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Prospettiva Rivista di storia dell’arte antica e moderna Università degli Studi di Siena Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’ Centro Di 145 Gennaio 2012 Prospettiva Rivista di storia dell’arte antica e moderna N. 145, Gennaio 2012 Università degli Studi di Siena Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’ Centro Di della Edifimi srl Rivista fondata da Mauro Cristofani e Giovanni Previtali. Redazione scientifica: Fiorella Sricchia Santoro, direttore Francesco Aceto, Benedetta Adembri, Giovanni Agosti, Alessandro Angelini, Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini, Evelina Borea, Francesco Caglioti, Laura Cavazzini, Lucia Faedo, Aldo Galli, Carlo Gasparri, Adriano Maggiani, Clemente Marconi, Marina Martelli, Anna Maria Mura, Vincenzo Saladino, Fausto Zevi. Segretari di redazione: Benedetta Adembri, Alessandro Bagnoli. Consulenti: Paola Barocchi, Sible L. de Blaauw, Caroline Elam, Michel Gras, Nicholas Penny, Victor M. Schmidt, Carl Brandon Strehlke, Andrew Wallace-Hadrill, Paul Zanker. Redazione: Università degli Studi di Siena, Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti via Roma 56, 53100 Siena, e-mail: prospettiva@unisi.it Direttore responsabile: Fiorella Sricchia Santoro © Copyright: Centro Di, 1975-1982. Dal 1983, Centro Di della Edifimi srl, Lungarno Serristori 35, 50125 Firenze. ISSN: 0394-0802 Stampa: Alpi Lito, Firenze, giugno 2013 Pubblicazione trimestrale. Un numero € 26 (Italia e estero). Arretrati € 29. Abbonamento annuo, 4 numeri € 100 (Italia), € 150 (estero). C.c.p. 53003067. Distribuzione, abbonamenti: Centro Di della Edifimi srl via de’ Renai 20r, 50125 Firenze, telefono: 055 2342668, fax: 055 2342667, edizioni@centrodi.it www.centrodi.it Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 2406 del 26.3.75. Iscrizione al Registro Operatori di Comunicazione n. 7257. Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana Sommario Saggi Francesco Caglioti Il ‘San Giovannino’ mediceo di Michelangelo, da Firenze a Úbeda Alessandro Angelini Due bozzetti in terracotta per ‘Angeli con nuvole’ di Antonio Raggi e di Giuseppe Mazzuoli. Sulla funzione didattica dei modelli preparatori nella Roma di età chigiana 82 English Abstracts 99 2 Il ‘San Giovannino’ mediceo di Michelangelo, da Firenze a Úbeda Francesco Caglioti Da quasi mezzo secolo gli studi su Michelangelo concordano nel ritenere che il suo ‘San Giovannino’ marmoreo, scolpito fra il 1495 e il 1496 per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici il “Popolano”, sia un’opera perduta ab immemorabili. Siccome di essa non sembra sapersi quasi nulla al di là del committente e della cronologia, anche le monografie più approfondite si limitano a dedicarle poche parole fugaci, risparmiandosi ormai il vecchio rosario delle proposte di identificazione (sei o sette) avvicendatesi in passato. Il fallimento pieno di tutte queste candidature, talvolta assurde, ha finito per causare il pessimismo e i silenzi della bibliografia più recente.1 Da moltissimi anni – addirittura fin da quando, liceale, mi appassionavo al Rinascimento fiorentino – nutro la convinzione che il ‘San Giovannino’ esista ancora, e che sia uno dei pretendenti sepolti senz’appello dagli studi. È la statua della Capilla de El Salvador di Úbeda in Andalusia (figg. 1-17), cioè uno tra gli esemplari più sfortunati: talmente sfortunato che gli innumerevoli specialisti in lingua italiana, tedesca, inglese o francese succedutisi dopo il 1930 – quando esso fu pubblicato da Manuel Gómez-Moreno con l’attribuzione michelangiolesca2 – si sono perlopiù evitati l’incomodo di menzionarlo, sia pure per respingerlo. E nessuno di loro, per quanto ne so, l’ha mai accettato, nemmeno cautamente. In una nota a piè di pagina del 2000 ho anticipato, in forma breve ma esplicita, che il ‘San Giovannino’ di Úbeda può vantare, oltre ai presupposti dello stile e della qualità (assolutamente irrinunciabili, è ovvio), una serie di ragioni davvero cospicue, e soprattutto coerenti, ricavabili dalla storia politica, dinastica e collezionistica del primo Cinquecento:3 la concatenazione dei fatti e delle circostanze è così stringente, che ancora adesso non mi 2 [Saggi] capacito di come nessuno l’abbia afferrata. Proprio a causa di questa aporia, ho esitato per altri dodici anni a riprendere il discorso, che nel 2000 davo invece come imminente: so bene, infatti, a quali critiche anche feroci si espone oggi chiunque osi avanzare un’attribuzione a Michelangelo. Mi si potrebbe rispondere che l’attribuzione non è nuova, e che, se qualcuno mai dovesse accoglierla, si affretterà a rimarcare (com’è tipico del nostro mondo) che è merito soltanto di Gómez-Moreno. A me pare tuttavia più ardua e delicata la rivalutazione positiva di un’opera già nota ma la cui importanza è stata lungamente e massicciamente negletta, che non la scoperta di un’opera inedita spuntata fuori dal nulla, magari per impulso primo di un proprietario privato: da ciò la mia istintiva, quasi cronica riluttanza finora. Ma poiché non ha senso continuare a far finta di nulla, esco finalmente allo scoperto, raccogliendo ed esponendo in queste pagine ciò che ho trovato e meditato sul tema sino al presente. Il caso storiografico del ‘San Giovannino’ mediceo Prima di procedere a trattare costruttivamente del ‘San Giovannino’ di Úbeda, è tuttavia necessario che io mi soffermi sulle sue disavventure critiche e, in più in generale, sulla fortuna storiografica del ‘San Giovannino’ mediceo, mai raccontata, per quel che ne so, nel suo complesso: solo attraverso una simile narrazione, infatti, si potrà capire come mai si sia dovuto attendere sino ai nostri giorni per recuperare un’opera capitale e misconosciuta di Michelangelo. Il lettore troppo specialista o insofferente che non fosse interessato ai preliminari, e volesse arrivare al dunque più speditamente, può saltare, dopo il prossimo capoverso, tutto questo paragrafo e i tre successivi. La prima, sbrigativa menzione letteraria del ‘San Giovannino’ mediceo si ha, vivente ancora Michelangelo, nella sua biografia ‘autorizzata’, data alle stampe da Ascanio Condivi nel 1553. Qui, in maniera sintomatica, si tace il luogo dell’opera, introdotta per incidens, e quasi soltanto per amore di logica narrativa: il suo committente, Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, sarebbe stato infatti, subito dopo, una figura-chiave nel famoso episodio del ‘Cupido dormiente’ pseudo-antico realizzato dal giovane Michelangelo a Firenze e spedito presto a Roma.4 Dal testo di Condivi il ‘San Giovannino’ passa quindici anni più tardi nella seconda edizione delle Vite di Vasari (1568), dopo che la prima edizione ne è rimasta del tutto priva (1550):5 e, non meno significativamente, anche Vasari, per sincera ignoranza o per studiata reticenza, ci nega qualsiasi collocazione. Tra Condivi e Vasari c’è infine il silenzio completo dell’Orazione funerale di Benedetto Varchi per Michelangelo, lungo testo subito stampato (1564), nel quale non manca una rassegna di sculture ‘minori’ del maestro conservate a Firenze, inclusi il Tondo Pitti e il Tondo Taddei.6 Queste omissioni ragguardevoli avrebbero pesato decisamente sulla bibliografia successiva, che per tre secoli rimase del tutto all’oscuro, e quasi si disinteressò, di una simile primizia dell’artista divino.7 Un unico, possibile momento di rottura, e di equivoco, si ebbe verso la fine del Seicento, nella Parigi del Re Sole. Prima del 1687 François Girardon, fine collezionista di scultura oltre che grande scultore, entrò in possesso di un piatto marmoreo con la testa mozzata del Battista (figg. 1920), che avrebbe esibito fino alla morte (1715) nella propria galleria – concessagli dal sovrano presso il Louvre – come capolavoro di Michelangelo. Non è chiaro se tale attribuzione fosse costruita sulla notizia di Condivi e Vasari, fraintendendone l’accenno laconico ma sicuro a un “San Giovannino”, cioè a una statua del patrono di Firenze raffigurato in età precoce (così come si è sempre inteso giustamente nella letteratura posteriore): certo è invece che, essendo il ‘Battista’ parigino rimasto pressoché invisibile per quasi tre secoli dopo la morte di Girardon, nel 1943 Charles de Tolnay cadde nell’inganno di pensare che quel marmo fosse un frammento della testa della statua medicea, andata prematuramente distrutta.8 L’abbaglio di Tolnay fu subito corretto da Otto Kurz e da Ulrich Middeldorf (1945),9 i quali conoscevano bene una stampa della Galerie de Girardon (ante 1709), da cui la testa del Battista emerge con la piena evidenza di un trofeo mortuario in sé concluso (fig. 18).10 Ma ci vollero altri vent’anni circa perché tutta la bibliografia, presso la quale i cinque grandi volumi michelangioleschi di Tolnay (19431960) si erano intanto affermati con troppa autorevolezza, ne prendesse atto definitivamente.11 In tempi a noi più vicini, Jean-René Gaborit è stato abile a scovare il pezzo Girardon a un’asta parigina, acquisendolo alle collezioni del Louvre (1987).12 A contatto diretto con l’originale, è oggi facile capire come nel tardo Seicento, mentre la conoscenza della scultura rinascimentale italiana era al suo nadir, si potesse prendere per Michelangelo un marmo di ottima qualità, che a mio avviso viene comunque dalle mani di un maestro fiorentino – o di cultura fiorentina – 1. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (1495-96). Úbeda, Capilla de El Salvador, presbiterio (stato prima del luglio 1936). [Saggi] 3 attivo fra Quattro e Cinquecento.13 Il vero dibattito sul ‘San Giovannino’ mediceo si accese quasi due secoli dopo Girardon, nei primi decenni dell’Unità italiana, quando si era all’apice dell’intraprendenza collezionistica dei musei tede- schi nell’ambito del nostro Rinascimento e, conseguentemente, fervevano come non mai gli scambi di storiografia artistica tra un versante e l’altro delle Alpi. Nel 1875, per di più, cadde il quarto centenario della nascita di Michelangelo, celebra- 4 [Saggi] 2. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). to con gli onori dovuti, e, già allora, sfruttato anche per iniziative improprie. Tutti gli sguardi si concentrarono su una statua comprata a Firenze e trasferita a Pisa nel 1817 dal cavaliere Ranieri Venerosi Pesciolini, ma venuta alla ribalta giusto all’aprirsi del 1875 per volontà del nuovo proprietario del suo palazzo pisano (nell’odierno Corso Italia), il conte Lodovico Rosselmini Gualandi (figg. 21, 23). Tra il 1879 e il 1880 l’opera emigrò nei Musei berlinesi per acquisto appassionato di Wilhelm Bode.14 Anche se questo impareggiabile conoscitore non fu il primo a pronunciare il nome di Michelangelo, l’identificazione con il San Giovannino mediceo si lega correttamente a lui, che la difese in modo strenuo fino alla morte (1929), affiancato da una serie cospicua di studiosi illustri (tra cui Jacob Burckhardt, Karl Frey, Henry Thode, Carl Justi, Ernst von Liphart),15 e osteggiato da altri colleghi non meno degni, ma un po’ meno numerosi (p.e. Heinrich Wölfflin,16 Alois Grünwald,17 Carlo Gamba).18 Se prima e durante il dibattito le attribuzioni alternative si mossero perlopiù tra Quattro e Cinquecento (Donatello, Matteo Civitali, Girolamo Santacroce, Silvio Cosini),19 tale confusione fu chiarita da Alois Grünwald (1910) col mostrare che l’opera è del secondo quarto del Seicento, e spetta a uno dei due fratelli Giovambattista e Domenico Pieratti (figg. 22, 24).20 A questa drastica esclusione cronologica se ne può aggiungere una, non meno pesante, di ordine iconografico, poiché l’attitudine iperbucolica dell’adolescente quasi ballerino di Bode non si addice neppure al più addomesticato dei Precursori. Tutto lascia credere che la figura sia mitologica: verosimilmente un Aristeo con il favo di miele (adattissimo a un’ambientazione nel gusto del Giardino di Boboli).21 Tale identificazione era affiorata nel modo più sensato e naturale, per suggerimento del marchese lucchese Antonio Mazzarosa (studioso di Civitali), già nel 1825-26, ben prima che scoppiasse il caso michelangiolesco:22 ma fu poi facilmente nascosta e obliterata sotto la mole di polemiche sempre più settarie – come dovrò accennare anche oltre – e, a ogni modo, poco italiane. Il candidato ‘michelangiolesco’ di Berlino potrebbe reggere da solo un intero e non piccolo volume sulla storia della connoisseurship nella Germania prussiana, sui suoi metodi, sulle sue dinamiche e sulle sue tensioni universitarie e museali. Mettendo nondimeno da parte tutto ciò, ci basti ricordare che esso è, fra i molti pretendenti, quello che ha sottratto più energie agli studi sul ‘San Giovannino’ medi- ceo, per oltre sessant’anni: esso abbandona davvero la scena, e nel modo più drammatico possibile, solo con la Seconda Guerra Mondiale, andando anche materialmente perduto nell’apocalisse del 1945. Nel frattempo si erano fatti avanti altri due candidati, ma senza ancora oscurare la fama del marmo berlinese. Il primo, nel 1930, fu il ‘San Giovannino’ di Úbeda, sul quale mi fermerò più tardi, essendo il protagonista delle mie pagine. Nel 1938 Wilhelm Reinhold Valentiner propose invece, con impegno monografico, il ‘San Giovanni Battista’ della J. Pierpont Morgan Library di New York (figg. 25, 37):23 sebbene tale soluzione incontrasse, fra qualche consenso, anche quello vistosissimo di Wölfflin,24 pesava negativamente su di essa il fatto che fin dal 1935 Middeldorf aveva riconosciuto nel medesimo marmo lo scalpello di Giovanfrancesco Rustici.25 Pur avendo riscosso sulle prime meno fortuna che l’altro, il riferimento a Rustici si è infine imposto giustamente nella bibliografia odierna su questo scultore.26 A ricordare agli studi tutto il peso affannoso della questione, nel 1958 prese la parola Roberto Longhi, compiendo così una delle sue rarissime incursioni nel campo della scultura (rarissime e – si deve ammetterlo – sempre fuori scala). Il candidato longhiano, in San Giovanni dei Fiorentini a Roma, è tra quelli più vicini, per cultura e cronologia, alla giovinezza di Michelangelo, ma ciò non toglie che fosse ugualmente mal scelto (figg. 26, 38). Pur di far rientrare nel percorso dell’artista una statua così acerba, che fino a quel momento aveva sollecitato negli studi soltanto attribuzioni quattrocentesche (Donatello, Mino da Fiesole, Bertoldo di Giovanni),27 Longhi si vide costretto a ipotizzare una confusione narrativa da parte di Condivi e Vasari: il Lorenzo de’ Medici committente non sarebbe stato il figlio di Pierfrancesco il Vecchio, ma il suo biscugino ben più famoso, ossia il Magnifico, e dunque l’opera cadrebbe a cavallo della morte di costui nell’aprile 1492, prima di qualunque altra prova statuaria di Michelangelo.28 Pochi hanno osato esprimersi, almeno in forma netta, contro un pronunciamento così grave: ma, inascoltato per anni, anzi neppure notato, c’è stato Eugenio Luporini, che nella sua monografia del 1964 su Benedetto da Rovezzano ha incluso senz’altro la statua romana nel catalogo di tale scultore.29 Dopo che nel 2002 ho richiamato l’attenzione su questa mossa del tutto sfortunata, ma che a me pareva e pare ineccepibile, vedo ora che gli studi si stanno finalmente convertendo in suo favore.30 3. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). Le ultime due candidature per il ‘San Giovannino’ fecero seguito di pochi anni a quella longhiana. Nel 1960 Alessandro Parronchi propose il ‘San Giovanni gradivo’ del Bargello (fig. 27),31 nonostante che esso sia ben più adulto di un ‘San Giovannino’, e che fosse stato brillantemente restituito già nel 1931 da Hans Kauffmann a Francesco da Sangallo (intorno al 1530):32 attribuzione, questa, che si è poi stabilizzata negli studi in misura definitiva (cfr figg. 28-29).33 Nel 1964 (anno cruciale, perché quarto centenario [Saggi] 5 della morte di Michelangelo) uscì infine il testo più lungo mai dedicato al ‘San Giovannino’: un volume, patinatissimo per l’epoca, scritto in inglese da Fernanda de’ Maffei a spese dell’antiquario Piero Tozzi di New York († 1974), proprietario 6 [Saggi] di una squisita figura seduta del giovane Precursore, comprata in Italia (pare nei dintorni di Bologna) nell’anno 1900 (figg. 30, 32).34 Mai seriamente accettato da nessuno, il ‘San Giovannino’ Tozzi, introdotto dalla copertina del volume come 4. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). “the greatest art discovery of the century”, aveva e avrebbe ottenuto ulteriori assegnazioni cinquecentesche (Andrea Sansovino,35 Pierino da Vinci)36 e, naturalmente, poi, anche datazioni ottocentesche (per via di quella nemesi che arriva sempre, presto o tardi, alle antiche sculture attribuite da taluno in forme smodate).37 Esso pone invece ancora una volta, così come l’‘Aristeo’ berlinese, un problema di squisito Seicento fiorentino: più di dieci anni fa mi sono accorto che spetta a Giovanfrancesco Susini intorno al 1635, per affinità stringenti con le sue poche ma sicure statue marmoree grandi (p.e. la ‘Frode’ – o ‘Dissimulazione’ – di Palazzo Pitti, firmata e datata al 1622; la ‘Venere’ di Villa “La Pietra”, firmata e datata 1637; e soprattutto il ‘Bacco’ del conte d’Orsay al Louvre, firmato: figg. 31, 33).38 Sulla base di questo mio riconoscimento Nicholas Penny è poi arrivato opportunamente ad acquisire l’opera per la National Gallery of Art di Washington (2005).39 Fortuna moderna del ‘San Giovannino’ di Úbeda. Prima parte Benché il ‘San Giovanni Battista’ di Longhi (1958) abbia raccolto tutto sommato poche adesioni vere, esso è stato decisivo, per quel che stimo, nel condizionare il dibattito sulla giovinezza di Michelangelo, almeno in Italia, e specialmente nello sbarrare la strada al ‘San Giovannino’ di Úbeda. Longhi non esitava infatti a bollare la statua spagnola come “scadente”.40 Per ricostruire subito, a più di mezzo secolo di distanza, quale clima di rispetto circondava allora ogni uscita, anche irregolare, da parte del nostro massimo studioso di pittura, basti ricordare che Alessandro Parronchi, nello stesso momento in cui lanciava un nuovo ‘San Giovannino’ mediceo (1960), proponeva di salvare comunque l’attribuzione michelangiolesca di Longhi, semplicemente ipotizzando che vi fossero due ‘Santi Giovannini’ scolpiti in giovinezza dallo stesso autore: quello del 1495-96 per Lorenzo di Pierfrancesco (cioè il ‘San Giovanni’ maturo e barbato di Francesco da Sangallo) e quello di Longhi, alle date 1492-93 da lui suggerite (cioè il ‘San Giovanni’ rovezzanesco di Roma, meno adulto di quello sangallesco, ma, come vedremo più avanti, neppure esso un vero ‘San Giovannino’).41 Fino alla sua morte (2007) Parronchi avrebbe pubblicato migliaia di pagine buonarrotiane, raccogliendone più di mille in sei volumi di Opere giovanili di Michelangelo (1968-2003), ma non avrebbe mai ritenuto necessario degnare di un solo mezzo rigo la statua di Úbeda.42 Sul fronte tedesco, divenuto poi americano, la proposta di Gómez-Moreno era stata d’altronde già soffocata, e quasi (anzi) neppure avvertita, a causa del dibattito accesissimo sul presunto ‘San Giovannino’ di Berlino (figg. 21, 23), contro cui, a un certo punto, andò a cozzare il ‘San Giovanni Battista’ Morgan (figg. 25, 37). Autentico protagonista di questo capitolo storiografico (nonostante le cautele da lui stesso adoperate per non apparire troppo) fu Heinrich Wölfflin, impegnato per più di mezzo secolo a contrastare la statua berlinese e, tramite essa, l’autorità del suo potentissimo mentore, Bode. Wölfflin era stato, a ventisette anni (1891), tra i primi avversari tedeschi dell’attribuzione michelangiolesca del marmo ex Venerosi Pesciolini, alla quale aveva opposto via via, in un crescendo di consapevolezza critica, prima una generica datazione cinquecentesca, poi, nella prima edizione di Die klassische Kunst (1899), un’attribuzione a Girolamo Santacroce al tempo dell’Altare del Pezzo in Santa Maria di Monteoliveto a Napoli (1524),43 e infine, a séguito della restituzione a uno dei fratelli Pieratti da parte di Alois Grünwald (1910), una certa inclinazione verso quest’ultima risultanza secentesca (nella sesta e ultima edizione ‘autografa’ di Die klassische Kunst).44 Il modo non difforme in cui Bode e Wölfflin si accostavano alla statua era in definitiva l’unico che due brillanti studiosi dotati di molta cultura e di solido senso storico potevano praticare per un oggetto dei cui trascorsi non si sapeva nulla se non che nel 1817 era stato acquistato presso un rigattiere fiorentino: si trattava, dunque, di istituire una rete di raffronti col maggior numero possibile di sculture del passato, per cercare la giusta collocazione crono-geografica al ‘capolavoro’ ricomparso senza una carta d’identità. A lungo andare, tuttavia, la forte divergenza dei risultati attributivi che Bode e Wölfflin conseguirono fu recepita dai loro colleghi – a causa del prestigio delle due personalità – come un caso esemplare di scontro metolodogico: da una parte la connoisseurship empiristica e induttiva di Bode, dall’altra il purovisibilismo teoretico e deduttivo di Wölfflin. È dunque assai curioso che poco dopo la morte di Bode (1929), per tentare di risolvere a favore di Wölfflin questa contesa tra scuole fosse chiamato un conoscitore quale Wilhelm Valentiner, di gran lunga più vicino alla sensibilità e alla prassi di Bode. Ed è ancora più curioso che Valentiner, all’inseguimento del vero ‘San Giovannino’ mediceo, giocasse la carta della statua Morgan di New York, cioè di un’opera che non solo era priva dei requisiti di sti- 5. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). le e qualità per candidarsi (al pari del marmo di Berlino), ma che aveva inoltre già trovato – per merito del giovane Ulrich Middeldorf – la sua giusta classificazione come Rustici. Fin dall’apertura del suo saggio monografico sulla statua Morgan (1938) Valentiner disegna la densa fortuna critica del ‘San Giovannino’ mediceo riducendola a una mera partita tra Bode e Wölfflin per la statua di Berlino.45 Il ruolo di Wölfflin sale così in vista da far scomparire in una mezza nota l’attribuzione (impropria) del marmo berlinese a Silvio Cosini, avanzata da Carlo Gamba nel 1929-30,46 e accettata da Valentiner a preferenza di quelle a [Saggi] 7 Santacroce e Pieratti, cioè a preferenza delle conclusioni stesse di Wölfflin. Il sospetto che dietro questa mossa ci fosse proprio l’ispirazione di Wölfflin si rafforza e infine si conferma nel prosieguo della bibliografia. Nel 1941, quattro anni prima della morte di Wölfflin, uscì su ‘Pantheon’ un articolo monografico di Kurt Gerstenberg sul ‘San Giovanni Battista’ Morgan, che non è altro che una parafrasi tedesca di quello di Valentiner, assimilato in tutte le sue conclusioni (anche la paternità di Cosini per la statua di Berlino): a differenza dell’archetipo valentineriano, però, l’articolo di Gerstenberg trasferisce la polemica Wölfflin-Bode dalle prime pagine all’ultima, per congedare il lettore, nel modo più enfatico e definitivo, con il fallimento del metodo di Bode e con il trionfo di quello di Wölfflin.47 Nel 1945, Charles de Tolnay provò a rispondere in ‘The Art Bulletin’ a una recensione molto critica appena pubblicata in quelle pagine da Martin Weinberger al suo volume su The Youth of Michelangelo (1943): a proposito del ‘San Giovannino’ – dato per disperso da ambedue i contendenti – Tolnay mostrava di sapere che l’attribuzione dell’esemplare Morgan a Michelangelo da parte di Valentiner “was accepted by other distinguished scholars, e.g., Wölfflin (in a letter to Valentiner)”.48 Il riferimento, implicito, era a una nota di Valentiner stesso in calce a un suo articolo recente su Michelangelo nella Cappella Piccolomini del Duomo di Siena: stando a Valentiner, dopo la pubblicazione della proposta Morgan egli aveva ricevuto i consensi epistolari di colleghi come Hermann Voss, Kenneth Clark, Lionello Venturi e, soprattutto, “Professor Wölfflin, still the leading authority on the young Michelangelo”, il quale, “fully convinced” dell’idea, era stato “especially emphatic” nel lodarla.49 Quest’ultima adesione fu infine resa nota nella sua pienezza da Valentiner medesimo, che pubblicò la sua corrispondenza del 1938 con Wölfflin nella ‘Kunstchronik’ del 1950: anche in tale circostanza il pretesto era dato da una recensione, poiché Luitpold Dussler, nel discutere per quella rivista il Tolnay di The Youth of Michelangelo nella riedizione emendata del 1947, aveva contestato il riferimento michelangiolesco della statua Morgan, e dunque Valentiner rispondeva per difenderlo, appellandosi all’autorevolezza di Wölfflin.50 Dal carteggio viene fuori, nientemeno, che Wölfflin era stato il committente dell’articolo di Gerstenberg: “Es ist besser, wenn er es tut: ich bin gewissermaßen Partei”, scriveva Wölfflin a Valentiner, da 8 [Saggi] Zurigo, il 20 settembre 1940!51 Mentre Valentiner, Wölfflin e Gerstenberg tacciono del tutto il ‘San Giovannino’ di Úbeda, così come poi Tolnay e Weinberger (nonostante che Tolnay stesso vi avesse accennato in The Youth, dandone nella riedizione del 1947 la figura 164b),52 Dussler se ne ricorda per un attimo, ma solo per respingerlo in modo inappellabile: “Daß auch über die Statuette in Ubeda (Zuschreibung von GomezMoreno) nicht weiter zu diskutieren ist, verrät schon die Kenntnis der Reproduktion 164b [von Tolnay 1947]”.53 Fortuna moderna del ‘San Giovannino’ di Úbeda. Seconda parte Piuttosto che rievocare altri episodi simili, ed esplorare tutta la coltre tombale di oblio calata sul ‘San Giovannino’ di El Salvador, conviene ora abbandonare per un po’ il fronte internazionale degli studi michelangioleschi e far rotta verso la Spagna, alla ricerca di qualche elemento positivo. Tra il tardo Cinquecento e il tardo Ottocento, il ‘San Giovannino di Úbeda, collocato entro una nicchia in cornu Evangelii dell’altar maggiore di El Salvador (a sinistra, dunque, della grande e celebre ‘Trasfigurazione’ di Alonso Berruguete in legno dipinto e dorato), ha goduto di menzioni succinte ma costanti presso l’erudizione spagnola di carattere araldico e periegetico (fig. 34). Sono due o tre i topoi che si radunano ogni volta, nel giro di una frase, all’interno di tali testi: la statua, di alabastro (ma in verità di marmo di Carrara), sarebbe stata scolpita da un’ottima mano anonima, e sarebbe stata donata a El Salvador, così come l’edificio stesso e tutto ciò che esso contiene, dal segretario dell’imperatore Carlo V, Francisco de los Cobos y Molina (1477c.-1547), il quale l’avrebbe a sua volta ottenuta in regalo dal Senato della Repubblica veneziana.54 Una leggera variante tarda di tale racconto, sorta forse non prima dell’Ottocento, e per via di semplificazione piuttosto che di complicazione, mette in mezzo lo stesso Carlo V, il quale, primo destinatario del dono veneziano, avrebbe offerto a sua volta l’opera a Cobos e al santuario da lui fondato.55 In un momento di snodo tra questa letteratura e la moderna bibliografia storicoartistica si fa notare una citazione del ‘San Giovannino’ da parte di Carl Justi (1894), impegnato a trattare dei rapporti tra Alfonso I d’Este e Tiziano, e, in particolare, di un celebre ritratto tizianesco del duca di Ferrara che il duca stesso, per motivi di convenienza politica, sarebbe stato spinto a donare nel 1533, insieme ad altri dipinti del suo pittore massimo, all’imperatore Carlo V. Il dono sarebbe avvenuto tramite il segretario Francisco de los Cobos, anche lui grande estimatore di Tiziano, e destinatario di altre sue opere: il che fornisce a Justi lo spunto per una digressione su questo committente e su Úbeda, introdotta antonomasticamente come “die Stadt von Cobos”. Se ho usato i verbi al condizionale nel riferire la ricostruzione di Justi, è perché egli, che si basava su un resoconto d’archivio pubblicato vent’anni prima dal marchese Giuseppe Campori (1874),56 ne fraintendeva un punto essenziale: il regalo del ritratto di Alfonso e degli altri capolavori di Tiziano non era infatti per Carlo V, ma proprio per Cobos;57 e ciò, come si vede, avrebbe potuto dare materia più robusta all’attenzione di Justi verso il segretario imperiale. Justi, inoltre, specialista di Michelangelo, e grande pioniere dell’interesse storiografico tedesco per le cose artistiche di Spagna, era lo studioso ideale per mettere il ‘San Giovannino’ nella giusta prospettiva. E invece il suo accenno alla statua si esaurisce tutto nella ripresa asciutta della solita frase tramandata dagli antiquari spagnoli: “Über dem Hochaltar [der Kirche S. Salvador] ist eine venezianische Marmorstatue des Knaben Johannes des Taufers, die ihm [Cobos] die Signoria verehrt hatte” (dove si può rilevare, in aggiunta, la forzatura lieve e forse inconsapevole, ma decisiva, per cui la statua semplicemente regalata da Venezia diventa un’opera di produzione veneziana). Justi, del resto, sarebbe stato presto uno fra i principali sostenitori del preteso ‘San Giovannino’ michelangiolesco di Bode, e la sede in cui usciva questo suo articolo su Tizano era il ‘Jahrbuch der königlich preussischen Kunstsammlungen’, ovvero la principale cassa di risonanza dell’acquisto statuario fatto da Bode per i musei titolari di quel periodico.58 Mentre il saggio di Justi inaugurava quell’indifferenza verso il ‘San Giovannino’ di Úbeda durata sino a oggi al di fuori della Spagna, qualche autore spagnolo denunciava la speranza di una restituzione attributiva illustre, e preparava così la strada all’uscita michelangiolesca di Gómez-Moreno nel 1930. In particolare, sembra che un erudito di Úbeda, Alfredo Cazabán Laguna (1870-1931), pronunciasse il nome di Benvenuto Cellini (ovviamente più facile in terra iberica, a causa del ‘Crocifisso’ marmoreo dell’Escorial). A tale assegnazione allude tra il 1913 e il 1915 Enrique Romero de Torres, responsabile della provincia di Jaén nell’ambito del vasto progetto nazionale del 6. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). [Saggi] 9 7. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). 10 [Saggi] Catálogo Monumental de España, avviato all’inizio del Novecento dal Ministerio de Instrucción Pública y Bellas Artes, e posto sotto la direzione generale di Manuel Gómez-Moreno: “A la derecha del altar una estatuita de alabastro de San Juan Bautista donada por Carlos I°, a quien se la había regalado a su vez la República de Venecia. Algún escritor ha dicho, no sé con qué fundamento, que esta pequeña escultura era de Benvenuto Cellini”.59 Vengo ora a Gómez-Moreno stesso, e alla sua attribuzione michelangiolesca del 1930. Qui è necessario riconoscere che lo studioso, pur credendo di avere tra le mani la soluzione giusta, non pervenne a comprendere tutto l’onore che meritava darle. Egli pubblicò infatti il ‘San Giovannino’ entro un articolo intitolato Obras de Miguel Ángel en España, nel quale gli affiancava ben altre due attribuzioni consimili, relative a oggetti di sua proprietà (un Crocifisso in argento, di un tipo noto in più esemplari, e un modestissimo bronzetto di un David): qualunque cosa si voglia pensare del retroterra stilistico di tali pezzi, non v’è dubbio alcuno che essi non hanno nulla che fare con l’autografia di Michelangelo. Inoltre, Gómez-Moreno dedicò ben sei foto d’insieme, di dettaglio e di confronto al secondo e al terzo ‘Michelangelo’, mentre il ‘San Giovannino’ fu licenziato con una foto d’insieme soltanto (fig. 13).60 Ancora: quantunque fosse consapevole, per la tradizione pervenuta fino a lui, del primo, importantissimo proprietario spagnolo del ‘San Giovannino’, ossia Cobos, Gómez-Moreno non condusse degli approfondimenti sul personaggio, accontentandosi di raccogliere da quella stessa tradizione la notizia secondo la quale il segretario di Carlo V avrebbe ricevuto in dono la statua dalla Repubblica di Venezia. Infine, pur avendo vissuto e operato intensamente sino al 1970, cioè per altri quarant’anni dopo l’articolo michelangiolesco, Gómez-Moreno non tornò più sul ‘San Giovannino’, se non per brevi sintesi o mezze parole che rinviavano a quella pubblicazione.61 Al contrario, già nel 1933 l’‘Archivo español de arte y arqueología’, che aveva ospitato tre anni prima le Obras de Miguel Ángel en España, accoglieva un suo articolo monografico in cui si rilanciava la seconda opera lì discussa.62 È ben facile immaginare che le due attribuzioni michelangiolesche di troppo formulate da Gómez-Moreno creassero esse stesse i primi, involontari ostacoli alla comprensione del ‘San Giovannino’ da parte degli studiosi non spagnoli. Del resto, anche le pagine sul ‘San Giovannino’, nonostante la loro capacità di arrivare in definitiva al dunque, non facevano buona stampa allo studioso, rivelandolo poco addentro ai problemi della scultura italiana e michelangiolesca. Gómez-Moreno, per esempio, provava anche lui a dire la sua sul preteso ‘San Giovannino’ di Berli- no, ma ne proponeva la soluzione più inverosimile di tutte, riferendo l’opera a uno scultore veneziano del secondo Quattrocento, e confondendo poi Tullio Lombardo con Alessandro Leopardi. Inoltre, nel cercare un’iconografia più plausibile per l’efebo berlinese, Gómez-Moreno pensò di poterla trovare in Adamo, ma in virtù di un confronto davvero incomprensibile con l’‘Adamo’ di Antonio Rizzo nel cortile di Palazzo Ducale a Venezia.63 A complicare le cose giunse, il 26 luglio 1936, la tragedia. Nei primi giorni della Guerra Civile spagnola, il ‘San Giovannino’ fu ridotto in pezzi dalla furia iconoclasta degli attivisti repubblicani.64 Tutta la bibliografia dopo il 1930 ha valutato la statua sulla sola foto di Gómez-Moreno (fig. 13) e su due o tre altre:65 troppo poche, si obietterà, per farsene un’idea decente. Eppure la riproduzione di GómezMoreno non impedì a Longhi, e a chiunque prima e dopo lui, di rifiutare l’opera, mentre a me la stessa foto, ristampata in uno dei tanti volumi michelangioleschi di Charles de Tolnay (1951),66 diede subito un’impressione promettentissima. Da quando ho incontrato tale immagine, e poi un’altra diversa – ma sempre d’insieme (fig. 4) – stampata nella Escultura del siglo XVI dell’Ars Hispaniae (1958), mi sono messo a cercare senza posa tutte le altre superstiti della statua, cominciando dall’Arxiu Mas di Barcellona, cui aveva attinto José María Azcárate per l’Ars Hispaniae.67 A Barcellona non c’era in verità nient’altro. Ma il volume di Andrée de Bosque sugli Artistes italiens en Espagne du XIVme siècle aux Rois Catholiques (1965) lasciava indovinare nuove piste: qui l’autrice francese riproduce, accanto alla foto d’insieme già utilizzata da Gómez-Moreno, due bellissimi particolari della testa e della parte superiore del torso del ‘San Giovannino’ (figg. 16-17), con lo scopo di rigettare l’attribuzione a Michelangelo e di proporne una ad Antonio Rossellino (del tutto irricevibile, però, a paragone con un ‘San Giovannino’ documentato di questo maestro, su cui tornerò più avanti: fig. 40).68 Il bottino fotografico più generoso stava nel posto più felice per me (e per moltissimi altri), cioè nella fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze, ove si conservano ben undici riproduzioni donate all’inizio degli Anni Trenta – in due gruppi di cinque e sei – rispettivamente da George Haydn Huntley e da Friedrich Kriegbaum. I due studiosi dovettero recarsi a visitare la statua, in modo del tutto indipendente ma negli stessi tempi, subito dopo la pubblicazione di Gómez-Moreno, se non in concomitanza con essa. Lo sta- 8. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). [Saggi] 11 12 [Saggi] 9. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). tunitense Huntley (1905-2001) era alla ricerca di notizie e materiali su Andrea Sansovino, cui avrebbe dedicato una monografia stampata nel 1935:69 le cinque foto che egli donò al Kunsthistorisches Institut, e che risultano catalogate il primo maggio 1932, sembrerebbero essere state scattate da lui stesso, non sappiamo con quale pensiero attributivo in mente (figg. 3, 5, 9-10, 15).70 Il tedesco Kriegbaum (1901-1943), direttore del medesimo Kunsthistorisches Institut dal 1935 fino alla morte precoce, aveva, dal canto suo, un interesse più vasto per Michelangelo e per la scultura fiorentina del Cinquecento, su cui stava scrivendo e avrebbe scrit- 10-11. