la casa di Lorenzo di Pierfrancesco, la quale si disse s’aveva a sfregiare; e di poi ne presano una parte, la
rovinorno, spezzando e rompendo ogni cosa
per vendetta; di poi el signore Alessandro Vitelli donò tale ruina al capitano Fero, e lui vendeva ogni cosa; e così tal parte spianorno sino
al fondamento”.185
1.d.
[Martedì 24 aprile 1537]. “El martedì mattina,
a ore 16 incirca, andò uno bando per parte degli Otto di Guardia e Balia come egli avevono
posto in bando di ribello e traditore, e micidiale del suo signore, Lorenzo di Pierfrancesco di Lorenzo di Pierfrancesco, e non disse
«de’ Medici», con taglia, a qualunque l’ammazzerà, di ducati quattromila d’oro, e’ quali
subito abbia a pagarli detto magistrato; e ancora che chi l’ammazza, oltre al detto premio,
possa rimettere dodici isbanditi o ribelli, secondo a lui parrà, e che in perpetuo abbia avere ducati cento l’anno da detto magistrtato;
ancora, che lui possa portare l’arme […] [l’elenco prosegue con altri premi per il sicario o
i sicari di Lorenzino]”.186
2.
Dai dispacci di Girolamo Tantucci, ambasciatore della Repubblica di Siena a Firenze, inviati al suo governo nel 1537.187
40. Antonio Rossellino: ‘San Giovannino’ (1477).
Firenze, Museo Nazionale del Bargello (dal portale
d’ingresso all’Opera di San Giovanni).
2.a.
[14 febbraio 1536/37]. “Si dice, di più, che
vogliono questi signori dar bando a Lorenzo
de’ Medici, homicida, con sonaglio di quattro
milia scudi, et che vogliono spianare la casa
sua”.188
2.b.
[15 febbraio 1536/37]. “La città sta quetissima. Et questa mattina deron principio con
molti maestri di muro a fare spianare la casa
di Lorenzo de’ Medici, et così seguiranno fin
che sia tutta in terra”.189
2.c.
[3 marzo 1536/37]. “La casa di Lorenzo de’
Medici è già finita di spianare, né per anco li
hanno publicamente messa taglia alcuna: ben
si dice che dala signora duchessa [Margherita] et dal signore Alessandro [Vitelli] sono stati offerti ad alcuni fino a dieci milia scudi se
lo amazano”.190
3.
Dai bandi degli Otto di Guardia e Balia del
Principato, in ASF, Otto di Guardia e Balia
del Principato, 2694, Bandi dal 14 maggio
1533 al 30 agosto 1555.
3.a.
[Bando n. 74, 5 febbraio 1536/37].191
“Gli spettabili et dignissimi Otto di Guardia et
Balia della città di Firenze, atteso come il
giorno della creatione dello illustrissimo signore Cosimo de’ Medici furono tolte di casa
Sua Illustrissima Signoria, o contighua a quella, molti libri et scritture così publice come
private, et molti altri libri greci et latini, i quali libri et scripture sono di non pichola importantia, et arrecono damno et incommodo a Sua
Illustrissima Signoria, et a chi li ha sono di pocha et quasi nissuna utilità; et desiderando
quelle et quelli con ogni remedio opportuno
ritrovare, fanno publicamente bandire, notificare et exprexamente comandare ad ogni et
qualumche persona, di qualumche stato, grado
o conditione <sia> si sia, che havessi tolto o
che havessi o sapessi, o sapessi chi avessi, alcuni di detti libri o scritture publice o private,
o delli ditti libri greci, latini o altri qualumche
41. Scultore fiorentino dell’inizio del Cinquecento (e non
Michelozzo): ‘San Giovannino’. Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
libri et scritture di qualumche sorte di Sua Illustrissima Signoria, o dove quella havessi interesse alcuno, debba infra otto192 dì da hoggi
haverli notificati et presentati al loro offitio, et
ciò facciendo ne harà <buon grado et> buona
gratia da Sua Illustrissima Signoria; significando a qualumche havessi o sapessi chi havessi di detti libri o scritture, che infra detto
tempo non le notificassi et manifestassi come
di sopra, gli sarà <severamente punito> inputato a furto et ne sarà <severamente punito et
non si accetterà scusa nissuna> punito et comdemnato secondo lo arbitrio di detti Signori
Otto, et il notificatore guadagnierà il quarto
della pena pecuniaria, et gli sarà tenuto secreto.
[di mano del banditore] Bandito per me Domenicho Barlachi questo dì 5 di frebraio [sic]
1536”.
[Saggi] 43
44 [Saggi]
42. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 7). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
3.b.
[Bando n. 77, 24 aprile 1537].193
“[in alto a sinistra, di altra mano: Bando di
Lorenzino].
Li spettabili et dignissimi signori Otto di
Guardia et Balia della città di Firenze, atteso
lo horrendo, impio et nefando eccesso et tradimento di homicidio commesso per Lorenzo
di Pierfrancesco di Lorenzo di Pierfrancesco
nella persona et morte del quondam illustrissimo signore duca Alexandro de’ Medici sotto
dì VI di gennaio proxime passato, caso veramente detestabile et peccato sceleratissimo né
mai più simile alla vita delli huomini udito, et
desiderando li prefati spettabili Signori Otto
punire un tanto delitto et excesso con pena
quanto si può a quello condegnia, comsiderato di quanto tristo exemplo saria se el non se
ne facessi apertissima demostratione di severissima iustitia et di acerbissima pena mediante la quale nessuno pigli exemplo et non solo
ardischa in futuro commettere, ma né pensare
di intervenire mai in tanta insolente sceleratezza et pernitioso et abominevole tradimento;
però fanno publicamente bandire et notificare
a qualumche persona di qualumche stato, grado, qualità o conditione si sia come li prefati
spettabili Signori Otto hanno deliberato et declarato il detto Lorenzo di Pierfrancesco di
Lorenzo di Pierfrancesco proditore et traditore del suo signiore, commissore del peccato et
delitto della maestà lexa, rebelle del Comune
di Firenze, et turbatore del pacifico stato della
Republica fiorentina; et ne’ modi et forme
predetti è stato per detti spettabili Signori Otto comstituito et posto il detto Lorenzo in tutte le afflictioni, preiuditii et pene introdotte et
disposte così di ragione comune, quanto secondo le leggie, statuti, riforme et ordini del
Comune di Firenze, / introdotte, fatte et deliberate contro a simili proditori, rebelli, rei di
maestà lexa et turbatori del pacifico stato della Republica fiorentina, insino a questo presente giorno. Et ancora fanno bandire et notificare, come di sopra, che ogni volta che qualumche persona che ammazerà et priverrà di
vita il predetto Lorenzo di Pierfrancesco, et
faranne fede al magistrato loro di haverlo
morto, sarà premiato in questo modo, cioè che
e’ debba havere, et così li sia con effetto dato,
donato et paghato da detto magistrato delli Otto, ducati quattro [corretto su <cinque>] mila
d’oro, et sia tenuto et obligato il detto magistrato che per e’ tempi sarà a dare et paghare a
quel tale che così ammazzassi, o uno o più o
loro heredi che fussino, o altro ligittimo mandato, per loro premio la sopradetta somma di
ducati <qu> quatro [corretto su <cinque>] mila, la quale si intenda essere et a quel tale o tali uno o più primcipali, o loro heredi che fussino, liberamente in tal caso donata; et sia
comcesso alli sopra nominati rimettere nella
città di Firenze o suo dominio dieci sbanditi,
per ciaschuno che a tale homicidio intervenissino, o per homicidio o altro loro excesso, liberamente et sanza alcuna excettione a sua
electione, in una o più volte a suo o loro piacimento; et più, essendo rebelle per qualsivoglia causa, li sia comcesso il ritorno loro et la
absolutione di ogni suo delitto, come da hora
se li comcede et si absolve; et che qualsivoglia
che ammazzassi il prefato Lorenzo, oltre alli
sopradetti guadagni delli ducati quattromila et
altre prenominate gratie, possa im perpetuo
durante la vita sua portare l’arme per la città
et dominio com dua a sua electione; / et non
essendo cittadino, si intenda donato alla civiltà et ad ogni grado et qualità di qual si voglia
altro che goda li privilegii et benefitii di essa,
con tutti li suoi heredi ligittimi et naturali;
com [sic] cento ducati d’entrata per sé et sua
heredi come è detto, da pagharlisi dal nostro
offitio pro tempore sanza alcuna retentione o
dilatione anno per anno in que’ termini et modi che a essi piacerà; et di più la exemptione di
ogni gravezza tanto ordinaria quanto extraordinaria che pro tempore si imponessi alli altri
habitanti et cittadini della città di Firenze. Et a
chi lo dessi vivo vogliono et così decernono li
prefati spettabili Signori Otto, obligando loro
et loro in officio successori pro tempore, il duplicato della taglia et di ogni altra concessione
sopra detta, in ogni miglior forma et modo che
si extemda la loro facultà.
[di mano del banditore] Bandito per me Domenicho Barlachi banditore questo dì 24 d’aprile 1537”.
4.
Dai due ‘prioristi storici’ inediti di Francesco
di Giovanni Baldovinetti (1477-1545).194
4.a.
Durante il trimestre febbraio-aprile 1537 “il
detto Stato sdrucì la chasa a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici [15 febbraio] e dègli
bando di rubello e tagl[i]a di cinquemila duchati [24 aprile], e.llui se n’andò a Bolongna,
Vinegia e ’n Francia, e chogl’altri fuorusciti
s’acchonpangnò, e masimo cogli Strozzi, e
una sua sorella maritò a Piero di Filippo Strozzi, e chosì ebbe bando di rubello G[i]uliano
de’ Medici fratello di ditto Lorenzo, chon
cho[n]fischatione di tutti e’ loro beni, e.lla
madre del ditto Lorenzo cholle figl[i]uole andornno subito a Vinegia. E ’l ditto Lorenzo fra
poco tenpo n’andò in Ghostantinopoli”.195
4.b.
“Fugli [a Lorenzino] infra dua mesi
[dall’assassinio del duca Alessandro] spianato
partte della chasa dal tetto insino in terra, chon
disengno di farvi una via ch’andassi insino
drieto dalle chase de’ Ginori e chiamassisi la
Via de’ Traditori, o farvi una piazza chiamata
Piazza de’Traditori; chosì tutta la sua roba andò
a saccho, e ’ luoghi sua di Chafag[i]uolo vi
mandornno soldati e rovinornogli i luoghi, e.lla
roba tutta andò in Ciptadella di Firenze e a
saccho, nonistantte che ditta roba fussi mezza
di G[i]uliano suo fratello. E detto G[i]uliano era
d’età d’anni tredici, e.lla madre loro – era
fig[i]uola di Tommaso di Pagholantonio
Soderini – se ne rifuggì in Mugello e nel
munistero di Lucho, e ’l ditto Lorenzo fu
dipintto per traditore e inpicchato per un piè
alla Cipttadella diversso Firenze sotto l’arme
dell’Inperatore chon ciertte littere. E di ruinare
la chasa di Firenze e di Chafag[i]uolo196 e di
fargli tòrre la roba e di farllo dipingnere si disse
ne fu chapo Alesandro Vitegli da Cipttà di
Chastello, chapo delle gentti d’arme in
Firenze”.197
4.c.
“Addì 24 d’aprile 1537 gli Otto di Balia della
cipttà di Firenze cholla tronba dernno pubricho bando a Lorenzo di Pierfrancesco di Lorenzo di Pierfrancesco <de’ Medici>, e non
dissono «de’ Medici», chon otto mila duchati
di tagl[i]a chi.llo dessi preso vivo, e chi.llo
43. Michelangelo: ‘Bacco’ (1496-97) (particolare).
Firenze, Museo Nazionale del Bargello.
[Saggi] 45
amazzassi duchati quatro mila di tagl[i]a; e
chi.llo amazzassi o dessi preso, non sendo cittadino o abile agli ufizi, s’intendessi lui e ’ sua
disciendentti d’essere, e che potessi rimettere
ventti sbanditi d’ongni pecchato, e l’arme a
vita lui e ’ sua, e di più avessi duchati dugentto l’anno di provisione chi.llo amazzassi
o.cche co.llui si trovassi amazzarllo, e.cchosì
ebbe bando di ribello i dua ch’erono amazzare ditto ducha con ditto Lorenzo”.198
5.
Dal libro XXXVIII delle Historiæ sui temporis di Paolo Giovio (1486-1552), pubblicate in
latino per la prima volta nel 1550-52, e nella
traduzione volgare di Lodovico Domenichi
nel 1551-53.
5.a.
“[…] Cosmus Reipublicae caput est renunciatus. Is, e subdiali in Senatum vocatus et universis gratias agens, ea quam dedissent summi
honoris potestate non alio quam ipsorum iudicio consilioque se usurum testatus est; adapertoque Senatu, tanta acclamatione tantoque applausu omnium perstrepuit domus ut milites,
praedae avidi admixtique plebeis, gratulandi
causa ad Cosmi matrem irrumperent domumque totam, frustra ea prohibente sed tamen filii foelicitate impense laeta, diriperent, et ex
magno simul metu solicitudineque tota civitas
ad hylaritatem verteretur.
Nec multo post Laurentius Medices parricida
et patriae hostis ex senatus-consulto declaratus est; bonisque proscriptis, praemia eius percussoribus aureorum septem milium constituta et domus eius ad perpetuam ignominiam a
tecto ad ima fundamenta lato hiatu proscissa
est”.199
5.b.
“[…] il signor Cosmo fu eletto capo della Republica. Il quale, essendo chiamato dalla corte in consiglio, et ringratiandogli tutti, affermò
ch’egli non era per usare la possanza et la dignità ch’essi gli haveano data, se non col giudicio et consiglio di loro stessi; et aperto il Senato, con tanto favore et festa d’ogniuno risonò il palazzo, che i soldati, desiderosi di preda, et mescolati co’ plebei, per cagion d’allegrezza corsero alla madre del signor Cosmo,
et le saccheggiarono tutta la casa, indarno vietando ciò essa, la quale era però lietissima per
la felicità del figliuolo, e in un medesimo tempo tutta la città da una paura et affanno grande si volse in allegrezza.
Et non molto dapoi Lorenzo de’ Medici, per
publico decreto, fu dichiarato traditore del suo
signore, et rubello della patria; et confiscatogli i beni, fu ordinata una taglia di sette mila
scudi a coloro che l’amazzavano, et la casa di
lui, a perpetua vergogna, fu aperta dal tetto insino a’ fondamenti”.200
6.
Dal libro X e ultimo delle Istorie della città di
Fiorenza di Jacopo Nardi (1476-1563), pubblicato per la prima volta nel 1841.
[9 gennaio 1536/37]. “E così, con somma
44. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 1). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
45a-b. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolari). Firenze,
Museo Nazionale del Bargello.
unione di tutto il Senato, fu eletto il signor Cosimo de’ Medici capo della Repubblica: credesi bene, per lo spavento che ebbero quei cittadini d’un tumulto nato tra’ soldati su la strada, ei fussero costretti così tosto a fare tale
elezione.
Ma, aperta la stanza nella quale era ragunato il
Senato, fu raccolto e abbracciato il signor Cosimo con allegrezza di ognuno, e, per la letizia
che n’ebbero i soldati e la plebe, fu saccheggiata la parte della casa del signor Cosimo, e
quella di Lorenzo de’ Medici; la qual parte, in
dispregio di lui, fu divisa e partita da alto a
basso, come si usava di fare anticamente alle
case di coloro che per pubblico decreto erano
condennati. Dissesi in quel tempo, questa sùbita e non espettata felicità di Cosimo essere
stata pronunziata da alcuni indovini, e massimamente da don Basilio monaco cistercense,
e da un Giovanni greco.
In quel tumulto, madonna Margherita di Austria moglie di Alessandro se ne fuggì in Fortezza, accompagnata dal Cardinale,201 con tutto il tesoro del morto marito, e con tutto l’altro miglioramento di casa”.202
7.
Dal libro VIII delle Storie fiorentine di Bernardo Segni (1504-1558), pubblicate per la
prima volta nel 1723.
[9 gennaio 1536/37]. “Comparve quivi allora
46. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 12). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
subito Cosimo, e fu salutato da tutti li Quarantotto e da Alessandro Vitelli, che di già nella strada armato, con cinquecento fanti, faceva gridare «palle, palle»; per onore di quello
nuovo signore, e per vendetta del morto duca,
e più per satisfare alla sua infinita voglia dell’oro, fece mettere a sacco la casa di Cosimo,
dicendo ch’egli aveva acquistato un palazzo et
uno imperio in cambio di una casa e d’una privata possessione, e quella altresì di Lorenzo,
che gl’era contigua, e successivamente la villa sua,203 delle quali ritrasse masserizie di gran
valuta, che ascesero alla somma di diecimila
scudi. Fece ancora [15 febbraio] stracciare
uno spazio della casa di Lorenzo dal tetto fino
alla strada, con tanta apertura quanto teneva la
camera nella quale era da lui stato morto il duca. L’altro giorno, che fu il mercoledì [10 gennaio], non contento il Vitelli dell’aver fatto il
nuovo signore, senza saputa di alcuno messe
l’animo ad impadronirsi della Fortezza, per il
cui mezzo stimò di poter trarre gran preda dalla guardaroba del duca morto ridotta là, la
somma delli denari e la signoria di quella fortezza, possessione atta a farlo ricchissimo e di
più potenza”.204
8.
Dal libro XV della Storia fiorentina di Benedetto Varchi (1503-1565), pubblicata per la
prima volta nel 1721.
47. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
8.a.
“Intesasi questa deliberazione per Firenze a
un tratto per tutto, [Cosimo] fu salutato come
principe da infinita moltitudine di cittadini
con grandissima frequenza, ma non con quell’allegrezza che mostravano i soldati, i quali
subitamente, per ordine segreto del signore
Alessandro [Vitelli], secondoché confessarono
poi essi medesimi, corsero alla casa del signor
Cosimo, e seguitandogli alcuni plebei, i quali
secondo il consueto gridavano «palle, palle» e
«Duca, Duca», la saccheggiarono, insieme
con quella di Lorenzo, tutta quanta, portandosene infino agli aguti, senzaché la madre e i
parenti e gli amici potessono né colle buone
né colle cattive, ora pregando ed or minacciando, raffrenargli in parte alcuna. Erano in
queste due antichissime e ricchissime case, oltra una gran moltitudine di rarissimi libri in
penna, così greci come latini, e un numero
grandissimo di statue antiche, parte di marmo
e parte di bronzo, tanti mobili e così preziosi,
che la valuta loro ascendeva a un prezzo che
non si sarebbe così agevolmente potuto stimare; e tutte le migliori cose, come si vide allora
e come s’intese poi, furono portate qual palesamente, e qual di nascoso, in casa il signor
Alessandro Vitelli”.205
8.b.
“Non molto di poi i signori Otto di Balia,
avendo per lor partito d’otto fave dichiarato
[Saggi] 47
rubello Lorenzo di Pierfrancesco, fecero pubblicamente bandire agli ventiquattro d’aprile
[1537] che a chiunque l’ammazzasse sarebbono pagati incontanente dal loro ufizio fiorini
quattromila d’oro senz’alcuna ritenzione, ed
oltracciò arebbe egli durante la sua vita e, morto lui, i sua redi, durante la sua linea, una provvisione di cento fiorini d’oro l’anno, da doversi pagare da que’ magistrati d’Otto che per li
tempi saranno, e di più potesse rimettere dieci
sbanditi a sua elezione, portar l’arme con duo
compagni per la città e per tutto il dominio di
Firenze, potesse godere ed esercitare, egli e
tutti i suoi eredi, tutti gli ufizi, benefizi, privilegi e magistrati della città, e di più avesse in
perpetuo l’esenzione di tutte le gravezze d’ogni sorta, o ordinarie o straordinarie; e a chi lo
desse vivo vollero che la taglia e ogn’altra grazia e concessione se gli raddoppiasse.
Egli non mi pare fuora di proposito considerare in questo luogo, per utilità de’ leggenti, due
cose. L’una, come siano vani, e a quanto contrario fine riescano, alcuna, anzi il più delle
volte, i pensieri degli uomini, e massimamente de’ giovani: conciosiacosaché Lorenzo, in
luogo d’acquistarsi, come credeva, sempiterna
gloria, fu prima, come traditore del suo signore e padrone, dipinto nella Fortezza a capo di
sotto impiccato per un piè; poi, come traditore
della patria, dopo avergli tagliato dal tetto a’
fondamenti sedici braccia della sua casa, e fattovi una via che si dovesse chiamare il Chiasso del Traditore [febbraio 1536/37], dichiarato
ribello, e postogli la taglia da que’ cittadini, la
quale, e i quali, egli diceva d’aver voluto ancora con manifesto pericolo della sua vita liberare; ed alla fine [febbraio 1548] tagliato a pezzi con Alessandro Soderini suo zio in Vinegia
più per sua trascuraggine che per l’altrui diligenza. L’altra, quanto siano fallaci i giudicii
degli astrologi e di cotali altri indovini: conciosiacosaché coloro i quali avevano calculato
la sua natività, e guardategli le mani, gli predicevano e promettevano cose diversissime, anzi
tutto ’l contrario di quello che avvenne”.206
9.
Dal libro I della Istoria de’ suoi tempi di Giovambattista Adriani (1511-1579), pubblicata
per la prima volta nel 1583.
“Questa novella uscendo fuori [della nomina
di Cosimo quale signore di Firenze], dove ciascuno stava sospeso a che il travaglio della città dovesse riuscire, vedendosi empiere la città
di soldati (che di mano in mano ne comparivano molti del contado, da più parti, in varii
modi), secondo l’animo di ciascuno fu ricevuta. I soldati che erano alla guardia della casa
de’ Medici et i servidori del duca morto, allegri di cotal deliberazione, gridando il nome
de’ Medici, corsero alla casa del signor Cosimo e di Lorenzo, che insino dal tempo di Lorenzo fratel di Cosimo il Vecchio nella medesima habitavano. Questi per allegrezza del
principe nuovo, e quegli non potendo haver
vendetta del sangue del vecchio, mandarono a
ruba e gittarono per terra la magione dove sì
gran misfatto fu pensato et eseguito, e tolsero
48. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 10). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
49. Michelangelo: ‘Sacra Famiglia con San Giovannino’
(Tondo Doni) (1504 circa) (particolare). Firenze, Galleria
degli Uffizi.
50. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 12). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
tutto quello che in quelle case si trovava, che
era molto e di grande stima, percioché essi et
i maggiori loro erano stati molto onorati, e di
tutte quelle cose che a’ gentili e ricchi huomini convengono abbondevolmente forniti: e fra
l’altre cose care vi haveva di begli e buon libri, di Grecia e d’altronde con grande spesa
procacciatisi, la maggior parte de’ quali il signor Cosimo fece poi diligentemente ritrovare
e mettere in salvo. Dietro a’ soldati una turba
di vilissimi huomini sù levatisi, gridando il nome delle «palle», alle medesime case in gran
numero concorse; e, se alcuna cosa rimasa vi
era, quella ne portarono e guastarono talmente, che per Mercato Vecchio e per tutta la città
si vedeva gli arnesi di quella onorata famiglia
vendersi e gittarsi. Fu questo movimento sì
grande, che nella città hebbe gran temenza che
il male non procedesse più oltre, essendo le
case disarmate, e molti de’ cittadini odiati, et i
soldati e la plebe accesa a mal fare”.207
10.
Dal libro I della Vita del serenissimo signor
Cosimo de’ Medici primo granduca di Toscana di Giovambattista Cini (1528-1586), pubblicata per la prima volta nel 1611.
10.a.
“[…] con la madre, che oltre al sesso donna
veramente prudentissima era, et co’ più fedeli
et più esperti amici ristrettosi, [Cosimo] già si
cominciava a provedere di valorosa guardia et
di accorto et fedel capitano per il proprio palazo et per la propria persona sua; già si confermavano i medesimi ministri et cortigiani
che havevano servito l’antecessor suo, ed in
cambio di alcuni, che troppo licenziosi erano
per i tempi passati giudicati, di alcuni più modesti et più quieti si andava faccendo elettione,
et già si cominciava a pigliar riputatione et dar
saggio di quel valoroso principe che poi doveva riuscire, quando l’accidente che da Alessandro Vitelli il giorno seguente all’elettione
fu suscitato poco meno che non messe ogni
autorità et tanto egregio principato in rovina.
Era, innanzi che questo accadesse, et mentre a
cotali cose si pensava, sparsosi per la città la
nuova dell’elettione fatta del novello principe,
di che, oltre a’ soldati che in più parte collocati erano, prese la plebe minuta tanta allegrezza
ed animo che, empiendo del romore del solito
«palle! palle!» (che tale è l’insegna de’ Medici)
tutte le contrade, non meno da voglia di rapire
che di vendetta del morto duca tratta, corse con
grandissimo furore, facendo lor strada i soldati
(spinti dall’avidità del Vitelli), a saccheggiare
ed in segno di perpetua ignominia a rovinare le
case del fuggito Lorenzo, le quali (come è detto) al Palazzo Grande de’ Medici erano vicine,
appellandolo, in vece del glorioso titolo a che
forse egli haveva aspirato, «il parricida» ed «il
traditore», [e] volgendosi, ma per diverso affetto, al medesimo sacco di quelle del novello
principe, che con quelle del medesimo Lorenzo era congiunte; in ambedue le quali molte cose pretiose, molti rari libri et molte scolture et
pitture bellissime raunate da’ loro antecessori,
che ricchi et vaghi di cose nobilissime gran
51. Michelangelo: ‘Trasporto al Sepolcro’ (1500-01)
(particolare del San Giovanni Evangelista). Londra,
The National Gallery.
tempo sempre furono, andarono quasi tutte in
mano de’ soldati di detto Vitelli spargendosi,
perché poi, o fattosele donare, o a vilissimi prezi comperate da lui, furono col tempo al signor
Cosimo carissime rivendute”.208
10.b.
