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Università Ca' Foscari Venezia - Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di laurea in Filosofia Tesi di Laurea Triennale A.a.: 2008-2009 IL FENOMENO E L'ALTRO Husserl e la trasformazione intersoggettiva della filosofia trascendentale Laureando: Relatore: Marco Cavallaro chiar.mo prof. Mario Ruggenini Matricola: 820435 1 Indice p. 5 Introduzione 9 Capitolo primo: SCOPI E METODI DELLA FENOMENOLOGIA HUSSERLIANA 11 § 1: La sfida scettica al sapere filosofico e la scoperta di Descartes 14 § 2: Husserl e la critica dell'atteggiamento naturale 17 § 3: Differenze tra metodo cartesiano e metodo fenomenologico 19 § 4: Il principio di evidenza 23 § 5: L'ε̉ποχή fenomenologico-trascendentale 26 § 6: La circolarità dell'argomentazione husserliana 28 § 7: La riduzione trascendentale dell'essere del mondo 31 § 8: La via “ontologico-kantiana” alla riduzione 37 Capitolo secondo: ANALISI FENOMENOLOGICA DEL TERRITORIO TRASCENDENTALE E PROBLEMATICA DEL METODO EIDETICO 39 § 1: La natura del fenomeno e l'originarietà dell'orizzonte trascendentale 42 § 2: Il problema della riduzione 2 p. 45 § 3: Flusso eracliteo degli Erlebnisse puri e scientificità del metodo fenomenologico 47 § 4: L'eidetica husserliana 51 § 5: Il rapporto tra dati di fatto ed essenze 53 § 6: Il significato dell'a priori in Husserl e Kant 55 § 7: Il metodo della variazione eidetica 59 Capitolo terzo: STRUTTURE GENERALI DELLA COSCIENZA PURA E PROBLEMATICA COSTITUTIVA 60 § 1: L'essenza del fenomeno 62 § 2: Materia e forma della manifestazione 64 § 3: La temporalità come a priori dell'esperienza 66 § 4: Le sintesi associative 70 § 5: Il processo di costituzione passiva del noema 74 § 6: Noema e realtà 75 § 7: Le sensazioni cinestetiche 81 Capitolo quarto: L'INTERSOGGETTIVITÀ TRASCENDENTALE E L'IDEALISMO FENOMENOLOGICO 81 § 1: L'accusa di solipsismo 84 § 2: L'io puro 85 § 3: Il problema della distinzione tra dominio trascendentale ed empirico 87 § 4: La riduzione alla sfera del proprio 90 § 5: L'autoappercezione mondanizzante 3 p. 93 § 6: La base concreta della monade husserliana 96 § 7: La Paarung originaria 98 § 8: L'Einfühlung 100 § 9: L'intersoggettività trascendentale 107 Conclusione: LA FENOMENOLOGIA HUSSERLIANA TRA PRIMATO DELLA SOGGETTIVITÀ E RUOLO COSTITUTIVO DELLA MONADOLOGIA TRASCENDENTALE 113 Riferimenti bibliografici 4 Ringraziamenti Nei lunghi mesi che hanno assistito alla nascita di questa prima fatica “filosofica”, innumerevoli sono state le persone che mi hanno aiutato lungo il sentiero. Vorrei innanzitutto ringraziare il prof. Mario Ruggenini per i preziosi consigli relativi non soltanto al tema specifico affrontato, ma anche per le suggestioni di più ampio respiro relative alla “professione” filosofica in senso lato; e il prof. Lucio Cortella per la disponibilità accordatami con la lettura del primo manoscritto, in seguito completamente rivisto in base alle sue indicazioni. Nella lista dei ringraziamenti non possono non rientrare tutte le persone che quotidianamente animano la mia personale “comunità monadica”: i miei genitori, mia sorella, Giulia. 5 Introduzione “Fin d'ora s'avverte come il tema dell'intersoggettività sia il grande amore per cui la fenomenologia husserliana vive e di cui essa è destinata a perire” Aldo Masullo1 Il titolo del presente saggio mette in primo piano i due concetti fondamentali che hanno guidato idealmente le nostre ricerche attorno la filosofia di Edmund Husserl. Il termine “fenomeno” non può che fare riferimento alla generale impostazione metodologica inaugurata dal filosofo moravo e che si mantiene perlopiù inalterata nel corso dell'evoluzione del suo pensiero. I primi tre capitoli affrontano nello specifico la fenomenologia, intesa come metodo d'indagine “rigoroso” e “scientifico”. Viene anzitutto messa in luce la fondamentale problematica gnoseologica che guida i primi passi della riflessione husserliana a partire dalla serie di lezioni del 1905, intitolate poi Die Idee der Phänomenologie. Quest'ultimo scritto testimonia il nuovo corso dell'opera husserliana, prima impegnata in considerazioni più specifiche ma non di minor valore teoretico2. Al centro del pensiero husserliano vi è la necessità di riproporre il tradizionale problema della verità intesa in senso forte (ε̉̉πιστήμη), che all'epoca veniva avversato da due principali correnti di pensiero: il naturalismo scientifico e la filosofia delle 1 Aldo Masullo, La comunità come fondamento, Libreria Scientifica Editrice, Napoli, 1965, p. 267 2 Cfr. le due opere “giovanili” di Husserl: Philosophie der Arithmetik. Pyschologische und logische Untersuchungen, C. E. M. Pfeffer, Halle-Saale, 1891; e le fondamentali Logische Untersuchungen in cui si intravedono le prime luci del metodo fenomenologico, pubblicate in due volumi separati: Logische Untersuchungen. Erster Teil: Prolegomena zur reinen Logik, Max Niemeyer, Halle-Saale, 1900 e Logische Untersuchungen. Zweiter Teil: Untersuchungen zur Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis, Max Niemeyer, Halle-Saale, 1901. 6 Weltanschaungen3. Di fronte a questi due capisaldi dell'ambiente accademico tedesco coevo, Husserl decide di compiere una scelta anacronistica riproponendo, in uno scenario culturale sempre più permeato da istanze scettiche, l'antica soluzione cartesiana. La fenomenologia può, dunque, definirsi come “nuovo cartesianesimo”, rivisitando la celebre formula del cogito ergo sum che pone in primo piano l'esperienza del soggetto di contro all'essere relativo e non assoluto del mondo. L'indagine filosofica, in tal modo, non può più fare affidamento alle validità del conoscere naturale in quanto risultano prive di quella certezza che costituisce l'indice di ogni validità teoretica. La coscienza che intende cogliere un nocciolo stabile di verità di fronte alla non apoditticità di tutte le presunte certezze mondane, non può che attuare un rivolgimento riflessivo su di sé. Diviene, quindi, tema specifico delle analisi fenomenologico l'orizzonte infinito di fenomeni della coscienza che, in quanto immanenti, godono di uno status di maggior validità teoretica. L'applicazione del metodo cartesiano, rivisitato alla luce delle nuove considerazioni svolte da Husserl, ha messo in luce un nuovo orizzonte che richiede un metodo peculiare di indagine. Di questo nuovo argomento si occupa il secondo capitolo sull'eidetica husserliana, tentando di definirne i tratti essenziali oltre che i limiti costitutivi. La terza parte del saggio tratta, invece, la problematica costitutiva, fondamentale per chiarire il rapporto tra dimensione empirica e trascendentale e in generale per verificare le possibilità di applicazione del metodo husserliano ai principali fenomeni della coscienza. L'ultimo capitolo giustifica l'utilizzo del secondo concetto espresso nel titolo. Il termine “altro” fa riferimento qui ad un duplice significato: quello di estraneità (fremd) nei confronti della sfera egologica solipsistica svelata attraverso il metodo fenomenologico; e il significato di “alterità (alter) nel suo ruolo costitutivo, in cui si 3 Per il giudizio di Husserl nei confronti di queste due prospettive filosofiche, entrambe ricollegabili alla più generale tendenza “scettica” prevalente nella cultura europea di inizio XX secolo, cfr. Edmund Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, trad. it. di C. Sinigaglia, Laterza, Roma-Bari, 1994. 7 sottolinea il senso intersoggettivo della costituzione stessa”4. Queste due accezioni, in particolare la seconda, permettono una rivisitazione completa della prospettiva filosofica husserliana, tanto da mettere in dubbio l'interpretazione tradizionale dell'idealismo fenomenologico. In particolare si prenderà in considerazione la descrizione dell'esperienza dell'alter ego contenuta nella Quinta Meditazione Cartesiana, unico luogo dell'opera edita in cui Husserl affronta nello specifico questo tema. I limiti della presente trattazione sono dovuti in gran parte al non aver potuto consultare in lingua originale non soltanto le prove più impegnative e famose del pensiero husserliano, ma soprattutto i tre volumi della Husserliana che trattano in modo specifico del tema dell'intersoggettività trascendentale5 e avrebbero consentito un più adeguato sviluppo argomentativo delle nostre indagini. Compiute tali considerazioni, risulta evidente che la promessa contenuta nel titolo, e cioè quella di articolare in modo dettagliato la “trasformazione”6 husserliana della filosofia trascendentale, è stata mantenuta solo in parte. Il lettore, dunque, si troverà di fronte a due opzioni: o accettare la tesi ivi contenuta sulla base di motivazioni ben più valide di quelle che sono state impiegate; o criticare tale posizione consentendo in tal modo all'autore di articolare ben più saldamente le proprie posizioni attraverso un itinerario di ricerca da svolgere in futuro. 4 Laura Scarpat, Un'espressione sbagliata e un penoso enigma in Leitmotiv – 3/2003, http://www.ledonline.it/leitmotiv, p. 132. 5 Cfr. Voll. XIII, XIV e XV della Husserliana, intitolati Zur Phänomenologie der Intersubjecktivität a cura di Iso Kern e ricoprenti un arco di tempo che va dal 1905 al 1935. 6 Il termine che abbiamo scelto fa riferimento all'ormai celebre opera di Karl-Otto Apel, Transformation der Philosophie, 2 voll, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1973. Naturalmente è ovvia la distanza insormontabile che separa i due autori, i quali giungono attraverso vie completamente differenti a formulare una filosofia trascendentale di tipo intersoggettivo. Rimane chiara, inoltre, la distinzione del concetto di trascendentale nelle due rispettive opere: se Husserl può fare riferimento alla tradizione moderna, in particolare a Descartes, Hume e Kant come i principali rappresentanti della concezione trascendentale; Apel si discosta apertamente da tutta questa tradizione intendendo compiere una “svolta” decisiva in seno alla pensiero filosofico occidentale. La citazione dell'opera di Apel ci è servita, dunque, solamente ad evocare il significato della parola “trasformazione” contenuta nel titolo. 8 9 Capitolo primo: SCOPI E METODI DELLA FENOMENOLOGIA HUSSERLIANA La filosofia di Husserl è considerata in modo unanime dalla critica storiografica uno dei pochi e isolati tentativi novecenteschi di soluzione del problema dell'episteme7. Fin dagli albori del pensiero filosofico occidentale la maggiore preoccupazione di chi esercitava la propria capacità riflessiva si esplicava nella ricerca di un fondamento inconcusso in grado di legittimare la conoscenza umana. Parmenide, per primo, dichiarò la differenza fondamentale tra mero opinare (δόξα) e sapere valido (ε̉̉πιστήμη), prospettando in tal modo il compito di giungere ad un sapere incontrovertibile sull'essere che si collocasse al di là dell'orizzonte di certezze rappresentato dal nostro senso comune. Husserl si colloca direttamente all'interno di questo filo conduttore (Leitfaden) ereditato dalla tradizione occidentale antica. Al tempo stesso egli è però consapevole che nonostante la sua millenaria e, per lo più, fallimentare vicenda, l'idea “parmenidea” di ricerca filosofica, intesa rigorosamente come ricerca della verità incontrovertibile, non può e non deve essere abbandonata. Infatti, in quanto “idea”, 7 Cfr. l'interpretazione di Klaus Held dell'assunto fondamentale del metodo fenomenologico, ovvero l'assenza di pregiudizi “Husserl's actual goal was for a radically unprejudiced knowledge, which was in no way a new ideal of philosophy. By freeing itself of prejudice, philosophy has wanted to distinguish itself from simple opinion since ancient times” (in Klaus Held, Husserl's Phenomenological Method in (a cura di) Donn Welton, The New Husserl, Indiana University Press, Indianapolis & Bloomington, 2003, p. 7). 10 ovvero limite ideale nei cui confronti la realtà empirica si trova sempre in uno stadio inferiore, tale ricerca diviene sinonimo di un “compito infinito”8, ovvero di una tensione perenne in direzione di una completa idealizzazione del reale, di un focus immaginarium in grado di influenzare quantomeno la prassi concreta dell'uomo filosofo. La preziosa eredità della filosofia antica non va rintracciata, quindi, nella sfera dei concetti e delle dottrine caratteristiche sorte all'interno della fucina culturale ellenica, quanto all'interno di quel telos, quella volontà originaria che informava di sé i primi passi del pensiero occidentale. Lo sguardo retrospettivo di Husserl nei confronti dell'avvicendarsi dei sistemi filosofici, dunque, non può che mettere in luce una sorta di progresso lineare proprio alla vicenda storico-culturale dell'umanità, diretto teleologicamente dall'idea-fine di sapere incontrovertibile. La ricerca dell'ε̉̉πιστήμη, di quel sapere cui spetta la capacità di “stare su” in modo saldo e sicuro9, rappresenta la passione fondamentale che sta alla base di ogni sincero filosofare; non riconoscere il privilegio che gli spetta nei confronti di ogni ulteriore domanda filosofica significa, secondo Husserl, consegnare il proprio destino teoretico infallibilmente nelle mani di una qualche forma, più o meno esplicita, di scetticismo filosofico. Se ad ogni “passione”, infatti, si lega sempre un “patire”, l'origine della sofferenza più grande per ogni vero filosofo deve essere costituita dalla sfida scettica alla possibilità di un sapere scientificamente valido e incontrovertibilmente fondato10. 8 “Il telos spirituale dell'umanità europea [...], è in una prospettiva infinita, è un'idea infinita verso cui tende di nascosto, per così dire, il divenire spirituale nel suo complesso”, scrive Husserl nella famosa conferenza intitolata La crisi dell'umanità europea e la filosofia (Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. it. di E. Filippini, il Saggiatore, Milano, 2008, p. 334). 9 Cfr. Emanuele Severino, La filosofia antica, Rizzoli, Milano, 2002, p. 24. Scrive Severino, analizzando l'origine di un termine così fondamentale per la filosofia: “se noi traduciamo questa parola [επιστήμη] con «scienza» trascuriamo che essa significa, alla lettera, lo «stare» (stéme) che si impone «su» (epì) tutto ciò che pretende di negare ciò che «sta»: lo «stare» che è proprio del sapere innegabile e indubitabile e che per questa sua innegabilità e indubitabilità si impone «su» ogni avversario che pretenda di negarlo o metterlo in dubbio” (Ibidem). 10 Ed è per questo che Husserl sembra assegnare allo scetticismo un posto altrettanto essenziale nella storia del pensiero filosofico. La lezione nove della Parte Prima di Erste Philosophie è per 11 §1: La sfida scettica al sapere filosofico e la scoperta di Descartes Il punto di vista scettico consiste nell'assumere che ogni tentativo di conoscere la realtà così com'è trova di fatto un ostacolo insormontabile nella situazione paradossale per cui esso stesso si rivela, per sua intrinseca natura, un fenomeno soggettivo, cioè relativo ad una esperienza individuale e limitata11. L'essere in sé delle cose, il loro aspetto oggettivo resta, di conseguenza, sempre nascosto alle facoltà proprie del soggetto che intende conoscerlo; per cui la totalità delle nostre esperienze che si riferiscono ad oggetti esterni non può che avere un carattere opinabile, lontano cioè dall'idea di incontrovertibilità assoluta del sapere scientificamente fondato. Interpretati sotto questa luce, i presupposti dello scetticismo appaiano effettivamente come speculari nei confronti di quell'istanza epistemica che ha guidato, determinandone direzione e cambiamenti, il corso del pensiero occidentale. L'importanza dello scetticismo, tuttavia, non va cercata nelle sue conclusioni teoriche, distruttive nei confronti dell'idea stessa di filosofia ed espressamente definite da Husserl come Sinnlos, stramberie senza senso, assurdità; il lato più interessante e proficuo, dal punto di vista dell'economia teoretica, va riscontrato, invece, nella sua essenza fondamentale che coincide con il soggettivismo: “das Wesen alles Skeptizismus”, scrive infatti Husserl, “ist Subjektivismus”12. In questo modo, pur con l'intento di negare al progetto epistemico ogni speranza di riuscita concreta, l'argomentazione scettica fornisce involontariamente al filosofo dell'ε̉̉πιστήμη una μέθοδος, ovvero una via percorribile per giungere in ultima istanza l'appunto intiolata: “Der Skeptizismus – die grundsätzliche Bedeutung seiner «Unsterblichkeit» in der Geschichte der Philosophie [...]” (in Edmund Husserl, Erste Philosophie, hrsg. von E. Ströker, Felix Meiner, Hamburg, 1992, p. 58). 11 Popkin, in particolare, distingue due modelli originari di scepsi: quella di tipo “accademico”, per cui “non è possibile alcuna conoscenza”; quella “pirroniana”, la quale dato che “gli elementi di prova per stabilire se una conoscenza sia possibile sono sempre insufficienti o inadeguati” sostiene che “su tutte le questioni concernenti la conoscenza occorre sospendere il giudizio” (Richard H. Popkin, Storia dello scetticismo, trad. it. di R. Rini, Mondadori, Milano, 2000, p. 1). In entrambi i casi l'argomentazione poggia sulla essenziale limitazione dell'organo conoscitivo umano nei confronti dell'ideale ricercato di una verità oggettiva e indubitabile. 12 Edmund Husserl, Erste Philosophie, cit., p. 58. 12 alla soluzione del problema conoscitivo. Il primo filosofo, secondo Husserl, a chiarire il potenziale di verità contenuto in modo implicito all'interno della prospettiva scettica è stato Descartes13. Il ragionamento cartesiano procede nella modalità seguente: se un giudizio risulta vero, deve esserlo necessariamente nei confronti di quel soggetto conoscente che lo ha formulato e valutato dal proprio personale punto di vista; perciò è all'interno dell'orizzonte soggettivo che deve essere ricercato ogni criterio di verità o di falsità dei giudizi. Il significato di questa scoperta può essere riassunto, dunque, nella affermazione per cui “tutto dipende [...] dalla comprensione della soggettività come soggettività che pone in se stessa l'oggettività, con cui ha a che fare, e correlativamente dalla comprensione dell'oggettività come oggettività che non sta a sé per forza propria, ma c'è in quanto è posta”14. Descartes accetta, perciò, come dato evidente e inconfutabile il presupposto soggettivistico contenuto, seppur implicitamente, all'interno delle argomentazioni scettiche, fornendo così la sorgente di un nuovo ambito di fondazione del sapere scientifico. La filosofia cartesiana rappresenta, per tale motivo, lo stadio inaugurale della speculazione trascendentale, ovvero di quella prospettiva filosofica che indaga le condizioni di possibilità grazie alle quali degli oggetti giungono a manifestarsi di fronte ad un soggetto15. Husserl, pur ritenendosi erede della filosofia trascendentale, riconosce però il fallimento del progetto cartesiano di fondazione rigorosa. In effetti Descartes rimane ancora sotto l'influenza dei pregiudizi “obiettivistici” che pervadono in larga misura i suoi principali punti di riferimento teoretico: la filosofia scolastica e il modello 13 In realtà la prima figura in assoluto a svelare la strategia per ribaltare il dubbio scettico è rappresentata da Agostino che nell'opera del 386 d. C. (più di dodici secoli prima di Descartes) intitolato Contra Academicos formulò la celebre affermazione: “si fallor sum”. Cfr. Agostino, Contro gli Accademici, a cura di Giovanni Catapano, Bompiani, Milano, 2005. 14 Mario Ruggenini, Verità e soggettività. L'idealismo fenomenologico di Edmund Husserl, Fiorini, Verona, 1974, p. 170. 15 Husserl nella Krisis scrive: “ciò che l'epoca moderna chiama teoria dell'intelletto o della ragione, in un senso pregnante: critica della ragione, problematica trascendentale, ha le sue radici di senso nelle Meditazioni cartesiane” (in Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale,cit., p. 109). 13 deduttivo delle scienze matematiche. Questi due elementi fondamentali della tradizione culturale seicentesca lo portano ad un travisamento essenziale della scoperta attuata mediante il metodo del dubbio iperbolico. L'apoditticità incontestabile dell'ego cogito, raggiunta attraverso la messa in dubbio di ogni conoscenza esterna e oggettiva, implica immediatamente agli occhi di Descartes la necessaria esistenza di una sostanza assoluta, definita di volta in volta come mens sive anima sive intellectus16; mentre, parallelamente, il terreno indubitabile dischiuso dalla metodica del dubbio viene considerato alla stregua di un assioma matematico da cui dedurre l'intero edificio del sapere scientificamente valido. La filosofia cartesiana è, quindi, giudicata da Husserl una mera “falsificazione psicologistica dell'ego puro attinto mediante l'epoché”17. La sfera conquistata grazie alla messa in opera dell'esercizio dubitativo viene subito fatta coincidere con l'anima spirituale, diversa dall'anima intesa empiricamente soltanto per il fatto di essere presa in considerazione a prescindere dal corpo esteso. Tale concezione psicologistica, secondo la ricostruzione husserliana della storia della filosofia, sta alla base della corrente empiristica, intesa come un trascendentalismo falsato in senso psicologico che confonde, senza separarle nettamente, esperienza trascendentale ed esperienza empirica, mondana18. Entrambe le alternative prospettate dalla riflessione cartesiana sull'ego cogito risultano, dunque, profondamente influenzate da pregiudizi che non trovano, secondo Husserl, alcun motivo di giustificazione teoretica. La prima prospettiva, che intende stravolgere in senso obiettivistico la verità trascendentale riconducendola ad una sostanza da cui dedurre la totalità del mondo, mostra di considerare ancora valida la logica deduttiva, che invece affonda le proprie radici sull'atteggiamento naturale. D’altra parte la seconda via aperta da Descartes, allo stesso modo, non si preclude 16 Ivi, p. 107. 17 Ivi, p. 106. 18 Husserl riconosce comunque un privilegio teorico alla prospettiva empiristica, “per il fatto che essa costituisce un tratto essenziale di quella via lungo la quale il trascendentalismo falsato in senso psicologico di Cartesio [...], dispiegandosi in tutte le sue conseguenze, cerca di rendersi conto della sua insostenibilità e di giungere, su questa base, a un trascendentalismo più genuino e cosciente del suo vero senso” (in ivi, pp. 111-112). 14 l'utilizzo di teorie e principi derivanti, questa volta, dalla psicologia naturalistica, la quale si fonda sulla separazione dogmatica (e dunque non scientifica) tra coscienza e mondo esterno. Il dubbio cartesiano si mostra, agli occhi di Husserl, ancora troppo poco radicale (radikall), in quanto non del tutto privo di presupposti (voraussetzungslos). La logica e i principi delle scienze naturalistiche, ivi compresa la matematica, non possono essere considerati come validi in sé, a prescindere da ogni giustificazione legittima. Come tali, dunque, essi vanno preliminarmente sospesi in modo da consentire la realizzazione di una genuina fondazione della conoscenza. § 2: Husserl e la critica dell'atteggiamento naturale Si tratta, dunque, di riprendere in chiave critica la via cartesiana, concedendo un'ulteriore opportunità all'intuizione fondamentale dell'ego cogito che ha dischiuso, rispetto all'antichità, una “filosofia di genere completamente diverso che cerca la propria fondazione ultima nella sfera soggettiva”19. Per rispondere all'obiezione di chi mette in discussione la possibilità di una conoscenza eretta su fondamenta indubitabili, Husserl ritiene che, nonostante i fallimenti storici del progetto cartesiano, l'unica strada da percorrere sia quella di fatto aperta dal soggettivismo della concezione scettica20. La fenomenologia trascendentale accetta, quindi, come presupposto evidente la circostanza per cui nulla è dato a conoscersi che non sia necessariamente oggetto di una esperienza soggettiva: perciò Husserl sostiene che “mai un oggetto esistente in sé è tale da escludere ogni relazione con la coscienza e con l'io”21. Il mondo e tutto ciò che di esso fa parte è in relazione con un soggetto che, in un certa misura, lo fa “essere”. 