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). to vari contributi impegnati, gravitanti intorno alla tesi di abilitazione (1932).71 Le sue sei immagini del ‘San Giovannino’, catalogate il 14 maggio 1932 (figg. 7-8, 11-12, 16-17),72 sembrano essere state acquistate presso una ditta di Úbeda (Ventura), giacché due di esse sono gli stessi dettagli della testa e del torso che ricompaiono più di trent’anni dopo, con quella referenza fotografica, nel volume di Andrée de Bosque (figg. 16-17),73 e giacché una terza immagine si ritrova assai più avanti – sia pure senza referenza – all’interno di una voce bibliografica spagnola (fig. 8).74 Come si ricava da un’annotazione autografa apposta da Kriegbaum su uno dei cartoni delle sue foto,75 ma anche su due cartoni delle foto donate da Huntley,76 egli credeva che la statua fosse di Giovanfrancesco Rustici.77 Alla foto stampata da Gómez-Moreno nel 1930 (fig. 13), e realizzata dallo storico dell’arte e fotografo Ricardo de Orueta (1868-1939), a quella dell’Arxiu Mas (fig. 4), alle cinque di Huntley e alle sei che chiamerò “Ventura/Kriegbaum”, se ne aggiungono almeno altre tre connesse [Saggi] 13 di nuovo con l’attività di Gómez-Moreno e Orueta, e conservate oggi, per una catena istituzionale che rimonta in parte ai loro lasciti, nella fototeca del Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Centro de Ciencias Humanas y Sociales, a Madrid, insieme con la foto stampata nel ’30 (figg. 1-2, 6, 14). Qui le ha rintracciate il mio allievo Fernando Loffredo, cui ne debbo, con gratitudine, la prima conoscenza (2009). A mia volta, ho ritenuto importante comunicare tutte queste foto tedesche e madrilene all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, impegnato dal 1994 nel delicatissimo lavoro di ricomposizione e integrazione dei frammenti del ‘San Giovannino’ per volontà della Casa Ducale di Medinaceli, proprietaria della statua in virtù di una trasmissione ereditaria indiretta ma ininterrotta a partire da Francisco de los Cobos.78 Poiché queste reliquie fotografiche (diciassette in tutto) hanno ormai un valore di testimonianze insostituibili, mi sembra opportuno darne in nota un inventario archivistico preciso, con un rinvio ricapitolativo alle poche volte in cui alcune di esse sono apparse in letteratura.79 Da un primo, complessivo raffronto tra tutte queste immagini, si ricava che prima della distruzione del 1936 il ‘San Giovannino’ aveva già sofferto una drammatica rottura alla radice del collo, senza tuttavia subire perdite sensibili di materia. Un’altra rottura significativa era occorsa all’indice della mano destra, perduto: esso è presente, ma grazie a un goffo risarcimento, solo nella foto pubblicata da Gómez-Moreno nel 1930 (fig. 13), che non è chiaro se sia la più antica o la più recente di tutte; tale foto è anche l’unica a mostrare la statua fuori dalla sua nicchia abituale, e messa provvisoriamente in piedi su delle assi di legno.80 In alcune foto prese da destra (figg. 8-11) s’intravvede infine la sbreccatura di un margine verticale del cartiglio, a destra di chi guarda. Fortuna moderna del ‘San Giovannino’ di Úbeda. Terza e ultima parte Nel 1932, al momento di schedare tutte le foto Huntley e Ventura/Kriegbaum, Ulrich Middeldorf, illuminato fototecario del Kunsthistorisches Institut (e più tardi suo direttore), le accolse nelle cartelle michelangiolesche con l’annotazione “Michelangelo zugeschr(ieben)”, utile a indicare che, pur essendo l’attribuzione ritenuta non valida, non era ancora spuntato un nome alternativo sicuro (malgrado la proposta di Kriegbaum per Rustici).81 L’e14 [Saggi] sperienza di quelle undici foto permise a Middeldorf di prendere una confidenza con la statua che nessuno sembra avere mai più eguagliato. Fu così che nel 1945, scrivendo a ‘The Art Bulletin’ per correggere l’errore di Tolnay che aveva creduto il ‘Battista’ Girardon un frammento del ‘San Giovannino’ mediceo, Middeldorf poteva concludere la sua lettera con tali parole: “Among the candidates which claim to be Michelangelo’s lost figure, the statue in Ubeda in Spain is one of the more respectable ones. It has been sponsored by a distinguished a scholar as Gómez-Moreno (Archivo español, 1930, pp. 189 ff.). I am not yet convinced that it is the lost figure. But it certainly would deserve a more considerate treatment than Mr. de Tolnay has allowed it”.82 Si tratta, a mia conoscenza, del momento più alto (o meno basso) della fortuna dell’opera al di fuori della Spagna. Di fatto, Middeldorf costrinse Tolnay a rimaneggiare un po’ la prima edizione di The Youth of Michelangelo (1943), aggiungendo nella seconda (1947), per illustrarla, una foto, presa da Gómez-Moreno (mentre fin da subito i candidati respinti di Berlino e di New York avevano goduto di quattro foto per ciascuno),83 e commentando il ‘San Giovannino’ in questa forma: “It shows Michelangelo’s youthful style and technique and may be a copy of the early sixteenth century” (mentre la didascalia della foto recita “School of Michelangelo”).84 Con tale garbata sentenza Tolnay si congedava tuttavia quasi per sempre dalla statua, nonostante i successivi trentaquattro anni di onorata carriera da michelangiolista. Dico “quasi” perché, in modo davvero bizzarro, in quei trentaquattro anni Tolnay avrebbe ripetuto decine di volte che il ‘San Giovannino’ di Michelangelo era perduto, e che nessuno dei tentativi fatti dai suoi colleghi era valido (Tolnay poté essere spettatore di tutte le candidature fino all’ultima); e talvolta egli, come molti altri studiosi, si trovò a dimenticare, tra tutte le proposte respinte, proprio quella di Úbeda: ma nella sua monografia michelangiolesca in un solo volume che vide la luce in italiano e in francese nel 1951, e che, con vari ritocchi, avrebbe poi conosciuto una buona diffusione anche in inglese, giapponese e spagnolo, quella foto di Gómez-Moreno che egli si era procurato fra il 1945 e il 1947 ricompare senza un commento specifico nel testo, e con una didascalia che la riferisce alla “scuola di Michelangiolo”.85 Se si esclude la reazione implicita e tenue di Tolnay, rimane che il commento di Middeldorf sul ‘San Giovannino’ di Úbeda non è mai entrato in letteratura, pur ve- nendo da un autore molto letto e citato. Quanto a Middeldorf stesso (che non avrebbe mai più scritto su Úbeda sino alla fine dei suoi giorni, nel 1983), sembra che l’amicizia con Alessandro Parronchi gli giocasse più tardi un tiro mancino. Infatti, incaponitosi Parronchi nel difendere il proprio ‘San Giovanni gradivo’ pseudomichelangiolesco (fig. 27), fece mille pressioni su di lui perché accettasse, almeno lui, quell’attribuzione impossibile, nonostante che giusto lui fosse stato tra i primi sottoscrittori della sacrosanta restituzione fatta da Kauffmann a Francesco da Sangallo.86 Qui lo strano rapporto Middeldorf-Parronchi, che metteva insieme un conoscitore sagace e un sognatore poetico e commovente, del tutto remoto da quella lettura visiva che pure si ostinava a praticare, incontrava un’altra e più scottante querelle su Michelangelo giovane, quella per il ‘Crocifisso’ ligneo di Santo Spirito, appena riscoperto da Margrit Lisner (1962). Middeldorf, com’è ben noto, lo avversò duramente per tutta la vita, e Parronchi, anche lui contrarissimo alla restituzione a causa del ‘suo’ ‘Crocifisso’ michelangiolesco (un’opera del séguito di Giambologna), trovò nell’allora direttore dell’Istituto Tedesco un comodo alleato ad excludendum (benché fosse ovvio che giammai Middeldorf avrebbe accettato l’esemplare parronchiano).87 In tale fronte comune Parronchi insisté per far accogliere anche il suo ‘San Giovanni gradivo’, e Middeldorf finì per capitolare, se non attraverso una pubblicazione, almeno attraverso i cambiamenti introdotti nell’ordine delle fotografie dell’Istituto, da lui sorvegliatissimo.88 Di una modifica così incoerente ebbe presto a sorprendersi e lamentarsi la stessa Lisner,89 mentre più tardi Parronchi se ne sarebbe ovviamente compiaciuto.90 Con questa nuova ma ultima tenzone su un preteso ‘San Giovannino’ michelangiolesco che finisce per far ombra al marmo di Úbeda si giunge ormai agli scorsi Anni Sessanta, quando, al di fuori della Spagna, si assesta in tutti la convinzione che sia ormai completamente vano inseguire la statua medicea. In Spagna, d’altro canto, rimane la memoria costante ma sempre laconica – fino a sembrare talvolta perentoria – della proposta di GómezMoreno: e in essa l’attrazione per il nome grandissimo dell’artista si confonde altrettanto costantemente con il rispetto dovuto a uno dei padri della storiografia artistica iberica moderna. Non pochi scrittori citano il riferimento michelangiolesco – lungo un arco di opzioni che va dalla fiducia più netta al distacco più aperto – nell’ambito di varie rassegne generali 12. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). [Saggi] 15 sulla scultura e l’arte del Rinascimento, sui rapporti con l’Italia, o sulla fioritura cinquecentesca di Úbeda, ma nessuno di loro sembra avere ragioni per rompere con ulteriori argomenti l’indifferenza o la diffidenza dei colleghi stranieri.91 E, soprattutto, nessuno trova mai lo spunto per condurre nuove ricerche sulla questione, mentre non mancano gli approfondimenti, sia in Spagna che nel resto d’Europa, sui contatti tra Francisco de los Cobos e altri grandi artisti italiani della sua epoca (Tiziano, Sebastiano del Piombo).92 A ogni modo, nessuna eco delle aspettative michelangiolesche dei seguaci di GómezMoreno arriva mai fuori dalla Spagna, e anche l’Italia ne rimane all’oscuro, in linea con quella drammatica povertà di relazioni storiografiche tra i due Paesi che attraversa buona parte del Novecento, e che riguarda tuttavia un Rinascimento in gran parte comune. Iconografia, stile e qualità del ‘San Giovannino’ di Úbeda. Sua cronologia Ma veniamo, infine, all’opera stessa, per passare poi alle sue vicende antiche (nei due paragrafi successivi). Da quando anche Michelangelo è diventato materia per specialisti, talvolta dediti a lui in modo esclusivo, la stragrande maggioranza della letteratura che lo riguarda viene dal mondo dei cinquecentisti. Troppo condizionati, quasi viziati, dalla Maniera Moderna, tali studiosi chiedono istintivamente alle prime opere del maestro di accordarsi allo stile che egli ha dispiegato dalla ‘Pietà’ vaticana in poi, o addirittura dal ‘David’. Paradossalmente, Michelangelo stesso è il principale responsabile, in virtù della svolta grandiosa compiuta nel 1498-1500 circa, delle difficoltà che gli studi incontrano con i suoi juvenilia. E non è un caso, forse, che almeno tre dei sette candidati per il ‘San Giovannino’ mediceo siano assai più tardi della fine del Quattrocento (il Sangallo, il Pieratti, il Susini). Due, addirittura, scendono di quasi un secolo e mezzo più in qua del 1496. Per accostarsi alla statua di Úbeda, cioè a un’opera che, a causa di punti esterni fermi, precede il 1547 (anno della morte di Cobos), conviene essere assidui frequentatori non solo di Michelangelo e del Cinquecento, ma anche e soprattutto del Quattrocento. Solo col pensiero rivolto contemporaneamente ai ‘Santi Giovannini’ marmorei di Donatello, Desiderio, Mino, Antonio Rossellino e Benedetto da 16 [Saggi] Maiano (figg. 35-36 e 39-40), ma anche di Benedetto da Rovezzano e di Rustici (figg. 37-38), si possono cogliere appieno l’originalità e le straordinarie potenzialità della figura spagnola (alta cm 130 circa). Prima di entrare nel vivo di tali paragoni, mi sembra tuttavia non più procrastinabile, dopo decenni e quasi secoli di equivoci da parte della bibliografia michelangiolesca, un chiarimento semantico sul diminutivo “San Giovannino”. Troppo spesso, infatti, il dibattito sulla statua medicea è stato condotto da studiosi non italiani che, per quanto sagaci e scrupolosi, non potevano periodizzare facilmente le evoluzioni della nostra lingua attraverso i secoli. E troppo spesso i nostri connazionali, intimoriti o confusi dalla qualità e dalla quantità degli interventi dei colleghi stranieri, hanno perso di vista lo specifico storico del volgare fiorentino e toscano del Rinascimento di fronte all’iconografia del Battista. Nel 1945, rispondendo in ‘The Art Bulletin’ a varie critiche che Martin Weinberger gli aveva appena rivolto in quella stessa sede – sotto forma di recensione – per il volume del 1943 su The Youth of Michelangelo, Charles de Tolnay ribadiva e sottolineava lungamente, a proposito del ‘San Giovannino’, ciò che in The Youth egli aveva accennato appena, ma che nondimeno lo aveva guidato in tutte le sue speculazioni sulla statua perduta: intendo la convinzione che un ‘San Giovannino’ potesse indifferentemente cercarsi sia tra le raffigurazioni infantili sia tra quelle adolescenziali del Precursore.93 La realtà è, tuttavia, ben diversa. Se si scorrono i testi degli scrittori d’arte del Cinquecento fiorentino, da Vasari a Raffaello Borghini a Francesco Bocchi (compito, questo, oggi assai facilitato dalla rete),94 si può rilevare che, per essere definito “San Giovannino”, il Battista doveva mostrarsi sempre e soltanto prima dell’adolescenza, e non durante. Gli autori che ho appena menzionato usano dunque l’espressione quasi solo per descrivere quei dipinti della Maniera Moderna (o, meno spesso, del primo Rinascimento) che riuniscono la Vergine e il Bambino – o la Sacra Famiglia – in compagnia del Precursore bambino anche lui: opere di Sandro Botticelli, Raffaello, Fra Bartolomeo, Andrea del Sarto, Domenico Puligo, ma pure di artisti forestieri come Giulio Romano, Tiziano, don Giulio Clovio. Nel campo statuario, quegli stessi scrittori parlano di un “San Giovannino” solo per l’opera medicea di Michelangelo95 e, prima di essa, per la figura marmorea ritenuta di Michelozzo (ma in verità di Antonio Rossellino) che stava nella lunetta della porta esterna dell’Ope- ra di San Giovanni, e che nell’Ottocento passò prima agli Uffizi e poi al Bargello (fig. 40).96 Sempre presso quegli autori, le statue famose di Donatello e di Benedetto da Maiano che rappresentano il Battista adolescente, e che abbiamo ormai l’abitudine di chiamare “San Giovannino Martelli” e “San Giovannino di Palazzo Vecchio” (figg. 35-36), sono citate come “un San Giovanni tutto tondo di marmo” (Vasari e Borghini per Donatello),97 “un San Giovanni giovanetto” (Vasari e Borghini per Benedetto da Maiano),98 o “un” (ovvero “il”) “San Giovanni di marmo di giovenile età” (Bocchi, tanto per Donatello che per Benedetto).99 Prima di Vasari, di Borghini e di Bocchi, del resto, anche il Libro di Antonio Billi, l’Anonimo Gaddiano e Giovambattista Gelli definiscono il ‘San Giovannino’ Martelli in modo analogo (mentre non menzionano la statua maianesca): “una fiura di Santo Giovanni” e “una figura di San Giovanni” (Libro del Billi);100 “una fiura di San Giovanni di marmo” (Gaddiano);101 “uno Santo Giovanni di marmo giovane” (Gelli).102 Solo nell’indice onomastico delle Bellezze di Bocchi accade che il “San Giovanni di marmo di giovenile età” di Donatello, appena prelevato dal testo, diventi estensivamente un “San Giovannino”,103 non è chiaro se perché quella figura incarna un’adolescenza ancora acerba, o perché allo scadere del Cinquecento il diminutivo cominciava già a espandersi nella direzione che diamo oggi per acquisita, oppure per ambedue le ragioni insieme. A me sembra, anzi, che proprio il ‘San Giovanni’ Martelli abbia fatto virare il diminutivo, almeno in ambito scultoreo, verso quell’allargamento di significato che si è imposto poi (non solo l’infanzia e la fanciullezza, ma anche l’adolescenza), e che ci consente oggi, p.e., di etichettare come ‘Maestro dei Santi Giovannini’ un plasticatore fiorentino di primo Cinquecento nel cui catalogo abbondano le raffigurazioni del Precursore adolescente e giovinetto, ma non bambino o fanciullo.104 Nei mesi avanzati del 1569 Vasari annotava così tra le proprie “ricordanze”: “Ricordo come questo anno si fecie per il Gran Duca un quadro d’un San Giovannino ingniudo che fu ’l ritratto di Don Giovanni suo ultimo figliol maschio, et si donò a Sua Altezza”.105 Il principino, nato nel maggio 1567 da Cosimo I de’ Medici ed Eleonora degli Albizzi, aveva allora due anni: e questo esempio, che ovviamente non è esclusivo, vale però a ricordarci che lo sviluppo iconografico dei ‘Santi Giovannini’ si esauriva, allora, nel primo decennio di vita del soggetto. Sia come sia di tutto ciò, non si può più 13. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo. Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). [Saggi] 17 negare che, fra le sei o sette figure candidate per essere quella michelangiolesca e medicea del Precursore, nessuna è un vero ‘San Giovannino’ tranne la statua di Úbeda (figg. 1-17): tutte le altre avrebbero dovuto essere scartate prim’ancora di essere proposte. Ciò non basta, è ovvio, a fare del marmo spagnolo il ‘San Giovannino’ di Michelangelo (che potrebbe essere invece, come vogliono tutti, un’opera scomparsa). Ma almeno possiamo ragionare d’ora in poi su presupposti più chiari. A differenza dei ‘Santi Giovanni’ di Donatello, dei due Benedetti (da Maiano e da Rovezzano), e di Rustici, che dunque restituiscono il Battista in vari momenti dell’adolescenza, il ‘San Giovannino’ di Úbeda è ancora un bambino, precisamente di 7-8 anni. Esso dà forma nel marmo, attraverso una vera e propria statua, a un età del santo che Desiderio e Mino avevano accolto soltanto nelle forme limitate dei busti (fig. 39), e che il solo Antonio Rossellino si era spinto a tentare con pari compiutezza nel ‘San Giovannino’ gradivo dell’Opera di San Giovanni (1477, fig. 40).106 Mentre, però, tutti questi maestri adottano l’infanzia nel senso più chiuso, l’autore di Úbeda predilige – unico fra quelli a me noti – la fanciullezza o (se si vuole) la prima fase della puerizia latinamente intesa.107 A tale scelta singolare per un ‘San Giovannino’ di fine Quattrocento (e che diverrà sintomaticamente comune poco dopo) se ne associa un’altra ancora più autonoma nella postura e nell’attitudine del bambino. Una semplice seriazione di tutti i ‘Santi Giovanni giovinetti’ e dei ‘Santi Giovannini’ statuari, da Donatello in poi, mostra che le prove di Benedetto da Maiano e di Rustici discendono direttamente, sebbene con gradi diversi di inventività e qualità, dal modello donatelliano di Casa Martelli (figg. 35-37).108 Anche il ‘San Giovanni’ di Benedetto da Rovezzano (fig. 38), per quanto tenti ormai di imboccare una sua via propria al genere, non riesce a scrollarsi di dosso alcuni degli elementi figurativi forti che avevano decretato la fortuna della statua di Donatello (fig. 35): penso alla posa stabilmente eretta su una base quasi o interamente piana; alla foggia della casacca di cammello, ben appesa a entrambe le spalle e interrotta sopra il ginocchio; al taglio e al drappeggio del manto, gettato sulla spalla sinistra, raccolto in folte pieghe tra l’ascella e il gomito, e prolungato a strascico dietro le gambe e sino a terra, così da dare al marmo il suo 18 [Saggi] supporto statico principale, e insieme discreto; e ancora al gesto della mano sinistra, impegnata di volta in volta a reggere un cartiglio (Donatello) o l’asta della croce (Rovezzano), e nondimeno poggiata saldamente sul corpo; e penso ancora, e soprattutto, al volto e allo sguardo, che cercano lo spettatore nello stesso momento in cui si perdono nel vuoto dell’ispirazione, mentre la bocca si schiude a profetare.109 Unica vera alternativa alla tradizione statuaria donatelliana fin quasi agli sgoccioli del Quattrocento, il ‘San Giovannino’ rosselliniano è dal canto suo un fanciullino minuto e ingenuo che va alla scoperta del mondo (fig. 40). Avanzando dalla nostra sinistra verso destra, egli ha il medesimo passo volenteroso con cui lo vediamo avviarsi verso il deserto – nelle scene della sua infanzia – tra i vecchi mosaici del Battistero, nel dossale argenteo dello stesso tempio e nella porta bronzea di Andrea Pisano.110 Nulla di tutto ciò si ritrova nel ‘San Giovannino di Úbeda’ (fig. 42), quasi gemello biblico del satiretto del ‘Bacco’ michelangiolesco (fig. 43), e fratellino minore di quest’ultimo (fig. 85). Il fanciullo ci appare in piedi come in bilico sopra uno spezzone roccioso memorabile (fig. 44): fratto, scosceso, crivellato di fori di trapano, quasi non lo si distingue da quello su cui traballa il ‘Bacco’ (figg. 45, 47). Per puntellare la presenza instabile della figura, dietro di essa fa capolino un tronco d’albero schiantato, che sorge meravigliosamente dal masso, e che al masso è collegato dall’avvolgersi leggero e insieme tenace di un’erba selvatica (fig. 46).111 L’innesto come prepotente del piede arboreo tra i sassi ricorda ancora una volta il ‘Bacco’, dove un ciocco analogo s’interpone fra il dio e il suo satiretto (fig. 47). Non è questa, peraltro, l’unica volta che Michelangelo rinverdisce i fasti classici del tronco d’albero come rinforzo statuario, elemento irrinunciabile anche nel ‘David’, nelle due versioni del ‘Cristo’ della Minerva, e ancora nell’‘Apollo’ Valori (fig. 92).112 Benché l’essenza botanica del rampicante di Úbeda sia diversa, le sue foglie conducono subito il pensiero, per la finitura essenziale ma efficace, ancora una volta al ‘Bacco’, ovvero ai pampini che cingono la testa del nume (figg. 87-88). Privo del mantello di panno, il piccolo Precursore indossa soltanto la tunichetta di cammello, che lascia del tutto scoperta la spalla destra, e che veste il suo torso a mo’ di bandoliera, come fa la pelliccia del San Giovannino nel Tondo Doni (figg. 48-49). La maniera in cui gli orli del vel- lo si rigirano, esibendo allo spettatore sia la faccia interna che quella esterna, è una e la stessa sotto l’ascella destra del San Giovannino Doni e attraverso la schiena della statua di Úbeda (fig. 50).113 Ma quest’ultima trova un equivalente dipinto ben più inaspettato nella maniera obliqua in cui si apre la tunica di stoffa – quasi in conseguenza di una lacerazione – sul petto dell’Evangelista nel ‘Trasporto al Sepolcro’ di Londra (fig. 51). Il raffronto con la pittura di Michelangelo s’impone anche per i lembi inferiori della casacca del ‘San Giovannino’, che ha la medesima consistenza spessa di quella del San Giovannino nella “Madonna di Manchester”, e i cui lembi inferiori, appunto, scivolano in un sol modo sulle gambe e tra le gambe delle due figurette (figg. 5253). Poiché, però, è soprattutto nel marmo che bisogna cercare i valori tattili di confronto, il gruppo del ‘Bacco’ è pronto a darceli sia nel satiretto, con le sue gambette pelose, sia nella spoglia di tigre, con le sue parti più folte in alto e in basso (figg. 54-55). La scomparsa del mantello e la taglia succinta della tunica del ‘San Giovannino’ servono a lasciare la massima evidenza alla cura fanatica e allo splendore del nudo. A contrasto con la testa soavissima e malinconica, che ci guida maggiormente nel definire i suoi anni (figg. 77, 80), il Precursore nasconde sotto le carni fanciullesche la promessa di una struttura anatomica che un giorno diventerà possente e monumentale. Le braccia si raccordano al torso in maniera da impostare delle spalle già discretamente quadrate, così come in tutte le figure presenti nella “Madonna di Manchester” (figg. 56-57, 84) e in tutte le altre rappresentazioni marmoree e pittoriche della Vergine e del Bambino, dalla ‘Madonna della scala’ alla ‘Madonna’ di Bruges, dal Tondo Doni al Tondo Pitti (per tacere affatto, ovviamente, i tipi maschili giovani e maturi). Ma tutta la posa instabile e il moto interiore del Giovannino andaluso sono quelli di un adulto, e mandano completamente in crisi – come ho già detto – il modello di ponderazione che, dal ‘San Giovanni’ Martelli di Donatello al ‘San Giovanni’ di Benedetto da Maiano, fino al Rovezzano e al Rustici, è sempre lo stesso, benché variato (figg. 35-38). Sotto le falde cascanti della tunica il fanciullo di Úbeda sfoggia un lieve avvitamento di gambe nude di un’eleganza inarrivabile (fig. 59, 62), che tollerano un confronto, negli stessi anni e al di fuori di Michelangelo, soltanto con il ‘San Sebastiano’ di Benedetto da Maiano nell’Oratorio della Misericordia (fig. 58), e che 14. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). [Saggi] 19 preparano in modo sorprendente prima il ‘Bacco’ (figg. 60, 63) e poi il ‘Prigione morente’ del Louvre (fig. 65).114 Tale avvitamento sgorga a Úbeda da quella tendenza a imperniare la posa di una figura su una gamba, accennando la roteazione dell’altra anca in avanti (a Úbeda la sinistra), che Michelangelo persegue in misura quasi ossessiva fin dal ‘Crocifisso’ di Santo Spirito, dai due ‘Santi protettori’ dell’arca di Bologna, e dal ‘Bacco’ e dal suo satiretto (figg. 42-43), arrivando poi agli eccessi gloriosi dell’età matura. Se la “Madonna di Manchester” fosse giunta a compimento (fig. 84), avremmo visto qualcosa di simile al ‘San Giovannino’, in pittura, nella figura angelica alla nostra estrema sinistra (figg. 61, 64, dove inoltre la tunica scivola e si annida tra le gambe al pari della pelliccia nella statua, figg. 59, 62). Mi chiedo se gambe come quelle del ‘San Giovannino’ di Úbeda non siano state profondamente meditate da Pontormo giovane, per esempio nel disegno 6506F recto agli Uffizi, preparatorio per il ‘San Michele Arcangelo’ della Cappella della Madonna a Pontorme (1519, fig. 66).115 Il braccio destro del Giovannino, atteggiato quasi come quello incompiuto dell’angelo all’estrema sinistra nella “Madonna di Manchester” (figg. 67-68), trova in questa stessa pala due riscontri più finiti nel braccio sinistro dell’angelo che interpreta il cartiglio e in quello destro del suo compagno di lettura (figg. 56-57). Ma il suo equivalente scultoreo, e dunque un equivalente ancora più persuasivo, è il braccio sinistro del satiretto del ‘Bacco’ (figg. 54-55), una figura che ha pure – significativamente – la stessa età del Precursore di Úbeda, e che ne ha la stessa massa muscolare promettente ma non ancora tonica, rivestita di pelle carezzevole come non mai, dalle infinite vibrazioni luminose (figg. 42-43). Il nesso strettissimo e ricorrente con questo satiretto mi spinge a tornare per un attimo sugli anni del ‘San Giovannino’ di Úbeda. Nella descrizione che Condivi dà del ‘Bacco’ viene rimarcata l’età del satiretto, “che mostra circa sette anni, come il Bacco diciotto” (fig. 85).116 Una sola altra indicazione simile si trova presso Condivi, e riguarda il perduto ‘Cupido dormiente’ pseudo-antico, “d’età di sei anni in sette”.117 Giudicherà il lettore, alla fine di questo paragrafo, se tali coincidenze sono casuali, o se nel breve giro di tempo fra il 1495 e il 1497 non vi sia stato da parte di uno stesso artista, Michelangelo, un interesse specifico per il tema sculto20 [Saggi] reo della prima puerizia. Qui, però, il discorso si fa intanto complicato, e diventa molto suggestivo, per il fatto che nel 1495 il figlio primogenito di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici committente del ‘San Giovannino’, ossia Pierfrancesco, compiva otto anni, essendo nato nel 1487. Coincidenza anche questa? O il ‘San Giovannino’ di Úbeda, pur senza essere il ritratto di un rampollo mediceo (a differenza del ‘San Giovannino’ vasariano del 1569 ricordato prima), tributava un omaggio al figlio del committente almeno nella scelta dell’età? Come ho anticipato nel paragrafo precedente, nelle foto del ‘San Giovannino’ anteriori al 1936 si nota distintamente la perdita antica del suo indice destro (figg. 1, 6-11, 14, 16-17), che orientava lo sguardo dello spettatore verso il cartiglio.118 Quest’ultimo – ennesimo corrispettivo lapideo di uno dei dettagli della “Madonna di Manchester” (figg. 69-70) – si srotola da una mano sinistra che nel contempo aderisce alla pelliccia e all’anca sottostante, creando un’apertura irregolare delle dita e una bellissima pressione sul morbido (fig. 71). Tale soluzione, profondamente meditata, si può seguire attraverso vari marmi di Michelangelo e, insieme, attraverso quattro fasi di crescita del corpo maschile (infanzia, fanciullezza, giovinezza, virilità), mettendo a riscontro con il ‘San Giovannino’ la mano sinistra del ‘Bacco’, affondata nella pelle di tigre (fig. 73); poi quella del Bambino nella ‘Madonna’ di Bruges, ove si aggrappa dolcemente alla gamba panneggiata della madre (fig. 72); e poi quella del ‘Cristo’ della Minerva nella versione di Bassano Romano, dove essa (che è rimasta una tra le parti dell’opera più vicine alle prime intenzioni del maestro) fa quasi tutt’uno con il sudario (fig. 74). In segno della futura missione di “battista”, il ‘San Giovannino’ di Úbeda regge sotto il braccio sinistro, che stringe delicatamente al fianco, una scodella (fig. 75): quasi la stessa che, incompiuta, si vedrà pendere più tardi su un fianco del piccolo Precursore nel Tondo Taddei di Londra (fig. 76).119 In questa rassegna di raffronti ho lasciato per ultimi il capo del fanciullo, dalle ciocche stupendamente inquiete, e il volto, dagli occhi intagliati e segnati come quelli del ‘Bacco’ e del suo satiretto (figg. 7779, 80-81).120 Niente è più difficile che rendere con termini adeguati l’attitudine pensosa, e sommessamente e tragicamente consapevole, nella quale lo scultore è riuscito a cogliere il profetino. La sua è la stessa aria che avvolge le teste dei due angeli con il cartiglio nella “Madonna di Manchester” (figg. 56-57), e che pervade la Vergine medesima in questa paletta (fig. 84). E il suo è lo stesso spirito di preveggenza superiore che l’artista riuscirà miracolosamente a captare ogni qual volta ritrarrà Maria e i più stretti congiunti di Cristo. Poiché Michelangelo è stato uno tra gli artisti più orgogliosamente fedeli a sé stessi dell’intera nostra storia figurativa, l’elenco dei raffronti potrebbe seguitare (e annoiare) molto oltre. Ma lo concludo qui sull’uso virtuosistico del trapano a vista, che le foto anteriori al 1936 fanno balenare dalla base rocciosa di Úbeda (figg. 44, 46), così come dalle pieghe interne della pelliccia del profetino, e dalle sue linee di confine con il cartiglio e con il tronco d’albero (fig. 82). È il medesimo sapere tecnico che conosciamo dal ‘Bacco’, e che nel ‘San Giovannino’ attinge di già il grado consumato di quel gruppo (fig. 83). Nella base petrosa di Úbeda i buchi di trapano formano dei canalicoli di una maestria geniale e poetica, che fa sentire la vita segreta e minuta del sottobosco: da quei buchi sembra quasi di veder sudare qualche goccia di rugiada, o uscire da un momento all’altro la testa di un piccolo verme (figg. 44, 46). Nonostante il ‘Trasporto al Sepolcro’ e la ‘Madonna’ di Bruges, il Tondo Doni e il Tondo Taddei, e poi il ‘Cristo’ della Minerva e varie altre opere realizzate da Michelangelo dopo l’anno 1500, il bilancio delle comparazioni con il ‘San Giovannino’ di Úbeda premia decisamente, come si vede, il ‘Bacco’ e la “Madonna di Manchester” (figg. 85, 84). Per il ‘Bacco’ la cosa non poteva desiderarsi migliore, poiché esso è la prima grande statua marmorea del maestro che ci sia pervenuta intera, e poiché ha una cronologia (1496-97) appena successiva a quella che tutti o quasi, sulla base di Condivi e Vasari, assegnano al ‘San Giovannino’.121 Per la “Madonna di Manchester”, non direttamente documentata, e spesso ingiustamente rifiutata dagli studi del passato, le datazioni proposte dalle migliori voci recenti oscillano fra il 1494 e il 1497.122 I rapporti stringenti che riemergono oggi tra la ‘Madonna’ e la statua di Úbeda permettono di confermare non solo la restituzione del dipinto a Michelangelo (ammesso che ve ne sia tuttora bisogno), ma anche la sua cronologia stilistica induttiva, delimitandola al 1495-96, in concomitanza perfetta con il ‘San Giovannino’. Uno scrupolo di completezza m’impone infine di ricordare che qualche rara volta, in passato, ci si è chiesti, pur in assenza del ‘San Giovannino’, o davanti a falsi candidati, se Michelangelo non potesse 15. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). [Saggi] 21 22 [Saggi] 16. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). 17. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). [Saggi] 23 18. René Charpentier (disegnatore) e Nicolas Chevallier (incisore): “Gallerie du S.r Girardon Sculpteur ordinaire du Roy” (ante 1709), tav. II (particolare con la “teste de saint Jean Baptist par Michel Ange”). aver cominciato la statua già prima di scappare a Bologna nell’autunno 1494, oppure durante il soggiorno bolognese del 1494-95, terminandola poi in quel 1496 accettato da tutti.123 Poiché si parla di cronologie misurate sul metro dei mesi e non degli anni, il discorso rischia di essere troppo sottile e pretenzioso. Ciononostante, mi sembra di aver raccolto nelle note precedenti alcuni indizi figurativi discreti ma forti che rivelano nella statua di Úbeda la conoscenza del ‘Battista’ di Niccolò dell’Arca oggi all’Escorial (fig. 86), cioè di un capolavoro che, quando Michelangelo arrivò a Bologna nell’autunno del 1494, si trovava in casa dei due figli dell’autore appena morto (marzo 1494), e vi era esibito in vendita al migliore offerente.124 Anche se Michelangelo ci ha dato un’invenzione del Precursore quasi diametralmente opposta a quella di Niccolò, i risvolti della pelle di cammello sulla schiena del bambino di Úbeda, e il rampi- 24 [Saggi] 19-20. Scultore di cultura fiorentina: ‘Testa del Battista’ (1500 circa). Parigi, Musée National du Louvre, Département des Sculptures. cante selvatico intorno all’albero, sembrano in debito proprio con il grandissimo maestro dell’Arca di San Domenico. Ancora i pampini tra i capelli del ‘Bacco’ vogliono competere con il tralcio ammirato da Michelangelo presso gli eredi di Niccolò a Bologna (figg. 87-88). Ovviamente non si potrà escludere del tutto che il ‘San Giovannino’ fosse richiesto a Michelangelo da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici già nel 1493 o nel 1494, e che lo scultore ne avviasse già allora una prima sbozzatura. Ma, per dar corpo a una simile ipotesi, è ormai chiaro che possono essere utili soltanto delle prove esterne al linguaggio intimo dell’opera. Vicende antiche del ‘San Giovannino’ mediceo. Prima parte (sino al 1537) Ho già accennato, di fatto, come tutta la bibliografia moderna sia partita dall’assunto che il ‘San Giovannino’ mediceo fosse un statua, nonostante che Condivi e Vasari non siano espliciti in tal senso: ma il loro parlare sintetico, quasi per antonomasia, è proprio un riferirsi a una figura intera e a tutto tondo, non a un mezzo rilievo o a una mezza figura. Tale interpretazione corrente è avvalorata dagli inventari della Casa Vecchia dei Medici in Via Larga, dove i figli, nipoti e pronipoti di Pierfrancesco de’ Medici il Vecchio abitarono ininterrottamente sino al 1537. John Shearman, pubblicando quelle liste nel 1975, vi ha scovato per il 1498-99, nella “camara terrena di Lorenzo [di Pierfrancesco]”, “uno San Joambaptista di marmo di rilievo” ovvero “di marmo di tutto rilievo”, e per il 1503 “uno Sancto Giovanni di marmo”.125 Sensatamente, Shearman non ha avuto dubbi che si trattasse della statua michelangiolesca, per la quale, tuttavia, non credeva a nessuno dei candidati proposti fino a quel momento.126 In alcuni numeri della vecchia bibliogra- fia sul ‘San Giovannino’ (soprattutto quella connessa con il falso pretendente da me restituito a Giovanfrancesco Susini e oggi a Washington) si è dato spazio a una delle non poche lettere che Paolo Somenzi da Cremona, ambasciatore di Ludovico il Moro a Firenze, spedì al suo signore tra il febbraio e l’agosto 1497, cioè nella fase culminante del dramma di fra Girolamo Savonarola, per tenerlo costantemente informato su di esso. Il 29 giugno, poco più di un anno dopo il completamento della statua michelangiolesca, Somenzi scriveva al duca di Milano, tra le altre cose, che circa tre mesi prima Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, temendo il clima politico surriscaldato di Firenze, aveva cominciato a svuotare a poco a poco la sua casa di “tutte le robe mobile che sono di valuta”, e le aveva ricoverate per sicurezza nel Mugello (cioè nella sua villa di Cafaggiolo), dov’era infine andato ad abitare di recente “con tucta la sua brigata”.127 Questa testimonianza ha ingenerato il dubbio che anche il ‘San Giovannino’ venisse rimosso da Via Larga e che magari non vi facesse mai più ritorno. Ma gli inventari pubblicati da Shearman mostrano che, indipendentemente dalle traslazioni subìte o non subìte nel 1497, il San Giovannino’ era di nuovo nel suo luogo originario il 15 settembre 1498 (cioè pochi mesi dopo il martirio di Savonarola), e ancora nel 1503.128 Basta una conoscenza anche non sofisticata delle vicende patrimoniali medicee, per sapere che le opere d’arte della Casa Vecchia rimasero al loro posto fino al 6 gennaio 1537, giorno in cui, nella camera di Lorenzo di Pierfrancesco di Lorenzo detto Lorenzino, costui assassinò il duca Alessandro, suo parente e amicissimo.129 Nel frattempo, alla morte di Lorenzo di Pierfrancesco il Vecchio, committente di Michelangelo e nonno del futuro omicida (1503), le sue proprietà erano passate al [Saggi] 25 26 [Saggi] 21. Domenico Pieratti: ‘Aristeo’ (1625-30 circa). Già a Berlino, Kaiser-Friedrich-Museum. figlio Pierfrancesco, e alla sua morte (1525) erano andate al suo primogenito Lorenzino e al secondogenito Giuliano, entrambi molto giovani e non sposati all’aprirsi del 1537. Fra la fine del Quattrocento e il 1537 c’erano state varie trattative di possesso, e anche liti, tra Lorenzo di Pierfrancesco il Vecchio, il figlio e i due nipoti da una parte, e, dall’altra, i loro coinquilini e coeredi della Casa Vecchia (e di vari altri beni fuori di Firenze), in quanto discendenti di Giovanni di Pierfrancesco il Vecchio (fratello minore del committente di Michelangelo), morto nel 1498. Tali eredi e discendenti erano stati ed erano Caterina Sforza Riario vedova di Giovanni († 1509), Giovanni dalle Bande Nere suo figlio († 1526), la di lui vedova Maria Salviati, e l’unico figlio di Giovanni e Maria, ossia Cosimo, futuro duca e granduca Cosimo I.130 Che cosa accadesse alle divisioni interne della Casa Vecchia e ai vari arredi in conseguenza delle liti non ha importanza qui, perché Lorenzino, scappato da Firenze subito dopo l’assassinio con un cavallo, dei vestiti e dei contanti, non avrebbe mai più rimesso piede nella sua città, vivendo ramingo per undici anni, e cadendo nel 1548 a Venezia sotto il pugnale dei vendicatori del duca Alessandro.131 Quando quest’ultimo era stato ucciso, Giuliano fratello di Lorenzino, la madre e le sorelle si trovavano nella villa di Cafaggiolo, e anche loro, presto emigrati dallo Stato fiorentino senza passare per Firenze, non