“[…] accorgendosi il signor Cosimo troppo
bene […] che il Vitelli al proprio commodo et
non a quello di esso signor Cosimo tirava, perché così ricercava la necessità del tempo dissimulando, ed approvando il fatto [l’occupazione della Fortezza da Basso da parte di Vitelli], come amico et come benefattore attese
ad accoglierlo et conservarlo; non restando
(poiché sì avido ogni giorno riusciva) di offerirgli, caso che a lui veramente havesse cotal
fortezza restituito, le possessioni amplissime
di Cafaggiuolo et del Trebbio, le quali, oltre
alla magnificenza de’ suoi bellissimi palazi,
ed oltre all’amenità et diversi commodi onde
tutto quel felice paese è pieno, gli harebbero
fruttato più di dieci mila scudi per ciaschun
anno: di che fino ad oggi se ne può vedere il
privilegio che allora fu solennemente sigillato.
Ma egli, di varie speranze sempre pascendolo,
volle nel primo fatto perseverare”.209
11.
Da un priorista manoscritto inedito, di autore
ignoto, del 1584 circa.
[Saggi] 49
52. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 4). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
“Fu questa eletione [di Cosimo] accettata con
allegrezza et universale contento di tutta la nostra città, et la sua casa fu dal popolo saccheggiata, et quella ancora de’ figliuoli di Pierfrancesco de’ Medici, et gridando il nome del duca Cosimo per tutta la città; et non molto di poi
Lorenzo de’ Medici per publico decreto fu dichiarato traditore della patria, et confiscatogli
i beni, et quella parte della sua casa nella quale da lui fu morto il duca Alessandro fu purgata con aprirla dal tetto sino a’ fondamenti”.210
50 [Saggi]
Appendice II
Una nota sull’acquisizione medicea dell’‘Apollo’ Valori.
53. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San
Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”) (149596 circa) (particolare). Londra, The National Gallery.
L’assenza del ‘San Giovannino’ di Michelangelo, dopo il 1537, dalla spettacolare documentazione sulle raccolte d’arte di Cosimo I
(sopra, testo e note 139-140) si fa apprezzare
anche a contrasto con una seconda statua michelangiolesca, l’‘Apollo’ Valori (fig. 92), che
invece vi è presente, e che sarebbe poi rimasta
definitivamente nelle collezioni medicee e
granducali, fino a diventare proprietà dello
Stato italiano. Così come il ‘San Giovannino’,
l’‘Apollo’ dovette arrivare a Cosimo – e gli
studi michelangioleschi più avvertiti se ne
rendono conto – in conseguenza dei rivolgi-
menti politici del 1537.211 Ma se il ‘San Giovannino’ fu subito trattato alla stregua di un
normale bene di famiglia, l’‘Apollo’ dovette
essere oggetto di una confisca in piena regola,
poiché rientrava nel cospicuo patrimonio allora sottratto dallo Stato fiorentino al ribelle anti-mediceo Baccio Valori, che della statua era
stato anche il committente pochi anni prima.
Qui si può aggiungere, a proposito del passaggio di mano dell’‘Apollo’, un piccolo dettaglio che torna prezioso, ancora una volta, a
paragone con le vicende del ‘San Giovannino’.
È stranoto che Baccio Valori cadde vittima di
Cosimo nella rotta di Montemurlo il 1° agosto
1537, e che il 20 agosto successivo, nel cortile del Palazzo del Bargello, fu giustiziato insieme ad altri congiurati, tra cui il figlio Filippo e il fratello, Filippo anche lui. Come ci ricorda Francesco Baldovinetti in compagnia di
molti cronisti coevi, a questi condannati “fu
tollto tutti i loro beni e ’nchorporati pel Chomune di Firenze o pel singnore Chosimo de’
Medici, paghato in prima le loro dote, fidechommissi e debiti particholari loro”.212 Da altri testimoni, che seguono i fatti del 1537 in
forma di diario, cioè ancora più da presso,
sappiamo tuttavia che Baccio, partitosene definitivamente da Firenze già il 26 gennaio
1537,213 fu scoperto per traditore fin dal successivo 22 marzo, quando nel suo palazzo lungo l’odierna Via de’ Pandolfini (riedificato
qualche anno prima con l’aiuto di alcuni pensieri architettonici dello stesso Michelangelo)
fu ritrovato un intero arsenale di armi da lui
ammassate per la lotta dei cospiratori.214 A
causa di ciò, il 24 marzo “si disse che gli Otto
avevano fatto iscriver tutte le robe di Bartolomeo Valori, per conto dell’arme sutoli trovate
in casa”.215 E poco meno di un mese dopo, il
23 aprile, gli Otto “deliberaverunt quod vendantur bona Bartolomei de Valoribus”.216 Tale
sentenza venne puntualmente applicata tre
giorni dopo, il 26, quando “fu venduto allo ’ncanto di molte robe di Bartolomeo Valori, per
54. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 1). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
55. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
la condennagione dell’arme”.217
Quantunque ci siano pervenuti non pochi documenti sulle confische del 1537 contro Baccio Valori e i suoi,218 non sembra che tra essi vi
siano più gli inventari sistematici dei beni mobili. Ciò dunque non conferma, così come però non esclude, la possibilità che Cosimo I acquisisse l’‘Apollo’ già alla fine dell’aprile
1537, venendo con ciò a trovarsi in possesso
di ben due statue di Michelangelo. Nell’agosto successivo, al momento di ingraziarsi
Francisco de los Cobos con il regalo di un’opera d’arte straordinaria, la scelta di Cosimo a
favore di una statua michelangiolesca fu resa
un po’ meno gravosa dal fatto che egli ne
avrebbe conservata comunque un’altra.
[Saggi] 51
52 [Saggi]
56. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 1). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
57. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San
Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”)
(particolare). Londra, The National Gallery.
[Saggi] 53
58. Benedetto da Maiano: ‘San Sebastiano’ (1496-97
circa) (particolare). Firenze, Oratorio della Misericordia.
Nel decidere quale delle due statue sacrificare, Cosimo non dovette conoscere esitazioni.
Il ‘San Giovannino’ era infatti un’opera compiuta, l’‘Apollo’ no. Il ‘San Giovannino’, poi,
era una figura sacra, e come tale si prestava
benissimo all’arredo della Capilla de El Salvador, allora in costruzione da quasi un anno.
In terzo luogo, esso veniva dai beni medicei,
mentre l’‘Apollo’ era il frutto di una confisca,
ancora più scottante perché, proprio mentre
l’ambasciatore Serristori partiva per la corte
imperiale, Baccio Valori aspettava in cella la
morte, con gli altri capi di Montemurlo.
Forse non sapremo mai, invece, se il diciottenne Cosimo ebbe anche tempo o voglia di
considerare, in quella frenetica estate del
1537, che il ‘San Giovannino’, opera di un
Michelangelo antico, e tutto rinettato e impeccabile, si prestava meglio al gusto del destinatario, un andaluso sessantenne, rispetto all’‘Apollo’ non-finito.219 Questa scultura recente era degna di ben altri e più giovani estimatori, assai più aperti alle stupefacenti novità
che l’ultimo Michelangelo aveva spianato, e
54 [Saggi]
che i migliori artisti fiorentini cresciuti nell’ultima Repubblica erano stati sveltissimi a
intendere. Molto presto, placatesi alquanto le
torbide acque delle contese civili, Cosimo
avrebbe potuto farsi promotore ufficiale di
tutte queste novità. E davanti all’‘Apollo’, collocato ormai nella sua nuova camera da letto
nel Palazzo dei Signori, avrebbe potuto riandare con la memoria alla scelta del 1537 fra le
due statue di Michelangelo, e riassaporarla
quasi come una profezia.
Sigle archivistiche e librarie:
ASF (Archivio di Stato di Firenze); ASS (Archivio
di Stato di Siena); BNCF (Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze); CSIC/CCHS (Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Centro de Ciencias Humanas y Sociales, Madrid); KHIF (Kunsthistorisches Institut in Florenz); MaP (Mediceo avanti il Principato); MP (Mediceo del Principato).
Una versione assai breve di questo contributo, dal
titolo Michelangelo, i Medici e la diplomazia europea: il San Giovannino di Úbeda, compare in Arte
e politica. Studi per Antonio Pinelli, a cura di Novella Barbolani di Montauto, Gerardo De Simone,
Tomaso Montanari, Chiara Savettieri e Maddalena
Spagnolo, Mandragora, Firenze 2013, pp. 53-59
(con un testo molto ridotto, tre sole figure, e senza
note e appendici).
59. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 7). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
Per avermi agevolato nel reperire foto o voci bibliografiche rare, o nell’accedere a fondi archivistici difficili, sono riconoscente a Irene Baldriga,
Paola D’Agostino, Barbara Furlotti, Silvia Garinei,
Marcella Marongiu, Susanne Müller Ghelardi,
Paola Refice, Lucia Simonato, Rosa María Villalón
Herrera, Grazia Visinteiner, Juan Manuel Albendea
Solís, Gianluca Amato, Alessandro Benci, Marc
Bormand, Vincenzo Farinella, Roberto Fuda, JeanRené Gaborit, Carlos Gutiérrez, Michael Kunst,
Fernando Loffredo, Piero Marchi, Piergiorgio Piredda, Guido Rebecchini: alcuni di questi aiuti verranno precisati nel corso della trattazione. Grazie
anche a Laura Minervini per i suoi utili consigli.
Esprimo inoltre un debito speciale verso il Kunsthistorisches Institut di Firenze (e il suo condirettore Alessandro Nova), perché senza il suo supporto
così prezioso il mio articolo non avrebbe mai visto
la luce, almeno nella forma che il lettore ha sotto
gli occhi.
Rosanna De Gennaro, Matilde Gagliardo, Fiorella
Sricchia, Francesco Aceto, Alessandro Bagnoli e
Tomaso Montanari hanno ascoltato con generosità i
miei racconti sul ‘San Giovannino’ nel corso di lunghi anni: spero di non deluderli ora che quelle parole diventano ‘nero su bianco’.
1) Dò un solo esempio, traendolo dall’ultima biografia michelangiolesca di riferimento: Michael
60. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
Hirst, Michelangelo. I. The achievement of fame:
1475-1534, Yale University Press, New Haven London 2011, p. 25 e nota 108 (pp. 277-278).
2) Manuel Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel
en España, nell’‘Archivo español de arte y arqueología’, VI, 1930, pp. 189-197: pp. 189-192 e tav. I
tra le pp. 196-197.
3) Francesco Caglioti, Donatello e i Medici. Storia
del David e della Giuditta, Leo S. Olschki editore,
Firenze 2000, I, p. 315 nota 89.
4) Ascanio Condivi, Vita di Michelagnolo Buonarroti, a cura di Giovanni Nencioni, S.P.E.S., Firenze
1998, p. 17.
5) Giorgio Vasari, La Vita di Michelangelo nelle
redazioni del 1550 e del 1568, curata e commentata da Paola Barocchi, Riccardo Ricciardi - Editore,
Milano-Napoli MCMLXII, I, p. 15 (con la nota
125 di commento in II, pp. 142-144); Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a
cura di Rosanna Bettarini, commento secolare a
cura di Paola Barocchi, Firenze, VI, S.P.E.S.,
MDCCCCLXXXVII, p. 14 (corrispondente a II, p.
721, della stampa giuntina del 1568).
6) Orazione funerale di m. Benedetto Varchi, fatta e
recitata da lui pubblicamente nell’essequie di Michelagnolo Buonarroti in Firenze, nella Chiesa di
San Lorenzo [...], In Firenze, appresso i Giunti,
MDLXIIII. Si vedano in part. le pp. 28-29.
7) La citazione del ‘San Giovannino’ presso Raffaello Borghini si limita a riprendere e ad accorciare quella di Vasari (Il Riposo di Raffaello Borghini,
in cui della Pittura e della Scultura si favella, de’
più illustri pittori e scultori e delle più famose opere loro si fa mentione, e le cose principali appartenenti a dette arti s’insegnano, In Fiorenza, appresso Giorgio Marescotti, MDLXXXIIII, p. 512). Nessuna nota di commento viene apposta al brano nella
riedizione settecentesca del Riposo, a cura di Giovanni Gaetano Bottari (Raffaello Borghini, Il Riposo […], In Firenze, MDCCXXX, per Michele Nestenus e Francesco Moücke, p. 418). Lo stesso silenzio è nel ricchissimo apparato della riedizione
settecentesca della Vita di Condivi, che fu curata da
Anton Francesco Gori, ma che incorpora, oltre alle
sue chiose, quelle di Pierre-Jean Mariette e di Domenico Maria Manni: Vita di Michelagnolo Buonarroti, pittore scultore architetto e gentiluomo fiorentino, pubblicata mentre viveva dal suo scolare Ascanio Condivi. Seconda edizione, corretta ed accresciuta di varie annotazioni […], In Firenze,
MDCCXXXXVI, per Gaetano Albizzini. Dopo
qualche lustro, Giovanni Gaetano Bottari, nella sua
edizione delle Vite vasariane, la prima con note a piè
di pagina, ammise: “Del S. Giovannino non ho trovato memoria alcuna dove sia” (Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, scritte da Giorgio
Vasari, pittore e architetto aretino, corrette da molti
errori e illustrate con note [da Giovanni Gaetano
Bottari]. Tomo terzo […], In Roma MDCCLX, per
61. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San
Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”)
(particolare). Londra, The National Gallery.
Niccolò e Marco Pagliarini, p. 197 nota 1); e da qui
la notizia della dispersione dell’opera rimbalzò per
più di un secolo in tutte le ulteriori ristampe commentate delle Vite (sino alla comparsa del preteso
‘San Giovannino’ di Pisa, emigrato a Berlino, e ricordato tra poco). Un’ulteriore dichiarazione antica
sulla perdita del marmo (“un San Giovannino, di cui
non si trova memoria indicante dove si sia”) viene
talvolta attribuita dagli studi a Filippo Baldinucci,
ma per sbaglio, poiché spetta invece a Giuseppe Piacenza, nelle sue aggiunte sette-ottocentesche a tale
scrittore: Notizie de’ professori del Disegno da Cimabue in qua, opera di Filippo Baldinucci […],
nuovamente data alle stampe con varie dissertazioni, note ed aggiunte da Giuseppe Piacenza […], III,
In Torino 1813, dalla Stamperia Appiano, p. 48. Piacenza, dal canto suo, segue quasi alla lettera Bottari.
8) Charles de Tolnay, The Youth of Michelangelo,
Princeton University Press, Princeton MCMXLIII,
p. 199.
9) Otto Kurz, recensione del precedente, in ‘The
Burlington Magazine’, LXXXVI, 1945, p. 52; Ulrich Middeldorf, Letter to the Editor, in ‘The Art
Bulletin’, XXVII, 1945, p. 219.
10) Sulla splendida raccolta scultorea di Girardon è
uscito nel frattempo il saggio utilissimo di François
[Saggi] 55
62. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 8). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
Souchal, La collection du sculpteur Girardon d’après son inventaire après décès, nella ‘Gazette des
beaux-arts’, s. VI, LXXXII, 1973, pp. 1-98, costruito sulle stampe di riproduzione pubblicate negli ultimi anni di vita dell’artista (entro il 1709) e
sulla ricca documentazione, soprattutto inventariale
(1713-15), reperita da Mireille Rambaud. Per la
“teste de saint Jean Baptist par Michel Ange”: pp.
6-7 tav. II, 43-44 n. 34 e fig. 39.
11) Christian Adolf Isermeyer, Der Giovannino
(1495/96), in Idem, Das Michelangelo-Jahr 1964
und die Forschungen zu Michelangelo als Maler
und Bildhauer von 1959 bis 1965, nella ‘Zeitschrift
für Kunstgeschichte’, XXVIII, 1965, pp. 307-352:
pp. 315-318 (p. 318).
12) Jean-René Gaborit, in Musée du Louvre. Nouvelles acquisitions du Département des Sculptures
(1984-1987), Editions de la Réunion des Musées
Nationaux, Paris 1988, pp. 36-38 n. 9, come “Italie
du Nord. Seconde moitié du XVIe siècle”; Musée
du Louvre, Département des Sculptures, Moyen
Age, Renaissance et Temps modernes. Les sculptures européennes du musée du Louvre: Byzance,
Espagne, îles Britanniques, Italie, anciens PaysBas et Belgique, pays germaniques et de l’Europe
de l’Est, pays scandinaves, Antiques restaurées et
copies d’antiques. Catalogue, sous la direction de
56 [Saggi]
Geneviève Bresc-Bautier, Somogy Éditions d’art Musée du Louvre Éditions, Paris 2006, p. 268, inv.
RF 4203, come “Italie du Nord? Seconde moitié du
XVIe siècle”. Alla bibliografia raccolta in queste
due sedi bisogna aggiungere perlomeno la voce più
antica di tutte, cioè la menzione che lo svedese Nicodemus Tessin il Giovane, in visita a Parigi e alla
casa di Girardon nel 1687, fece dell’opera – “so
wunderschön vom M. A. Buonaruota […] aussgearbeitet” – nei propri taccuini di viaggio (cfr già F.
Souchal, La collection du sculpteur Girardon cit.,
pp. 19-20 e nota 11 [p. 32]; e, prim’ancora, Nicodemus Tessin d. y:s Studieresor i Danmark, Tyskland, Holland, Frankrike och Italien, anteckningar,
bref och ritningar, utgifna af Osvald Sirén, P.A.
Norstedt & Söners Förla.g, Stockholm 1914, p.
104; e da ultimo Nicodemus Tessin the Younger:
sources, works, collections, Nationalmuseum,
Stockholm, III, Travel notes 1673-77 and 1687-88,
edited by Merit Laine and Börje Magnusson, 2002,
p. 179). Tra la morte di Girardon nel 1715 e l’asta
del 1987 la ‘Testa del Battista’ sembra essere rimasta stabilmente in Francia, cambiando più volte proprietà, ma sempre sotto il nome di Michelangelo.
13) Jean-René Gaborit e i suoi colleghi del Louvre
si sono invece orientati verso una datazione più tarda di almeno mezzo secolo e una collocazione geografica in ambito lombardo. Questa seconda pista
mi sembra troppo debitrice verso la diffusione prevalentemente nordica del tipo scultoreo della “Johannesschüssel”, mentre non si può escludere che
Firenze, città del Precursore, abbia anch’essa, di rado, prodotto opere simili, o che artisti fiorentini si
63. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
siano trovati a lavorare per centri del Norditalia dove il ‘Battista decollato’ era usuale (Genova). Restando in tema di teste mozzate, quella bronzea famosa di Golia ai piedi del ‘David’ del Verrocchio
mi pare dare un buon termine di riferimento per il
retroterra artistico del marmo Girardon. In più, le
anse semplici e pure del bacino di Parigi sarebbero
fuori tempo oltre la generazione e la cultura di maestri come Antonello Gagini o Benedetto da Rovezzano.
14) Un’utile ricostruzione degli aspetti politico-diplomatici della vicenda è stata data di recente, sulla base di alcuni documenti dell’epoca, da Anna
Maria Voci, Wilhelm Bode e il falso Michelangelo,
nel ‘Marburger Jahrbuch für Kunstwissenschaft’,
37, 2010, pp. 265-278. La parte storico-artistica vi
è, invece, meno ampiamente e sicuramente informata (p.e. lo scultore Girolamo Santacroce, coinvolto nel dibattito critico di cui si parla, diventa
“Prospero Santacroce”, p. 274).
15) Poiché nelle prossime pagine sarò spesso costretto a lunghe note per riunire bibliografie disperse o fare precisazioni indispensabili, posso adesso,
invece, rinviare soltanto a un paio di voci che già
radunano e discutono quelle appena accennate nel
mio testo (con l’eccezione di Burckhardt): Michelangelo Bibliographie: 1510-1926, herausgegeben
von Ernst Steinmann und Rudolf Wittkower, Klinkhardt & Biermann, Leipzig 1927, p. 462, ad indi-
64. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San
Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”)
(particolare). Londra, The National Gallery.
cem (s.v. “Giovannino (Berlin)”); e Staatliche Museen zu Berlin. Bildwerke des Kaiser-Friedrich-Museums. Die italienischen und spanischen Bildwerke
der Renaissance und des Barocks, I, Frieda Schottmüller, Die Bildwerke in Stein, Holz, Ton und
Wachs. Zweite Auflage, Verlag von Walter de Gruyter & Co., Berlin 1933, pp. 171-172 n. 264 (come
“Florentinisch, Ende des 16. Jahrhunderts”).
Per l’adesione di Burckhardt al pensiero di Bode
sul ‘San Giovannino’ michelangiolesco: Jacob
Burckhardt, Werke: kritische Gesamtausgabe, Verlag C.H. Beck oHG – Schwabe AG, München-Basel, XVI, Geschichte der Renaissance in Italien,
Band 1: Die Malerei nach Inhalt und Aufgaben.
Randglossen zur Sculptur der Renaissance, aus
dem Nachlaß herausgegeben von Maurizio Ghelardi, Susanne Müller und Max Seidel, 2006, p. 524
(entro le Randglossen); e XVII, Geschichte der Renaissance in Italien, Band 2: Vorlesungen über
Renaissance. Notizen zur italienischen Kunst seit
dem XV. Jahrhundert, aus dem Nachlaß herausgegeben von Maurizio Ghelardi und Susanne Müller,
2013 (in c.d.s.), sezioni “MAng a”, “MAng b 1. T.”
e “MAng zu b” (entro le Notizen zur Malerei); e
inoltre: Werner Kaegi, Jacob Burckhardt: eine Biographie, Schwabe & Co Verlag, Basel, VI, Weltgeschichte, Mittelalter, Kunstgeschichte: die letzten
Jahre, 1886-1897, 1977, parte 2, p. 592 e nota 204;
e Max Seidel, Das Renaissance-Museum: Wilhelm
Bode als “Schüler” Jacob Burckhardts, in Storia
dell’arte e politica culturale intorno al 1900: la
fondazione dell’Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze. [Per i cento anni dalla fondazione del Kunsthistorisches Institut in Florenz, convegno internazionale, Firenze, 21-24 maggio 1997], a
cura di Max Seidel, Marsilio, Venezia 1999, pp. 55109 (p. 86 e nota 170 [p. 107]).
16) Heinrich Wölfflin, Die Jugendwerke des Michelangelo, Theodor Ackermann, München 1891,
pp. 69-73 e note (con una datazione conclusiva dell’opera “in’s 16. Jahrhundert”, p. 73 nota 1); Idem,
Die klassische Kunst: eine Einführung in die italienische Renaissance, Verlgasanstalt F. Bruckmann
A.-G., München 1899, pp. 49 nota 1, 257 e nota 1
(con fig.) (con una datazione “ins vorgeschrittene
16. Jahrhundert” e una proposta di attribuzione a
Girolamo Santacroce, per raffronto con l’Altare del
Pezzo in Santa Maria di Monteoliveto a Napoli, del
1524). Per una successiva posizione di Wölfflin sulla statua berlinese si veda oltre, testo e nota 44.
17) Oltre, testo e nota 20.
18) Carlo Gamba, Silvio Cosini, in ‘Dedalo’, X,
1929-30, pp. 228-254, a favore dello scultore cui è
dedicato il saggio (p. 232, con figg. a pp. 234-235).
19) Cfr rispettivamente le note 22 (Donatello e Civitali), 16 e 44 (Santacroce), 18 (Cosini).
20) Alois Grünwald, Über einige unechte Werke
Michelangelos, nel ‘Münchner Jahrbuch der
bildenden Kunst’, V, 1910, pp. 11-70, in part. pp. 2863 (cfr pure Alois Grünwald, Zum Giovannino
„Michelangelos“, in Idem, Florentiner Studien,
Stengel & Co., G.m.b.H., Dresden-Prag 1914, pp. 27-
65. Michelangelo: ‘Prigione morente’ (tra 1513 e il
1516) (particolare). Parigi, Musée National du Louvre,
Département des Sculptures.
30 e tavv. 21-23, scritto come risposta polemica a
Ernst von Liphart). Dopo il saggio del 1910, che è
anche quello di apertura sui Pieratti, gli studi sui due
fratelli hanno fatto grossi passi avanti, soprattutto
negli ultimi decenni (in part. con Claudio Pizzorusso,
Domenico Pieratti, ‘primo suggetto nel suo mestiere
in questa città’, in ‘Paragone/Arte’, XXXVI, 1985,
429, pp. 21-42 e figg. 22-43; Idem, A Boboli e
altrove: sculture e scultori fiorentini del Seicento,
Leo S. Olschki editore, Firenze MCMLXXXIX, in
part. pp. 13-54 e 89-99, figg. passim; e Tomaso
Montanari, Domenico Pieratti, Satyr lying on a
panther skin […], in Body and soul: masterpieces of
Italian Renaissance and Baroque sculpture.
Catalogue of an exhibition, edited by Andrew
Butterfield, Andrew Butterfield Fine Arts – Moretti,
Florence-London-New York, Edizioni Polistampa,
Firenze 2010, pp. 78-85). Ma la distinzione di
operato tra i due maestri, nati a un solo anno di
distanza l’uno dall’altro (Giovambattista nel 1599,
Domenico nel 1600), e cresciuti, formatisi e attivi
sempre insieme, rimane ancora assai difficile (C.