19 Ivi, p. 109. 20 Nelle cinque lezioni introduttive tenute da Husserl all'università di Göttingen nella primavera del 1907, e intitolate di Die Idee der Phänomenologie, è sottolineata in particolare l'importanza del metodo di Descartes per la soluzione del problema della conoscenza: “qui è il dubbio cartesiano che ci offre un avvio” (in Edmund Husserl, L'idea della fenomenologia, tr. it. di A. Vasa, Il Saggiatore, Milano, 1981, p. 45). 21 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, trad. it. di E. Filippini, Einaudi, Torino, 1965, p. 104. 15 In questo modo Husserl intende negare, innanzitutto, la prospettiva obiettivistico-dogmatica secondo cui il mondo esiste in maniera indipendente e autonoma rispetto alla coscienza. Tale concezione identifica quello che husserlianamente viene chiamato “atteggiamento naturale” e che consiste in un particolare modo di rapportarsi della coscienza nei confronti del mondo, diverso da quello fenomenologico-teoretico. La differenza che intercorre tra natürliche e theoretische Einstellungen risiede rispettivamente nel far propria o meno la tesi generale che afferma l'esistenza del mondo22. Sviluppata sul piano filosofico, questa tesi darebbe luogo al cosiddetto “realismo ingenuo”, secondo cui le cose e il mondo esistono in sé, ovvero a prescindere da qualsiasi relazione col soggetto conoscitivo. Ma una tale posizione non può che portare a quello che Husserl definisce “obiettivismo moderno”. “La caratteristica dell'obiettivismo è quella di muoversi sul terreno del mondo già dato come ovvio nell'esperienza [naturale] e di perseguire la «verità obiettiva», ciò che in esso è incondizionatamente valido per ogni essere razionale, ciò che esso in se stesso è”23. L'ovvietà dell'esserci (il Dasein, l'essere-quie-ora) del mondo sta ad indicare, però al contempo, il suo essenziale essere dato a me, il suo riferirsi costitutivo alla mia soggettività che lo pensa e che, pensandolo, lo pone in essere24. Già all'interno dell'atteggiamento naturale, dunque, si può dire che “il mondo non è altro che ciò che l'io pone secondo un certo modo di atteggiarsi”25. La prospettiva trascendentale, in quest'ottica, non farebbe altro che mettere a tema la datità dell'essere nei confronti della coscienza per poter in seguito giungere a delle verità assolute e a priori su cui fondare l'edificio del sapere. In realtà, la differenza di fondo che intercorre tra atteggiamento naturale e trascendentale non può essere 22 Cfr. ivi, § 30 (pp. 61-62). 23 Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. 97. 24 “Io sono consapevole di un mondo, che si estende infinitamente nello spazio e che è ed è stato soggetto ad un infinito divenire nel tempo. Esserne consapevole significa anzitutto che io trovo il mondo immediatamente e visivamente dinanzi a me, che lo esperisco” (in Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 57, corsivo nostro). 25 Mario Ruggenini, Verità e soggettività. L'idealismo fenomenologico di Edmund Husserl, cit., p. 81. 16 concepita in modo riduttivo, secondo cui l'uno neghi assolutamente l'esperienza soggettiva e l'altro si rifiuti, all'opposto, di postulare l'essere in sé del mondo. Entrambe queste interpretazioni risulterebbero, infatti, erronee. Se da un lato bisogna dire che neppure una posizione di radicale realismo si sentirebbe di negare l'esperienza soggettiva, la quale verrebbe tutt'al più declassata a mera finzione o contenuto mentale; dall'altro lato il trascendentalismo husserliano non può essere ricondotto ad una forma ingenua di idealismo psicologico “alla Berkley”, per cui l'essere si identificherebbe solamente con il percipi, con ciò che è percepito da un singolo soggetto. Il registro della trascendenza costituisce all'interno dell'atteggiamento fenomenologico un dato originale e immediato che, come tale, esige nell'ottica husserliana una spiegazione rigorosa26. Il vero e ultimo scopo della considerazione fenomenologica consiste, difatti, nel porre a tema l'enigmaticità del mondo che viene espressa dal seguente quesito: come è possibile che, nonostante il carattere soggettivo-relativo di ogni esperienza è comunque data l'idea di una realtà in sé e, conseguentemente, di un sapere obiettivo e valido per chiunque27? A tale quesito fondamentale Husserl cercherà di rispondere, come vedremo in seguito, sviluppando la propria analisi del fungere costitutivo della soggettività trascendentale che lo porterà verso la problematica intersoggettiva. Il dato certo è che Husserl giudica la conoscenza trascendente come dubbia e ingannevole in se stessa, perciò bisognosa di una fondazione che la legittimi nella sua pretesa di verità. Sarà quindi necessario lasciare da parte ogni tentativo conoscitivo rivolto in direzione della realtà esterna. Ma se l'orizzonte trascendentale di analisi dell'esperienza deve 26 Husserl ammette, infatti “che, in maniera incondizionatamente universale e necessaria, una cosa non può essere data come realmente immanente in nessuna possibile percezione o altra modalità di coscienza in generale. Si stabilisce così una diversità fondamentale tra l'essere come Erlebnis e l'essere come cosa” (in Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 90). 27 Nel 1907, all'epoca della prima impostazione del metodo fenomenologico, Husserl si pone esplicitamente la questione fondamentale di “come può la conoscenza portarsi oltre se stessa, sull'oggetto, ed essere ancora certa di questo rapporto, e in modo indubitabile? Com'è da intendere che la conoscenza, senza perdere la sua immanenza, non solo può essere fondata, ma può anche esibire la sua fondatezza?” (in Edmund Husserl, L'idea della fenomenologia, cit., p. 112). 17 fare a meno, preliminarmente, della credenza nell'essere in sé del mondo, cioè di ogni trascendenza rispetto all'orizzonte dei vissuti coscienziali; bisognerà per tale motivo operare un radicale superamento dell'atteggiamento naturale. Husserl ripropone, quindi, la metodica del dubbio cartesiano fondata sull'ideale della Voraussetzunglosigkeit, la quale in ogni caso viene solo in parte realizzata dalla filosofia di Descartes. La certezza del mondo, inteso come qualcosa che esiste in sé, al di fuori della relazione con il soggetto che lo esperisce, non è altro che il prodotto di un pregiudizio dogmatico, presupposto ad ogni tentativo ingenuo di conoscenza; ciò fino a quando non si sono mostrate (non, si badi, dimostrate) le modalità attraverso cui il soggetto dell'esperienza è legittimato a porlo come tale. Che il mondo esista, a questo livello dell'indagine, può essere ugualmente vero o falso: l'atteggiamento naturale, per l'appunto, non è costitutivamente in grado di fornire ragioni che giustifichino la pretesa di verità della sua Generalthesis. Il compito della filosofia fenomenologico-trascendentale coincide, quindi, con il tentativo di portare alla luce la nostra credenza comune che vi sia un mondo dato in sé, cioè a prescindere dalle prospettive soggettive a partire dalle quali viene necessariamente esperito28. Per attuare questo progetto occorre, tuttavia, abbandonare in primo luogo la tesi ingenua circa l'ovvietà dell'esistenza mondana, ossia attuare la cosiddetta ε̉ποχή fenomenologico-trascendentale. §3: Differenze tra il metodo cartesiano e metodo fenomenologico Il metodo intrapreso registra, già a questo livello, una differenza fondamentale rispetto alla prospettiva cartesiana a cui, nondimeno, Husserl fa costantemente riferimento. Se il dubbio metodico, esposto nelle Meditationes di Descartes, è un procedimento che rende falsa qualsiasi opinione su cui è possibile sollevare il minimo dubbio29, attraverso il rivolgimento operato mediante l'ε̉ποχή 28 L'obiettivo principe dell'indagine fenomenologica viene identificato dallo stesso Husserl nella capacità indagare “in che modo la soggettività conoscitiva realizzi, nella sua pura vita di coscienza, l'«obiettività» come risultato di un'attività di senso, di giudizio e di comprensione” (in Edmund Husserl, Storia critica delle idee, a cura di G. Piana, Guerini e Associati, Milano, 1989, p. 83 [Hu VII pp. 67 e s.]). 29 Scrive infatti Descartes: “suppongo che tutte le cose che vedo siano false; mi convinco che sia 18 “non si tratta di una trasformazione della tesi nell'antitesi, della posizione nella negazione; e nemmeno si tratta di trasformare la tesi in supposizione, in indecisione, in dubbio (preso in qualunque senso); simili cose non dipendono dal nostro libero arbitrio”30. Nel discostarsi dai presupposti del dubbio iperbolico Husserl è più che mai esplicito: non occorre negare l'esistenza del mondo, perché ciò significherebbe operare ancora all'interno della prospettiva naturale. L'atteggiamento fenomenologico-trascendentale, difatti, esige la totale “messa in parentesi” di ogni giudizio ontologico: non affermo che il mondo esiste, né tanto meno che esso non sia, ma semplicemente “epochizzo”, cioè sospendo la mia facoltà di giudizio al riguardo. L'ε̉ποχή consiste, perciò, in questo: “noi mettiamo fuori azione la tesi generale inerente all'essenza dell'atteggiamento naturale, mettiamo di colpo in parentesi quanto essa abbraccia sotto l'aspetto ontico”31. Il dubitare rispetto all'essere o non essere di un qualsiasi oggetto di esperienza ci mantiene ancora al livello naturale-ingenuo ed è per ciò che Descartes solleva una questione, in definitiva, ontologica, ossia quella di raggiungere un fondamento dotato di esistenza sostanziale, la res cogitans, per risalire poi alla realtà trascendente (res extensa) nel suo complesso. Il problema della metodologia husserliana si configura primariamente non “di natura ontologica, ma gnoseologica”32. L'esercizio della “sospensione” fenomenologica vieta, infatti, l'attuazione di qualsiasi presa di posizione predicativa nei confronti dell'essere delle singole cose o del mondo, che viene in tal modo mai esistito nulla di quanto la mia menzognera memoria mi rappresenta; penso di non possedere alcun senso; credo che il corpo, la figura, l'estensione, il movimento ed il luogo non sono che finzioni del mio spirito [chimerae]” (in René Descartes, Opere filosofiche, a cura di B. Widmar, Utet, Torino, 1981, p. 203, corsivi nostri). 30 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 64. 31 Ivi, p. 66. 32 Luca Vanzago, Coscienza e alterità. La soggettività fenomenologica nelle Meditazioni cartesiane e nei manoscritti di ricerca di Husserl, Mimesis, Milano, 2008, p. 47. Resta, però, da considerare in quale modo si debba tener separati metodo e conclusioni teoretiche della fenomenologia: aspetto quest'ultimo che viene tralasciato nel saggio critico di Vanzago. 19 “messo tra parentesi”. Ma un tale “neutralizzazione” si definisce, al contempo, come il medium necessario alla realizzazione del compito fenomenologico consistente nell’indagine circa la possibilità di giustificare (a partire dal soggetto) l'essere in sé del mondo, o meglio, la certezza che il senso comune “ingenuamente” gli attribuisce. Resta però da chiarire che cosa effettivamente ci motiva a compiere l'ε̉ποχή: cosa in ultima analisi rende legittimo il metodo fenomenologico-trascendentale. La motivazione non può che avere, come si diceva, un carattere gnoseologico. L'obiettivo di Husserl è quello di giungere ad una base stabile di verità indubitabili per poter dare un fondamento inconcusso al sapere epistemico, ma per poter mettere in atto questa attività di fondazione bisogna, anzitutto, tener presente un criterio che ci permetterà di distinguere con certezza il vero dal falso. § 4: Il principio di evidenza Questo criterio viene identificato, in modo specifico nelle Cartsianische Meditationen, con l'idea di evidenza. Poiché “il giudicare è un intendere [Meinen] e in generale un pretendere [Vermenien] che la cosa stia così e così”33, è necessario fondare tale pretesa sulla base di qualcosa capace di mostrare da sé la propria giustificazione. Solo in questo modo è possibile, infatti, evitare un regresso all'infinito nella catena delle fondazioni che porterebbe in direzione dello scetticismo34. “Perché si possa parlare di fondazione, di un sapere in senso rigoroso, bisogna [...] che infine si raggiunga un fondamento che non richieda di essere ulteriormente fondato, perché è capace di mostrare da sé la propria giustificazione, senza ricorrere ad altro da sé”35. Il carattere fondamentale dell'evidenza consiste 33 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, tr. it. di F. Costa, Bompiani, Milano, 2002, p. 45. 34 Ma, d'altronde, uno scetticismo, che non vuole cadere nell'assurdità, deve comunque ammettere un criterio di verità che gli consenta di dichiarare la falsità di ogni conoscenza umana. Di modo che l'obiezione di Husserl secondo cui ogni forma di scetticismo sarebbe sinnlos, cioè senza senso perché implicherebbe la verità dell'enunciato “niente è vero”, riguarderebbe solo una certa forma “ingenua” di porre la questione scettica. 35 Vincenzo Costa, Il cerchio e l'ellisse. Husserl e il darsi delle cose, Rubbettino, Catanzaro, 2007, p. 21. 20 proprio nel suo “non rimandare ad altro”36, perciò in essa troviamo quel criterio indispensabile e imprescindibile di ogni tentativo di fondazione del conoscere portato avanti su basi indubitabili. Il concetto fondamentale di evidenza viene chiarito da Husserl attraverso l'espressione “ein Es-selbst-geistig-zu-Gesicht-bekommen”37, che viene tradotto letteralmente come “un pervenire alla vista spirituale da parte della cosa stessa”. All'interno delle Meditazioni Husserl ci fornisce, quindi, una prima caratterizzazione di tale concetto fornendo alcune precisazioni essenziali. Innanzitutto, il principio metodologico dell'evidenza non può essere concepito alla stregua di un mero presupposto che dobbiamo porre all'inizio del procedimento di fondazione fenomenologica della conoscenza38. Se l'obiettivo del discorso filosofico consiste nel ritrovamento dei fondamenti inconcussi che siano in grado di giustificare la pretesa di verità della conoscenza in generale, l'attività fondante deve rintracciare un terreno di verità eterne, cioè indubitabili ed evidenti. Ogni sforzo conoscitivo razionale si identifica, per Husserl, non tanto nel formulare “a caso” giudizi sulla realtà, quanto nel tentare di fornire delle ragioni che consentano di stabilire la verità o falsità dei giudizi pronunciati. Negare l'evidenza costituisce, dunque, una forma di scetticismo, poiché se non opero con essa rendo inattuabile qualsiasi tentativo di soluzione razionale del problema conoscitivo. Vediamo, quindi, che la necessità di postulare l'esistenza di conoscenze evidenti non può essere vista come un presupposto ma, semmai, come la conseguenza del nostro porci in cammino in direzione della verità, ovvero l'accettazione consapevole e responsabile della sfida conoscitiva. Se non ho evidenze alle quali fare riferimento per giustificare le mie pretese di validità, vuol dire che intendo rinunciare 36 Ibidem. 37 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 47. 38 Tale prospettiva, a nostro avviso erronea, è stata implicitamente messa in opera da Marvin Farber. Senza occuparsi dell'elaborato sforzo husserliano (più che esplicito nelle Meditazioni cartesiane) di rintracciare il carattere necessario, ad ogni tentativo conoscitivo, del principio metodico dell'evidenza, l'autore si è limitato a constatare le radici storiche di un tale ideale all'interno della cultura tedesca dell'epoca, rintracciandole in figure minori di pensatori come i filosofi Volkelt, Schuppe e Rehmke. Cfr. Marvin Farber, Prospettive della fenomenologia, Sansoni, Firenze, 1969, pp. 49 e ss. 21 all'esercizio della ragione e, di conseguenza, alla mia stessa umanità, secondo la definizione aristotelica dell'uomo inteso come animal rationale. In seconda istanza Husserl istituisce all'interno delle Meditazioni una precisa demarcazione tra i concetti di evidenza adeguata ed evidenza apodittica, in netto contrasto con le posizioni assunte nelle opere precedenti. La prima si definisce in relazione alla coppia di opposti perfezione/imperfezione. “L'esperienza”, scrive Husserl, “è affetta di alcune componenti che consistono in preintenzioni e intenzioni secondarie non riempite. [...] L'idea corrispondente della perfezione sarebbe quella della evidenza adeguata, ove però rimane indeciso se essa non stia per principio all'infinito”39. Evidenza adeguata è, quindi, ogni riempimento (Einfüllung) intuitivo di intenzioni vuote precedentemente avanzate, ovvero di intenzioni nelle quali l'oggetto non è dato “in carne ed ossa” (leihaft). L'esperienza, e in particolare la percezione40, si distingue per la sua natura eminentemente temporale, per cui ogni percezione di cosa è un decorso di manifestazioni che si relazionano tra loro in sintesi riempitive o smentite reciproche41. Di conseguenza il raggiungimento dell'evidenza adeguata rappresenta la “generale idea fine [allgemeine Zweckidee]”42 che deve essere perseguita dalla scienza autentica, la quale si trova perciò di fronte ad un compito di per sé mai concluso e sempre rinnovabile. È per tale motivo che, quindi, “all'idea di evidenza adeguata lo scienziato può preferire, quanto meno in sede di fondazione dei principi della scienza, un diverso genere di evidenza”43. Questa è l'evidenza apodittica, che Husserl caratterizza diversamente mediante la coppia di concetti dubitabile/indubitabile. Questo nuovo tipo di evidenza implica “la comprensione autentica di un ente o determinazione, nel 39 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 49. 40 “L'esperienza è nella sua ultima originarietà, percezione”, scrive Husserl in un appunto inedito citato nel volume di Gerd Brand, Mondo, io e tempo nei manoscritti inediti di Husserl, Bompiani, Milano, 1960, p. 47. 41 Tali problematiche verranno affrontate più attentamente nel capitolo terzo, come tema specifico riguardante la determinazione delle strutture trascendentali dell'esperienza. 42 Cfr. Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 44 e s. 43 Luca Vanzago, Coscienza e alterità, cit., p. 37. 22 modo del se stesso e nella piena certezza di questo essere, sì da escludere quindi ogni dubbio”44. Le evidenze adeguate, pur avendo la possibilità di costituire una “perfezione”, ovvero un'intenzione riempita, ad un certo momento del decorso esperienziale, non possiedono per tale motivo, automaticamente, il carattere dell'apoditticità, poiché la loro evidenza può trovarsi revocata e posta in dubbio dalle esperienze o evidenze successive. “Ma l'evidenza apodittica possiede il carattere notato di non essere solo in generale certezza d'essere delle cose o dei contesti oggettivi in essa evidenti, ma di scoprirsi nello stesso tempo, mediante una riflessione critica, come assoluta inconcepibilità del non-essere, in modo da escludere già pregiudizialmente ogni dubbio immaginabile perché privo di contenuto”45. A tal proposito è da notare che Husserl definisce l'apoditticità dell'evidenza come il prodotto di un procedimento “critico”. Ciò significa che la fenomenologia, mettendo a tema la possibilità di giungere a delle evidenze apodittiche all'interno dell'esperienza, non può identificarsi affatto con la posizione filosofica dell'empirismo. L'errore in cui incorre qualsiasi tentativo di fondare la conoscenza scientifica sull'esperienza che non abbia attuato preventivamente l'ε̉ποχή fenomenologica, consiste, secondo Husserl, nel ritrovarsi gravido di pregiudizi che rendono vana la sua stessa pretesa di costituire un discorso scientificamente fondato. Per l'empirista, infatti, “l'esperienza nel senso usuale è senz'altro l'unico atto capace di offrire le cose. Ma le cose non sono senz'altro [come vuole l'empirismo scientifico] le cose della natura [...], e quell'atto originalmente offerente, che abitualmente nella scienza moderna diciamo «esperienza», si riferisce soltanto alla realtà della natura”46. L'empirismo riduce, dunque, il campo della esperienza all'esperire naturale che ha a che fare con le “cose” fisiche, indagate dalle scienze naturali. Non basta, dunque, appellarsi all'empirico come principio di fondazione dei giudizi, se poi questo riferimento è inficiato da presupposti inespressi quali, ad esempio, la tesi 44 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 50. 45 Ibidem (corsivi nostri). 46 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., pp. 42-43. 23 dell'atteggiamento naturale che implica l'esistenza autonoma di tutto ciò che viene esperito dal soggetto conoscente. Il riferimento alla polemica con l'empirismo ci permette di non fraintendere in senso naturalistico il richiamo husserliano all'evidenza quale “primo principio metodico”47, senza il quale “io non posso pretendere alcuna validità definitiva”48. Se, infatti, l'obiettivo verso cui si indirizza ogni genuina tensione conoscitiva è costituito dall'evidenza adeguata, a fondamento del conoscere scientifico deve comunque trovarsi l'evidenza apodittica. “Il vedere in generale”, infatti, “come coscienza originalmente offerente di qualunque specie, è l'ultima sorgente di legittimità di tutte le affermazioni razionali”49. § 5: L'ε̉ποχή fenomenologico-trascendentale La motivazione fondamentale che spinge Husserl a compiere la “sospensione” di ogni predicato di esistenza riferito al contenuto dei nostri giudizi risiede nell'esigenza metodica di rintracciare un fondamento che escluda “ogni dubbio immaginabile”. Se l'ε̉ποχή è guidata dall'idea regolativa dell'evidenza apodittica, ciò significa che tutto ciò che non gode di tale carattere apodittico deve essere lasciato momentaneamente da parte, “messo in parentesi”. Quale deve essere, dunque, il contenuto della “sospensione” che intendiamo operare? Si pone, a questo punto della ricerca, una questione essenziale in cui lo stesso Husserl, in più di un luogo della sue opere, si è soffermato. In Ideen I Husserl considera ancora come equivalenti i concetti di evidenza adeguata ed evidenza apodittica50. Ciò gli permette di liquidare facilmente la tesi dell'esistenza del mondo, poiché non adeguata. Se il mondo si dà principalmente 47 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 48. 48 Ibidem. 49 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 43. Ed è per tale motivo che la fenomenologia di Husserl può essere caratterizzata come una filosofia della visione, in cui risulta centrale l'esperienza visiva su altri tipi di rapporto nei confronti del mondo, come ad esempio il linguaggio. 50 Questa tesi viene enunciata da Vanzago nel contesto dell'interpretazione delle Meditazioni cartesiane (cfr. Luca Vanzago, Coscienza e alterità, cit., pp. 37 e s.), ma non sviluppata in riferimento all'opera del 1913, cosa che abbiamo tentato di fare qui di seguito. 