vi tornarono mai più. A causa del delitto e della fuga di Lorenzino, lui e i suoi congiunti e coeredi furono banditi per sempre dalla patria, e le loro proprietà furono interamente rilevate dal nuovo capo dello Stato, cioè dal loro cugino Cosimo I. Costui, dunque, diventava padrone unico di tutta la Casa Vecchia e del suo contenuto, che in parte erano già suoi, e che per la parte ora acquisita gli sembravano un risarcimento doppiamente dovuto: non tanto in virtù delle confische che il diritto dell’epoca imponeva ai ribelli (e che andavano nelle casse dello Stato), ma perché egli era il solo erede legittimo e non bandito dei Medici di Pierfrancesco il Vecchio, e inoltre si riteneva ingiustamente maltrattato nelle precedenti divisioni con i cugini. Del resto, nel dettare le proprie ultime volontà il 18 agosto 1525, Pierfrancesco padre di Lorenzino e Giuliano aveva espressamente nominato suo cugino Giovanni dalle Bande Nere e i suoi discendenti maschi come eredi nel caso che Lorenzino e Giuliano e i loro discendenti maschi fossero mancati: e questa eventualità si concretò appieno de iure nella persona di Cosimo durante l’inverno 1537 (poiché Lorenzino e Giuliano, banditi, non avevano e non avrebbero avuto figli, mentre Giovanni era morto sin dal 1526).132 Qui è interessante mettere a confronto le non poche fonti cronistiche e storiografiche di cui disponiamo per i fatti del 1537: data la loro grande utilità per la comprensione dei risvolti patrimoniali di quelle vicende, ho pensato di fare cosa comoda riunendo alcuni brani principali nell’Appendice I. Mentre talune voci, più prossime agli eventi, parlano esplicitamente di “confisca” per la roba di Lorenzino e del fratello Giuliano (Francesco di Giovanni Baldovinetti, App. I, 4.a; Paolo Giovio, App. I, 5.a, 5.b),133 tutte le altre si guardano scrupolosamente dall’usare quel vocabolo o un altro affine, avallando invece, in modo più o meno implicito, il principio della piena normalità del subentro ereditario di Cosimo: del resto, come fu detto e ribadito più volte in quei giorni, il nuovo signore aveva raccolto lo scettro di Alessandro, in nome della legge, proprio perché i due consanguinei che lo precedevano nella linea di successione – Lorenzino e Giuliano – erano decaduti.134 In effetti il patrimonio dei figli di Pierfrancesco conobbe sul piano procedurale un trattamento del tutto diverso da quello riservato, negli stessi mesi, a moltissimi altri beni di ribelli fiorentini, incamerati stabilmente dallo Stato, o venduti all’incanto in pro’ dell’erario. Non a caso non si trova nessuna traccia dei Medici nel fondo documentario dell’Ufficio dei Beni dei Ribelli all’Archivio di Stato di Firenze, all’interno dei cosiddetti “Numeri rossi” dei Capitani di Parte Guelfa, che conservano ancora – malgrado la perdita di non pochi libri e filze – moltissime registrazioni e tanti inventari di proprietà mobili e immobili sottratte a ribelli e a banditi di ogni rango.135 Un forte argumentum e silentio sulla radicale differenza giuridica che fu mantenuta tra l’eredità di Pierfrancesco e i beni di tutti gli altri “nemici dello Stato” si ottiene raffrontando il bando contro Lorenzino emanato il 24 aprile 1537 dagli Otto di Guardia e Balia e quello da loro stessi pubblicato sei giorni dopo contro i suoi due complici nell’assassinio (Piero di Giovannabate detto “Scoroncóncolo” e Matteo da San Piero a Sieve detto “il Freccia”): mentre nel secondo testo si esplicita, fra la altre pene inflitte agli omicidi, la “comfiscatione di tutti i loro beni al Comune di Firenze”,136 non c’è nel primo testo, pure assai più lungo e complesso, nessun provvedimento del genere (App. I, 3.b). Avere sott’occhio un ventaglio ampio delle molte testimonianze del 1537 è utile per chiarirsi un secondo punto non irrilevante della trasmissione patrimoniale medicea verificatasi in quell’anno. Il 9 gennaio 1537, poche ore – addirittura minuti – dopo la proclamazione di Cosimo come nuovo capo della Repubblica da parte degli ottimati, la plebe e la soldataglia di Firenze misero a sacco tutta la Casa Vecchia, mescolando torbidamente la 22. Domenico Pieratti: ‘Amore che apre un cuore con una chiave’ (1623). Firenze, Giardino di Boboli. vendetta verso Lorenzino con l’euforia per il successo cosimiano. Due storici e biografi che possiamo in sostanza e a buon diritto definire palleschi e, per la natura della notizia che ci tramandano, pure attendibili, ci confermano che in quel momento la Casa Vecchia degli ultimi Medici racchiudeva “molte scolture et pitture bellissime raunate da’ loro antecessori” [Saggi] 27 (Giovambattista Cini), ovvero “un numero grandissimo di statue antiche, parte di marmo e parte di bronzo”, e “tanti mobili e così preziosi, che la valuta loro ascendeva a un prezzo che non si sarebbe così agevolmente potuto stimare” (Benedetto Varchi). Questi stessi autori, e altri osservatori non meno bene e forse ancora meglio informati (Francesco Baldovinetti, Bernardo Segni), fanno poi capire, con mezze parole o con piene denunce, che dietro tale imprevista razzia ‘dal basso’ c’era in verità un abile e spregiudicatissimo regista neanche segreto, ossia Alessandro Vitelli da Città di Castello, comandante delle truppe cittadine del duca Alessandro, e alleato mediceo tra i più infidi (App. I, 4.b, 7, 8.a, 10.a). In quei mesi il Vitelli avrebbe dato moltissimo filo da torcere a Cosimo, e il saccheggio della Casa Vecchia fu solo il primo atto di una progressione rapida e pesante. L’indomani (10 gennaio) Vitelli, giocando d’astuzia, si sarebbe impadronito del comando assoluto della Fortezza da Basso (la “Cittadella” delle fonti) e delle sue truppe in parte spagnole, con il pretesto di dover curare primariamente gli interessi dell’imperatore Carlo V e di sua figlia Margherita, vedova di Alessandro de’ Medici. E poche ore dopo avrebbe aiutato Margherita ad abbandonare il Palazzo Medici di Via Larga ricoverandosi nella Fortezza con tutto il favoloso tesoro del duca defunto, cioè l’eredità di Cosimo il Vecchio e Lorenzo il Magnifico, che di 28 [Saggi] 23. Domenico Pieratti: ‘Aristeo’ (particolare). Già a Berlino, Kaiser-Friedrich-Museum. fatto usciva così, per sempre, dall’asse mediceo. L’avidissimo Vitelli puntava innanzitutto ad arricchirsi sia con il riscatto che avrebbe potuto esigere nel restituire poi la “Cittadella” ai fiorentini, sia con qualche pingue porzione della guardaroba medicea lì ammassata; e, in secondo luogo, era indispensabile alla sua ambizione tenere comunque in ostaggio, manu militari, l’autorità di Cosimo. Un intarsio attento di tutte le fonti dell’Appendice I consente di appurare nondimeno che la razzia del 9 gennaio nella Casa Vecchia, durata poche ore, non poté coinvolgere gli oggetti più ingombranti, e, soprattutto, che nelle settimane successive Cosimo riuscì pazientemente a recuperare la parte migliore dei beni sottratti, venendo a patti con il Vitelli, i cui soldati avevano ricoverato in Fortezza il grosso della refurtiva. Nella Casa Vecchia c’erano state alcune classi di oggetti particolarmente facili da asportare e particolarmente preziose per i proprietari, mentre erano di assai minore gratificazione per i ladri. Erano le scritture d’archivio e i libri in penna e a stampa, soprattutto “greci et latini”, cui si riferiscono particolarmente Benedetto Varchi, Giovambattista Adriani e Giovambattista Cini (App. I, 8.a, 9, 10.a). Per il riscatto di tutti questi volumi gli Otto di Guardia e Balia emanarono il 5 febbraio 1537 un bando apposito (App. I, 1.b), che è qui notevole per almeno due ragioni: esso è l’unico atto pubblico del genere compiuto in quei mesi, a riprova che le opere d’arte della Casa Vecchia già non erano più, invece, a rischio; e il testo del bando (App. I, 3.a) fu lievemente ritoccato in corso di redazione per ampliarne la portata dalla sola “casa Sua Illustrissima Signoria” alla casa “contighua a quella”, cioè la casa di Lorenzino e Giuliano, visto che ormai non c’era più distinzione tra l’una e l’altra, e tutto era di un solo proprietario. Che il bando del 5 febbraio avesse infine effetto, almeno per i volumi della biblioteca, lo sappiamo da Giovambattista Adriani, secondo cui “la maggior parte de’ quali [libri] il signor Cosimo fece poi diligentemente ritrovare e mettere in salvo” (App. I, 9). Quanto alle carte d’archivio, l’abbondanza di quelle della linea di Lorenzo di Giovanni di Bicci tuttora custodite nel Mediceo avanti il Principato presso l’Archivio di Stato di Firenze è la prova stessa del loro avvenuto recupero.137 Nel frattempo il nuovo signore di Firenze (non ancora ufficialmente “duca”) si era trasferito nel vicino Palazzo Medici di Via Larga, lasciato libero dal duca Alessandro defunto, dalla vedova Margherita e dalla loro corte: mai più, nei secoli, l’esponen- te principale della dinastia medicea avrebbe abitato nella Casa Vecchia, svuotata a poco a poco di tutti i suoi arredi. A suggellare l’abbandono di questo storico edificio intervenne, a partire dal 15 febbraio 1537 e per circa due settimane, un atto rimasto per secoli nella memoria collettiva dei fiorentini, cioè la demolizione di quel pezzo della Casa Vecchia dove il delitto di Lorenzino era stato perpetrato (l’angolo sud-est, all’estremità sinistra della facciata su Via Larga). Di tale operazione parlano nei modi più diversi quasi tutti i cronisti e gli storici,138 mentre non ve n’è ombra nelle carte governative di quei giorni: essa fu infatti un ennesimo cattivo gioco di Vitelli, davanti al quale Cosimo pensò bene di fare buon viso, per non contrastare – almeno per ora – quel suo sostenitore assai inquieto e temibile. Soprattutto, però, Cosimo non poteva dare a intendere all’opinione pubblica, e ai troppi osservatori di parte cesarea e spagnola dentro e fuori di Firenze, che egli non volesse vendicare sino in fondo la morte del genero dell’imperatore e fosse invece tiepido verso quel cugino omicida con cui era cresciuto insieme, e il cui folle crimine gli stava di fatto regalando il trono ducale. Gli studiosi di Sandro Botticelli sanno bene che i suoi famosi dipinti citati negli inventari della Casa Vecchia, e particolarmente negli spazi connessi col nome di Lorenzo di Pierfrancesco il Vecchio (la ‘Primavera’, la cosiddetta ‘Pallade con il centauro’), si incontrano facilmente più tardi tra i beni della corona granducale di Toscana.139 Come mai, invece, si perde ogni traccia inventariale del ‘San Giovannino’ michelangiolesco?140 E come mai Vasari, Condivi e Varchi dimenticano del tutto l’opera, o non ne danno la collocazione? Avrebbero avuto senso, questi silenzi, se la statua fosse stata ancora a Firenze, o comunque in una delle città ben presenti a quegli autori e al loro pubblico, per esempio Roma o Venezia? E perché mai Cosimo I e i suoi congiunti, che a partire dalla nascita dell’erede al trono Francesco (1541) presero a celebrare i battesimi in San Giovanni con grandi apparati che ponevano al centro una statua marmorea del Precursore, si sarebbero avvalsi più volte di un prestito dell’esemplare donatelliano di Casa Martelli, se avessero ancora avuto nei loro palazzi un’opera del tutto omologa, e di mano di Michelangelo?141 Le uniche due spiegazioni ammissibili sono che il ‘San Giovannino’ si trovava ormai lontano dal mondo del suo artefice, oppure che fosse già allora distrutto: ma in questo secondo caso, forse, ce ne sarebbe restata espressa notizia.142 I mesi in cui Cosimo I dovette entrare in 24. Domenico Pieratti: ‘Zelo’ (entro il 1642) (particolare). Firenze, Palazzo Pitti, Grotta di Mosè. possesso della statua, nel 1537, furono anche quelli incomparabilmente più importanti della sua vita. A lui, non ancora diciottenne, il capriccio della Storia metteva in mano lo Stato fiorentino, ma in modo estremamente difficile e periglioso. Cosimo avrebbe avuto bisogno di vari anni, e soprattutto di un saldissimo equilibrio di nervi, di una volontà ferrea e di una ineguagliabile capacità di tenere sotto controllo ogni cosa e quasi ogni persona, per venire a capo della drastica alternativa tra caduta e trionfo in cui si era cacciato, in mezzo a nemici e insidie di ogni sor- ta. In quei giorni cruciali la figura-chiave per garantirgli non solo lo Stato, ma prim’ancora la salvezza, era l’imperatore Carlo V: e la scelta filospagnola e antifrancese, compiuta da Cosimo in maniera risoluta, sincera e incrollabile (malgrado le non poche occasioni sempre nuove per dubitarne e per deflettere), si sarebbe rivelata vincente. Subito dopo Carlo V, e addirittura prima di lui sulla strada che a lui portava, stava Francisco de los Cobos, onnipotente segretario dell’imperatore insieme a Nicolas Perrenot de Granvelle: ma mentre quest’ultimo si occupava dei possedimenti asburgici di area franco[Saggi] 29 germanica, a Cobos toccavano gli affari d’Italia e d’oltremare.143 Cobos, d’altronde, non era soltanto un deus ex machina della politica e della diplomazia. Gli studiosi moderni di Tiziano e di Sebastiano del Piombo lo conoscono da sempre per le pitture importantissime di questi e di altri maestri che egli riuscì a procurarsi durante tre memorabili passaggi italiani in compagnia di Carlo (152930, 1532-33, 1535-36), oppure facendosele spedire più tardi in Spagna. E la gran parte di tali acquisti non fu frutto di commissioni dirette, ma di doni diplomatici, a lui presentati, per compiacerlo, dai Gon- zaga di Mantova, da Alfonso I d’Este e da altri governanti della Penisola. Naturalmente non ha senso elencare qui ognuno dei tanti regali artistici a Cobos che sono tornati alla luce fin da quando, in pieno Ottocento, i nostri archivi pubblici di Modena, Parma e Mantova vennero esplorati da cartisti come Giuseppe Campori, Amadio Ronchini o Willelmo Braghirolli: regali che sono poi aumentati di numero, e sono stati ulteriormente messi a fuoco, grazie al ritorno alle fonti documentarie compiuto dagli studi del primo e soprattutto del tardo Novecento (Adolfo Venturi, Georg Gronau, Michael Hirst, 25. Giovanfrancesco Rustici: ‘San Giovanni Battista’ (1500 circa). New York, The Morgan Library and Museum. Clifford Malcolm Brown, Diane Bodart).144 Merita però sottolineare la coincidenza perfetta, quasi da ovvia e ineluttabile regola di vita e di comportamento politico, che lega queste cospicue offerte con alcuni snodi risolutivi nelle carriere dei vari donatori: nel caso di Federico II Gonzaga, si tratta in un primo momento della sua elevazione da marchese a duca di Mantova e delle nozze con Giulia d’Aragona dopo l’annullamento di quelle con Maria Paleologa (1530), e in un secondo momento dell’annullamento del matrimonio aragonese in favore di quello con Margherita Paleologa e della conseguente investitura del Marchesato del Monferrato (1530-34, con strascichi sino al ’36).145 Per Alfonso I duca di Ferrara i suoi rapporti ‘pittorici’ con Cobos (1532-33) hanno senso principalmente in vista del recupero di Modena e Reggio allo Stato estense. Per Ferrante Gonzaga, fratello minore di Federico, è sempre in gioco la sua fortuna, in continua ascesa, di governante e di grande feudatario all’ombra del dominio spagnolo in Italia. Merita, peraltro, accennare meno frettolosamente a due dei tanti dossiers archivistici sui doni italiani fatti a Cobos. Uno è il fitto scambio di messaggi che Cobos, mentre soggiornava a Bologna nell’inverno 1532-33 per il secondo congresso tra Carlo V e papa Clemente VII, ebbe con Alfonso I tramite gli agenti di quest’ultimo: approfittando del fatto che il duca di Ferrara era disposto a tutto pur di ingraziarselo, Cobos, “con indiscrezione veramente schifosa” (Campori), pretese dalle collezioni estensi non pochi capolavori di Tiziano (poi in buona parte perduti), tra cui il ritratto del duca stesso.146 Qualche mese più tardi, sempre nel 1533, partì (o ripartì) la lunga vicenda di una ‘Pietà’ su ardesia che Ferrante Gonzaga, nominato viceré spagnolo di Sicilia poco dopo (1535), commissionò per Cobos a Sebastiano del Piombo, e che, a causa della lentezza davvero esasperante dell’artista, arrivò a destinazione non prima del 153940. In questa tormentata gestazione, che coinvolse una miriade di attori grandi e piccoli tra Roma, Mantova, Napoli e la Sicilia, ebbe un ruolo umanamente secondario, ma artisticamente centrale, lo stesso Michelangelo, autore di uno o più disegni preparatori risultati decisivi per il dipinto del Frate, oggi noto a tutti come “Pietà di Úbeda” (Madrid, Museo del Prado, in deposito dalla Fundación Casa Ducal de Medinaceli, ma con una provenienza, naturalmente, dalla Sacra Capilla de El Salvador).147 Non è possibile dire se il giovane Cosimo de’ Medici fosse informato su questi co- 26. Benedetto da Rovezzano: ‘San Giovanni Battista’ (1492 circa). Roma, San Giovanni dei Fiorentini. [Saggi] 31 32 [Saggi] 27. Francesco da Sangallo: ‘San Giovanni Battista gradivo’ (1530 circa). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. 28. Francesco da Sangallo: ‘San Paolo’, particolare della tomba di Piero di Lorenzo de’ Medici (1532-58). Montecassino, chiesa abbaziale (stato prima del febbraio 1944). stumi particolari delle corti d’Italia in ogni dettaglio (poiché, come vedremo tra poco, il dono di una “statua” che egli fece a Cobos nell’estate 1537 sarebbe avvenuto ad insaputa di tutti). Senz’altro, però, si può affermare che la grossa condiscendenza non solo di Cobos ma anche di Granvelle verso le opere d’arte, i beni di lusso, le prelibatezze alimentari e le somme cospicue di denaro offerte loro per far procedere nel modo più spedito gli affari d’Italia era cosa genericamente risaputa da tutti, e che sarebbe stata presto immortalata dagli storici.148 Benedetto Varchi, per esempio, racconta che nell’inverno 1535-36 Alessandro de’ Medici, recatosi a Napoli ai piedi di Carlo V per consolidare il suo potere fiorentino, e tornatosene poi a casa con la doppia vittoria del titolo ducale pienamente riconosciuto e delle nozze con Margherita figlia di Carlo, spese moltissimi “danari per corrompere […] quei primi agenti di Cesare” (ossia Cobos e Granvelle) “acciocché eglino favorisse- ro a lor potere la causa sua dinanzi a Sua Maestà”.149 Pur essendo ancora adolescente – e lontano dalle mene politiche – nei giorni dei passaggi italiani di Cobos insieme a Carlo V, Cosimo ebbe però modo di partecipare a tali eventi da spettatore privilegiato, poiché andò con sua madre Maria Salviati presso Clemente VII durante il primo convegno di Bologna (1529-30), e nel secondo convegno fu un membro del séguito di Alessandro de’ Medici (1532-33). Dopo l’ultima partenza della corte cesarea da Bologna, Cosimo fece anche lui, con Alessandro, il viaggio di Carlo fino a Parma, Piacenza, Milano e Genova.150 E quando Alessandro scese a Napoli nel 1535-36, c’era con lui pure Cosimo.151 È dunque inevitabile pensare che egli venisse presentato a Cobos (verso il quale si sarebbe sentito di colpo tanto obbligato a partire dal gennaio 1537) almeno nel 1532-33 e nel 1535-36. Del resto, una volta lasciata Napoli nel marzo 1536, Carlo V e i suoi si trasferirono prima a Roma, poi a Siena, e infine a Firenze, dove l’incontro cordiale tra l’imperatore e 29. Francesco da Sangallo: ‘San Giovanni Battista gradivo’ (foto stampata in controparte). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. l’erede ancora sedicenne di Giovanni dalle Bande Nere sarebbe stato ricordato più tardi dallo storico Lorenzo Poggio.152 A Roma Cobos esaminò in corso d’opera la ‘Pietà’ che Sebastiano del Piombo dipingeva per lui a spese di Ferrante Gonzaga, e sui disegni di Michelangelo.153 E a Firenze, il 4 maggio, ebbe luogo una visita del corteggio imperiale a San Lorenzo, “a vedere quella maravigliosa Sagrestia che fece in quella chiesa Michelagnolo Buonarroti scultore fiorentino, il quale meritamente una delle luci della fiorentina gloria dir si puote”.154 Non v’è nulla di più verosimile che Cobos, in quell’occasione o in un’altra analoga, con la sua tenace abitudine di chiedere, abbia sparso fra gli astanti la voce di desiderare un marmo del maestro. In virtù di tutto ciò, ho sempre creduto, dunque, che il ‘San Giovannino’ di Michelangelo avesse continuato la sua esi[Saggi] 33 stenza non più medicea e fiorentina come regalo di Cosimo a Cobos; e che bastava percorrere i carteggi spagnoli del Mediceo del Principato presso l’Archivio di Stato di Firenze, tra il 1537 e il 1547, per imbattersi prima o poi in qualche traccia del ‘San Giovannino’ di Úbeda, unica scultura monumentale di soggetto sacro che Cobos si procurò dall’Italia (a differenza dei molti dipinti e di vari oggetti di lusso).155 La ricerca poteva anzi limitarsi entro il 1541, anno in cui Cosimo ottenne in prestito dalla famiglia Martelli – come ho già ricordato – il ‘San Giovannino’ di Donatello per metterlo al centro degli apparati del battesimo di Francesco, suo primogenito: ripiego invero strano (ho pure già accennato) se egli avesse posseduto il ‘San Giovannino’ di Michelangelo. Il cammino archivistico da fare era infine ancora più breve, poiché la notizia utile si offre già nell’estate 1537, e nei 34 [Saggi] 30. Giovanfrancesco Susini: ‘San Giovanni Battista’ (1635 circa). Washington, National Gallery of Art. primi faldoni del Mediceo che è necessario consultare per un’indagine su Cosimo e Carlo V. Gli eventi burrascosi di quell’anno, che videro Cosimo I alle prese soprattutto con i nemici interni fiorentini, i “fuorusciti”, sostenuti dai francesi e non ostacolati da papa Paolo III, culminarono il 1° agosto a Montemurlo, quando le truppe toscane e spagnole fedeli al nuovo signore ebbero militarmente ragione dei cospiratori. La cattura e la prossima condanna di Filippo Strozzi, di Baccio Valori e dei loro collegati chiudevano come meglio non si poteva la prima fase dell’ascesa di Cosimo, e aprivano d’altronde un nuovo scenario in cui era la diplomazia a dover fare da protagonista. Cosimo, infatti, aveva ancora bisogno che l’imperatore gli riconoscesse il titolo di “duca”, gli restituisse le fortezze toscane in mano spagnola a cominciare da quella fiorentina “da Basso” (e con esse l’effettivo possesso dello Stato), e gli concedesse eventualmente in moglie la figlia Margherita, rimasta vedova di Alessandro. Questa terza aspirazione, meno irrinunciabile delle altre due, era pur sempre importante sul piano politico, per legare indissolubilmente Firenze e l’Impero, e, su un piano finanziario, per assicurare a Cosimo il pieno subentro ad Alessandro nell’enorme patrimonio del ramo di Cosimo il Vecchio. La scelta che Carlo avrebbe poi compiuto, per ragioni di equilibrio politico, di dare Margherita a Ottavio Farnese nipote di Paolo III, sarebbe stata ben compensata da un altro partito spagnolo per Cosimo (Eleonora di Toledo), ma avrebbe procurato un’interminabile vertenza ereditaria tra Cosimo e Margherita per i beni medicei del primo ramo. Allo scopo di trattare tutto ciò con Carlo V, e specialmente con i suoi segretari, fin dal luglio 1537 – vari giorni prima di Montemurlo – Cosimo aveva deciso di inviare alla corte cesarea, allora in Spagna, Averardo di Antonio Serristori, ovvero colui che sarebbe stato infine uno dei suoi più fidi, esperti e longevi ambasciatori. Tale incarico, mentre ha avuto scarsi echi tra i cronisti (attenti alle azioni dagli effetti immediati), è tuttavia ricordato con ampiezza e ricchezza di dettagli – in forza di un giudizio più a distanza – presso i principali storici dell’epoca, da Paolo Giovio a Benedetto Varchi, da Bernardo Segni a Giovambattista Adriani, da Scipione Ammirato a Giovambattista Cini.156 Pur con diverse simpatie e coloriture, tutti convengono sul ruolo determinante dell’operazione. Dei tre principali obiettivi di Cosimo e Averardo al momento, solo il titolo ducale sarebbe stato un esito diretto della missione spagnola (il 30 settembre): ma i semi gettati allora dall’oratore mediceo avrebbero dato prima o poi altri buoni frutti. Averardo, pronto a partire al più tardi il 25 luglio, fu tuttavia trattenuto a Firenze, a causa di Montemurlo, ancora sino al 7 agosto. Come d’abitudine per i movimenti verso la Spagna, il suo viaggio si svolse per via di coste e di costeggi marittimi, con tappe prima nella Genova filospagnola e filofiorentina, poi a Nizza, e infine a Palamós in Catalogna. Da qui Averardo risalì verso Monzón, nel cuore dell’Aragona, dove raggiunse la corte il 25 settembre.157 Di tale itinerario, e soprattutto del soggiorno in Aragona e Catalogna, il Mediceo del Principato conserva una documentazione assai copiosa. Sono molte, ripetute e incrociate le lettere spedite e ricevute dai tre membri del “corpo diplomatico” fiorentino presso l’imperatore (giacché Serristori fu affiancato dal segretario Lorenzo Pagni, ed entrambi trovarono a corte Giovanni Bandini, stanziatovi come agente fin dai tempi del duca Alessandro). Dall’altra parte c’erano, a ricevere e spedire a loro volta, Cosimo e i suoi fedelissimi rimasti in Toscana (i segretari Francesco Campana e Ugolino Grifoni, ma anche Maria Salviati). Tutt’intorno, un formicolare variegatissimo di altri personaggi delle due corti – fiorentina e cesarea – e di altri poli filospagnoli d’Italia (in primis la Genova di Andrea Doria).158 Malgrado quest’abbondanza di carte, spesso ricche di testi in cifra,159 si danno anche gravi lacune antiche, alcune delle quali riguardano la storia particolare che ricostruisco in queste pagine. Mancano per esempio le lettere che Averardo spedì a Cosimo nel primo mese e mezzo di cammino, man mano che si allontanava dalla Toscana.160 Mentre Averardo era a Genova (dove si trattenne fino al 6 settembre a causa dei venti contrari),161 Cosimo gli mandò da Firenze i doni da esibire a Cobos e a Granvelle, i quali nelle settimane e nei mesi successivi sarebbero stati, secondo le consuetudini del governo carolino, i veri registi delle trattative. Per entrambi i segretari imperiali, in pari misura, c’erano dei “drappi d’oro”, il cui pregio si può stimare dal solo fatto che, al loro arrivo a Barcellona e poi a Monzón, l’ambasciatore dovette sborsare cento ducati in dazî.162 Ma per Cobos c’era, in più, una “statua”, che anziché sbarcare a Barcellona tagliò direttamente per Cartagena, cioè per il porto più vicino a Úbeda e ai possedimenti che Cobos stava accumulando nella sua terra andalusa d’origine. Così, dunque, scriveva Cosimo al Serristori il 13 settembre: 31. Giovanfrancesco Susini: ‘Bacco’ (1640 circa). Parigi, Musée National du Louvre, Département des Sculptures. [Saggi] 35 “Deli drapi se ne è seguito l’ordine Suo, et la statua, che per ordine del signor abate di Ne- gro164 è passata sopra a una nave genovese et andata a Cartagena, dove sarà molto commoda a chi l’ha havere. Si è ordinato a certi mercanti genovesi, alli quali detto signor abate l’haveva indirizata, che la consegnino al signor corregidore et governatore di quella terra, secondo che ha ordinato chi l’ha havere. Et tutto sta bene. I ringratiamenti et le belle parole fatte, et il debito che costoro dicano tenerne a Vostra Excellentia, non li potrei con parole exprimere: così piaccia a Dio che correspondino li effecti”.165 36 [Saggi] 32. Giovanfrancesco Susini: ‘San Giovanni Battista’. Washington, National Gallery of Art. “Li drappi presenterete la metà a Covos con la statua et l’altra a Granvella, con quelle parole iudicherete convenirsi per arra della bona voluntà tenemo [in] mostrar a Lor Signorie la servitù nostra inverso di quelle”.163 E così il Serristori aggiornava Cosimo su questa materia il 16 ottobre, da Barbastro nei pressi di Monzón, per mano del segretario Lorenzo Pagni: Lo speciale itinerario della “statua” (trasbordata, nel porto di Genova, dalla nave toscana di arrivo a una nave mercantile genovese) era dovuto a vari motivi: non solo non conveniva esibirla a corte, cioè in presenza di Granvelle, rivelando così la disparità dei doni; e non solo la corte era allora in moto, e Monzón (con Barbastro) rappresentava una semplice sosta; ma il sessantenne Cobos, che pure aveva fissato la sua dimora principale a Valladolid, destinava ai possedimenti andalusi tutto ciò che serviva all’ostentazione pubblica della sua pietà e alla sua autocelebrazione funeraria. L’erezione della Capilla de El Salvador, luogo ultimo del ‘San Giovannino’, era stata avviata proprio un anno prima del dono della “statua”, il 18 settembre 1536.166 Prevedibilmente, com’è nella natura dei carteggi che non sono stati creati per i nostri studi, ma solo per permettere ai corrispondenti di intendersi sul momento, queste lettere ci negano l’autore della “statua”, e anche il soggetto. Nella fattispecie, poi, la normale reticenza dei due principali interlocutori rispetto alle nostre attese è accresciuta – e resa ancora più ovvia – dal fatto che essi hanno ridotto al minimo i riferimenti espliciti, per timore di fughe di notizie nel caso che le missive venissero intercettate. Nella lettera del 16 ottobre Serristori mette innanzitutto in cifre le parole-chiave che interessano qui, e che ho reso con il corsivo (“deli drapi”, “la statua”). E continua poi alludendo ai due segretari di Carlo V senza darne i nomi: Cobos è per due volte “chi l’ha havere” (con l’oggetto pronominale riferito alla “statua”, in cifra), e Cobos e Granvelle insieme sono semplicemente “costoro”. In una seconda e poco più tarda versione del medesimo documento, questa volta autografa di Serristori, il pronome-soggetto “costoro” viene eliminato del tutto, e un personaggio relativamente secondario come l’“abate di Negro” è nascosto anch’esso sotto le cifre.167 Possiamo dunque stare tranquilli che, se un giorno dovessero tornare alla luce alcuni dei pezzi dispersi di tale corrispondenza, con nuovi rimandi alla “statua”, il silenzio sull’identità di quest’opera, per metà spontaneo e per metà calcolato, rimarrebbe tal quale. Ma c’è di più. Una lettera che Giovanni Bandini scrisse a Cosimo il 9 novembre 1537 da Monzón, per mano del Pagni, riviene in un capoverso sui “drappi d’oro” consegnati a Cobos e a Granvelle, lamentando che i due avidi segretari di Carlo V, non paghi di quel dono, si aspettavano altre offerte in moneta sonante per avere appena rilasciato agli emissari del neo-duca di Firenze – con quasi sei settimane di ri- tardo rispetto alla data ufficiale – il privilegio cesareo del 30 settembre.168 Da tale sfogo si ricava indirettamente ma inequivocabilmente che il residente dei Medici alla corte carolina non aveva saputo nulla della “statua”, non solo perché non l’aveva vista, ma perché il Serristori, adempiendo una richiesta di Cosimo, non gliene aveva mai parlato, così come gli taceva d’abitudine altri pensieri e altri giochi del suo signore. Cosimo, infatti, già allora non si sentiva molto sicuro del Bandini, troppo amico degli spagnoli e di non pochi antimedicei fiorentini: e già allora operava tra i due quel tarlo che avrebbe portato il Bandini, pochi anni dopo, alla completa rovina. Chi, tra gli appassionati di Michelangelo, vorrà fondare su tali omissioni il proprio scetticismo verso la statua di Úbeda, dovrà insieme spiegare la perfetta coincidenza per cui, nel breve arco di tempo fra l’entrata in possesso del ‘San Giovannino’ michelangiolesco da parte di Cosimo I e l’acquisizione da parte di Cobos di un ‘San Giovannino’ che ha tutti i requisiti per essere quello di Michelangelo, Cosimo donasse a Cobos proprio una “statua” e non altre opere d’arte; e dovrà anche spiegare perché la “statua” di Cosimo venisse spedita appositamente nei luoghi andalusi di Cobos proprio mentre vi si erigeva quel santuario del Salvatore in cui il ‘San Giovannino’ qui discusso sarebbe stato infine allestito. Spesso, nelle ricostruzioni di simili fatti, conta molto non solo la raccolta complessiva dei dati, ma anche il percorso con cui lo studioso li ha reperiti: e per me è rivelatore il fatto di non essere partito dai carteggi di Cosimo I, ma di esservi approdato – trovandovi la “statua” – soltanto dopo aver ricostruito la storia sulla base di tutti gli altri elementi. Vicende antiche del ‘San Giovannino’ mediceo. Seconda parte (dopo il 1537) A differenza di tutte le altre sezioni di questo saggio, il paragrafo che segue adesso non è costruito su materiali di prima mano, ma si fonda sulla collazione di alcune voci bibliografiche degli ultimi decenni (dal 1960 sino a oggi), contenenti almeno cinque testimonianze d’archivio sulla presenza del ‘San Giovannino’ nella Spagna del Cinquecento. Tale collazione vorrebbe essere cosa utile, poiché quelle notizie sono emerse finora soltanto in forma sparsa, mentre qui si prova a metterle in fila, fornendo la base per un proseguimento futuro delle ricerche. Quando Manuel Gómez-Moreno pubblicò il ‘San Giovannino’ (1930), la più antica citazione spendibile che ponesse nella 33. Giovanfrancesco Susini: ‘Bacco’. Parigi, Musée National du Louvre, Département des Sculptures. [Saggi] 37 Capilla de El Salvador la figura era quella di Gonzalo Argote de Molina nella Nobleza del Andaluzía, stampata nel 1588, cioè quarantun anni dopo la morte di Cobos:169 ma già da essa si ricavava senza equivoco che la statua era appartenuta al potentissimo e straricco segretario di Carlo V. Poiché tuttavia alla scomparsa del suo fondatore la Capilla de El Salvador, cominciata nel 1536, era ben lungi dall’essere conclusa, si doveva supporre che il primo approdo del ‘San Giovannino’ fra i beni di Cobos non fosse stato direttamente in quel santuario. Grazie a una tesi di dottorato berlinese su El Salvador discussa nel 2011 (da Caroline Horstmeier) si dispone ora di una menzione della nostra scultura nel luglio 1547, due mesi dopo la morte di Cobos. Tale menzione trova spazio all’interno di un inventario delle reliquie, delle suppellettili e degli arredi già allora connessi con El Salvador,170 ma per il ‘San Giovannino’ si specifica espressamente che esso si trovava a Sabiote, ossia in quel feudo a pochi chilometri a nord-est di Úbeda del quale Cobos s’insignorì per compera dall’ordine di Calatrava – con il beneplacito di Carlo V – tra l’estate e l’autunno del 1537.171 Siccome la “statua” donatagli da Cosimo de’ Medici pervenne a Cobos proprio mentre l’acquisto di Sabiote era in corso, pure questa volta si deve concludere che ci fu una più antica e provvisoria collocazione ubetense del ‘San Giovannino’, la quale ancora ci sfugge. È verosimile che la presentazione domestica del piccolo ‘Battista’ a Sabiote tendesse a replicare quella fiorentina originaria nella Casa Vecchia dei Medici. Ma il fatto che ben prima di arrivare a El Salvador la statua figurasse negli inventari di questo tempio sembra stabilire un legame allo stesso tempo precoce e definitivo con esso.172 A ogni modo, sempre a Sabiote il ‘San Giovannino’ ricorre in un inventario del 1563, segnalato brevemente ma più volte da Arsenio Moreno Mendoza (1993, 1997, 1998) sulla base di un esemplare nel fondo notarile dell’Archivo Municipal di Úbeda.173 Nel 1568, vivente ancora donna María de Mendoza, vedova di Cobos (morta poi nel 1587), la statua compare infine a El Salvador, dov’è ricordata come “un San Juan Baptista debulto de alabastro” da un nuovo inventario conservato tra i protocolli notarili dell’Archivo Municipal di Úbeda (e fatto conoscere anch’esso da Moreno Mendoza).174 La confusione tra il marmo di Carrara e l’alabastro, frequentissima in 38 [Saggi] passato per sculture estremamente polite come il ‘San Giovannino’, ci era nota per la nostra figura già dal passo di Argote de Molina (1588).175 La testimonianza più loquace e pregnante sul ‘San Giovannino’ ha luogo nel 1570, all’interno delle carte relative a un contenzioso fra donna María e il vescovato di Jaén per il legittimo possesso del patronato di El Salvador. La Mendoza si difese producendo un memoriale in diciannove punti, per ognuno dei quali si invocavano testimoni attempati e fededegni che avrebbero garantito la mole dell’impegno finanziario e dello zelo religioso profusi nel santuario, attraverso i decenni, prima da Cobos e da sua moglie, e poi da quest’ultima come vedova. Il documento era già noto al primo, sistematico biografo moderno di Cobos, lo statunitense Hayward Keniston (1960), che ne diede un transunto inglese nel quale rientrava anche “the alabaster statue of St. John by Michelangelo”.176 Ma qui Keniston operò un corto circuito, forse involontario, tra le alte lodi tributate alla statua nel 1570, tuttavia senza nominarne lo scultore, e l’esplicito riferimento michelangiolesco apparso solo nell’articolo di Gómez-Moreno. Di fatto, come ho appena accennato, anche il lungo documento del 1570, al pari dei cursorî e distaccati inventari del 1547, 1563 e 1568, omette il nome dell’artista, forse ormai davvero ignoto al compilatore. Riporto qui di seguito, perché merita, la citazione che di questa carta ha dato più volte Arsenio Moreno Mendoza (1993, 1997, 1998), prendendola dalla sezione notarile dell’Archivo Municipal di Úbeda: “Yten si saben que demás de lo contenido en la quinta y sesta pregunta d’este ynterrogatorio ansí mesmo el dicho Comendador Mayor y la dicha doña María de Mendoza, su muger, án dado y donado a la dicha capilla de la Concepción e iglesia de San Salbador muchas reliquias de grande valor y estimación, y un San Juan Baptista de alabastro, ymagen de grandísima deboción, y la talla d’esta, vista por grandes maestros que án ydo a la dicha ciudad de Úbeda y rodeado muchas tierras solo por la ber, dizen y án dicho que es pieça de ynestimable valor por la gran perfección que tiene […]”.177 La successiva pezza d’archivio sul ‘San Giovannino’, individuata sempre da Moreno Mendoza, è ancora un inventario di El Salvador, datato 1586.178 Siamo, ormai, assai vicini alla stampa della Nobleza del Andaluzía di Argote de Molina (1588), dove sarebbe comparso per la prima volta il riferimento alla provenienza diplomatica della statua da Venezia. In tale enunciazione, fatta con cautela (“un San Juan niño […] que dizen le presentó el Senado veneciano”), c’è una parte non trascurabile di vero, che implica il dono a distanza giunto a Cobos da uno dei principali Stati italiani: e pazienza se la voce raccolta da Argote operava uno scambio, peraltro non grossolano, tra le due maggiori signorie di tradizione repubblicana nella nostra Penisola (giacché “repubblica” si poteva ancora considerare Firenze nel 1537). Escluderei invece una giustificazione più sottile, e assai meno verosimile, per il bisticcio Firenze/Venezia, ma vi accenno ugualmente, se non altro per rimarcare una coincidenza: Lorenzino de’ Medici, ultimo importante proprietario del ‘San Giovannino’ prima della precipitosa sequela di eventi del 1537, era fuggito a Venezia dopo l’assassinio di Alessandro, e lì era stato assassinato a sua volta undici anni più tardi, per volontà ultima di Carlo V, dopo aver eletto quella città a epicentro di una vita inquieta per l’Europa e il Mediterraneo.179 Supporre che Argote alludesse confusamente o velatamente al legame Venezia-Lorenzino comporta però che Cobos (morto quasi un anno prima di Lorenzino) fosse istruito senza alcuna omissione sulla vera origine del ‘San Giovannino’ dalle camere fiorentine dove’era stato ucciso il duca Alessandro: e ciò, in definitiva, sembra troppo, poiché avrebbe conferito alla statua una ‘patente’ tanto incresciosa quanto non necessaria. Qui torna a proposito ricordare, per un’ultima volta, i silenzi di Condivi e di Vasari sulla collocazione del ‘San Giovannino’ ai loro tempi. Come ho già detto, è facile spiegare tali silenzi (anzi necessario) con la scomparsa dell’opera dall’orizzonte visivo dei biografi. Ma forse, adesso, riusciamo a chiarirceli ancora meglio pensando all’imbarazzo che la partenza di quel capolavoro alla volta dell’Andalusia poté lasciare in Cosimo e nei suoi fedelissimi: per non dire del risentimento che la cosa dovette suscitare in Michelangelo, ormai definitivamente romano, e in rotta con la propria patria e con i nuovi padroni che essa si era data. Congedo La lunga tessitura cronistica e archivistica degli ultimi due paragrafi, per quanto concentrata sul ‘San Giovannino’, ci ha un po’ distolti dallo scopo primario di questo saggio, che è la presentazione di un’opera di Michelangelo ancora sostanzialmente sconosciuta agli studi su di lui e, più in generale, alla bibliografia artistica. Il mio impulso iniziale e assoluto a occuparmi del ‘San Giovannino’ di Úbeda è venuto, come ho già detto, unicamente 34. Capilla de El Salvador, Úbeda (Jaén), presbiterio (stato prima del luglio 1936). [Saggi] 39 40 [Saggi] 35. Donatello: ‘San Giovanni Battista’ di Casa Martelli (1442 circa). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. 36. Benedetto da Maiano: ‘San Giovanni Battista’ (147880 circa). Firenze, Palazzo della Signoria, Sala dei Gigli, Portale della Sala dell’Udienza. 37. Giovanfrancesco Rustici: ‘San Giovanni Battista’. New York, The Morgan Library and Museum. 38. Benedetto da Rovezzano: ‘San Giovanni Battista’ (particolare). Roma, San Giovanni dei Fiorentini. [Saggi] 41 Appendice I Documenti d’archivio e testimonianze di cronisti e storici cinquecenteschi sul sacco della Casa Vecchia dei Medici dopo l’elezione di Cosimo I come signore di Firenze (9 gennaio 1536/37), sulla breccia della parte d’edificio già posseduta da Lorenzino (15 febbraio - 3 marzo 1536/37), e sul bando contro costui (24 aprile 1537).180 1. Da un diario fiorentino del 1537, manoscritto anonimo pubblicato nel 1958 da Roberto Ridolfi.181 1.a. [Martedì 9 gennaio 1536/37]. “E così detto signore Cosimo fu onorato dal detto reverendo Cibo182 e signore Alessandro Vitelli; e in tale allegrezza la casa di detto signore Cosimo fu messa a sacco da e’ soldati della guardia e da altri popoli, eccettuato una camera con l’anticamera, dove era madonna Maria, madre di detto signore Cosimo; la quale da’ soldati fu benissimo guardata. E perché la casa del sopra nominato Lorenzo era appiccata con la detta di Cosimo, misono a sacco tutta quella, che durò sino alla sera, dalla quale ne fu portato fino agli arpioni. E così tutto il giorno il prefato signore Cosimo istette a’ balconi del Palazzo de’ Medici, dove era comune a ciascheduno andare a visitare Sua Signoria, e la sera si tornò a ’bergo in casa sua, in quella camera salva”.183 1.b. [Lunedì 5 febbraio 1536/37]. Gli Otto di Guardia e Balia “mandarono uno bando che chi avessi libri o scritture perse il signor Cosimo nel giorno di sua creazione, così grechi come latini, le dovessi riportare infra sei giorni a Sua Signoria”.184 39. Mino da Fiesole: ‘San Giovannino’ (1474 circa). New York, The Metropolitan Museum of Art, Altman Collection. dalla statua, documento precipuo di sé stessa attraverso la qualità, l’iconografia e lo stile. Con la certezza di tale premessa, l’aggancio dell’opera alle testimonianze dei biografi antichi di Michelangelo (Condivi, Vasari), così come alle vicende politiche, patrimoniali e diplomatiche dei Medici tra Quattro e Cinquecento, e, insieme, al ruolo di Francisco de los Cobos nell’Italia di Carlo V, era subito cosa fatta. Ma c’era naturalmente da sciogliere, come è ormai d’obbligo per ogni problema michelangiolesco anche minimo, il grosso nodo della fortuna storiografica del ‘San Giovannino’ nell’Otto e nel Novecento. Dopo aver affrontato tutto ciò, sia pure con le esagerazioni – e anche i limiti – che 42 [Saggi] sono insiti in un contributo d’apertura, mi preme concludere adesso il mio testo tornando solamente al ‘San Giovannino’(fig. 89). E lo faccio attraverso un’opera di pittura che non ho mai citato finora, perché non offre campo a diretti riscontri di dettaglio. È uno dei ‘Progenitori di Cristo’ inseriti da Michelangelo, tra il 1508 e il 1510, nei lunettoni della prima metà della Cappella Sistina (la metà est: fig. 91). A me pare che la somiglianza essenziale tra la figura di Sadoch bambino e il ‘San Giovannino’ di Úbeda sia impressionante (figg. 89-90), e che non possa spiegarsi né come fatto fortuito, né, più incautamente, come discendenza della scultura dall’affresco. È semplicemente Michelangelo, che sui ponteggi vaticani si ricorda del suo capolavoro statuario di dodici anni prima, e lo rilegge a buon fresco attraverso una nuova maturità. 1.c. [Giovedì 15 febbraio 1536/37] “El giovedì mattina fu messo mano a disfare la casa di Lorenzo di Pierfrancesco, la quale si disse s’aveva a sfregiare; e di poi ne presano una parte, la rovinorno, spezzando e rompendo ogni cosa per vendetta; di poi el signore Alessandro Vitelli donò tale ruina al capitano Fero, e lui vendeva ogni cosa; e così tal parte spianorno sino al fondamento”.185 1.d. [Martedì 24 aprile 1537]. “El martedì mattina, a ore 16 incirca, andò uno bando per parte degli Otto di Guardia e Balia come egli avevono posto in bando di ribello e traditore, e micidiale del suo signore, Lorenzo di Pierfrancesco di Lorenzo di Pierfrancesco, e non disse «de’ Medici», con taglia, a qualunque l’ammazzerà, di ducati quattromila d’oro, e’ quali subito abbia a pagarli detto magistrato; e ancora che chi l’ammazza, oltre al detto premio, possa rimettere dodici isbanditi o ribelli, secondo a lui parrà, e che in perpetuo abbia avere ducati cento l’anno da detto magistrtato; ancora, che lui possa portare l’arme […] [l’elenco prosegue con altri premi per il sicario o i sicari di Lorenzino]”.186 2. Dai dispacci di Girolamo Tantucci, ambasciatore della Repubblica di Siena a Firenze, inviati al suo governo nel 1537.187 40. Antonio Rossellino: ‘San Giovannino’ (1477). Firenze, Museo Nazionale del Bargello (dal portale d’ingresso all’Opera di San Giovanni). 2.a. [14 febbraio 1536/37]. “Si dice, di più, che vogliono questi signori dar bando a Lorenzo de’ Medici, homicida, con sonaglio di quattro milia scudi, et che vogliono spianare la casa sua”.188 2.b. [15 febbraio 1536/37]. “La città sta quetissima. Et questa mattina deron principio con molti maestri di muro a fare spianare la casa di Lorenzo de’ Medici, et così seguiranno fin che sia tutta in terra”.189 2.c. [3 marzo 1536/37]. “La casa di Lorenzo de’ Medici è già finita di spianare, né per anco li hanno publicamente messa taglia alcuna: ben si dice che dala signora duchessa [Margherita] et dal signore Alessandro [Vitelli] sono stati offerti ad alcuni fino a dieci milia scudi se lo amazano”.190 3. Dai bandi degli Otto di Guardia e Balia del Principato, in ASF, Otto di Guardia e Balia del Principato, 2694, Bandi dal 14 maggio 1533 al 30 agosto 1555. 3.a. [Bando n. 74, 5 febbraio 1536/37].191 “Gli spettabili et dignissimi Otto di Guardia et Balia della città di Firenze, atteso come il giorno della creatione dello illustrissimo signore Cosimo de’ Medici furono tolte di casa Sua Illustrissima Signoria, o contighua a quella, molti libri et scritture così publice come private, et molti altri libri greci et latini, i quali libri et scripture sono di non pichola importantia, et arrecono damno et incommodo a Sua Illustrissima Signoria, et a chi li ha sono di pocha et quasi nissuna utilità; et desiderando quelle et quelli con ogni remedio opportuno ritrovare, fanno publicamente bandire, notificare et exprexamente comandare ad ogni et qualumche persona, di qualumche stato, grado o conditione <sia> si sia, che havessi tolto o che havessi o sapessi, o sapessi chi avessi, alcuni di detti libri o scritture publice o private, o delli ditti libri greci, latini o altri qualumche 41. Scultore fiorentino dell’inizio del Cinquecento (e non Michelozzo): ‘San Giovannino’. Firenze, Museo Nazionale del Bargello. libri et scritture di qualumche sorte di Sua Illustrissima Signoria, o dove quella havessi interesse alcuno, debba infra otto192 dì da hoggi haverli notificati et presentati al loro offitio, et ciò facciendo ne harà <buon grado et> buona gratia da Sua Illustrissima Signoria; significando a qualumche havessi o sapessi chi havessi di detti libri o scritture, che infra detto tempo non le notificassi et manifestassi come di sopra, gli sarà <severamente punito> inputato a furto et ne sarà <severamente punito et non si accetterà scusa nissuna> punito et comdemnato secondo lo arbitrio di detti Signori Otto, et il notificatore guadagnierà il quarto della pena pecuniaria, et gli sarà tenuto secreto. [di mano del banditore] Bandito per me Domenicho Barlachi questo dì 5 di frebraio [sic] 1536”. [Saggi] 43 44 [Saggi] 42. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 7). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). 3.b. [Bando n. 77, 24 aprile 1537].193 “[in alto a sinistra, di altra mano: Bando di Lorenzino]. Li spettabili et dignissimi signori Otto di Guardia et Balia della città di Firenze, atteso lo horrendo, impio et nefando eccesso et tradimento di homicidio commesso per Lorenzo di Pierfrancesco di Lorenzo di Pierfrancesco nella persona et morte del quondam illustrissimo signore duca Alexandro de’ Medici sotto dì VI di gennaio proxime passato, caso veramente detestabile et peccato sceleratissimo né mai più simile alla vita delli huomini udito, et desiderando li prefati spettabili Signori Otto punire un tanto delitto et excesso con pena quanto si può a quello condegnia, comsiderato di quanto tristo exemplo saria se el non se ne facessi apertissima demostratione di severissima iustitia et di acerbissima pena mediante la quale nessuno pigli exemplo et non solo ardischa in futuro commettere, ma né pensare di intervenire mai in tanta insolente sceleratezza et pernitioso et abominevole tradimento; però fanno publicamente bandire et notificare a qualumche persona di qualumche stato, grado, qualità o conditione si sia come li prefati spettabili Signori Otto hanno deliberato et declarato il detto Lorenzo di Pierfrancesco di Lorenzo di Pierfrancesco proditore et traditore del suo signiore, commissore del peccato et delitto della maestà lexa, rebelle del Comune di Firenze, et turbatore del pacifico stato della Republica fiorentina; et ne’ modi et forme predetti è stato per detti spettabili Signori Otto comstituito et posto il detto Lorenzo in tutte le afflictioni, preiuditii et pene introdotte et disposte così di ragione comune, quanto secondo le leggie, statuti, riforme et ordini del Comune di Firenze, / introdotte, fatte et deliberate contro a simili proditori, rebelli, rei di maestà lexa et turbatori del pacifico stato della Republica fiorentina, insino a questo presente giorno. Et ancora fanno bandire et notificare, come di sopra, che ogni volta che qualumche persona che ammazerà et priverrà di vita il predetto Lorenzo di Pierfrancesco, et faranne fede al magistrato loro di haverlo morto, sarà premiato in questo modo, cioè che e’ debba havere, et così li sia con effetto dato, donato et paghato da detto magistrato delli Otto, ducati quattro [corretto su <cinque>] mila d’oro, et sia tenuto et obligato il detto magistrato che per e’ tempi sarà a dare et paghare a quel tale che così ammazzassi, o uno o più o loro heredi che fussino, o altro ligittimo mandato, per loro premio la sopradetta somma di ducati <qu> quatro [corretto su <cinque>] mila, la quale si intenda essere et a quel tale o tali uno o più primcipali, o loro heredi che fussino, liberamente in tal caso donata; et sia comcesso alli sopra nominati rimettere nella città di Firenze o suo dominio dieci sbanditi, per ciaschuno che a tale homicidio intervenissino, o per homicidio o altro loro excesso, liberamente et sanza alcuna excettione a sua electione, in una o più volte a suo o loro piacimento; et più, essendo rebelle per qualsivoglia causa, li sia comcesso il ritorno loro et la absolutione di ogni suo delitto, come da hora se li comcede et si absolve; et che qualsivoglia che ammazzassi il prefato Lorenzo, oltre alli sopradetti guadagni delli ducati quattromila et altre prenominate gratie, possa im perpetuo durante la vita sua portare l’arme per la città et dominio com dua a sua electione; / et non essendo cittadino, si intenda donato alla civiltà et ad ogni grado et qualità di qual si voglia altro che goda li privilegii et benefitii di essa, con tutti li suoi heredi ligittimi et naturali; com [sic] cento ducati d’entrata per sé et sua heredi come è detto, da pagharlisi dal nostro offitio pro tempore sanza alcuna retentione o dilatione anno per anno in que’ termini et modi che a essi piacerà; et di più la exemptione di ogni gravezza tanto ordinaria quanto extraordinaria che pro tempore si imponessi alli altri habitanti et cittadini della città di Firenze. Et a chi lo dessi vivo vogliono et così decernono li prefati spettabili Signori Otto, obligando loro et loro in officio successori pro tempore, il duplicato della taglia et di ogni altra concessione sopra detta, in ogni miglior forma et modo che si extemda la loro facultà. [di mano del banditore] Bandito per me Domenicho Barlachi banditore questo dì 24 d’aprile 1537”. 4. Dai due ‘prioristi storici’ inediti di Francesco di Giovanni Baldovinetti (1477-1545).194 4.a. Durante il trimestre febbraio-aprile 1537 “il detto Stato sdrucì la chasa a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici [15 febbraio] e dègli bando di rubello e tagl[i]a di cinquemila duchati [24 aprile], e.llui se n’andò a Bolongna, Vinegia e ’n Francia, e chogl’altri fuorusciti s’acchonpangnò, e masimo cogli Strozzi, e una sua sorella maritò a Piero di Filippo Strozzi, e chosì ebbe bando di rubello G[i]uliano de’ Medici fratello di ditto Lorenzo, chon cho[n]fischatione di tutti e’ loro beni, e.lla madre del ditto Lorenzo cholle figl[i]uole andornno subito a Vinegia. E ’l ditto Lorenzo fra poco tenpo n’andò in Ghostantinopoli”.195 4.b. “Fugli [a Lorenzino] infra dua mesi [dall’assassinio del duca Alessandro] spianato partte della chasa dal tetto insino in terra, chon disengno di farvi una via ch’andassi insino drieto dalle chase de’ Ginori e chiamassisi la Via de’ Traditori, o farvi una piazza chiamata Piazza de’Traditori; chosì tutta la sua roba andò a saccho, e ’ luoghi sua di Chafag[i]uolo vi mandornno soldati e rovinornogli i luoghi, e.lla roba tutta andò in Ciptadella di Firenze e a saccho, nonistantte che ditta roba fussi mezza di G[i]uliano suo fratello. E detto G[i]uliano era d’età d’anni tredici, e.lla madre loro – era fig[i]uola di Tommaso di Pagholantonio Soderini – se ne rifuggì in Mugello e nel munistero di Lucho, e ’l ditto Lorenzo fu dipintto per traditore e inpicchato per un piè alla Cipttadella diversso Firenze sotto l’arme dell’Inperatore chon ciertte littere. E di ruinare la chasa di Firenze e di Chafag[i]uolo196 e di fargli tòrre la roba e di farllo dipingnere si disse ne fu chapo Alesandro Vitegli da Cipttà di Chastello, chapo delle gentti d’arme in Firenze”.197 4.c. “Addì 24 d’aprile 1537 gli Otto di Balia della cipttà di Firenze cholla tronba dernno pubricho bando a Lorenzo di Pierfrancesco di Lorenzo di Pierfrancesco <de’ Medici>, e non dissono «de’ Medici», chon otto mila duchati di tagl[i]a chi.llo dessi preso vivo, e chi.llo 43. Michelangelo: ‘Bacco’ (1496-97) (particolare). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. [Saggi] 45 amazzassi duchati quatro mila di tagl[i]a; e chi.llo amazzassi o dessi preso, non sendo cittadino o abile agli ufizi, s’intendessi lui e ’ sua disciendentti d’essere, e che potessi rimettere ventti sbanditi d’ongni pecchato, e l’arme a vita lui e ’ sua, e di più avessi duchati dugentto l’anno di provisione chi.llo amazzassi o.cche co.llui si trovassi amazzarllo, e.cchosì ebbe bando di ribello i dua ch’erono amazzare ditto ducha con ditto Lorenzo”.198 5. Dal libro XXXVIII delle Historiæ sui temporis di Paolo Giovio (1486-1552), pubblicate in latino per la prima volta nel 1550-52, e nella traduzione volgare di Lodovico Domenichi nel 1551-53. 5.a. “[…] Cosmus Reipublicae caput est renunciatus. Is, e subdiali in Senatum vocatus et universis gratias agens, ea quam dedissent summi honoris potestate non alio quam ipsorum iudicio consilioque se usurum testatus est; adapertoque Senatu, tanta acclamatione tantoque applausu omnium perstrepuit domus ut milites, praedae avidi admixtique plebeis, gratulandi causa ad Cosmi matrem irrumperent domumque totam, frustra ea prohibente sed tamen filii foelicitate impense laeta, diriperent, et ex magno simul metu solicitudineque tota civitas ad hylaritatem verteretur. Nec multo post Laurentius Medices parricida et patriae hostis ex senatus-consulto declaratus est; bonisque proscriptis, praemia eius percussoribus aureorum septem milium constituta et domus eius ad perpetuam ignominiam a tecto ad ima fundamenta lato hiatu proscissa est”.199 5.b. “[…] il signor Cosmo fu eletto capo della Republica. Il quale, essendo chiamato dalla corte in consiglio, et ringratiandogli tutti, affermò ch’egli non era per usare la possanza et la dignità ch’essi gli haveano data, se non col giudicio et consiglio di loro stessi; et aperto il Senato, con tanto favore et festa d’ogniuno risonò il palazzo, che i soldati, desiderosi di preda, et mescolati co’ plebei, per cagion d’allegrezza corsero alla madre del signor Cosmo, et le saccheggiarono tutta la casa, indarno vietando ciò essa, la quale era però lietissima per la felicità del figliuolo, e in un medesimo tempo tutta la città da una paura et affanno grande si volse in allegrezza. Et non molto dapoi Lorenzo de’ Medici, per publico decreto, fu dichiarato traditore del suo signore, et rubello della patria; et confiscatogli i beni, fu ordinata una taglia di sette mila scudi a coloro che l’amazzavano, et la casa di lui, a perpetua vergogna, fu aperta dal tetto insino a’ fondamenti”.200 6. Dal libro X e ultimo delle Istorie della città di Fiorenza di Jacopo Nardi (1476-1563), pubblicato per la prima volta nel 1841. [9 gennaio 1536/37]. “E così, con somma 44. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 1). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). 45a-b. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolari). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. unione di tutto il Senato, fu eletto il signor Cosimo de’ Medici capo della Repubblica: credesi bene, per lo spavento che ebbero quei cittadini d’un tumulto nato tra’ soldati su la strada, ei fussero costretti così tosto a fare tale elezione. Ma, aperta la stanza nella quale era ragunato il Senato, fu raccolto e abbracciato il signor Cosimo con allegrezza di ognuno, e, per la letizia che n’ebbero i soldati e la plebe, fu saccheggiata la parte della casa del signor Cosimo, e quella di Lorenzo de’ Medici; la qual parte, in dispregio di lui, fu divisa e partita da alto a basso, come si usava di fare anticamente alle case di coloro che per pubblico decreto erano condennati. Dissesi in quel tempo, questa sùbita e non espettata felicità di Cosimo essere stata pronunziata da alcuni indovini, e massimamente da don Basilio monaco cistercense, e da un Giovanni greco. In quel tumulto, madonna Margherita di Austria moglie di Alessandro se ne fuggì in Fortezza, accompagnata dal Cardinale,201 con tutto il tesoro del morto marito, e con tutto l’altro miglioramento di casa”.202 7. Dal libro VIII delle Storie fiorentine di Bernardo Segni (1504-1558), pubblicate per la prima volta nel 1723. [9 gennaio 1536/37]. “Comparve quivi allora 46. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 12). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). subito Cosimo, e fu salutato da tutti li Quarantotto e da Alessandro Vitelli, che di già nella strada armato, con cinquecento fanti, faceva gridare «palle, palle»; per onore di quello nuovo signore, e per vendetta del morto duca, e più per satisfare alla sua infinita voglia dell’oro, fece mettere a sacco la casa di Cosimo, dicendo ch’egli aveva acquistato un palazzo et uno imperio in cambio di una casa e d’una privata possessione, e quella altresì di Lorenzo, che gl’era contigua, e successivamente la villa sua,203 delle quali ritrasse masserizie di gran valuta, che ascesero alla somma di diecimila scudi. Fece ancora [15 febbraio] stracciare uno spazio della casa di Lorenzo dal tetto fino alla strada, con tanta apertura quanto teneva la camera nella quale era da lui stato morto il duca. L’altro giorno, che fu il mercoledì [10 gennaio], non contento il Vitelli dell’aver fatto il nuovo signore, senza saputa di alcuno messe l’animo ad impadronirsi della Fortezza, per il cui mezzo stimò di poter trarre gran preda dalla guardaroba del duca morto ridotta là, la somma delli denari e la signoria di quella fortezza, possessione atta a farlo ricchissimo e di più potenza”.204 8. Dal libro XV della Storia fiorentina di Benedetto Varchi (1503-1565), pubblicata per la prima volta nel 1721. 47. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. 8.a. “Intesasi questa deliberazione per Firenze a un tratto per tutto, [Cosimo] fu salutato come principe da infinita moltitudine di cittadini con grandissima frequenza, ma non con quell’allegrezza che mostravano i soldati, i quali subitamente, per ordine segreto del signore Alessandro [Vitelli], secondoché confessarono poi essi medesimi, corsero alla casa del signor Cosimo, e seguitandogli alcuni plebei, i quali secondo il consueto gridavano «palle, palle» e «Duca, Duca», la saccheggiarono, insieme con quella di Lorenzo, tutta quanta, portandosene infino agli aguti, senzaché la madre e i parenti e gli amici potessono né colle buone né colle cattive, ora pregando ed or minacciando, raffrenargli in parte alcuna. Erano in queste due antichissime e ricchissime case, oltra una gran moltitudine di rarissimi libri in penna, così greci come latini, e un numero grandissimo di statue antiche, parte di marmo e parte di bronzo, tanti mobili e così preziosi, che la valuta loro ascendeva a un prezzo che non si sarebbe così agevolmente potuto stimare; e tutte le migliori cose, come si vide allora e come s’intese poi, furono portate qual palesamente, e qual di nascoso, in casa il signor Alessandro Vitelli”.205 8.b. “Non molto di poi i signori Otto di Balia, avendo per lor partito d’otto fave dichiarato [Saggi] 47 rubello Lorenzo di Pierfrancesco, fecero pubblicamente bandire agli ventiquattro d’aprile [1537] che a chiunque l’ammazzasse sarebbono pagati incontanente dal loro ufizio fiorini quattromila d’oro senz’alcuna ritenzione, ed oltracciò arebbe egli durante la sua vita e, morto lui, i sua redi, durante la sua linea, una provvisione di cento fiorini d’oro l’anno, da doversi pagare da que’ magistrati d’Otto che per li tempi saranno, e di più potesse rimettere dieci sbanditi a sua elezione, portar l’arme con duo compagni per la città e per tutto il dominio di Firenze, potesse godere ed esercitare, egli e tutti i suoi eredi, tutti gli ufizi, benefizi, privilegi e magistrati della città, e di più avesse in perpetuo l’esenzione di tutte le gravezze d’ogni sorta, o ordinarie o straordinarie; e a chi lo desse vivo vollero che la taglia e ogn’altra grazia e concessione se gli raddoppiasse. Egli non mi pare fuora di proposito considerare in questo luogo, per utilità de’ leggenti, due cose. L’una, come siano vani, e a quanto contrario fine riescano, alcuna, anzi il più delle volte, i pensieri degli uomini, e massimamente de’ giovani: conciosiacosaché Lorenzo, in luogo d’acquistarsi, come credeva, sempiterna gloria, fu prima, come traditore del suo signore e padrone, dipinto nella Fortezza a capo di sotto impiccato per un piè; poi, come traditore della patria, dopo avergli tagliato dal tetto a’ fondamenti sedici braccia della sua casa, e fattovi una via che si dovesse chiamare il Chiasso del Traditore [febbraio 1536/37], dichiarato ribello, e postogli la taglia da que’ cittadini, la quale, e i quali, egli diceva d’aver voluto ancora con manifesto pericolo della sua vita liberare; ed alla fine [febbraio 1548] tagliato a pezzi con Alessandro Soderini suo zio in Vinegia più per sua trascuraggine che per l’altrui diligenza. L’altra, quanto siano fallaci i giudicii degli astrologi e di cotali altri indovini: conciosiacosaché coloro i quali avevano calculato la sua natività, e guardategli le mani, gli predicevano e promettevano cose diversissime, anzi tutto ’l contrario di quello che avvenne”.206 9. Dal libro I della Istoria de’ suoi tempi di Giovambattista Adriani (1511-1579), pubblicata per la prima volta nel 1583. “Questa novella uscendo fuori [della nomina di Cosimo quale signore di Firenze], dove ciascuno stava sospeso a che il travaglio della città dovesse riuscire, vedendosi empiere la città di soldati (che di mano in mano ne comparivano molti del contado, da più parti, in varii modi), secondo l’animo di ciascuno fu ricevuta. I soldati che erano alla guardia della casa de’ Medici et i servidori del duca morto, allegri di cotal deliberazione, gridando il nome de’ Medici, corsero alla casa del signor Cosimo e di Lorenzo, che insino dal tempo di Lorenzo fratel di Cosimo il Vecchio nella medesima habitavano. Questi per allegrezza del principe nuovo, e quegli non potendo haver vendetta del sangue del vecchio, mandarono a ruba e gittarono per terra la magione dove sì gran misfatto fu pensato et eseguito, e tolsero 48. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 10). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). 49. Michelangelo: ‘Sacra Famiglia con San Giovannino’ (Tondo Doni) (1504 circa) (particolare). Firenze, Galleria degli Uffizi. 50. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 12). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). tutto quello che in quelle case si trovava, che era molto e di grande stima, percioché essi et i maggiori loro erano stati molto onorati, e di tutte quelle cose che a’ gentili e ricchi huomini convengono abbondevolmente forniti: e fra l’altre cose care vi haveva di begli e buon libri, di Grecia e d’altronde con grande spesa procacciatisi, la maggior parte de’ quali il signor Cosimo fece poi diligentemente ritrovare e mettere in salvo. Dietro a’ soldati una turba di vilissimi huomini sù levatisi, gridando il nome delle «palle», alle medesime case in gran numero concorse; e, se alcuna cosa rimasa vi era, quella ne portarono e guastarono talmente, che per Mercato Vecchio e per tutta la città si vedeva gli arnesi di quella onorata famiglia vendersi e gittarsi. Fu questo movimento sì grande, che nella città hebbe gran temenza che il male non procedesse più oltre, essendo le case disarmate, e molti de’ cittadini odiati, et i soldati e la plebe accesa a mal fare”.207 10. Dal libro I della Vita del serenissimo signor Cosimo de’ Medici primo granduca di Toscana di Giovambattista Cini (1528-1586), pubblicata per la prima volta nel 1611. 10.a. “[…] con la madre, che oltre al sesso donna veramente prudentissima era, et co’ più fedeli et più esperti amici ristrettosi, [Cosimo] già si cominciava a provedere di valorosa guardia et di accorto et fedel capitano per il proprio palazo et per la propria persona sua; già si confermavano i medesimi ministri et cortigiani che havevano servito l’antecessor suo, ed in cambio di alcuni, che troppo licenziosi erano per i tempi passati giudicati, di alcuni più modesti et più quieti si andava faccendo elettione, et già si cominciava a pigliar riputatione et dar saggio di quel valoroso principe che poi doveva riuscire, quando l’accidente che da Alessandro Vitelli il giorno seguente all’elettione fu suscitato poco meno che non messe ogni autorità et tanto egregio principato in rovina. Era, innanzi che questo accadesse, et mentre a cotali cose si pensava, sparsosi per la città la nuova dell’elettione fatta del novello principe, di che, oltre a’ soldati che in più parte collocati erano, prese la plebe minuta tanta allegrezza ed animo che, empiendo del romore del solito «palle! palle!» (che tale è l’insegna de’ Medici) tutte le contrade, non meno da voglia di rapire che di vendetta del morto duca tratta, corse con grandissimo furore, facendo lor strada i soldati (spinti dall’avidità del Vitelli), a saccheggiare ed in segno di perpetua ignominia a rovinare le case del fuggito Lorenzo, le quali (come è detto) al Palazzo Grande de’ Medici erano vicine, appellandolo, in vece del glorioso titolo a che forse egli haveva aspirato, «il parricida» ed «il traditore», [e] volgendosi, ma per diverso affetto, al medesimo sacco di quelle del novello principe, che con quelle del medesimo Lorenzo era congiunte; in ambedue le quali molte cose pretiose, molti rari libri et molte scolture et pitture bellissime raunate da’ loro antecessori, che ricchi et vaghi di cose nobilissime gran 51. Michelangelo: ‘Trasporto al Sepolcro’ (1500-01) (particolare del San Giovanni Evangelista). Londra, The National Gallery. tempo sempre furono, andarono quasi tutte in mano de’ soldati di detto Vitelli spargendosi, perché poi, o fattosele donare, o a vilissimi prezi comperate da lui, furono col tempo al signor Cosimo carissime rivendute”.208 10.b. “[…] accorgendosi il signor Cosimo troppo bene […] che il Vitelli al proprio commodo et non a quello di esso signor Cosimo tirava, perché così ricercava la necessità del tempo dissimulando, ed approvando il fatto [l’occupazione della Fortezza da Basso da parte di Vitelli], come amico et come benefattore attese ad accoglierlo et conservarlo; non restando (poiché sì avido ogni giorno riusciva) di offerirgli, caso che a lui veramente havesse cotal fortezza restituito, le possessioni amplissime di Cafaggiuolo et del Trebbio, le quali, oltre alla magnificenza de’ suoi bellissimi palazi, ed oltre all’amenità et diversi commodi onde tutto quel felice paese è pieno, gli harebbero fruttato più di dieci mila scudi per ciaschun anno: di che fino ad oggi se ne può vedere il privilegio che allora fu solennemente sigillato. Ma egli, di varie speranze sempre pascendolo, volle nel primo fatto perseverare”.209 11. Da un priorista manoscritto inedito, di autore ignoto, del 1584 circa. [Saggi] 49 52. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 4). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). “Fu questa eletione [di Cosimo] accettata con allegrezza et universale contento di tutta la nostra città, et la sua casa fu dal popolo saccheggiata, et quella ancora de’ figliuoli di Pierfrancesco de’ Medici, et gridando il nome del duca Cosimo per tutta la città; et non molto di poi Lorenzo de’ Medici per publico decreto fu dichiarato traditore della patria, et confiscatogli i beni, et quella parte della sua casa nella quale da lui fu morto il duca Alessandro fu purgata con aprirla dal tetto sino a’ fondamenti”.210 50 [Saggi] Appendice II Una nota sull’acquisizione medicea dell’‘Apollo’ Valori. 53. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”) (149596 circa) (particolare). Londra, The National Gallery. L’assenza del ‘San Giovannino’ di Michelangelo, dopo il 1537, dalla spettacolare documentazione sulle raccolte d’arte di Cosimo I (sopra, testo e note 139-140) si fa apprezzare anche a contrasto con una seconda statua michelangiolesca, l’‘Apollo’ Valori (fig. 92), che invece vi è presente, e che sarebbe poi rimasta definitivamente nelle collezioni medicee e granducali, fino a diventare proprietà dello Stato italiano. Così come il ‘San Giovannino’, l’‘Apollo’ dovette arrivare a Cosimo – e gli studi michelangioleschi più avvertiti se ne rendono conto – in conseguenza dei rivolgi- menti politici del 1537.211 Ma se il ‘San Giovannino’ fu subito trattato alla stregua di un normale bene di famiglia, l’‘Apollo’ dovette essere oggetto di una confisca in piena regola, poiché rientrava nel cospicuo patrimonio allora sottratto dallo Stato fiorentino al ribelle anti-mediceo Baccio Valori, che della statua era stato anche il committente pochi anni prima. Qui si può aggiungere, a proposito del passaggio di mano dell’‘Apollo’, un piccolo dettaglio che torna prezioso, ancora una volta, a paragone con le vicende del ‘San Giovannino’. È stranoto che Baccio Valori cadde vittima di Cosimo nella rotta di Montemurlo il 1° agosto 1537, e che il 20 agosto successivo, nel cortile del Palazzo del Bargello, fu giustiziato insieme ad altri congiurati, tra cui il figlio Filippo e il fratello, Filippo anche lui. Come ci ricorda Francesco Baldovinetti in compagnia di molti cronisti coevi, a questi condannati “fu tollto tutti i loro beni e ’nchorporati pel Chomune di Firenze o pel singnore Chosimo de’ Medici, paghato in prima le loro dote, fidechommissi e debiti particholari loro”.212 Da altri testimoni, che seguono i fatti del 1537 in forma di diario, cioè ancora più da presso, sappiamo tuttavia che Baccio, partitosene definitivamente da Firenze già il 26 gennaio 1537,213 fu scoperto per traditore fin dal successivo 22 marzo, quando nel suo palazzo lungo l’odierna Via de’ Pandolfini (riedificato qualche anno prima con l’aiuto di alcuni pensieri architettonici dello stesso Michelangelo) fu ritrovato un intero arsenale di armi da lui ammassate per la lotta dei cospiratori.214 A causa di ciò, il 24 marzo “si disse che gli Otto avevano fatto iscriver tutte le robe di Bartolomeo Valori, per conto dell’arme sutoli trovate in casa”.215 E poco meno di un mese dopo, il 23 aprile, gli Otto “deliberaverunt quod vendantur bona Bartolomei de Valoribus”.216 Tale sentenza venne puntualmente applicata tre giorni dopo, il 26, quando “fu venduto allo ’ncanto di molte robe di Bartolomeo Valori, per 54. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 1). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). 55. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. la condennagione dell’arme”.217 Quantunque ci siano pervenuti non pochi documenti sulle confische del 1537 contro Baccio Valori e i suoi,218 non sembra che tra essi vi siano più gli inventari sistematici dei beni mobili. Ciò dunque non conferma, così come però non esclude, la possibilità che Cosimo I acquisisse l’‘Apollo’ già alla fine dell’aprile 1537, venendo con ciò a trovarsi in possesso di ben due statue di Michelangelo. Nell’agosto successivo, al momento di ingraziarsi Francisco de los Cobos con il regalo di un’opera d’arte straordinaria, la scelta di Cosimo a favore di una statua michelangiolesca fu resa un po’ meno gravosa dal fatto che egli ne avrebbe conservata comunque un’altra. [Saggi] 51 52 [Saggi] 56. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 1). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). 57. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”) (particolare). Londra, The National Gallery. [Saggi] 53 58. Benedetto da Maiano: ‘San Sebastiano’ (1496-97 circa) (particolare). Firenze, Oratorio della Misericordia. Nel decidere quale delle due statue sacrificare, Cosimo non dovette conoscere esitazioni. Il ‘San Giovannino’ era infatti un’opera compiuta, l’‘Apollo’ no. Il ‘San Giovannino’, poi, era una figura sacra, e come tale si prestava benissimo all’arredo della Capilla de El Salvador, allora in costruzione da quasi un anno. In terzo luogo, esso veniva dai beni medicei, mentre l’‘Apollo’ era il frutto di una confisca, ancora più scottante perché, proprio mentre l’ambasciatore Serristori partiva per la corte imperiale, Baccio Valori aspettava in cella la morte, con gli altri capi di Montemurlo. Forse non sapremo mai, invece, se il diciottenne Cosimo ebbe anche tempo o voglia di considerare, in quella frenetica estate del 1537, che il ‘San Giovannino’, opera di un Michelangelo antico, e tutto rinettato e impeccabile, si prestava meglio al gusto del destinatario, un andaluso sessantenne, rispetto all’‘Apollo’ non-finito.219 Questa scultura recente era degna di ben altri e più giovani estimatori, assai più aperti alle stupefacenti novità che l’ultimo Michelangelo aveva spianato, e 54 [Saggi] che i migliori artisti fiorentini cresciuti nell’ultima Repubblica erano stati sveltissimi a intendere. Molto presto, placatesi alquanto le torbide acque delle contese civili, Cosimo avrebbe potuto farsi promotore ufficiale di tutte queste novità. E davanti all’‘Apollo’, collocato ormai nella sua nuova camera da letto nel Palazzo dei Signori, avrebbe potuto riandare con la memoria alla scelta del 1537 fra le due statue di Michelangelo, e riassaporarla quasi come una profezia. Sigle archivistiche e librarie: ASF (Archivio di Stato di Firenze); ASS (Archivio di Stato di Siena); BNCF (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze); CSIC/CCHS (Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Centro de Ciencias Humanas y Sociales, Madrid); KHIF (Kunsthistorisches Institut in Florenz); MaP (Mediceo avanti il Principato); MP (Mediceo del Principato). Una versione assai breve di questo contributo, dal titolo Michelangelo, i Medici e la diplomazia europea: il San Giovannino di Úbeda, compare in Arte e politica. Studi per Antonio Pinelli, a cura di Novella Barbolani di Montauto, Gerardo De Simone, Tomaso Montanari, Chiara Savettieri e Maddalena Spagnolo, Mandragora, Firenze 2013, pp. 53-59 (con un testo molto ridotto, tre sole figure, e senza note e appendici). 59. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 7). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). Per avermi agevolato nel reperire foto o voci bibliografiche rare, o nell’accedere a fondi archivistici difficili, sono riconoscente a Irene Baldriga, Paola D’Agostino, Barbara Furlotti, Silvia Garinei, Marcella Marongiu, Susanne Müller Ghelardi, Paola Refice, Lucia Simonato, Rosa María Villalón Herrera, Grazia Visinteiner, Juan Manuel Albendea Solís, Gianluca Amato, Alessandro Benci, Marc Bormand, Vincenzo Farinella, Roberto Fuda, JeanRené Gaborit, Carlos Gutiérrez, Michael Kunst, Fernando Loffredo, Piero Marchi, Piergiorgio Piredda, Guido Rebecchini: alcuni di questi aiuti verranno precisati nel corso della trattazione. Grazie anche a Laura Minervini per i suoi utili consigli. Esprimo inoltre un debito speciale verso il Kunsthistorisches Institut di Firenze (e il suo condirettore Alessandro Nova), perché senza il suo supporto così prezioso il mio articolo non avrebbe mai visto la luce, almeno nella forma che il lettore ha sotto gli occhi. Rosanna De Gennaro, Matilde Gagliardo, Fiorella Sricchia, Francesco Aceto, Alessandro Bagnoli e Tomaso Montanari hanno ascoltato con generosità i miei racconti sul ‘San Giovannino’ nel corso di lunghi anni: spero di non deluderli ora che quelle parole diventano ‘nero su bianco’. 1) Dò un solo esempio, traendolo dall’ultima biografia michelangiolesca di riferimento: Michael 60. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. Hirst, Michelangelo. I. The achievement of fame: 1475-1534, Yale University Press, New Haven London 2011, p. 25 e nota 108 (pp. 277-278). 2) Manuel Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en España, nell’‘Archivo español de arte y arqueología’, VI, 1930, pp. 189-197: pp. 189-192 e tav. I tra le pp. 196-197. 3) Francesco Caglioti, Donatello e i Medici. Storia del David e della Giuditta, Leo S. Olschki editore, Firenze 2000, I, p. 315 nota 89. 4) Ascanio Condivi, Vita di Michelagnolo Buonarroti, a cura di Giovanni Nencioni, S.P.E.S., Firenze 1998, p. 17. 5) Giorgio Vasari, La Vita di Michelangelo nelle redazioni del 1550 e del 1568, curata e commentata da Paola Barocchi, Riccardo Ricciardi - Editore, Milano-Napoli MCMLXII, I, p. 15 (con la nota 125 di commento in II, pp. 142-144); Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di Rosanna Bettarini, commento secolare a cura di Paola Barocchi, Firenze, VI, S.P.E.S., MDCCCCLXXXVII, p. 14 (corrispondente a II, p. 721, della stampa giuntina del 1568). 6) Orazione funerale di m. Benedetto Varchi, fatta e recitata da lui pubblicamente nell’essequie di Michelagnolo Buonarroti in Firenze, nella Chiesa di San Lorenzo [...], In Firenze, appresso i Giunti, MDLXIIII. Si vedano in part. le pp. 28-29. 7) La citazione del ‘San Giovannino’ presso Raffaello Borghini si limita a riprendere e ad accorciare quella di Vasari (Il Riposo di Raffaello Borghini, in cui della Pittura e della Scultura si favella, de’ più illustri pittori e scultori e delle più famose opere loro si fa mentione, e le cose principali appartenenti a dette arti s’insegnano, In Fiorenza, appresso Giorgio Marescotti, MDLXXXIIII, p. 512). Nessuna nota di commento viene apposta al brano nella riedizione settecentesca del Riposo, a cura di Giovanni Gaetano Bottari (Raffaello Borghini, Il Riposo […], In Firenze, MDCCXXX, per Michele Nestenus e Francesco Moücke, p. 418). Lo stesso silenzio è nel ricchissimo apparato della riedizione settecentesca della Vita di Condivi, che fu curata da Anton Francesco Gori, ma che incorpora, oltre alle sue chiose, quelle di Pierre-Jean Mariette e di Domenico Maria Manni: Vita di Michelagnolo Buonarroti, pittore scultore architetto e gentiluomo fiorentino, pubblicata mentre viveva dal suo scolare Ascanio Condivi. Seconda edizione, corretta ed accresciuta di varie annotazioni […], In Firenze, MDCCXXXXVI, per Gaetano Albizzini. Dopo qualche lustro, Giovanni Gaetano Bottari, nella sua edizione delle Vite vasariane, la prima con note a piè di pagina, ammise: “Del S. Giovannino non ho trovato memoria alcuna dove sia” (Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, scritte da Giorgio Vasari, pittore e architetto aretino, corrette da molti errori e illustrate con note [da Giovanni Gaetano Bottari]. Tomo terzo […], In Roma MDCCLX, per 61. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”) (particolare). Londra, The National Gallery. Niccolò e Marco Pagliarini, p. 197 nota 1); e da qui la notizia della dispersione dell’opera rimbalzò per più di un secolo in tutte le ulteriori ristampe commentate delle Vite (sino alla comparsa del preteso ‘San Giovannino’ di Pisa, emigrato a Berlino, e ricordato tra poco). Un’ulteriore dichiarazione antica sulla perdita del marmo (“un San Giovannino, di cui non si trova memoria indicante dove si sia”) viene talvolta attribuita dagli studi a Filippo Baldinucci, ma per sbaglio, poiché spetta invece a Giuseppe Piacenza, nelle sue aggiunte sette-ottocentesche a tale scrittore: Notizie de’ professori del Disegno da Cimabue in qua, opera di Filippo Baldinucci […], nuovamente data alle stampe con varie dissertazioni, note ed aggiunte da Giuseppe Piacenza […], III, In Torino 1813, dalla Stamperia Appiano, p. 48. Piacenza, dal canto suo, segue quasi alla lettera Bottari. 8) Charles de Tolnay, The Youth of Michelangelo, Princeton University Press, Princeton MCMXLIII, p. 199. 9) Otto Kurz, recensione del precedente, in ‘The Burlington Magazine’, LXXXVI, 1945, p. 52; Ulrich Middeldorf, Letter to the Editor, in ‘The Art Bulletin’, XXVII, 1945, p. 219. 10) Sulla splendida raccolta scultorea di Girardon è uscito nel frattempo il saggio utilissimo di François [Saggi] 55 62. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 8). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). Souchal, La collection du sculpteur Girardon d’après son inventaire après décès, nella ‘Gazette des beaux-arts’, s. VI, LXXXII, 1973, pp. 1-98, costruito sulle stampe di riproduzione pubblicate negli ultimi anni di vita dell’artista (entro il 1709) e sulla ricca documentazione, soprattutto inventariale (1713-15), reperita da Mireille Rambaud. Per la “teste de saint Jean Baptist par Michel Ange”: pp. 6-7 tav. II, 43-44 n. 34 e fig. 39. 11) Christian Adolf Isermeyer, Der Giovannino (1495/96), in Idem, Das Michelangelo-Jahr 1964 und die Forschungen zu Michelangelo als Maler und Bildhauer von 1959 bis 1965, nella ‘Zeitschrift für Kunstgeschichte’, XXVIII, 1965, pp. 307-352: pp. 315-318 (p. 318). 12) Jean-René Gaborit, in Musée du Louvre. Nouvelles acquisitions du Département des Sculptures (1984-1987), Editions de la Réunion des Musées Nationaux, Paris 1988, pp. 36-38 n. 9, come “Italie du Nord. Seconde moitié du XVIe siècle”; Musée du Louvre, Département des Sculptures, Moyen Age, Renaissance et Temps modernes. Les sculptures européennes du musée du Louvre: Byzance, Espagne, îles Britanniques, Italie, anciens PaysBas et Belgique, pays germaniques et de l’Europe de l’Est, pays scandinaves, Antiques restaurées et copies d’antiques. Catalogue, sous la direction de 56 [Saggi] Geneviève Bresc-Bautier, Somogy Éditions d’art Musée du Louvre Éditions, Paris 2006, p. 268, inv. RF 4203, come “Italie du Nord? Seconde moitié du XVIe siècle”. Alla bibliografia raccolta in queste due sedi bisogna aggiungere perlomeno la voce più antica di tutte, cioè la menzione che lo svedese Nicodemus Tessin il Giovane, in visita a Parigi e alla casa di Girardon nel 1687, fece dell’opera – “so wunderschön vom M. A. Buonaruota […] aussgearbeitet” – nei propri taccuini di viaggio (cfr già F. Souchal, La collection du sculpteur Girardon cit., pp. 19-20 e nota 11 [p. 32]; e, prim’ancora, Nicodemus Tessin d. y:s Studieresor i Danmark, Tyskland, Holland, Frankrike och Italien, anteckningar, bref och ritningar, utgifna af Osvald Sirén, P.A. Norstedt & Söners Förla.g, Stockholm 1914, p. 104; e da ultimo Nicodemus Tessin the Younger: sources, works, collections, Nationalmuseum, Stockholm, III, Travel notes 1673-77 and 1687-88, edited by Merit Laine and Börje Magnusson, 2002, p. 179). Tra la morte di Girardon nel 1715 e l’asta del 1987 la ‘Testa del Battista’ sembra essere rimasta stabilmente in Francia, cambiando più volte proprietà, ma sempre sotto il nome di Michelangelo. 13) Jean-René Gaborit e i suoi colleghi del Louvre si sono invece orientati verso una datazione più tarda di almeno mezzo secolo e una collocazione geografica in ambito lombardo. Questa seconda pista mi sembra troppo debitrice verso la diffusione prevalentemente nordica del tipo scultoreo della “Johannesschüssel”, mentre non si può escludere che Firenze, città del Precursore, abbia anch’essa, di rado, prodotto opere simili, o che artisti fiorentini si 63. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. siano trovati a lavorare per centri del Norditalia dove il ‘Battista decollato’ era usuale (Genova). Restando in tema di teste mozzate, quella bronzea famosa di Golia ai piedi del ‘David’ del Verrocchio mi pare dare un buon termine di riferimento per il retroterra artistico del marmo Girardon. In più, le anse semplici e pure del bacino di Parigi sarebbero fuori tempo oltre la generazione e la cultura di maestri come Antonello Gagini o Benedetto da Rovezzano. 14) Un’utile ricostruzione degli aspetti politico-diplomatici della vicenda è stata data di recente, sulla base di alcuni documenti dell’epoca, da Anna Maria Voci, Wilhelm Bode e il falso Michelangelo, nel ‘Marburger Jahrbuch für Kunstwissenschaft’, 37, 2010, pp. 265-278. La parte storico-artistica vi è, invece, meno ampiamente e sicuramente informata (p.e. lo scultore Girolamo Santacroce, coinvolto nel dibattito critico di cui si parla, diventa “Prospero Santacroce”, p. 274). 15) Poiché nelle prossime pagine sarò spesso costretto a lunghe note per riunire bibliografie disperse o fare precisazioni indispensabili, posso adesso, invece, rinviare soltanto a un paio di voci che già radunano e discutono quelle appena accennate nel mio testo (con l’eccezione di Burckhardt): Michelangelo Bibliographie: 1510-1926, herausgegeben von Ernst Steinmann und Rudolf Wittkower, Klinkhardt & Biermann, Leipzig 1927, p. 462, ad indi- 64. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”) (particolare). Londra, The National Gallery. cem (s.v. “Giovannino (Berlin)”); e Staatliche Museen zu Berlin. Bildwerke des Kaiser-Friedrich-Museums. Die italienischen und spanischen Bildwerke der Renaissance und des Barocks, I, Frieda Schottmüller, Die Bildwerke in Stein, Holz, Ton und Wachs. Zweite Auflage, Verlag von Walter de Gruyter & Co., Berlin 1933, pp. 171-172 n. 264 (come “Florentinisch, Ende des 16. Jahrhunderts”). Per l’adesione di Burckhardt al pensiero di Bode sul ‘San Giovannino’ michelangiolesco: Jacob Burckhardt, Werke: kritische Gesamtausgabe, Verlag C.H. Beck oHG – Schwabe AG, München-Basel, XVI, Geschichte der Renaissance in Italien, Band 1: Die Malerei nach Inhalt und Aufgaben. Randglossen zur Sculptur der Renaissance, aus dem Nachlaß herausgegeben von Maurizio Ghelardi, Susanne Müller und Max Seidel, 2006, p. 524 (entro le Randglossen); e XVII, Geschichte der Renaissance in Italien, Band 2: Vorlesungen über Renaissance. Notizen zur italienischen Kunst seit dem XV. Jahrhundert, aus dem Nachlaß herausgegeben von Maurizio Ghelardi und Susanne Müller, 2013 (in c.d.s.), sezioni “MAng a”, “MAng b 1. T.” e “MAng zu b” (entro le Notizen zur Malerei); e inoltre: Werner Kaegi, Jacob Burckhardt: eine Biographie, Schwabe & Co Verlag, Basel, VI, Weltgeschichte, Mittelalter, Kunstgeschichte: die letzten Jahre, 1886-1897, 1977, parte 2, p. 592 e nota 204; e Max Seidel, Das Renaissance-Museum: Wilhelm Bode als “Schüler” Jacob Burckhardts, in Storia dell’arte e politica culturale intorno al 1900: la fondazione dell’Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze. [Per i cento anni dalla fondazione del Kunsthistorisches Institut in Florenz, convegno internazionale, Firenze, 21-24 maggio 1997], a cura di Max Seidel, Marsilio, Venezia 1999, pp. 55109 (p. 86 e nota 170 [p. 107]). 16) Heinrich Wölfflin, Die Jugendwerke des Michelangelo, Theodor Ackermann, München 1891, pp. 69-73 e note (con una datazione conclusiva dell’opera “in’s 16. Jahrhundert”, p. 73 nota 1); Idem, Die klassische Kunst: eine Einführung in die italienische Renaissance, Verlgasanstalt F. Bruckmann A.-G., München 1899, pp. 49 nota 1, 257 e nota 1 (con fig.) (con una datazione “ins vorgeschrittene 16. Jahrhundert” e una proposta di attribuzione a Girolamo Santacroce, per raffronto con l’Altare del Pezzo in Santa Maria di Monteoliveto a Napoli, del 1524). Per una successiva posizione di Wölfflin sulla statua berlinese si veda oltre, testo e nota 44. 17) Oltre, testo e nota 20. 18) Carlo Gamba, Silvio Cosini, in ‘Dedalo’, X, 1929-30, pp. 228-254, a favore dello scultore cui è dedicato il saggio (p. 232, con figg. a pp. 234-235). 19) Cfr rispettivamente le note 22 (Donatello e Civitali), 16 e 44 (Santacroce), 18 (Cosini). 20) Alois Grünwald, Über einige unechte Werke Michelangelos, nel ‘Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst’, V, 1910, pp. 11-70, in part. pp. 2863 (cfr pure Alois Grünwald, Zum Giovannino „Michelangelos“, in Idem, Florentiner Studien, Stengel & Co., G.m.b.H., Dresden-Prag 1914, pp. 27- 65. Michelangelo: ‘Prigione morente’ (tra 1513 e il 1516) (particolare). Parigi, Musée National du Louvre, Département des Sculptures. 30 e tavv. 21-23, scritto come risposta polemica a Ernst von Liphart). Dopo il saggio del 1910, che è anche quello di apertura sui Pieratti, gli studi sui due fratelli hanno fatto grossi passi avanti, soprattutto negli ultimi decenni (in part. con Claudio Pizzorusso, Domenico Pieratti, ‘primo suggetto nel suo mestiere in questa città’, in ‘Paragone/Arte’, XXXVI, 1985, 429, pp. 21-42 e figg. 22-43; Idem, A Boboli e altrove: sculture e scultori fiorentini del Seicento, Leo S. Olschki editore, Firenze MCMLXXXIX, in part. pp. 13-54 e 89-99, figg. passim; e Tomaso Montanari, Domenico Pieratti, Satyr lying on a panther skin […], in Body and soul: masterpieces of Italian Renaissance and Baroque sculpture. Catalogue of an exhibition, edited by Andrew Butterfield, Andrew Butterfield Fine Arts – Moretti, Florence-London-New York, Edizioni Polistampa, Firenze 2010, pp. 78-85). Ma la distinzione di operato tra i due maestri, nati a un solo anno di distanza l’uno dall’altro (Giovambattista nel 1599, Domenico nel 1600), e cresciuti, formatisi e attivi sempre insieme, rimane ancora assai difficile (C. Pizzorusso, A Boboli e altrove cit., spec. pp. 91-93). Nell’optare per un’attribuzione dell’‘Aristeo’ a Domenico nel 1625-30 circa, sono consapevole della provvisorietà della proposta. 21) Le tracce di un’aureola metallica un tempo vi- [Saggi] 57 sibili in cima al capo del giovinetto berlinese (e nitidamente riprodotte presso A. Grünwald, Zum Giovannino „Michelangelos“ cit., tav. 22) mostrano bene che essa vi era stata adattata con forza in un secondo momento, rovinando la lavorazione originaria della capigliatura. 22) Antonio Mazzarosa, Lezione intorno le opere di scultura e d’architettura di Matteo Civitali, artista lucchese del secolo decimoquinto, che si vedono nella Cattedrale della sua patria, negli ‘Atti della Reale Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti’, III, 1827 [1826], pp. 321-370, e anche in estratto, Dalla tipografia di Francesco Bertini, Lucca MDCCCXXVI, p. 9 nota 3 (pp. 46-47); poi, con titolo variato (Sulle opere di scultura e d’architettura di Matteo Civitali nella Cattedrale di Lucca, lezione letta alla R. Accademia Lucchese il 1825), nelle Opere del marchese Antonio Mazzarosa, Tipografia di Giuseppe Giusti, Lucca, I, 1841, pp. 134: p. 4 nota 3 (pp. 29-30). Cfr anche Gaetano Milanesi, ne Le opere di Giorgio Vasari con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, G.C. Sansoni, Editore, In Firenze, II, MDCCCLXXVIII, p. 120 note 1 e 1† (a proposito di Matteo Civitali, entro la Vita di Jacopo della Quercia); VII, MDCCCLXXXI, pp. 147-148 nota 2† (a proposito di Michelangelo); e IX, MDCCCLXXXV, p. 204. Mazzarosa aveva ventilato un’attribuzione molto cauta della statua a Civitali, poi accolta, con minor cautela, da Milanesi, e prim’ancora da Enrico Ridolfi, Intorno alla discussione sulla statua del conte Rosselmini-Gualandi, Fratelli Cheli, Lucca 1875 (estratto da ‘La Provincia di Lucca’, nn. 21-22, 16 e 18 marzo 1875). 23) Wilhelm Reinhold Valentiner, Michelangelo’s lost “Giovannino”, in ‘The art quarterly’, I, 1938, pp. 24-39. 24) Oltre, testo e note 48-51. 25) Ulrich Middeldorf, New Attributions to G. F. Rustici, in ‘The Burlington Magazine’, LXVI, 1935, pp. 70-81, spec. pp. 72, 73 (tav. II) fig. A, 76, poi in Ulrich Middeldorf, Raccolta di Scritti, that is Collected Writings, S.P.E.S., Firenze, I, 1924-1938, 1979-80, pp. 199-210, spec. pp. 201-202, 207-208 e fig. 154. 26) Cfr in part. Philippe Sénéchal, Giovan Francesco Rustici, 1475-1554. Un sculpteur de la Renaissance entre Florence et Paris, Arthena, Paris 2007, spec. pp. 31-33 e note 312-320 (e figg. 17-22), 184185 n. S.2, con una datazione “vers 1495-1500” che mi pare preferibile a quella “attorno al 1515” suggerita in parallelo da Tommaso Mozzati, Giovanfrancesco Rustici. Le Compagnie del Paiuolo e della Cazzuola: arte, letteratura, festa nell’età della Maniera, Leo S. Olschki editore, Firenze 2008, pp. 5, 142-143 e note 742-747, figg. 255-259. L’opera è del tutto assente, così come molti altri problemi che riguardano Rustici, da una terza monografia sull’artista apparsa quasi nello stesso tempo: Martina Minning, Giovan Francesco Rustici (14751554): Untersuchungen zu Leben und Werk des Florentiner Bildhauers, Rhema, Münster 2010 (“Untersuchungen” è nel frontespizio, “Forschungen” in copertina). Alla bibliografia sulla statua Morgan raccolta utilmente da Sénéchal, pp. 184-185, si possono aggiungere varie altre voci degli studi michelangioleschi (cfr oltre, note 48-51). 27) Per esse mi limito qui a rimandare alla recente e ricca scheda dell’opera data da Gerardo de Simone e ricordata oltre, nota 30. L’assurda attribuzione a Mino formulata nel 1942 andava in verità al catalogo di Mino “del Reame” o “del Regno”, che nel frattempo è diventato una cosa sola con la giovinezza romano-napoletana di Mino da Fiesole, tra il 1454 e il 1463 (a partire da Francesco Caglioti, Per il recupero della giovinezza romana di Mino da Fiesole: il ‘Ciborio della neve’, in ‘Prospettiva’, 49, 1987, pp. 15-32). E infatti il riferimento a Mino da Fiesole e bottega è stato poi rispolverato da Shelley 58 [Saggi] E. Zuraw, The sculpture of Mino da Fiesole (14291484), Ph.D. Thesis, New York University 1993, I, p. 231 e note 81-83, e II, pp. 751-753 n. 42. 28) Roberto Longhi, Due proposte per Michelangelo giovine, in ‘Paragone/Arte’, IX, 1958, 101, pp. 59-64 (pp. 59-62 e figg. 37-38), poi in Roberto Longhi, Cinquecento classico e Cinquecento manieristico, 1951-1970 [Edizione delle opere complete di Roberto Longhi, VIII/2], Sansoni, Firenze 1976, pp. 5-9 (pp. 5-7 e figg. 1-2). 29) Eugenio Luporini, Benedetto da Rovezzano. Scultura e decorazione a Firenze tra il 1490 e il 1520, Edizioni di Comunità, Milano 1964, pp. 150151 n. 26, figg. 218-220. Luporini proponeva una collocazione dell’opera “tra il 1505 e il 1509”, mentre si dovrà pensare a un’anticipazione davvero giovanile, nei primi anni novanta del Quattrocento, poiché il ‘San Giovannino’ è presente già in un inventario del 27 gennaio 1493 reperito e pubblicato da Irene Polverini Fosi, Pietà, devozione e politica: due confraternite fiorentine nella Roma del Rinascimento, nell’‘Archivio storico italiano’, CXLIX, 1991, pp. 119-161 (pp. 132-133 e nota 26). Come si vede, benché fosse impropriamente ispirata dall’attribuzione michelangiolesca, la cronologia proposta da Longhi per la statua romana (1492-93) è infine quella più esatta. 30) Francesco Caglioti, Mino da Fiesole [...], Busto di San Giovanni Battista fanciullo [...] Parigi, Musée Jacquemart-André [...], in Due collezionisti alla scoperta dell’Italia. Dipinti e sculture dal Museo Jacquemart-André di Parigi. Milano, Museo Poldi Pezzoli, 16 ottobre 2002 - 16 marzo 2003, a cura di Andrea Di Lorenzo, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2002, pp. 64-67 n. 5, spec. p. 66 nota 17 (p. 67); Linda Pisani, San Giovannino Battista nei busti del Rinascimento fiorentino, in Kopf / Bild: die Büste in Mittelalter und Früher Neuzeit, herausgegeben von Jeanette Kohl und Rebecca Müller, Deutscher Kunstverlag, München-Berlin 2007, pp. 211-233 (pp. 213 e 215 e nota 14, ma con una datazione deviata al “secondo decennio del Cinquecento”); Gerardo de Simone, Benedetto da Rovezzano […], San Giovanni Battista fanciullo […], Roma, Museo d’Arte Sacra di San Giovanni dei Fiorentini, in Melozzo da Forlì. L’umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello, catalogo della mostra (Forlì, Musei San Domenico, 29 gennaio-12 giugno 2011), a cura di Daniele Benati, Mauro Natale e Antonio Paolucci, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2011, pp. 241-243 n. 58 (con la giusta cronologia, indotta dal documento del gennaio 1493, per il quale cfr sopra, nota 29). La scheda di De Simone è utile anche come risposta ai più recenti tentativi di ambito romano per riabilitare l’attribuzione a Michelangelo, con argomenti che non hanno nulla a che vedere con la ricerca storica e con il buon senso: di essi non mi curerò oltre in queste pagine. Sempre presso De Simone, peraltro, c’è il residuo di un errore compiuto da quella bibliografia nel riferire a James D. Draper (nel 1992 e nel 1999) un’attribuzione a Bertoldo di Giovanni, di cui invece non è traccia negli interventi di tale studioso (mentre essa si ritrova nella letteratura romana ottocentesca). 31) Alessandro Parronchi, Il San Giovanni Battista «gradivo» del Bargello, opera misconosciuta di Michelangelo, negli ‘Studi urbinati di storia, filosofia e letteratura’, XXIV, 1960, 1/2, pp. 68-96, e poi, con varie modifiche e con il titolo Il San Giovanni Battista «gradivo» del Bargello, in Alessandro Parronchi, Opere giovanili di Michelangelo, Accademia Toscana di Scienze e Lettere «La Colombaria» - Leo S. Olschki editore, Firenze, [I], MCMLXVIII, pp. 91-112 e figg. 53a-67b. Ma cfr anche Alessandro Parronchi, Donatello e Michelangelo, in Idem, Opere giovanili di Michelangelo cit., V, Revisioni e aggiornamenti, MCMXCVI, pp. 521 (pp. 10-17 e note, tavv. XII-XV). Per una carta d’archivio del 1570 circa che Parronchi credeva di poter collegare come documento-ponte sia al ‘San Giovannino’ mediceo di Michelangelo sia al ‘San Giovanni gradivo’ del Bargello, e che invece non riguarda né l’uno né l’altro, si veda oltre, nota 142. 32) Hans Kauffmann, Donatellos Jünglingsstatuen, David und Johannes, nei ‘Sitzungsberichte der Kunstgeschichtlichen Gesellschaft Berlin’, 193132, pp. 1-4 (p. 4). Cfr anche Hans Kauffmann, Donatello. Eine Einführung in sein Bilden und Denken, G. Grote’sche Verlagsbuchhandlung, Berlin 1935, p. 46 nota 137 (p. 211). 33) Cfr per tutti Marco Collareta, San Giovanni Battista […], in Museo Nazionale del Bargello. Omaggio a Donatello. Donatello e la storia del Museo, Associazione ‘Amici del Bargello’ […] S.P.E.S., Firenze 1985, pp. 348-362 n. XIX (con bibliografia); e Beatrice Paolozzi Strozzi, Francesco da Sangallo (attribuito) […], San Giovanni Battista […], ne L’officina della maniera: varietà e fierezza nell’arte fiorentina del Cinquecento fra le due repubbliche, 1494-1530, catalogo della mostra (Firenze, Galleria degli Uffizi, 28 settembre 1996 - 6 gennaio 1997), Giunta Regionale Toscana - Marsilio, Firenze-Venezia 1996, pp. 366-367 n. 137 (con ulteriore bibliografia, e con una datazione “15201525 circa”). Per mostrare tutta la giustezza della restituzione sangallesca propongo qui un confronto fotografico con il ‘San Paolo’ della tomba cassinese di Piero di Lorenzo de’ Medici (fig. 28): al momento di aggiungere le note a questo contributo, mi ha fatto piacere riscoprire che nel 1931 Kauffmann concludeva la sua attribuzione del ‘San Giovanni’ al Sangallo definendo sinteticamente la statua “als eine Vorstufe seines Paulus am Medicigrab in Montecassino” (H. Kauffmann, Donatellos Jünglingsstatuen cit., p. 4). 34) Fernanda de’ Maffei, Michelangelo’s lost St. John: the story of a discovery, Faber and Faber, London 1964 (ma anche Reynal & Company, New York 1964). Il volume contiene un apparato illustrativo e comparativo (112 tavole, alcune quadruple) che è un poderoso fuoco d’artiglieria, in gran parte del tutto sprecato, e solo in piccola parte utile a mostrare (senza saperlo) la cultura di provenienza del vero responsabile del ‘San Giovanni’, Giovanfrancesco Susini. Ancora più follemente, un’operazione del tutto analoga a questa della De’ Maffei fu ripetuta per la stessa scultura, dodici anni dopo, da Josef Vincent Lombardo, Michelangelo: new discoveries, The Dartmouth Foundation, New York 1976 (con 85 tavv., fittissime di figure). Lombardo, “professor emeritus of Fine Arts, Queens College, The City University of New York”, trovava il libro della De’ Maffei “unacceptable because of its errors of fact and non-existent references” (p. 3), ma la differenza di senso storico e di senso della qualità tra gli approcci dei due autori è impercettibile, e i loro accostamenti iconografici e figurativi sono ugualmente visionari. Un’anticipazione del proprio sbandamento per il ‘San Giovanni’ Tozzi era stata data da Josef Vincent Lombardo, Michelangelo: the Pieta and other masterpieces, Pocket Books, Inc., New York 1965, in part pp. 19-24 e note 31-41 (pp. 55-56), figg. 11-13. Non saprei cosa pensare dell’allusione che l’autore fa qui a una lettera inviata al proprietario Tozzi da Sir Kenneth Clark il 10 aprile 1956 per approvare l’attribuzione michelangiolesca (p. 24 e nota 40 [p. 56]). 35) Ancient glass, including Egyptian and SyrioRoman specimens; fine textiles, antique Persian and other rugs; Persian pottery, lacquer, antique jewelry, laces, Chinese porcelains, arms & armor, miniatures, illuminated MSS., a marble St. John by Sansovino, from the collections of the late Daniel Z. Noorian. Unrestricted public sale, Mar. 12, 13, & 14, 1931, American Art Association, Anderson Galleries, Inc., New York 1931, p. 108 n. 623 e foto nel controfrontespizio (con il numero errato “643”). 36) Wilhelm Reinhold Valentiner, in Leonardo da Vinci, 1452-1519. Loan exhibition, Los Angeles County Museum, June 3 to July 17, 1949, The Los Angeles County Museum, Los Angeles, California, 1949, pp. 121-122 n. 101 e fig. 101; Carlo Pedretti, Il nipote scultore, in Pierino da Vinci. Atti della giornata di studio, Vinci, Biblioteca Leonardiana, 26 maggio 1990, a cura di Marco Cianchi, Comune di Vinci – Becocci Editore, Vinci - Firenze 1995, pp. 13-15, e figg. 5, 8, 10, 36 e 38, e tav. XXI; James Beck, Pierino da Vinci: fra Michelangelo e Leonardo, ivi, pp. 25-28, e figg. 5, 8, 10, 36 e 38, e tav. XXI; Repertorio della scultura fiorentina del Cinquecento, a cura di Giovanni Pratesi, biografie a cura di Nicoletta Pons, Umberto Allemandi & Co., Torino et alibi 2003, III, fig. 636. 37) Dopo un’ironica recensione del libro di Fernanda de’ Maffei da parte di Creighton Gilbert, The Hundred-Dollar Misunderstanding, in ‘The New York Review of Books’, III, 1964, 20 agosto, p. 16 (“It would be extraordinary to find a lost sculpture by Michelangelo. There is no definite case of its having happened at any time”; “In my own opinion, the statue is a perfectly nice Florentine sculpture of the second quarter of the sixteenth century”), C.A. Isermeyer, Der Giovannino (1495/96) cit., pp. 315318, concludeva tre valide pagine di pars destruens contro il ‘Michelangelo’ di Piero Tozzi con una bizzarra interpretazione come “ein eklektisches Werk des 19. Jahrhunderts”, ben più avanti della cultura artistica di un Thorvaldsen (apprezzamento raccolto da A. Parronchi, Il San Giovanni Battista «gradivo» del Bargello cit., ed. 1968 cit., p. 112 nota 47). La figura non sarebbe stata neppure un Battista, ma semplicemente un ‘Pastorello in riposo’, scolpito per qualche salon. Sembra che anche Ulrich Middeldorf desse una lettura ottocentesca del ‘San Giovanni’ Tozzi, poiché sul cartone fotografico n. 165445 del Kunsthistorisches Institut di Firenze, che mostra un ‘David’ marmoreo nella collezione dei conti di Crawford e Balcarres, classificato inizialmente da un aiuto-fototecario come cosa fiorentina del Cinquecento, lo studioso è intervenuto apponendo un punto interrogativo alla datazione e aggiungendo “19th” e “similar to a St. John, N.Y., P. Tozzi”, con un rinvio al volume di Fernanda de’ Maffei. 38) Giovanfrancesco Susini sembra ancora in attesa di un catalogo sistematico di tutte le sculture nei diversi materiali. La letteratura però non manca, com’è ovvio, e ne dò qui un’antologia, concentrata soprattutto (ma non esclusivamente) sulla produzione in marmo: Filippo Baldinucci, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua [...], per cura di Ferdinando Ranalli, Per V. Battelli e Compagni, Firenze, IV, 1846, pp. 118-121; Susini (Susina), Francesco (Giov. Franc.), in Ulrich Thieme, Felix Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, E.A. Seemann, Leipzig, XXXII, 1938, pp. 305-306; Giovanna Lombardi, Giovan Francesco Susini, negli ‘Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia’, s. III, IX, 1979, pp. 759-790; Anthea Brook, Giovan Francesco Susini, ne Il Seicento fiorentino. Arte a Firenze da Ferdinando I a Cosimo III. Palazzo Strozzi, 21 dicembre 1986 - 4 maggio 1987, Cantini, Firenze 1986, Biografie, pp. 166-167; C. Pizzorusso, A Boboli e altrove cit., passim, in part. pp. 36-37 e note, 38-41 e note, 57 e note, figg. 27, 28, 29a, 38, 40-41, 45, 53; Silvia Blasio, nel Repertorio della scultura fiorentina del Seicento e Settecento, a cura di Giovanni Pratesi, Umberto Allemandi & C., Torino 1993, I, p. 61, e III, figg. 612-636; Anthea Brook, (Giovan) Francesco Susini, in The Dictionary of Art, Macmillan Publishers Limited, London 1996, XXX, p. 32; Eadem, Au département des Sculptures du Louvre, Bacchus et un satyre de Francesco Susini (1585 - v. 1653), ne ‘La revue du Louvre et des Musées de France’, LIII, 2003, 1, pp. 48-58; Eadem, Giovan Francesco Susini, in The Encyclopedia of Sculpture, ed. Antonia Boström, Fitzroy Dearborn, New York - London 2004, III, pp. 1628-1630; Francesco Freddolini, Two holy-water stoups by Giovan Francesco Susini and the lost Paolsanti monument in SS. Annunziata, Florence, in ‘The Burlington Magazine’, CXLVII, 2005, pp. 817-821. 66. Pontormo: Studio per il ‘San Michele Arcangelo’ della Cappella della Madonna a Pontorme (1519). Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. 6506F recto (particolare). [Saggi] 59 67. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 4). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). 39) Una segnalazione dell’acquisto è apparsa in ‘The New York Times’, 20 novembre 2005 (Carol Vogel, This deal came around twice). Mentre la mia individuazione di Susini era ancora inedita, il ‘San Giovannino’ Tozzi è stato dirottato verso il Seicento pure da Alessandro Parronchi, Una nuova ipotesi di attribuzione per il San Giovannino Tozzi, in ‘Labyrinthos’, 41/42, 2002, pp. 25-46, poi, come Una nuova attribuzione per il San Giovannino Tozzi, in A. Parronchi, Opere giovanili di Michelangelo cit., VI, Con o senza Michelangelo, MMIII, pp. 71-78 e figg. 99-121. Ma lo studioso (che in un primo momento aveva pensato per l’opera all’Ottocento: sopra, nota 37) proponeva una collaborazione tra Pietro e Gianlorenzo Bernini nel 1614-15 circa, invocando confronti, al solito fantasiosi, con opere sia berniniane sia, soprattutto, nient’affatto berniniane (un ‘Battista’ in terracotta nella Galleria Estense di Modena; un ‘Cristo legato’, anch’esso fittile, oggi nelle Raccolte della Città di Perugia, con il lascito di Valentino Martinelli). 40) R. Longhi, Due proposte per Michelangelo giovine cit., p. 59, poi in Idem, Cinquecento classico e Cinquecento manieristico cit., p. 5. 41) Per la speranza nutrita da Parronchi che Longhi, di rimando, accettasse a sua volta come michelangiolesco anche il ‘San Giovanni gradivo’ si veda oltre, nota 90. 60 [Saggi] 42) Per contro, lo studioso si preoccupò di cercare precise destinazioni non michelangiolesche per quei candidati ‘Santi Giovannini’ che doveva percepire come più temibili rispetto al suo ‘San Giovanni gradivo’: così la statua di Bode, da Parronchi attribuita nel 1996, senza il benché minimo fondamento, a Baccio da Montelupo (A. Parronchi, Donatello e Michelangelo cit., p. 16 nota 45 e tavv. XIIIb-XV); oppure l’esemplare Tozzi di New York, invocato nel 2003 come cosa dei Bernini padre e figlio (sopra, nota 39). 43) Cfr sopra, nota 16. 44) Heinrich Wölfflin, Die klassische Kunst: eine Einführung in die italienische Renaissance. Sechste Auflage, F. Bruckmann A.-G., München 1914: mentre la parte nel testo e nelle note ripete sostanzialmente le precedenti cinque edizioni (pp. 49-51 nota 1, 258 e nota 1, con fig.), un’aggiunta al volume fatta a p. 277, fuori composizione, rinvia a Grünwald e alla conclusione che la statua berlinese sia “die Arbeit eines gewissen Pieratti aus dem Anfang des 17. Jahrhunderts”. In modo divertente, la settima edizione, curata – Wölfflin vivo – da Konrad Escher, incorpora nel testo il rinvio a Grünwald e a Pieratti, ma poi un nuovo “Nachtrag”, inserito in extremis a p. 293, ritorna con slancio all’attribuzione a Santacroce, grazie al fatto che essa, già formulata dallo stesso Wölfflin, è stata appena rilanciata da Giulio Lorenzetti, Una scultura italiana del ’500 al Louvre, in ‘Dedalo’, III, 1922-23, pp. 14-24. Vedi Heinrich Wölfflin, Die klassische Kunst: eine Einführung in die italienische Renaissance. Siebente Auflage, bearbeitet von Konrad Escher, F. Bruckmann A.-G., München 1924, pp. 51 nota 1, 271-272 68. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”) (particolare). Londra, The National Gallery. e nota 1 (con fig.), 293. L’articolo del tutto fuori strada di Lorenzetti pretendeva di ricoverare sotto il nome di Santacroce, prim’ancora che il preteso ‘San Giovannino’ berlinese, il ‘Giovane dio fluviale’ di provenienza napoletana allora entrato da non molto al Louvre, e riconosciuto poco dopo a Pierino da Vinci, definitivamente, da Ulrich Middeldorf (1928): nuove importanti conferme su quest’opera si trovano presso Fernando Loffredo, La villa di Pedro de Toledo a Pozzuoli e una sicura provenienza per il Fiume di Pierino da Vinci al Louvre, in ‘Rinascimento meridionale’, II, 2011, pp. 93-113. 45) Sopra, testo e nota 23. 46) Sopra, nota 18. 47) Kurt Gerstenberg, Der jugendliche Johannes von Michelangelo, in ‘Pantheon’, XXVII, 1941, pp. 19-22. 48) Martin Weinberger, rec. di C. de Tolnay, The Youth of Michelangelo cit., in ‘The Art Bulletin’, XXVII, 1945, pp. 69-74; Charles de Tolnay, Notes Concerning The Youth of Michelangelo: A Reply, ivi, pp. 139-146 (p. 143). 49) Wilhelm Reinhold Valentiner, Michelangelo’s statuettes of the Piccolomini Altar in Siena, in ‘The Art Quarterly’, V, 1942, pp. 2-44: p. 24 nota 14 (p. 44). Tale passo scompare nella riedizione modificata del saggio: Michelangelo’s Piccolomini statuettes and the Madonna in Bruges, in Wilhelm Reinhold Valentiner, Studies of Italian Renaissance Sculpture, Phaidon Press Inc. - Oxford University Press, London - New York 1950, pp. 193-223. Si ricordi che il nome di Kenneth Clark sarebbe stato invocato ancora vent’anni dopo nelle dispute sul ‘San Giovannino’ michelangiolesco, ma a sostegno dell’esemplare Tozzi (sopra, nota 34). 