Pizzorusso, A Boboli e altrove cit., spec. pp. 91-93).
Nell’optare per un’attribuzione dell’‘Aristeo’ a
Domenico nel 1625-30 circa, sono consapevole della
provvisorietà della proposta.
21) Le tracce di un’aureola metallica un tempo vi-
[Saggi] 57
sibili in cima al capo del giovinetto berlinese (e nitidamente riprodotte presso A. Grünwald, Zum Giovannino „Michelangelos“ cit., tav. 22) mostrano
bene che essa vi era stata adattata con forza in un
secondo momento, rovinando la lavorazione originaria della capigliatura.
22) Antonio Mazzarosa, Lezione intorno le opere di
scultura e d’architettura di Matteo Civitali, artista
lucchese del secolo decimoquinto, che si vedono
nella Cattedrale della sua patria, negli ‘Atti della
Reale Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed
Arti’, III, 1827 [1826], pp. 321-370, e anche in
estratto, Dalla tipografia di Francesco Bertini, Lucca MDCCCXXVI, p. 9 nota 3 (pp. 46-47); poi, con
titolo variato (Sulle opere di scultura e d’architettura di Matteo Civitali nella Cattedrale di Lucca, lezione letta alla R. Accademia Lucchese il 1825),
nelle Opere del marchese Antonio Mazzarosa, Tipografia di Giuseppe Giusti, Lucca, I, 1841, pp. 134: p. 4 nota 3 (pp. 29-30). Cfr anche Gaetano Milanesi, ne Le opere di Giorgio Vasari con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, G.C.
Sansoni, Editore, In Firenze, II, MDCCCLXXVIII,
p. 120 note 1 e 1† (a proposito di Matteo Civitali,
entro la Vita di Jacopo della Quercia); VII,
MDCCCLXXXI, pp. 147-148 nota 2† (a proposito
di Michelangelo); e IX, MDCCCLXXXV, p. 204.
Mazzarosa aveva ventilato un’attribuzione molto
cauta della statua a Civitali, poi accolta, con minor
cautela, da Milanesi, e prim’ancora da Enrico Ridolfi, Intorno alla discussione sulla statua del conte Rosselmini-Gualandi, Fratelli Cheli, Lucca 1875
(estratto da ‘La Provincia di Lucca’, nn. 21-22, 16
e 18 marzo 1875).
23) Wilhelm Reinhold Valentiner, Michelangelo’s
lost “Giovannino”, in ‘The art quarterly’, I, 1938,
pp. 24-39.
24) Oltre, testo e note 48-51.
25) Ulrich Middeldorf, New Attributions to G. F.
Rustici, in ‘The Burlington Magazine’, LXVI,
1935, pp. 70-81, spec. pp. 72, 73 (tav. II) fig. A, 76,
poi in Ulrich Middeldorf, Raccolta di Scritti, that is
Collected Writings, S.P.E.S., Firenze, I, 1924-1938,
1979-80, pp. 199-210, spec. pp. 201-202, 207-208
e fig. 154.
26) Cfr in part. Philippe Sénéchal, Giovan Francesco Rustici, 1475-1554. Un sculpteur de la Renaissance entre Florence et Paris, Arthena, Paris 2007,
spec. pp. 31-33 e note 312-320 (e figg. 17-22), 184185 n. S.2, con una datazione “vers 1495-1500” che
mi pare preferibile a quella “attorno al 1515” suggerita in parallelo da Tommaso Mozzati, Giovanfrancesco Rustici. Le Compagnie del Paiuolo e della Cazzuola: arte, letteratura, festa nell’età della
Maniera, Leo S. Olschki editore, Firenze 2008, pp.
5, 142-143 e note 742-747, figg. 255-259. L’opera
è del tutto assente, così come molti altri problemi
che riguardano Rustici, da una terza monografia
sull’artista apparsa quasi nello stesso tempo: Martina Minning, Giovan Francesco Rustici (14751554): Untersuchungen zu Leben und Werk des Florentiner Bildhauers, Rhema, Münster 2010 (“Untersuchungen” è nel frontespizio, “Forschungen” in
copertina). Alla bibliografia sulla statua Morgan
raccolta utilmente da Sénéchal, pp. 184-185, si possono aggiungere varie altre voci degli studi michelangioleschi (cfr oltre, note 48-51).
27) Per esse mi limito qui a rimandare alla recente
e ricca scheda dell’opera data da Gerardo de Simone e ricordata oltre, nota 30. L’assurda attribuzione
a Mino formulata nel 1942 andava in verità al catalogo di Mino “del Reame” o “del Regno”, che nel
frattempo è diventato una cosa sola con la giovinezza romano-napoletana di Mino da Fiesole, tra il
1454 e il 1463 (a partire da Francesco Caglioti, Per
il recupero della giovinezza romana di Mino da
Fiesole: il ‘Ciborio della neve’, in ‘Prospettiva’, 49,
1987, pp. 15-32). E infatti il riferimento a Mino da
Fiesole e bottega è stato poi rispolverato da Shelley
58 [Saggi]
E. Zuraw, The sculpture of Mino da Fiesole (14291484), Ph.D. Thesis, New York University 1993, I,
p. 231 e note 81-83, e II, pp. 751-753 n. 42.
28) Roberto Longhi, Due proposte per Michelangelo giovine, in ‘Paragone/Arte’, IX, 1958, 101, pp.
59-64 (pp. 59-62 e figg. 37-38), poi in Roberto
Longhi, Cinquecento classico e Cinquecento manieristico, 1951-1970 [Edizione delle opere complete di Roberto Longhi, VIII/2], Sansoni, Firenze
1976, pp. 5-9 (pp. 5-7 e figg. 1-2).
29) Eugenio Luporini, Benedetto da Rovezzano.
Scultura e decorazione a Firenze tra il 1490 e il
1520, Edizioni di Comunità, Milano 1964, pp. 150151 n. 26, figg. 218-220. Luporini proponeva una
collocazione dell’opera “tra il 1505 e il 1509”,
mentre si dovrà pensare a un’anticipazione davvero
giovanile, nei primi anni novanta del Quattrocento,
poiché il ‘San Giovannino’ è presente già in un inventario del 27 gennaio 1493 reperito e pubblicato
da Irene Polverini Fosi, Pietà, devozione e politica:
due confraternite fiorentine nella Roma del Rinascimento, nell’‘Archivio storico italiano’, CXLIX,
1991, pp. 119-161 (pp. 132-133 e nota 26). Come
si vede, benché fosse impropriamente ispirata dall’attribuzione michelangiolesca, la cronologia proposta da Longhi per la statua romana (1492-93) è
infine quella più esatta.
30) Francesco Caglioti, Mino da Fiesole [...], Busto
di San Giovanni Battista fanciullo [...] Parigi, Musée Jacquemart-André [...], in Due collezionisti alla scoperta dell’Italia. Dipinti e sculture dal Museo
Jacquemart-André di Parigi. Milano, Museo Poldi
Pezzoli, 16 ottobre 2002 - 16 marzo 2003, a cura di
Andrea Di Lorenzo, Silvana Editoriale, Cinisello
Balsamo 2002, pp. 64-67 n. 5, spec. p. 66 nota 17
(p. 67); Linda Pisani, San Giovannino Battista nei
busti del Rinascimento fiorentino, in Kopf / Bild:
die Büste in Mittelalter und Früher Neuzeit, herausgegeben von Jeanette Kohl und Rebecca Müller,
Deutscher Kunstverlag, München-Berlin 2007, pp.
211-233 (pp. 213 e 215 e nota 14, ma con una datazione deviata al “secondo decennio del Cinquecento”); Gerardo de Simone, Benedetto da Rovezzano […], San Giovanni Battista fanciullo […], Roma, Museo d’Arte Sacra di San Giovanni dei Fiorentini, in Melozzo da Forlì. L’umana bellezza tra
Piero della Francesca e Raffaello, catalogo della
mostra (Forlì, Musei San Domenico, 29 gennaio-12
giugno 2011), a cura di Daniele Benati, Mauro Natale e Antonio Paolucci, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2011, pp. 241-243 n. 58 (con la giusta
cronologia, indotta dal documento del gennaio
1493, per il quale cfr sopra, nota 29). La scheda di
De Simone è utile anche come risposta ai più recenti tentativi di ambito romano per riabilitare l’attribuzione a Michelangelo, con argomenti che non
hanno nulla a che vedere con la ricerca storica e con
il buon senso: di essi non mi curerò oltre in queste
pagine. Sempre presso De Simone, peraltro, c’è il
residuo di un errore compiuto da quella bibliografia nel riferire a James D. Draper (nel 1992 e nel
1999) un’attribuzione a Bertoldo di Giovanni, di
cui invece non è traccia negli interventi di tale studioso (mentre essa si ritrova nella letteratura romana ottocentesca).
31) Alessandro Parronchi, Il San Giovanni Battista
«gradivo» del Bargello, opera misconosciuta di Michelangelo, negli ‘Studi urbinati di storia, filosofia
e letteratura’, XXIV, 1960, 1/2, pp. 68-96, e poi,
con varie modifiche e con il titolo Il San Giovanni
Battista «gradivo» del Bargello, in Alessandro Parronchi, Opere giovanili di Michelangelo, Accademia Toscana di Scienze e Lettere «La Colombaria»
- Leo S. Olschki editore, Firenze, [I],
MCMLXVIII, pp. 91-112 e figg. 53a-67b. Ma cfr
anche Alessandro Parronchi, Donatello e Michelangelo, in Idem, Opere giovanili di Michelangelo cit.,
V, Revisioni e aggiornamenti, MCMXCVI, pp. 521 (pp. 10-17 e note, tavv. XII-XV). Per una carta
d’archivio del 1570 circa che Parronchi credeva di
poter collegare come documento-ponte sia al ‘San
Giovannino’ mediceo di Michelangelo sia al ‘San
Giovanni gradivo’ del Bargello, e che invece non riguarda né l’uno né l’altro, si veda oltre, nota 142.
32) Hans Kauffmann, Donatellos Jünglingsstatuen,
David und Johannes, nei ‘Sitzungsberichte der
Kunstgeschichtlichen Gesellschaft Berlin’, 193132, pp. 1-4 (p. 4). Cfr anche Hans Kauffmann, Donatello. Eine Einführung in sein Bilden und Denken, G. Grote’sche Verlagsbuchhandlung, Berlin
1935, p. 46 nota 137 (p. 211).
33) Cfr per tutti Marco Collareta, San Giovanni
Battista […], in Museo Nazionale del Bargello.
Omaggio a Donatello. Donatello e la storia del
Museo, Associazione ‘Amici del Bargello’ […] S.P.E.S., Firenze 1985, pp. 348-362 n. XIX (con bibliografia); e Beatrice Paolozzi Strozzi, Francesco
da Sangallo (attribuito) […], San Giovanni Battista
[…], ne L’officina della maniera: varietà e fierezza
nell’arte fiorentina del Cinquecento fra le due repubbliche, 1494-1530, catalogo della mostra (Firenze, Galleria degli Uffizi, 28 settembre 1996 - 6
gennaio 1997), Giunta Regionale Toscana - Marsilio, Firenze-Venezia 1996, pp. 366-367 n. 137 (con
ulteriore bibliografia, e con una datazione “15201525 circa”). Per mostrare tutta la giustezza della
restituzione sangallesca propongo qui un confronto
fotografico con il ‘San Paolo’ della tomba cassinese di Piero di Lorenzo de’ Medici (fig. 28): al momento di aggiungere le note a questo contributo, mi
ha fatto piacere riscoprire che nel 1931 Kauffmann
concludeva la sua attribuzione del ‘San Giovanni’ al
Sangallo definendo sinteticamente la statua “als eine Vorstufe seines Paulus am Medicigrab in Montecassino” (H. Kauffmann, Donatellos Jünglingsstatuen cit., p. 4).
34) Fernanda de’ Maffei, Michelangelo’s lost St.
John: the story of a discovery, Faber and Faber,
London 1964 (ma anche Reynal & Company, New
York 1964). Il volume contiene un apparato illustrativo e comparativo (112 tavole, alcune quadruple) che è un poderoso fuoco d’artiglieria, in gran
parte del tutto sprecato, e solo in piccola parte utile
a mostrare (senza saperlo) la cultura di provenienza
del vero responsabile del ‘San Giovanni’, Giovanfrancesco Susini. Ancora più follemente, un’operazione del tutto analoga a questa della De’ Maffei fu
ripetuta per la stessa scultura, dodici anni dopo, da
Josef Vincent Lombardo, Michelangelo: new discoveries, The Dartmouth Foundation, New York
1976 (con 85 tavv., fittissime di figure). Lombardo,
“professor emeritus of Fine Arts, Queens College,
The City University of New York”, trovava il libro
della De’ Maffei “unacceptable because of its errors
of fact and non-existent references” (p. 3), ma la
differenza di senso storico e di senso della qualità
tra gli approcci dei due autori è impercettibile, e i
loro accostamenti iconografici e figurativi sono
ugualmente visionari. Un’anticipazione del proprio
sbandamento per il ‘San Giovanni’ Tozzi era stata
data da Josef Vincent Lombardo, Michelangelo: the
Pieta and other masterpieces, Pocket Books, Inc.,
New York 1965, in part pp. 19-24 e note 31-41 (pp.
55-56), figg. 11-13. Non saprei cosa pensare dell’allusione che l’autore fa qui a una lettera inviata al
proprietario Tozzi da Sir Kenneth Clark il 10 aprile
1956 per approvare l’attribuzione michelangiolesca
(p. 24 e nota 40 [p. 56]).
35) Ancient glass, including Egyptian and SyrioRoman specimens; fine textiles, antique Persian
and other rugs; Persian pottery, lacquer, antique
jewelry, laces, Chinese porcelains, arms & armor,
miniatures, illuminated MSS., a marble St. John by
Sansovino, from the collections of the late Daniel Z.
Noorian. Unrestricted public sale, Mar. 12, 13, &
14, 1931, American Art Association, Anderson Galleries, Inc., New York 1931, p. 108 n. 623 e foto nel
controfrontespizio (con il numero errato “643”).
36) Wilhelm Reinhold Valentiner, in Leonardo da
Vinci, 1452-1519. Loan exhibition, Los Angeles
County Museum, June 3 to July 17, 1949, The Los
Angeles County Museum, Los Angeles, California,
1949, pp. 121-122 n. 101 e fig. 101; Carlo Pedretti,
Il nipote scultore, in Pierino da Vinci. Atti della
giornata di studio, Vinci, Biblioteca Leonardiana, 26
maggio 1990, a cura di Marco Cianchi, Comune di
Vinci – Becocci Editore, Vinci - Firenze 1995, pp.
13-15, e figg. 5, 8, 10, 36 e 38, e tav. XXI; James
Beck, Pierino da Vinci: fra Michelangelo e
Leonardo, ivi, pp. 25-28, e figg. 5, 8, 10, 36 e 38, e
tav. XXI; Repertorio della scultura fiorentina del
Cinquecento, a cura di Giovanni Pratesi, biografie a
cura di Nicoletta Pons, Umberto Allemandi & Co.,
Torino et alibi 2003, III, fig. 636.
37) Dopo un’ironica recensione del libro di Fernanda de’ Maffei da parte di Creighton Gilbert, The
Hundred-Dollar Misunderstanding, in ‘The New
York Review of Books’, III, 1964, 20 agosto, p. 16
(“It would be extraordinary to find a lost sculpture
by Michelangelo. There is no definite case of its
having happened at any time”; “In my own opinion,
the statue is a perfectly nice Florentine sculpture of
the second quarter of the sixteenth century”), C.A.
Isermeyer, Der Giovannino (1495/96) cit., pp. 315318, concludeva tre valide pagine di pars destruens
contro il ‘Michelangelo’ di Piero Tozzi con una bizzarra interpretazione come “ein eklektisches Werk
des 19. Jahrhunderts”, ben più avanti della cultura
artistica di un Thorvaldsen (apprezzamento raccolto da A. Parronchi, Il San Giovanni Battista «gradivo» del Bargello cit., ed. 1968 cit., p. 112 nota 47).
La figura non sarebbe stata neppure un Battista, ma
semplicemente un ‘Pastorello in riposo’, scolpito
per qualche salon. Sembra che anche Ulrich Middeldorf desse una lettura ottocentesca del ‘San Giovanni’ Tozzi, poiché sul cartone fotografico n.
165445 del Kunsthistorisches Institut di Firenze,
che mostra un ‘David’ marmoreo nella collezione
dei conti di Crawford e Balcarres, classificato inizialmente da un aiuto-fototecario come cosa fiorentina del Cinquecento, lo studioso è intervenuto
apponendo un punto interrogativo alla datazione e
aggiungendo “19th” e “similar to a St. John, N.Y., P.
Tozzi”, con un rinvio al volume di Fernanda de’
Maffei.
38) Giovanfrancesco Susini sembra ancora in attesa di un catalogo sistematico di tutte le sculture nei
diversi materiali. La letteratura però non manca, com’è ovvio, e ne dò qui un’antologia, concentrata soprattutto (ma non esclusivamente) sulla produzione
in marmo: Filippo Baldinucci, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua [...], per cura di
Ferdinando Ranalli, Per V. Battelli e Compagni, Firenze, IV, 1846, pp. 118-121; Susini (Susina), Francesco (Giov. Franc.), in Ulrich Thieme, Felix Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler
von der Antike bis zur Gegenwart, E.A. Seemann,
Leipzig, XXXII, 1938, pp. 305-306; Giovanna
Lombardi, Giovan Francesco Susini, negli ‘Annali
della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di
Lettere e Filosofia’, s. III, IX, 1979, pp. 759-790;
Anthea Brook, Giovan Francesco Susini, ne Il Seicento fiorentino. Arte a Firenze da Ferdinando I a
Cosimo III. Palazzo Strozzi, 21 dicembre 1986 - 4
maggio 1987, Cantini, Firenze 1986, Biografie, pp.
166-167; C. Pizzorusso, A Boboli e altrove cit.,
passim, in part. pp. 36-37 e note, 38-41 e note, 57 e
note, figg. 27, 28, 29a, 38, 40-41, 45, 53; Silvia
Blasio, nel Repertorio della scultura fiorentina del
Seicento e Settecento, a cura di Giovanni Pratesi,
Umberto Allemandi & C., Torino 1993, I, p. 61, e
III, figg. 612-636; Anthea Brook, (Giovan) Francesco Susini, in The Dictionary of Art, Macmillan
Publishers Limited, London 1996, XXX, p. 32; Eadem, Au département des Sculptures du Louvre,
Bacchus et un satyre de Francesco Susini (1585 - v.
1653), ne ‘La revue du Louvre et des Musées de
France’, LIII, 2003, 1, pp. 48-58; Eadem, Giovan
Francesco Susini, in The Encyclopedia of Sculpture, ed. Antonia Boström, Fitzroy Dearborn, New
York - London 2004, III, pp. 1628-1630; Francesco
Freddolini, Two holy-water stoups by Giovan Francesco Susini and the lost Paolsanti monument in SS.
Annunziata, Florence, in ‘The Burlington Magazine’, CXLVII, 2005, pp. 817-821.
66. Pontormo: Studio per il ‘San Michele Arcangelo’
della Cappella della Madonna a Pontorme (1519).
Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv.
6506F recto (particolare).
[Saggi] 59
67. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 4). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
39) Una segnalazione dell’acquisto è apparsa in
‘The New York Times’, 20 novembre 2005 (Carol
Vogel, This deal came around twice). Mentre la mia
individuazione di Susini era ancora inedita, il ‘San
Giovannino’ Tozzi è stato dirottato verso il Seicento pure da Alessandro Parronchi, Una nuova ipotesi di attribuzione per il San Giovannino Tozzi, in
‘Labyrinthos’, 41/42, 2002, pp. 25-46, poi, come
Una nuova attribuzione per il San Giovannino Tozzi, in A. Parronchi, Opere giovanili di Michelangelo cit., VI, Con o senza Michelangelo, MMIII, pp.
71-78 e figg. 99-121. Ma lo studioso (che in un primo momento aveva pensato per l’opera all’Ottocento: sopra, nota 37) proponeva una collaborazione tra Pietro e Gianlorenzo Bernini nel 1614-15 circa, invocando confronti, al solito fantasiosi, con
opere sia berniniane sia, soprattutto, nient’affatto
berniniane (un ‘Battista’ in terracotta nella Galleria
Estense di Modena; un ‘Cristo legato’, anch’esso
fittile, oggi nelle Raccolte della Città di Perugia,
con il lascito di Valentino Martinelli).
40) R. Longhi, Due proposte per Michelangelo giovine cit., p. 59, poi in Idem, Cinquecento classico e
Cinquecento manieristico cit., p. 5.
41) Per la speranza nutrita da Parronchi che Longhi,
di rimando, accettasse a sua volta come michelangiolesco anche il ‘San Giovanni gradivo’ si veda oltre, nota 90.
60 [Saggi]
42) Per contro, lo studioso si preoccupò di cercare
precise destinazioni non michelangiolesche per
quei candidati ‘Santi Giovannini’ che doveva percepire come più temibili rispetto al suo ‘San Giovanni gradivo’: così la statua di Bode, da Parronchi attribuita nel 1996, senza il benché minimo fondamento, a Baccio da Montelupo (A. Parronchi, Donatello e Michelangelo cit., p. 16 nota 45 e tavv.
XIIIb-XV); oppure l’esemplare Tozzi di New York,
invocato nel 2003 come cosa dei Bernini padre e figlio (sopra, nota 39).
43) Cfr sopra, nota 16.
44) Heinrich Wölfflin, Die klassische Kunst: eine
Einführung in die italienische Renaissance. Sechste
Auflage, F. Bruckmann A.-G., München 1914:
mentre la parte nel testo e nelle note ripete sostanzialmente le precedenti cinque edizioni (pp. 49-51
nota 1, 258 e nota 1, con fig.), un’aggiunta al volume fatta a p. 277, fuori composizione, rinvia a
Grünwald e alla conclusione che la statua berlinese
sia “die Arbeit eines gewissen Pieratti aus dem Anfang des 17. Jahrhunderts”. In modo divertente, la
settima edizione, curata – Wölfflin vivo – da Konrad Escher, incorpora nel testo il rinvio a Grünwald
e a Pieratti, ma poi un nuovo “Nachtrag”, inserito in
extremis a p. 293, ritorna con slancio all’attribuzione a Santacroce, grazie al fatto che essa, già formulata dallo stesso Wölfflin, è stata appena rilanciata
da Giulio Lorenzetti, Una scultura italiana del ’500
al Louvre, in ‘Dedalo’, III, 1922-23, pp. 14-24. Vedi Heinrich Wölfflin, Die klassische Kunst: eine
Einführung in die italienische Renaissance. Siebente Auflage, bearbeitet von Konrad Escher, F. Bruckmann A.-G., München 1924, pp. 51 nota 1, 271-272
68. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San
Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”)
(particolare). Londra, The National Gallery.
e nota 1 (con fig.), 293. L’articolo del tutto fuori
strada di Lorenzetti pretendeva di ricoverare sotto il
nome di Santacroce, prim’ancora che il preteso
‘San Giovannino’ berlinese, il ‘Giovane dio fluviale’ di provenienza napoletana allora entrato da non
molto al Louvre, e riconosciuto poco dopo a Pierino da Vinci, definitivamente, da Ulrich Middeldorf
(1928): nuove importanti conferme su quest’opera
si trovano presso Fernando Loffredo, La villa di Pedro de Toledo a Pozzuoli e una sicura provenienza
per il Fiume di Pierino da Vinci al Louvre, in ‘Rinascimento meridionale’, II, 2011, pp. 93-113.
45) Sopra, testo e nota 23.
46) Sopra, nota 18.
47) Kurt Gerstenberg, Der jugendliche Johannes
von Michelangelo, in ‘Pantheon’, XXVII, 1941, pp.
19-22.
48) Martin Weinberger, rec. di C. de Tolnay, The
Youth of Michelangelo cit., in ‘The Art Bulletin’,
XXVII, 1945, pp. 69-74; Charles de Tolnay, Notes
Concerning The Youth of Michelangelo: A Reply,
ivi, pp. 139-146 (p. 143).
49) Wilhelm Reinhold Valentiner, Michelangelo’s
statuettes of the Piccolomini Altar in Siena, in ‘The
Art Quarterly’, V, 1942, pp. 2-44: p. 24 nota 14 (p.
44). Tale passo scompare nella riedizione modificata del saggio: Michelangelo’s Piccolomini statuettes and the Madonna in Bruges, in Wilhelm
Reinhold Valentiner, Studies of Italian Renaissance
Sculpture, Phaidon Press Inc. - Oxford University
Press, London - New York 1950, pp. 193-223. Si ricordi che il nome di Kenneth Clark sarebbe stato
invocato ancora vent’anni dopo nelle dispute sul
‘San Giovannino’ michelangiolesco, ma a sostegno
dell’esemplare Tozzi (sopra, nota 34).
50) Luitpold Dussler, recensione di Charles de Tolnay, The Youth of Michelangelo. Second edition, revised, Princeton University Press, Princeton
MCMXLVII, nella ‘Kunstchronik’, III, 1950, pp.
129-132 (p. 131); Wilhelm Reinhold Valentiner,
Zuschrift an die Redaktion, ivi, pp. 199-200; [Luitpold Dussler], Erwiderung des Rezensenten, ivi, p.