24 attraverso l'esperienza sensibile, questa, sia presa singolarmente che nella sua totalità, non può sfuggire al dubbio metodico circa l'esistenza del proprio contenuto. Ogni esperienza singola può, infatti, essere contraddetta dal decorso fenomenico e divenire così allucinazione o illusione, mentre se concepiamo l'esperienza del mondo come nesso articolato di esperienze soggettive nulla ci vieta di ipotizzare che esso non rappresenti altro che un “sogno coerente” della nostra coscienza. Husserl, tuttavia, non intende limitarsi a tali argomentazioni, peraltro di chiara ascendenza cartesiana, e adduce anche dei motivi “essenziali” alla non apoditticità del mondo. Nel § 41 intitolato “La consistenza reale della percezione e il suo oggetto trascendente” viene esposta la tesi fenomenologica secondo cui ogni oggetto (Ding) trascendente la pura dimensione del vissuto (Erlebnis) di coscienza, può apparire solamente attraverso adombramenti (Abschattungen), ovvero prospettive unilaterali e molteplici. Il darsi adeguato della cosa, e quindi la totalità degli adombramenti che le ineriscono, è certamente il polo teleologico verso cui tende l'esperienza, ma resta comunque un’idea attuabile solo in termini relativi e mai in modo pieno e definitivo. Nessuna ragione, infatti, ci impedisce di supporre che in futuro nuove e diverse prospettive metteranno in crisi la nostra certezza momentanea di aver raggiunto una visione in carne ed ossa (leibhaft) della cosa. Il trascendente, la cosa in sé, si colloca per necessità fenomenologica sempre al di là delle nostre capacità di giudizio e, quindi, di previsione: non possediamo mai la totalità dei punti di vista che ineriscono essenzialmente alla cosa singola in sé. La dimensione trascendente, perciò, non potrà mai svolgere la funzione di fondamento inconcusso della conoscenza, divenendo in tal modo l'indice problematico della ricerca51. Husserl identifica, quindi, l'elemento veramente apodittico non nell'esistenza oggettiva del mondo, ma unicamente nell'ambito puramente soggettivo dell'esperienza: “ogni percezione immanente garantisce necessariamente l'esistenza 51 In realtà la questione è molto più complessa di quanto possa inizialmente mostrarsi. Andando avanti nella ricerca noteremo che la trascendenza è un vero e proprio postulato della filosofia fenomenologica che Husserl cercherà di fondare basandosi sull'intersoggettività trascendentale, superando quindi l'iniziale impostazione del solipsismo metodologico. Cfr. a tal proposito infra Capitolo Quarto. 25 del suo oggetto”52. La percezione immanente è propriamente quella che non si rivolge ad oggettualità vere e proprie, ma solo a quei vissuti di coscienza (Erlebnisse trascendentali) in cui qualsiasi tipo di oggettualità si costituisce. Al percepito viene accordata, dunque, un'esistenza apodittica, mentre l'essere della cosa verso cui il cogitatum rimanda intenzionalmente è revocato in dubbio. Attraverso la ri-flessione il soggetto fenomenologico si trova, quindi, in grado di compiere l'esperienza dei propri singoli Erlebnisse in evidenza adeguata, poiché tali oggetti immanenti possiedono l'attributo essenziale di non darsi per adombramenti, ma in modo immediato e intuitivo53. L'Erleben che è dotato di assoluta certezza, tuttavia, non può affatto consistere nell'esperienza esterna vissuta da un “io” diverso da me che sto compiendo la riflessione. “Non è priva di senso l'ipotesi che un'altra coscienza, che io pongo nell'entropatia, non ci sia. Ma la mia entropatia, e la mia coscienza in generale, è data, in quanto presente fluente, assolutamente nell'originale, non solo nell'essenza, ma anche nell'esistenza”54. Tutto ciò che in generale trascende la mia sfera di esperienza è, quindi, per essenza dotato di un indice di dubitabilità che non mi impedisce di assumerlo come base apodittica dell'attività conoscitiva che intendo compiere. Non è dunque l'Erlebnis in generale, tout court, a costituire il punto di partenza dell'analisi fenomenologica, ma solamente il mio proprio esperire, il vissuto 52 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 99. 53 In particolare Vittorio De Palma ha messo in luce la continuità esistente tra la prima impostazione “realista” della filosofia husserliana, esposte nelle Logische Untersuchungen, e l'idealismo fenomenologico a cui approda il nostro nelle opere successive: “il motivo cartesiano della fenomenologia trascendentale sorge dallo sviluppo dell'introspezionismo delle Ricerche logiche, cioè dal conferimento di un primato alla percezione dei vissuti immanenti, che costituiscono il materiale originario della costituzione ” (in Vittorio De Palma, La forma e la sostanza, http://www.filosofia.it, 2004, p. 3) 54 Ivi, p. 100. Tale affermazione è fondamentale per chiarire l'impostazione di solipsismo metodologico che ancora vige all'interno di Ideen. Nelle Cartesianische Meditationen vedremo che l'esistenza di una coscienza “altra” non verrà destituita come sinnlos, ma Husserl tenterà proprio di indagare le “ragioni fenomenologiche” che rendono possibile e necessaria la presenza dell'alter ego alla coscienza che compie la riduzione. Cfr. infra, Capitolo quarto. 26 che più intimamente mi appartiene55. § 6: La circolarità dell'argomentazione husserliana A questo punto pare del tutto legittima l'obiezione avanzata nei confronti di Husserl, secondo cui la phänomenologische Fundamentalbetrachtung (titolo della sezione seconda di Ideen I contenente la dottrina della riduzione fenomenologica) non farebbe altro che mostrare ciò che era stato inizialmente presupposto. All'interno della Generalithesis dell'atteggiamento naturale, infatti, trova già espressione la concezione per cui “la realtà è quel significato che si costituisce nella connessione ininterrotta dell'esperienza”56. Nell'atteggiamento naturale il mondo è sempre riferito ad un soggetto esperiente, tanto che il primo viene ad assumere una serie di caratteristiche che potremmo definire “pratiche”, riassunte dall'espressione husserliana dell'essere “qui per me” o “alla mano [vorhanden]”57. Nella sua ultima opera Husserl defnisce tale dimensione profonda e originaria della considerazione fenomenologica con il termine Lebenswelt, ovvero “l'universalmente noto, l'ovvietà che inerisce a qualsiasi vita umana ciò che nella sua tipicità ci è già sempre familiare attraverso l'esperienza”58. L'orizzonte del mondo-della-vita, anteriore ad ogni impresa scientifica, indica proprio quell'originario compenetrarsi di soggetto e mondo; i quali, perciò, non sono altro che il prodotto di un'astrazione operata nei confronti della originale “correlazione universale”. In questo modo, se l'obiettivo di Husserl è quello di mostrare, mediante la Reduktion, l'assoluta indipendenza della coscienza e la conseguente relatività del mondo, in realtà questa correlazione è già considerata 55 Tali considerazioni, fondamentali per comprendere la proposta idealistica di Husserl, verranno poste in primo piano nel momento in cui si tratterà di affrontare da vicino la tematica dell'intersoggettività trascendentale. 56 Mario Ruggenini, Verità e soggettività, cit., p. 82. L'autore fa riferimento, inoltre, ad un passo esplicito del testo di Husserl che dice: “la realtà, e la parola stessa lo dice, io la trovo in quanto io desto dentro una esperienza omogenea e mai interrotta” (in Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 62). 57 Cfr. ivi, p. 57. 58 Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., pp. 152-153. 27 come attiva nella dimensione naturale-vivente. In quest'ultima la realtà trascendente è ridotta ad un mero correlato di coscienza che, a differenza della prospettiva fenomenologica, mantiene tuttavia l'attributo dell'esistenza certa. Non si può che ravvisare un circolo nell'argomentazione husserliana che non deve, nonostante tutto, essere immediatamente giudicato alla stregua di un paralogismo, ma indagato nella sue pretese di legittimità59. Il problema di individuare l'ambito da sottoporre al vaglio dell'ε̉ποχή fenomenologica assume una diversa connotazione all'interno delle Meditazioni cartesiane. In questo luogo Husserl si mostra più dubbioso che in precedenza nell'accordare il carattere di dubitabilità all'esperienza del mondo. “Prima di ogni cosa”, scrive, “è ovvia l'esistenza del mondo, tanto che a nessuno viene in mente di enunciarla espressamente in una proposizione. Gli è che noi abbiamo un'esperienza continua in cui questo mondo continua a starci di fronte come esistenza indubbia”60. Nell'esperienza naturale non c'è nulla di più ovvio che l'esistenza del mondo; neppure la singola cosa o il singolo evento possiedono un tale grado di certezza per noi, in quanto la loro evidenza può sempre alterarsi e trasformarsi in pura illusione. Tale situazione fa pronunciare ad Husserl le seguenti parole che vale la pena citare per esteso: “l'avere indicato le svolte possibili in cui l'evidenza può venire ad imbattersi non costituisce per noi una critica abbastanza plausibile dell'evidenza, né una prova completa a favore della possibilità di pensare la non-esistenza del mondo nonostante esso venga costantemente esperito. Noi riteniamo che, al fine di una radicale fondazione della scienza, l'evidenza dell'esperienza del mondo deve in ogni caso sottoporsi a una critica sulla sua validità e sulla sua portata e che perciò non dobbiamo accoglierla senza esame come immediatamente apodittica”61. Questo passaggio può essere letto come chiave di volta dell'evoluzione del pensiero husserliano compiuta a cavallo della pubblicazione delle due opere che inaugurano e chiudono la stagione fenomenologica: Ideen I e la Krisis. Husserl 59 Nei capitoli finali di questo saggio cercheremo di far emergere in modo più articolato tale questione, riconoscendo il suo fondamentale rapporto con quello dell'analisi trascendentale sviluppata all'interno della fenomenologia husserliana. 60 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 51. 61 Ibidem. 28 diviene a poco poco consapevole che l'evidenza con cui si dà la nostra esperienza del mondo rappresenta il modello di ogni altra evidenza possibile. La Lebenswelt è “un regno di evidenze originarie”, perciò “qualsiasi sustruzione concettuale, almeno in quanto pretende di essere vera, può attingere la sua reale verità soltanto riportandosi a queste evidenze”62. Accettare indiscriminatamente tali evidenze è, tuttavia, l'errore in cui soggiacciono le scienze naturali, le quali non possono per tale motivo aspirare all'ideale di radicalità e di assenza di presupposti propri di un rigoroso metodo scientifico. La fenomenologia, al contrario, non si impossessa in modo acritico delle evidenze proprie del vivere naturale e concreto, né, all'opposto, intende negarle, giudicandole come credenze illusorie. Il suo scopo principale consiste, infatti, nel mettere a tema specificatamente l'esperire naturale con tutti i suoi contenuti e le sue posizioni di certezza o dubitabilità; compito che non è attuabile da colui che si colloca ancora all'interno di tale orizzonte naturale. Se utilizziamo come presupposti per la nostra indagine le evidenze originarie va da sé che tali evidenze non potranno mai essere indagate in se stesse, ma si produrrebbe solamente una spiegazione circolare e tautologica. Per poter esercitare la nostra facoltà conoscitiva alla ricerca di un fondamento inconcusso dei giudizi in generale dobbiamo tematizzare l'ovvio, trasformandolo in questo modo nel suo opposto, nel non-ovvio, nel problematico. È per tale motivo che all'interno della prospettiva fenomenologica l'esperienza del mondo non può che darsi come un “enigma” (Rätsel), malgrado la sicurezza che ci accompagna quando ci rivolgiamo ad esso nel nostro atteggiamento naturale. § 7: La riduzione trascendentale dell'essere del mondo A questo punto resta da chiarire quale sia il risultato effettivo a cui sembra condurre l'attuazione dell'ε̉ποχή fenomenologico-trascendentale. Esso consiste nella cosiddetta “riduzione” (Reduktion), che non ha il significato ordinario di “diminuzione”, quanto quello relativo all'equivalente latino dei termini re-ductio o reducere che indicano propriamente l'atto del “ri-condurre”, “ri-portare” qualcosa al suo luogo o situazione di partenza. L'oggetto di questa operazione fenomenologica è 62 Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. 56. 29 il mondo naturale, il cui valore d'essere era stato precedentemente “sospeso”, “messo tra parentesi”. La riduzione si chiarisce, dunque, come la riconduzione del mondo al suo fondamento originario rappresentato dal campo della coscienza trascendentale, ovvero dall'orizzonte generale dell'esperienza. “L'esistenza del mondo fondata sull'evidenza naturale dell'esperienza non può più per noi essere un fatto naturale ma soltanto un fenomeno di valore”63. Husserl, con queste parole, intende sottolineare ancora una volta che l'ε̉ποχή non comporta necessariamente una negazione assoluta del mondo, poiché il senso che quest'ultimo rappresenta permane e, anzi, costituisce il tema conduttore delle analisi fenomenologiche. Il mondo continua a sussistere nella “lavagna” fenomenologica, ma il suo essere, in quanto essenzialmente sprovvisto di carattere apodittico, viene “ridotto” a fenomeno, pura manifestazione: dovremmo dire che si verifica un cambiamento della modalità attraverso cui l'essere del mondo viene tematizzato dalla coscienza64. Dal momento, però, che ogni manifestazione può attuarsi solo quando l'oggetto appare ad un soggetto, l'essenza del mondo viene ora a trovarsi in stretto rapporto con la sfera di una coscienza che Husserl definisce “trascendentale” o “pura” per distinguerla dalla coscienza psicologica. La caratteristica specifica di ogni essere cosciente consiste nella “intenzionalità”, ovvero in quel tendere-verso un oggetto, verso qualcosa di diverso dello stesso aver-coscienza. Quest'ultimo si definisce come ciò che accompagna ogni esperienza e fa sì che essa diventi una mia esperienza, un vissuto proprio di un soggetto individuale. La “riduzione” dell'atteggiamento naturale non implica, quindi, l'annullamento della potenzialità intenzionale tipica di ogni esperire: sospendere l'essere del mondo serve, infatti, proprio a rendere manifesta e dischiudere in tutta la sua potenza tale dimensione fondamentale. Di conseguenza, una volta che si sia superato l'atteggiamento naturale e ci si ponga dal punto di vista, per così dire, “innaturale” della fenomenologia, è solamente il carattere d'essere del mondo, la sua 63 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 52. 64 Per proseguire la metafora matematica, che è attivamente presente nel testo husserliano, potremmo dire che il mondo, una volta collocato tra parentesi, diviene in questo modo la variabile dipendente nella funzione specifica in cui il soggetto funge da parametro indipendente. 30 posizione ontologica a subire una radicale trasformazione. Non è più inteso, appunto, come un oggetto a sé stante, indipendente e autonomo nei confronti dell'esperienza del soggetto, poiché senso ed essere del mondo sono ora posti esclusivamente all'interno e mediante la coscienza trascendentale. “Ridurre” l'essere del mondo a puro fenomeno significa, dunque, riconoscere la sua relatività essenziale alla dimensione soggettiva dell'esperienza. Scrive a tal proposito Husserl: “l'essere immanente è dunque indubitabilmente essere assoluto nel senso che per principio nulla «re» indiget ad existendum. D'altra parte, il mondo della res trascendente è assolutamente relativo [angeweisen] alla coscienza”65 Mediante la riduzione fenomenologico-trascendentale ci si dischiude non un puro nulla, ma un universo infinito e variegato di fenomeni che sono riconducibili tutti direttamente ad esperienze intenzionali della soggettività trascendentale. Operando la riduzione sono costretto, quindi, a riconoscere che “l'essere naturale del mondo [...] è preceduto dall'essere, in sé anteriore, dell'ego puro e delle sue cogitationes. Il piano d'essere naturale è secondario nel suo valore d'essere; esso presuppone costantemente quello trascendentale”66. In questo modo lo Husserl di Ideen I può caratterizzare la sfera raggiunta dall'operazione della Reduktion come “residuo” fenomenologico. Le virgolette che racchiudono tale espressione devono essere mantenute, come suggerisce il testo husserliano, se non si vuole cadere nell'errore di considerare l'orizzonte trascendentale come immanente all'essere del mondo e, conseguentemente, cogliere l'Ego puro come “pezzo di mondo”, anziché come struttura originaria che rende possibile il manifestarsi di un mondo. Il pericolo di fraintendere il senso autentico della dimensione trascendentale individuata mediante l'ε̉ποχή è dovuto anche all'occorrenza del termine “regione d'essere”, riferita sempre alla coscienza pura, che fa immediatamente pensare alla classica contrapposizione coscienza/mondo esterno. Si tratta certamente di possibili fraintendimenti, dal momento che una tale direzione interpretativa non fa altro che riproporre ancora una volta l'atteggiamento naturale, 65 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 107. 66 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 54. 31 nonostante il tentativo compiuto per neutralizzarlo. Se interpretiamo il testo di Husserl su questa scia dovremmo, infine, attribuirgli le medesime critiche che egli stesso rivolge al falso trascendentalismo cartesiano, esposte in particolare nella Krisis. L'ego cogito verrebbe, quindi, a coincidere con l'io mondano, inteso come soggetto psicologico, e la sospensione delle validità naturali si ridurrebbe, in tal modo, alla mera astrazione della sostanza corporea, ovvero della res extensa. L'interpretazione psicologica dell'ego non può, tuttavia, trovare posto all'interno delle considerazioni fenomenologiche dato che, poco prima di caratterizzare la coscienza trascendentale come “residuo” fenomenologico, Husserl dichiara: “così io neutralizzo tutte le scienze riferentesi al mondo naturale e, per quanto mi sembrino solide, per quanto le ammiri, per quanto poco io pensi ad accusarle di alcunché, non ne faccio assolutamente nessun uso”67. Husserl, perciò, si rende conto dell'inadeguatezza del termine “residuo” o “regione”, in quanto esso non fa altro che riproporre, all'interno di un terreno che si suppone scevro da ogni pregiudizio naturale, la dialettica tra esperienza interna ed esterna. Il fenomeno non deve essere inteso come un Erlebnis psicologico, un atto soggettivo che si riferisce ad un oggetto (Gegenstand) esterno ad esso, “si tratta, invece, di ricondurre lo sguardo all'originarietà del fenomeno, all'apparire, per chiedersi poi quali processi fanno sì che l'apparire venga interpretato come un evento interno di una psiche”68 § 8: La via “ontologico-kantiana” alla riduzione La via “cartesiana” della riduzione fenomenologica, che come abbiamo 67 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 67. 68 Vincenzo Costa, Il cerchio e l'ellisse, cit., p. 133. Cfr., inoltre, la caratterizzazione che dà Tugendhat del concetto di phänomenologischen Dimension: con il metodo fenomenologico, infatti, “wird also zugleich der neue quasi gegenständliche Bereich der «Gegebenheitsweisen» entdeckt, eine Zwischendimension zwischen Erlebnis und Gegenstand” (in Ernst Tugendhat, Die Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger, Walter de Gruyter & Co., Berlin, 1970, p. 172). La definizione dell'orizzonte dei fenomeni come una dimensione a metà strada fra oggetto naturale e vissuto soggettivo toglie ogni equivoco circa il presunto idealismo soggettivo a cui i termini husserliani possono apparentemente ricondurci. 32 appena visto si presta a pericolose incomprensioni, non è però l'unica via per giungere all'orizzonte trascendentale dell'esperienza. Husserl ipotizza perlomeno due alternative ulteriori: la via “ontologico-kantiana” e quella attuata a partire dalla psicologia69. Intendiamo soffermarci solamente sulla prima fra queste ultime due, dal momento che riveste un'importanza fondamentale per la nostra trattazione. Essa procede “in un ordine inverso rispetto a quello suggerito dall'impostazione cartesiana”70. Se Descartes si concentra preliminarmente sulla possibilità o meno di rinvenire delle conoscenze evidenti, la direzione kantiana procede, all'opposto, dalla constatazione della verità evidente dei giudizi scientifici per analizzare limiti e condizioni di possibilità di tali evidenze. Perciò il metodo riduttivo che prende spunto dalla filosofia critica di Kant viene definito “ontologico”, nella misura in cui l'obiettivo a cui tende è rappresentato dal “rendere comprensibile il senso dell'oggettività”71. Il fatto che Husserl, poi, conferisca uno status privilegiato alla via kantiana, sottolineato in diversi passi della Krisis (ma anche in Erste Philosophie), pone in una nuova prospettiva gli scopi stessi della filosofia fenomenologica. Se, infatti, il metodo husserliano intende raggiungere come punto di partenza del procedere scientifico un ambito di pure certezze, individuate grazie al criterio dell'evidenza apodittica, è comunque certo che non bisogna in ogni caso ridurre tale criterio ad una qualità psicologica aggiunta agli atti giudicanti. In questo modo si dischiude un livello più originario della questione gnoseologica fondamentale che tiene avvinte le iniziali considerazioni fenomenologiche: quello relativo alla modalità ontologica dell'oggettività conoscitiva. Possiamo benissimo appellarci alle “evidenze” per costruire il nostro edificio scientifico, ma dobbiamo poi domandarci sia quali validità possiedono queste nostre presunte conoscenze, sia come possono essere legittimate sul piano dell'adeguazione alla realtà e all'essere stesso. La fenomenologia non può, dunque, riservare alla problematica dell'oggettività il titolo di un settore specifico dell'intero sistema 69 Cfr. R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, Il Mulino, Bologna, 1992, pp. 91-105. 70 Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. 198. 71 R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 96. 33 fenomenologico, riguardante tutt'al più la fondazione delle scienze esatte. Comprendere la legittimità con cui una conoscenza o un giudizio possano considerarsi oggettivamente veri, rappresenta, al contrario la questione centrale della gnoseologia fenomenologica72. La comunanza tra riduzione “ontologica” e prospettiva kantiana, tuttavia, non si esaurisce con la messa a tema del senso dell'“oggettività” in generale. La “rivoluzione copernicana” compiuta da Kant, come reazione alla “bancarotta della filosofia” (immagine husserliana questa) determinata dallo scetticismo humeano si avvicina, da un certo punto di vista, al rivolgimento fenomenologico attuato dalla “riduzione” husserliana. L'abbandono, da parte della riflessione fenomenologica, delle categorie e dei predicati di esistenza validi all'interno dell'atteggiamento naturale “ha il suo modello dunque nella «rivoluzione copernicana» di Kant come capovolgimento dell'intero modo di pensare naturale”73. Anche il criticismo kantiano riconduce la verità degli oggetti di esperienza entro i limiti e le possibilità del soggetto trascendentale, pur concependo in termini differenti tale orizzonte fondamentale dell'essere. La fenomenologia ripropone tale via al trascendentale in una direzione, però, radicalmente nuova. Husserl accusa principalmente Kant di aver fondato la propria concezione della natura e dei limiti della conoscenza su “costruzioni mitiche”, non giustificabili se non da una prospettiva puramente formale 74. È noto, infatti, che la prima Kritik kantiana prenda le mosse dall'analisi della conoscenza giudicante con l'obiettivo di indagarne le condizioni a priori nel campo del sensibile (estetica trascendentale) e dell'intellegibile (analitica trascendentale). Husserl, all'opposto, attuando una “sospensione” della validità delle leggi logiche, e quindi dell'intero 72 Alla delucidazione di questa tematica è dedicato l'intero saggio presente, perciò essa non potrà che apparire, in questo luogo specifico, per certi versi ancora poco argomentata. Non possiamo che rimandare, quindi, alla lettura dei capitoli successivi. 