50) Luitpold Dussler, recensione di Charles de Tolnay, The Youth of Michelangelo. Second edition, revised, Princeton University Press, Princeton MCMXLVII, nella ‘Kunstchronik’, III, 1950, pp. 129-132 (p. 131); Wilhelm Reinhold Valentiner, Zuschrift an die Redaktion, ivi, pp. 199-200; [Luitpold Dussler], Erwiderung des Rezensenten, ivi, p. 200. 51) Ivi, p. 200. 52) C. de Tolnay, The Youth of Michelangelo cit., ed. 1947 cit., p. 200 e fig. 164b. 53) Ivi, p. 131. Al disprezzo verso la statua di Úbeda, Dussler sarebbe rimasto fedele fino all’ultimo. In Luitpold Dussler, Michelangelo-Bibliographie, 1927-1970, Otto Harrassowitz, Wiesbaden 1974, ci si preoccupa di dedicare motivate recensioni negative ai falsi ‘Santi Giovannini’ di Valentiner (p. 245 n. 2077; cfr anche p. 156 n. 1364), di Longhi (p. 142 n. 1232), di Parronchi (p. 171 n. 1493, ove peraltro si fa confusione tra il ‘San Giovanni gradivo’ di Sangallo e il ‘San Giovannino’ Martelli di Donatello) e della De’ Maffei (p. 66 n. 597; cfr anche p. 141 n. 1226), mentre la proposta di Gómez-Moreno è liquidata come mera curiosità bibliografica (p. 108 n. 959). 54) Basti il rinvio a Gonzalo Argote de Molina [1549-1596], Nobleza del Andaluzía, En Sevilla, por Fernando Diaz, año 1588, cc. 282v-283r: “Donde se vee en el altar mayor un San Juan niño de alabastro (que dizen le presentó el Senado veneciano), joya de excelente escultura” (già citato da M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en España cit., pp. 190-191 e nota 1); e ad Antonio Ponz, Viage de España, en que se da noticia de las cosas mas apreciables, y dignas de saberse, que hay en ella […], Tomo XVI. Trata de Andalucía, Madrid, por la viuda de d. Joaquin Ibarra, MDCCLXXXXI, p. 127: “Tambien tiene [esta Sacra Iglesia] una estatua de San Juan Bautista de fino mármol, que regaló al fundador la República de Venecia”. 55) Miguel Ruiz Prieto [1831-99], Historia de Úbeda, publicada después de su muerte bajo la dirección de don Alfredo Cazabán Laguna, Imprenta Gutenberg, á cargo de J. Martínez, Úbeda 1906, II, p. 161: “[…] al lado derecho de altar, una hechura de San Juan Bautista, bien modelada en alabastro, que regaló el emperador D. Carlos, según consta en inventarios y al cual se la regaló a su vez la república de Venecia”. 56) Giuseppe Campori, Tiziano e gli Estensi, nella ‘Nuova Antologia di scienze, lettere ed arti’, XXVII, 1874, pp. 581-620, in part. pp. 601-604. 57) Sui doni di Alfonso I a Cobos dovrò tornare oltre, testo e nota 146. 58) Carl Justi, Tizian und Alfons von Este, nel ‘Jahrbuch der königlich preussischen Kunstsammlun- 69. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 10). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). 70. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”) (particolare). Londra, The National Gallery. gen’, XV, 1894, pp. 70-80, in part. pp. 72-73; poi in Carl Kusti, Miscellaneen aus drei Jahrhunderten spanischen Kunstlebens, G. Grote’sche Verlagsbuchhandlung, Berlin 1908, II, pp. 151-166 n. XVII, in part. p. 156. 59) CSIC/CCHS, Biblioteca Tomás Navarro Tomás, Catálogo de los monumentos históricos y artísticos de la provincia de Jaén, formado en virtud de la R.O. de 30 de enero de 1913 por don Enrique Romero de Torres, Texto, Tomo 1, p. 562 (con il rinvio impreciso alla foto 326), e Fotografías, Tomo 7, p. 209, foto n. 327. Il Catálogo Monumental de España è adesso ottimamente disponibile in rete: http://biblioteca.cchs.csic.es/digitalizacion_tnt/index. html. L’allusione di Romero de Torres ad “algún escritor” è sciolta in favore di Alfredo Cazabán Laguna (che non ho consultato) da Arsenio Moreno Mendoza, Úbeda renacentista, Electa España, Madrid 1993, p. 46 e nota 42 (p. 64). 60) M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en España cit., pp. 189-192 e tav. I tra le pp. 196-197 (di contro al resto, pp. 192-197 e tavv. II-IV). Contemporaneamente all’uscita nell’‘Archivo español de arte y arqueología’, Gómez-Moreno stralciò le pagine sul ‘San Giovannino’ per pubblicarle senza modifiche, con il titolo Obras de Miguel Ángel en España. El San Juanito de El Salvador de Úbeda, nel periodico locale ‘Don Lope de Sosa: cronica mensual de la provincia de Jaén’, XVIII, 1930, pp. 227-230. 61) Cfr Manuel Gómez-Moreno, La escultura del [Saggi] 61 71. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 10). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). Renacimiento en España, Gustavo Gili, Barcelona [1931], opera che ebbe peraltro una coedizione inglese e tedesca (M. G.-M., Renaissance sculpture in Spain, Pantheon - Casa Editrice, Firenze 1931, pp. 9-10 e tav. 9; e M. G.-M., Die Plastik der Renaissance in Spanien, Schmidt & Günther, Leipzig 1932); e Idem, Las águilas del Renacimiento español: Bartolomé Ordóñez, Diego Silóee, Pedro Machuca, Alonso Berruguete, 1517-1558, Consejo Superior de Investigaciones Científicas - Instituto Diego Velázquez, Madrid 1941, p. 46. Queste due voci mancano dalla bibliografia sistematica su Michelangelo per gli anni 1927-1970 raccolta da L. Dussler, Michelangelo-Bibliographie cit. Gómez-Moreno vi è presente solo (p. 108 nn. 959-960) per l’articolo del 1930 e per quello del 1933 da me citato nella prossima nota. Che cosa pensasse Dussler del ‘San Giovannino’ l’ho già detto sopra, testo e nota 53. 62) Manuel Gómez-Moreno, El Crucifijo de Miguel Ángel, nell’‘Archivo español de arte y arqueología’, IX, 1933, pp. 81-84. 63) M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en España cit., pp. 191-192. 64) La cronaca più circostanziata del fatto si trova in una relazione inedita di cinque pagine dattiloscritte licenziata il 26 giugno 1939 da un erudito locale, Miguel Campos Ruiz (La sacra-capilla del Salvador de Úbeda, relicario de fe, archivo de historia y museo de arte, asaltada y profanada por las hordas marxistas el año 1936), e conservata negli archivi della Fundación Casa Ducal de Medinaceli, proprietaria del ‘San Giovannino’ (come ricorderò anche tra poco). Il documento mi è stato gentilmente trasmesso da Juan Manuel Albendea Solís, direttore generale della fondazione. 62 [Saggi] 65) Cfr più avanti, testo e note 67-68, 73-74 e soprattutto 79. 66) Cfr, oltre, nota 79. 67) Ars Hispaniae. Historia universal del arte hispánico, Editorial Plus-Ultra, Madrid, XIII, J[osé] M[aria] Azcárate, Escultura del siglo XVI, 1958, p. 29 fig. 13. Alle pp. 24-25 è il commento dell’autore, che riferisce con rispetto ma senza impegno l’attribuzione di Gómez-Moreno. 68) Andrée de Bosque, Artistes italiens en Espagne du XIVme siècle aux Rois Catholiques, Editions du Temps, Paris 1965, pp. 377-378 e note 1-11 (p. 384), 381 figg. (senza numeri). 69) George Haydn Huntley, Andrea Sansovino, sculptor and architect of the Italian Renaissance, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1935. Alle pp. VII-VIII del “Preface”, datato 1° giugno 1934, l’autore scrive: “The reader will find in Chapter II the statement of an intensive and arduous investigation of Portugese and Spanish art in search of works by, or under the influence of, Sansovino. That the results of this search have been so negative I deeply regret, but such an investigation was a necessary prelude to any comprehensive study of the artist’s life”. 70) KHIF, Fototeca, nn. 81476a e 81476b (in coppia su un cartone unico), 81477 (da sola), 81478a e 81478b (in coppia). 71) Friedrich Kriegbaum, Entwicklungsgrundzüge der Florentiner Plastik des 16. Jahrhunderts bis zum Tode Michelangelos (Studien zum Problem der Michelangelo-Schule und -Nachahmung), Habilitationsschrift, 1932 (cfr anche oltre, nota 77). 72) KHIF, Fototeca, nn. 84639a e 84639b (in coppia su un cartone unico), 84640a e 84640b (in coppia), 84641a e 84641b (in coppia). 73) A. de Bosque, Artistes italiens en Espagne cit., p. 493. Forse per una svista l’autrice attribuisce la referenza “Úbeda, Ventura” anche alla foto d’insieme già usata da Gómez-Moreno, che in realtà sem- 72. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino’ (1503-05) (particolare). Bruges, Notre-Dame (Vrouwekerk). bra avere un’origine diversa: oltre, testo e nota 79. A complicare un po’ il quadro della situazione, sul cartone fotografico n. 84641b del KHIF, in corrispondenza dell’immagine da me utilizzata come fig. 17, è vergata a matita l’indicazione “Photo Dr. Schlunk”, che rinvia indubitabilmente a Helmut Schlunk (1906-1982), fondatore del Deutsches Archäeologisches Institut di Madrid nel 1943, e suo direttore sino al 1971. Ma la fototeca del DAINST madrileno, pur conservando fotografie realizzate da quel benemerito studioso tedesco-spagnolo, non sembra possederne nessuna del ‘San Giovannino’ ubetense. 74) A. Moreno Mendoza, Úbeda renacentista cit., pp. 48 (insieme) e 49 (dettaglio estratto dall’immagine precedente). La stessa figura, intera o ridotta ai dettagli, ricorre in Idem, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel. Memoria para una posible intervención restauradora, in IV Congreso sobre Humanismo y Renacimiento. Seminario sobre Iconología y simbolismo en el Siglo de Oro, Úbeda, 15-19 de mayo de 1995, José Latorre García y Joaquín Montes Bardo (eds.), Universidad Nacional de Educación a Distancia - Centro Asociado “Andrés de Vandelvira”, Jaén 1998, pp. 53-69 (pp. 59, 60, 62 e 66, con ripetuti errori di resa in controparte o capovolta). 75) KHIF, Fototeca, n. 84641. 76) KHIF, Fototeca, nn. 81476 e 81478. 77) Nell’archivio storico del KHIF si conserva un “Nachlass Kriegbaum”, composto attualmente di sei cassette e sei cartelle, nelle quali dominano i materiali connessi con la tesi di abilitazione dello studioso (sopra, nota 71). Fra di essi non ho trovato nulla sulla statua di Úbeda, se non qualche appunto telegrafico tratto dall’articolo di Gómez-Moreno del 1930. 78) L’intervento, commissionato in particolare dal 73. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. Duca e dalla Duchessa di Segorbe quando l’OPD era sotto la guida di Giorgio Bonsanti, e svolto da Paola Lorenzi, Franca Sorella e Marta Gómez Ubierna con la direzione di Maria Cristina Improta, dovrebbe concludersi nei prossimi mesi. Una primissima cronaca di tale impresa si trova presso A. Moreno Mendoza, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel. Memoria para una posible intervención restauradora cit., con la riproduzione di quattro frammenti alle pp. 54, 55, 58 e 65 (alcuni in controparte, per errore). 79) – Barcelona, Fundació Institut Amatller d’Art Hispànic (Arxiu Mas), C-43870 (= Z-7751), foto scattata nel 1924: mia fig. 4; J.M. Azcárate, Escultura del siglo XVI cit., p. 29 fig. 13; José Camón Aznar, Miguel Ángel, Espasa-Calpe, S.A., Madrid 1975, p. 179; Arsenio Moreno, Francisco de los Cobos, mecenas de las artes, in Francisco de los Cobos y su época, catalogo della mostra (Centro Asociado de la Provinca de Jaén de la UNED “Andrés de Vandelvira”), a cura di Arsenio Moreno, Societad Editorial Electa España, Madrid 1997, pp. 24-39 (p. 32); Idem, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., p. 57. – CSIC/CCHS, Colección General de Escultura, r.21.334: fig. 6. – CSIC/CCHS, CGdE, r.21.335: fig. 2. – CSIC/CCHS, CGdE, r.97.206 (altro esemplare: Fondo Gómez-Moreno - Orueta, 18_1950): fig. 1. Dal medesimo cliché è tratta la stampa di dettaglio CSIC/CCHS, CGdE, r.55.894: fig. 14. – CSIC/CCHS, CGdE, r.88.122 (altri tre esemplari: CGdE, r.19.035; GMO 18_1948; GMO 18_1949). Ritrovo sparse copie cartacee di questa immagine in altre fototeche storiche spagnole: p.e., l’Archivo Moreno, cioè il fondo dei fotografi Mariano Moreno García (1865-1925) e Vicente Moreno Díaz (1894-1954), padre e figlio, entro la Fototeca del Patrimonio Histórico del Ministerio de Educación, Cultura y Deporte (n. inv. 02268_A); oppure la Fototeca della Universidad de Sevilla, Laboratorio de Arte (immagine senza numero): fig. 13; M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en España cit., tav. I; Idem, La escultura del Renacimiento en España cit., tav. 9; Idem, Renaissance sculpture in Spain cit., tav. 9; Idem., Die Plastik der Renaissance in Spanien cit., tav. 9; C. de Tolnay, The Youth of Michelangelo cit., ed. 1947 cit., fig. 164b; Idem, Michelangiolo, Del Turco editore, Firenze 1951, fig. 348; Idem, Michel-Ange, Éditions Pierre Tisné, Paris 1951, fig. 348; F. de’ Maffei, Michelangelo’s lost St. John cit., tav. 3; A. de Bosque, Artistes italiens en Espagne cit., p. 381; Charles de Tolnay, Michelangelo sculptor, painter, architect, Princeton University Press, Princeton 1975, fig. 361; J.V. Lombardo, Michelangelo: new discoveries cit., fig. 2; Charles de Tolnay, Miguel Ángel escultor, pintor y arquitecto, Alianza Editorial, Madrid 1985, fig. 361; A. Moreno Mendoza, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., pp. 56 e 61 (insieme e dettaglio della testa, stampati in controparte per errore). Del- 74. Michelangelo (e anonimo continuatore dei primi decenni del Seicento): ‘Cristo redentore’ (1514-16) (particolare). Bassano Romano, San Vincenzo Martire. la monografia di Tolnay esiste anche un’edizione giapponese del 1978 (sempre con la stessa foto), che non sto a citare precisamente. – KHIF 81476a (Huntley): fig. 3. – KHIF 81476b (Huntley): fig. 10. – KHIF 81477 (Huntley): fig. 15. – KHIF 81478a (Huntley): fig. 5; Giovinezza di Michelangelo, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Vecchio, Sala d’Arme, e Casa Buonarroti, 6 ottobre 1999 - 9 gennaio 2000), a cura di Kathleen WeilGarris Brandt, Cristina Acidini Luchinat, James David Draper, Nicholas Penny, ArtificioSkira, Firenze-Ginevra-Milano 1999, p. 339. – KHIF 81478b (Huntley): fig. 9. – KHIF 84639a (Ventura/Kriegbaum): fig. 8; A. Moreno Mendoza, Úbeda renacentista cit., pp. 48 e 49; Idem, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., pp. 59, 60 (foto in controparte), 62 (foto in controparte) e 66 (foto capovolta). – KHIF 84639b (Ventura/Kriegbaum): fig. 7. – KHIF 84640a (Ventura/Kriegbaum): fig. 12. – KHIF 84640b (Ventura/Kriegbaum): fig. 11. – KHIF 84641a (Ventura/Kriegbaum): fig. 16; A. de Bosque, Artistes italiens en Espagne cit., p. 381. – KHIF 84641b (Ventura/Kriegbaum): fig. 17; A. [Saggi] 63 75. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 11). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). de Bosque, Artistes italiens en Espagne cit., p. 381. 80) La rottura del collo e dell’indice destro è rilevata già presso M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en España cit., p. 190, che dice i due pezzi anche “pegados”, facendo dunque pensare che la foto con il dito restaurato sia del 1930 o di subito prima: ma le foto di Huntley, che dovrebbero essere posteriori sia pur di poco all’articolo di 64 [Saggi] Gómez-Moreno, mostrano la lacuna del dito, esattamente come quella dell’Arxiu Mas, che è del 1924 (sopra, nota 79). Non è chiaro, inoltre, se l’indice visibile nella foto di Gómez-Moreno fosse ancora quello originario (come sembrava ritenere lo stesso studioso, seguito da A. Moreno Mendoza, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., p. 54), e non fosse invece già del tutto rifatto (come induce decisamente a credere il foro alla radice del dito, praticato per inserirvi un pernio metallico di giunzione, e osservabile soprattutto nella mia fig. 17). 81) La medesima soluzione “Michelangelo zugeschr.” era stata adottata da Middeldorf per il preteso ‘San Giovannino’ di Berlino, presente al KHIF, nelle cartelle michelangiolesche, attraverso un’importante campagna di undici fotografie, tuttavia reperibili anche presso altre istituzioni e ditte: 10886 (Alinari 2442, ex 12301), 12306 (Alinari 2443, ex 9465), 60066 (Schwarz, Berlino), 64334-64340 (Schwarz), 64403 (Schwarz). Solo il cartone 12306 porta segnato, di altra mano, “Pieratti?”. 82) U. Middeldorf, Letter to the Editor cit. 83) C. de Tolnay, The Youth of Michelangelo cit., edd. 1943 e 1947 citt., figg. 256-259 (esemplare Morgan), 260-263 (esemplare di Berlino). 84) C. de Tolnay, The Youth of Michelangelo cit., ed. 1947 cit., p. 200 e fig. 164b. 85) Sopra, nota 79. Un’eco dell’atteggiamento di Tolnay, rimasto evidentemente ben saldo nella memoria degli studiosi statunitensi, la dà la scheda dedicata nel 1999 alla “Madonna di Manchester” da Kathleen Weil-Garris Brandt all’interno del catalogo della mostra Giovinezza di Michelangelo cit., pp. 334-341 n. 46. Discutendo del San Giovannino inserito nella pala di Michelangelo oggi a Londra (mia fig. 84), la studiosa riprende l’idea – largamente diffusa nella storiografia novecentesca anche per merito dello stesso Tolnay – che esso potesse essere molto vicino al ‘San Giovannino’ marmoreo, perduto, del maestro. A quest’ultimo proposito, pur senza mai citarla nella scheda, la studiosa riproduce a p. 339 la statua di Úbeda (cfr sopra, nota 79), attribuendola in didascalia all’“ambito michelangiolesco”. 86) Ulrich Middeldorf, recensione di H. Kauffmann, Donatello cit., in ‘The Art Bulletin’, XVIII, 1936, pp. 570-585 (p. 582), poi in U. Middeldorf, Raccolta di Scritti cit., I cit., pp. 229-262 (p. 252); Idem, Sangallo, Francesco da, gen. Il Margotta, in Ulrich Thieme, Felix Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, E.A. Seemann, Leipzig, XXIX, 1935, pp. 404-406 (p. 405); Ulrich Middeldorf, Portraits by Francesco da Sangallo, in ‘The Art Quarterly’, I, 1938, pp. 109-138 (p. 134 e note 29-30 [p. 137]), poi in U. Middeldorf, Raccolta di Scritti cit., I cit., pp. 305-327 e figg. 197-210 (p. 324 e note 29-30). 87) La completa dissociazione dalla proposta di Parronchi è abilmente rivelata da Ulrich Middeldorf, The Crucifixes of Taddeo Curradi, in ‘The Burlington Magazine’, CXX, 1978, pp. 806-810 (in part. pp. 809 nota 20, 810 nota 41): un articolo, questo, che, malgrado il titolo surrettizio, è tutto sul ‘Crocifisso’ di Santo Spirito. 88) Tutte le foto dell’opera possedute dal KHIF sono oggi collocate tra gli anonimi, dopo essere state prima sotto Francesco da Sangallo e poi sotto Michelangelo. L’intero fascicolo, intestato adesso a un ignoto del ’500, era prima segnato così, per mano di Middeldorf: “Michelangelo??? / Bargello / S. Giovanni”. Su sei immagini all’interno rimane traccia della precedente attribuzione autografa di Middeldorf a “Franc. Sangallo” (26252, 58124, 6517865181). Su un’altra foto, Middeldorf ha cancellato un’attribuzione originaria a “Francesco Sangallo” vergata da qualche suo collega, e ha scritto il nome di Michelangelo, ma tra virgolette assai eloquenti (106179). Su tre foto successive è stata posta (da Irene Hueck) un’attribuzione iniziale a Michelangelo, nel frattempo cassata, ma subito spiegabile col fatto che quest’ultime immagini sono un dono di Parronchi (207969, 207970, 207971). 89) Margrit Lisner, Holzkruzifixe in Florenz und in der Toskana von der Zeit um 1300 bis zum frühen Cinquecento, Kunsthistorisches Institut in Florenz – Bruckmann, München 1970, p. 114 e nota 25 (p. 119). 90) A. Parronchi, Donatello e Michelangelo cit., p. 14 nota 36. Per l’intreccio con la vertenza sul ‘Crocifisso’ di Santo Spirito cfr in part. Idem, Michelangelo e Taddeo Curradi (1979), in Idem, Opere giovanili di Michelangelo cit., III, Miscellanea michelangiolesca, MCMLXXXI, pp. 39-45, e poi il testo del 2003 ivi, VI cit., pp. 97-98, dove Parronchi, nel ricordare ancora una volta l’appoggio di Middeldorf alle sue proposte, accampa perfino quello orale di Giorgio Morandi e di Roberto Longhi per il ‘San Giovanni gradivo’ sangallesco come opera di Michelangelo. 91) Cfr p.e. María Elena Gomez-Moreno, Breve historia de la escultura española, Blass, S.A., Madrid 1935, p. 55 (senza ill.), e Segunda edición, refundida y ampliada, Editorial Dossat, S.A., Madrid 1951, p. 77 (senza ill.); J.M. Azcárate, Escultura del siglo XVI cit., pp. 24-25 e 29 fig. 13 (sopra, nota 67); Juan Pasquau, Cobos, secretario del Emperador, nel ‘Boletín del Instituto de Estudios Giennenses’, 17, 1958, pp. 143-148 (p. 146, senza ill.); Summa artis: historia general del arte, dirigida por José Pijoán, Espasa-Calpe, S.A., Madrid, XVIII, José Camón Aznar, La escultura y la rejería españolas del siglo XVI, 1961, 5ª ed., 1986, p. 307, e 9ª ed., 1998, p. 307, senza ill. (dubbioso); J. Camón Aznar, Miguel Ángel cit., pp. 179 (fig.), 180 e note 15-16 (non più dubbioso, ma assai confuso nel mantenere a Michelangelo, con una datazione “hacia 1493”, anche il “San Juan Bautista en Pisa” – evidentemente quello già a Berlino – e nel rilanciare la notizia del ‘Battista’ Girardon); Santiago Sebastián López, Interpretación iconológica de El Salvador de Úbeda, nel ‘Boletín del Seminario de Estudios de Arte y Arqueología. Universidad de Valladolid, Facultad de Filosofía y Letras’, XLIII, 1977, pp. 189-202 (p. 189, senza ill.); Fernando Checa, Pintura y escultura del Renacimiento en España, 1450-1600, Ediciones Cátedra, S.A., Madrid 1983, p. 215 (senza ill.), e 4ª ed., 1999, p. 215 (senza ill.); Fernando Chueca [Goitia], Andrés de Vandelvira, arquitecto, nell’Homenaje a Julián Marías, comisión organizadora: Fernando Chueca Goitia, Enrique Lafuente Ferrari, Rafael Lapesa Melgar, Manuel de Terán Álvarez, Espasa Calpe, S.A., Madrid 1984, pp. 189-196 (p. 194); Margarita M. Estella Marcos, La escultura barroca de marfil en España: las escuelas europeas y las coloniales, Consejo Superior de Investigaciones Científicas - Instituto Diego Velázquez, Madrid 1984, I, p. 144 (senza ill.); A. Moreno Mendoza, Úbeda renacentista cit., pp. 45-48 e note 37-49 (p. 64), con due figg. a pp. 48 e 49; Idem, Francisco de los Cobos, mecenas de las artes cit., pp. 32 (ill.), 36-38 e note 49-65 (p. 39); Mari-Tere Álvarez Oller, Francisco de los Cobos: su gusto y mecenazgo, in Francisco de los Cobos y su época cit., pp. 40-47 (pp. 40, 42, 44 e note 26-30 [p. 47]: “erróneamente attribuido a Miguel Ángel por Gómez-Moreno”); A. Moreno Mendoza, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit.; José Manuel Almansa Moreno, Escultura y escultores en la Úbeda del siglo XVI, in Úbeda en el siglo XVI, director Arsenio Moreno Mendoza, coordinador José Manuel Almansa Moreno, Fundación Renacimiento - Editora y Distribuidora El Olivo S.L.L., Úbeda 2002, pp. 471-504 (p. 486, senza ill.). 92) Per questa bibliografia si veda oltre, testo e note 145-147. 93) C. de Tolnay, The Youth of Michelangelo cit., ed. 1943 cit., p. 199; M. Weinberger, rec. del precedente, cit., pp. 71-72 e note 11-15; C. de Tolnay, Notes Concerning The Youth of Michelangelo: A Reply cit., p. 142 n. 3; e poi ancora Idem, The Youth of Michelangelo cit., ed. 1947 cit., p. 199. La critica di Weinberger a Tolnay non riguardava il significato di “Giovannino”, ma il fatto che Tolnay avesse cercato riflessi dell’opera michelangiolesca perduta in troppe statue e disegni non conciliabili tra loro, sia nelle pose, sia perché rappresentavano a volte dei bambini e altre dei giovani. Ancora vent’anni dopo, Tolnay ripeteva che “the name Giovannino can be applied to St. John as an infant or as a youth” (Charles de Tolnay, Michelangelo Buonarroti, nella Encyclopedia of World Art, McGraw-Hill Book Company, Inc., New York et alibi, IX, 1964, coll. 862-914: col. 870). 94) È sufficiente il rinvio a www.memofonte.it e alla sua larga messe di materiali (non solo biografie, storie e trattati, ma anche guide, carteggi, ricordanze, inventari). 76. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino e San Giovannino’ (Tondo Taddei) (1504 circa) (particolare). Londra, Royal Academy of Arts. 95) G. Vasari, La Vita di Michelangelo cit., I, p. 15: Idem, Le Vite cit., VI cit., p. 14; Il Riposo di Raffaello Borghini cit., p. 512. 96) G. Vasari, Le Vite cit., III, Sansoni editore, MDCCCCLXXI, p. 230 (Giuntina, I, p. 339); Il Riposo di Raffaello Borghini cit., p. 323. 97) G. Vasari, Le Vite cit., III cit., p. 213 (Torrentiniana, p. 342; Giuntina, I, p. 331); Il Riposo di Raffaello Borghini cit., p. 320. A causa della ripetuta comparsa del ‘San Giovanni’ Martelli al centro de- gli apparati per i battesimi cinquecenteschi dei principi medicei nel Battistero fiorentino, Vasari ha modo di tornare sopra di esso nella Vita del Tribolo, a proposito del battesimo del futuro granduca Francesco I nel 1541 (“il San Giovan Battista di marmo alto braccia tre, di mano di Donatello, che fu lasciato da lui nelle case di Gismondo Martelli”: Le Vite cit., V, S.P.E.S., MDCCCCLXXXIV, p. 220, dalla Giuntina, II, p. 411); e poi ancora, lodandolo come “una bellissima statua di marmo di San Giovanni Battista, alta circa tre braccia, di mano di Donatello, eccellentissimo scultore, la quale si è havu- [Saggi] 65 77. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 16). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). ta di casa i Martelli”, nella Descrizione dell’apparato fatto nel tempio di San Giovanni di Fiorenza per lo battesimo della signora [Leonora] prima figliuola dell’illustrissimo et eccellentissimo signor principe di Fiorenza et Siena don Francesco Medici e della serenissima reina Giavanna [sic] d’Austria, In Fiorenza, appresso i Giunti, 1568, p. 3 (ora anche in rete, a cura di Charles Davis, 2008: http://archiv.ub.uni-heidelberg.de/artdok/volltexte/ 2008/425/). Cfr anche oltre, testo e nota 141. 98) G. Vasari, Le Vite cit., III cit., p. 525 (Torrentiniana, p. 506; Giuntina, I, pp. 476-477); Il Riposo di Raffaello Borghini cit., p. 353. 99) Francesco Bocchi, Le bellezze della città di Fiorenza, dove a pieno di pittura, di scultura, di sacri tempii, di palazzi i più notabili artifizii et più preziosi si contengono, s.e., In Fiorenza MDXCI, pp. 10-11 e 41. 100) Cornelio de Fabriczy, Il Libro di Antonio Billi e le sue copie nella Biblioteca Nazionale di Firenze, nell’‘Archivio storico italiano’, s. V, VII, 1891, pp. 299-368 (pp. 321 e 366), e anche in estratto, Coi tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana, Firenze 1891, pp. 25 e 70; Il libro di Antonio Billi esistente in due copie nella Biblioteca Nazionale di Firenze, herausgegeben von Carl Frey, G. Grote’sche Verlagsbuchhandlung, Berlin 1892, pp. 42 e 43. 101) Carl Frey, Il Codice Magliabechiano cl. XVII.17 [...], herausgegeben und mit einem Abrisse über die florentinische Kunsthistoriographie bis auf G. Vasari versehen, G. Grote’sche Verlagsbuchhandlung, Berlin 1892, p. 77; Cornelio de Fabriczy, Il codice dell’Anonimo Gaddiano (cod. Magliabe- 66 [Saggi] chiano XVII, 17) nella Biblioteca Nazionale di Firenze, nell’‘Archivio Storico Italiano’, s. V, XII, 1893, pp. 15-94 (p. 66), e anche in estratto, Coi tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana, Firenze 1893, p. 54. 102) Venti vite d’artisti di Giovanni Battista Gelli, a cura di Girolamo Mancini, nell’‘Archivio storico italiano’, s. V, XVII, 1896, pp. 32-62 (p. 59), e anche in estratto, Coi tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana, Firenze 1896, p. 40. Si veda inoltre il rimaneggiamento anonimo cinquecentesco del Memoriale di Francesco Albertini (1510) nella Biblioteca Angelica di Roma, reso noto da Enzo Bentivoglio, Un manoscritto inedito connesso al “Memoriale di molte statue et picture” di Francesco Albertini, nelle ‘Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz’, XXIV, 1980, pp. 345-356: “In chasa de’ Martelli è uno Santo Giovanni di marmo di Donatello” (p. 351). 103) F. Bocchi, Le bellezze della città di Fiorenza cit., p. [XII]. 104) Su questo maestro, identificato negli ultimi tempi, alternativamente, con il giovane Jacopo Sansovino e da me con il giovane Benedetto da Rovezzano, mi permetto di rinviare a due mie voci recenti, nelle quali si trovano prove ulteriori a favore del secondo: Benedetto da Rovezzano in England: new light on the Cardinal Wolsey-Henry VIII tomb, in The Anglo-Florentine Renaissance: art for the early Tudors, edited by Cinzia M. Sicca Bursill-Hall and Louis A. Waldman, The Yale Center for British Art / The Paul Mellon Centre for Studies in British Art – Yale University Press (Studies in British Art 22), New Haven - London 2012, pp. 177-202; e Benedetto di Bartolomeo Grazzini, dit Benedetto da Rovezzano […], Saint Jean-Baptiste […], vers 15001510, in Galerie Charles Ratton & Guy Ladrière. D’Agostino di Duccio à Caffieri: du 12 au 22 septembre 2012 […], Galerie Charles Ratton & Guy Ladrière, Paris 2012, pp. 22-27. 78. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. 105) Il libro delle ricordanze di Giorgio Vasari, a cura di Alessandro Del Vita, Dalla Casa Vasari, Arezzo 1927 (ma di fatto: Edizioni della Casa Vasari, Arezzo 1929), p. 100. Il dipinto sembra disperso. 106) Da tale rassegna sintetica ma ben rappresentativa del Quattrocento fiorentino escludo la statua in terracotta del ‘San Giovannino’ infante e gradivo al Bargello, tradizionalmente attribuita a Michelozzo (fig. 41): e non solo perché non è di marmo, ma perché, a mio avviso, non ha nulla a che vedere con Michelozzo, mentre spetta a un maestro fiorentino di quasi un secolo dopo, nel primissimo Cinquecento. Il riferimento a Michelozzo scaturisce da un curioso equivoco storiografico e topografico a catena, schematizzabile nei seguenti passaggi: 1) da Vasari fino al primo Ottocento il ‘San Giovannino’ marmoreo di Rossellino nella lunetta della porta – sempre marmorea – di San Giovanni (realizzata con esso nel 1477) fu preso erroneamente per Michelozzo (sopra, testo e nota 96); 2) nel 1824 la statua (alta cm 90 circa) fu portata agli Uffizi, e sostituita non molto dopo con il ‘San Giovannino’ fittile (alto cm 70 circa), di cui nulla è noto prima di quella data; 3) a metà Ottocento furono riscoperti i documenti del 1477 che restituivano la figura marmorea a Rossellino; 4) l’attribuzione di Vasari a Michelozzo fu dunque presto adattata all’esemplare fittile allora nella lunetta dell’Opera, sia da parte degli studiosi meno avvertiti (che avevano già dimenticato l’antica presenza del Rossellino in quel luogo), sia da parte di coloro che volevano in qualche modo spiegarsi la svista vasariana. Verso lo scadere dell’Ottocento anche l’esemplare fittile passò al Bargello, e fu rimpiazzato nella lunetta, fino a oggi, da una copia moderna (laddove avrebbe avuto ben più senso una copia del Rossellino in marmo). Conosco una versione marmorea inedita del ‘San Giovannino’ fittile, attualmente sul mercato antiquario parigino, che è tagliata ab antiquo subito al di sotto del bacino, e che ha tutta l’aria di appartenere al medesimo autore della terracotta. Una replica fittile coeva dell’intera figura, eseguita liberamente ma debolmente, con le due varianti del cartiglio più lungo e svolazzante, e di una valva di conchiglia per battezzare appesa alla cintola, si trovava poco meno di un secolo fa nella collezione di Percy ed Edith Straus a New York (e la conosco da una fotografia del fondo Leo Planiscig nella fototeca storica del Museo Nazionale del Bargello). Nel 1944 la raccolta fu donata al Museum of Fine Arts di Houston, dove si trova tuttora (il ‘San Giovannino’ con il n. inv. 44-590): cfr il Catalogue of the Edith A. and Percy S. Straus Collection, Museum of Fine Arts of Houston, Museum of Fine Arts, Houston 1945 (p. 32 per il ‘San Giovannino’, alto 20 pollici e tre quarti, cioè cm 52,7, e attribuito, prevedibilmente, a Michelozzo). 107) Per orientarsi nell’iconografia specialmente fiorentina di San Giovannino sono sempre utili i saggi di apertura di Marilyn Aronberg Lavin, Giovannino Battista: a study in Renaissance religious symbolism, in ‘The Art Bulletin’, XXXVII, 1955, pp. 85-101, e Giovannino Battista: a supplement, ivi, XLIII, 1961, pp. 319-326. A essi si aggiunge ora (limitatamente ai busti scolpiti) Linda Pisani, San Giovannino Battista nei busti del Rinascimento fiorentino cit. Quest’ultima autrice si pone il quesito dell’età dei soggetti rappresentati (p. 117 e note), ma conclude curiosamente che essa “varia all’incirca dai sette ai quattordici anni” (secondo il concetto classicamente ampio di pueritia messo a punto da Isidoro di Siviglia “e ripreso da Matteo Palmieri e da altri umanisti”), laddove la grande maggioranza delle opere da lei discusse e riprodotte si tiene al di sotto dei sette anni, cioè nell’infanzia più stretta. 108) Sulla dipendenza immediata del ‘San Giovannino’ Morgan da quello Martelli insisté fin da subito W.R. Valentiner, Michelangelo’s lost “Giovannino” cit., in modo quasi sillogistico, per mostrare che una simile fedeltà donatelliana non poteva che essere del giovane Michelangelo, mentre gli pareva estranea a Rustici (già proposto da Middeldorf come artefice dell’opera), poiché la sua formazione sarebbe stata tutta tra Verrocchio e Leonardo. La consapevolezza di quanto anche il ‘San Giovannino’ di Benedetto da Maiano debba al Donatello Martelli emerge – almeno nella bibliografia michelangiolesca e cinquecentesca – soltanto con C. de Tolnay, The Youth of Michelangelo cit., edd. 1943 e 1947 citt., p. 200 e figg. 163-164. Dopo di allora la maturazione degli studi su Rustici ha permesso non solo di consolidare la restituzione middeldorfiana del ‘San Giovannino’ Morgan, ma anche di mostrare che qui il debito di Rustici verso Donatello passa attraverso Benedetto da Maiano, figura-chiave nella formazione di Rustici almeno come maestro del marmo. La sequenza Martelli - Palazzo Vecchio - Morgan non ha dunque soluzione di continuità. Si veda in part. P. Sénéchal, Giovan Francesco Rustici cit., pp. 31-33 e figg. 17-20. 109) Osservazioni in parte complementari alle mie sui contatti tra il ‘San Giovanni’ rovezzanesco e il modello Martelli si leggono in G. de Simone, Benedetto da Rovezzano […], San Giovanni Battista fanciullo […], Roma cit., p. 242 e fig. a. 110) Così già, finemente, M. Aronberg Lavin, Giovannino Battista: a supplement cit., p. 98 nota 80 e fig. 25. Per i riscontri figurativi: Eadem, Giovannino Battista: a study cit., figg. 6-8. Per una trattazione sull’opera nell’ambito stretto della bibliografia rosselliniana: Erich Charles Apfelstadt, The later sculpture of Antonio Rossellino, Ph.D. Thesis, Princeton University 1987, pp. 314-325 e note, 536-540 figg. 110-118. Il ‘San Giovannino’ fittile del Bargello attribuito comunemente ed erroneamente a Michelozzo (fig. 41; sopra, nota 106) riprende in modo libero il marmo di Rossellino, ma ad una data che rischia di essere ormai successiva al 79. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. ‘San Giovannino’ di Michelangelo per i Medici. 111) Una pianticella analoga avvolge più tardi il tronco su cui siede il bellissimo ‘Battista’ di Jacopo Sansovino ai Frari di Venezia (1535 circa). Ma ben più notevole di tale ripresa è, per il motivo del tralcio, il modello pre-michelangiolesco del ‘Battista’ di Niccolò dell’Arca (fig. 86), su cui cfr oltre, nota 113. 112) Per la prima versione del ‘Cristo’ della Minerva, notoriamente abbandonata dal maestro, quindi completata nel primo Seicento, e riscoperta nel 2000 da Irene Baldriga a Bassano Romano, si vedano in part. Irene Baldriga, The first version of Michelangelo’s Christ for S. Maria sopra Minerva, in ‘The Burlington Magazine’, CXLII, 2000, pp. 740745; Silvia Danesi Squarzina, The Bassano ‘Christ the Redeemer’ in the Giustiniani collection, ivi, pp. 746-751; e Irene Baldriga, Michelangelo Buonarroti […], Cristo risorto […], Bassano Romano, chiesa di San Vincenzo Martire […], ne Il primato dei toscani nelle Vite del Vasari, catalogo della mostra (Arezzo, Basilica Inferiore di San Francesco, 3 settembre 2011 - 9 gennaio 2012), a cura di Paola Refice, Edifir, Firenze 2011, pp. 424-429. 113) Nella versione marmorea di questi risvolti di pelle, è come se l’autore conoscesse il ‘Battista’ di Niccolò dell’Arca (fig. 86) donato poi da Filippo II di Spagna (1586) all’Escorial, dove si trova tuttora (Xavier de Salas, The St. John of Niccolò dell’Arca, negli Essays in the History of Art presented to Rudolf Wittkower, edited by Douglas Fraser, Howard Hibbard & Milton J. Levine, Phaidon Press, London 1967, pp. 89-92 e figg. XII.1-XII.3). Il legame tra la statua di Úbeda e quella dell’Escorial è anche, come ho già detto, nel rampicante intorno all’albero (sopra, nota 111). Le più antiche fonti cronistiche bolognesi (De Salas, p. 89 nota 2) attestano che Niccolò, morendo il 2 marzo 1494, lasciò il ‘Battista’, perfettamente compiuto, ai suoi due figli perché lo vendessero, e che esso passò poco dopo in Spagna con un guadagno assai cospicuo. Nulla di più facile, dunque, che Michelangelo, successore di Niccolò per l’Arca di San Domenico tra il 1494 e il 1495, ammirasse di lui anche il ‘Battista’ poco prima della partenza per la Spagna, ricordandosene appena poco dopo nel ‘San Giovannino’. 114) Malgrado il rifiuto recente da parte di M. Hirst, Michelangelo. I. The achievement of fame cit., p. 12 e nota 52 (p. 272), sono sempre più convinto, insieme a Margrit Lisner (dal suo primo saggio, Zu Benedetto da Maiano und Michelangelo, nella ‘Zeitschrift für Kunstwissenschaft’, XII, 1958, pp. 141-156, fino all’ultimo, Michelangelos Anfänge: Gedanken zu seinen ersten rundplastischen Arbeiten, nel ‘Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst’, s. III, LII, 2001, pp. 17-58), che solo un tirocinio iniziale presso Benedetto da Maiano possa spiegare il magistero marmoreo di Michelangelo, esattamente come l’apprendistato presso Domenico del Ghirlandaio ne spiega il magistero pittorico. Che Michelangelo scultore abbia dato presto una svolta originalissima e irreversibile alla sua formazione grazie alle proprie doti, agli stimoli di Ca- [Saggi] 67 68 [Saggi] 80. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare, come nella fig. 17). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). 81. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. [Saggi] 69 82. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (particolare tratto dalla fig. 12). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). sa Medici, al Giardino di San Marco, all’imitazione di Bertoldo e di Donatello, all’esperienza dell’antico e all’incontro bolognese con le figure potenti di Jacopo della Quercia e con i marmi miracolosi di Niccolò dell’Arca, è ormai un abbiccì da manuale. Ma se egli non frequentò da garzone la bottega maianesca, vorrebbe dire che riuscì a carpirne i segreti attraverso strade nascoste e infine assai più tortuose e lunghe, tale è la coerenza di trasmissione da quella a lui, e tale la riconoscibilità dei modi tecnici maianeschi ancora in opere come la ‘Pietà’ va- 70 [Saggi] ticana, nonostante la potenza di fuoco inventivo scatenata da Michelangelo. Meglio, dunque, rassegnarsi alla soluzione diretta del rapporto maestroallievo. La renitenza diffusa a riconoscere in Benedetto il primo insegnante di Michelangelo nel marmo sembra nascere, ancora una volta, dal fatto che i più autorevoli studiosi buonarrotiani sono stati fin qui specialisti del Cinquecento. 115) Cfr per tutti Janet Cox-Rearick, The Drawings of Pontormo, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts) 1964: 2ª ed., The Drawings of Pontormo. A Catalogue Raisonné with Notes on the Paintings, Hacker Art Books, New York 1981, I, pp. 34-35, 163-164 n. 101 e nota 8, e II, fig. 100. 116) A. Condivi, Vita di Michelagnolo Buonarroti cit., p. 19. 117) Ivi, p. 17. Questa indicazione sul ‘Cupido’ mi- chelangiolesco è stata trascurata troppe volte da coloro che hanno ricercato l’opera originale, o una sua derivazione, fra decine di ‘Amorini’ dormienti di età compresa fra i pochi mesi e i due-tre anni. È evidente che l’età del ‘Cupido giacente’ michelangiolesco comportava un’eccezione rispetto alla tradizione classica del genere, proprio come il ‘San Giovannino’ fanciullo di Úbeda comporta un’eccezione rispetto alla tradizione statuaria fiorentina dei ‘Santi Giovannini’ infanti o dei ‘Santi Giovanni’ adolescenti e giovinetti. Vari mesi dopo, Michelangelo avrebbe scolpito a Roma, per il banchiere fiorentino Jacopo Galli, un ‘Cupido stante’ appena un po’ più adulto di quello giacente e del ‘San Giovannino’ di Úbeda: oltre, nota 121. 118) Di contro a quel che credeva M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en España cit., pp. 189-190 (seguito da A. Moreno Mendoza, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., p. 53), si può escludere decisamente che la mano destra del ‘San Giovannino’ stringesse in origine “la vara crucífera de costumbre”, poi scomparsa. Questo attributo, di qualunque dimensione fosse stato, avrebbe disturbato l’immagine del tutto inutilmente. Forse, invece, la rottura dell’indice fu procurata da una “vara crucífera” posticcia, inserita con forza quando la statua era ormai da tempo in Spagna, e successivamente caduta. Quanto al cartiglio, destinato ad accogliere in simili casi un testo epigrafico come “Ecce agnus Dei”, si può presumere facilmente che Michelangelo non abbia mai pensato di scrivervi sopra davvero (cfr invece M. Gómez-Moreno, Obras de Miguel Ángel en España cit., p. 190, e A. Moreno Mendoza, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., p. 53). 119) Prim’ancora che nel Tondo Taddei, l’attributo della coppetta, non frequente nell’iconografia del Battista ancora infante o fanciullo, compare presso quel petit maître vicinissimo al giovane Michelangelo che è stato impropriamente ribattezzato ‘Maestro della Madonna di Manchester’, e che ora conserva quest’etichetta pur avendo nel frattempo rinunciato proprio all’opera eponima. Penso naturalmente al tondo della ‘Madonna col Bambino e San Giovannino’ oggi a Vienna, Akademie der Bildenden Künste, riprodotto e discusso fra gli altri da Michael Hirst, The artist in Rome 1496-1501, in Idem, Jill Dunkerton, The young Michelangelo. The artist in Rome 1496-1501 – Michelangelo as a painter on panel [The National Gallery, London, 19 October 1994 - 15 January 1995], National Gallery Publications - Yale University Press, London - New Haven 1994, pp. 13-81 (pp. 38 fig. 24, 39-40 e note 9 e 11 [p. 76]). Per la possibilità che questo anonimo sia in effetti Piero d’Argenta si veda il saggio di Hirst appena ricordato, e poi ancora Giovanni Agosti e Michael Hirst, Michelangelo, Piero d’Argenta and the ‘Stigmatisation of St Francis’, in ‘The Burlington Magazine’, CXXXVIII, 1996, pp. 683-684. 120) Ho ricordato nel paragrafo precedente che la testa si veda rotta alla radice del collo, ma senza ulteriori perdite, già in tutte le foto anteriori al 1936. 121) Finora è rimasto fuori dal discorso il ‘Cupido’ di Casa Galli a Roma, opera intermedia fra il ‘San Giovannino’ e il ‘Bacco’, o concomitante con il ‘Bacco’. Anch’io, seguendo senz’altro Kathleen Weil-Garris Brandt, A marble in Manhattan: the case for Michelangelo, in ‘The Burlington Magazine’, CXXXVIII, 1996, pp. 644-659 (e dissentendo da M. Hirst, Michelangelo. I. The achievement of fame cit., p. 31 e nota 17 [p. 280]), identifico la scultura col marmo poi Borghese e poi Bardini finito nel secolo scorso a New York e conferito in prestito nel 2009 al Metropolitan Museum of Art. Siccome, però, si tratta di un pezzo troppo mutilo e rovinato, che a differenza del ‘San Giovannino’ di Úbeda non ha il vantaggio di buone foto storiche di documentazione integrale, mi vedo costretto a tralasciarlo. Per altra bibliografia essenziale sulla statua Galli: James David Draper, Ango after Michelangelo, in ‘The Burlington Magazine’, CXXXIX, 1997, pp. 398-400; Kathleen Weil-Garris Brandt, More on Michelangelo and the Manhattan Marble, ivi, pp. 400-404; Paul Joannides, Michelangelo’s ‘Cupid’: a correction, ivi, CXLV, 2003, pp. 579580. 122) Si vedano soprattutto M. Hirst, The artist in Rome 1496-1501 cit., in part. pp. 36-46 e note a pp. 75-77 (per il 1497); Nicholas Penny, La ‘Madonna di Manchester’, in Giovinezza di Michelangelo cit., pp. 115-125 (p. 123, per il 1495-96 circa); K. WeilGarris Brandt, scheda 46, ivi, pp. 334-341 (p. 340, per il 1495-96 circa); e M. Hirst, Michelangelo. I. The achievement of fame cit., pp. 37-38, 39 e note 45-46 e 52 (pp. 282 e 283), fig. 8 (propenso, sembra, ad arretrare verso la soluzione di Penny e WeilGarris Brandt). 123) Così Karl Frey nel 1907, Johannes Wilde nel 1932-34 e Wilhelm R. Valentiner nel 1942 (ricordati da P. Barocchi, in G. Vasari, La Vita di Michelangelo nelle redazioni del 1550 e del 1568 cit., II, p. 142), e così ancora K. Weil-Garris Brandt, in Giovinezza di Michelangelo cit., p. 340. Per Frey, che stimava di poter riconoscere la statua (lo ricordo) nell’‘Aristeo’ Venerosi Pesciolini di Berlino (e dunque i suoi argomenti stilistici non contano), l’estensione cronologica serviva anche a dare a Michelangelo più tempo per lavorarvi: un’opzione non necessaria, vista la quantità degli altri suoi lavori assodati nei mesi e anni precedenti. Invece Johannes Wilde, Eine Studie Michelangelos nach der Antike, nelle ‘Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz’, IV, 1932-34, pp. 41-64, partiva dal presupposto sbagliato che il ‘San Giovannino’ – secondo lui perduto – fosse “klein” (ma troppo!), e ipotizzava perciò che esso venisse cominciato come elemento dell’Arca di San Domenico a Bologna (pp. 52-53). La statua di Úbeda è alta circa il doppio dei due ‘Santi protettori’ bolognesi. L’idea di Wilde piacque moltissimo nel 1942 a W.R. Valentiner, Michelangelo’s statuettes of the Piccolomini Altar cit., p. 24 nota 14 (p. 44), perché il ‘San Giovanni Battista’ Morgan, che egli aveva nel frattempo riferito a Michelangelo senza sapere di Wilde, sarebbe stato alto, a sua notizia, proprio come i ‘Santi protettori’: cosa ben falsa, essendoci tra i dieci e i quindici centimetri di dislivello fra il marmo di New York e i due di Bologna (forse è perciò che Valentiner estromise tacitamente queste sue affermazioni dalla ristampa mutata del proprio saggio nel 1950: Michelangelo’s Piccolomini statuettes and the Madonna in Bruges cit.). Kathleen WeilGarris Brandt, infine, muove dall’ipotesi che il ‘San Giovannino’ – perduto anche secondo lei (sopra, nota 85) – fosse assai prossimo al San Giovannino della “Madonna di Manchester”: e siccome i confronti più diretti tra questo dipinto e Michelangelo scultore la studiosa li coglie nell’Arca di San Domenico, ella pone il dipinto a cavallo tra Bologna e Firenze e, con esso, il ‘San Giovannino’ scomparso. 124) Sopra, note 111 e 113. 125) John Shearman, The collections of the younger branch of the Medici, in ‘The Burlington Magazine’, CXVII, 1975, pp. 12-27: pp. 25 n. 33 (inventario del 1498, in copia del 1499) e 27 n. 33 (inventario del 1503). Nello stesso anno di questo contributo ne uscì uno molto prossimo: Webster Smith, On the original location of the ‘Primavera’, in ‘The Art Bulletin’, LVII, 1975, pp. 31-40. Il ‘San Giovannino’ è alle pp. 34 e nota 21, 37 (App. I, n. 4) e 39 (App. II, n. 24). 126) J. Shearman, The collections of the younger branch of the Medici cit., p. 19 e note 53-55. Naturalmente, che il ‘San Giovannino’ sia definito in questi documenti come “San Joambaptista” o “Sancto Giovanni”, senza diminutivo, è cosa più che normale – all’altezza cronologica di cui parliamo – per delle liste di arredi domestici. Si consideri, p.e., com’è descritta nel celebre inventario postumo di Lorenzo il Magnifico (1492) la pala di Filippo Lippi per la cappella del palazzo di Via Lar- 83. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolare). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. ga, oggi a Berlino, nella quale è presente un Precursore coetano di quello di Úbeda: “Una tavola in su detto altare di legname chon cholonne dallato a chanali dipinte a marmo biancho e chapitelli messi d’oro e cornicie et architrave messo d’oro chon uno fregio in ismusso messo d’oro, dipintovi cherubini, e in detta tavola una Nostra Donna che adora il figl[i]uolo ch’ell’à innanzi a’ piedi e uno san Giovanni e uno sancto Bernardo e dicie [sic] Padre cholla cholomba innanzi, di mano di –” (Libro d’inventario dei beni di Lorenzo il Magnifico, a cura di Marco Spallanzani e Giovanna Gaeta Bertelà, Associazione ‘Amici del Bargello’ - S.P.E.S., Firenze 1992, p. 23). Col Cinquecento maturo anche gli in- ventari si lasceranno permeare dalla terminologia degli artisti e dei collezionisti, accogliendo precisioni come quelle sui ‘Santi Giovannini’. 127) La missiva è ne La storia di Girolamo Savonarola e de’ suoi tempi, narrata da Pasquale Villari con l’aiuto di nuovi documenti [1859-61]. Nuova edizione aumentata e corretta dall’autore. Seconda impressione, Successori Le Monnier, Firenze 1898, II, pp. xxix-xxxj, doc. II, lett. 4; e da qui è riproposta in Di Cafaggiolo e d’altre fabbriche di ceramiche in Toscana, secondo studi e documenti in parte raccolti dal comm. Gaetano Milanesi. Commentario storico di Gaetano Guasti, Tipografia di G. Barbèra, Firenze 1902, p. 73 e nota 3, che l’ha resa più direttamente accessibile alla bibliografia artistica. [Saggi] 71 128) L’ipotesi di una partenza definitiva del ‘San Giovannino’ da Firenze nel 1497 piaceva molto a F. de’ Maffei, Michelangelo’s lost St. John cit., p. 35 e nota 72 (p. 40), la quale inseguiva così un filo – evidentemente debolissimo – fino al ritrovamento del ‘San Giovanni’ Tozzi, quatto secoli dopo, nei pressi di Bologna. Pur contestando con risolutezza che il marmo Tozzi fosse di Michelangelo e che vi fosse un nesso tra il Mugello mediceo e quei dintorni di Bologna vagamente evocati dai sostenitori dell’opera, C.A. Isermeyer, Der Giovannino (1495/96) cit., pp. 316-317 e 318, prestò la massima attenzione alla lettera di Somenzi, che invece non può avere nessun interesse per gli studi michelangioleschi. 129) Per una buona ricostruzione della Casa Vecchia e dei suoi arredi è necessario tener presenti tutti insieme, oltre a quelli di Shearman e di Smith (nota 125), i seguenti lavori: Giuseppe Odoardo Corazzini, Il Chiasso del Traditore e la casa di Lorenzino de’ Medici, nella ‘Miscellanea fiorentina di erudizione e storia’, I, 1886, pp. 177-183; Isabelle Hyman, Fifteenth Century Florentine Studies. The Palazzo Medici and a Ledger for the Church of San Lorenzo, Ph.D. Thesis, New York University (1968), Garland Publishing, Inc., New York-London 1977, in part. pp. 46 ss. e note, 237 ss.; Howard Saalman, Philip Mattox, The First Medici Palace, nel ‘Journal of the Society of Architectural Historians’, XLIV, 1985, pp. 329-345; Doris Carl, La Casa Vecchia dei Medici e il suo giardino, ne Il Palazzo Medici Riccardi di Firenze, a cura di Giovanni Cherubini e Giovanni Fanelli, Giunti, Firenze 1990, pp. 38-43; Inventari medicei, 1417-1465: Giovanni di Bicci, Cosimo e Lorenzo di Giovanni, Piero di Cosimo, a cura di Marco Spallanzani, Associazione ‘Amici del Bargello’ - S.P.E.S., Firenze 1996, pp. XIII-XVI e 1-48. 130) Non mi risulta che esistano contributi monografici su queste vertenze (a contrasto con mille sparsi riferimenti nella letteratura medicea moderna). Ma esse sarebbero minuziosamente ricostruibili grazie alla ricca documentazione ancora conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze, soprattutto nel MaP e nelle Carte Strozziane. Dò qualche rimando soltanto sulle azioni dei primi anni trenta del Cinquecento tra i giovani Cosimo e Lorenzino (con suo fratello Giuliano), peraltro limitandomi alle carte contabili e giudiziarie (cioè tralasciando quelle epistolari): Carte Strozziane, serie I, 10, cc. 223r-v e 230r-v (1533); e MaP, LXXXI, 30, cc. 444r-448v (maggio 1535); LXXXIII, 58, cc. 359r360v (s.d.); LXXXVI, 4, cc. 23r-38v (maggio-giugno 1535); LXXXVI, 59, cc. 448r-452v (giugno 1535); LXXXIX, 172, cc. 181r-181bis.v (s.d.); XCIX, 55, cc. 162r-169v (s.d.); CXXIV, 703, cc. 752r-753v (luglio 1533); CXXVIII, cc. 370r-402v (giugno 1535); CXXVIII, cc. 454r-466v (s.d.); CXXVIII, cc. 507r-510v (s.d.); CLVII, cc. 97r106v (s.d.); tra le molte numerazioni storiche dei fogli del MaP, uso quella fissata ora per sempre dalla digitalizzazione in internet. Una volta arrivato al potere Cosimo, e rimosso completamente dalla scena fiorentina il ramo di Pierfrancesco di Lorenzo di Pierfrancesco, le liti si sarebbero risolte d’un tratto nel senso che ricorderò tra poco, e sarebbero state perciò dimenticate facilmente quasi tutte. Ma alcuni cronisti e storici del Cinquecento ci tengono a ricordare il rancore maturato tra Lorenzino e Cosimo – già allevati insieme – nelle battute finali del contenzioso (chiuso nel 1535), e il favore che il duca Alessandro volle accordare, nella vicenda, a Lorenzino: tutto ciò, ovviamente, allo scopo di enfatizzare la malignità ingrata di Lorenzino verso Alessandro e la completa estraneità di Cosimo – peraltro verissima – rispetto ai piani diabolici del suo coerede. Rinvio solo alla Storia fiorentina di Benedetto Varchi, con aggiunte e correzioni tratte dagli autografi e corredata di note per cura e opera di Lelio Arbib, A spese della Società Editrice delle Storie del Nardi e del Varchi, Firenze, III, 1844, p. 72 [Saggi] 253 (libro XV); e alle Istorie fiorentine dall’anno MDXXVII all’anno MDLV scritte da Bernardo Segni, pubblicate per cura di G[argano] Gargani giusta una copia scritta da Scipione Ammirato, Barbèra, Bianchi e Comp. Firenze 1857, p. 332 (libro VIII). 131) Sull’uccisione di Alessandro e sulle avventure di Lorenzino tra il gennaio 1536/37 e la sua morte abbiamo ora una nuova e seria ricostruzione, fondata su vari inediti degli archivi fiorentini, italiani e spagnoli: Stefano Dall’Aglio, L’assassino del duca: esilio e morte di Lorenzino de’ Medici, Leo S. Olschki editore, Firenze 2011. Nonostante la narrazione diffusa e particolareggiata, l’autore trascorre quel tanto che gli basta sulle implicazioni patrimoniali della vicenda, decisive, invece, ai fini del mio discorso. 132) Il testamento originale di Pierfrancesco di Lorenzo di Pierfrancesco di Lorenzo di Giovanni de’ Medici è in ASF, Notarile antecosimiano, 21125 (olim V.202/II), fasc. 1, protocolli testamentari di ser Lorenzo Violi dal 1519 al 1543, cc. 97r-102r. 133) Si veda anche il priorista anonimo del 1584, App. I, 11. 134) Sulla presa del potere da parte di Cosimo I nel 1537 esiste ormai una letteratura immensa, che ovviamente non ha senso squadernare in queste note. Bisogna comunque ripartire sempre dai racconti copiosi – sino a centinaia di pagine – degli storici coevi, che sono soprattutto quelli da cui traggo i piccoli brani nell’Appendice I, indicando per ognuno, in nota, l’edizione più conveniente per affidabilità e reperibilità. Fra i testi moderni rimane utilissimo Giorgio Spini, Cosimo I e l’indipendenza del principato mediceo (1ª ed., Firenze 1945), 2ª ed., Vallecchi, Firenze 1980, cui si può aggiungere, per tutto il percorso di Cosimo, Roberto Cantagalli, Cosimo I de’ Medici granduca di Toscana, Mursia, Milano 1985. 135) Per il 1537 si può guardare in ASF, Capitani di Parte Guelfa, Numeri rossi, 58 (“Provvisioni e renunzie e confiscazioni circa i ribelli”), cc. 81r-323v (1535-1543); 92 (Registro d’inventari dei beni dei ribelli segnato anticamente B, 1530-1544); 94 (Registro d’inventari dei beni dei ribelli segnato R, 1534-1542); 99 (Quaderno di cassa del camarlingo degli Ufficiali, 1537); 100 (Registro di assegnazioni di beni dei ribelli, 1537-1538); 101 (Registro di assegnazioni di beni dei ribelli, 1537-1540). I pezzi nn. 100-101 sono importanti per il destino del patrimonio di Baccio Valori e dei suoi congiunti stretti, tra i più celebri condannati fiorentini nel 1537. Essi trovano corrispondenza solo in parte nelle carte di Casa Valori confluite in ASF, Panciatichi. Senza dare le segnature di quest’ultime per i passaggi sulle confische, rimando all’accenno di partenza che ne fa Salvatore Lo Re, «Fresca e rugiadosa in quella penitenza». La Maddalena, Tiziano e Baccio Valori, in ‘Intersezioni’, XVIII, 1998, pp. 33-45 (p. 38 nota 26), poi, con alcune modifiche e con il titolo La Maddalena, Tiziano e Baccio Valori, in Salvatore Lo Re, Politica e cultura nella Firenze cosimiana. Studi su Benedetto Varchi, Vecchiarelli editore, Manziana (Roma) 2008, pp. 475-493 (pp. 481-482 nota 26). Sulla confisca dell’‘Apollo’ di Michelangelo ai danni di Baccio Valori e sul suo passaggio a Cosimo de’ Medici nel 1537 rinvio qui alla mia Appendice II. 136) ASF, Otto di Guardia e Balia del Principato, 2694, Bandi dal 14 maggio 1533 al 30 agosto 1555, bando n. 79. 137) Quelle segnalate sopra alla nota 130 non sono che una parte minima del tutto. Secondo la rara testimonianza, sicuramente degna di fede, di Giovambattista Cini, principale biografo antico di Cosimo, negli stessi giorni in cui egli trattava con Vitelli per recuperare i beni mobili della Casa Vecchia si dava ovviamente da fare – ma invano – anche per convincerlo ad abbandonare la Fortezza, e gli offriva come ricompensa il possesso delle due tenute medicee del Trebbio e di Cafaggiolo (App. I, n. 10.b). Poiché quest’ultima villa (alla quale gli sgherri di Vitelli avevano esteso le loro razzie del 9 gennaio: App. I, nn. 4.b, 7) era stata fino al 6 gennaio 1537 di proprietà di Lorenzino e Giuliano di Pierfrancesco, ecco un’ulteriore conferma della piena discrezione che Cosimo esercitò fin da subito sul patrimonio dei cugini. 138) App. I, 1.c, 2.b-2.c, 4.b, 5.a-5.b, 6, 7, 8.b, 11. 139) Basti per tutti il rinvio a J. Shearman, The collections of the younger branch of the Medici cit., passim, e a W. Smith, On the original location of the ‘Primavera’ cit., passim. 140) Quest’assenza era già chiara a J. Shearman, The collections of the younger branch of the Medici cit., p. 19, il quale tuttavia non provava a darne una spiegazione particolare. 141) Cfr sopra, nota 97. Una statua marmorea del Battista fu impiegata anche nelle feste battesimali di don Filippo de’ Medici, primogenito maschio del granduca Francesco I, nel 1577. Almeno a partire da Eve Borsook, Art and politics at the Medici court, II: the baptism of Filippo de’ Medici in 1577, nelle ‘Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz’, XIII, 1967-68, pp. 95-114, passim, si crede che l’opera fosse di nuovo il ‘San Giovannino’ Martelli, ma il riscontro che si può fare della sua menzione presso [Vincenzio Borghini], La descrizione dell’apparato fatto in Firenze nel battesimo del serenissimo Principe di Toscana, In Firenze, appresso i Giunti, MDLXXVII, p. 23, solleva forti dubbi: “una statua di marmo di San Giovanni Battista, alta circa due braccia, di mano di Desiderio da Settignano, opera celebratissima da tutti gl’intendenti e scrittori”. Nelle citazioni abituali del ‘San Giovannino’ Martelli durante il Cinquecento (sopra, nota 97) esso è detto, perfettamente, di tre braccia, ed è attribuito, com’è giusto, a Donatello, senza mai tralasciarne la provenienza Martelli. Conviene dunque postulare in questo caso un’altra statua del Battista, non necessariamente di San Giovannino, anche se il riferimento a Desiderio, non importa quanto esatto, fa in effetti pensare alla raffigurazione di un minore. 142) Qui è necessaria una digressione un po’ lunga su un “San Giovanni di marmo” protagonista di un documento del Cinquecento maturo nell’archivio dell’Opera di Santa Croce a Firenze, che è stato messo in campo del tutto inutilmente per Michelangelo. Si tratta di una lettera anonima di denuncia inviata agli Operai di Santa Croce da un padre francescano del convento, scosso per il furto che un suo confratello, Giovanni Andrea Calandri, aveva perpetrato di un “San Giovanni di marmo” – appunto – di proprietà del convento stesso in virtù di un dono fatto a suo tempo dal duca Alessandro de’ Medici. Una certa sera il Calandri aveva sottratto il marmo “rinvolto in una balla di lana, fasciato in detta lana, la quale si rascuchava [sic] ne’ nostri chiostri”, e lo aveva ceduto a un Filippo Calandri, evidentemente suo congiunto. Una volta scoperto segretamente da alcuni, il frate aveva accampato il falso pretesto di dover assecondare le irresistibili brame di Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano e “genero del Gran Duca”: quest’ultimo riferimento permette di collocare la lettera, che non porta data, tra l’elevazione granducale e la morte di Cosimo I, cioè tra il 1568 e il 1574. La lettera è segnalata da Filippo Moisé, Santa Croce di Firenze: illustrazione storico-artistica […], con note e copiosi documenti inediti, A spese dell’autore, Firenze 1845, p. 77 e nota 3, con la data errata del 1560 e con un riferimento interpretativo all’opera trafugata come “un San Giovannino di marmo”, cosa nient’affatto scontata. Tale esegesi si aggrava presso Walter ed Elisabeth Paatz, Die Kirchen von Florenz. Ein kunstgeschichtliches Handbuch, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, I, 1940, p. 612 e nota 687 (p. 701), i quali, senza verificare la carta originale del “1560”, elevano il preteso ‘San Giovannino’ al rango di statua (“Marmorstatue des jungen Johannes”), ipotizzando, benché con cautela: “Bei einer 84. Michelangelo: ‘Madonna col Bambino, San Giovannino e angeli’ (“Madonna di Manchester”). Londra, The National Gallery. [Saggi] 73 Figur dieses Gegenstands aus Medicibesitz könnte man an Michelangelos verschollene Figur denken”. Introdotto nella bibliografia michelangiolesca da C.A. Isermeyer, Der Giovannino (1495/96) cit., p. 318, che rilancia l’interpretazione e le domande dei Paatz, il documento viene intercettato da qui, ma anche riscontrato e trascritto (in modo sostanzialmente corretto, come ho verificato sull’originale), da Alessandro Parronchi, Il San Giovanni Battista «gradivo» del Bargello cit., ed. 1968 cit., pp. 94-96 e note 9-10 (cfr anche, quasi trent’anni dopo, Idem, Donatello e Michelangelo cit., pp. 15-16 e note 4244). Tuttavia lo studioso, anziché ridimensionare l’interpretazione dei Paatz, la ingrossa e ne estrae un groviglio di conclusioni le più implausibili che si possano immaginare. Per Parronchi la lettera del 1570 circa sarebbe la prova che il ‘San Giovannino’ di Michelangelo finì per dono dei Medici in Santa Croce, e da qui, attraverso le collezioni di Paolo Giordano Orsini, di nuovo ai Medici, e sarebbe dunque il ‘San Giovanni gradivo’ documentato nella Galleria degli Uffizi a partire dall’inventario del 1704 (cioè la statua di Francesco da Sangallo). Ripercorrendo daccapo questa klimax fuori dalla realtà, si può rilevare per punti che: 1) il “San Giovanni di marmo” potrebbe tranquillamente aver rappresentato il Battista adulto; 2) la facilità con cui esso fu rubato da una sola persona esclude che fosse un’opera monumentale, per cui si deve pensare a una statuetta oppure a un busto (non importa, dunque, se del Battista adulto o di San Giovannino); 3) nessuna vicenda patrimoniale mai documentata comporta che un bene dei Medici del ramo di Pierfrancesco il Vecchio andasse poi al duca Alessandro (semmai il contrario); 4) la lettera di Santa Croce fa chiaramente capire che il “San Giovanni” rapito non finì mai nelle mani di Paolo Giordano Orsini; 5) non è per niente automatico che una proprietà dell’Orsini diventasse poi dei Medici; 6) non si sa se il “San Giovanni” fu recuperato o no dai francescani. In conclusione, il “San Giovanni” di Santa Croce non sarà mai né il Sangallo del Bargello né il ‘San Giovannino’ di Michelangelo. Semmai ci si potrà chiedere, ma solo come vaghissima ipotesi di lavoro, se esso non sia la misteriosa “statua di marmo di San Giovanni Battista, alta circa due braccia, di mano di Desiderio da Settignano”, che nel 1577 avrebbe fatto mostra di sé nell’apparato del battesimo di Filippo de’ Medici (sopra, nota 141). 143) La letteratura su Francisco de los Cobos (o “Covos” senz’altro, come lo si trova perlopiù nominato nell’Italia dei suoi tempi) è potenzialmente sterminata, poiché tende a coincidere con quella su Carlo V, sulla Spagna e sul Sacro Romano Impero nei loro nessi dinastici, sugli equilibri europei del Cinquecento, sullo sfruttamento delle Indie Occidentali etc. Per fortuna disponiamo di una biografia moderna assai ben informata, anche e soprattutto su fonti di prima mano: Hayward Keniston, Francisco de los Cobos: secretary of the Emperor Charles V, University of Pittsburgh Press, Pittsburgh [1960] (spesso citata con le date imprecise 1958 o 1959). Solo di recente Cobos ha cominciato a essere l’intestatario primo di pubblicazioni storico-artistiche: in part. Francisco de los Cobos y su época cit. (1997). Ma le monografie sulla Capilla de El Salvador di Úbeda sono di fatto altrettante voci sul suo mecenatismo nel campo dell’architettura e delle arti figurative. È recentissima Caroline Horstmeier, Die Sacra Capilla de El Salvador in Úbeda (Andalusien): eine Studie zur Memorialkunst und Sepulkralkultur der Neuzeit in Spanien, Ph.D. Thesis, Freie Universität Berlin, Berlin 2011 [2012]. 144) Alcuni di questi studi compaiono alle note 145-147. 145) La solida ricostruzione di Diane H. Bodart, Tiziano e Federico II Gonzaga. Storia di un rapporto di committenza, Bulzoni Editore, Roma 1998, in part. pp. 26 e nota 37, 71-81 e note passim, 113-114 74 [Saggi] e note 319-323, 119 e nota 350, 127 e nota 390, 129-130 e note 399-402, 133 e nota 415, 138-139 e nota 442, 145 nota 480, 171, 210-212 docc. 47-53, 213-217 docc. 55-64, 217 doc. 66, 218 docc. 68-69, 219-220 docc. 71-72, 220-221 docc. 74-75, 222223 doc. 78, 224 doc. 82, 225 doc. 85, 262-263 docc. 168-170, 283 doc. 214, pur incentrata sui dipinti di Tiziano giunti a Cobos dal signore di Mantova, coinvolge molti altri doni d’ogni sorta presentati al segretario di Carlo V e a sua moglie María de Mendoza. 146) Si vedano soprattutto G. Campori, Tiziano e gli Estensi cit., in part. pp. 601-604 (la mia citazione da lui è a p. 603); C. Justi, Tizian und Alfons von Este cit. (che tuttavia – come ho già ricordato sopra, testo e note 56-58 – fraintende in alcuni punti essenziali l’esegesi di Campori, capendo che il ritratto di Alfonso fosse destinato a Carlo V anziché a Cobos); Adolfo Venturi, Storia dell’arte italiana, Ulrico Hoepli, Milano, IX, La pittura del Cinquecento. Parte III, 1928, pp. 133-134 (che trascrive gli originali della corrispondenza estense, mentre Campori li aveva epitomati); e Georg Gronau, Alfonso d’Este und Tizian, nel ‘Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien’, N.F., II, 1928, pp. 233-246, in part. pp. 237-238 e note 2122, 244-245 docc. A.I-A.X (che ritrascrive più ampiamente gli originali, tralasciandone però almeno uno, presente in Venturi). L’episodio riceverà di certo nuova luce entro l’ampio contesto del mecenatismo di Alfonso che potremo leggere presso Vincenzo Farinella, Alfonso I d’Este, le immagini e il potere: da Ercole de’ Roberti a Michelangelo, Officina Libraria, Milano 2013 (in c.d.s.). Intanto, però, debbo notare che nella bibliografia tizianesca sembra sussistere una certa confusione, nata a partire da un lapsus di Campori e poi di Venturi, circa un passaggio breve ma cruciale del carteggio estense: fra i dipinti di Tiziano che Cobos pretendeva da Alfonso non c’era un ritratto di Carlo V, mentre era Cobos che, possedendone già uno, gli voleva mettere accanto il ritratto di Alfonso (lo ha ben compreso già G. Gronau, Alfonso d’Este cit., p. 237 e nota 22; ma si veda, invece, a quale colmo di equivoco arriva ora, dopo una lunga catena, Giovanni Sassu, La seconda volta. Arte e artisti attorno a Carlo V e Clemente VII a Bologna nel 1532-33, in ‘e-Spania’, 13, giugno 2012, on line, http://e-spania.revues.org/21366, testo e note 64 ss.). Gli studi degli ultimi quindici anni hanno restituito un ruolo via via maggiore a Cobos nel decollo della fortuna asburgica e spagnola di Tiziano: cfr per tutti Matteo Mancini, Tiziano e le corti d’Asburgo nei documenti degli archivi spagnoli, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia 1998, pp. 18 e nota 37, 21-26 e note, 29-30 e nota 76, 3234 e note, 35 e nota 104, 40, e docc. alle pp. 132158 passim (App. I, nn. 1-8, 14-20, 23, 25-33, 35), con la scorta di molte nuove carte d’archivio. 147) Michael Hirst, Sebastiano’s Pietà for the Commendador Mayor, in ‘The Burlington Magazine’, CXIV, 1972, pp. 585-595 (con i rinvii alle ricerche iniziali di Campori e Ronchini); Clifford Malcolm Brown, A further document for Sebastiano’s Ubeda ‘Pietà’, ivi, CXXXII, 1990, pp. 570-571. Sull’opera cfr anche Piers Baker-Bates, Sebastiano del Piombo’s Úbeda Pietà: between Italy and Spain, in Art, site and spectacle: studies in early modern visual culture, edited by David R. Marshall, The Fine Arts Network, Victoria 2007 (= ‘Melbourne Art Journal’, 9-10, 2007, pp. 34-43). 148) Si veda, per brevità, il concentrato di testimonianze presso H. Keniston, Francisco de los Cobos cit., pp. 365-369 e note 19-32 (p. 426), entro un paragrafo significativamente intitolato alla “venality” di Cobos. Uno squarcio documentario fra i tanti possibili sulle cupidigie dei segretari di Carlo V si può cogliere più avanti, note 167-168. 149) Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III cit., pp. 224 e 229 (libro XIV). 150) Cfr per tutti Cesare Guasti, Alcuni fatti della prima giovinezza di Cosimo I de’ Medici granduca di Toscana illustrati con documenti contemporanei, nel ‘Giornale storico degli archivi toscani’, II, 1858, pp. 13-64 e 295-320 (in part. pp. 22, 24, 4964 e 295-320). 151) Si legga per tutte la Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III cit., p. 134 (libro XIV). 152) Pubblicato da Roberto Ridolfi, Francesco Guicciardini e Cosimo I, nell’‘Archivio storico italiano’, CXXII, 1964, pp. 567-606 (pp. 572-573 nota 9), poi, col titolo Il Guicciardini e Cosimo I, in Roberto Ridolfi, Studi guicciardiniani, Leo S. Olschki editore, Firenze MCMLXXVIII, pp. 131181 (pp. 138-139 nota 9). 153) M. Hirst, Sebastiano’s Pietà for the Commendador Mayor cit., pp. 589-590. 154) Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III cit., p. 243 (libro XIV). 155) Tra le sculture profane di maestri italiani che Cobos attirò verso la Spagna, due sono ricordate dallo stesso Vasari nella Vita di Montorsoli, poiché si tratta di due busti di Carlo V per mano del frate servita: “Fece di marmo due ritratti del medesimo principe [Andrea Doria], e due di Carlo Quinto, che furono portati da Coves in Ispagna” (ed è questa l’unica menzione di Cobos fatta dal biografo: G. Vasari, Le Vite cit., V cit., p. 501, dalla Giuntina, II, p. 617). C’è però qualcosa che non torna in tale narrazione, o nell’esegesi che ne dà di solito la bibliografia moderna, o in entrambe. Vasari sembra alludere a una presenza genovese di Cobos in stretta vicinanza con la realizzazione dei busti (subito dopo, durante, o subito prima), ma gli studi moderni, pur accettando tale sottinteso, datano l’episodio tra il 1539 e il 1543 (Martin Weinberger, Portrait busts by Montorsoli, negli Scritti di storia dell’arte in onore di Mario Salmi, De Luca editore in Roma, III, 1963, pp. 39-48 [p. 42]; Birgit Laschke, Fra Giovan Angelo da Montorsoli. Ein Florentiner Bildhauer des 16. Jahrhunderts, Gebr. Mann Verlag, Berlin 1993, in part. pp. 17 e nota 55, 59-60 e note 1-10, 61, 151, 156, 160 nn. 8-9, 220-221 figg. 35-38), senza avvedersi che dopo l’autunno 1536 Cobos non mise più piede a Genova e in Italia (cfr per tutti H. Keniston, Francisco de los Cobos cit., passim, in part. pp. 187 e 223). Inoltre, benché si conoscano effettivamente due busti carolini di Montorsoli in marmo, uno al Prado di Madrid e l’altro nel Museo Nazionale di San Martino a Napoli (B. Laschke, Fra Giovan Angelo da Montorsoli cit., pp. 220-221 figg. 35-38), è difficile credere (così come vuole invece la letteratura moderna appena citata) che quello di Napoli, perlomeno, sia uno dei pezzi vasariani: se fosse così, se ne dovrebbe concludere che Cobos non fosse il beneficiario ultimo di uno o di entrambi i ritratti di Montorsoli. Come si vede, la questione è tutta da riaffrontare. 156) La seconda parte dell’Historie del suo tempo di mons. Paolo Giovio vescovo di Nocera, tradotte per m. Lodovico Domenichi, In Fiorenza MDLIII, [per Lorenzo Torrentino impressor ducale], pp. 727-728; Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III cit., pp. 307 e 352 (libro XV); Istorie fiorentine dall’anno MDXXVII all’anno MDLV scritte da Bernardo Segni cit., pp. 368-369 (libro IX); Istoria de’ suoi tempi di Giovambatista Adriani gentilhuomo fiorentino, divisa in libri ventidue, di nuovo mandata in luce […], [a cura di Marcello di Giovambattista Adriani], In Firenze, nella stamperia dei Giunti, MDLXXXIII, pp. 41, 42-43 (libro II); Istoria de’ suoi tempi di Giovambatista Adriani, Per i fratelli Giachetti, Prato, I, MDCCCXXII, pp. 112113 e 116-118 (libro II); Scipione Ammirato (il Vecchio e il Giovane), Istorie fiorentine [...], ridotte a miglior lezione da Ferdinando Ranalli, Per V. Batelli e compagni, Firenze, VI, 1849, pp. 249 ss. (libro XXXII); Vita del serenissimo signor Cosimo de’ Medici primo granduca di Toscana, scritta da Giovambatista Cini, In Firenze, appresso i Giunti, MDCXI, pp. 86-89 (libro II). Lungo la strada che porta dagli storici coevi a quelli del Novecento ri- cordati sopra (nota 134), si veda Giuseppe de Leva, Storia documentata di Carlo V in correlazione all’Italia, III, Dalla dieta di Augusta del 1530 insino alla pace di Crespy, 1544, Prem. Stabil. Tip. di P. Naratovich, Venezia 1867, pp. 227 ss. 157) Per una svista di lettura o di stampa, la data è diventata “15” settembre nelle Legazioni di Averardo Serristori cit., p. 13. E l’errore si è poi diffuso nella storiografia corrente: p.e. G. Spini, Cosimo I e l’indipendenza del principato mediceo cit., 2ª ed. cit., p. 103; R. Cantagalli, Cosimo I de’ Medici cit., p. 86. Sulle soste di Averardo a Nizza e a Palamós si veda brevemente oltre, nota 163. 158) Sulla base dell’ordinamento definitivo raggiunto dal MP nel secolo scorso (per tipologia, cronologia e geografia), questa documentazione è divisa sostanzialmente in tre tronconi. Le missive di Cosimo e dei suoi si trovano nelle prime unità archivistiche (MP, 1 ss.). Le lettere ricevute sono nel cosiddetto Carteggio universale del duca, ai nn. 329 ss. Data la specificità ‘asburgica’ degli affari trattati, un terzo grosso nucleo di lettere spedite e ricevute è collocato all’inizio dei carteggi con la corte imperiale, ai nn. 4296, 4299, 4299A e 4300. Poiché la struttura del MP è notoriamente ben composta solo in apparenza, sparsi resti di queste corrispondenze sono reperibili nell’Appendice al carteggio di Cosimo I (nn. 600 ss), in part. ai nn. 644, 653 e 657. Le lettere del Serristori sono state fatte oggetto di attenzione storiografica ed editoriale fin dal pieno Ottocento: Legazioni di Averardo Serristori, ambasciatore di Cosimo I a Carlo V e in Corte di Roma (1537-1568), con un’appendice di documenti spettanti alle legazioni di messer Giovanni Serristori ambasciatore della Repubblica fiorentina (1409-1414), e con note politiche e storiche di Giuseppe Canestrini, pubblicate dal generale conte Luigi Serristori, Coi tipi di Felice Le Monnier, Firenze 1853. Ma un riscontro con gli originali del MP rivela subito (oltre ad alcuni pesanti difetti ecdotici) che si tratta di un’antologia assai limitata. Le due istruzioni formali e segrete dettate da Cosimo ad Averardo nell’estate del 1537 si trovano ora stampate tra le Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell’“Italia spagnola”, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per gli Archivi - Istituto Poligrafico e Zecca di Stato / Libreria dello Stato, Roma, I, 15361586, a cura di Alessandra Contini e Paola Volpini, 2007, pp. 17-27 n. 3, la prima con la data del 7 agosto e la seconda come “1537 agosto (?)”: in realtà è da credere – alla luce di quanto ho accennato nel testo – che il primo documento, decisamente anteriore a Montemurlo, sia del 23 o del 25 luglio, mentre il secondo, aggiunto proprio a causa di Montemurlo, è del 7 agosto o subito prima. 