200.
51) Ivi, p. 200.
52) C. de Tolnay, The Youth of Michelangelo cit., ed.
1947 cit., p. 200 e fig. 164b.
53) Ivi, p. 131. Al disprezzo verso la statua di Úbeda, Dussler sarebbe rimasto fedele fino all’ultimo.
In Luitpold Dussler, Michelangelo-Bibliographie,
1927-1970, Otto Harrassowitz, Wiesbaden 1974, ci
si preoccupa di dedicare motivate recensioni negative ai falsi ‘Santi Giovannini’ di Valentiner (p. 245
n. 2077; cfr anche p. 156 n. 1364), di Longhi (p.
142 n. 1232), di Parronchi (p. 171 n. 1493, ove peraltro si fa confusione tra il ‘San Giovanni gradivo’
di Sangallo e il ‘San Giovannino’ Martelli di Donatello) e della De’ Maffei (p. 66 n. 597; cfr anche p.
141 n. 1226), mentre la proposta di Gómez-Moreno è liquidata come mera curiosità bibliografica (p.
108 n. 959).
54) Basti il rinvio a Gonzalo Argote de Molina
[1549-1596], Nobleza del Andaluzía, En Sevilla,
por Fernando Diaz, año 1588, cc. 282v-283r: “Donde se vee en el altar mayor un San Juan niño de alabastro (que dizen le presentó el Senado veneciano),
joya de excelente escultura” (già citato da M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en España
cit., pp. 190-191 e nota 1); e ad Antonio Ponz, Viage de España, en que se da noticia de las cosas mas
apreciables, y dignas de saberse, que hay en ella
[…], Tomo XVI. Trata de Andalucía, Madrid, por la
viuda de d. Joaquin Ibarra, MDCCLXXXXI, p.
127: “Tambien tiene [esta Sacra Iglesia] una estatua
de San Juan Bautista de fino mármol, que regaló al
fundador la República de Venecia”.
55) Miguel Ruiz Prieto [1831-99], Historia de Úbeda, publicada después de su muerte bajo la dirección de don Alfredo Cazabán Laguna, Imprenta
Gutenberg, á cargo de J. Martínez, Úbeda 1906, II,
p. 161: “[…] al lado derecho de altar, una hechura
de San Juan Bautista, bien modelada en alabastro,
que regaló el emperador D. Carlos, según consta en
inventarios y al cual se la regaló a su vez la república de Venecia”.
56) Giuseppe Campori, Tiziano e gli Estensi, nella
‘Nuova Antologia di scienze, lettere ed arti’,
XXVII, 1874, pp. 581-620, in part. pp. 601-604.
57) Sui doni di Alfonso I a Cobos dovrò tornare oltre, testo e nota 146.
58) Carl Justi, Tizian und Alfons von Este, nel ‘Jahrbuch der königlich preussischen Kunstsammlun-
69. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 10). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
70. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San
Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”)
(particolare). Londra, The National Gallery.
gen’, XV, 1894, pp. 70-80, in part. pp. 72-73; poi in
Carl Kusti, Miscellaneen aus drei Jahrhunderten
spanischen Kunstlebens, G. Grote’sche Verlagsbuchhandlung, Berlin 1908, II, pp. 151-166 n.
XVII, in part. p. 156.
59) CSIC/CCHS, Biblioteca Tomás Navarro Tomás, Catálogo de los monumentos históricos y artísticos de la provincia de Jaén, formado en virtud
de la R.O. de 30 de enero de 1913 por don Enrique
Romero de Torres, Texto, Tomo 1, p. 562 (con il rinvio impreciso alla foto 326), e Fotografías, Tomo 7,
p. 209, foto n. 327. Il Catálogo Monumental de
España è adesso ottimamente disponibile in rete:
http://biblioteca.cchs.csic.es/digitalizacion_tnt/index.
html. L’allusione di Romero de Torres ad “algún
escritor” è sciolta in favore di Alfredo Cazabán Laguna (che non ho consultato) da Arsenio Moreno
Mendoza, Úbeda renacentista, Electa España, Madrid 1993, p. 46 e nota 42 (p. 64).
60) M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en
España cit., pp. 189-192 e tav. I tra le pp. 196-197
(di contro al resto, pp. 192-197 e tavv. II-IV). Contemporaneamente all’uscita nell’‘Archivo español
de arte y arqueología’, Gómez-Moreno stralciò le
pagine sul ‘San Giovannino’ per pubblicarle senza
modifiche, con il titolo Obras de Miguel Ángel en
España. El San Juanito de El Salvador de Úbeda,
nel periodico locale ‘Don Lope de Sosa: cronica
mensual de la provincia de Jaén’, XVIII, 1930, pp.
227-230.
61) Cfr Manuel Gómez-Moreno, La escultura del
[Saggi] 61
71. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 10). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
Renacimiento en España, Gustavo Gili, Barcelona
[1931], opera che ebbe peraltro una coedizione inglese e tedesca (M. G.-M., Renaissance sculpture in
Spain, Pantheon - Casa Editrice, Firenze 1931, pp.
9-10 e tav. 9; e M. G.-M., Die Plastik der Renaissance in Spanien, Schmidt & Günther, Leipzig
1932); e Idem, Las águilas del Renacimiento español: Bartolomé Ordóñez, Diego Silóee, Pedro Machuca, Alonso Berruguete, 1517-1558, Consejo Superior de Investigaciones Científicas - Instituto Diego Velázquez, Madrid 1941, p. 46. Queste due voci
mancano dalla bibliografia sistematica su Michelangelo per gli anni 1927-1970 raccolta da L. Dussler,
Michelangelo-Bibliographie cit. Gómez-Moreno vi
è presente solo (p. 108 nn. 959-960) per l’articolo
del 1930 e per quello del 1933 da me citato nella
prossima nota. Che cosa pensasse Dussler del ‘San
Giovannino’ l’ho già detto sopra, testo e nota 53.
62) Manuel Gómez-Moreno, El Crucifijo de Miguel Ángel, nell’‘Archivo español de arte y arqueología’, IX, 1933, pp. 81-84.
63) M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en
España cit., pp. 191-192.
64) La cronaca più circostanziata del fatto si trova
in una relazione inedita di cinque pagine dattiloscritte licenziata il 26 giugno 1939 da un erudito locale, Miguel Campos Ruiz (La sacra-capilla del
Salvador de Úbeda, relicario de fe, archivo de historia y museo de arte, asaltada y profanada por
las hordas marxistas el año 1936), e conservata negli archivi della Fundación Casa Ducal de Medinaceli, proprietaria del ‘San Giovannino’ (come ricorderò anche tra poco). Il documento mi è stato gentilmente trasmesso da Juan Manuel Albendea Solís,
direttore generale della fondazione.
62 [Saggi]
65) Cfr più avanti, testo e note 67-68, 73-74 e soprattutto 79.
66) Cfr, oltre, nota 79.
67) Ars Hispaniae. Historia universal del arte hispánico, Editorial Plus-Ultra, Madrid, XIII, J[osé]
M[aria] Azcárate, Escultura del siglo XVI, 1958, p.
29 fig. 13. Alle pp. 24-25 è il commento dell’autore, che riferisce con rispetto ma senza impegno l’attribuzione di Gómez-Moreno.
68) Andrée de Bosque, Artistes italiens en Espagne
du XIVme siècle aux Rois Catholiques, Editions du
Temps, Paris 1965, pp. 377-378 e note 1-11 (p.
384), 381 figg. (senza numeri).
69) George Haydn Huntley, Andrea Sansovino,
sculptor and architect of the Italian Renaissance,
Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1935.
Alle pp. VII-VIII del “Preface”, datato 1° giugno
1934, l’autore scrive: “The reader will find in
Chapter II the statement of an intensive and arduous investigation of Portugese and Spanish art in
search of works by, or under the influence of,
Sansovino. That the results of this search have been
so negative I deeply regret, but such an investigation was a necessary prelude to any comprehensive
study of the artist’s life”.
70) KHIF, Fototeca, nn. 81476a e 81476b (in coppia su un cartone unico), 81477 (da sola), 81478a e
81478b (in coppia).
71) Friedrich Kriegbaum, Entwicklungsgrundzüge
der Florentiner Plastik des 16. Jahrhunderts bis
zum Tode Michelangelos (Studien zum Problem der
Michelangelo-Schule und -Nachahmung), Habilitationsschrift, 1932 (cfr anche oltre, nota 77).
72) KHIF, Fototeca, nn. 84639a e 84639b (in coppia su un cartone unico), 84640a e 84640b (in coppia), 84641a e 84641b (in coppia).
73) A. de Bosque, Artistes italiens en Espagne cit.,
p. 493. Forse per una svista l’autrice attribuisce la
referenza “Úbeda, Ventura” anche alla foto d’insieme già usata da Gómez-Moreno, che in realtà sem-
72. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino’ (1503-05)
(particolare). Bruges, Notre-Dame (Vrouwekerk).
bra avere un’origine diversa: oltre, testo e nota 79.
A complicare un po’ il quadro della situazione, sul
cartone fotografico n. 84641b del KHIF, in corrispondenza dell’immagine da me utilizzata come
fig. 17, è vergata a matita l’indicazione “Photo Dr.
Schlunk”, che rinvia indubitabilmente a Helmut
Schlunk (1906-1982), fondatore del Deutsches Archäeologisches Institut di Madrid nel 1943, e suo
direttore sino al 1971. Ma la fototeca del DAINST
madrileno, pur conservando fotografie realizzate da
quel benemerito studioso tedesco-spagnolo, non
sembra possederne nessuna del ‘San Giovannino’
ubetense.
74) A. Moreno Mendoza, Úbeda renacentista cit.,
pp. 48 (insieme) e 49 (dettaglio estratto dall’immagine precedente). La stessa figura, intera o ridotta ai
dettagli, ricorre in Idem, El San Juanito atribuido a
Miguel Ángel. Memoria para una posible intervención restauradora, in IV Congreso sobre Humanismo y Renacimiento. Seminario sobre Iconología y
simbolismo en el Siglo de Oro, Úbeda, 15-19 de mayo de 1995, José Latorre García y Joaquín Montes
Bardo (eds.), Universidad Nacional de Educación a
Distancia - Centro Asociado “Andrés de Vandelvira”, Jaén 1998, pp. 53-69 (pp. 59, 60, 62 e 66, con
ripetuti errori di resa in controparte o capovolta).
75) KHIF, Fototeca, n. 84641.
76) KHIF, Fototeca, nn. 81476 e 81478.
77) Nell’archivio storico del KHIF si conserva un
“Nachlass Kriegbaum”, composto attualmente di
sei cassette e sei cartelle, nelle quali dominano i
materiali connessi con la tesi di abilitazione dello
studioso (sopra, nota 71). Fra di essi non ho trovato
nulla sulla statua di Úbeda, se non qualche appunto
telegrafico tratto dall’articolo di Gómez-Moreno
del 1930.
78) L’intervento, commissionato in particolare dal
73. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
Duca e dalla Duchessa di Segorbe quando l’OPD
era sotto la guida di Giorgio Bonsanti, e svolto da
Paola Lorenzi, Franca Sorella e Marta Gómez
Ubierna con la direzione di Maria Cristina Improta,
dovrebbe concludersi nei prossimi mesi. Una primissima cronaca di tale impresa si trova presso A.
Moreno Mendoza, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel. Memoria para una posible intervención
restauradora cit., con la riproduzione di quattro
frammenti alle pp. 54, 55, 58 e 65 (alcuni in controparte, per errore).
79) – Barcelona, Fundació Institut Amatller d’Art
Hispànic (Arxiu Mas), C-43870 (= Z-7751), foto
scattata nel 1924: mia fig. 4; J.M. Azcárate, Escultura del siglo XVI cit., p. 29 fig. 13; José Camón
Aznar, Miguel Ángel, Espasa-Calpe, S.A., Madrid
1975, p. 179; Arsenio Moreno, Francisco de los
Cobos, mecenas de las artes, in Francisco de los
Cobos y su época, catalogo della mostra (Centro
Asociado de la Provinca de Jaén de la UNED “Andrés de Vandelvira”), a cura di Arsenio Moreno, Societad Editorial Electa España, Madrid 1997, pp.
24-39 (p. 32); Idem, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., p. 57.
– CSIC/CCHS, Colección General de Escultura,
r.21.334: fig. 6.
– CSIC/CCHS, CGdE, r.21.335: fig. 2.
– CSIC/CCHS, CGdE, r.97.206 (altro esemplare:
Fondo Gómez-Moreno - Orueta, 18_1950): fig. 1.
Dal medesimo cliché è tratta la stampa di dettaglio
CSIC/CCHS, CGdE, r.55.894: fig. 14.
– CSIC/CCHS, CGdE, r.88.122 (altri tre esemplari:
CGdE, r.19.035; GMO 18_1948; GMO 18_1949).
Ritrovo sparse copie cartacee di questa immagine
in altre fototeche storiche spagnole: p.e., l’Archivo
Moreno, cioè il fondo dei fotografi Mariano Moreno García (1865-1925) e Vicente Moreno Díaz
(1894-1954), padre e figlio, entro la Fototeca del
Patrimonio Histórico del Ministerio de Educación,
Cultura y Deporte (n. inv. 02268_A); oppure la Fototeca della Universidad de Sevilla, Laboratorio de
Arte (immagine senza numero): fig. 13; M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en España
cit., tav. I; Idem, La escultura del Renacimiento en
España cit., tav. 9; Idem, Renaissance sculpture in
Spain cit., tav. 9; Idem., Die Plastik der Renaissance in Spanien cit., tav. 9; C. de Tolnay, The Youth of
Michelangelo cit., ed. 1947 cit., fig. 164b; Idem,
Michelangiolo, Del Turco editore, Firenze 1951,
fig. 348; Idem, Michel-Ange, Éditions Pierre Tisné,
Paris 1951, fig. 348; F. de’ Maffei, Michelangelo’s
lost St. John cit., tav. 3; A. de Bosque, Artistes italiens en Espagne cit., p. 381; Charles de Tolnay, Michelangelo sculptor, painter, architect, Princeton
University Press, Princeton 1975, fig. 361; J.V.
Lombardo, Michelangelo: new discoveries cit., fig.
2; Charles de Tolnay, Miguel Ángel escultor, pintor
y arquitecto, Alianza Editorial, Madrid 1985, fig.
361; A. Moreno Mendoza, El San Juanito atribuido
a Miguel Ángel cit., pp. 56 e 61 (insieme e dettaglio
della testa, stampati in controparte per errore). Del-
74. Michelangelo (e anonimo continuatore dei primi
decenni del Seicento): ‘Cristo redentore’ (1514-16)
(particolare). Bassano Romano, San Vincenzo Martire.
la monografia di Tolnay esiste anche un’edizione
giapponese del 1978 (sempre con la stessa foto),
che non sto a citare precisamente.
– KHIF 81476a (Huntley): fig. 3.
– KHIF 81476b (Huntley): fig. 10.
– KHIF 81477 (Huntley): fig. 15.
– KHIF 81478a (Huntley): fig. 5; Giovinezza di Michelangelo, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo
Vecchio, Sala d’Arme, e Casa Buonarroti, 6 ottobre
1999 - 9 gennaio 2000), a cura di Kathleen WeilGarris Brandt, Cristina Acidini Luchinat, James
David Draper, Nicholas Penny, ArtificioSkira, Firenze-Ginevra-Milano 1999, p. 339.
– KHIF 81478b (Huntley): fig. 9.
– KHIF 84639a (Ventura/Kriegbaum): fig. 8; A.
Moreno Mendoza, Úbeda renacentista cit., pp. 48 e
49; Idem, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel
cit., pp. 59, 60 (foto in controparte), 62 (foto in controparte) e 66 (foto capovolta).
– KHIF 84639b (Ventura/Kriegbaum): fig. 7.
– KHIF 84640a (Ventura/Kriegbaum): fig. 12.
– KHIF 84640b (Ventura/Kriegbaum): fig. 11.
– KHIF 84641a (Ventura/Kriegbaum): fig. 16; A.
de Bosque, Artistes italiens en Espagne cit., p. 381.
– KHIF 84641b (Ventura/Kriegbaum): fig. 17; A.
[Saggi] 63
75. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 11). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
de Bosque, Artistes italiens en Espagne cit., p. 381.
80) La rottura del collo e dell’indice destro è rilevata già presso M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en España cit., p. 190, che dice i due
pezzi anche “pegados”, facendo dunque pensare
che la foto con il dito restaurato sia del 1930 o di
subito prima: ma le foto di Huntley, che dovrebbero essere posteriori sia pur di poco all’articolo di
64 [Saggi]
Gómez-Moreno, mostrano la lacuna del dito, esattamente come quella dell’Arxiu Mas, che è del
1924 (sopra, nota 79). Non è chiaro, inoltre, se l’indice visibile nella foto di Gómez-Moreno fosse ancora quello originario (come sembrava ritenere lo
stesso studioso, seguito da A. Moreno Mendoza, El
San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., p. 54), e
non fosse invece già del tutto rifatto (come induce
decisamente a credere il foro alla radice del dito,
praticato per inserirvi un pernio metallico di giunzione, e osservabile soprattutto nella mia fig. 17).
81) La medesima soluzione “Michelangelo zugeschr.” era stata adottata da Middeldorf per il preteso ‘San Giovannino’ di Berlino, presente al KHIF,
nelle cartelle michelangiolesche, attraverso un’importante campagna di undici fotografie, tuttavia reperibili anche presso altre istituzioni e ditte: 10886
(Alinari 2442, ex 12301), 12306 (Alinari 2443, ex
9465), 60066 (Schwarz, Berlino), 64334-64340
(Schwarz), 64403 (Schwarz). Solo il cartone 12306
porta segnato, di altra mano, “Pieratti?”.
82) U. Middeldorf, Letter to the Editor cit.
83) C. de Tolnay, The Youth of Michelangelo cit.,
edd. 1943 e 1947 citt., figg. 256-259 (esemplare
Morgan), 260-263 (esemplare di Berlino).
84) C. de Tolnay, The Youth of Michelangelo cit., ed.
1947 cit., p. 200 e fig. 164b.
85) Sopra, nota 79. Un’eco dell’atteggiamento di
Tolnay, rimasto evidentemente ben saldo nella memoria degli studiosi statunitensi, la dà la scheda dedicata nel 1999 alla “Madonna di Manchester” da
Kathleen Weil-Garris Brandt all’interno del catalogo
della mostra Giovinezza di Michelangelo cit., pp.
334-341 n. 46. Discutendo del San Giovannino inserito nella pala di Michelangelo oggi a Londra (mia
fig. 84), la studiosa riprende l’idea – largamente diffusa nella storiografia novecentesca anche per merito dello stesso Tolnay – che esso potesse essere molto vicino al ‘San Giovannino’ marmoreo, perduto,
del maestro. A quest’ultimo proposito, pur senza mai
citarla nella scheda, la studiosa riproduce a p. 339 la
statua di Úbeda (cfr sopra, nota 79), attribuendola in
didascalia all’“ambito michelangiolesco”.
86) Ulrich Middeldorf, recensione di H. Kauffmann, Donatello cit., in ‘The Art Bulletin’, XVIII,
1936, pp. 570-585 (p. 582), poi in U. Middeldorf,
Raccolta di Scritti cit., I cit., pp. 229-262 (p. 252);
Idem, Sangallo, Francesco da, gen. Il Margotta, in
Ulrich Thieme, Felix Becker, Allgemeines Lexikon
der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, E.A. Seemann, Leipzig, XXIX, 1935, pp.
404-406 (p. 405); Ulrich Middeldorf, Portraits by
Francesco da Sangallo, in ‘The Art Quarterly’, I,
1938, pp. 109-138 (p. 134 e note 29-30 [p. 137]),
poi in U. Middeldorf, Raccolta di Scritti cit., I cit.,
pp. 305-327 e figg. 197-210 (p. 324 e note 29-30).
87) La completa dissociazione dalla proposta di
Parronchi è abilmente rivelata da Ulrich Middeldorf, The Crucifixes of Taddeo Curradi, in ‘The
Burlington Magazine’, CXX, 1978, pp. 806-810 (in
part. pp. 809 nota 20, 810 nota 41): un articolo,
questo, che, malgrado il titolo surrettizio, è tutto sul
‘Crocifisso’ di Santo Spirito.
88) Tutte le foto dell’opera possedute dal KHIF sono oggi collocate tra gli anonimi, dopo essere state
prima sotto Francesco da Sangallo e poi sotto Michelangelo. L’intero fascicolo, intestato adesso a un
ignoto del ’500, era prima segnato così, per mano di
Middeldorf: “Michelangelo??? / Bargello / S. Giovanni”. Su sei immagini all’interno rimane traccia
della precedente attribuzione autografa di Middeldorf a “Franc. Sangallo” (26252, 58124, 6517865181). Su un’altra foto, Middeldorf ha cancellato
un’attribuzione originaria a “Francesco Sangallo”
vergata da qualche suo collega, e ha scritto il nome
di Michelangelo, ma tra virgolette assai eloquenti
(106179). Su tre foto successive è stata posta (da
Irene Hueck) un’attribuzione iniziale a Michelangelo, nel frattempo cassata, ma subito spiegabile
col fatto che quest’ultime immagini sono un dono
di Parronchi (207969, 207970, 207971).
89) Margrit Lisner, Holzkruzifixe in Florenz und in
der Toskana von der Zeit um 1300 bis zum frühen
Cinquecento, Kunsthistorisches Institut in Florenz
– Bruckmann, München 1970, p. 114 e nota 25 (p.
119).
90) A. Parronchi, Donatello e Michelangelo cit., p.
14 nota 36. Per l’intreccio con la vertenza sul ‘Crocifisso’ di Santo Spirito cfr in part. Idem, Michelangelo e Taddeo Curradi (1979), in Idem, Opere
giovanili di Michelangelo cit., III, Miscellanea michelangiolesca, MCMLXXXI, pp. 39-45, e poi il
testo del 2003 ivi, VI cit., pp. 97-98, dove Parronchi, nel ricordare ancora una volta l’appoggio di
Middeldorf alle sue proposte, accampa perfino
quello orale di Giorgio Morandi e di Roberto Longhi per il ‘San Giovanni gradivo’ sangallesco come
opera di Michelangelo.
91) Cfr p.e. María Elena Gomez-Moreno, Breve historia de la escultura española, Blass, S.A., Madrid
1935, p. 55 (senza ill.), e Segunda edición, refundida y ampliada, Editorial Dossat, S.A., Madrid 1951,
p. 77 (senza ill.); J.M. Azcárate, Escultura del siglo
XVI cit., pp. 24-25 e 29 fig. 13 (sopra, nota 67);
Juan Pasquau, Cobos, secretario del Emperador,
nel ‘Boletín del Instituto de Estudios Giennenses’,
17, 1958, pp. 143-148 (p. 146, senza ill.); Summa
artis: historia general del arte, dirigida por José Pijoán, Espasa-Calpe, S.A., Madrid, XVIII, José Camón Aznar, La escultura y la rejería españolas del
siglo XVI, 1961, 5ª ed., 1986, p. 307, e 9ª ed., 1998,
p. 307, senza ill. (dubbioso); J. Camón Aznar, Miguel Ángel cit., pp. 179 (fig.), 180 e note 15-16 (non
più dubbioso, ma assai confuso nel mantenere a Michelangelo, con una datazione “hacia 1493”, anche
il “San Juan Bautista en Pisa” – evidentemente
quello già a Berlino – e nel rilanciare la notizia del
‘Battista’ Girardon); Santiago Sebastián López, Interpretación iconológica de El Salvador de Úbeda,
nel ‘Boletín del Seminario de Estudios de Arte y Arqueología. Universidad de Valladolid, Facultad de
Filosofía y Letras’, XLIII, 1977, pp. 189-202 (p.
189, senza ill.); Fernando Checa, Pintura y escultura del Renacimiento en España, 1450-1600, Ediciones Cátedra, S.A., Madrid 1983, p. 215 (senza ill.),
e 4ª ed., 1999, p. 215 (senza ill.); Fernando Chueca
[Goitia], Andrés de Vandelvira, arquitecto, nell’Homenaje a Julián Marías, comisión organizadora:
Fernando Chueca Goitia, Enrique Lafuente Ferrari,
Rafael Lapesa Melgar, Manuel de Terán Álvarez,
Espasa Calpe, S.A., Madrid 1984, pp. 189-196 (p.
194); Margarita M. Estella Marcos, La escultura
barroca de marfil en España: las escuelas europeas
y las coloniales, Consejo Superior de Investigaciones Científicas - Instituto Diego Velázquez, Madrid
1984, I, p. 144 (senza ill.); A. Moreno Mendoza,
Úbeda renacentista cit., pp. 45-48 e note 37-49 (p.
64), con due figg. a pp. 48 e 49; Idem, Francisco de
los Cobos, mecenas de las artes cit., pp. 32 (ill.),
36-38 e note 49-65 (p. 39); Mari-Tere Álvarez Oller, Francisco de los Cobos: su gusto y mecenazgo,
in Francisco de los Cobos y su época cit., pp. 40-47
(pp. 40, 42, 44 e note 26-30 [p. 47]: “erróneamente
attribuido a Miguel Ángel por Gómez-Moreno”); A.
Moreno Mendoza, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit.; José Manuel Almansa Moreno,
Escultura y escultores en la Úbeda del siglo XVI, in
Úbeda en el siglo XVI, director Arsenio Moreno
Mendoza, coordinador José Manuel Almansa Moreno, Fundación Renacimiento - Editora y Distribuidora El Olivo S.L.L., Úbeda 2002, pp. 471-504 (p.