73 R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 97. 74 Un esempio fra tutti è costituito dalla “deduzioni trascendentale” delle categorie a priori dell'intelletto a partire dalla tavola dei giudizi. Questa operazione mostra la sostanziale differenza che caratterizza la diversità delle filosofie trascendentali dei due autori: Kant deduce le forma a priori, mentre Husserl descrive il campo del trascendentale. 34 campo predicativo, apre la problematica trascendentale, in Kant peculiarmente gnoseologica, ad un più amplio e complesso orizzonte di considerazioni. Non si tratta (soltanto) di stabilire in che modo il giudizio in generale possa legittimare la propria pretesa di validità, ma (anche) di chiarire il rapporto fondante tra orizzonte trascendentale e naturale, tra soggettività e mondo, ovvero quella che Husserl denomina “correlazione universale”. Perseguire tale scopo in modo rigoroso e scientifico significa, però, sospendere preliminarmente ogni tipo di validità naturale, comprese quelle della metafisica ingenua75. Il vantaggio della prospettiva “ontologica”, che sottopone direttamente ad analisi la validità della nostra conoscenza oggettiva, consiste perciò nel concepire la soggettività trascendentale non come Residuum der Welt, ma immediatamente come condizione a priori dell'esistenza e del senso del mondo. Ciò non comporta, di conseguenza, la possibilità di fraintendere ε̉ποχή fenomenologica ed ε̉ποχή scettica, poiché la “messa in parentesi” dell'atteggiamento naturale risulta già implicita all'interno dell'impostazione critico-trascendentale. Le cose, gli oggetti del mondo naturale permangono, anche se preventivamente “ridotti”, come Leitfaden dell'analisi costitutiva, la quale “si pone il compito di rendere comprensibile, a partire puramente dalle fonti soggettive dell'operato intenzionale della coscienza, la strutturazione ontologica o oggettiva del mondo esperito in modo naturale, in quanto interconnessione di apparizioni”76. L'approfondimento della costituzione del polo oggettuale della correlazione universale implica, dunque, il superamento della “limitazione del campo 75 In un testo del 1907, che inaugura la conquista della prospettiva trascendentale da parte della fenomenologia, Husserl scrive: “la critica della conoscenza in questo senso è la condizione della possibilità di una metafisica” (in Edmund Husserl, L'idea della fenomenologia, cit., p. 44). Ciò non significa, tuttavia, che Husserl rifiuti in generale la metafisica come disciplina filosofica, tanto che nella lettera a K. Joel dell'11 marzo 1914, la posizione contenuta in quelle parola verrà approfondita in questo modo: “io non riduco affatto la filosofia alla teoria della conoscenza e alla critica della ragione in generale, e tanto meno alla fenomenologia trascendentale. [...] Più in particolare, essa sola rende possibile una metafisica scientifica” (citato in R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 293). 76 Ivi, p. 97. 35 fenomenologico al flusso di coscienza attuale”77, che era suggerita invece dalla via “cartesiana”. Il criterio di evidenza, che giustificava la riduzione della percezione trascendente e dubitabile alla percezione immanente e indubitabile motiva, dunque, l'inappellabilità della sola mia esperienza attuale, facendo precipitare nel dubbio tanto l'esperienza passata (ricordo) quanto l'esperienza propria dell'altro (entropatia)78. La messa in parentesi, per utilizzare un espressione husserliana, di quel criterio79 consente dunque di impostare l'analisi sulla costituzione delle oggettualità in stretto legame con la prospettiva eidetica che affronta lo studio delle strutture essenziali dell'Ego trascendentale. Dall'unione di questi due ambiti potrà svilupparsi, di conseguenza, la problematica intersoggettiva che, come faremo vedere, è strettamente implicata dal significato fenomenologico del concetto di oggettività. Abbiamo visto, dunque, che Husserl attribuisce una maggiore validità alla via “kantiana”, riconoscendosi come erede della tradizione trascendentale moderna. Nondimeno il suo rapporto con la filosofia critica è riscontrabile solo ad un livello superficiale, tanto che “il motto con cui spesso si «riassume» il senso della fenomenologia - «alle cose stesse» - è [...] già di per sé polemico con il limite kantiano della conoscenza alla sola sfera fenomenica”80. Kant rimane, perciò, vittima dell'atteggiamento naturale per cui il mondo è un in sé obiettivo che oltrepassa i limiti della coscienza fenomenica. Superando il dualismo fondamentale, implicito nell'obiettivismo moderno, la fenomenologia husserliana è in grado di realizzare una 77 Ivi, p. 98. 78 Cfr. il § 46 di Ideen I, intitolato appunto “Indubitabilità della percezione immanente, dubitabilità di quella trascendente” (in Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., pp. 99-102). Si può dire in generale che quell'opera mantiene in generale l'impostazione “cartesiana”, con tutti i fraintendimenti che da essa possono seguire (cfr. giudizio di Husserl a proposito di Ideen I in Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. 182). 79 Che potrebbe apparire sotto certi punti di vista come un “pregiudizio”, come è stato ben evidenziato (come parte dell'aporetica in cui viene a cadere l'intero discorso fenomenologico) nel libro di Mario Ruggenini, Verità e soggettività, cit., Cap. II, pp. 57-75). 80 Elio Franzini, Fenomenologia. Introduzione tematica al pensiero di Husserl, Franco Angeli, Milano, 1991, p. 38. 36 vera e propria “esperienza trascendentale”, ovvero una visione diretta delle “dimensioni del trascendentale, uscendo dalle «costruzioni mitiche» di Kant, per afferrare, insieme al mondo della vita, il fungere in esso della soggettività”81. 81 Ivi, p. 36. 37 Capitolo secondo: ANALISI FENOMENOLOGICA DEL TERRITORIO TRASCENDENTALE E PROBLEMATICA DEL METODO EIDETICO La conseguenza fondamentale dell'applicazione del metodo fenomenologico consiste nella scoperta di una “nuova regione dell'essere finora non rivelata”82 rappresentata dalla soggettività trascendentale. In realtà si è notato precedentemente quali ambiguità possa suscitare il termine “regione dell'essere”, perciò risulta più conveniente caratterizzare, come fa lo stesso Husserl, il trascendentale non in senso sostanzialistico-ontologico, ma come una tipologia specifica di esperienza che è possibile verificare all'interno del conoscere riflessivo. Poco dopo il passo citato si trova, infatti, una annotazione che chiarisce in tal modo il senso più proprio del concetto di trascendentale: “con ciò si dice anche, correlativamente, che si tratta della scoperta di un'esperienza del tutto diversa rispetto a quella obiettiva o, in termini più chiari, di quella mondana, di un'esperienza universale, infinita, nel cui concordante andamento si costituisce questa sfera dell'essere”83. Si rende evidente, perciò, la non perfetta compatibilità riscontrabile tra la concezione del trascendentale cartesiana e kantiana, da una parte, e la concezione husserliana, dall'altra. La dimensione su cui si “costituisce” la sfera d'essere mondana 82 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 68. 83 Ivi, p. 69 (corsivi nostri). 38 non può essere ricondotta né ad una entità sostanziale del tipo della res cogitans cartesiana, né tanto meno alla staticità delle forme a priori dell'estetica e dell'analitica svelate dalla prospettiva critico-trascendentale. Il campo di indagine della fenomenologia trascendentale si identifica, al contrario, con un orizzonte infinito e autonomo di esperienza al cui interno ogni senso ed esistenza acquistano legittimità. È dunque l'universo della lebendige Gegenwart, della mia esperienza vivente che costituisce l'oggetto proprio della considerazione fenomenologica. Tale esperienza fenomenica non va interpretata, tuttavia, in senso psicologico, poiché grazie alla messa fuori gioco del mondo obiettivo essa “perde il senso di vita coscienziale umana, di quella vita che chiunque può progressivamente afferrare mediante la pura «esperienza interna»”84. Il trascendentale viene dunque caratterizzato preliminarmente come “esperienza”, ma in un senso che può trarre in inganno e ingenerare equivoci se incanalato verso una sua interpretazione naturalistica. Vi è, inoltre, un secondo livello di difficoltà che riguarda più profondamente l'impostazione della fenomenologia husserliana. In Ideen I l'attuazione dell'ε̉ποχή consente l'accesso alla regione della “coscienza pura” che fa immediatamente pensare ad un insieme coordinato e strutturato di Erlebnisse ruotanti attorno ad un polo rigido, rappresentato dall'io (Ichpol). Il centro di irradiamento della totalità dei vissuti deve essere pensato, tuttavia, come ciò che dà forma (μορφή) ad una materia (ΰλή) pre-esistente85, cioè ad un orizzonte più originario che Husserl denomina anche “vita trascendentale primordiale”86. È soprattutto all'interno delle opere tarde, come le Meditationen e la Krisis, che Husserl svilupperà questa tematica della costituzione della soggettività trascendentale ponendo sotto una luce differente 84 Ivi, p. 70. 85 Resta da verificare, però, se sia in generale possibile una materia senza forma e viceversa o se, piuttosto, Husserl individui delle forme implicite all'interno della sfera cosiddetta materiale e delle materialità (nel senso di datità semplici) all'interno del polo formale. 86 Relativamente a questa tematica, che rappresenta nello specifico il punto d'arrivo della fenomenologia, dovremo occuparci più diffusamente nel corso delle nostre analisi relative all'intersoggettività trascendentale. Per ora, al fine di comprendere lo sviluppo della presente trattazione, occorre prendere per buona la tesi circa la non originarietà dell'ego come struttura univoca e precostituita dell'orizzonte trascendentale. 39 le considerazioni sviluppate nel 191387. § 1: La natura del fenomeno e l'originarietà dell'orizzonte trascendentale Chiarita la peculiarità dell'esperienza fenomenologica rispetto al vivere mondano e psicologico della coscienza e annullato il pregiudizio essenziale della totale riduzione all'io di questa nuova dimensione, bisogna ora definire in termini più precisi che cosa Husserl intenda con “esperienza trascendentale”. Ma “che cosa si può ancora porre come essere”, si domanda infatti colui che ha appena messo in atto l'ε̉ποχή, “se l'universo, la totalità della realtà viene posta tra parentesi?” 88. Una volta revocata la validità delle nostre certezze mondane, delle certezze dell'esperire naturale ci si trova apparentemente di fronte ad un nulla-di-mondo privo di determinazioni e identità stabili. La Weltvernichtung persegue, tuttavia, un obiettivo metodico preciso: quello di rendere possibile il manifestarsi di un nuovo e più originario livello di esperienza che risulti poi capace, grazie a determinate evidenze, di assegnare fondamenta stabili al conoscere filosofico. Perciò “questa epoché fenomenologica, questa messa entro parentesi del mondo oggettivo, tutto ciò non ci pone di fronte a un mero nulla”89. Si dischiude, invece, di fronte allo sguardo del fenomenologo, un universo infinito e complesso di fenomeni (Erscheinungen) di cui bisogna venirne a capo. Tugendhat, come è stato già messo in evidenza, caratterizza l'essenza del fenomeno come Zwischendimension che si colloca in una posizione mediana tra l'oggetto, preso in se stesso, e il rispettivo vissuto di coscienza. Detto in altri termini, fenomeno (φαινόμενον) è propriamente “ciò che si manifesta” oppure, secondo la 87 Cfr. a tal proposito Claudio Pacchiani, L'idea della scienza in Husserl, CEDAM, Padova, 1973, p. 50. Pacchiani sostiene che le Meditationen contengono una problematizzazione della prospettiva trascendentale di Ideen I che porta Husserl a rivedere l'originarietà attribuita inizialmente all'ego cogito in direzione di una messa a tema dell'orizzonte fondante della “vita trascendentale”. 88 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 68. 89 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 54. 40 precisazione heideggeriana, “ciò che si manifesta in se stesso”90. Di conseguenza non è affatto corretto associare direttamente il manifestarsi dell'oggetto con il vissuto psichico relativo, né ridurre il fenomeno all'essere in sé naturale proprio della concezione obiettivistica: non avrebbe senso, infatti, parlare di qualcosa che si manifesta senza fare riferimento, contemporaneamente, e ad un polo oggettuale e ad un polo soggettivo. Molto spesso è stata, tuttavia, fraintesa questa sfumatura essenziale del concetto husserliano di fenomeno e ci si è pericolosamente spinti verso un sua interpretazione in senso soggettivistico-psicologico. Procedendo in tale direzione non è possibile rendersi conto dell'originalità e della novità costituita dall'idealismo fenomenologico-trascendentale e si rischia, inoltre, di attribuire ad esso i limiti e le difficoltà dell'idealismo tradizionale. Notiamo, dunque, che la nozione di fenomeno, la più fondamentale all'interno dell'apparato di concetti ispirati dall'approccio fenomenologico, mostra possibilità interpretative che rischiano di far naufragare l'intero progetto husserliano di costituire una filosofia rigorosa. Il motivo di tali possibili incomprensioni risiede nel fatto che una volta attuata la ”sospensione” del mondo obiettivo, e scoperto nella coscienza il terreno originario e fondante di ogni posizione di validità e di essere, ci si dimentica in genere del punto di partenza dell'intera riflessione fenomenologica, ovvero l'atteggiamento naturale e tutti gli attributi che ad esso ineriscono. Quest'ultimo, dunque, non viene assolutamente eliminato e tolto di mezzo una volta per tutte in quanto dubitabile per lasciare posto all'orizzonte assoluto della coscienza. Esperienza trascendentale ed esperienza naturale rimandano reciprocamente l'una all'altra in quanto l'una costituisce le condizioni di possibilità a priori dell'altra. La riduzione fenomenologica, metodo rigoroso di una filosofia orientata in senso trascendentale, intende dunque fornire una spiegazione “scientifica” dell'atteggiamento naturale che consenta di giustificare la comune credenza nell'esistere di un mondo in sé unico e separato rispetto ai nostri vissuti. Lo stesso progetto epistemico husserliano non avrebbe senso se venissero a mancare i due pilastri fondamentali rappresentati dall'esperienza naturale (ovvero l'Ursituation della 90 Cfr. Martin Heidegger, Sein und Ziet; trad. it. di P. Chiodi, Essere e Tempo, Longanesi, Milano, 2005, pp. 43 e s. 41 coscienza immersa nel mondo) e dall'esperienza trascendentale (propriamente la Grunderfahrung, il darsi alla coscienza del fondamento proprio della visione naturale del mondo)91. Su che cosa si sorregge, infatti, la pretesa di trovare un fondamento inconcusso al sapere filosofico se non nella possibilità di oltrepassare l'orizzonte attuale delle datità ingenuo-naturali che, in quanto tali, mancano di un fondo in sé indubitabile? La “riflessione fenomenologica” è, appunto, un ri-flettere su ciò che è immediatamente presente alla coscienza, sul darsi del mondo nella modalità dell'ovvio e dell'inopinabile. Tuttavia visto dall'esterno, il procedimento di tale riflessione fa pensare inizialmente ad un circolo dell'argomentazione che intende introdurre la prospettiva fenomenologica in grado poi di minare il carattere cogente del più generale discorso husserliano. L'attuazione dell'ε̉ποχή, infatti, presuppone il darsi effettivo dell'atteggiamento naturale teso ad affermare l'indipendenza e l'autonomia del mondo nei confronti dell'esperienza. Solo su tale premessa può fondarsi, dunque, ogni legittimità della riduzione fenomenologico-trascendentale che riduce il mondo ingenuo-naturale al principio della soggettività intesa in senso trascendentale. Al tempo stesso, però, tale ri-conduzione dell'essere oggettivo al fenomeno, alla manifestazione soggettiva mostra, al contempo, la falsità del pregiudizio naturalistico. “L'atteggiamento naturale”, infatti, “non deve essere altro per il fenomenologo che una situazione costituita, non presupposta all'esperienza fondamentale e originaria, in cui il soggetto si comprende come assoluto e in forza della quale si apre la filosofia”92. Ci troviamo di fronte ad un'aporia fondamentale del pensiero fenomenologico93, nel senso che si danno per valide due prospettive 91 Cfr. Mario Ruggenini, Verità e soggettività, cit., pp. 63 e s. 92 Ivi, p. 70 (corsivi nostri). 93 Che del resto lo stesso Husserl sembra ammettere quando nell'Appendice VI a Ideen I, afferma: “Tutte le considerazioni [sviluppate nel capitolo I della Seconda Sezione] procedono dall'esperienza naturale, avvengono sul terreno naturale. [...] Che dire dell'evidenza di tutta la trattazione che avviene sulla base di questo presupposto? La trattazione pretende di fornire un a priori definitivo? Il presupposto non chiarito non condiziona per caso oscillazioni e difficoltà?” (in Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 356, sottolineature nostre). 42 ugualmente sostenibili sul piano logico: quella che assegna l'originarietà all'atteggiamento naturale e quella che considera la dimensione trascendentale come costitutiva di quello stesso presunto momento originario. Va da sé, tuttavia, che nelle due alternative mostrate il termine “originario” viene impiegato secondo altrettanto diverse accezioni. Il carattere “originale” della modalità naturalistica attesta l'immediatezza con cui essa si pone di fronte al soggetto teoretico-riflettente, perciò la sua precedenza nel divenire della considerazione fenomenologica è di carattere meramente temporale. L'oggettività del mondo è il primo indiscutibile presupposto che viene assunto dalla coscienza atteggiata naturalmente, è il contenuto della certezza ingenua che accompagna ogni esperienza compiuta all'interno dell'orizzonte naturale. Colui che, al contrario, decide di sottrarsi all'abitus delle validità naturali e viene, per così dire, costretto a descriverle e giudicarle dall'esterno, non può che considerare quella originarietà come una mera apparenza, valida esclusivamente all'interno di un certo tipo di atteggiamento (Einstellung). Per tale motivo Husserl caratterizza il proprio metodo anche come un “rivolgimento” o “conversione”, termini che sembrano alludere ad un cambiamento irreversibile e totale del rapporto io-mondo94. È fondamentale porsi ad un livello più profondo di quello diretto (geradehin) in cui si colloca il vivere mondano: solo a partire da una tale prospettiva sarà possibile, infatti, mostrare l'effettiva problematicità dell'ovvio e avviarsi verso una riconsiderazione in chiave fenomenologica dell'esperienza, alla ricerca del fondamento inconcusso per la nostra conoscenza. § 2: Il problema della riduzione La questione della antecedenza o meno dell'atteggiamento naturale nei confronti dell'esperienza trascendentale ha costituito un fondamentale argomento di 94 Bisognerebbe, invero, indagare da vicino la differenza tra le parole tedesche Haltung e Einstellung, entrambe tradotte in italiano col termine neutrale di “atteggiamento”. La prima indica una modalità di “com-portamento”, ovvero un tipo di agire pratico sul mondo; la seconda, al contrario, si rifà all'accezione più rigorosa di “posizione”, come quando si afferma di “aver preso una posizione” all'interno di una discussione. Quest'ultima possiede, dunque, una valenza più teoretica che esistenziale. 43 discussione all'interno del movimento fenomenologico. In particolare Eugen Fink, allievo di Husserl, affronta il problema in un famoso articolo pubblicato nel 1933 e intitolato Die phänomenologische Philosophie E. Husserls in der gegenwärtige Kritik95. Il testo, preceduto da una introduzione dello stesso Husserl che accorda la massima importanza alle obiezioni ivi contenute, ruota attorno alla tesi fondamentale secondo cui “die Reduktion setzt sich selbst voraus”96. Fink, infatti, nega la possibilità che all'interno dell'atteggiamento naturale possano trovarsi dei motivi che spingano in direzione di un suo radicale superamento. Per questo la riduzione appare immotivata e inconoscibile se ci si colloca fin dall'inizio, come fa Husserl in Ideen I, esclusivamente all'interno della dimensione mondana che in quanto tale costituisce un orizzonte chiuso in se stesso. Il passaggio che si deve compiere partendo dalla situazione iniziale (Ursituation), in cui è dato ingenuamente l'essere nel mondo verso la meta finale della riflessione fenomenologica, rappresentata dalla soggettività trascendentale, non può che essere immaginato come un salto inspiegabile e immotivato. “Si tratta di una rottura a cui l'uomo naturale si trova provocato: una rottura con se stesso, un salto nel buio, attraverso il quale l'uomo perde la sua umanità e si ritrova soggetto assoluto”97. È l'insorgere della “meraviglia” o “stupore” (θαυμάζειν) nei confronti dell'enigma del mondo che Aristotele e molti altri dopo di lui hanno riconosciuto come l'atteggiamento fondamentale di chi intende attuare l'esercizio del comprendere filosofico. Occorre tuttavia precisare l'origine di questa tonalità emotiva che rende possibile la riflessione filosofica. Se ci troviamo completamente immersi nelle certezze e nelle sicurezze dell'atteggiamento naturale sembra infatti che lo stupore e 95 Cfr. Eugen Fink, Die phänomenologische Philosophie E. Husserls in der gegenwärtigne Kritik, «Kantstudien», XXXVIII (1933), pp. 319-383. Per l'analisi di questo articolo e della problematica inerente abbiamo fatto affidamento alle considerazioni svolte da Ruggenini nel capitolo II della Prima Parte di Mario Ruggenini, Verità e soggettività, cit., pp. 57-75. 96 Tesi che verrà ripresa anche dal curatore dell'edizione tedesca delle Cartesianische Meditationen, Roman Ingarden, quando sosterrà nel 1950: “si deve praticamente aver compiuto la riduzione per riconoscere la possibilità e la necessità di una tale riduzione” (R. Ingarden, Kritische Bemerkungen, in Cartesianische Meditationen (Husserliana I), p. 206. 97 Mario Ruggenini, Verità e soggettività, cit., p. 61. 