159) Il cifrario di Averardo Serristori nella missione imperiale del 1537-38 – l’unico che ci interessa in questa sede – si conserva in ASF, Cifrarî, serie II, vol. III, n. 455, recto (“Datum die XXIII Julii MDXXXVII. Per Ispagnia a messer Averardo Serristori”), mentre nel verso è il cifrario (diverso) del suo segretario Lorenzo Pagni (“Die 25 Julii 1537, dato a messer Lorenzo Pagni per Spagnia”). Si può vedere anche ASF, Cifrarî, serie I (compilata “dall’abate Pietro Domenico Gabrielli l’anno 1865”), vol. III, n. 14. 160) La loro antica esistenza ci è testimoniata non solo dalle allusioni a esse in alcune lettere successive, ma anche da Giovambattista Adriani, che, vivente ancora Cosimo I, prese visione degli originali e ne trasse appunti per scrivere l’Istoria de’ suoi tempi. In uno dei suoi quaderni di spogli dall’archivio della Segreteria medicea abbiamo i regesti delle lettere di Averardo nei giorni 26, 29 e 31 agosto, e 3, 4, 5 e 6 settembre 1537: ASF, Carte Strozziane, serie I, 122 (olim biblioteca di Carlo di Tommaso Strozzi, 1670, n. 469, olim 592), Altro spoglio della Segreteria fatto dall’Adriani, tomo 4°, dal 1537 al 1549, originale (così il frontespizio, di mano di Luigi Strozzi), c. [5]r-v. In modo curioso Adriani annota: “Nelle lettere si dicono cose assai, ma in ci- 85. Michelangelo: ‘Bacco’. Firenze, Museo Nazionale del Bargello. [Saggi] 75 76 [Saggi] 86. Niccolò dell’Arca: ‘San Giovanni Battista’ (1490 circa). Monasterio de San Lorenzo de El Escorial. fera che non ò diciferato” (c. [5]v). Non è affatto inverosimile che il prelievo degli originali effettuato dall’Adriani nella Segreteria medicea sia stato la causa della loro dispersione. La filza rilegata MP, 4296, che riunisce il maggior nucleo di lettere spedite da Serristori a Firenze nel 1537-38, e che sta alla base della prima parte dell’edizione ottocentesca delle Legazioni di Averardo Serristori cit., presenta come sua lettera più antica una scritta da Monzón il 30 settembre (cc. 9r-10v, in copia di Lorenzo Pagni): e con essa si apre, infatti, l’edizione ottocentesca (pp. 13-15 n. I[A]). 161) Dei venti e dell’impossibilità di partire Serristori scriveva il 29 agosto (in una lettera regestata da Giovambattista Adriani in ASF, Carte Strozziane, serie I, 122 cit., c. [5]r). Alla partenza si riferiva invece una sua lettera del 6 settembre (regestata ibidem, c. [5]v). 162) Oltre, nota 167. 163) MP, 2, Minute dell’anno [sic] 1537 al 1543 (costola), c. 27r-v nuova (di mano di Ugolino Grifoni), Cosimo I ad Averardo Serristori, 13 settembre 1537, c. 27r nuova (p. 24 antica). Questo stralcio si trova pubblicato sin dal 1996, con una trascrizione un po’ tagliata, nel Medici Archive Project, on line: http://www.medici.org/ (e, come tributo alla bella vivacità di uno dei miei allievi, mi fa piacere aggiungere che nel 2009, mentre tardavo a chiudere le mie ricerche, Fernando Loffredo si è accorto pure lui di questo documento in rete e del suo possibile nesso con il ‘San Giovannino’ di Úbeda, senza sapere ancora della mia lunga ricostruzione e del mio annuncio del 2000). Evidentemente Cosimo replicava a una richiesta di chiarimenti sulle casse da lui fatte spedire a Genova, che Serristori gli aveva rivolto in una delle sue lettere andate perdute, ma viste nel Cinquecento da Giovambattista Adriani (sopra, nota 160). Dal MP, 2 cit., c. 37r-v nuova (c. 34r-v antica, di mano del Grifoni), Cosimo I ad Averardo Serristori, 25 settembre 1537, ricaviamo più precisamente che la lettera cosimiana del 13 settembre dava risposta a quella scritta dall’ambasciatore il 5 settembre. La stessa lettera del 25 settembre accusa la ricevuta di due di Averardo, da Nizza, nei giorni 9 e 12 settembre: documenti anch’essi dispersi. Sempre in MP, 2 cit., cc. 44r-45v nuove (cc. 41r-42v antiche), il 7 ottobre 1537 Cosimo (per mano del Grifoni) si rallegra dello sbarco a Palamós, comunicatogli dal Serristori con una lettera del 18 settembre, smarrita ancora una volta. 164) Tommaso di Negro, nobile genovese e uomo di fiducia di Andrea Doria, per conto del quale era stato a Firenze, presso Cosimo e i suoi, nel maggio e nel giugno precedenti, al tempo della ben nota missione ‘imperiale’ del Conte di Cifuentes in città (cfr per es. ASS, Balia, 646, ins. 93, c. [1]r, e Balia, 647, ins. 77, c. [1]r; per questa fonte: oltre, nota 187). Divenne presto un agente preziosissimo di Cosimo a Genova, facendosi talvolta aiutare dal fratello Vincenzo. Nella Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III cit., p. 337 (libro XV), egli emerge fra i tre uomini “privati” d’Italia che “furono […] più caldi […] e più diligenti degli altri” nel tenere “quotidianamente avvisato il duca Cosimo” (gli altri due sono Vincenzo Bovio, da Bologna, e Donato Bardi di Vernio, da Venezia). 165) ASF, MP, 4296 cit., cc. 18r-21v (di mano di Lorenzo Pagni), Averardo Serristori a Cosimo I, Barbastro, 16 ottobre 1537, c. 18r-v. Le parole che ho messo in corsivo sono cifrate nell’originale: “5354174532796374” sta per “deli drapi” e “179348379839394” per “la statua”. La lettera è riportata con molti tagli (compreso quello della parte che interessa qui) nelle Legazioni di Averardo Serristori cit., pp. 20-24 n. II[A]. Di questa e di altre tre lettere (dei giorni 24 e 27 ottobre e 1° novembre) Serristori fece poco dopo delle copie di sua mano (MP, 4296 cit., cc. 54r-62v), allegandole a una sua lettera autografa a Cosimo del 5 novembre (ibidem, cc. 65r-66v). La copia relativa al 16 ottobre è alle cc. 54r-58r (con decifrazione aggiunta nelle interlinee da Ugolino Grifoni), e, nel capoverso che ci riguarda ora (c. 54v), contiene in maniera significativa non solo alcune varianti grafiche, lessicali e sintattiche, ma anche una maggiore presenza di cifre. Riporto perciò qui in nota anche tale brano: “53541174 53279636374 [= Delli drappi] se ne è seguito l’ordine Suo, 371793483798393379 [= et la statua, decifrato scorrettamente nell’interlinea superiore come “della statua”] 63542025374595453541107976948354537459545 720 [= per ordine dello abate di Negro, sciolto imprecisamente da Grifoni come “di Nero”] 34063279 [= sopra] una nave genovese è passata, et ita a Cartagena, dove sarà molto commoda a chi la ha havere. Si è ordinato a certi merchanti genovesi, alli quali ditto signor abate l’haveva indirizzata, che la consegnino al signor coregidore et ghovernatore di quello locho, secondo che ha ordinato chi la ha havere. Et tutto sta bene. I ringratiamenti et le belle parole fatte, et del debito che dicono tenere a Vostra Excellentia, non Gliele potrei exprimere con parole: così piaccia a.dDio che corrispondino li fatti”. In MP, 4296 cit., cc. 37r-38v, si conserva un estratto dalle ultime lettere di Spagna stilato da Ugolino Grifoni nel tardo autunno 1537, ancora con la menzione dei “drappi” e della “statua”: “Extracto del’ultimo spaccio venuto di Spagna de’ XVI, 24, 27 d’ottobre, et primo, V, X, 17 et 18 di novembre, delle quali non ci è che le de’ 24, [et] del primo, 17 et 18 di novembre. L’altre sono perse, con le scritture accusate. […].<X>XVI di ottobre: Accusa le nostre de’ <XII> VI, 24 et 25 et poi de’ XIII di settembre, accusate per le sue de’ 24 et 25. […]. Ha presentato i drappi, stati accetti etc., et alsì indirizata la statua dove et secondo l’ordine di chi la deve havere. […]. Che ha pagato ducati 91, soldi III, d’oro per il datio delli drappi. […]” (c. 37r). Per quest’ultima notizia si veda meglio oltre, nota 167. 87-88. Michelangelo: ‘Bacco’ (particolari). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. 166) M. Gómez-Moreno, Las águilas del Renacimiento español cit., pp. 80-82, 202-209 docc. X-XI. Sulla Sacra Capilla de El Salvador (e sul suo precedente della Capilla de la Concepción fondata da Cobos in Santo Tomás sempre a Úbeda) si vedano fra gli altri H. Keniston, Francisco de los Cobos cit., pp. 67, 90, 117-118, 128, 150-151, 163-165, 191-193, 224, 226-227, 279-282, 322, 325, 326, 358, 359, 360, 362, 364, 369, 371-372 e note (a pp. 394-426 passim); e C. Horstmeier, Die Sacra Capilla de El Salvador in Úbeda (Andalusien) cit., che è di fatto la prima vera monografia sistematica sull’edificio, e contiene alcuni nuovi documenti cavati dall’Archivo Ducal de Medinaceli, presso la fondazione di tale casato, a Siviglia (ma anche varie imprecisioni). Cfr pure Joaquín Montes Bardo, La Sacra Capilla de El Salvador de Úbeda: arte, mentalidad y culto, Universidad Nacional de Educación a Distancia - Centro Asociado «Andrés de Vandelvira», Úbeda-Jaén 1993. 167) Sopra, nota 165. Rispetto alla “statua”, i “drappi” per Cobos e Granvelle hanno lasciato maggior traccia di sé nel carteggio del Serristori, punteggiato dai riferimenti alle tasse doganali che l’ambasciatore dovette pagare a Barcellona e a Monzón, e di cui egli attendeva il rimborso da Cosimo: MP, 4296 cit., c. 20v (Serristori a Cosimo, Barbastro, 16.10.1537, per mano del Pagni: “Si sollicita la speditione delle littere, quali, haute, si manderanno con uno corrieri che questi signori dicano volere expedire a la volta di Italia fra dua o tre giorni, et così si rispiarmerà [sic] la spesa d’uno corriero expresso, la quale non saria stata di meno che di CLta ducati, o qualche cosa più. E spero che le littere saranno con questa, et che insieme vi sarà la confirmatione del privilegio di Vostra Excellentia, spe- dito, al parere di messer Giovanni [Bandini] et mio, in ottima forma, et come si desiderava. Per detto privilegio è necesario dare alli signori secretarii, che lo spediscano, secondo che messer Giovanni et io ce ne siamo informati, fino alla somma di ducati cento quaranta o cento cinquanta d’oro almeno, cioè cento in circa in uno bacile et uno bocchale d’argento al secretario che lo ha fatto et sottoscritto, et il resto alli altri secretarii. Però mi bisognerà trarli costì, et insieme ducati LXXXXI d’oro larghi et soldi tre a oro che io ho pagati al datio di Barzalona et a questo d’Aragona per quelli 53279637443795953948374 [= drapi mandati]”); c. 66r (Serristori a Cosimo, Monzón, 5.11.1537, autografo: “Per havere mandato il segretario [Pagni] fino a Saragozza per vedere se là si poteva commodamente provedere di quelli arienti per dare al segretario che scrisse il privilegio, et li ducati d’essi et della spesa delli drappi, però ho scritto di mia mano”); c. 71r (Giovanni Bandini a Cosimo, Monzón, 9.11.1537: oltre, testo e nota 168); c. 90r (Serristori a Cosimo, Barcellona, 10.12.1537, per mano del Pagni: “Et mi resta dirGli che oggi ho tratto a messer Octaviano [de’ Medici] in Giovan Baptista Giovanni e compagni ducati quatrocento d’oro in oro larghi, per la valuta qui da Caesare Bongugl[i]elmi in tanti dopioni d’oro in oro, et li ho scritto con la alligata, et pregatolo che sia contento pagarli loro in tanti ducati d’oro in oro et non in valuta, perché così si sono ricevuti, et ho promesso che così si pagheranno: de’ quali ducati IIII cento, ne hanno a ire cento in conto di quei drappi d’oro che Vostra Excellentia mi inviò per li signori Covos et Granvella, per tanti pagati per me in porto et datii in Barzalona et in Monzone, et li altri trecento hanno a ire in conto mio. Supplico Vostra Excellentia che Gli piaccia ordinare a messer Octaviano che, [Saggi] 77 78 [Saggi] 89. Michelangelo: ‘San Giovannino’ mediceo (come nella fig. 10). Úbeda, Capilla de El Salvador (stato prima del luglio 1936). al tempo, non manchi di pagarli nel modo detto di sopra, perché, quando non lo facesse, non sarebbe né honore né servitio di Lei che io mi havessi a ridurre in queste bande in alcuna necessità, havendo di già fattone debito fino ala somma di dugentocinquanta con diverse persone. Et La certifico che qui si spende uno mondo, et solo di pigione di casa me ne va uno ducato il giorno, et il secretario [Pagni] sa se io mi stringo et stremo quanto più posso”). 168) MP, 4296 cit., cc. 71r-72v, Giovanni Bandini a Cosimo I, Monzón, 9 novembre 1537 (per mano del Pagni): “Noi havavamo preso informatione da principio di quello che per la mercede di detto privilegio si dovesse pagare, et ne era stato detto che bastava dare CLta duchati d’argenterie al secretario che fece la minuta et a chi la metteva in carta buona, da dividersi fra tre o quattro che sono, et chi ci dette tale informatione presupponeva che li signori Covos et Granvella non havesseno a volere participarne, et noi ci confermavamo in la medesima sententia, pensando pure che i drappi d’oro havesseno a supplire in la mercede loro. Ma egli è necessario pagare maggiore somma, perché più sù sta mona Luna” (c. 71r). 169) Sopra, testo e nota 54. 170) C. Horstmeier, Die Sacra Capilla de El Salvador in Úbeda cit., p. 53 e note 149-151. A differenza di tutti gli altri documenti di cui riferirò tra poco, conservati nell’Archivo Municipal di Úbeda, questo è tratto dall’Archivo Ducal de Medinaceli (sopra, nota 166). Sulle carte antiche dei Medinaceli relative a Cobos si veda Antonio Sánchez González, La documentación patrimonial del secretario de Carlos V, in Francisco de los Cobos y su época cit., pp. 69-79. 171) H. Keniston, Francisco de los Cobos cit., pp. 189-191 e note 115-128 (pp. 407-408). 172) Dalla presenza del ‘San Giovannino’ a Sabiote nel 1547 C. Horstmeier, Die Sacra Capilla de El Salvador in Úbeda cit., p. 53, ricava che a quella data l’opera non era ancora “für die Sacra Capilla vorgesehen gewesen”. Poiché l’autrice non pubblica, ma semplicemente riassume il suo documento, non oso senz’altro contraddirla. Mi chiedo tuttavia perché l’opera stia in un inventario che la Horstmeier dice espressamente dedicato a El Salvador. 173) A. Moreno Mendoza, Úbeda renacentista cit., pp. 45-46 e nota 39 (p. 64); Idem, Francisco de los Cobos, mecenas de las artes cit., p. 36 e nota 51 (p. 39); Idem, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., p. 55 e nota 4 (p. 68). La segnatura archivistica si trova precisata solo nell’ultimo di questi tre contributi. 174) A. Moreno Mendoza, Úbeda renacentista cit., p. 46; Idem, Francisco de los Cobos, mecenas de las artes cit., p. 36; Idem, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., p. 55 e nota 5 (p. 68). La posizione d’archivio si ricava solo dal terzo di quesi tre contributi. 175) Sopra, testo e nota 54. 176) H. Keniston, Francisco de los Cobos cit., p. 325. 177) A. Moreno Mendoza, Úbeda renacentista cit., p. 46 e nota 41 (p. 64); Idem, Francisco de los Cobos, mecenas de las artes cit., p. 36 e nota 53 (p. 39); Idem, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., p. 55 e nota 6 (p. 68). Sono intervenuto sulle abbreviazioni, la divisione delle parole, i segni diacritici e l’interpunzione, così come faccio d’abitudine per i documenti antichi che (a differenza di questo) controllo sugli originali. Il brano è anche presso M.-T. Álvarez Oller, Francisco de los Cobos: su gusto y mecenazgo cit., p. 42 e nota 28 (p. 47), dove non porta data, è stato mutilato in modo incomprensibile, e reca una segnatura diversa da quella di Moreno Mendoza, ma corrispondente (sia pure con errori) a quella dell’inventario del 1586 reso anch’esso noto – come accennerò tra poco – da tale studioso. In effetti tutto il testo della Álvarez Oller è un pasticcio. 178) A. Moreno Mendoza, El San Juanito atribuido a Miguel Ángel cit., p. 56 e nota 7 (p. 68). 179) Sul ruolo decisivo avuto dalla politica e dagli intrighi imperiali e spagnoli nella morte di Lorenzino fa ora nuova luce S. Dall’Aglio, L’assassino del duca cit. 180) Così come ho fatto sinora in queste pagine, nelle trascrizioni dai mss. uso le quadre per inserire integrazioni e miei commenti, mentre gli uncini semplici racchiudono le parti presenti negli originali come cassate. 181) Diario fiorentino di anonimo delle cose occorse l’anno 1537, a cura di Roberto Ridolfi, nell’‘Archivio Storico Italiano’, CXVI, 1958, pp. 544570. 182) Innocenzo Cybo, figlio di una sorella di papa Leone X, e primo cugino di Maria Salviati madre di Cosimo I, anche lei figlia di una sorella del pontefice. È ben noto che il sostegno del Cybo a Cosimo, pur essendo formalmente pieno a quest’epoca, era già assai minato da vari fattori. La rottura tra i due si sarebbe consumata nel 1540, causando la partenza definitiva del cardinale da Firenze. 183) Diario fiorentino di anonimo delle cose occorse l’anno 1537 cit., p. 549. 184) Ivi, p. 556. 185) Ivi, pp. 556-557. 186) Ivi, pp. 565-566. 187) ASS, Balia, Carteggio, fasci 644-652. Tale fonte fu segnalata e pubblicata in piccola parte da Cesare Paoli ed Eugenio Casanova, Cosimo I de’ Medici e i fuorusciti del 1537 (da lettere di due oratori senesi), nell’‘Archivio storico italiano’, s. V, XI, 1893, pp. 278-338, interessati a estrarne quasi soltanto le notizie relative ai movimenti dei fuorusciti e alla loro sconfitta da parte di Cosimo. Ho riscontrato i documenti sugli originali d’archivio, che nel frattempo hanno subìto un riordinamento, cambiando le collocazioni. L’ambasciatore senese partito per Firenze a seguito dell’assassinio del duca Alessandro fu Girolamo Spannocchi, e portò con sé come segretario Girolamo Tantucci. Rientrato lo Spannocchi a Siena dopo pochi giorni, a partire dal 29 gennaio 1536/37 gli subentrò nella funzione il Tantucci. Di fatto tutti i dispacci prima e dopo quella data sono di mano del Tantucci. 188) ASS, Balia, 645, ins. 29, c. [1]r; C. Paoli ed E. Casanova, Cosimo I de’ Medici e i fuorusciti del 1537 cit., p. 297 (dove è caduto il secondo “che” del manoscritto). 189) ASS, Balia, 645, ins. 31, c. [1]r; C. Paoli ed E. Casanova, Cosimo I de’ Medici e i fuorusciti del 1537 cit., p. 297. 190) ASS, Balia, 645, ins. 56, c. [1]r; C. Paoli ed E. Casanova, Cosimo I de’ Medici e i fuorusciti del 1537 cit., p. 301, con l’inversione “li hanno messo publicamente taglia alcuna”. Per gli ulteriori aggiornamenti forniti da questo carteggio sul bando contro Lorenzino mi limito a rimandare ivi, pp. 314 (24.4.1537) e 316 (13.5.1537). 191) È una sola carta scritta sul recto; il verso è bianco. 192) Le prime due parti poste qui in corsivo sono delle aggiunte originarie, al margine sinistro del testo; la terza e ultima è frutto di una correzione interna al testo. 193) Si tratta di un bifolio scritto nelle prime tre pagine. Questo documento (segnalato da G.O. Corazzini, Il Chiasso del Traditore e la casa di Lorenzino de’ Medici cit., p. 178 e nota 2 [p. 183]) non risulta mai stampato finora nella sua integrità originale, sebbene ve ne sia una traduzione francese presso Pierre Gauthiez, Lorenzaccio (Lorenzino de Médicis), 1514-1548, Albert Fontemoing, éditeur, Paris 1904, pp. 287-289 (cfr anche p. 452). Di recente S. Dall’Aglio, L’assassino del duca cit., pp. 328-330 n. VI, ha però pubblicato la sentenza degli Otto di Guardia e Balia che ha dato luogo al bando (20 90. Michelangelo: ‘Sadoch bambino’ (particolare della fig. 91) . Città del Vaticano, Palazzi Apostolici, Cappella Sistina. [Saggi] 79 aprile 1537). Cfr anche ibidem, pp. 63-64 e note 311-317. Tralascio in questa Appendice I il successivo bando contro i due complici di Lorenzino (30 aprile 1537), che ho segnalato e brevemente citato sopra, testo e nota 136. 194) BNCF, ms. Baldovinetti 243 (= Grandi Formati 161) e ms. Baldovinetti 245 (= Grandi Formati 163). Sull’autore, meno famoso degli altri scrittori di cose fiorentine riportati in questa Appendice I, si veda Roberto Cantagalli, Baldovinetti, Francesco, nel Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, V, 1963, pp. 517-518 (il quale non ricorda nessuno dei due prioristi). 195) BNCF, ms. Baldovinetti 243 cit., c. 208v. 196) Cfr anche App. I, n. 7 (Bernardo Segni). 197) BNCF, ms. Baldovinetti 245 cit., c. 238r. 198) Ivi, c. 239r. 199) Pauli Iovii opera, cura et studio Societatis Historicae Novocomensis denuo edita, Istituto Poligrafico dello Stato - Libreria dello Stato, Roma, IV, Pauli Iovii Historiarum sui temporis, curante Dante Visconti, tomi secundi pars prior, 1964, pp. 448449. 200) La seconda parte dell’Historie del suo tempo di mons. Paolo Giovio vescovo di Nocera, tradotte per m. Lodovico Domenichi cit., p. 715. 201) Innocenzo Cybo: sopra, nota 182. 202) Istorie della città di Firenze di Iacopo Nardi, ridotte alla lezione de’ codici originali [Ricc. 1536 80 [Saggi] 91. Michelangelo: ‘Azor, sua moglie e il figlio Sadoch’ (tra il 1508 e il 1510). Città del Vaticano, Palazzi Apostolici, Cappella Sistina. e 1527-1528] con l’aggiunta del decimo libro inedito e con annotazioni per cura e opera di Lelio Arbib, A spese della Società Editrice delle Storie del Nardi e del Varchi, Firenze 1838-41, II, p. 326. 203) S’intende Cafaggiolo. Cfr App. I, n. 4.b (Francesco Baldovinetti). 204) Cfr Istorie fiorentine dall’anno MDXXVII all’anno MDLV scritte da Bernardo Segni cit., p. 329. La tradizione ecdotica delle Storie di Segni è tuttavia complessa. Poiché il brano è stato scelto per l’ottima antologia Storici e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di Angelo Baiocchi e Simone Albonico, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli MCMXCIV, mi baso – con qualche ritocco – sul testo provvisto da Albonico per tale volume, pp. 698-699. 205) Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III cit., pp. 279-280. Il passo è ora anche negli Storici e politici fiorentini del Cinquecento cit., pp. 804805 (con varianti poco significative in questa sede). 206) Storia fiorentina di Benedetto Varchi cit., III cit., pp. 307-308; e Storici e politici fiorentini del Cinquecento cit., pp. 824-825 (con varianti senza peso contenutistico). 207) Istoria de’ suoi tempi di Giovambatista Adriani cit., ed. 1583 cit., p. 11; Istoria de’ suoi tempi di Giovambatista Adriani cit., I cit., ed. 1822 cit., pp. 31-32. 208) Vita del serenissimo signor Cosimo de’ Medici primo granduca di Toscana, scritta da Giovam- batista Cini cit., pp. 29-30. Di questa opera importante, vera e propria biografia ‘autorizzata’ di Cosimo I, esiste alla BNCF, mss. II.IV.187-188 (dono Foresi, 1874), il prezioso antigrafo (in due tomi), ricco di correzioni e censure praticate prima dall’autore (forse), e poi da suo figlio Francesco, curatore della princeps del 1611, dedicata dai Giunti al granduca Cosimo II. Per la testimonianza che m’interessa, prendo dal ms. II.IV.187, c. 33v (e la metto in corsivo), la chiusa – assai significativa – caduta dalla stampa. Sempre sulla base del ms. II.IV.187, c. 32v, correggo in “alcuni più modesti et più quieti” il passaggio “alcuni più molesti et più quieti” della stampa. 209) Vita del serenissimo signor Cosimo de’ Medici cit., p. 32; BNCF, ms. II.IV.187 cit., cc. 35v-36r (dove “più di dieci mila scudi” è l’esito di una correzione su “più di quattro mila scudi”). 210) Firenze, Biblioteca Moreniana, ms. 269, Priorista della città di Firenze a tratte (frontespizio) [1584 o poco dopo], c. 322r. Per il codice: [Carlo Nardini], Provincia di Firenze. I manoscritti della Biblioteca Moreniana, Firenze, I, Tipografia Galletti e Cocci, 1903-12, pp. 302-303 n. 269. 211) Cfr ora M. Hirst, Michelangelo. I. The achievement of fame cit., pp. 264-265 e nota 95 (p. 376). 212) BNCF, ms. Baldovinetti 243 (= Grandi Formati 161), c. 209v, e ms. Baldovinetti 245 (= Grandi Formati 163), c. 243r-v (cito da c. 243r). Su questi manoscritti si veda sopra, App. I, 4, e nota 194. 213) Diario fiorentino di anonimo delle cose occorse l’anno 1537 cit., pp. 554 e 555. 214) Ivi, p. 561. Cfr anche l’informazione spedita l’indomani al governo di Siena dal suo ambasciatore a Firenze, Girolamo Tantucci: “Perché Vostre Signorie Illustrissime sieno ragguagliate di tutte le cose, ancorché non di molta importanza, lo [sic] dico per questa come si sono trovate in certi agguattatoi in casa di Bartolomeo Valori molte armi, tra le quali ho inteso erano intorno a cinquanta partigianoni, picche et giacchi, tal che havrebbe possuto armare più che cento vinti homini; et sono stati presi il maestro di casa et due suoi servitori. Ragionasi che si procederà contro di lui all’esecutione della pena secondo i bandi. Et si vede le haveva nascoste già fino al tempo del duca Alessandro” (ASS, Balia, 645, ins. 90, c. [1]r, già, con qualche minima differenza di lettura, presso C. Paoli ed E. Casanova, Cosimo I de’ Medici e i fuorusciti del 1537 cit., p. 305). 215) Diario fiorentino di anonimo delle cose occorse l’anno 1537 cit., p. 562. 216) ASF, Otto di Guardia e Balia del Principato, 15 (Liber deliberationum, dal 1°.1.1536/37 al 30.4.1537), c. 81v. 217) Diario fiorentino di anonimo delle cose occorse l’anno 1537 cit., p. 566. 218) Sopra, nota 135. 219) Nel giugno 1533, poco prima di cominciare per Ferrante Gonzaga il dipinto da spedire poi a Cobos, Sebastiano del Piombo aveva chiesto a Nino Sernini, emissario del suo committente, se a Cobos “contentasse più una Nostra Donna ch’avesse il Figliol morto in braccio a guisa di quella dela Febre [cioè la ‘Pietà’ vaticana di Michelangelo], il che li spagnuoli, per parer buon cristiani et divoti, sogliono amare questi [sic] cose pietose, o pur vuole una Nostra Donna bella, con [il] Figliuolo in braccio et un San Giovani Battista che faccia seco un poco di moreschina, come il più delle volte si sogliono dipingere” (M. Hirst, Sebastiano’s Pietà for the Commendador Mayor cit., p. 587). 92. Michelangelo: ‘Apollo’ di Casa Valori (1530-32 circa). Firenze, Museo Nazionale del Bargello. [Saggi] 81 English Abstracts The Medici ʻSan Giovanninoʼ by Michelangelo, from Florence to Úbeda Francesco Caglioti For almost half a century art historical literature has concurred that the marble ‘San Giovannino’ (“Young Saint John the Baptist”) carved by Michelangelo for Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici is an entirely lost and unknown work. This article, already announced by the author in 2000, seeks instead to demonstrate that it is one of the six or seven candidates unsuccessfully proposed by scholars up to 1964, and indeed the least successful of all: the ‘San Giovannino’ that belonged to Francisco de los Cobos (c. 14771547), secretary of the Emperor Charles V, and was given by him to his chapel-mausoleum of El Salvador in Úbeda (Andalusia) – a sculpture with a doubly unfortunate fate, as it was half destroyed in 1936, during the Spanish Civil War. The statue’s attribution to Michelangelo, proposed by Manuel Gómez-Moreno in 1930, has been systematically rejected or overlooked by scholars to the present day, and the author must therefore reiterate it, as if for the first time. The article opens with a comprehensive review of the bibliography on the Medici ‘San Giovannino’ that aims to show how the statue in Úbeda has never been able to assert itself among other candidates, above all because of the crushing critical weight of some among those who most strongly favoured these other works (including Wilhelm Bode, Heinrich Wölfflin and Roberto Longhi). There follows a census of all the images of the Úbeda statue prior to 1936 that can be identified in historic European photographic archives (published here as figs. 1-17). Before a stylistic and qualitative reading of the work – the starting-point of the author’s research, and at the very heart of this article – there is a sort of digression on the terminology and iconography of “San Giovannino” during the Renaissance. The diminutive term “Giovannino”, now used indiscriminately in Italian to denote all images of the Precursor as infant, child, adolescent or young man, was limited during the Renaissance to his infancy and childhood: thus none of the old candidates proposed as Michelangelo’s Medicean commission is a ‘San Giovannino’, except the one in Úbeda. This section of the essay also casts light on the extraordinary novelty of the sculp- ture that belonged to Cobos with respect to the statuary images of the Baptist as a child or adolescent produced before the sixteenth century. The revelation of the work’s style and quality benefits from comparison with many other sculptures and paintings by Michelangelo, but especially the ‘Bacchus’ and the so-called “Manchester Madonna”, which allows the dating of the Úbeda statue to be narrowed down to 1495-96, that is, to the years in which the ‘San Giovannino’ cited by Ascanio Condivi and Giorgio Vasari has always been dated (thanks to their mentions of it). The reattribution to Michelangelo of the statue in Úbeda quite naturally leads to the certainty that it once belonged to Pierfrancesco di Lorenzo di Giovanni’s branch of the Medici family. Curiously no one who studied the ‘San Giovannino’, except for John Shearman (1975), has ever come to the conclusion – an elementary one – that the work must have remained in the Medici’s Casa Vecchia in Florence until the assassination of Duke Alessandro by Lorenzino in 1537: but at this point Shearman, who did not believe in the statue in Úbeda, nor in the other statues of Saint John proposed as works by Michelangelo, gave up his research. Another certainty, easy to infer from early sources, is that immediately after Lorenzino fled from Florence, all the goods of the younger branch of the Medici passed to Cosimo I, the sole legitimate descendant of Pierfrancesco still in Florence, and new Lord of the city and its state. From Cosimo to Cobos the passage is entirely smooth, since it is well known that during the months of his rise to power, Cosimo put his whole trust in an alliance with Charles V through his omnipotent secretary (who was accustomed to diplomatic gifts from Italian rulers in the form of works of art, such as the paintings by Titian he received from Federico II Gonzaga and Alfonso I d’Este). Letters in the Mediceo del Principato correspondence in the Florence State Archives confirm that in the summer of 1537 Cosimo made a gift to Cobos, sent directly to him in Andalusia, of a “statua”: this can only be the ‘San Giovannino’ documented shortly thereafter at Sabiote (a feudal property that passed to Cobos precisely in that year), and finally in the chapel of El Salvador in Úbeda, founded in 1536. A first appendix of archival and historical sources on how Medici property passed from Lorenzino to Cosimo I in 1537 is followed by a second appendix that shows how when he shipped Michelangelo’s ‘San Giovannino’ to Cobos, Cosimo must have already owned a second statue by the same master, which had entered his possession after the political unrest of those months: the ‘Apollo’ made for Baccio Valori, which always remained in the Medici collection, unlike the ‘San Giovannino’ that ended up in Spain. (translated by Frank E. Dabell) Two terracotta models for ʻAngels with Cloudsʼ by Antonio Raggi and Giuseppe Mazzuoli. On the didactic function of preparatory models in Rome at the time of the Chigi dynasty Alessandro Angelini Three terracotta models from the workshop of the Mazzuoli sculptors, situated on the high altar of the oratory of San Gaetano da Thiene in Siena, were concealed by a 19th-century canvas which had prevented them from being seen or known about. While the two models of ‘Adoring angels’ should be by Bartolomeo Mazzuoli, the larger model representing ‘Angels with Clouds’ is the autograph work of Giuseppe Mazzuoli and preparatory to the celebrated crowning element with tabernaclesupporting angels for the high altar of the Sienese church of San Martino. This group, sculpted around the year 1700, confirms the significant and already documented points in common between the Sienese sculptor and the Jesuit architect Andrea Pozzo in connection with the designs prepared by the latter for the altar of the blessed Luigi Gonzaga in the church of Sant’Ignazio; designs which, although not actually executed, were extensively illustrated in the second tome of Pozzo’s treatise Perspectiva (1700). The present discovery indirectly focuses scholarly attention on the ‘Angel in Flight’ of the Chigi Saracini Collection in Siena. This clay model, covered in an old grey patina, which gives it the semblance of a small bronze and ennobles its appearance, had in fact been linked by critics to Mazzuoli’s invention for the same crowning element of the San Martino altar. However, the considerable compositional and stylistic differences, the flair, the freshness of the modelling, the originality of the cut of the figure belonging to the Chigi Collection, far surpass the already rare skills of Mazzuoli and place it closer to the great creativity of Bernini. Here we propose to connect the terracotta with the ‘Angel in Flight’ with a large angelic figure for the canopy in gilded stucco – the so-called ‘Gloria del Paradiso’ – of the Cathedra Petri in St Peter’s basilica in the Vatican, on which Bernini, as is known, worked from 1657 to 1666 on the commission of Alessandro VII Chigi. We know from Vatican documents that in order to complete that formidable project more swiftly, the great master employed his most talented pupils, like the Lombard Antonio Raggi, not only to execute bronzes and stuccos but also to create models for the angels of the canopy’s sunburst. In 1660, in fact, work on the ‘grande macchina’ of the Cathedra Petri accelerated considerably and more significantly the structure became much larger compared to the original idea of the person commissioning it, eventually becoming that immense construction whose sheer size was capable of covering Michelangelo’s apse entirely. This is why Bernini had to rely on the excellent abilities of Raggi, his most highly esteemed pupil, to carry forward work on the altar-reliquary even in certain preliminary phases. It is known, again from documentary sources, that the large Angel, to which our ter[English Abstracts] 99 racotta is related as a first ‘thought’, then later partly modified, was in fact executed by Raggi, who must therefore also have been the author of the preparatory model, as we are presently proposing. We shall also attempt to reconstruct the chronology and changes of ownership of the clay sculpture, investigating the interest in these extraordinary items, in the sphere of the collectionism of Cardinal Flavio Chigi, who was probably the first owner of the model and probably commissioned the Cattedra. Bernini’s model with ‘Saint Jerome Penitent’ for the great marble of Siena cathedral, today also in the Chigi Saracini Collection, and the model with ‘Charity’ of the funeral monument of Alexander VII in St Peter’s, in the deposits of the ‘Soprintendenza ai Beni storici artistici e etnoantropologici’ of Siena and Grosseto, also probably belonged to the same Roman collection. Here we propose to investigate the didactic importance these models had for young sculptors in the Flavio Chigi collection in the Giardino alle Quattro Fontane in Rome. Copyright delle immagini Francesco Caglioti, Il ‘San Giovannino’ mediceo di Michelangelo, da Firenze a Úbeda Figg. 1-2, 6, 13-14, 44, 54, 56: Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Centro de Ciencias Humanas y Sociales, Madrid; figg. 3, 5, 7-12, 15-17, 24, 42, 46, 48, 50, 59, 62, 69, 71, 75, 77, 80, 82, 89: Kunsthistorisches Institut in Florenz; figg. 4, 34, 52, 67: Fundació Institut Amatller d’Art Hispànic (Arxiu Mas), Barcellona; figg. 19-20, 31, 33: Réunion des Musées Nationaux, Parigi; figg. 25, 37: The Morgan Library and Museum, New York; figg. 30, 32: archivio autore; fig. 39: The Metropolitan Museum of Art, Altman Collection, New York; figg. 45a-45b: autore; figg. 49, 66: Polo Museale Fiorentino - Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze; figg. 51, 53, 57, 61, 64, 68, 70, 84: The National Gallery, Londra; fig. 58: Paolo Tosi, Firenze (su commissione dell’autore); fig. 74: Soprintendenza Beni A.P.S.A.E. di Arezzo (Alessandro Benci); fig. 76: Royal Academy of Arts, London; fig. 86: Patrimonio Nacional, Madrid; figg. 9091: Musei e Gallerie Pontificie, Città del Vaticano. 100 [English Abstracts] Alessandro Angelini, Due bozzetti in terracotta per ‘Angeli con nuvole’ di Antonio Raggi e di Giuseppe Mazzuoli. Sulla funzione didattica dei modelli preparatori nella Roma di età chigiana Figg. 1, 4-8, 15, 17-19, 21: Laboratorio fotografico, Dipartimento di Scienze storiche e dei Beni Culturali (Fausto Lucherini) - Università degli Studi di Siena; figg. 3, 24: Studio Lensini foto, Siena; figg. 9, 10, 12: Biblioteca Comunale degli Intronati, Siena; figg. 16, 20: Kunsthistorisches Institut in Florenz; fig. 14: Reverenda Fabbrica di San Pietro, Città del Vaticano; fig. 22: Musei e Gallerie Pontificie, Città del Vaticano; fig. 25: Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Siena e di Grosseto; fig. 26: Ariccia, Palazzo Chigi. Le rimanenti foto sono state fornite dall’autore. Errata corrige. p. 8, col. 2, r. 26: ‘San Giovannino > ‘San Giovannino’ p. 42, App. 1.d, r. 13: magistrtato > magistrato p. 49, col. 2, r. 4 dal basso: era congiunte > eran congiunte p. 51, col. 1, r. 6: e il fratello, Filippo > e il cugino, Filippo p. 61, col. 3, r. 2: Carl Kusti > Carl Justi p. 66, col. 1, r. 7: 1568, p. 3 > 1568, p. 7 p. 67, col. 1, nota 10, r. 2: rr. 3-4: a supplement > Eadem, Giovannino Battista: a study cit., > a study ivi, p. 70, col. 3, rr. 12-13: banchiere fiorentino banchiere romano >