486, senza ill.).
92) Per questa bibliografia si veda oltre, testo e note 145-147.
93) C. de Tolnay, The Youth of Michelangelo cit., ed.
1943 cit., p. 199; M. Weinberger, rec. del precedente, cit., pp. 71-72 e note 11-15; C. de Tolnay, Notes
Concerning The Youth of Michelangelo: A Reply
cit., p. 142 n. 3; e poi ancora Idem, The Youth of Michelangelo cit., ed. 1947 cit., p. 199. La critica di
Weinberger a Tolnay non riguardava il significato
di “Giovannino”, ma il fatto che Tolnay avesse cercato riflessi dell’opera michelangiolesca perduta in
troppe statue e disegni non conciliabili tra loro, sia
nelle pose, sia perché rappresentavano a volte dei
bambini e altre dei giovani. Ancora vent’anni dopo,
Tolnay ripeteva che “the name Giovannino can be
applied to St. John as an infant or as a youth”
(Charles de Tolnay, Michelangelo Buonarroti, nella
Encyclopedia of World Art, McGraw-Hill Book
Company, Inc., New York et alibi, IX, 1964, coll.
862-914: col. 870).
94) È sufficiente il rinvio a www.memofonte.it e alla sua larga messe di materiali (non solo biografie,
storie e trattati, ma anche guide, carteggi, ricordanze, inventari).
76. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino e San
Giovannino’ (Tondo Taddei) (1504 circa) (particolare).
Londra, Royal Academy of Arts.
95) G. Vasari, La Vita di Michelangelo cit., I, p. 15:
Idem, Le Vite cit., VI cit., p. 14; Il Riposo di Raffaello Borghini cit., p. 512.
96) G. Vasari, Le Vite cit., III, Sansoni editore,
MDCCCCLXXI, p. 230 (Giuntina, I, p. 339); Il Riposo di Raffaello Borghini cit., p. 323.
97) G. Vasari, Le Vite cit., III cit., p. 213 (Torrentiniana, p. 342; Giuntina, I, p. 331); Il Riposo di Raffaello Borghini cit., p. 320. A causa della ripetuta
comparsa del ‘San Giovanni’ Martelli al centro de-
gli apparati per i battesimi cinquecenteschi dei
principi medicei nel Battistero fiorentino, Vasari ha
modo di tornare sopra di esso nella Vita del Tribolo, a proposito del battesimo del futuro granduca
Francesco I nel 1541 (“il San Giovan Battista di
marmo alto braccia tre, di mano di Donatello, che
fu lasciato da lui nelle case di Gismondo Martelli”:
Le Vite cit., V, S.P.E.S., MDCCCCLXXXIV, p. 220,
dalla Giuntina, II, p. 411); e poi ancora, lodandolo
come “una bellissima statua di marmo di San Giovanni Battista, alta circa tre braccia, di mano di Donatello, eccellentissimo scultore, la quale si è havu-
[Saggi] 65
77. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 16). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
ta di casa i Martelli”, nella Descrizione dell’apparato fatto nel tempio di San Giovanni di Fiorenza
per lo battesimo della signora [Leonora] prima figliuola dell’illustrissimo et eccellentissimo signor
principe di Fiorenza et Siena don Francesco Medici e della serenissima reina Giavanna [sic] d’Austria, In Fiorenza, appresso i Giunti, 1568, p. 3 (ora
anche in rete, a cura di Charles Davis, 2008:
http://archiv.ub.uni-heidelberg.de/artdok/volltexte/
2008/425/). Cfr anche oltre, testo e nota 141.
98) G. Vasari, Le Vite cit., III cit., p. 525 (Torrentiniana, p. 506; Giuntina, I, pp. 476-477); Il Riposo
di Raffaello Borghini cit., p. 353.
99) Francesco Bocchi, Le bellezze della città di
Fiorenza, dove a pieno di pittura, di scultura, di sacri tempii, di palazzi i più notabili artifizii et più
preziosi si contengono, s.e., In Fiorenza MDXCI,
pp. 10-11 e 41.
100) Cornelio de Fabriczy, Il Libro di Antonio Billi
e le sue copie nella Biblioteca Nazionale di Firenze, nell’‘Archivio storico italiano’, s. V, VII, 1891,
pp. 299-368 (pp. 321 e 366), e anche in estratto, Coi
tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana, Firenze 1891,
pp. 25 e 70; Il libro di Antonio Billi esistente in due
copie nella Biblioteca Nazionale di Firenze, herausgegeben von Carl Frey, G. Grote’sche Verlagsbuchhandlung, Berlin 1892, pp. 42 e 43.
101) Carl Frey, Il Codice Magliabechiano cl.
XVII.17 [...], herausgegeben und mit einem Abrisse
über die florentinische Kunsthistoriographie bis auf
G. Vasari versehen, G. Grote’sche Verlagsbuchhandlung, Berlin 1892, p. 77; Cornelio de Fabriczy,
Il codice dell’Anonimo Gaddiano (cod. Magliabe-
66 [Saggi]
chiano XVII, 17) nella Biblioteca Nazionale di Firenze, nell’‘Archivio Storico Italiano’, s. V, XII,
1893, pp. 15-94 (p. 66), e anche in estratto, Coi tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana, Firenze 1893,
p. 54.
102) Venti vite d’artisti di Giovanni Battista Gelli,
a cura di Girolamo Mancini, nell’‘Archivio storico
italiano’, s. V, XVII, 1896, pp. 32-62 (p. 59), e anche in estratto, Coi tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana, Firenze 1896, p. 40. Si veda inoltre il rimaneggiamento anonimo cinquecentesco del Memoriale di Francesco Albertini (1510) nella Biblioteca
Angelica di Roma, reso noto da Enzo Bentivoglio,
Un manoscritto inedito connesso al “Memoriale di
molte statue et picture” di Francesco Albertini, nelle ‘Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in
Florenz’, XXIV, 1980, pp. 345-356: “In chasa de’
Martelli è uno Santo Giovanni di marmo di Donatello” (p. 351).
103) F. Bocchi, Le bellezze della città di Fiorenza
cit., p. [XII].
104) Su questo maestro, identificato negli ultimi
tempi, alternativamente, con il giovane Jacopo Sansovino e da me con il giovane Benedetto da Rovezzano, mi permetto di rinviare a due mie voci recenti, nelle quali si trovano prove ulteriori a favore del
secondo: Benedetto da Rovezzano in England: new
light on the Cardinal Wolsey-Henry VIII tomb, in
The Anglo-Florentine Renaissance: art for the early
Tudors, edited by Cinzia M. Sicca Bursill-Hall and
Louis A. Waldman, The Yale Center for British Art
/ The Paul Mellon Centre for Studies in British Art
– Yale University Press (Studies in British Art 22),
New Haven - London 2012, pp. 177-202; e Benedetto di Bartolomeo Grazzini, dit Benedetto da Rovezzano […], Saint Jean-Baptiste […], vers 15001510, in Galerie Charles Ratton & Guy Ladrière.
D’Agostino di Duccio à Caffieri: du 12 au 22 septembre 2012 […], Galerie Charles Ratton & Guy
Ladrière, Paris 2012, pp. 22-27.
78. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
105) Il libro delle ricordanze di Giorgio Vasari, a
cura di Alessandro Del Vita, Dalla Casa Vasari,
Arezzo 1927 (ma di fatto: Edizioni della Casa Vasari, Arezzo 1929), p. 100. Il dipinto sembra disperso.
106) Da tale rassegna sintetica ma ben rappresentativa del Quattrocento fiorentino escludo la statua in
terracotta del ‘San Giovannino’ infante e gradivo al
Bargello, tradizionalmente attribuita a Michelozzo
(fig. 41): e non solo perché non è di marmo, ma
perché, a mio avviso, non ha nulla a che vedere con
Michelozzo, mentre spetta a un maestro fiorentino
di quasi un secolo dopo, nel primissimo Cinquecento. Il riferimento a Michelozzo scaturisce da un
curioso equivoco storiografico e topografico a catena, schematizzabile nei seguenti passaggi: 1) da
Vasari fino al primo Ottocento il ‘San Giovannino’
marmoreo di Rossellino nella lunetta della porta –
sempre marmorea – di San Giovanni (realizzata con
esso nel 1477) fu preso erroneamente per Michelozzo (sopra, testo e nota 96); 2) nel 1824 la statua
(alta cm 90 circa) fu portata agli Uffizi, e sostituita
non molto dopo con il ‘San Giovannino’ fittile (alto cm 70 circa), di cui nulla è noto prima di quella
data; 3) a metà Ottocento furono riscoperti i documenti del 1477 che restituivano la figura marmorea
a Rossellino; 4) l’attribuzione di Vasari a Michelozzo fu dunque presto adattata all’esemplare fittile allora nella lunetta dell’Opera, sia da parte degli
studiosi meno avvertiti (che avevano già dimenticato l’antica presenza del Rossellino in quel luogo),
sia da parte di coloro che volevano in qualche modo spiegarsi la svista vasariana. Verso lo scadere
dell’Ottocento anche l’esemplare fittile passò al
Bargello, e fu rimpiazzato nella lunetta, fino a oggi, da una copia moderna (laddove avrebbe avuto
ben più senso una copia del Rossellino in marmo).
Conosco una versione marmorea inedita del ‘San
Giovannino’ fittile, attualmente sul mercato antiquario parigino, che è tagliata ab antiquo subito al
di sotto del bacino, e che ha tutta l’aria di appartenere al medesimo autore della terracotta. Una replica fittile coeva dell’intera figura, eseguita liberamente ma debolmente, con le due varianti del cartiglio più lungo e svolazzante, e di una valva di conchiglia per battezzare appesa alla cintola, si trovava
poco meno di un secolo fa nella collezione di Percy
ed Edith Straus a New York (e la conosco da una fotografia del fondo Leo Planiscig nella fototeca storica del Museo Nazionale del Bargello). Nel 1944
la raccolta fu donata al Museum of Fine Arts di
Houston, dove si trova tuttora (il ‘San Giovannino’
con il n. inv. 44-590): cfr il Catalogue of the Edith
A. and Percy S. Straus Collection, Museum of Fine
Arts of Houston, Museum of Fine Arts, Houston
1945 (p. 32 per il ‘San Giovannino’, alto 20 pollici
e tre quarti, cioè cm 52,7, e attribuito, prevedibilmente, a Michelozzo).
107) Per orientarsi nell’iconografia specialmente
fiorentina di San Giovannino sono sempre utili i
saggi di apertura di Marilyn Aronberg Lavin, Giovannino Battista: a study in Renaissance religious
symbolism, in ‘The Art Bulletin’, XXXVII, 1955,
pp. 85-101, e Giovannino Battista: a supplement,
ivi, XLIII, 1961, pp. 319-326. A essi si aggiunge
ora (limitatamente ai busti scolpiti) Linda Pisani,
San Giovannino Battista nei busti del Rinascimento fiorentino cit. Quest’ultima autrice si pone il
quesito dell’età dei soggetti rappresentati (p. 117 e
note), ma conclude curiosamente che essa “varia all’incirca dai sette ai quattordici anni” (secondo il
concetto classicamente ampio di pueritia messo a
punto da Isidoro di Siviglia “e ripreso da Matteo
Palmieri e da altri umanisti”), laddove la grande
maggioranza delle opere da lei discusse e riprodotte si tiene al di sotto dei sette anni, cioè nell’infanzia più stretta.
108) Sulla dipendenza immediata del ‘San Giovannino’ Morgan da quello Martelli insisté fin da subito W.R. Valentiner, Michelangelo’s lost “Giovannino” cit., in modo quasi sillogistico, per mostrare
che una simile fedeltà donatelliana non poteva che
essere del giovane Michelangelo, mentre gli pareva
estranea a Rustici (già proposto da Middeldorf come artefice dell’opera), poiché la sua formazione
sarebbe stata tutta tra Verrocchio e Leonardo. La
consapevolezza di quanto anche il ‘San Giovannino’ di Benedetto da Maiano debba al Donatello
Martelli emerge – almeno nella bibliografia michelangiolesca e cinquecentesca – soltanto con C. de
Tolnay, The Youth of Michelangelo cit., edd. 1943 e
1947 citt., p. 200 e figg. 163-164. Dopo di allora la
maturazione degli studi su Rustici ha permesso non
solo di consolidare la restituzione middeldorfiana
del ‘San Giovannino’ Morgan, ma anche di mostrare che qui il debito di Rustici verso Donatello passa attraverso Benedetto da Maiano, figura-chiave
nella formazione di Rustici almeno come maestro
del marmo. La sequenza Martelli - Palazzo Vecchio
- Morgan non ha dunque soluzione di continuità. Si
veda in part. P. Sénéchal, Giovan Francesco Rustici
cit., pp. 31-33 e figg. 17-20.
109) Osservazioni in parte complementari alle mie
sui contatti tra il ‘San Giovanni’ rovezzanesco e il
modello Martelli si leggono in G. de Simone, Benedetto da Rovezzano […], San Giovanni Battista
fanciullo […], Roma cit., p. 242 e fig. a.
110) Così già, finemente, M. Aronberg Lavin, Giovannino Battista: a supplement cit., p. 98 nota 80 e
fig. 25. Per i riscontri figurativi: Eadem, Giovannino Battista: a study cit., figg. 6-8. Per una trattazione sull’opera nell’ambito stretto della bibliografia rosselliniana: Erich Charles Apfelstadt, The later sculpture of Antonio Rossellino, Ph.D. Thesis,
Princeton University 1987, pp. 314-325 e note,
536-540 figg. 110-118. Il ‘San Giovannino’ fittile
del Bargello attribuito comunemente ed erroneamente a Michelozzo (fig. 41; sopra, nota 106) riprende in modo libero il marmo di Rossellino, ma
ad una data che rischia di essere ormai successiva al
79. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
‘San Giovannino’ di Michelangelo per i Medici.
111) Una pianticella analoga avvolge più tardi il
tronco su cui siede il bellissimo ‘Battista’ di Jacopo
Sansovino ai Frari di Venezia (1535 circa). Ma ben
più notevole di tale ripresa è, per il motivo del tralcio, il modello pre-michelangiolesco del ‘Battista’
di Niccolò dell’Arca (fig. 86), su cui cfr oltre, nota
113.
112) Per la prima versione del ‘Cristo’ della Minerva, notoriamente abbandonata dal maestro, quindi
completata nel primo Seicento, e riscoperta nel
2000 da Irene Baldriga a Bassano Romano, si vedano in part. Irene Baldriga, The first version of Michelangelo’s Christ for S. Maria sopra Minerva, in
‘The Burlington Magazine’, CXLII, 2000, pp. 740745; Silvia Danesi Squarzina, The Bassano ‘Christ
the Redeemer’ in the Giustiniani collection, ivi, pp.
746-751; e Irene Baldriga, Michelangelo Buonarroti […], Cristo risorto […], Bassano Romano, chiesa di San Vincenzo Martire […], ne Il primato dei
toscani nelle Vite del Vasari, catalogo della mostra
(Arezzo, Basilica Inferiore di San Francesco, 3 settembre 2011 - 9 gennaio 2012), a cura di Paola Refice, Edifir, Firenze 2011, pp. 424-429.
113) Nella versione marmorea di questi risvolti di
pelle, è come se l’autore conoscesse il ‘Battista’ di
Niccolò dell’Arca (fig. 86) donato poi da Filippo II
di Spagna (1586) all’Escorial, dove si trova tuttora
(Xavier de Salas, The St. John of Niccolò dell’Arca,
negli Essays in the History of Art presented to Rudolf Wittkower, edited by Douglas Fraser, Howard
Hibbard & Milton J. Levine, Phaidon Press, London 1967, pp. 89-92 e figg. XII.1-XII.3). Il legame
tra la statua di Úbeda e quella dell’Escorial è anche,
come ho già detto, nel rampicante intorno all’albero (sopra, nota 111). Le più antiche fonti cronistiche bolognesi (De Salas, p. 89 nota 2) attestano che
Niccolò, morendo il 2 marzo 1494, lasciò il ‘Battista’, perfettamente compiuto, ai suoi due figli perché lo vendessero, e che esso passò poco dopo in
Spagna con un guadagno assai cospicuo. Nulla di
più facile, dunque, che Michelangelo, successore di
Niccolò per l’Arca di San Domenico tra il 1494 e il
1495, ammirasse di lui anche il ‘Battista’ poco prima della partenza per la Spagna, ricordandosene
appena poco dopo nel ‘San Giovannino’.
114) Malgrado il rifiuto recente da parte di M.
Hirst, Michelangelo. I. The achievement of fame
cit., p. 12 e nota 52 (p. 272), sono sempre più convinto, insieme a Margrit Lisner (dal suo primo saggio, Zu Benedetto da Maiano und Michelangelo,
nella ‘Zeitschrift für Kunstwissenschaft’, XII,
1958, pp. 141-156, fino all’ultimo, Michelangelos
Anfänge: Gedanken zu seinen ersten rundplastischen Arbeiten, nel ‘Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst’, s. III, LII, 2001, pp. 17-58), che solo un tirocinio iniziale presso Benedetto da Maiano
possa spiegare il magistero marmoreo di Michelangelo, esattamente come l’apprendistato presso Domenico del Ghirlandaio ne spiega il magistero pittorico. Che Michelangelo scultore abbia dato presto
una svolta originalissima e irreversibile alla sua formazione grazie alle proprie doti, agli stimoli di Ca-
[Saggi] 67
68 [Saggi]
80. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo
(particolare, come nella fig. 17). Úbeda,
Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936).
81. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
[Saggi] 69
82. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare
tratto dalla fig. 12). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato
prima del luglio 1936).
sa Medici, al Giardino di San Marco, all’imitazione
di Bertoldo e di Donatello, all’esperienza dell’antico e all’incontro bolognese con le figure potenti di
Jacopo della Quercia e con i marmi miracolosi di
Niccolò dell’Arca, è ormai un abbiccì da manuale.
Ma se egli non frequentò da garzone la bottega
maianesca, vorrebbe dire che riuscì a carpirne i segreti attraverso strade nascoste e infine assai più
tortuose e lunghe, tale è la coerenza di trasmissione
da quella a lui, e tale la riconoscibilità dei modi tecnici maianeschi ancora in opere come la ‘Pietà’ va-
70 [Saggi]
ticana, nonostante la potenza di fuoco inventivo
scatenata da Michelangelo. Meglio, dunque, rassegnarsi alla soluzione diretta del rapporto maestroallievo. La renitenza diffusa a riconoscere in Benedetto il primo insegnante di Michelangelo nel marmo sembra nascere, ancora una volta, dal fatto che
i più autorevoli studiosi buonarrotiani sono stati fin
qui specialisti del Cinquecento.
115) Cfr per tutti Janet Cox-Rearick, The Drawings
of Pontormo, Harvard University Press, Cambridge
(Massachusetts) 1964: 2ª ed., The Drawings of Pontormo. A Catalogue Raisonné with Notes on the
Paintings, Hacker Art Books, New York 1981, I, pp.
34-35, 163-164 n. 101 e nota 8, e II, fig. 100.
116) A. Condivi, Vita di Michelagnolo Buonarroti
cit., p. 19.
117) Ivi, p. 17. Questa indicazione sul ‘Cupido’ mi-
chelangiolesco è stata trascurata troppe volte da coloro che hanno ricercato l’opera originale, o una
sua derivazione, fra decine di ‘Amorini’ dormienti
di età compresa fra i pochi mesi e i due-tre anni. È
evidente che l’età del ‘Cupido giacente’ michelangiolesco comportava un’eccezione rispetto alla tradizione classica del genere, proprio come il ‘San
Giovannino’ fanciullo di Úbeda comporta un’eccezione rispetto alla tradizione statuaria fiorentina dei
‘Santi Giovannini’ infanti o dei ‘Santi Giovanni’
adolescenti e giovinetti. Vari mesi dopo, Michelangelo avrebbe scolpito a Roma, per il banchiere fiorentino Jacopo Galli, un ‘Cupido stante’ appena un
po’ più adulto di quello giacente e del ‘San Giovannino’ di Úbeda: oltre, nota 121.
118) Di contro a quel che credeva M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en España cit., pp.
189-190 (seguito da A. Moreno Mendoza, El San
Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., p. 53), si può
escludere decisamente che la mano destra del ‘San
Giovannino’ stringesse in origine “la vara crucífera
de costumbre”, poi scomparsa. Questo attributo, di
qualunque dimensione fosse stato, avrebbe disturbato l’immagine del tutto inutilmente. Forse, invece, la rottura dell’indice fu procurata da una “vara
crucífera” posticcia, inserita con forza quando la
statua era ormai da tempo in Spagna, e successivamente caduta. Quanto al cartiglio, destinato ad accogliere in simili casi un testo epigrafico come “Ecce agnus Dei”, si può presumere facilmente che Michelangelo non abbia mai pensato di scrivervi sopra
davvero (cfr invece M. Gómez-Moreno, Obras de
Miguel Ángel en España cit., p. 190, e A. Moreno
Mendoza, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel
cit., p. 53).
119) Prim’ancora che nel Tondo Taddei, l’attributo
della coppetta, non frequente nell’iconografia del
Battista ancora infante o fanciullo, compare presso
quel petit maître vicinissimo al giovane Michelangelo che è stato impropriamente ribattezzato ‘Maestro della Madonna di Manchester’, e che ora conserva quest’etichetta pur avendo nel frattempo rinunciato proprio all’opera eponima. Penso naturalmente al tondo della ‘Madonna col Bambino e San
Giovannino’ oggi a Vienna, Akademie der Bildenden Künste, riprodotto e discusso fra gli altri da Michael Hirst, The artist in Rome 1496-1501, in Idem,
Jill Dunkerton, The young Michelangelo. The artist
in Rome 1496-1501 – Michelangelo as a painter on
panel [The National Gallery, London, 19 October
1994 - 15 January 1995], National Gallery Publications - Yale University Press, London - New
Haven 1994, pp. 13-81 (pp. 38 fig. 24, 39-40 e note 9 e 11 [p. 76]). Per la possibilità che questo anonimo sia in effetti Piero d’Argenta si veda il saggio
di Hirst appena ricordato, e poi ancora Giovanni
Agosti e Michael Hirst, Michelangelo, Piero d’Argenta and the ‘Stigmatisation of St Francis’, in
‘The Burlington Magazine’, CXXXVIII, 1996, pp.
683-684.
120) Ho ricordato nel paragrafo precedente che la
testa si veda rotta alla radice del collo, ma senza ulteriori perdite, già in tutte le foto anteriori al 1936.
121) Finora è rimasto fuori dal discorso il ‘Cupido’
di Casa Galli a Roma, opera intermedia fra il ‘San
Giovannino’ e il ‘Bacco’, o concomitante con il
‘Bacco’. Anch’io, seguendo senz’altro Kathleen
Weil-Garris Brandt, A marble in Manhattan: the
case for Michelangelo, in ‘The Burlington Magazine’, CXXXVIII, 1996, pp. 644-659 (e dissentendo da M. Hirst, Michelangelo. I. The achievement of
fame cit., p. 31 e nota 17 [p. 280]), identifico la
scultura col marmo poi Borghese e poi Bardini finito nel secolo scorso a New York e conferito in
prestito nel 2009 al Metropolitan Museum of Art.
Siccome, però, si tratta di un pezzo troppo mutilo e
rovinato, che a differenza del ‘San Giovannino’ di
Úbeda non ha il vantaggio di buone foto storiche di
documentazione integrale, mi vedo costretto a tralasciarlo. Per altra bibliografia essenziale sulla statua Galli: James David Draper, Ango after Michelangelo, in ‘The Burlington Magazine’, CXXXIX,
1997, pp. 398-400; Kathleen Weil-Garris Brandt,
More on Michelangelo and the Manhattan Marble,
ivi, pp. 400-404; Paul Joannides, Michelangelo’s
‘Cupid’: a correction, ivi, CXLV, 2003, pp. 579580.
122) Si vedano soprattutto M. Hirst, The artist in
Rome 1496-1501 cit., in part. pp. 36-46 e note a pp.
75-77 (per il 1497); Nicholas Penny, La ‘Madonna
di Manchester’, in Giovinezza di Michelangelo cit.,
pp. 115-125 (p. 123, per il 1495-96 circa); K. WeilGarris Brandt, scheda 46, ivi, pp. 334-341 (p. 340,
per il 1495-96 circa); e M. Hirst, Michelangelo. I.
The achievement of fame cit., pp. 37-38, 39 e note
45-46 e 52 (pp. 282 e 283), fig. 8 (propenso, sembra, ad arretrare verso la soluzione di Penny e WeilGarris Brandt).
123) Così Karl Frey nel 1907, Johannes Wilde nel
1932-34 e Wilhelm R. Valentiner nel 1942 (ricordati da P. Barocchi, in G. Vasari, La Vita di Michelangelo nelle redazioni del 1550 e del 1568 cit., II, p.