44 la problematicità dell'essere mondano non potrebbero in alcun modo mostrarsi e apparire nella loro sconvolgente verità. L'esperienza naturale deve già contenere i presupposti impliciti necessari all'attuazione della riduzione fenomenologicotrascendentale che come abbiamo visto consiste in una trasformazione dell'essere obiettivo del mondo in fenomeno d'essere collegato alla soggettività. Nella dimensione puramente pre-filosofica il singolo uomo si trova all'interno di una comunità di soggetti, ognuno portatore di una differente prospettiva sul mondo. Attraverso la tematizzazione esplicita di tali visioni soggettive all'interno di un rapporto di reciproco scambio comunicativo emergono i primi contrasti senza che vi sia il bisogno di prescindere dalla sfera naturale: ogni singolo uomo, infatti, tende a far valere innanzitutto la corrispondenza tra il proprio modo di vedere e l'essere in sé obiettivo del mondo. “Questa sorprendente contrapposizione”, scrive Husserl, “rivela la differenza tra la rappresentazione del mondo e il mondo reale e pone il nuovo problema della verità”98. Ciò non significa, però, che l'origine dell'atteggiamento teoretico-filosofico va cercata all'interno di una circostanza storica, o anche psicologica, per cui lo stupore non costituirebbe altro che un tipo di reazione “naturale” alla constatazione del darsi di esperienze ingenue discordanti. Dobbiamo, infatti, ammettere che “la meraviglia e la domanda che le resta sottesa non potrebbero darsi se non fossimo attraversati da una più originaria coscienza dell'essere”99. Lo θαυμάζειν nei confronti dell'esserci delle cose e del loro accadere non sta all'origine della filosofia nel modo in cui lo può essere una causa nei confronti del proprio effetto; lo stupore, la meraviglia che si riferisce all'enigmaticità dell'esperienza mondana sono già in se stessi dei “sentimenti filosofici” che portano con sé l'idea di verità intesa come oltrepassamento dell'orizzonte naturale dell'apparire. Perciò “lo stupore non è un fatto della cultura, o se si vuole della storia, né è un fatto psicologico, ma un fatto della ragione. Essendo riferito all'idea di vero essere, lo stupore è riferito all'incondizionato, rappresenta 98 Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. 344. 99 Virgilio Melchiorre, Logos come memoria dell'origine, in Figure del sapere, Vita e Pensiero, Milano, 1994, p. 53. 45 l'aprirsi dell'intelligenza al motivo trascendentale come telos”100. Per concludere dobbiamo ammettere, dunque, che: da un lato l'atteggiamento mondano risulta necessario all'attuazione della riduzione trascendentale in quanto la motiva e la rende necessaria; dall'altro si vede come quella riduzione è possibile nella misura in cui già a partire dalla dimensione “naturale” si diano non tanto le “motivazioni” di cui Fink va inutilmente in cerca, quanto le condizioni necessarie al porsi concreto della problematica filosofico-trascendentale. La vera e propria conditio sine qua non della prospettiva filosofica è data, però, dalla circostanza per cui l'uomo già da sempre vive nella verità e per la verità, la quale rappresenta quindi il motivo teleologico dell'umanità in quanto razionale. La ratio fondamentale dell'essere umano, secondo la prospettiva generale della fenomenologia husserliana, consiste nella capacità di porre e tenere costantemente in primo piano il τέλος ultimo della verità, ovvero quello di una conoscenza data in “evidenza adeguata”. La fenomenologia husserliana rappresenta il tentativo di “realizzare”, mettere in pratica questo compito infinito, il che significa collocarsi nell'atteggiamento proprio di chi intende attuare un ideale che per essenza si discosta dal reale concreto. Su questa dialettica fondamentale tra il reale e l'ideale si inserisce la quasi totalità delle affermazioni e dei concetti di origine fenomenologica. L'obiettivo husserliano della ricerca di verità stabili e incontrovertibili non può essere, dunque, considerato alla stregua di un “sogno illusorio”, un tentativo già fallito in partenza prima ancora di metterlo alla prova. Si tratta, infatti, di assumere in modo serio la responsabilità di un tale compito, incamminandosi lungo la via che possa dischiudere la verità inconcussa posta come idea direttiva. Il metodo più rigoroso per intraprendere questo cammino è, per Husserl, quello fenomenologico, il quale consiste nella “riduzione”dell'esistenza del mondo a fenomeno per la soggettività trascendentale. § 3: Flusso eracliteo degli Erlebnisse puri e scientificità del metodo fenomenologico L'orizzonte dell'originarietà trascendentale, quell’esperienza che deve fungere da fondamento aprioristico alla sfera naturale, sembrerebbe, tuttavia, già di per se stessa, porre seri problemi a qualsiasi tentativo conoscitivo che intenda definirsi 100 Vincenzo Costa, Il cerchio e l'ellisse, cit., p. 187. 46 “scientifico”. Ci troviamo, difatti, come dichiara Husserl, in un “eterno flusso eracliteo di fenomeni”101. Come è possibile avviare un discorso scientifico (λòγος) su ciò che si manifesta (φαινόμενον) in modo caotico e apparentemente privo di senso? Si tratta, quindi, di studiare a fondo la natura nonché le possibilità di principio dello stesso metodo fenomenologico. Un punto essenziale rimane, comunque, il fatto importante che Husserl stesso si ponga in termini critici e dubbiosi nei confronti della propria teoria filosofica. L'indagine dei fenomeni e delle esperienze contenute nella sfera trascendentale pone una seria difficoltà: il carattere eminentemente soggettivo che viene ad assumere la manifestazione del mondo costituisce un problema nei confronti di “una investigazione scientifica, e cioè non solipsistica, ma verificabile intersoggettivamente, oggettivamente valida”102. Si tratta, per chiarire, dello stesso ordine di questioni con cui si cimentò Platone dopo aver dichiarato il proprio tentativo di σόζηιν τά φαινόμενα e che riguarda ogni scienza che intenda produrre una conoscenza oggettivamente valida intorno alla sfera dei fenomeni soggettivi. Questo “riferirsi a se stessa della fenomenologia”103, alla ricerca della propria validità di fatto, comporta un altro problema di circolarità dell'argomentazione. A tal proposito Husserl afferma che “la prima introduzione e il primo inizio dell'indagine devono [...] operare con sostegni metodici che soltanto più tardi riceveranno una definitiva forma scientifica”104. Il metodo di indagine da impiegare nell'analisi del terreno trascendentale dei puri Erlebnisse, perciò, non può essere in alcun modo considerato valido a priori: cioè prima che lo stesso procedere fenomenologico riveli quali possono essere i fondamenti con cui legittimare ogni nostra pretesa di validità. Nondimeno l'apparato metodico di questa scienza è da assumere “come qualcosa di pienamente ovvio”105; esso consiste in un guardare puro, ossia preventivamente 101 Edmund Husserl, L'idea della fenomenologia, cit., p. 80. 102 R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., pp. 105-106. 103 È il titolo del paragrafo 65 di Ideen I, in cui Husserl affronta esplicitamente la questione. Cfr. Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 141. 104 Ibidem. 105 Ivi, p. 142. 47 “ridotto”, privato di ogni presupposto. Bisogna fare astensione dalle presunte evidenze che popolano il nostro atteggiamento naturale nei confronti del mondo per poter, in questo modo, cogliere obiettivamente la sfera dei puri Erlebnisse. L'orizzonte di questioni aperto dalla riflessione che la fenomenologia compie nei confronti del proprio metodo viene, dunque, superato da Husserl mediante l'introduzione diretta di questo stesso metodo106. Ha senso porsi domande sul procedere della riflessione fenomenologica solamente nella misura in cui questa abbia raggiunto il suo stadio finale e completo, ovvero si sia definitivamente attuata. In questo appello alla definitività, ritenuta possibile e prima o poi attuabile, dell'indagine fenomenologica si basa la “soluzione” del problema del metodo suggerita dagli stessi luoghi citati di Ideen I. Husserl, quindi, sembra prospettare all'interno di tutta l'opera del 1913 la possibilità di una conclusione definitiva della riduzione fenomenologico-trascendentale e, perciò, della stessa attività di fondamento della conoscenza che rappresenta il motivo di fondo indispensabile, come abbiamo chiarito all'inizio, per comprendere l'intero percorso husserliano. In verità questa speranza verrà progressivamente a mancare nel momento in cui si mostrerà il carattere essenziale della tematica dell'immer wieder all'interno del contesto fenomenologico. § 4: L'eidetica husserliana Superate queste oscillazioni iniziali, la fenomenologia husserliana si trova preparata ad illustrare i principi fondamentali del proprio metodo d'indagine riferito alla sfera trascendentale: essa, precisamente, “vuol essere una scienza descrittiva delle essenze degli Erlebnisse trascendentalmente puri”107. Per comprendere tale definizione bisogna disporre, in prima istanza, di una effettiva comprensione del concetto di essenza. 106 “Di fronte a queste difficoltà Husserl metteva in campo ricorrentemente la considerazione che l'esplorazione della coscienza non vuole essere una scienza empirica ma una scienza di essenze, e può raggiungere in generale risultati scientifici solo come indagine di essenze” (in R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 106). 107 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 158. 48 Husserl ha distinto all'interno di Ideen I due tipologie fondamentali di essenze: quelle “morfologiche” delle scienze descrittive e quelle “ideali” delle scienze esatte108. Le prime sono tratte da una diretta visione sensibile, perciò sono considerate da Husserl “forme fattizie”, strutture a priori rinvenute in rebus che prendono origine grazie alla registrazione e l'analisi del decorso fattuale dell'esperienza. La visione intuitiva che ognuno può attuare nei confronti del proprio esperire permette, infatti, di riportare e fissare concettualmente ciò che resta invariato (la forma o struttura essenziale) nel corso di questo fluire continuo dell'esperienza vivente. Al contrario, le essenze proprie delle scienze esatte, prime fra tutte le discipline matematiche dell'aritmetica e della geometria, non costituiscono il risultato di una descrizione immediata dell'esperire, ma si distinguono in contrapposizione alle essenze morfologiche per il loro carattere “astrattivo”. “I concetti esatti hanno i loro correlati in essenze che hanno il carattere di «idee» in senso kantiano”109, ovvero rappresentano dei limiti ideali a cui il reale non può che avvicinarsi asintoticamente e che non risultano, perciò, esperibili in alcuna percezione diretta. Le essenze “geometriche” rappresentano, dunque, gli assiomi su cui si fonda il procedere matematico insieme a tutte le scienze eidetiche che si occupano di “varietà definite”. Ora questa precisazione fornitaci dal testo husserliano chiarisce, in senso opposto, la peculiarità fondamentale della scienza eidetica. Malgrado il costante riferimento al metodo matematico, Husserl rimane fermo nel sottolineare le differenze sostanziali che tengono a debita distanza la visione matematica del reale da quella specifica dell'eidetica fenomenologica. Se è vero che geometria e aritmetica si occupano anch'esse degli oggetti basandosi unicamente sulla loro dimensione “essenziale”, tale orizzonte viene però costituito non sul fondamento di una metodica descrittiva, ma puramente deduttiva. Nella Krisis si parlerà di “matematizzazione galileana della natura”110 per indicare la sustruzione logico-teoretica che si fonda sull'applicazione deduttiva di 108 Cfr. ivi, p. 156. 109 Ivi, p. 157 110 È il titolo del famoso paragrafo 9 contenuto in Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., pp. 53- 88. 49 principi assiomatici ideali all'esperienza concreta. Gli assiomi da cui si dipanano i procedimenti deduttivi delle scienze matematiche rappresentano, per Husserl, delle costruzioni ideali che trovano il loro fondamento implicito nelle stesse essenze morfologiche costituite a livello pre-scientifico. Per tale circostanza l'universale delle scienze assiomatico-deduttive non può che essere subordinato all'universale empirico delle scienze morfologiche. Il metodo fenomenologico non si identifica, quindi, immediatamente con l'eidetica matematica, la quale rimane pur sempre una conoscenza dipendente dalle certezze naturali e che deve, quindi, essere subordinata al sapere proprio dell'orizzonte trascendentale originariamente fondante. Malgrado tali differenze il tratto che accomuna, in ogni caso, la prospettiva matematica con quella fenomenologica è rappresentato dall'uguale oltrepassamento della dimensione fattuale (Tatsächlichkeit) in direzione di un sapere di tipo aprioristico. Tale “liberazione dal fatto” viene compiuta attraverso “una configurazione del fatto nella forma dell'esempio qualsiasi”111. La fenomenologia, pur configurandosi come un tipo specifico di eidetica morfologica, non si occupa nelle proprie descrizioni del mero “dato di fatto” (Tatsache); le sue analisi si rivolgono, invece, alle possibilità ideali di cui il fatto rappresenta una casuale estrinsecazione concreta. È presente nella concezione husserliana l'assegnazione di un primato fondamentale alla categoria della possibilità (Möglichkeit) su quella della realtà (Wirklichkeit), dell'ideale sul concreto, nel senso che la più modesta verità a priori è da considerare sempre superiore a qualsiasi tipo di giudizio a posteriori. I termini dell'opposizione reale/ideale si trovano, tuttavia, profondamente modificati all'interno della prospettiva fenomenologica, per cui in realtà questi concetti non vanno tenuti separati in modo assoluto. Abbiamo visto, infatti, che l'essenza morfologica viene estrapolata dall'esperienza del dato concreto e soltanto a partire da essa. Il procedimento metodico che consente la visione delle essenze (Wesenschau) all'interno del fluire caotico dei puri Erlebnisse è rappresentato dalla cosiddetta “variazione eidetica”. Essa si articola in due momenti fondamentali: il primo 111 R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 107. 50 consiste nel percorrere, a partire da un dato di fatto individuale considerato a guisa di esempio, tutte le variazioni possibili, non soltanto empiriche ma anche immaginarie e fantastiche; in un secondo momento bisogna poi cogliere la struttura invariante o essenza che permane sempre, a prescindere da ogni possibile variazione. E’ possibile, dunque, definire le essenze fenomenologiche come “universali in rebus”, dal momento che “è una caratteristica della visione essenziale [...] di fondarsi su una visione individuale [...]; di conseguenza non è possibile alcuna visione di essenze senza la libera possibilità di volgere lo sguardo ad una individualità corrispondente e di servirsene a guida di esempio – come pure nessuna visione individuale è possibile senza la libera possibilità di compiere una ideazione e di volgere così lo sguardo all'essenza, di cui l'individuo in questione è appunto una esemplificazione”112. Questa lunga citazione del testo husserliano ricopre una funzione notevole per la comprensione del metodo eidetico. Le affermazioni contenute in essa valgono tanto per gli universali empirici quanto per quelli eidetici poiché entrambi sono ascrivibili alla sfera delle essenze morfologiche. La differenza che intercorre tra le due, tuttavia, risiede nell’accettazione o meno della tesi circa l'esistenza del mondo. Nel caso delle essenze morfologiche empiriche, l'implicita posizione dell'esserci mondano costituisce un limite di fatto alla variazione operata dal metodo eidetico, il quale non può esplicitarsi al di fuori delle possibilità meramente empiriche, date quindi solamente all'interno dell'esperire naturale. La variazione eidetica non empirica consente invece di “afferrare nell'originale un'essenza, tanto partendo dalle corrispondenti visioni empiriche quanto partendo da visioni non empiriche, non rappresentative dell'esistente, anzi puramente immaginarie”113. L'immaginazione, nello specifico la facoltà immaginativa della fantasia (Fantasie), risulta dunque fondamentale per distinguere la peculiarità della variazione eidetica nei confronti di quella empirica. Grazie al metodo eidetico la visione di un'essenza può essere raggiunta anche senza fare riferimento ad un dato di 112 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 19. 113 Ivi, p. 20. 51 fatto esistente poiché “le pure verità essenziali non contengono la minima affermazione circa dati di fatto, e [...] quindi da esse sole non si può ricavare la più modesta verità di fatto”114. Il rapporto tra essenze e dati di fatto non è, perciò, articolato nel modo della reciprocità. Se da una parte l'essenza rappresenta il quid specifico che permette di cogliere a livello esperienziale l'individualità del semplice Tatsache115, dall'altra non è possibile ricavare dalla visione dell'essenza alcuna verità circa il mondo empirico-fattuale. Il fatto individuale viene razionalizzato, ovvero ridotto a esemplare casuale di un eidos a priori necessario, di conseguenza è lecito affermare che “ogni razionalità del fatto sta invero nell'a priori”116. § 5: Il rapporto tra dati di fatto ed essenze La fenomenologia eidetica si occupa delle possibilità ideali e delle strutture universali che presiedono necessariamente ad ogni esperienza, delineando così gli a priori dell'orizzonte trascendentale. Esiste, tuttavia, una precisa implicazione tra la scienza di essenze e la scienza dei dati di fatto. “La connessione, pure eidetica, tra un oggetto individuale e l'essenza”, sostiene Husserl, “[...] dà luogo a un analogo rapporto tra le scienze di dato di fatto e le scienze di essenze”117. Dal momento che l'individuale possiede il proprio carattere di necessità solamente se considerato dal punto di vista essenziale come mera esemplificazione empirica di un eidos a priori, le scienze che si occupano di tali oggettualità empiriche non possono che trovarsi in posizione subordinata nei confronti delle discipline eidetiche. La totalità delle possibilità dell'esserci fattuale vengono, infatti, pre-delineate già all'interno delle scienze eidetiche mediante la scoperta di principi veri a priori. Tali principi non vanno però confusi con le leggi naturali, che costituiscono invece “soltanto regole 114 Ibidem. 115 “«Essenza» indicò anzitutto ciò che si trova nell'essere proprio di un individuo come suo quid. Ma ogni simile quid può venir «messo in idea». Una visione empirica o individuale può essere trasformata in visione dell'essenza (ideazione)” (ivi, pp. 17-18). 116 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 170. 117 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 24. 52 fattizie, che potrebbero esse stesse suonare del tutto diverse”118. Le essenze della fenomenologia si caratterizzano come forme a priori di qualsiasi esperienza possibile (empirica o meno), attive anche nella considerazione dei dati di fatto individuali. Lo stesso oggetto individuale non può essere considerato come “qualcosa di semplicemente individuale, un effimero «questo qui»”119; esso possiede, infatti, predicati essenziali che gli competono necessariamente e che rappresentano il suo quid o sostrato necessario. Da ciò si evince che la casualità del fatto non è da attribuire alla sua struttura invariante che lo accomuna ad altri molteplici fatti, ma al suo semplice esserci qui e ora (Dasein): di conseguenza bisogna ammettere che “tutto ciò che appartiene all'essenza di un individuo può appartenere anche ad un altro individuo”120. In linea di principio, quindi, è possibile cogliere un’articolazione essenziale della totalità dei Tatsachen in diverse “regioni ontologiche” caratterizzate da altrettante forme a priori. Se dunque ciò che è proprio all'essenza di un singolo oggetto deve essere condivisibile con una pluralità di altri oggetti, questo non significa che tutte le proprietà essenziali debbano appartenere a tutti gli oggetti possibili. Vi sono tipologie di essenze che si identificano con il cosiddetto “oggetto in generale”, inteso come la forma oggettuale a priori di ogni possibile oggettualità, ma la maggior parte delle qualità essenziali con cui si identificano gli individui fattuali sono ascrivibili a regioni o categorie più specifiche di oggetti. Husserl, perciò, distingue tra ontologia formale, la quale “opera su forme pure, e quindi su contenuti soltanto in quanto «contenuti in generale»”121, e le varie ontologie materiali o regionali. Queste ultime definiscono il dato di fatto mediante griglie di determinazione eidetica sempre più sottili e precise, nei confronti della tipica analizzata dalla ontologia formale e rappresentano un approfondimento ulteriore in direzione delle particolarità fondamentali dell'essere che si inseriscono però sempre nelle linee direttive istituite dalle analisi formali. 118 Ivi, p. 17. 119 Ibidem. 120 Ibidem (corsivo nostro). 121 Ivi, p. 349. 53 Scrive, dunque, Husserl: “tutte le discipline aprioriche possibili formano una universitas interconnessa, formano nella pluralità un'intima unità; che esse sono connesse in una scienza apriorica delle fonti originarie di ogni essere e di ogni coscienza possibile – in una «fenomenologia trascendentale», e devono essere trattate come ramificazioni essenzialmente necessarie di questa”122. § 6: Il significato dell'a priori in Husserl e Kant Lo studio e l'individuazione delle essenze che competono alla sfera trascendentale ottenuta mediante la riduzione fenomenologica consente, quindi, una fondazione assoluta tanto della ontologia formale quanto delle varie ontologie regionali che presiedono ai rispettivi campi del sapere scientifico. Il progetto di ricerca proprio alla filosofia fenomenologica di Husserl verso la determinazione di un fondamento inconcusso della conoscenza diviene, in quest'ultimo passaggio, direttamente esplicito e si articola in direzione di una fondazione universale delle scienze. Ogni pretesa conoscitiva dovrà, quindi, trovare una giustificazione all'interno delle analisi fenomenologiche riguardanti la sfera dell'esperienza trascendentale. Il metodo eidetico va applicato in prima istanza al flusso di coscienza che si è rivelato fondamento inaggirabile di ogni posizione d'essere. La fenomenologia si distanzia, quindi, dallo studio psicologico della coscienza proprio per il fatto di esplorare il regno della coscienza pura non alla ricerca di verità di fatto, ma in direzione dell'individuazione delle verità a priori ed essenziali. Tale concezione del metodo di fondazione delle scienze rappresenta una notevole evoluzione nei confronti del medesimo tentativo kantiano di fondare il conoscere sulle strutture a priori della soggettività. In particolare, a subire una netta trasformazione è la nozione stessa di “a priori” e, conseguentemente, il significato di giudizio sintetico a priori tipico della critica trascendentale. L'analitico rappresenta per Husserl la forma logica dei giudizi e delle categorie private del riempimento intuitivo attuato dall'esperienza percettiva. Il sintetico, invece, è dato proprio dal riempimento (Erfühlung) della forma dei giudizi 122 Ms. K VI 4, pp. 7 s. Passo citato in R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., pp. 112-113. 