142), e così ancora K. Weil-Garris Brandt, in Giovinezza di Michelangelo cit., p. 340. Per Frey, che
stimava di poter riconoscere la statua (lo ricordo)
nell’‘Aristeo’ Venerosi Pesciolini di Berlino (e dunque i suoi argomenti stilistici non contano), l’estensione cronologica serviva anche a dare a Michelangelo più tempo per lavorarvi: un’opzione non necessaria, vista la quantità degli altri suoi lavori assodati nei mesi e anni precedenti. Invece Johannes
Wilde, Eine Studie Michelangelos nach der Antike,
nelle ‘Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes
in Florenz’, IV, 1932-34, pp. 41-64, partiva dal presupposto sbagliato che il ‘San Giovannino’ – secondo lui perduto – fosse “klein” (ma troppo!), e
ipotizzava perciò che esso venisse cominciato come
elemento dell’Arca di San Domenico a Bologna
(pp. 52-53). La statua di Úbeda è alta circa il doppio dei due ‘Santi protettori’ bolognesi. L’idea di
Wilde piacque moltissimo nel 1942 a W.R. Valentiner, Michelangelo’s statuettes of the Piccolomini
Altar cit., p. 24 nota 14 (p. 44), perché il ‘San Giovanni Battista’ Morgan, che egli aveva nel frattempo riferito a Michelangelo senza sapere di Wilde,
sarebbe stato alto, a sua notizia, proprio come i
‘Santi protettori’: cosa ben falsa, essendoci tra i
dieci e i quindici centimetri di dislivello fra il marmo di New York e i due di Bologna (forse è perciò
che Valentiner estromise tacitamente queste sue affermazioni dalla ristampa mutata del proprio saggio
nel 1950: Michelangelo’s Piccolomini statuettes
and the Madonna in Bruges cit.). Kathleen WeilGarris Brandt, infine, muove dall’ipotesi che il
‘San Giovannino’ – perduto anche secondo lei (sopra, nota 85) – fosse assai prossimo al San Giovannino della “Madonna di Manchester”: e siccome i
confronti più diretti tra questo dipinto e Michelangelo scultore la studiosa li coglie nell’Arca di San
Domenico, ella pone il dipinto a cavallo tra Bologna e Firenze e, con esso, il ‘San Giovannino’
scomparso.
124) Sopra, note 111 e 113.
125) John Shearman, The collections of the
younger branch of the Medici, in ‘The Burlington
Magazine’, CXVII, 1975, pp. 12-27: pp. 25 n. 33
(inventario del 1498, in copia del 1499) e 27 n. 33
(inventario del 1503). Nello stesso anno di questo
contributo ne uscì uno molto prossimo: Webster
Smith, On the original location of the ‘Primavera’,
in ‘The Art Bulletin’, LVII, 1975, pp. 31-40. Il ‘San
Giovannino’ è alle pp. 34 e nota 21, 37 (App. I, n.
4) e 39 (App. II, n. 24).
126) J. Shearman, The collections of the younger
branch of the Medici cit., p. 19 e note 53-55. Naturalmente, che il ‘San Giovannino’ sia definito in
questi documenti come “San Joambaptista” o
“Sancto Giovanni”, senza diminutivo, è cosa più
che normale – all’altezza cronologica di cui parliamo – per delle liste di arredi domestici. Si consideri, p.e., com’è descritta nel celebre inventario postumo di Lorenzo il Magnifico (1492) la pala di Filippo Lippi per la cappella del palazzo di Via Lar-
83. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
ga, oggi a Berlino, nella quale è presente un Precursore coetano di quello di Úbeda: “Una tavola in
su detto altare di legname chon cholonne dallato a
chanali dipinte a marmo biancho e chapitelli messi
d’oro e cornicie et architrave messo d’oro chon uno
fregio in ismusso messo d’oro, dipintovi cherubini,
e in detta tavola una Nostra Donna che adora il
figl[i]uolo ch’ell’à innanzi a’ piedi e uno san Giovanni e uno sancto Bernardo e dicie [sic] Padre
cholla cholomba innanzi, di mano di –” (Libro d’inventario dei beni di Lorenzo il Magnifico, a cura di
Marco Spallanzani e Giovanna Gaeta Bertelà, Associazione ‘Amici del Bargello’ - S.P.E.S., Firenze
1992, p. 23). Col Cinquecento maturo anche gli in-
ventari si lasceranno permeare dalla terminologia
degli artisti e dei collezionisti, accogliendo precisioni come quelle sui ‘Santi Giovannini’.
127) La missiva è ne La storia di Girolamo Savonarola e de’ suoi tempi, narrata da Pasquale Villari con l’aiuto di nuovi documenti [1859-61]. Nuova
edizione aumentata e corretta dall’autore. Seconda
impressione, Successori Le Monnier, Firenze 1898,
II, pp. xxix-xxxj, doc. II, lett. 4; e da qui è riproposta in Di Cafaggiolo e d’altre fabbriche di ceramiche in Toscana, secondo studi e documenti in parte
raccolti dal comm. Gaetano Milanesi. Commentario storico di Gaetano Guasti, Tipografia di G. Barbèra, Firenze 1902, p. 73 e nota 3, che l’ha resa più
direttamente accessibile alla bibliografia artistica.
[Saggi] 71
128) L’ipotesi di una partenza definitiva del ‘San
Giovannino’ da Firenze nel 1497 piaceva molto a F.
de’ Maffei, Michelangelo’s lost St. John cit., p. 35 e
nota 72 (p. 40), la quale inseguiva così un filo – evidentemente debolissimo – fino al ritrovamento del
‘San Giovanni’ Tozzi, quatto secoli dopo, nei pressi di Bologna. Pur contestando con risolutezza che
il marmo Tozzi fosse di Michelangelo e che vi fosse un nesso tra il Mugello mediceo e quei dintorni
di Bologna vagamente evocati dai sostenitori dell’opera, C.A. Isermeyer, Der Giovannino (1495/96)
cit., pp. 316-317 e 318, prestò la massima attenzione alla lettera di Somenzi, che invece non può avere nessun interesse per gli studi michelangioleschi.
129) Per una buona ricostruzione della Casa Vecchia e dei suoi arredi è necessario tener presenti tutti insieme, oltre a quelli di Shearman e di Smith
(nota 125), i seguenti lavori: Giuseppe Odoardo
Corazzini, Il Chiasso del Traditore e la casa di Lorenzino de’ Medici, nella ‘Miscellanea fiorentina di
erudizione e storia’, I, 1886, pp. 177-183; Isabelle
Hyman, Fifteenth Century Florentine Studies. The
Palazzo Medici and a Ledger for the Church of San
Lorenzo, Ph.D. Thesis, New York University
(1968), Garland Publishing, Inc., New York-London 1977, in part. pp. 46 ss. e note, 237 ss.; Howard
Saalman, Philip Mattox, The First Medici Palace,
nel ‘Journal of the Society of Architectural Historians’, XLIV, 1985, pp. 329-345; Doris Carl, La Casa Vecchia dei Medici e il suo giardino, ne Il Palazzo Medici Riccardi di Firenze, a cura di Giovanni
Cherubini e Giovanni Fanelli, Giunti, Firenze 1990,
pp. 38-43; Inventari medicei, 1417-1465: Giovanni
di Bicci, Cosimo e Lorenzo di Giovanni, Piero di
Cosimo, a cura di Marco Spallanzani, Associazione
‘Amici del Bargello’ - S.P.E.S., Firenze 1996, pp.
XIII-XVI e 1-48.
130) Non mi risulta che esistano contributi monografici su queste vertenze (a contrasto con mille
sparsi riferimenti nella letteratura medicea moderna). Ma esse sarebbero minuziosamente ricostruibili grazie alla ricca documentazione ancora conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze, soprattutto nel MaP e nelle Carte Strozziane. Dò qualche
rimando soltanto sulle azioni dei primi anni trenta
del Cinquecento tra i giovani Cosimo e Lorenzino
(con suo fratello Giuliano), peraltro limitandomi alle carte contabili e giudiziarie (cioè tralasciando
quelle epistolari): Carte Strozziane, serie I, 10, cc.
223r-v e 230r-v (1533); e MaP, LXXXI, 30, cc.
444r-448v (maggio 1535); LXXXIII, 58, cc. 359r360v (s.d.); LXXXVI, 4, cc. 23r-38v (maggio-giugno 1535); LXXXVI, 59, cc. 448r-452v (giugno
1535); LXXXIX, 172, cc. 181r-181bis.v (s.d.);
XCIX, 55, cc. 162r-169v (s.d.); CXXIV, 703, cc.
752r-753v (luglio 1533); CXXVIII, cc. 370r-402v
(giugno 1535); CXXVIII, cc. 454r-466v (s.d.);
CXXVIII, cc. 507r-510v (s.d.); CLVII, cc. 97r106v (s.d.); tra le molte numerazioni storiche dei
fogli del MaP, uso quella fissata ora per sempre
dalla digitalizzazione in internet. Una volta arrivato al potere Cosimo, e rimosso completamente dalla scena fiorentina il ramo di Pierfrancesco di Lorenzo di Pierfrancesco, le liti si sarebbero risolte
d’un tratto nel senso che ricorderò tra poco, e sarebbero state perciò dimenticate facilmente quasi
tutte. Ma alcuni cronisti e storici del Cinquecento ci
tengono a ricordare il rancore maturato tra Lorenzino e Cosimo – già allevati insieme – nelle battute
finali del contenzioso (chiuso nel 1535), e il favore
che il duca Alessandro volle accordare, nella vicenda, a Lorenzino: tutto ciò, ovviamente, allo scopo di
enfatizzare la malignità ingrata di Lorenzino verso
Alessandro e la completa estraneità di Cosimo – peraltro verissima – rispetto ai piani diabolici del suo
coerede. Rinvio solo alla Storia fiorentina di Benedetto Varchi, con aggiunte e correzioni tratte dagli
autografi e corredata di note per cura e opera di
Lelio Arbib, A spese della Società Editrice delle
Storie del Nardi e del Varchi, Firenze, III, 1844, p.
72 [Saggi]
253 (libro XV); e alle Istorie fiorentine dall’anno
MDXXVII all’anno MDLV scritte da Bernardo Segni, pubblicate per cura di G[argano] Gargani giusta una copia scritta da Scipione Ammirato, Barbèra, Bianchi e Comp. Firenze 1857, p. 332 (libro
VIII).
131) Sull’uccisione di Alessandro e sulle avventure
di Lorenzino tra il gennaio 1536/37 e la sua morte
abbiamo ora una nuova e seria ricostruzione, fondata su vari inediti degli archivi fiorentini, italiani e
spagnoli: Stefano Dall’Aglio, L’assassino del duca:
esilio e morte di Lorenzino de’ Medici, Leo S.
Olschki editore, Firenze 2011. Nonostante la narrazione diffusa e particolareggiata, l’autore trascorre
quel tanto che gli basta sulle implicazioni patrimoniali della vicenda, decisive, invece, ai fini del mio
discorso.
132) Il testamento originale di Pierfrancesco di Lorenzo di Pierfrancesco di Lorenzo di Giovanni de’
Medici è in ASF, Notarile antecosimiano, 21125
(olim V.202/II), fasc. 1, protocolli testamentari di
ser Lorenzo Violi dal 1519 al 1543, cc. 97r-102r.
133) Si veda anche il priorista anonimo del 1584,
App. I, 11.
134) Sulla presa del potere da parte di Cosimo I nel
1537 esiste ormai una letteratura immensa, che ovviamente non ha senso squadernare in queste note.
Bisogna comunque ripartire sempre dai racconti
copiosi – sino a centinaia di pagine – degli storici
coevi, che sono soprattutto quelli da cui traggo i
piccoli brani nell’Appendice I, indicando per ognuno, in nota, l’edizione più conveniente per affidabilità e reperibilità. Fra i testi moderni rimane utilissimo Giorgio Spini, Cosimo I e l’indipendenza del
principato mediceo (1ª ed., Firenze 1945), 2ª ed.,
Vallecchi, Firenze 1980, cui si può aggiungere, per
tutto il percorso di Cosimo, Roberto Cantagalli,
Cosimo I de’ Medici granduca di Toscana, Mursia,
Milano 1985.
135) Per il 1537 si può guardare in ASF, Capitani di
Parte Guelfa, Numeri rossi, 58 (“Provvisioni e renunzie e confiscazioni circa i ribelli”), cc. 81r-323v
(1535-1543); 92 (Registro d’inventari dei beni dei
ribelli segnato anticamente B, 1530-1544); 94 (Registro d’inventari dei beni dei ribelli segnato R,
1534-1542); 99 (Quaderno di cassa del camarlingo
degli Ufficiali, 1537); 100 (Registro di assegnazioni di beni dei ribelli, 1537-1538); 101 (Registro di
assegnazioni di beni dei ribelli, 1537-1540). I pezzi nn. 100-101 sono importanti per il destino del patrimonio di Baccio Valori e dei suoi congiunti stretti, tra i più celebri condannati fiorentini nel 1537.
Essi trovano corrispondenza solo in parte nelle carte di Casa Valori confluite in ASF, Panciatichi. Senza dare le segnature di quest’ultime per i passaggi
sulle confische, rimando all’accenno di partenza
che ne fa Salvatore Lo Re, «Fresca e rugiadosa in
quella penitenza». La Maddalena, Tiziano e Baccio
Valori, in ‘Intersezioni’, XVIII, 1998, pp. 33-45 (p.
38 nota 26), poi, con alcune modifiche e con il titolo La Maddalena, Tiziano e Baccio Valori, in Salvatore Lo Re, Politica e cultura nella Firenze cosimiana. Studi su Benedetto Varchi, Vecchiarelli editore, Manziana (Roma) 2008, pp. 475-493 (pp.
481-482 nota 26). Sulla confisca dell’‘Apollo’ di
Michelangelo ai danni di Baccio Valori e sul suo
passaggio a Cosimo de’ Medici nel 1537 rinvio qui
alla mia Appendice II.
136) ASF, Otto di Guardia e Balia del Principato,
2694, Bandi dal 14 maggio 1533 al 30 agosto 1555,
bando n. 79.
137) Quelle segnalate sopra alla nota 130 non sono
che una parte minima del tutto. Secondo la rara testimonianza, sicuramente degna di fede, di Giovambattista Cini, principale biografo antico di Cosimo, negli stessi giorni in cui egli trattava con Vitelli per recuperare i beni mobili della Casa Vecchia
si dava ovviamente da fare – ma invano – anche per
convincerlo ad abbandonare la Fortezza, e gli offriva come ricompensa il possesso delle due tenute
medicee del Trebbio e di Cafaggiolo (App. I, n.
10.b). Poiché quest’ultima villa (alla quale gli
sgherri di Vitelli avevano esteso le loro razzie del 9
gennaio: App. I, nn. 4.b, 7) era stata fino al 6 gennaio 1537 di proprietà di Lorenzino e Giuliano di
Pierfrancesco, ecco un’ulteriore conferma della
piena discrezione che Cosimo esercitò fin da subito sul patrimonio dei cugini.
138) App. I, 1.c, 2.b-2.c, 4.b, 5.a-5.b, 6, 7, 8.b, 11.
139) Basti per tutti il rinvio a J. Shearman, The collections of the younger branch of the Medici cit.,
passim, e a W. Smith, On the original location of
the ‘Primavera’ cit., passim.
140) Quest’assenza era già chiara a J. Shearman,
The collections of the younger branch of the Medici cit., p. 19, il quale tuttavia non provava a darne
una spiegazione particolare.
141) Cfr sopra, nota 97. Una statua marmorea del
Battista fu impiegata anche nelle feste battesimali
di don Filippo de’ Medici, primogenito maschio del
granduca Francesco I, nel 1577. Almeno a partire
da Eve Borsook, Art and politics at the Medici
court, II: the baptism of Filippo de’ Medici in 1577,
nelle ‘Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes
in Florenz’, XIII, 1967-68, pp. 95-114, passim, si
crede che l’opera fosse di nuovo il ‘San Giovannino’ Martelli, ma il riscontro che si può fare della
sua menzione presso [Vincenzio Borghini], La descrizione dell’apparato fatto in Firenze nel battesimo del serenissimo Principe di Toscana, In Firenze,
appresso i Giunti, MDLXXVII, p. 23, solleva forti
dubbi: “una statua di marmo di San Giovanni Battista, alta circa due braccia, di mano di Desiderio da
Settignano, opera celebratissima da tutti gl’intendenti e scrittori”. Nelle citazioni abituali del ‘San
Giovannino’ Martelli durante il Cinquecento (sopra, nota 97) esso è detto, perfettamente, di tre
braccia, ed è attribuito, com’è giusto, a Donatello,
senza mai tralasciarne la provenienza Martelli.
Conviene dunque postulare in questo caso un’altra
statua del Battista, non necessariamente di San Giovannino, anche se il riferimento a Desiderio, non
importa quanto esatto, fa in effetti pensare alla raffigurazione di un minore.
142) Qui è necessaria una digressione un po’ lunga
su un “San Giovanni di marmo” protagonista di un
documento del Cinquecento maturo nell’archivio
dell’Opera di Santa Croce a Firenze, che è stato
messo in campo del tutto inutilmente per Michelangelo. Si tratta di una lettera anonima di denuncia
inviata agli Operai di Santa Croce da un padre francescano del convento, scosso per il furto che un suo
confratello, Giovanni Andrea Calandri, aveva perpetrato di un “San Giovanni di marmo” – appunto –
di proprietà del convento stesso in virtù di un dono
fatto a suo tempo dal duca Alessandro de’ Medici.
Una certa sera il Calandri aveva sottratto il marmo
“rinvolto in una balla di lana, fasciato in detta lana,
la quale si rascuchava [sic] ne’ nostri chiostri”, e lo
aveva ceduto a un Filippo Calandri, evidentemente
suo congiunto. Una volta scoperto segretamente da
alcuni, il frate aveva accampato il falso pretesto di
dover assecondare le irresistibili brame di Paolo
Giordano Orsini, duca di Bracciano e “genero del
Gran Duca”: quest’ultimo riferimento permette di
collocare la lettera, che non porta data, tra l’elevazione granducale e la morte di Cosimo I, cioè tra il
1568 e il 1574. La lettera è segnalata da Filippo
Moisé, Santa Croce di Firenze: illustrazione storico-artistica […], con note e copiosi documenti inediti, A spese dell’autore, Firenze 1845, p. 77 e nota
3, con la data errata del 1560 e con un riferimento
interpretativo all’opera trafugata come “un San
Giovannino di marmo”, cosa nient’affatto scontata.
Tale esegesi si aggrava presso Walter ed Elisabeth
Paatz, Die Kirchen von Florenz. Ein kunstgeschichtliches Handbuch, Vittorio Klostermann,
Frankfurt am Main, I, 1940, p. 612 e nota 687 (p.
701), i quali, senza verificare la carta originale del
“1560”, elevano il preteso ‘San Giovannino’ al rango di statua (“Marmorstatue des jungen Johannes”), ipotizzando, benché con cautela: “Bei einer
84. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San
Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”).
Londra, The National Gallery.
[Saggi] 73
Figur dieses Gegenstands aus Medicibesitz könnte
man an Michelangelos verschollene Figur denken”.
Introdotto nella bibliografia michelangiolesca da
C.A. Isermeyer, Der Giovannino (1495/96) cit., p.
318, che rilancia l’interpretazione e le domande dei
Paatz, il documento viene intercettato da qui, ma
anche riscontrato e trascritto (in modo sostanzialmente corretto, come ho verificato sull’originale),
da Alessandro Parronchi, Il San Giovanni Battista
«gradivo» del Bargello cit., ed. 1968 cit., pp. 94-96
e note 9-10 (cfr anche, quasi trent’anni dopo, Idem,
Donatello e Michelangelo cit., pp. 15-16 e note 4244). Tuttavia lo studioso, anziché ridimensionare
l’interpretazione dei Paatz, la ingrossa e ne estrae
un groviglio di conclusioni le più implausibili che
si possano immaginare. Per Parronchi la lettera del
1570 circa sarebbe la prova che il ‘San Giovannino’
di Michelangelo finì per dono dei Medici in Santa
Croce, e da qui, attraverso le collezioni di Paolo
Giordano Orsini, di nuovo ai Medici, e sarebbe
dunque il ‘San Giovanni gradivo’ documentato nella Galleria degli Uffizi a partire dall’inventario del
1704 (cioè la statua di Francesco da Sangallo). Ripercorrendo daccapo questa klimax fuori dalla realtà, si può rilevare per punti che: 1) il “San Giovanni di marmo” potrebbe tranquillamente aver rappresentato il Battista adulto; 2) la facilità con cui esso
fu rubato da una sola persona esclude che fosse
un’opera monumentale, per cui si deve pensare a
una statuetta oppure a un busto (non importa, dunque, se del Battista adulto o di San Giovannino); 3)
nessuna vicenda patrimoniale mai documentata
comporta che un bene dei Medici del ramo di Pierfrancesco il Vecchio andasse poi al duca Alessandro
(semmai il contrario); 4) la lettera di Santa Croce fa
chiaramente capire che il “San Giovanni” rapito
non finì mai nelle mani di Paolo Giordano Orsini;
5) non è per niente automatico che una proprietà
dell’Orsini diventasse poi dei Medici; 6) non si sa
se il “San Giovanni” fu recuperato o no dai francescani. In conclusione, il “San Giovanni” di Santa
Croce non sarà mai né il Sangallo del Bargello né il
‘San Giovannino’ di Michelangelo. Semmai ci si
potrà chiedere, ma solo come vaghissima ipotesi di
lavoro, se esso non sia la misteriosa “statua di marmo di San Giovanni Battista, alta circa due braccia,
di mano di Desiderio da Settignano”, che nel 1577
avrebbe fatto mostra di sé nell’apparato del battesimo di Filippo de’ Medici (sopra, nota 141).
143) La letteratura su Francisco de los Cobos (o
“Covos” senz’altro, come lo si trova perlopiù nominato nell’Italia dei suoi tempi) è potenzialmente
sterminata, poiché tende a coincidere con quella su
Carlo V, sulla Spagna e sul Sacro Romano Impero
nei loro nessi dinastici, sugli equilibri europei del
Cinquecento, sullo sfruttamento delle Indie Occidentali etc. Per fortuna disponiamo di una biografia
moderna assai ben informata, anche e soprattutto su
fonti di prima mano: Hayward Keniston, Francisco
de los Cobos: secretary of the Emperor Charles V,
University of Pittsburgh Press, Pittsburgh [1960]
(spesso citata con le date imprecise 1958 o 1959).
Solo di recente Cobos ha cominciato a essere l’intestatario primo di pubblicazioni storico-artistiche:
in part. Francisco de los Cobos y su época cit.
(1997). Ma le monografie sulla Capilla de El Salvador di Úbeda sono di fatto altrettante voci sul suo
mecenatismo nel campo dell’architettura e delle arti figurative. È recentissima Caroline Horstmeier,
Die Sacra Capilla de El Salvador in Úbeda (Andalusien): eine Studie zur Memorialkunst und Sepulkralkultur der Neuzeit in Spanien, Ph.D. Thesis,
Freie Universität Berlin, Berlin 2011 [2012].
144) Alcuni di questi studi compaiono alle note
145-147.
145) La solida ricostruzione di Diane H. Bodart, Tiziano e Federico II Gonzaga. Storia di un rapporto
di committenza, Bulzoni Editore, Roma 1998, in
part. pp. 26 e nota 37, 71-81 e note passim, 113-114
74 [Saggi]
e note 319-323, 119 e nota 350, 127 e nota 390,
129-130 e note 399-402, 133 e nota 415, 138-139 e
nota 442, 145 nota 480, 171, 210-212 docc. 47-53,
213-217 docc. 55-64, 217 doc. 66, 218 docc. 68-69,
219-220 docc. 71-72, 220-221 docc. 74-75, 222223 doc. 78, 224 doc. 82, 225 doc. 85, 262-263
docc. 168-170, 283 doc. 214, pur incentrata sui dipinti di Tiziano giunti a Cobos dal signore di Mantova, coinvolge molti altri doni d’ogni sorta presentati al segretario di Carlo V e a sua moglie María de
Mendoza.
146) Si vedano soprattutto G. Campori, Tiziano e
gli Estensi cit., in part. pp. 601-604 (la mia citazione da lui è a p. 603); C. Justi, Tizian und Alfons
von Este cit. (che tuttavia – come ho già ricordato
sopra, testo e note 56-58 – fraintende in alcuni
punti essenziali l’esegesi di Campori, capendo che
il ritratto di Alfonso fosse destinato a Carlo V anziché a Cobos); Adolfo Venturi, Storia dell’arte
italiana, Ulrico Hoepli, Milano, IX, La pittura del
Cinquecento. Parte III, 1928, pp. 133-134 (che trascrive gli originali della corrispondenza estense,
mentre Campori li aveva epitomati); e Georg Gronau, Alfonso d’Este und Tizian, nel ‘Jahrbuch der
Kunsthistorischen Sammlungen in Wien’, N.F., II,
1928, pp. 233-246, in part. pp. 237-238 e note 2122, 244-245 docc. A.I-A.X (che ritrascrive più ampiamente gli originali, tralasciandone però almeno
uno, presente in Venturi). L’episodio riceverà di
certo nuova luce entro l’ampio contesto del mecenatismo di Alfonso che potremo leggere presso
Vincenzo Farinella, Alfonso I d’Este, le immagini e
il potere: da Ercole de’ Roberti a Michelangelo,
Officina Libraria, Milano 2013 (in c.d.s.). Intanto,
però, debbo notare che nella bibliografia tizianesca sembra sussistere una certa confusione, nata a
partire da un lapsus di Campori e poi di Venturi,
circa un passaggio breve ma cruciale del carteggio
estense: fra i dipinti di Tiziano che Cobos pretendeva da Alfonso non c’era un ritratto di Carlo V,
mentre era Cobos che, possedendone già uno, gli
voleva mettere accanto il ritratto di Alfonso (lo ha
ben compreso già G. Gronau, Alfonso d’Este cit.,
p. 237 e nota 22; ma si veda, invece, a quale colmo di equivoco arriva ora, dopo una lunga catena,
Giovanni Sassu, La seconda volta. Arte e artisti attorno a Carlo V e Clemente VII a Bologna nel
1532-33, in ‘e-Spania’, 13, giugno 2012, on line,
http://e-spania.revues.org/21366, testo e note 64
ss.). Gli studi degli ultimi quindici anni hanno restituito un ruolo via via maggiore a Cobos nel decollo della fortuna asburgica e spagnola di Tiziano:
cfr per tutti Matteo Mancini, Tiziano e le corti d’Asburgo nei documenti degli archivi spagnoli, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia 1998,
pp. 18 e nota 37, 21-26 e note, 29-30 e nota 76, 3234 e note, 35 e nota 104, 40, e docc. alle pp. 132158 passim (App. I, nn. 1-8, 14-20, 23, 25-33, 35),
con la scorta di molte nuove carte d’archivio.
147) Michael Hirst, Sebastiano’s Pietà for the
Commendador Mayor, in ‘The Burlington
Magazine’, CXIV, 1972, pp. 585-595 (con i rinvii
alle ricerche iniziali di Campori e Ronchini); Clifford
Malcolm Brown, A further document for
Sebastiano’s Ubeda ‘Pietà’, ivi, CXXXII, 1990, pp.
570-571. Sull’opera cfr anche Piers Baker-Bates,
Sebastiano del Piombo’s Úbeda Pietà: between Italy
and Spain, in Art, site and spectacle: studies in early
modern visual culture, edited by David R. Marshall,
The Fine Arts Network, Victoria 2007 (= ‘Melbourne
Art Journal’, 9-10, 2007, pp. 34-43).
148) Si veda, per brevità, il concentrato di testimonianze presso H. Keniston, Francisco de los Cobos
cit., pp. 365-369 e note 19-32 (p. 426), entro un
paragrafo significativamente intitolato alla “venality” di Cobos. Uno squarcio documentario fra i tanti possibili sulle cupidigie dei segretari di Carlo V
si può cogliere più avanti, note 167-168.
149) Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III
cit., pp. 224 e 229 (libro XIV).
150) Cfr per tutti Cesare Guasti, Alcuni fatti della
prima giovinezza di Cosimo I de’ Medici granduca
di Toscana illustrati con documenti contemporanei,
nel ‘Giornale storico degli archivi toscani’, II,
1858, pp. 13-64 e 295-320 (in part. pp. 22, 24, 4964 e 295-320).
151) Si legga per tutte la Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III cit., p. 134 (libro XIV).
152) Pubblicato da Roberto Ridolfi, Francesco
Guicciardini e Cosimo I, nell’‘Archivio storico italiano’, CXXII, 1964, pp. 567-606 (pp. 572-573 nota 9), poi, col titolo Il Guicciardini e Cosimo I, in
Roberto Ridolfi, Studi guicciardiniani, Leo S.
Olschki editore, Firenze MCMLXXVIII, pp. 131181 (pp. 138-139 nota 9).
153) M. Hirst, Sebastiano’s Pietà for the Commendador Mayor cit., pp. 589-590.
154) Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III
cit., p. 243 (libro XIV).
155) Tra le sculture profane di maestri italiani che
Cobos attirò verso la Spagna, due sono ricordate
dallo stesso Vasari nella Vita di Montorsoli, poiché
si tratta di due busti di Carlo V per mano del frate
servita: “Fece di marmo due ritratti del medesimo
principe [Andrea Doria], e due di Carlo Quinto, che
furono portati da Coves in Ispagna” (ed è questa
l’unica menzione di Cobos fatta dal biografo: G.
Vasari, Le Vite cit., V cit., p. 501, dalla Giuntina, II,
p. 617). C’è però qualcosa che non torna in tale narrazione, o nell’esegesi che ne dà di solito la bibliografia moderna, o in entrambe. Vasari sembra alludere a una presenza genovese di Cobos in stretta vicinanza con la realizzazione dei busti (subito dopo,
durante, o subito prima), ma gli studi moderni, pur
accettando tale sottinteso, datano l’episodio tra il
1539 e il 1543 (Martin Weinberger, Portrait busts
by Montorsoli, negli Scritti di storia dell’arte in
onore di Mario Salmi, De Luca editore in Roma,
III, 1963, pp. 39-48 [p. 42]; Birgit Laschke, Fra
Giovan Angelo da Montorsoli. Ein Florentiner
Bildhauer des 16. Jahrhunderts, Gebr. Mann Verlag, Berlin 1993, in part. pp. 17 e nota 55, 59-60 e
note 1-10, 61, 151, 156, 160 nn. 8-9, 220-221 figg.
35-38), senza avvedersi che dopo l’autunno 1536
Cobos non mise più piede a Genova e in Italia (cfr
per tutti H. Keniston, Francisco de los Cobos cit.,
passim, in part. pp. 187 e 223). Inoltre, benché si
conoscano effettivamente due busti carolini di
Montorsoli in marmo, uno al Prado di Madrid e
l’altro nel Museo Nazionale di San Martino a Napoli (B. Laschke, Fra Giovan Angelo da Montorsoli cit., pp. 220-221 figg. 35-38), è difficile credere
(così come vuole invece la letteratura moderna appena citata) che quello di Napoli, perlomeno, sia
uno dei pezzi vasariani: se fosse così, se ne dovrebbe concludere che Cobos non fosse il beneficiario
ultimo di uno o di entrambi i ritratti di Montorsoli.
Come si vede, la questione è tutta da riaffrontare.
156) La seconda parte dell’Historie del suo tempo
di mons. Paolo Giovio vescovo di Nocera, tradotte
per m. Lodovico Domenichi, In Fiorenza MDLIII,
[per Lorenzo Torrentino impressor ducale], pp.
727-728; Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit.,
III cit., pp. 307 e 352 (libro XV); Istorie fiorentine
dall’anno MDXXVII all’anno MDLV scritte da
Bernardo Segni cit., pp. 368-369 (libro IX); Istoria
de’ suoi tempi di Giovambatista Adriani gentilhuomo fiorentino, divisa in libri ventidue, di nuovo
mandata in luce […], [a cura di Marcello di Giovambattista Adriani], In Firenze, nella stamperia
dei Giunti, MDLXXXIII, pp. 41, 42-43 (libro II);
Istoria de’ suoi tempi di Giovambatista Adriani, Per
i fratelli Giachetti, Prato, I, MDCCCXXII, pp. 112113 e 116-118 (libro II); Scipione Ammirato (il
Vecchio e il Giovane), Istorie fiorentine [...], ridotte a miglior lezione da Ferdinando Ranalli, Per V.
Batelli e compagni, Firenze, VI, 1849, pp. 249 ss.
(libro XXXII); Vita del serenissimo signor Cosimo
de’ Medici primo granduca di Toscana, scritta da
Giovambatista Cini, In Firenze, appresso i Giunti,
MDCXI, pp. 86-89 (libro II). Lungo la strada che
porta dagli storici coevi a quelli del Novecento ri-
cordati sopra (nota 134), si veda Giuseppe de Leva,
Storia documentata di Carlo V in correlazione all’Italia, III, Dalla dieta di Augusta del 1530 insino
alla pace di Crespy, 1544, Prem. Stabil. Tip. di P.
Naratovich, Venezia 1867, pp. 227 ss.
157) Per una svista di lettura o di stampa, la data è
diventata “15” settembre nelle Legazioni di Averardo Serristori cit., p. 13. E l’errore si è poi diffuso
nella storiografia corrente: p.e. G. Spini, Cosimo I
e l’indipendenza del principato mediceo cit., 2ª ed.
cit., p. 103; R. Cantagalli, Cosimo I de’ Medici cit.,
p. 86. Sulle soste di Averardo a Nizza e a Palamós
si veda brevemente oltre, nota 163.
158) Sulla base dell’ordinamento definitivo raggiunto dal MP nel secolo scorso (per tipologia, cronologia e geografia), questa documentazione è divisa sostanzialmente in tre tronconi. Le missive di
Cosimo e dei suoi si trovano nelle prime unità archivistiche (MP, 1 ss.). Le lettere ricevute sono nel
cosiddetto Carteggio universale del duca, ai nn.
329 ss. Data la specificità ‘asburgica’ degli affari
trattati, un terzo grosso nucleo di lettere spedite e
ricevute è collocato all’inizio dei carteggi con la
corte imperiale, ai nn. 4296, 4299, 4299A e 4300.
Poiché la struttura del MP è notoriamente ben composta solo in apparenza, sparsi resti di queste corrispondenze sono reperibili nell’Appendice al carteggio di Cosimo I (nn. 600 ss), in part. ai nn. 644,
653 e 657. Le lettere del Serristori sono state fatte
oggetto di attenzione storiografica ed editoriale fin
dal pieno Ottocento: Legazioni di Averardo Serristori, ambasciatore di Cosimo I a Carlo V e in Corte di Roma (1537-1568), con un’appendice di documenti spettanti alle legazioni di messer Giovanni
Serristori ambasciatore della Repubblica fiorentina (1409-1414), e con note politiche e storiche di
Giuseppe Canestrini, pubblicate dal generale conte
Luigi Serristori, Coi tipi di Felice Le Monnier, Firenze 1853. Ma un riscontro con gli originali del
MP rivela subito (oltre ad alcuni pesanti difetti ecdotici) che si tratta di un’antologia assai limitata.
Le due istruzioni formali e segrete dettate da Cosimo ad Averardo nell’estate del 1537 si trovano ora
stampate tra le Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell’“Italia spagnola”, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione
Generale per gli Archivi - Istituto Poligrafico e
Zecca di Stato / Libreria dello Stato, Roma, I, 15361586, a cura di Alessandra Contini e Paola Volpini, 2007, pp. 17-27 n. 3, la prima con la data del 7
agosto e la seconda come “1537 agosto (?)”: in
realtà è da credere – alla luce di quanto ho accennato nel testo – che il primo documento, decisamente anteriore a Montemurlo, sia del 23 o del 25
luglio, mentre il secondo, aggiunto proprio a causa
di Montemurlo, è del 7 agosto o subito prima.
159) Il cifrario di Averardo Serristori nella missione imperiale del 1537-38 – l’unico che ci interessa
in questa sede – si conserva in ASF, Cifrarî, serie II,
vol. III, n. 455, recto (“Datum die XXIII Julii
MDXXXVII. Per Ispagnia a messer Averardo Serristori”), mentre nel verso è il cifrario (diverso) del
suo segretario Lorenzo Pagni (“Die 25 Julii 1537,
dato a messer Lorenzo Pagni per Spagnia”). Si può
vedere anche ASF, Cifrarî, serie I (compilata “dall’abate Pietro Domenico Gabrielli l’anno 1865”),
vol. III, n. 14.
160) La loro antica esistenza ci è testimoniata non
solo dalle allusioni a esse in alcune lettere successive, ma anche da Giovambattista Adriani, che, vivente ancora Cosimo I, prese visione degli originali e ne trasse appunti per scrivere l’Istoria de’ suoi
tempi. In uno dei suoi quaderni di spogli dall’archivio della Segreteria medicea abbiamo i regesti delle lettere di Averardo nei giorni 26, 29 e 31 agosto,
e 3, 4, 5 e 6 settembre 1537: ASF, Carte Strozziane,
serie I, 122 (olim biblioteca di Carlo di Tommaso
Strozzi, 1670, n. 469, olim 592), Altro spoglio della Segreteria fatto dall’Adriani, tomo 4°, dal 1537
al 1549, originale (così il frontespizio, di mano di
Luigi Strozzi), c. [5]r-v. In modo curioso Adriani
annota: “Nelle lettere si dicono cose assai, ma in ci-
85. Michelangelo: ‘Bacco’. Firenze, Museo Nazionale
del Bargello.
[Saggi] 75
76 [Saggi]
86. Niccolò dell’Arca: ‘San Giovanni Battista’
(1490 circa). Monasterio de San Lorenzo de El Escorial.
fera che non ò diciferato” (c. [5]v). Non è affatto inverosimile che il prelievo degli originali effettuato
dall’Adriani nella Segreteria medicea sia stato la
causa della loro dispersione. La filza rilegata MP,
4296, che riunisce il maggior nucleo di lettere spedite da Serristori a Firenze nel 1537-38, e che sta
alla base della prima parte dell’edizione ottocentesca delle Legazioni di Averardo Serristori cit., presenta come sua lettera più antica una scritta da
Monzón il 30 settembre (cc. 9r-10v, in copia di Lorenzo Pagni): e con essa si apre, infatti, l’edizione
ottocentesca (pp. 13-15 n. I[A]).
161) Dei venti e dell’impossibilità di partire Serristori scriveva il 29 agosto (in una lettera regestata
da Giovambattista Adriani in ASF, Carte Strozziane, serie I, 122 cit., c. [5]r). Alla partenza si riferiva invece una sua lettera del 6 settembre (regestata
ibidem, c. [5]v).
162) Oltre, nota 167.
163) MP, 2, Minute dell’anno [sic] 1537 al 1543
(costola), c. 27r-v nuova (di mano di Ugolino
Grifoni), Cosimo I ad Averardo Serristori, 13
settembre 1537, c. 27r nuova (p. 24 antica). Questo
stralcio si trova pubblicato sin dal 1996, con una
trascrizione un po’ tagliata, nel Medici Archive
Project, on line: http://www.medici.org/ (e, come
tributo alla bella vivacità di uno dei miei allievi, mi
fa piacere aggiungere che nel 2009, mentre tardavo
a chiudere le mie ricerche, Fernando Loffredo si è
accorto pure lui di questo documento in rete e del
suo possibile nesso con il ‘San Giovannino’ di
Úbeda, senza sapere ancora della mia lunga
ricostruzione e del mio annuncio del 2000).
Evidentemente Cosimo replicava a una richiesta di
chiarimenti sulle casse da lui fatte spedire a Genova,
che Serristori gli aveva rivolto in una delle sue lettere
andate perdute, ma viste nel Cinquecento da
Giovambattista Adriani (sopra, nota 160). Dal MP, 2
cit., c. 37r-v nuova (c. 34r-v antica, di mano del
Grifoni), Cosimo I ad Averardo Serristori, 25
settembre 1537, ricaviamo più precisamente che la
lettera cosimiana del 13 settembre dava risposta a
quella scritta dall’ambasciatore il 5 settembre. La
stessa lettera del 25 settembre accusa la ricevuta di
due di Averardo, da Nizza, nei giorni 9 e 12
settembre: documenti anch’essi dispersi. Sempre in
MP, 2 cit., cc. 44r-45v nuove (cc. 41r-42v antiche),
il 7 ottobre 1537 Cosimo (per mano del Grifoni) si
rallegra dello sbarco a Palamós, comunicatogli dal
Serristori con una lettera del 18 settembre, smarrita
ancora una volta.
164) Tommaso di Negro, nobile genovese e uomo
di fiducia di Andrea Doria, per conto del quale era
stato a Firenze, presso Cosimo e i suoi, nel maggio
e nel giugno precedenti, al tempo della ben nota
missione ‘imperiale’ del Conte di Cifuentes in città
(cfr per es. ASS, Balia, 646, ins. 93, c. [1]r, e Balia,
647, ins. 77, c. [1]r; per questa fonte: oltre, nota
187). Divenne presto un agente preziosissimo di
Cosimo a Genova, facendosi talvolta aiutare dal
fratello Vincenzo. Nella Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III cit., p. 337 (libro XV), egli
emerge fra i tre uomini “privati” d’Italia che “furono […] più caldi […] e più diligenti degli altri” nel
tenere “quotidianamente avvisato il duca Cosimo”
(gli altri due sono Vincenzo Bovio, da Bologna, e
Donato Bardi di Vernio, da Venezia).
165) ASF, MP, 4296 cit., cc. 18r-21v (di mano di
Lorenzo Pagni), Averardo Serristori a Cosimo I,
Barbastro, 16 ottobre 1537, c. 18r-v. Le parole che
ho messo in corsivo sono cifrate nell’originale:
“5354174532796374” sta per “deli drapi” e
“179348379839394” per “la statua”. La lettera è riportata con molti tagli (compreso quello della parte
che interessa qui) nelle Legazioni di Averardo Serristori cit., pp. 20-24 n. II[A]. Di questa e di altre tre
lettere (dei giorni 24 e 27 ottobre e 1° novembre)
Serristori fece poco dopo delle copie di sua mano
(MP, 4296 cit., cc. 54r-62v), allegandole a una sua
lettera autografa a Cosimo del 5 novembre (ibidem,
cc. 65r-66v). La copia relativa al 16 ottobre è alle
cc. 54r-58r (con decifrazione aggiunta nelle interlinee da Ugolino Grifoni), e, nel capoverso che ci
riguarda ora (c. 54v), contiene in maniera significativa non solo alcune varianti grafiche, lessicali e
sintattiche, ma anche una maggiore presenza di cifre. Riporto perciò qui in nota anche tale brano:
“53541174 53279636374 [= Delli drappi] se ne è
seguito l’ordine Suo, 371793483798393379
[= et la statua, decifrato scorrettamente
nell’interlinea superiore come “della statua”]
63542025374595453541107976948354537459545
720 [= per ordine dello abate di Negro, sciolto
imprecisamente da Grifoni come “di Nero”]
34063279 [= sopra] una nave genovese è passata, et
ita a Cartagena, dove sarà molto commoda a chi la
ha havere. Si è ordinato a certi merchanti genovesi,
alli quali ditto signor abate l’haveva indirizzata, che
la consegnino al signor coregidore et ghovernatore di
quello locho, secondo che ha ordinato chi la ha
havere. Et tutto sta bene. I ringratiamenti et le belle
parole fatte, et del debito che dicono tenere a Vostra
Excellentia, non Gliele potrei exprimere con parole:
così piaccia a.dDio che corrispondino li fatti”. In
MP, 4296 cit., cc. 37r-38v, si conserva un estratto
dalle ultime lettere di Spagna stilato da Ugolino
Grifoni nel tardo autunno 1537, ancora con la
menzione dei “drappi” e della “statua”: “Extracto
del’ultimo spaccio venuto di Spagna de’ XVI, 24, 27
d’ottobre, et primo, V, X, 17 et 18 di novembre, delle
quali non ci è che le de’ 24, [et] del primo, 17 et 18
di novembre. L’altre sono perse, con le scritture
accusate. […].<X>XVI di ottobre: Accusa le nostre
de’ <XII> VI, 24 et 25 et poi de’ XIII di settembre,
accusate per le sue de’ 24 et 25. […]. Ha presentato
i drappi, stati accetti etc., et alsì indirizata la statua
dove et secondo l’ordine di chi la deve havere. […].
Che ha pagato ducati 91, soldi III, d’oro per il datio
delli drappi. […]” (c. 37r). Per quest’ultima notizia
si veda meglio oltre, nota 167.
87-88. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolari). Firenze,
Museo Nazionale del Bargello.
166) M. Gómez-Moreno, Las águilas del Renacimiento español cit., pp. 80-82, 202-209 docc. X-XI.
Sulla Sacra Capilla de El Salvador (e sul suo precedente della Capilla de la Concepción fondata da
Cobos in Santo Tomás sempre a Úbeda) si vedano
fra gli altri H. Keniston, Francisco de los Cobos
cit., pp. 67, 90, 117-118, 128, 150-151, 163-165,
191-193, 224, 226-227, 279-282, 322, 325, 326,
358, 359, 360, 362, 364, 369, 371-372 e note (a pp.
394-426 passim); e C. Horstmeier, Die Sacra Capilla de El Salvador in Úbeda (Andalusien) cit., che
è di fatto la prima vera monografia sistematica sull’edificio, e contiene alcuni nuovi documenti cavati dall’Archivo Ducal de Medinaceli, presso la fondazione di tale casato, a Siviglia (ma anche varie
imprecisioni). Cfr pure Joaquín Montes Bardo, La
Sacra Capilla de El Salvador de Úbeda: arte, mentalidad y culto, Universidad Nacional de Educación
a Distancia - Centro Asociado «Andrés de Vandelvira», Úbeda-Jaén 1993.
167) Sopra, nota 165. Rispetto alla “statua”, i
“drappi” per Cobos e Granvelle hanno lasciato
maggior traccia di sé nel carteggio del Serristori,
punteggiato dai riferimenti alle tasse doganali che
l’ambasciatore dovette pagare a Barcellona e a
Monzón, e di cui egli attendeva il rimborso da Cosimo: MP, 4296 cit., c. 20v (Serristori a Cosimo,
Barbastro, 16.10.1537, per mano del Pagni: “Si sollicita la speditione delle littere, quali, haute, si manderanno con uno corrieri che questi signori dicano
volere expedire a la volta di Italia fra dua o tre giorni, et così si rispiarmerà [sic] la spesa d’uno corriero expresso, la quale non saria stata di meno che di
CLta ducati, o qualche cosa più. E spero che le littere saranno con questa, et che insieme vi sarà la confirmatione del privilegio di Vostra Excellentia, spe-
dito, al parere di messer Giovanni [Bandini] et mio,
in ottima forma, et come si desiderava. Per detto
privilegio è necesario dare alli signori secretarii,
che lo spediscano, secondo che messer Giovanni et
io ce ne siamo informati, fino alla somma di ducati cento quaranta o cento cinquanta d’oro almeno,
cioè cento in circa in uno bacile et uno bocchale
d’argento al secretario che lo ha fatto et sottoscritto, et il resto alli altri secretarii. Però mi bisognerà
trarli costì, et insieme ducati LXXXXI d’oro larghi et soldi tre a oro che io ho pagati al datio di
Barzalona et a questo d’Aragona per quelli
53279637443795953948374 [= drapi mandati]”);
c. 66r (Serristori a Cosimo, Monzón, 5.11.1537, autografo: “Per havere mandato il segretario [Pagni]
fino a Saragozza per vedere se là si poteva commodamente provedere di quelli arienti per dare al segretario che scrisse il privilegio, et li ducati d’essi
et della spesa delli drappi, però ho scritto di mia
mano”); c. 71r (Giovanni Bandini a Cosimo, Monzón, 9.11.1537: oltre, testo e nota 168); c. 90r (Serristori a Cosimo, Barcellona, 10.12.1537, per mano
del Pagni: “Et mi resta dirGli che oggi ho tratto a
messer Octaviano [de’ Medici] in Giovan Baptista
Giovanni e compagni ducati quatrocento d’oro in
oro larghi, per la valuta qui da Caesare Bongugl[i]elmi in tanti dopioni d’oro in oro, et li ho
scritto con la alligata, et pregatolo che sia contento
pagarli loro in tanti ducati d’oro in oro et non in valuta, perché così si sono ricevuti, et ho promesso
che così si pagheranno: de’ quali ducati IIII cento,
ne hanno a ire cento in conto di quei drappi d’oro
che Vostra Excellentia mi inviò per li signori Covos
et Granvella, per tanti pagati per me in porto et datii in Barzalona et in Monzone, et li altri trecento
hanno a ire in conto mio. Supplico Vostra Excellentia che Gli piaccia ordinare a messer Octaviano che,
[Saggi] 77
78 [Saggi]
89. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo
(come nella fig. 10). Úbeda, Capilla de El Salvador
(stato prima del luglio 1936).
al tempo, non manchi di pagarli nel modo detto di
sopra, perché, quando non lo facesse, non sarebbe
né honore né servitio di Lei che io mi havessi a ridurre in queste bande in alcuna necessità, havendo
di già fattone debito fino ala somma di dugentocinquanta con diverse persone. Et La certifico che qui
si spende uno mondo, et solo di pigione di casa me
ne va uno ducato il giorno, et il secretario [Pagni]
sa se io mi stringo et stremo quanto più posso”).
168) MP, 4296 cit., cc. 71r-72v, Giovanni Bandini
a Cosimo I, Monzón, 9 novembre 1537 (per mano
del Pagni): “Noi havavamo preso informatione da
principio di quello che per la mercede di detto privilegio si dovesse pagare, et ne era stato detto che
bastava dare CLta duchati d’argenterie al secretario
che fece la minuta et a chi la metteva in carta buona, da dividersi fra tre o quattro che sono, et chi ci
dette tale informatione presupponeva che li signori
Covos et Granvella non havesseno a volere participarne, et noi ci confermavamo in la medesima sententia, pensando pure che i drappi d’oro havesseno
a supplire in la mercede loro. Ma egli è necessario
pagare maggiore somma, perché più sù sta mona
Luna” (c. 71r).
169) Sopra, testo e nota 54.
170) C. Horstmeier, Die Sacra Capilla de El Salvador in Úbeda cit., p. 53 e note 149-151. A differenza di tutti gli altri documenti di cui riferirò tra poco, conservati nell’Archivo Municipal di Úbeda,
questo è tratto dall’Archivo Ducal de Medinaceli
(sopra, nota 166). Sulle carte antiche dei Medinaceli relative a Cobos si veda Antonio Sánchez González, La documentación patrimonial del secretario
de Carlos V, in Francisco de los Cobos y su época
cit., pp. 69-79.
171) H. Keniston, Francisco de los Cobos cit., pp.
189-191 e note 115-128 (pp. 407-408).
172) Dalla presenza del ‘San Giovannino’ a Sabiote nel 1547 C. Horstmeier, Die Sacra Capilla de El
Salvador in Úbeda cit., p. 53, ricava che a quella
data l’opera non era ancora “für die Sacra Capilla
vorgesehen gewesen”. Poiché l’autrice non pubblica, ma semplicemente riassume il suo documento,
non oso senz’altro contraddirla. Mi chiedo tuttavia
perché l’opera stia in un inventario che la Horstmeier dice espressamente dedicato a El Salvador.