54 attraverso contenuti o intuizioni materiali. Kant, al contrario, aveva caratterizzato l'analitico come quella forma di giudizio che, mediante l'”analisi”, esplica i predicati già implicitamente contenuti nel soggetto del giudizio; mentre il sintetico è un giudizio in cui il predicato aggiunge un segmento di conoscenza ulteriore che non è possibile trarre dall'analisi del concetto espresso nel soggetto123. Superando l'impostazione kantiana, Husserl è in grado di affermare la possibilità di un “a priori materiale (sintetico), in cui si dà, si offre all'esperienza, l'evidenza della cosa stessa”124. In questo modo la fenomenologia può criticare la concezione dell'intelletto legislatore secondo cui l'unificazione della totalità delle esperienze viene attuata mediante la polarizzazione attorno all'Ich denke o “appercezione trascendentale”. La sintesi del materiale costituito dalle intuizioni empiriche avviene, secondo Kant, solamente grazie all'attività e spontaneità del soggetto conoscente: di qui deriva l'inconoscibilità essenziale del noumeno, di ciò che la cosa è in se stessa al di là delle strutture a priori della sensibilità e dell'intelletto. Per Husserl, al contrario, “l'a priori non è una capacità sintetico-ordinatrice di un Io penso che ordina un materiale sensibile informe, [...] ma è radicato nelle cose stesse, nella loro struttura sensibile”125. La cosa in sé, l'interno, il quid dell'oggetto conoscitivo è, in senso fenomenologico, quell'elemento invariabile che si mostra stabile (come un ε̉ν ε̉πὶ πολλω̃ν) nella molteplicità inesauribile dei decorsi fenomenici. Tale prospettiva permette, infine, di riconsiderare il rapporto di dipendenza, istituito da Kant, tra estetica e analitica trascendentale. Per Husserl l'analitica, il categoriale, non può che fondarsi sull'originaria esperienza offerente, ovvero sull'“estetica”. Da una parte, infatti, il riempimento delle vuote forme logiche necessita di intuizioni materiali in grado di svolgere l'attività di riempimento; dall'altra le stesse strutture formali o categoriali trovano la loro origine all'interno dell'esperienza ante-predicativa126. 123 Cfr. tutto il paragrafo IV dell'Introduzione di Immanuel Kant, Critica della ragion pura, a cura di P. Chiodi, UTET, Torino, 2008, pp. 80-83. 124 Elio Franzini, Fenomenologia, cit., p. 40. 125 Ibidem. 126 Come viene mostrato dettagliatamente nello scritto husserliano raccolto postumo e intitolato 55 La filosofia trascendentale kantiana rimane per Husserl, nonostante le evidenti affinità presenti a livello di intenti più che nei contenuti effettivi, una via in direzione della coscienza pura, falsata da uno psicologismo di fondo. “Un residuo di psicologismo si trova, in particolare, nel presupposto kantiano relativo alle «facoltà» presenti nell'essere umano, che non sono adeguatamente giustificate e conducono ad un antropologismo”127. § 7: Il metodo della variazione eidetica Il fenomenologo si volge, dunque, alla ricerca delle leggi a priori che riguardano un campo particolare di esperienza, quello dei vissuti coscienziali. Di fronte a questo flusso indeterminato di Erlebnisse l'unico strumento scientifico che possa essere impiegato in modo efficace è rappresentato dal metodo della ricerca di essenze. Il singolo vissuto, perciò, non viene indagato nella sua origine psicologica e fattuale, ma solo come rappresentante di una essenza generale. Come Husserl scrive nella Crisi, “il fatto è qui determinabile soltanto in quanto fatto nella sua essenza e soltanto attraverso la sua essenza, e non documentato empiricamente attraverso un'empiria induttiva in un senso analogo a quello proprio dell'obiettività”128. Ciò significa che la visione d'essenza non è il risultato di un processo induttivo che si fondi sull'esperienza di una molteplicità di singoli dati di fatto. In questo caso, infatti, all'essenza non competerebbero quegli attributi di necessità e universalità rigorosa propri di ogni concetto a priori129. La variazione eidetica, quindi, si configura come Esperienza e giudizio (cfr. Edmund Husserl, Esperienza e giudizio, trad. it. di F. Costa, Silva, Milano, 1960). 127 Angela Ales Bello, Husserl interprete di Kant, Dialegesthai, 2005, http://www.bibliotecahusserliana.com, p. 9. 128 Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., pp. 204-205. 129 Cfr. la identificazione kantiana, che Husserl implicitamente fa propria, dei due segni distintivi fondamentali di ogni conoscenza a priori: la necessità, intesa come ciò che non può essere diversamente; e l'universalità autentica e rigorosa diversa da quella derivante dall'esperienza e chiamata da Kant “universalità presunta e comparativa (induttiva) sì che si deve propriamente dire: stando a quanto abbiamo finora osservato, non risulta alcuna eccezione a questa regola” (in Immanuel Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 75). 56 quel metodo che ci permette di giungere alla visione d'essenza (Wesenschau) e non come un processo di costituzione delle validità essenziali a partire dall'esperienza della molteplicità di variazioni possibili. Detto in altri termini, “la variazione non produce l'essenza: l'essenza precede la variazione e la rende possibile”130. La condizione di possibilità di una variazione è rappresentata dall'elemento che permane nella modificazione. Nel metodo eidetico ciò che risulta stabile in tutte le variazioni empiriche e immaginative è propriamente l'essenza, il quid dell'oggetto cui è stata applicata la procedura di “ideazione”. Tutto ciò non deve portare alla concezione secondo cui il risultato della fenomenologia eidetica non è altro che la riaffermazione tautologica dell'identità essenziale dell'oggetto empirico individuata originariamente nell'esperire naturale. Quella stessa identità, piuttosto, conteneva già implicitamente predelineata l'essenza dell'oggetto in questione, la quale però era esperita ancora in modo oscuro e indiretto. La convinzione profonda di Husserl è che per determinare il che cosa dell'oggetto conoscitivo sia necessario analizzare la totalità dei suoi come, ovvero dei suoi molteplici modi di manifestazione rispetto alla coscienza. È all'interno di queste modalità di apparizione che si dovrà ri-cercare l'identità perduta del polo oggettuale che prima veniva considerata come il suo esserci in sé obiettivo, messo tra parentesi dall'atteggiamento fenomenologico. Di conseguenza le essenze sono qualcosa di già dato, preliminare alla riflessione fenomenologica e la cui genesi passiva rientra pienamente nel settore dei problemi da analizzare. Il “flusso eracliteo” della coscienza trascendentale, da cui prende le mosse la scienza delle essenze con l'intento di operarne una fissazione in termini concettuali, “è passivamente precostituito come tale” e “la visione dell'eidos consiste nella prensione intuente attiva di ciò che è già precostituito”131. L'analisi del metodo eidetico ci conduce, dunque, direttamente alla problematica della costituzione. Essa, tuttavia, rappresenta solamente una delle strutture fondamentali che ineriscono alla coscienza trascendentale. La molteplicità delle analisi che si possono condurre sul piano trascendentale, ovvero 130 Alessandro Biral, L'unità del sapere in Husserl, CEDAM, Padova, 1967, p. 31. 131 Edmund Husserl, Esperienza e giudizio, cit., p. 390. 57 fenomenologicamente ridotto, restano comunque simili grazie al loro comune aspetto metodologico rappresentato dall'analisi eidetica. Per tale motivo Husserl definisce la fenomenologia come scienza delle essenze, ma al tempo stesso, come si è già anticipato, la giustificazione di tale metodo non può risultare evidente che mediante l'attuazione delle stesse riflessioni fenomenologiche. Ciò che ci porta in direzione di un chiarimento essenziale delle datità che sorgono a livello dei puri fenomeni di coscienza è precisamente la volontà di svelare il campo dell’assoluta datità diretta (Selbstgegebenheit). Quest'ultima non si riduce, letteralmente, all'immanenza materiale (reel) dei vissuti psicologici di una coscienza mondana; altrimenti non ci saremmo discostati dal terreno delle semplici validità naturali. La datità diretta concerne, infatti, anche quel tipo particolare di concetti universali rappresentati dalle pure essenze fenomenologiche. In quanto universalità desunte attraverso il metodo rigoroso della “astrazione ideante” esse non possono sottoporsi al dubbio che concerne ogni trascendenza in quanto tale e pertanto non rientrano propriamente nell'ambito dei problemi costitutivi immediati. La precedente citazione, tratta dal testo di Erfahrung und Urteil, dichiara la sostanziale pre-datità delle essenze e di conseguenza la loro eventuale riducibilità ad una dimensione più originaria. Le regioni eidetiche, così come la forma essenza in generale, sono i costituenti delle individualità fattuali o dati di fatto (Tatsachen) empirici: rappresentano, dunque, il fondamento di possibilità dell'esperienza naturale. A sua volta, però, il territorio delle essenze è in sé subordinato ad un ulteriore strato fondativo che sta alla base, quindi, anche della variazione eidetica. All'interno delle stesse riflessioni fenomenologiche deve venire alla luce, dunque, una dimensione più originaria che dovrebbe giustificare il senso e la procedura del metodo che Husserl vuole intraprendere. 58 59 Capitolo terzo: STRUTTURE GENERALI DELLA COSCIENZA PURA E PROBLEMATICA COSTITUTIVA Le numerose questioni che sono emerse nella prima parte di questo saggio possono essere raccolte attorno al denominatore comune della circolarità argomentativa facente capo sia alla tematica della riduzione dell'atteggiamento naturale sia a quella riguardante il metodo eidetico da impiegare nell'indagine dell'esperienza trascendentale. Possiamo affermare, dunque, che l'intera impostazione fenomenologica riposa su questa sostanziale ambiguità: all'inizio del suo percorso la fenomenologia non risulta in grado di giustificare se stessa, di fornire cioè una motivazione che la legittimi in piena autonomia. Questa circolarità, a nostro avviso essenziale, può essere rimossa solo nel momento in cui la fenomenologia abbia portato a termine l'esposizione completa delle caratteristiche essenziali del proprio ambito di studio, mettendo in luce le strutture essenziali della coscienza trascendentale. Del resto lo stesso Husserl dichiara che “il metodo non è qualcosa che si applichi dall'esterno ad un territorio. [...] è una norma che scaturisce dalla caratteristica regionale del territorio [al quale si applica] e delle sue strutture generali, quindi la sua conoscibilità dipende dalla conoscenza di queste strutture”132. Non è possibile attribuire validità al metodo fenomenologico-trascendentale se ci si colloca al di qua della riflessione che esso intende compiere. L'operazione fondamentale portata avanti dal progetto husserliano consiste, infatti, nella riconduzione del nostro 132 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 163. 60 atteggiamento naturale alle sue condizioni di possibilità a priori, al suo terreno fondativo. Questo comporta l'assunzione della differenza essenziale tra ciò che è fondato e ciò che fonda, la quale non richiede una giustificazione poiché è la precondizione necessaria di ogni domanda relativa alla legittimità di un giudizio. Fare a meno di tale distinzione significa, infatti, concedere spazio ad un discorso meramente tautologico e incapace di dare una fondazione effettiva alla propria pretesa di verità. § 1: L'essenza del fenomeno Una volta attuata l'ε̉ποχή e ricondotta la totalità del mondo a fenomeno della coscienza resta, tuttavia, ancora irrisolto il problema centrale da cui aveva preso le mosse la teoria fenomenologica: quello relativo alla possibilità di fondare la nostra conoscenza di oggetti che per definizione trascendano la dimensione meramente soggettiva. Per comprendere in che modo “la conoscenza possa portarsi, oltre se stessa, sull'oggetto, ed essere ancora certa di questo rapporto, e in modo indubitabile”133 è necessario indagare il regno delle evidenze apodittiche individuate nella sfera immanente della coscienza grazie al metodo riduttivo. La messa tra parentesi dell'esistenza del mondo ha reso possibile, infatti, l'apertura del territorio trascendentalmente puro al cui interno si custodiscono tutte le possibilità e le condizioni a priori della conoscenza oggettiva. In Ideen I Husserl individua quattro “strutture generali della coscienza pura”134: ovvero la riflessione, la relazione degli Erlebnisse all'io puro, la temporalità e l'intenzionalità. L'ultima di queste forme fondamentali dell'orizzonte trascendentale, tuttavia, è anche “ciò che caratterizza la coscienza in senso pregnante e consente di indicare la corrente di Erlebnisse come corrente di coscienza e come unità di una coscienza”135. Al principio della intenzionalità di ogni vissuto coscienziale vanno, dunque, ricondotte tutte le altre strutture essenziali. 133 Edmund Husserl, L'idea della fenomenologia, cit., p. 112. 134 Cfr. Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., Capitolo secondo/Sezione terza. 135 Ivi, p. 186. 61 Caratterizzare la coscienza secondo la sua capacità intenzionale significa attribuire ad ogni Erlebnis la facoltà di essere “coscienza di qualche cosa” di diverso da sé. La capacità di rinviare a qualcos'altro, però, non va attribuita unicamente al cogito, alla coscienza “desta”, che si riferisce ad un oggetto determinato allo stesso modo con cui uno “«sguardo» uscente dall'io puro si dirige all'«oggetto»”136; ma deve essere colta anche nella modalità specifica del cosiddetto “Erlebnis di sfondo”, o “coscienza d'orizzonte”, in cui non si trovano oggetti intenzionati se non nel modo di percezioni potenziali e intenzioni vuote non attualmente riempite. L'esperienza esemplificata dal cogito rappresenta solo una modalità specifica dell'intenzionalità propria alla coscienza trascendentale, ma certamente non l'unica. Nell'esempio della percezione di oggetti trascendenti, che rappresenta per Husserl il modello gnoseologico di qualsiasi atto intuitivo originalmente offerente, la dialettica tra contenuto cosciente (cogito) e quello presuntivo (“coscienza d'orizzonte”) diviene addirittura fondamentale alla stessa articolazione fenomenica dell'esperienza. L'Erlebnis intenzionale, in quanto puro fenomeno, va interpretato secondo un duplice significato: come manifestazione, ovvero vissuto interno di una coscienza soggettiva, e come ciò che propriamente appare, il contenuto immanente che quel mostrarsi porta in luce. Questa duplicità del carattere d'essere del fenomeno si trova, infatti, inscritta all'interno della logica generale dell'apparire, che è sempre apparire di qualcosa ad un soggetto. L'intenzionalità esemplifica in tal modo gli attributi fondamentali che devono essere ascritti al concetto di fenomeno (Erscheinung): che sono il suo essere-per (il soggetto) e il suo essere-in sé (come oggetto). L'apparire è sempre il manifestarsi di qualcosa che si mostra di fronte (gegen) ad un soggetto perciò il fenomeno, come afferma Sartre, è il “relativoassoluto. [...] perché il «sembrare» esige, per essenza, qualcuno a cui sembrare”137. Nondimeno, l’accezione del termine tedesco Erscheinung non deve condurre verso prospettiva kantiana secondo cui il fenomeno cela all'osservatore il noumeno, l'in-sé inconoscibile dell'oggetto che si manifesta. Questo modo di interpretare la nozione di fenomeno rappresenta, secondo Husserl, la caratteristica centrale dell'atteggiamento 136 Ivi, p. 187. 137 Jean-Paul Sartre, L'essere e il nulla, tr. it. a cura di G. Dal Bo, Il Saggiatore, 1943, p. 12. 62 naturale che non è costitutivamente in grado di cogliere l'immanenza dell'essere all'interno del fenomeno, ovvero la sostanziale identità (nella differenza) tra l'essere (Sein) e l'apparire (Schein). Nell'ottica fenomenologica, dunque, il contenuto dell'apparire non si identifica affatto con la cosa trascendente, ma è sempre esso stesso un Erlebnis, un vissuto che rimanda intenzionalmente all'oggetto vero e proprio. § 2: Materia e forma della manifestazione L'articolazione della modalità intenzionale dei vissuti di coscienza ci riporta ad una distinzione fondamentale istituita dalle analisi fenomenologiche husserliane, quella tra ύλη sensuale e μορφή intenzionale o noesi138. Un singolo fenomeno risulta, infatti, composto da questi due elementi che, solo se presi in unità, rendono possibile il riferimento (Beziehung) della coscienza all'oggetto intenzionale. I dati sensibili non si identificano, infatti, immediatamente con l'oggetto, ma rappresentano piuttosto i modi di apparizione soggettiva che Husserl denomina con il termine tecnico di Abschattungen. Ogni adombramento prospettico possiede, infatti, la capacità di rinviare intenzionalmente all'oggetto trascendente solamente grazie all'intervento della μορφή, ovvero dell'atto soggettivo della coscienza che, per così dire, “anima” il sostrato inerte della materia sensibile conferendogli la potenzialità di rinvio a qualcos'altro diverso da sé. Contenuto iletico e forma intenzionale rappresentano, quindi, dei momenti inscindibili costituenti l'essenza di qualsiasi Erlebnis e implicano un comportamento allo stesso tempo passivo e attivo da parte della coscienza. Bisogna ora considerare in che modo si costituisce l'attivazione dell'ύλη sensuale da parte della μορφή intenzionale. Gli atti della coscienza svolgono in tutto questo processo una funzione principalmente sintetica: raccolgono la molteplicità dei dati sensibili attorno ad un nucleo rappresentato dal senso oggettuale o noema. È 138 Relativamente alla giustificazione dell'analisi intenzionale dell'Erlebnis Husserl dichiara che “questi concetti di materia e forma ci balzano addirittura incontro” (in Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 191): a dimostrazione del fatto che l'analisi fenomenologica si regge sul Prinzip aller Prinzipen, quello dell'evidenza e del carattere indubitabile (dunque vero) di tutto ciò che si manifesta e nei limiti in cui si manifesta. 63 grazie a questo collegamento che i dati iletici possono apparire come apparizioni unilaterali di un oggetto, inteso quindi come l'unità olistica dei singoli fenomeni, o Abschattungen, mediante cui si dà alla coscienza. Il noema è, dunque, il “senso” delle apparizioni, ciò che permette di cogliere l'identità nella differenza organizzando già al livello della sensibilità pre-riflessiva l'altrimenti caotico flusso di Erlebnisse. Secondo Husserl, infatti, il puro apparire contiene già in sé delle strutture a priori e delle forme di auto-organizzazione che coordinano passivamente il materiale dell'esperienza. A differenza del trascendentalismo kantiano, la prospettiva fenomenologica non attribuisce all'intelletto (Verstand) la facoltà di sintetizzare sulla base di forme a priori soggettive il datum brutum rilevato dall'intuizione empirica, subordinando in questo modo la “critica” della sensibilità pura all'analitica trascendentale. “L'estetica (intesa come teoria della sensibilità) non ha più il ruolo kantiano, meramente propedeutico per la conoscenza fenomenica: per Husserl è invece qui che si compie la sintesi a priori, cioè il processo conoscitivo in senso proprio”139. Ma l'analisi dell'intenzionalità quale caratteristica pregnante di ogni vissuto coscienziale ha mostrato, oltre a ciò, che l'apparire di un oggetto in generale non deve essere considerato come l'effetto dell'azione causale di un essere trascendente sulle nostre facoltà conoscitive. Ciò ci riporterebbe nuovamente sul terreno delle certezze naturali relative all'essere in sé dell'oggetto percepito. Il punto di vista fenomenologico ci “costringe”, invece, a porre ogni senso e costituzione di entità trascendenti solamente all'interno della sfera immanente della coscienza, l'unica considerata indubitabile e assolutamente necessaria. La trascendenza, ovvero l'esistenza concreta e reale (wirklich) dell'oggetto correlato al senso noematico, può infatti aggiungersi al semplice riferimento intenzionale solamente attraverso l'articolarsi di una credenza soggettiva: “un oggetto esiste per noi quando nella noesi vi è il carattere della credenza”140. Quelle noesi che “pongono” direttamente l'essere di ciò che intenzionano, costituiscono un tipo specifico di atti della coscienza che 139 Elio Franzini, Fenomenologia, cit., p. 40. 140 Vincenzo Costa, Husserl, Carocci, Roma, 2009, p. 47. 64 Husserl definisce “atti tetici”141. Essi si concentrano, di volta in volta, sulla modalità d'essere da attribuire al senso oggettuale e rappresentano tutti delle modificazioni facenti capo ad un atto tetico fondamentale, chiamato Ur-doxa o Urglaube. Tale Erlebnis originario esprime dal punto, di vista noetico, la certezza del credere (Glaubensgewissheit) e, dal lato noematico, l'essere dell'oggetto intenzionato. La certezza viene l'atteggiamento definita “originaria” in naturale, l'Ur-situation quanto che caratterizza precede propriamente l'attuazione dell'ε̉ποχή fenomenologico-trascendentale in cui viene messa tra parentesi ogni posizione ontologica riferita agli oggetti percepiti. L'analisi eidetica del territorio trascendentale pone, quindi, fuori considerazione non soltanto la modalità in sé prima della credenza nell'essere dei correlati noematici ma, contemporaneamente, anche tutte le sue possibili modificazioni, compresa quella del “dubbio”142. § 3: La temporalità come a priori dell'esperienza All'interno del territorio fenomenologicamente ridotto non è corretto prendere le mosse dalla datità immediata dell'oggetto trascendente, poiché essa non è in grado di giustificarsi da se stessa e fornire ragioni che la rendano indubitabile. Bisogna, dunque, studiare la modalità attraverso cui il fenomeno risulti in grado, alla fine, di portare a manifestazione una tale oggettualità che, per definizione, si colloca al di là di ogni apparire soggettivo-relativo. Per chiarire tale questione occorre sviluppare con più precisione le considerazioni riguardanti l'intenzionalità della coscienza. Malgrado la sua apparente banalità, tale principio dell'analisi trascendentale nasconde, infatti, strutturazioni sempre più complesse man mano che venga approfondita e articolata l'indagine fenomenologica. Il rimandare intenzionale del singolo dato iletico al senso oggettuale o noema si attua mediante la “sintesi intenzionale” in cui svolgono un ruolo costitutivo tanto la ύλη sensuale che la μορφή intenzionale. A livello passivo, infatti, sono presenti delle strutture a priori che 141 Cfr. Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., pp. 232 e s. 142 Come si diceva nei capitoli precedenti, l'ε̉ποχή husserliana non può affatto essere identificata tout court con il metodo del dubbio cartesiano, poiché il dubbio, con la sua esplicita presa di posizione ontologica, rimane necessariamente all'interno dell'atteggiamento naturale. 65 rendono possibile l'attuazione del rimando intenzionale e, di conseguenza, l'apparire dell'oggettualità: esse sono la sintesi temporale e la sintesi associativa. La temporalità costituisce la strutturazione più originaria degli Erlebnisse di coscienza che permette, nel medesimo tempo, una primitiva differenziazione e unificazione dei vissuti esperienziali143. Affinché possa realizzarsi una connessione di qualsiasi tipo tra la molteplicità dei dati iletici è indispensabile che la coscienza risulti capace di “trattenere”, mediante l'atto specifico della ritenzione, tali dati anche nel momento in cui essi non siano più attualmente presenti. Già a questo stadio preriflessivo dell'esperienza è all'opera, dunque, un'organizzazione articolata dei vissuti per cui essi emergono nella loro irriducibilità reciproca pur trovandosi, nello stesso tempo, in un continuum dell'apparizione che li pone in rapporto costante. Il divenire di ogni vissuto attuale, compreso quindi il suo momento iletico, è per essenza imprevedibile e irriducibile all'individualità fattuale (tatsächlich) di ogni altro tipo di Erlebnis. Nello stesso tempo, però, la singola esperienza, pur differenziandosi dalla molteplicità degli altri vissuti, si inserisce all'interno di un flusso costante di vissuti, di una “storia” percettiva, rinviando continuamente al di là di sé, in direzione del passato e del futuro. L'intero concreto e fluente della dimensione temporale rappresenta, dunque, una forma a priori dell'apparire in quanto rende possibile una differenziazione e una primitiva associazione ritenzionale e protenzionale del materiale sensibile. Le ritenzioni, in quanto sintesi passive del materiale iletico, si distinguono dai ricordi veri e propri. L'atto ritenzionale, infatti, mantiene viva la coscienza dell'appena trascorso senza alcun intervento riflessivo e attivo da parte del soggetto che compie l'esperienza. La struttura temporale dell'apparire si costituisce, perciò, autonomamente all'interno del fluire passivo dei vissuti, come un vero e proprio principio a priori dell'esperienza fenomenica. La rimemorazione (Wiedererinnerung) o ricordo secondario, invece, è collocata da Husserl nella sfera delle intenzioni attive della coscienza in quanto 143 Scrive a tal proposito Franzini: “la temporalità della coscienza interna non solo appartiene a ogni singolo vissuto ma è una forma necessaria che crea il nesso fra vissuti” (in Elio Franzini, Fenomenologia, cit., p. 64, corsivo nostro). 