173) A. Moreno Mendoza, Úbeda renacentista cit.,
pp. 45-46 e nota 39 (p. 64); Idem, Francisco de los
Cobos, mecenas de las artes cit., p. 36 e nota 51 (p.
39); Idem, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel
cit., p. 55 e nota 4 (p. 68). La segnatura archivistica
si trova precisata solo nell’ultimo di questi tre contributi.
174) A. Moreno Mendoza, Úbeda renacentista cit.,
p. 46; Idem, Francisco de los Cobos, mecenas de
las artes cit., p. 36; Idem, El San Juanito atribuido
a Miguel Ángel cit., p. 55 e nota 5 (p. 68). La posizione d’archivio si ricava solo dal terzo di quesi tre
contributi.
175) Sopra, testo e nota 54.
176) H. Keniston, Francisco de los Cobos cit., p.
325.
177) A. Moreno Mendoza, Úbeda renacentista cit.,
p. 46 e nota 41 (p. 64); Idem, Francisco de los Cobos, mecenas de las artes cit., p. 36 e nota 53 (p.
39); Idem, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel
cit., p. 55 e nota 6 (p. 68). Sono intervenuto sulle
abbreviazioni, la divisione delle parole, i segni diacritici e l’interpunzione, così come faccio d’abitudine per i documenti antichi che (a differenza di
questo) controllo sugli originali. Il brano è anche
presso M.-T. Álvarez Oller, Francisco de los Cobos: su gusto y mecenazgo cit., p. 42 e nota 28 (p.
47), dove non porta data, è stato mutilato in modo
incomprensibile, e reca una segnatura diversa da
quella di Moreno Mendoza, ma corrispondente (sia
pure con errori) a quella dell’inventario del 1586
reso anch’esso noto – come accennerò tra poco – da
tale studioso. In effetti tutto il testo della Álvarez
Oller è un pasticcio.
178) A. Moreno Mendoza, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., p. 56 e nota 7 (p. 68).
179) Sul ruolo decisivo avuto dalla politica e dagli
intrighi imperiali e spagnoli nella morte di Lorenzino fa ora nuova luce S. Dall’Aglio, L’assassino del
duca cit.
180) Così come ho fatto sinora in queste pagine,
nelle trascrizioni dai mss. uso le quadre per inserire integrazioni e miei commenti, mentre gli uncini
semplici racchiudono le parti presenti negli originali come cassate.
181) Diario fiorentino di anonimo delle cose occorse l’anno 1537, a cura di Roberto Ridolfi, nell’‘Archivio Storico Italiano’, CXVI, 1958, pp. 544570.
182) Innocenzo Cybo, figlio di una sorella di papa
Leone X, e primo cugino di Maria Salviati madre di
Cosimo I, anche lei figlia di una sorella del pontefice. È ben noto che il sostegno del Cybo a Cosimo,
pur essendo formalmente pieno a quest’epoca, era
già assai minato da vari fattori. La rottura tra i due
si sarebbe consumata nel 1540, causando la partenza definitiva del cardinale da Firenze.
183) Diario fiorentino di anonimo delle cose occorse l’anno 1537 cit., p. 549.
184) Ivi, p. 556.
185) Ivi, pp. 556-557.
186) Ivi, pp. 565-566.
187) ASS, Balia, Carteggio, fasci 644-652. Tale
fonte fu segnalata e pubblicata in piccola parte da
Cesare Paoli ed Eugenio Casanova, Cosimo I de’
Medici e i fuorusciti del 1537 (da lettere di due oratori senesi), nell’‘Archivio storico italiano’, s. V,
XI, 1893, pp. 278-338, interessati a estrarne quasi
soltanto le notizie relative ai movimenti dei fuorusciti e alla loro sconfitta da parte di Cosimo. Ho riscontrato i documenti sugli originali d’archivio, che
nel frattempo hanno subìto un riordinamento, cambiando le collocazioni. L’ambasciatore senese partito per Firenze a seguito dell’assassinio del duca
Alessandro fu Girolamo Spannocchi, e portò con sé
come segretario Girolamo Tantucci. Rientrato lo
Spannocchi a Siena dopo pochi giorni, a partire dal
29 gennaio 1536/37 gli subentrò nella funzione il
Tantucci. Di fatto tutti i dispacci prima e dopo quella data sono di mano del Tantucci.
188) ASS, Balia, 645, ins. 29, c. [1]r; C. Paoli ed E.
Casanova, Cosimo I de’ Medici e i fuorusciti del
1537 cit., p. 297 (dove è caduto il secondo “che”
del manoscritto).
189) ASS, Balia, 645, ins. 31, c. [1]r; C. Paoli ed E.
Casanova, Cosimo I de’ Medici e i fuorusciti del
1537 cit., p. 297.
190) ASS, Balia, 645, ins. 56, c. [1]r; C. Paoli ed E.
Casanova, Cosimo I de’ Medici e i fuorusciti del
1537 cit., p. 301, con l’inversione “li hanno messo
publicamente taglia alcuna”. Per gli ulteriori aggiornamenti forniti da questo carteggio sul bando
contro Lorenzino mi limito a rimandare ivi, pp. 314
(24.4.1537) e 316 (13.5.1537).
191) È una sola carta scritta sul recto; il verso è
bianco.
192) Le prime due parti poste qui in corsivo sono
delle aggiunte originarie, al margine sinistro del testo; la terza e ultima è frutto di una correzione interna al testo.
193) Si tratta di un bifolio scritto nelle prime tre pagine. Questo documento (segnalato da G.O. Corazzini, Il Chiasso del Traditore e la casa di Lorenzino
de’ Medici cit., p. 178 e nota 2 [p. 183]) non risulta
mai stampato finora nella sua integrità originale,
sebbene ve ne sia una traduzione francese presso
Pierre Gauthiez, Lorenzaccio (Lorenzino de Médicis), 1514-1548, Albert Fontemoing, éditeur, Paris
1904, pp. 287-289 (cfr anche p. 452). Di recente S.
Dall’Aglio, L’assassino del duca cit., pp. 328-330
n. VI, ha però pubblicato la sentenza degli Otto di
Guardia e Balia che ha dato luogo al bando (20
90. Michelangelo: ‘Sadoch bambino’ (particolare della fig. 91) .
Città del Vaticano, Palazzi Apostolici, Cappella Sistina.
[Saggi] 79
aprile 1537). Cfr anche ibidem, pp. 63-64 e note
311-317. Tralascio in questa Appendice I il successivo bando contro i due complici di Lorenzino (30
aprile 1537), che ho segnalato e brevemente citato
sopra, testo e nota 136.
194) BNCF, ms. Baldovinetti 243 (= Grandi Formati 161) e ms. Baldovinetti 245 (= Grandi Formati 163). Sull’autore, meno famoso degli altri scrittori di cose fiorentine riportati in questa Appendice I,
si veda Roberto Cantagalli, Baldovinetti, Francesco, nel Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni
Treccani, Roma, V, 1963, pp. 517-518 (il quale non
ricorda nessuno dei due prioristi).
195) BNCF, ms. Baldovinetti 243 cit., c. 208v.
196) Cfr anche App. I, n. 7 (Bernardo Segni).
197) BNCF, ms. Baldovinetti 245 cit., c. 238r.
198) Ivi, c. 239r.
199) Pauli Iovii opera, cura et studio Societatis Historicae Novocomensis denuo edita, Istituto Poligrafico dello Stato - Libreria dello Stato, Roma, IV,
Pauli Iovii Historiarum sui temporis, curante Dante Visconti, tomi secundi pars prior, 1964, pp. 448449.
200) La seconda parte dell’Historie del suo tempo
di mons. Paolo Giovio vescovo di Nocera, tradotte
per m. Lodovico Domenichi cit., p. 715.
201) Innocenzo Cybo: sopra, nota 182.
202) Istorie della città di Firenze di Iacopo Nardi,
ridotte alla lezione de’ codici originali [Ricc. 1536
80 [Saggi]
91. Michelangelo: ‘Azor, sua moglie e il figlio Sadoch’
(tra il 1508 e il 1510). Città del Vaticano, Palazzi
Apostolici, Cappella Sistina.
e 1527-1528] con l’aggiunta del decimo libro inedito e con annotazioni per cura e opera di Lelio Arbib, A spese della Società Editrice delle Storie del
Nardi e del Varchi, Firenze 1838-41, II, p. 326.
203) S’intende Cafaggiolo. Cfr App. I, n. 4.b (Francesco Baldovinetti).
204) Cfr Istorie fiorentine dall’anno MDXXVII all’anno MDLV scritte da Bernardo Segni cit., p. 329.
La tradizione ecdotica delle Storie di Segni è tuttavia complessa. Poiché il brano è stato scelto per
l’ottima antologia Storici e politici fiorentini del
Cinquecento, a cura di Angelo Baiocchi e Simone
Albonico, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli MCMXCIV, mi baso – con qualche ritocco –
sul testo provvisto da Albonico per tale volume, pp.
698-699.
205) Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III
cit., pp. 279-280. Il passo è ora anche negli Storici
e politici fiorentini del Cinquecento cit., pp. 804805 (con varianti poco significative in questa sede).
206) Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III
cit., pp. 307-308; e Storici e politici fiorentini del
Cinquecento cit., pp. 824-825 (con varianti senza
peso contenutistico).
207) Istoria de’ suoi tempi di Giovambatista Adriani cit., ed. 1583 cit., p. 11; Istoria de’ suoi tempi di
Giovambatista Adriani cit., I cit., ed. 1822 cit., pp.
31-32.
208) Vita del serenissimo signor Cosimo de’ Medici primo granduca di Toscana, scritta da Giovam-
batista Cini cit., pp. 29-30. Di questa opera importante, vera e propria biografia ‘autorizzata’ di Cosimo I, esiste alla BNCF, mss. II.IV.187-188 (dono
Foresi, 1874), il prezioso antigrafo (in due tomi),
ricco di correzioni e censure praticate prima dall’autore (forse), e poi da suo figlio Francesco, curatore della princeps del 1611, dedicata dai Giunti al
granduca Cosimo II. Per la testimonianza che m’interessa, prendo dal ms. II.IV.187, c. 33v (e la metto
in corsivo), la chiusa – assai significativa – caduta
dalla stampa. Sempre sulla base del ms. II.IV.187,
c. 32v, correggo in “alcuni più modesti et più quieti” il passaggio “alcuni più molesti et più quieti”
della stampa.
209) Vita del serenissimo signor Cosimo de’ Medici cit., p. 32; BNCF, ms. II.IV.187 cit., cc. 35v-36r
(dove “più di dieci mila scudi” è l’esito di una correzione su “più di quattro mila scudi”).
210) Firenze, Biblioteca Moreniana, ms. 269, Priorista della città di Firenze a tratte (frontespizio)
[1584 o poco dopo], c. 322r. Per il codice: [Carlo
Nardini], Provincia di Firenze. I manoscritti della
Biblioteca Moreniana, Firenze, I, Tipografia Galletti e Cocci, 1903-12, pp. 302-303 n. 269.
211) Cfr ora M. Hirst, Michelangelo. I. The
achievement of fame cit., pp. 264-265 e nota 95 (p.
376).
212) BNCF, ms. Baldovinetti 243 (= Grandi Formati 161), c. 209v, e ms. Baldovinetti 245 (= Grandi Formati 163), c. 243r-v (cito da c. 243r). Su questi manoscritti si veda sopra, App. I, 4, e nota 194.
213) Diario fiorentino di anonimo delle cose occorse l’anno 1537 cit., pp. 554 e 555.
214) Ivi, p. 561. Cfr anche l’informazione spedita
l’indomani al governo di Siena dal suo ambasciatore a Firenze, Girolamo Tantucci: “Perché Vostre Signorie Illustrissime sieno ragguagliate di tutte le
cose, ancorché non di molta importanza, lo [sic] dico per questa come si sono trovate in certi agguattatoi in casa di Bartolomeo Valori molte armi, tra le
quali ho inteso erano intorno a cinquanta partigianoni, picche et giacchi, tal che havrebbe possuto armare più che cento vinti homini; et sono stati presi
il maestro di casa et due suoi servitori. Ragionasi
che si procederà contro di lui all’esecutione della
pena secondo i bandi. Et si vede le haveva nascoste
già fino al tempo del duca Alessandro” (ASS, Balia, 645, ins. 90, c. [1]r, già, con qualche minima
differenza di lettura, presso C. Paoli ed E. Casanova, Cosimo I de’ Medici e i fuorusciti del 1537 cit.,
p. 305).
215) Diario fiorentino di anonimo delle cose occorse l’anno 1537 cit., p. 562.
216) ASF, Otto di Guardia e Balia del Principato,
15 (Liber deliberationum, dal 1°.1.1536/37 al
30.4.1537), c. 81v.
217) Diario fiorentino di anonimo delle cose occorse l’anno 1537 cit., p. 566.
218) Sopra, nota 135.
219) Nel giugno 1533, poco prima di cominciare
per Ferrante Gonzaga il dipinto da spedire poi a Cobos, Sebastiano del Piombo aveva chiesto a Nino
Sernini, emissario del suo committente, se a Cobos
“contentasse più una Nostra Donna ch’avesse il Figliol morto in braccio a guisa di quella dela Febre
[cioè la ‘Pietà’ vaticana di Michelangelo], il che li
spagnuoli, per parer buon cristiani et divoti, sogliono amare questi [sic] cose pietose, o pur vuole una
Nostra Donna bella, con [il] Figliuolo in braccio et
un San Giovani Battista che faccia seco un poco di
moreschina, come il più delle volte si sogliono dipingere” (M. Hirst, Sebastiano’s Pietà for the Commendador Mayor cit., p. 587).
92. Michelangelo: ‘Apollo’ di Casa Valori
(1530-32 circa). Firenze, Museo Nazionale del Bargello.
[Saggi] 81
English Abstracts
The Medici ʻSan Giovanninoʼ by
Michelangelo, from Florence to Úbeda
Francesco Caglioti
For almost half a century art historical literature has concurred that the marble ‘San Giovannino’ (“Young Saint John the Baptist”)
carved by Michelangelo for Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici is an entirely lost and
unknown work. This article, already announced by the author in 2000, seeks instead
to demonstrate that it is one of the six or seven candidates unsuccessfully proposed by
scholars up to 1964, and indeed the least successful of all: the ‘San Giovannino’ that belonged to Francisco de los Cobos (c. 14771547), secretary of the Emperor Charles V,
and was given by him to his chapel-mausoleum of El Salvador in Úbeda (Andalusia) –
a sculpture with a doubly unfortunate fate, as
it was half destroyed in 1936, during the Spanish Civil War.
The statue’s attribution to Michelangelo, proposed by Manuel Gómez-Moreno in 1930, has
been systematically rejected or overlooked by
scholars to the present day, and the author
must therefore reiterate it, as if for the first
time.
The article opens with a comprehensive review of the bibliography on the Medici ‘San
Giovannino’ that aims to show how the statue
in Úbeda has never been able to assert itself
among other candidates, above all because of
the crushing critical weight of some among
those who most strongly favoured these other
works (including Wilhelm Bode, Heinrich
Wölfflin and Roberto Longhi).
There follows a census of all the images of the
Úbeda statue prior to 1936 that can be identified in historic European photographic
archives (published here as figs. 1-17).
Before a stylistic and qualitative reading of
the work – the starting-point of the author’s research, and at the very heart of this article –
there is a sort of digression on the terminology and iconography of “San Giovannino” during the Renaissance. The diminutive term
“Giovannino”, now used indiscriminately in
Italian to denote all images of the Precursor as
infant, child, adolescent or young man, was
limited during the Renaissance to his infancy
and childhood: thus none of the old candidates
proposed as Michelangelo’s Medicean commission is a ‘San Giovannino’, except the one
in Úbeda. This section of the essay also casts
light on the extraordinary novelty of the sculp-
ture that belonged to Cobos with respect to the
statuary images of the Baptist as a child or
adolescent produced before the sixteenth century.
The revelation of the work’s style and quality
benefits from comparison with many other
sculptures and paintings by Michelangelo, but
especially the ‘Bacchus’ and the so-called
“Manchester Madonna”, which allows the
dating of the Úbeda statue to be narrowed
down to 1495-96, that is, to the years in which
the ‘San Giovannino’ cited by Ascanio Condivi and Giorgio Vasari has always been dated
(thanks to their mentions of it).
The reattribution to Michelangelo of the statue in Úbeda quite naturally leads to the certainty that it once belonged to Pierfrancesco di
Lorenzo di Giovanni’s branch of the Medici
family. Curiously no one who studied the ‘San
Giovannino’, except for John Shearman
(1975), has ever come to the conclusion – an
elementary one – that the work must have remained in the Medici’s Casa Vecchia in Florence until the assassination of Duke Alessandro by Lorenzino in 1537: but at this point
Shearman, who did not believe in the statue in
Úbeda, nor in the other statues of Saint John
proposed as works by Michelangelo, gave up
his research.
Another certainty, easy to infer from early
sources, is that immediately after Lorenzino
fled from Florence, all the goods of the
younger branch of the Medici passed to Cosimo I, the sole legitimate descendant of Pierfrancesco still in Florence, and new Lord of
the city and its state. From Cosimo to Cobos
the passage is entirely smooth, since it is well
known that during the months of his rise to
power, Cosimo put his whole trust in an alliance with Charles V through his omnipotent
secretary (who was accustomed to diplomatic
gifts from Italian rulers in the form of works
of art, such as the paintings by Titian he received from Federico II Gonzaga and Alfonso
I d’Este). Letters in the Mediceo del Principato correspondence in the Florence State
Archives confirm that in the summer of 1537
Cosimo made a gift to Cobos, sent directly to
him in Andalusia, of a “statua”: this can only
be the ‘San Giovannino’ documented shortly
thereafter at Sabiote (a feudal property that
passed to Cobos precisely in that year), and finally in the chapel of El Salvador in Úbeda,
founded in 1536.
A first appendix of archival and historical
sources on how Medici property passed from
Lorenzino to Cosimo I in 1537 is followed by
a second appendix that shows how when he
shipped Michelangelo’s ‘San Giovannino’ to
Cobos, Cosimo must have already owned a
second statue by the same master, which had
entered his possession after the political unrest of those months: the ‘Apollo’ made for
Baccio Valori, which always remained in the
Medici collection, unlike the ‘San Giovannino’ that ended up in Spain.
(translated by Frank E. Dabell)
Two terracotta models for ʻAngels
with Cloudsʼ by Antonio Raggi and
Giuseppe Mazzuoli. On the didactic
function of preparatory models in
Rome at the time of the Chigi dynasty
Alessandro Angelini
Three terracotta models from the workshop of
the Mazzuoli sculptors, situated on the high
altar of the oratory of San Gaetano da Thiene
in Siena, were concealed by a 19th-century
canvas which had prevented them from being
seen or known about. While the two models of
‘Adoring angels’ should be by Bartolomeo
Mazzuoli, the larger model representing ‘Angels with Clouds’ is the autograph work of
Giuseppe Mazzuoli and preparatory to the celebrated crowning element with tabernaclesupporting angels for the high altar of the
Sienese church of San Martino.
This group, sculpted around the year 1700,
confirms the significant and already documented points in common between the
Sienese sculptor and the Jesuit architect Andrea Pozzo in connection with the designs prepared by the latter for the altar of the blessed
Luigi Gonzaga in the church of Sant’Ignazio;
designs which, although not actually executed,
were extensively illustrated in the second
tome of Pozzo’s treatise Perspectiva (1700).
The present discovery indirectly focuses
scholarly attention on the ‘Angel in Flight’ of
the Chigi Saracini Collection in Siena. This
clay model, covered in an old grey patina,
which gives it the semblance of a small bronze
and ennobles its appearance, had in fact been
linked by critics to Mazzuoli’s invention for
the same crowning element of the San Martino altar. However, the considerable compositional and stylistic differences, the flair, the
freshness of the modelling, the originality of
the cut of the figure belonging to the Chigi
Collection, far surpass the already rare skills
of Mazzuoli and place it closer to the great
creativity of Bernini. Here we propose to connect the terracotta with the ‘Angel in Flight’
with a large angelic figure for the canopy in
gilded stucco – the so-called ‘Gloria del Paradiso’ – of the Cathedra Petri in St Peter’s
basilica in the Vatican, on which Bernini, as is
known, worked from 1657 to 1666 on the
commission of Alessandro VII Chigi.
We know from Vatican documents that in order to complete that formidable project more
swiftly, the great master employed his most
talented pupils, like the Lombard Antonio
Raggi, not only to execute bronzes and stuccos but also to create models for the angels of
the canopy’s sunburst. In 1660, in fact, work
on the ‘grande macchina’ of the Cathedra
Petri accelerated considerably and more significantly the structure became much larger
compared to the original idea of the person
commissioning it, eventually becoming that
immense construction whose sheer size was
capable of covering Michelangelo’s apse entirely. This is why Bernini had to rely on the
excellent abilities of Raggi, his most highly
esteemed pupil, to carry forward work on the
altar-reliquary even in certain preliminary
phases. It is known, again from documentary
sources, that the large Angel, to which our ter[English Abstracts] 99
racotta is related as a first ‘thought’, then later partly modified, was in fact executed by
Raggi, who must therefore also have been the
author of the preparatory model, as we are
presently proposing. We shall also attempt to
reconstruct the chronology and changes of
ownership of the clay sculpture, investigating
the interest in these extraordinary items, in the
sphere of the collectionism of Cardinal Flavio
Chigi, who was probably the first owner of the
model and probably commissioned the Cattedra.
Bernini’s model with ‘Saint Jerome Penitent’
for the great marble of Siena cathedral, today
also in the Chigi Saracini Collection, and the
model with ‘Charity’ of the funeral monument
of Alexander VII in St Peter’s, in the deposits
of the ‘Soprintendenza ai Beni storici artistici
e etnoantropologici’ of Siena and Grosseto, also probably belonged to the same Roman collection. Here we propose to investigate the didactic importance these models had for young
sculptors in the Flavio Chigi collection in the
Giardino alle Quattro Fontane in Rome.
Copyright delle immagini
Francesco Caglioti, Il ‘San Giovannino’ mediceo di
Michelangelo, da Firenze a Úbeda
Figg. 1-2, 6, 13-14, 44, 54, 56: Consejo Superior de
Investigaciones Científicas, Centro de Ciencias Humanas
y Sociales, Madrid; figg. 3, 5, 7-12, 15-17, 24, 42, 46,
48, 50, 59, 62, 69, 71, 75, 77, 80, 82, 89:
Kunsthistorisches Institut in Florenz; figg. 4, 34, 52, 67:
Fundació Institut Amatller d’Art Hispànic (Arxiu Mas),
Barcellona; figg. 19-20, 31, 33: Réunion des Musées
Nationaux, Parigi; figg. 25, 37: The Morgan Library and
Museum, New York; figg. 30, 32: archivio autore; fig.
39: The Metropolitan Museum of Art, Altman Collection,
New York; figg. 45a-45b: autore; figg. 49, 66: Polo
Museale Fiorentino - Soprintendenza Speciale per il
Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per
il Polo Museale della città di Firenze; figg. 51, 53, 57,
61, 64, 68, 70, 84: The National Gallery, Londra; fig. 58:
Paolo Tosi, Firenze (su commissione dell’autore); fig.
74: Soprintendenza Beni A.P.S.A.E. di Arezzo
(Alessandro Benci); fig. 76: Royal Academy of Arts,
London; fig. 86: Patrimonio Nacional, Madrid; figg. 9091: Musei e Gallerie Pontificie, Città del Vaticano.
100 [English Abstracts]
Alessandro Angelini, Due bozzetti in terracotta per
‘Angeli con nuvole’ di Antonio Raggi e di Giuseppe
Mazzuoli. Sulla funzione didattica dei modelli
preparatori nella Roma di età chigiana
Figg. 1, 4-8, 15, 17-19, 21: Laboratorio fotografico,
Dipartimento di Scienze storiche e dei Beni Culturali
(Fausto Lucherini) - Università degli Studi di Siena;
figg. 3, 24: Studio Lensini foto, Siena; figg. 9, 10, 12:
Biblioteca Comunale degli Intronati, Siena; figg. 16, 20:
Kunsthistorisches Institut in Florenz; fig. 14: Reverenda
Fabbrica di San Pietro, Città del Vaticano;
fig. 22: Musei e Gallerie Pontificie, Città del Vaticano;
fig. 25: Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed
Etnoantropologici per le Province di Siena e di Grosseto;
fig. 26: Ariccia, Palazzo Chigi.
Le rimanenti foto sono state fornite dall’autore.
Errata corrige.
p. 8, col. 2, r. 26:
‘San Giovannino
>
‘San Giovannino’
p. 42, App. 1.d, r. 13:
magistrtato
>
magistrato
p. 49, col. 2, r. 4 dal basso:
era congiunte
>
eran congiunte
p. 51, col. 1, r. 6:
e il fratello, Filippo
>
e il cugino, Filippo
p. 61, col. 3, r. 2:
Carl Kusti
>
Carl Justi
p. 66, col. 1, r. 7:
1568, p. 3
>
1568, p. 7
p. 67, col. 1, nota 10, r. 2:
rr. 3-4:
a supplement
>
Eadem, Giovannino Battista: a study cit., >
a study
ivi,
p. 70, col. 3, rr. 12-13:
banchiere fiorentino
banchiere romano
>