66 “possiede proprie specifiche leggi indipendenti da quelle degli oggetti rimemorati”144. A causa di tale circostanza, inoltre, il ricordo di secondo grado non può essere considerato come una presentazione immediata e “in carne ed ossa” (leibhaft) del contenuto ricordato, ma solo come ri-produzione di un impressione più originaria. “Ciò che viene ritenuto, al contrario, appartiene al tratto di presenza vivente [lebendige Gegenwart], costituisce l'alone di senso del presente, il suo orizzonte”145. L'esperienza attuale, dunque, circoscrive un ambito più esteso del presente oggettivo, dell'ora attuale privo di estensione: rappresenta piuttosto “un «ora» con un «alone temporale», cioè con un orizzonte vivente del «non più (appena)» e del «non ancora (il sopravveniente)» in diverse gradazioni”146. Il flusso interrelato dei singoli istanti temporali collega, infatti, il momento presente non soltanto con l'immediato passato, ma anche in relazione al momento futuro attraverso il fungere passivo della “protensione”. Questa potenzialità di rinvio nei confronti del futuro consente, in particolare, la costituzione di una sintesi attiva del materiale iletico. In qauetso modo la coscienza risulta capace di pre-raffigurare il decorso futuro o meramente potenziale dell'esperienza. Il “non ancora”, dato anch'esso originalmente, non è però un vuoto futuro privo di determinazioni; esso contiene delle anticipazioni sul flusso percettivo che scaturiscono da attese di conferma, motivate dai vissuti attualmente coscienti. Solo mediante tale configurazione a priori dell'esperienza è possibile, quindi, concepire una differente “modalizzazione” dei nostri atti precettivi e, conseguentemente, dei relativi sensi oggettuali. Il giudizio intorno all'esistenza di un qualsiasi oggetto o noema, infatti, può trovare una seria legittimazione solamente attraverso il ricorso al riempimento intuitivo di attese protensionali. § 4: Le sintesi associative Se la temporalità viene intesa come condizione a priori dell'apparire in generale, Husserl non si limita ad essa ma fa ricorso anche ad un secondo elemento fondamentale per comprendere il carattere soggettivo-relativo dell'esperienza. La 144 Elio Franzini, Fenomenologia, cit., p. 64. 145 Vincenzo Costa, Husserl, cit., p. 49. 146 R. Bernet, I. Kern,E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 140. 67 seconda forma a priori che consente l'apparire di oggettualità internamente alla dimensione trascendentale della coscienza è rappresentata, infatti, dai rimandi associativi che si istituiscono tra il dato in sé della coscienza attuale e l'orizzonte da cui esso emerge. Il riferimento husserliano al concetto di “associazione” operante nell'organizzazione passiva del materiale sensibile non deve far pensare ad una ripresa della tesi empiristica dell'associazionismo percettivo. Secondo tale prospettiva, elaborata principalmente da Hume e ripresa da John Stuart Mill, la percezione di un oggetto reale avviene mediante la connessione di una serie di sensazioni slegate l'una dall'altra e associate secondo l'arbitrio della coscienza consapevole in modo da costituire l'identità dell'oggetto medesimo. I principi che regolano l'associazione traggono origine all'interno della facoltà psicologica umana e non hanno, dunque, un carattere necessitante o a priori, ma solamente empirico e a posteriori. Scrive per l'appunto Hume: “questo principio d'unione fra le idee non deve essere considerato come una connessione indissolubile [...]. Noi dobbiamo invece considerarlo come una dolce forza che comunemente si impone”147. Husserl, all'opposto, non intende affatto condurre l'analisi sul piano delle facoltà del soggetto umano. Non va, quindi, alla ricerca dei meccanismi e delle funzionalità che rendano possibile la costituzione meramente psicologica di un'entità oggettuale esterna, poiché ciò comporterebbe l'abbandono del progetto fenomenologico di porre le basi apodittiche e trascendentali per una conoscenza adeguata del mondo, con il conseguente sprofondamento nello scetticismo riguardo le possibilità umane del conoscere stesso. Se infatti si ammette sul piano della percezione la possibilità di un'interferenza rappresentata dall'attivazione delle facoltà psicologiche del soggetto, rimane di fatto preclusa ogni via che conduca a delle conoscenze veramente indubitabili ed evidenti. Per tale motivo Husserl non considera le sintesi associative come dei processi psichici arbitrari o convenzionali di unificazione: piuttosto egli va alla ricerca di rimandi associativi all'interno dello stesso materiale sensibile. Inoltre, le sintesi passive formate a livello dell'esperienza 147 David Hume, Trattato sulla natura umana, tr. it. di E. Lecaldano, E. Mistretta, A. Carlini, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 22. 68 non possono essere considerate alla stregua di legalità naturali che tollerino, in quanto tali, eccezioni. Come i principi sintetici a priori di stampo kantiano, i rimandi associativi esibiscono connessioni universali e necessarie il cui non poter essere altrimenti, al contrario di Kant, si legittima solo in base a descrizioni fenomenologicamente pure dell'esperienza stessa e non grazie ad una astratta “deduzione trascendentale” operata a partire dalla tavola dei giudizi. L'associazione rappresenta, quindi, “il principio universale delle genesi passiva per la costituzione di tutte le oggettività, come pre-datità ultime che si offrono alle formazioni attive”148. Senza postulare l'intervento attivo di un intelletto legislatore, Husserl dimostra quindi che gli stessi vissuti di esperienza contengono forme strutturanti a priori in grado di dare luogo a connessioni in sé e per sé valide. Con le sintesi associative si manifesta, inoltre, una nuova modalità della strutturazione apriorica dei puri Erlebnisse diversa per natura dal tipo di collegamento istituito all'interno del continuum temporale della percezione. All'unità formale del molteplice dell'esperienza costituitasi mediante i rimandi temporali si affianca, per l'appunto, un tipo di legame associativo che ha luogo a livello dei contenuti materiali dei singoli vissuti. “Per Husserl, infatti, occorre innanzitutto distinguere il momento dell'unità formale della sintesi temporale dall'unificazione associativa contenutisticamente determinata”149. Il rimando associativo si fonda, in ultima analisi, su una serie di principi di aggregazione rappresentati dalla contiguità spazio-temporale, dalla somiglianza e dal contrasto. Per cui se ci troviamo di fronte ad una superficie neutra disseminata da macchie di colori diversi, il nostro percepire non può fare a meno di connettere le macchie dello stesso colore o di associarle sulla base della forma assunta. Allo stesso tempo è presente il fenomeno del contrasto senza cui non potrebbe verificarsi la minima differenziazione all'interno della superficie neutra e questa stessa superficie non potrebbe essere colta individualmente separandola dallo sfondo che la circonda. 148 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 104. 149 Paolo Spinicci, I pensieri dell'esperienza. Interpretazione di “Esperienza e giudizio” di Edmund Husserl, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1985, p. 26. Le analisi contenute in questo capitolo hanno preso largamente spunto dalle tematiche specifiche affrontate nel libro di Spinicci. 69 Le strutture associative operano, dunque, al livello del singolo Erlebnis consentendo di polarizzare l'attenzione su singole materie sensibili e non sulla totalità dell'apparire, la quale è comunque sempre presente come “coscienza d'orizzonte” (Horizonsbewusstein). Tutto ciò mostra che, pur limitando le analisi fenomenologiche della coscienza pura a ciò che si dà nel momento attuale, nell'attimo astratto dal concreto flusso divenente del tempo, è possibile comunque notare la presenza di strutture associative in grado di consentire la formazione delle oggettualità esperite naturalmente. Tali forme di organizzazione a priori del materiale sensibile sono rappresentate dalla fitta rete di rimandi associativi che emergono passivamente tra il singolo oggetto e il rispettivo orizzonte (esterno e interno). Il dato iletico costituisce, quindi, da sé la propria identità irriducibile attraverso le due operazioni inverse della somiglianza e del contrasto. Il singolo contenuto empirico è sempre al tempo stesso: totalità contenente una serie di parti discrete al suo interno; e contemporaneamente frazione di una totalità più complessa che la contiene. Già sul piano meramente passivo, dunque, l'esperienza presenta una materia sensibile attraversata da rimandi associativi verso orizzonti costituenti su cui solo in seguito è possibile installare il volgersi attivo del soggetto conoscitivo, esemplificato dalle operazioni predicative di sintesi e analisi. “Anche il processo di esplicitazione delle proprietà dell'oggetto, così come quello delle sue relazioni, trova quindi sul piano della passività il suo terreno di fondazione”150. Questa affermazione sta ad indicare che ogni attivo operare del soggetto all'interno dell'esperienza non può che fondarsi su una necessitante struttura a priori dell'apparire che costituisce la condizione di possibilità di ogni presa di posizione attiva e di giudizio in riferimento alla realtà in sé delle cose percepite. A questo proposito Husserl utilizza in un senso originale il concetto di Affektion che secondo l'etimologia latina (afficio) non indica propriamente una inattività, quanto una passione, un patimento, ovvero una tensione provocata involontariamente che coinvolge e chiama in causa la modalità attiva del soggetto. 150 Paolo Spinicci, I pensieri dell'esperienza, cit., pp.30-31 (corsivo nostro). 70 L'affezione indica così “una sorta di termine medio tra passività e attività”151, ciò che consente il passaggio dall'uno all'altro nella sfera dell'esperienza pura. § 5: Il processo di costituzione passiva del noema Il collegamento temporale dei diversi Erlebnisse assieme al rimando associativo operante tra i diversi orizzonti del dato iletico rappresentano le due principali strutture passive che rendono possibile il costituirsi dell'affezione. A differenza della forma temporale il principio dei rimandi associativi chiama in causa direttamente la soggettività la quale si viene a trovare “affetta”, colpita dal materiale sensibile. L'identità dell'oggetto sorge, dunque, a livello passivo come qualcosa che “e-merge”, cioè si impone nella propria singolarità sempre a partire da un orizzonte fornito di una minore potenzialità “affettiva”. In questo modo la datità iletica produce un “risveglio” (Weckung) dell'attività del soggetto, uno stimolo a mettere in esercizio la funzionalità intenzionale della noesi, al fine di consentire la formulazione del senso noematico e la costituzione dell'oggetto reale. Tale “ridestamento” avviene in un preciso momento-ora del continuum temporale dell'esperienza, ma si fonda nel riferimento intenzionale al passato appena trascorso e mantenuto attraverso ritenzioni, consentendo così di mettere a tema le aspettative e le attese protenzionali scaturenti dal decorso passato dell'esperienza. A prescindere dalla dimensione temporale la singolarità del datum sensibile emerge spontaneamente dal contrasto (contenutisticamente determinato) tra ciò che ora si dà e ciò che si è dato nell'esperienza passata. All'interno della prospettiva temporale, però, “il decorso percettivo ritenzionalmente presente seleziona le attese proiettando nel futuro la norma che – nel decorso stesso – si è finora attestata”152. Le attese e le abitudini che informano le protensioni degli atti noetici trovano, dunque, la loro fondazione, nonché la loro legittimazione, nella norma empirica che può essere ricavata a partire dai rimandi associativi colti negli Erlebnisse passati e presenti. L'affezione pone la soggettività in attesa di una determinata configurazione del decorso futuro che potrà essere confermata o meno, ma mai elusa. L'esperienza può essere concepita come un 151 Ivi, pp. 32-33. 152 Ivi, p. 34. 71 rispondere continuo, di carattere positivo o negativo, alle attese che sorgono nella nostra coscienza sulla base delle precedenti esperienze. Il soggetto trascendentale diviene quindi, nell'ottica di Husserl, un puro spettatore comunque essenziale del fluire sempre cangiante dell'esperienza, una specie di “Antwort auf die Seinaffektion”153, risposta provocata dalla domanda originaria dell'essere. Il materiale sensibile, la prima datità in assoluto che si presenta allo sguardo della coscienza pura, si mostra già costituito come una “struttura di rinvii, una propria vita intenzionale, cioè una propria capacità di indicare in quale senso deve essere inteso”154. L'affezione ridesta, dunque, l'attività noetica nel soggetto, il quale “si dirige attivamente verso l'oggetto per afferrarlo (erfassen)”155. Si delinea in questo modo la proprietà fondamentale della soggettività coinvolta nell'esperienza, ovvero la “ricettività” (Rezeptivität). La noesi e il rispettivo correlato intenzionale prendono forma all'interno di una struttura a priori di rimandi e linee di senso pre-date che non soltanto influenzano il fungere attivo della coscienza ma, al contempo, costituiscono il terreno genetico ineliminabile da cui essa può sorgere. “Il momento noetico rappresenta la «presa d'atto» dell'io, ed è dunque l'attualizzazione e l'adesione ad un senso che si è costituito sul terreno della passività”156. L'intenzionalità, perciò, non va intesa come una capacità coscienziale di dare forma e struttura al materiale inanimato delle affezioni sensibili; bisogna, piuttosto, cogliere l'originarietà dell'intenzionalità fungente (fungierende Intentionalität) rispetto alla intenzionalità d'atto, quella propria del cogito che consapevolmente dirige la propria attenzione verso le cose. “L'intenzionalità non è altro che l'esperire-il-mondo, che funge anonimamente in ogni esperienza e che le fornisce senso e essere”157. La funzione principale svolta dalla capacità ricettiva del soggetto è rappresentata dai suoi “atti oggettivanti”, ovvero quelli che mettono capo a degli oggetti veri e propri (Gegenstände). Una volta ridestata, la noesi “anima” il 153 Ms. A VI 27/10, citato in ivi, p. 147. 154 Vincenzo Costa, Husserl, cit., p. 55. 155 Paolo Spinicci, I pensieri dell'esperienza, cit., p. 35. 156 Vincenzo Costa, Il cerchio e l'ellisse, cit., p. 148. 157 Gerd Brand, Mond, Io e Tempo nei manoscritti inediti di Husserl, cit., p. 71. 72 contenuto della ύλη sensibile attivando i rimandi intenzionali in essa impliciti e costituendo in tal modo il senso oggettuale o noema. Le strutture passive dell'affezione (quali il rimando del contenuto iletico tra primo piano e sfondo, le ritenzioni e le attese protensionali) vengono, dunque, attivate e rese operative nel momento in cui il polo soggettivo, ridestato dallo stesso scorrere dell'esperienza passiva rivolge lo sguardo alla propria affezione divenendo consapevole del proprio essere stato “colpito”. Il rapporto nei confronti del dato iletico costituitosi passivamente non è più quello dello spettatore disinteressato tipico che assiste in modo passivo e addirittura neutro alle sintesi temporali e associative che prendono forma autonomamente; ma quello di colui che, ridestato dall'affezione, diviene recettivo e compie l'afferramento attivo (Erfassung) dell'oggetto. In questo nuovo atteggiamento l'originaria struttura intenzionale passiva del dato viene “rivissuta” dal soggetto con una nuova consapevolezza riflessiva. Le fasi decorse dell'esperienza, di conseguenza, vengono attivamente intenzionate e tenute “sotto presa” mentre le attese protensionali assumono ora il carattere di un interesse contenutisticamente determinato che si rivolge verso l'attualizzazione di nuove presentazioni dell'oggetto. Si formano in tal modo le intenzioni vuote (Vermeinungen) che richiedono, come loro controparte, un riempimento percettivo (Erfüllung) tale da giustificare la loro pretesa di verità mediante l'evidenza. Ciò dimostra come “le sintesi passive generano nell'io un'inclinazione (fondata nell'apparire stesso) a prendere attivamente posizione”158. Solo in tal modo si rende possibile il costituirsi di una intenzionalità d'atto, ossia di un riferimento attivo nei confronti dell'oggetto vero e proprio. Senso oggettuale e atto noetico sorgono, dunque, nello stesso istante in cui la soggettività ridestata recepisce il materiale sensibile insieme alla struttura di rimandi passivamente costituitasi. La noesi è la presa d'atto della direzione di senso che è venuta in chiaro attraverso il progressivo determinarsi dei decorsi percettivi, mentre il noema è il senso intenzionato attivamente dall'io, ovvero la riconfigurazione attiva del senso emerso passivamente dal corso dell'esperienza. Per questo si può affermare che il senso 158 Vincenzo Costa, Husserl, cit., p. 57. 73 oggettuale “appare al soggetto, ma non è prodotto dal soggetto”159. Il noema stesso, reso tema dell'attenzione della coscienza, cambia di segno rispetto al senso puramente empirico: ora, infatti, avanza direttamente la pretesa di rappresentare, “stare per” un oggetto reale, cioè il soggetto si attende che le proprie attese protenzionali trovino un effettivo riempimento nei futuri Erlebnisse del decorso percettivo. La piena coincidenza tra senso oggettuale e realtà in sé dell'oggetto, ovvero il riempimento di tutte le intenzioni, costituisce il τελος intenzionale della coscienza percettiva, l'idea regolativa insita nel suo stesso fungere irriflesso. Il senso oggettuale, con il suo strutturato complesso di rimandi intenzionali, non si identifica, quindi, con la semplice “copia” o “rappresentazione” mentale dell'oggetto trascendente. Dalle analisi condotte risulta evidente che nella costituzione del noema il soggetto esercita un ruolo necessario ma certamente non sufficiente, in quanto non fa altro che ricevere e attualizzare una rete di rimandi implicita nella struttura a priori del fenomeno stesso. Di conseguenza l'organizzazione del materiale sensibile non costituisce il prodotto della spontanea attribuzione di forme soggettive estranee, per principio, al divenire irriflesso dell'esperienza. Il senso che trova espressione nel noema è già contenuto, dunque, nel ύλη sensibile ma acquisisce una direzionalità fondamentale nei confronti della realtà grazie all'attivo impegnarsi del soggetto mediante l'atto noetico. Dobbiamo, quindi, ammettere che l'intenzionalità, il dirigersi-verso mostra una duplice articolazione all'interno del rapporto fondamentale tra coscienza ed essere. Da una parte, è l'essere stesso della manifestazione a risvegliare e rendere possibile l'esplicarsi delle potenzialità attive della coscienza, dall'altra, il soggetto ridestato in modo passivo diviene in grado di compiere un rivolgimento attivo nei confronti di quello stesso decorso fenomenico che lo ha inizialmente “affetto”. Se dunque è vero che ogni coscienza è sempre coscienza di qualcosa d'altro rispetto a se stessa, è vera al contempo l'affermazione opposta, ovvero che ogni essere si identifica sempre come un essere-per la coscienza. Resta, tuttavia, da chiarire come è possibile che la coscienza intenzioni un oggetto che, per principio, è chiamato a 159 Ivi, p. 59. 74 trascenderla. Una volta scoperta la dimensione originaria dell'intenzionalità occorrerà approfondire, infatti, le condizioni che la rendono possibile non limitando l'analisi al quid facti, ma estendendola alla problematica de iuriis. § 6: Noema e realtà A questo punto, poiché il fine che ci proponiamo è quello di indagare a fondo il principio della intenzionalità trascendentale, possiamo considerare come assioma indubitabile il fatto che si prefiguri una differenza essenziale fra il noema e la realtà senza occuparci della questione relativa alla costituzione del senso e delle possibilità d'essere di una realtà in sé trascendente rispetto alla coscienza. Si può in ogni caso sostenere che il noema contiene un esplicito riferimento all'oggetto in sé, cioè la cosa stessa privata della prospettiva unilaterale attraverso cui essa viene appresa dalla singola esperienza soggettiva. Il fenomeno rimane pur sempre il “relativo assoluto” che non può essere pensato al di fuori del rapporto intenzionale, coinvolgente sempre e comunque uno spettatore indifferentemente attivo o passivo. Concepire la manifestatività limitandosi unicamente all'orizzonte soggettivo comporterebbe, tuttavia, la perdita della direzionalità intenzionale del fenomeno stesso. L'intenzionalità indica propriamente un auto-trascendimento dell'esperienza verso il proprio polo oggettuale. “Questa autotrascendenza è Sinngebung, donazione di senso”160, ovvero ciò che rende possibile il riferimento intenzionale della coscienza all'essere in sé della cosa, del noema alla realtà oggettiva. Occorre, nondimeno, mantenere distinti i due termini della correlazione essere e coscienza: il noema non può identificarsi tout court con l'oggetto reale che intenziona e ciò per una ragione essenziale. Se la piena coincidenza o completo riempimento intuitivo di tutte le aspettative poste dalle sintesi passive risultasse possibile, si annullerebbe ogni possibilità di modalizzazione dei nostri vissuti, ovvero di caratterizzazione specifica del loro grado di chiarezza. “Una nuova esperienza può contraddire solo una precedente esperienza, può contraddire solo un senso, un modo in cui abbiamo sinora inteso ciò che si manifestava”161. Ciò risulta evidente se precisiamo l'essenza del 160 Franco Bosio, Fondazione della logica in Husserl, Lampugnani Nigri, Milano, 1966, p. 158. 161 Vincenzo Costa, Il cerchio e l'ellisse, cit., p. 156. 75 noema, da intendere come una struttura di attese vuote determinatasi passivamente, un gioco di rimandi proteso verso la prefigurazione del futuro percettivo. Il senso della manifestazione nasce, quindi, dall'esperienza e in essa può trovare anche il proprio superamento. Attraverso questa dialettica interna al percepire della coscienza si precisa, inoltre, la consistenza concreta dell'essere reale. Esso non può mutare con il venire meno del senso noematico, altrimenti la fenomenologia si identificherebbe con l'idealismo soggettivo e andrebbe perduto il significato stesso dell'intenzionalità. Per questo “l'oggetto reale del mondo, anzi proprio il mondo stesso, costituisce un'idea infinita riferita all'infinità di esperienze che si debbono concepire come concordemente unificate”162. Il metodo fenomenologico non mette affatto in discussione il riferimento intenzionale dell’esperienza a qualcosa d'altro, ad un oggetto estraneo che per principio non si identifica col flusso di coscienza del singolo ego trascendentale. Resta, però, da chiarire la modalità d'essere di questa estraneità che non può certo coincidere con l'oggetto trascendente messo a tema dall'atteggiamento naturale, poiché nella prospettiva fenomenologica il reale si costituisce solo all'interno dell'universo infinito e conchiuso della coscienza. § 7: Le sensazioni cinestetiche Husserl, dunque, ha cercato di mostrare la possibilità della configurazione di un senso trascendente all'interno della sfera immanente rappresentata dalla dimensione trascendentale della coscienza. La realizzazione di un tale compito risulta necessaria per portare a compimento il progetto di fondazione di un sapere scientifico in grado di fornire delle basi inconcusse per ogni tipo di discorso razionale. Una delle tappe fondamentali di questo percorso è rappresentata dallo studio delle cosiddette “sensazioni cinestetiche” che mettono in evidenza il rapporto tra la percezione della cosa trascendente (Körper) e quella che ha per oggetto il corpo proprio (Leib). Le cinestesi stanno ad indicare, dal punto di vista della psicologia empirica, le sensazioni muscolari associate ai movimenti volontari o involontari del nostro corpo. Husserl acquisisce tale concetto dalle scienze mediche del XIX secolo 162 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 88-89. 76 (in particolare dallo psicologo scozzese Alexander Bain163), ma lo reinterpreta in chiave fenomenologica sottraendo così i riferimenti fisiologici impliciti nell'accezione originale del termine. I dati cinestetici, assieme alle “sensazioni ostensive”, costituiscono le materie prime costituenti la percezione di oggetti. Mentre i normali dati iletici si limitano a mostrare (ostendere) il contenuto intenzionale dell'esperienza, le sensazioni cinestetiche esplicitano “la relazione tra i movimenti soggettivi e i modi di manifestazione degli oggetti”164. Senza la consapevolezza cinestetica del movimento del proprio corpo e dei propri arti non potremmo, infatti, percepire contemporaneamente il movimento o la profondità di una cosa spaziale. Per tale motivo “le cinestesi sono datità originarie ultime, che motivano accanto all'apparizione di cose («corpi» [Körper]) anche l'apparizione del corpo proprio [Leib] come «organo di apparizione»”165. La costituzione della cosa spaziale trascendente trova una motivazione fondamentale, dunque, nelle sensazioni cinestetiche, le quali non soltanto manifestano l'attuale movimento del corpo, ma delineano implicitamente un sistema di movimenti potenziali, di possibilità pratiche: in definitiva un “io posso”. La “libertà cinestetica”, che costituisce la prima forma di libertà sperimentata dall'io, indica insieme la spontaneità del movimento corporeo unita alla possibilità di trasformazione per certi versi autonoma dell'orizzonte attuale dell'esperienza. In questo modo si vengono a costituire la cosa trascendente come ciò che permane rispetto al continuo divenire del mio campo di percezioni e il senso della mia “«corporeità fungente» [...] per il fatto che le cinestesi vengono esperite come facoltà corporee”166. La stessa percezione del corpo proprio avviene attraverso il caratteristico sovrapporsi dei diversi sistemi cinestetici (delle diverse sensazioni ostensive) o attraverso l'associazione immediata di diverse esperienze all'interno di uno stesso sistema cinestetico. Così, è all'interno dell'orizzonte della propria vita corporea e 163 Cfr. R. Bernet, I. Kern,E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 173. 164 Vincenzo Costa, Husserl, cit., p. 61. 165 R. Bernet, I. Kern,E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 174. 166 Ibidem. 77 “irriflessa” che si attua una originaria auto-esperienza dell'io, la quale non si rivolge più all'esterno, ma verso il sé empirico-naturale. Si tratta di una forma di appercezione (nel senso leibniziano del termine) che non ha luogo a livello del cogito o della coscienza desta e attiva, ma scaturisce dalla strutturazione passiva dell'esperienza sensibile, la quale non può far altro che raccogliersi attorno ad un punto-zero. Tale centro dell'orientamento percettivo non va concepito, dunque, come formulazione astratta e intellettiva dell'unità degli Erlebnisse (e dei loro contenuti noematici) attorno ad un polo riflessivamente costituito. Le sensazioni cinestetiche forniscono, per l'appunto, quelle datità originarie che ci manifestano in modo immediato il carattere prospettico e univoco del nostro esperire, cioè del suo imprescindibile articolarsi a partire da un punto di vista, impedendo l'identificazione ingenua tra apparire e cosa in sé. La costituzione del mondo e degli oggetti trascendenti non può che avvenire, perciò, in un rapporto necessario con la costituzione, inconsapevole e irriflessa, della soggettività167. Il manifestarsi delle possibilità cinestetiche fornisce, al tempo stesso, la consapevolezza di un orizzonte di potenzialità percettive ancora da esplicitare. La coscienza di sfondo trae la propria motivazione e legittimità empirica, dunque, a partire dalle cinestesi associate ad ogni esperienza vissuta. La costituzione dello sfondo interno ed esterno dell'oggetto intenzionato avviene, però, a partire da delineazioni di senso che traggono la loro modalità d'essere dalle possibilità concrete del soggetto empirico e dalle modulazioni passive 167 Diviene perciò problematica, in quest'ottica, l'accettazione di un tale giudizio interpretativo: “la soggettività trascendentale non è la condizione sufficiente per la costituzione del mondo; essa al contrario presuppone l'a priori dell'esistenza del mondo” (in Mario Vergani, Fatticità e genesi. Un contributo dai manoscritti inediti, La Nuova Italia, Firenza, 1997, pp. 14-15). Pur accettando l'impossibilità da parte del soggetto di produrre il mondo, nel senso dell'idealismo classico, non riteniamo opportuno neppure capovolgere così nettamente i termini della questione, fondando la condizione di possibilità del soggetto nell'esistenza del mondo. Abbiamo visto, infatti, che io e mondo sono entità che si presuppongono a vicenda, di conseguenza il loro terreno originario va colto all'interno di una dimensione ulteriore e più profonda. L'autore del saggio citato sembra rivedere implicitamente questa sua affermazione contenuta, peraltro, nelle pagine introduttive, nel senso di una articolazione più esplicita del tema della fatticità (Faktizität) originaria della vita trascendentale come terreno fondante di ogni attività costitutiva. 78 del decorso esperienziale. Vi è un'implicazione reciproca tra sintesi passive e costituzione degli “io posso” soggettivi. Le attese protensionali che scaturiscono dai rimandi associativi contenuti nel materiale sensibile rappresentano non soltanto un'anticipazione essenziale del senso complessivo del fenomeno, ma consentono l'attivarsi della consapevolezza dell'io nei confronti delle proprie possibilità empiriche. L'autoconsapevolezza della soggettività esperiente non si attua nella mera constatazione della propria esistenza di fatto, nell'ego sum. Conoscere se stessi significa innanzitutto cogliere in modo esplicito quelle possibilità che essenzialmente ci riguardano La riflessione effettiva che il soggetto compie su se stesso, dunque, non ha come tema conduttore il dato di fatto della sua esistenza, quanto piuttosto la sfera ideale del suo poter essere. Le possibilità costitutive l'orizzonte d'essere della soggettività non sono mere astrazioni poiché basano il proprio sussistere in ciò che di più concreto può essere concepito: il proprio corpo. La dimensione della corporeità si mantiene al livello intermedio tra il mondo (o pura oggettività) e l'io (o pura soggettività), in quanto è al contempo corpo fisico (Körper) e corpo vivente, animato (Leib). Le potenzialità cinestetiche della corporeità implicano contemporaneamente potenzialità di manifestazione del mondo oggettivo. Perciò, invertendo l'ordine logico delle considerazioni appena svolte, si può dire che “senza un mondo non si danno possibilità, senza possibilità un soggetto non si può rapportare a se stesso, e un essere che non può rapportarsi a se stesso cessa di essere un soggetto”168. Il riferimento alle proprie possibilità indica, quindi, il carattere tipico di ogni soggettività che possa definirsi tale; al tempo stesso l'”io posso” si configura non soltanto come l'apertura di un campo astratto di possibilità ideali ma come l'espressione delle potenzialità concrete di un’apertura nei confronti del mondo che ha luogo principalmente nella sensibilità corporea. La percezione di un oggetto trascendente è sempre accompagnata dalla consapevolezza della soggettività dell'atto intenzionale. Tale relatività dell’apparizione cosale appartiene ad ogni tipo di Erlebnis e rappresenta un principio fondamentale per la costituzione dell'esperienza 168 Vincenzo Costa, La fenomenologia fra soggettività e mondo, Leitmotiv – 3/2002, http://www.ledonline.it/leitmotiv, p. 15. 79 stessa. Il materiale sensibile, infatti, sarebbe di per sé anonimo, privo di ogni intenzionalità riferita al reale stesso se non intervenisse l'atto noetico costituendo il senso noematico e, di conseguenza, la relazione intenzionale con l'oggetto vero e proprio. La constatazione cinestetica del carattere personale e autonomo del mio campo percettivo consente, ad un livello puramente pre-riflessivo, di articolare la differenza e la distanza fondamentale fra l'esse in sé oggettivo della cosa percepita e il contemporaneo percipi soggettivo, l'essere per me della cosa stessa. Attraverso le cinestesi emerge, perciò, immediatamente la duplicità tipica dell'essenza di ogni fenomeno, ovvero quella implicita tra ciò che appare e i modi soggettivi in cui appare. Questo capitolo ci ha permesso di sviluppare un'analisi approfondita della problematica costitutiva sorta dopo la riconduzione del mondo a fenomeno della coscienza; ma al contempo ci ha preparato il terreno per l'articolazione della questione riguardante l'intersoggettività trascendentale. Nelle analisi intenzionali si è, infatti, esplicitamente promossa un’interpretazione “realistica” secondo cui la coscienza si indirizza effettivamente verso qualcosa di estraneo che per essenza la trascende. Ma utilizzando tale espediente argomentativo abbiamo voluto, al contempo, porre l'accento sulla necessità di approfondire il senso proprio di questo “realismo fenomenologico” che non può essere identificato con il realismo ingenuo tipico dell'atteggiamento naturale. La realtà del mondo, il suo essere oggettivo, infatti, non può valere come un mero presupposto laddove siamo in presenza di un metodo, quello fenomenologico, che intende evidenziarsi per la sua radicale assenza di presupposti. Bisogna, perciò, sottoporre ad esame la soluzione teoretica che Husserl intende proporre e che gli consente di distinguere il suo idealismo fenomenologico-trascendentale tanto dal realismo, quanto dall'idealismo in senso stretto. Lo strumento teorico che gli consente di distanziarsi da queste tradizionali soluzioni filosofiche della problematica gnoseologica consiste, a nostro avviso, nell'articolazione del tema dell'intersoggettività trascendentale al cui interno solamente è possibile pensare una esplicitazione adeguata del concetto di “realtà” fenomenologica. 80 81 Capitolo quarto: L'INTERSOGGETTIVITÀ TRASCENDENTALE E L'IDEALISMO FENOMENOLOGICO Il discorso affrontato in queste pagine ci ha condotto in direzione di un progressivo ampliamento della impostazione filosofica di fondo che caratterizza la fenomenologia husserliana. L'identificazione del metodo dell'ε̉ποχή come strumento indispensabile in ogni indagine fenomenologica ha consentito la scoperta della dimensione fondante dell'esperienza e dell'atteggiamento “naturali” nella soggettività trascendentale. A tale principio dell'ego trascendentale si è ricondotta, di conseguenza, la totalità delle manifestazioni e degli esseri mondano-naturali, assicurati ora nella certezza apodittica della loro sede originaria di senso. Ma di fronte a tale riduzione di “ogni specie di cosa reale o ideale come formazione [...] della soggettività trascendentale”169, si mostra immediatamente la necessità di confutare le possibili accuse di solipsismo trascendentale. Se ogni essere e formazione di senso non può, per necessità essenziale, trovare in se stesso il proprio terreno fondativo ma solo all'interno della singola soggettività, la totalità del mondo diviene il correlato intenzionale di un unico io, di un solus ipse. § 1: L'accusa di solipsismo Il carattere assoluto della sfera trascendentale e la sua caratterizzazione 169 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 108. 82 egologica fanno pensare di primo acchito, dunque, ad una forma di idealismo soggettivo di natura solipsistica. A differenza della versione tradizionale di idealismo filosofico, l'impostazione fenomenologica non intende, infatti, annullare l'esistenza “reale” del mondo: “il suo unico compito, e il suo unico merito, è quello di chiarire il senso di questo mondo, precisamente quel senso secondo cui vale per chiunque, conformemente a una reale legittimità, come realmente essente”170. La riduzione dell'essere del mondo a puro fenomeno per la coscienza, quindi, non ha il significato di un annullamento dell'indipendenza e dell'autonomia che siamo soliti attribuire alla realtà mondana allorquando ci troviamo all'interno dell'atteggiamento naturale. Per la fenomenologia tali attribuiti risultano, però, ingiustificabili se si prende le mosse dal pregiudizio ingenuo circa l'esistenza in sé del mondo. Non vi è essere certo e indubitabile che si collochi al di là di una qualsiasi relazione intenzionale con la coscienza pura; come è pur vero l'assioma opposto, per cui ogni coscienza è sempre coscienza di qualcosa, di un oggetto che trascende l'attuale vissuto intenzionale. Il principio di intenzionalità, discusso nel capitolo precedente, ci sembra perciò contenere la soluzione fondamentale del paradosso solipsistico in cui viene fatta ricadere l'impostazione fenomenologica. Una sfera autenticamente isolata, infatti, risulterebbe priva di relazione alcuna e risulterebbe, di conseguenza, impossibile una sua auto-riflessione. Quest'ultimo procedimento richiederebbe uno “sdoppiamento” (Spaltung) dell'io e la conseguente possibilità di osservarsi, per così dire, dall'esterno, cioè da un punto di vista altro rispetto al proprio. “La Selbstbesinnung [autocoscienza] è quindi il primo modo in cui io articolo la distanza che separa l'io da se stesso”171. La fondazione (Stiftung) della coscienza trascendentale richiede, dunque, l'acquisizione di una distanza preliminare dell'io da 170 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 928 (corsivi nostri). Queste parole sono contenute nella cosiddetta “Postilla alle Idee”, redatta nel 1930 come prefazione dell'edizione inglese delle Ideen, pubblicata l'anno seguente. Il riferimento cronologico del testo citato attesta, dunque, la coerenza del progetto husserliano riguardante la fondazione di una conoscenza obiettiva in grado di confutare le argomentazioni scettiche. 171 Alice Pugliese, La dimensione dell'intersoggettività. Fenomenologia dell'estraneo nella filosofia di Edmund Husserl, Mimesis, Milano, 2004, p. 86. 83 se stesso e la possibilità di trascendere la dimensione della presenza immanente in cui l'io vive ingenuamente la propria esperienza irriflessa. All'interno della pura sfera della coscienza trascendentale deve, perciò, verificarsi una prima articolazione e suddivisione del dominio conquistato attraverso l'ε̉ποχή fenomenologica. Nelle opere tarde Husserl, infatti, diviene consapevole della necessaria incompletezza della prima riduzione esposta all'interno di Ideen I, per cui “manca in essa, per quel che riguarda la fondazione di questo idealismo [ovvero l'idealismo fenomenologico-trascendentale], un'esplicita presa di posizione rispetto al problema del solipsismo trascendentale, oppure dell'intersoggettività trascendentale, cioè del riferimento essenziale del mondo obiettivo che vale per me, con gli altri che valgono per me”172. Il metodo riduttivo elaborato nell'opera del 1913 se, da un lato, ha il vantaggio di mostrare la non autonomia dell'essere mondano, dall'altro isola però necessariamente l'io che attua la sospensione delle validità naturali, poiché di esse fa parte anche la sfera della comunità di soggetti che hanno per correlato il mondo obiettivo173. È interessante notare come Husserl ponga, all'interno di Ideen I, il senso d'essere “mondo oggettivo” e la rispettiva intersoggettività costituente all'interno della sfera naturale, oggetto specifico del trattamento metodologico della riduzione fenomenologico-trascendentale, per poter acquisire il proprio fondamento di legittimità. In un'opera più tarda come le Cartesianische Meditationen, invece, la questione dell'intersoggettività rientra di diritto all'interno dell'orizzonte trascendentale, senza che questo passaggio ingeneri preoccupazioni di sorta per la coerenza generale del sistema fenomenologico. Negli anni lo stesso Husserl diviene a poco a poco consapevole di questa incompatibilità quasi aporetica presente all'interno del suo percorso di pensiero, fino a quando nella Krisis ammetterà che “errato era soltanto il metodo, il salto nell'intersoggettività trascendentale che scavalcava l'io originario, l'ego della mia epoché”174. Parlare di intersoggettività 172 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 925. 173 Cfr. ivi, p. 61, § 29, intitolato “Gli «altri» io e il mondo circostante naturale intersoggettivo”. 174 Edmund Husserl, La crisi delle scienza europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. 211. 84 all'interno della sfera trascendentale implica, dunque, un riferimento di principio all'io, al polo egologico da cui e in cui si costituisce ogni senso d'essere, compreso quello della comunità intermonadica. § 2: L'io puro L'intersoggettività acquista un differente senso e valore a seconda che la si consideri dal punto di vista dell'atteggiamento naturale o di quello dell'atteggiamento fenomenologico. L'ego trascendentale o io puro, quindi, si distingue per essenza dall'io empirico, preso di mira dalle analisi psicologiche, che come tale si contrappone ad un mondo-in-sé su cui non esercita alcuna funzione costitutiva. Nell'opera complessiva di Husserl emergono, infatti, due ordini di significato da attribuire all'espressione “io puro”175. Innanzitutto essa si riferisce a quel principio associativo che consente di tenere assieme la corrente degli Erlebnisse puri, scoperta grazie all'attuazione della ε̉ποχή. Il concreto flusso di coscienza, infatti, non si dà mai immediatamente come un tutto, ma può costituirsi solo attraverso una fitta rete di rimandi intenzionali operante fra le tre coordinate temporali su cui si dispongono i singoli vissuti. Le rimemorazioni rendono possibile, quindi, l'identificazione del flusso passato come proprietà della medesima coscienza che attualmente presentifica quei vissuti. “Come essenziale per la determinazione dell'unità della corrente Husserl individua il fenomeno della possibile identificazione dell'io (possibile compresenza [Dabeisein] del medesimo io) nella coscienza che attualmente opera e nella coscienza presentificata”176. Il concetto di io puro, però, non indica solamente l'unificazione dei vissuti attorno ad un polo astratto che li conferisce coesione e coerenza: per Husserl l'io puro possiede anche il significato fondamentale di attivo punto di scaturigine dei raggi intenzionali della coscienza. Per cui “l'«essere rivolto a», l'«essere occupato con», il «prendere posizione su», il «soffrire di» hanno necessariamente nella loro essenza questo carattere: di essere appunto un «dall'io» o, nella direzione inversa, un «verso 175 Cfr. passim capitolo ottavo di R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit. 176 Ivi, p. 267. 85 l'io»: e questo io è quello puro, nei cui riguardi non può aver luogo nessuna riduzione”177. Alla vuota forma astratta, costituiva dell'unità fondamentale dei vissuti di coscienza, si contrappone quindi un polo egologico caratterizzato sia attivamente come centro d'irradiazione dei vissuti «dall'io», sia come centro passivo-ricettivo delle affezioni indirizzate «verso l'io». “Di fronte all'io attivo sta quello passivo, e l'io, quando è attivo è sempre anche passivo, è affettivo in quanto ricettivo”178. L'approfondimento dell'essenza inerente all'io puro porta, dunque, ad una caratterizzazione sempre più “empirica”, mondana del polo egologico che è stato portato alla luce come fondamento dell'atteggiamento naturale dal metodo fenomenologico. Si registra una fondamentale evoluzione nel pensiero husserliano: non a caso il passo appena citato è ripreso dal secondo volume delle Ideen, in cui viene compiuto il movimento opposto di ritorno alla dimensione naturale attraverso le costituzioni intenzionali operate al livello della coscienza trascendentale. In un primo momento la riduzione sembra, infatti, aprire ad un orizzonte puro di esperienze apodittiche in cui vengono messe da parte tutte le posizioni d'essere riguardanti l'atteggiamento naturale, compresa dunque la categoria del soggetto umano. In un secondo momento Husserl definisce come proprietà fondamentale a priori di ogni esperienza o vissuto il fatto di riferirsi essenzialmente ad un polo soggettivo179. Come è stato precisato anche nel capitolo precedente, ogni fenomeno è sempre apparizione di fronte ad un soggetto, il quale però non può affatto coincidere con l'io empirico, altrimenti la fenomenologia husserliana si identificherebbe con un forma di scetticismo o relativismo assoluti. § 3: Il problema della distinzione tra dominio trascendentale ed empirico Ma che cosa determina allora l'assoluta differenziazione, che comunque 177 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 178. 178 Ivi, p. 608. 179 “Tra le proprietà generali del territorio trascendentalmente purificato degli Erlebnisse”, scrive Husserl in Ideen I, “il primo posto spetta alla relazione di ogni Erlebnis all'io «puro»” (in ivi, p. 178). 86 Husserl intende tener valida, tra soggettività empirica e soggettività trascendentale? Diciamo subito che la soluzione a questo quesito non trova in alcun luogo dell'opera husserliana una risposta chiara e definitiva, altrimenti non si giustificherebbe l'imbarazzo e la cautela che molti interpreti hanno manifestato nell'occuparsi di tale questione. Due sembrano le risposte più comunemente avanzate. La prima consiste nell'attribuire senza mediazioni ad Husserl le conclusioni tipiche della fenomenologia di un suo prestigioso continuatore, Maurice Merleau-Ponty. Nell'ottica del filosofo francese della seconda metà del Novecento, il vero orizzonte fondante dell'esperienza del mondo deve essere ricondotto alla sfera della corporeità costitutiva di ogni essere e senso. Ma di fronte a tale possibile interpretazione del testo husserliano non bisogna tralasciare il fatto che il corpo, inteso tanto come Leib (corpo vivente) che come Körper (cosa fisica), è sempre un “costituito”, ovvero un prodotto dell'attività propria allo strato più originario rappresentato dall'ego puro. La seconda alternativa, invece, consiste nel ridurre l'ego trascendentale ad una forma astratta che sembra rispecchiare più da vicino l'Iche denke di matrice kantiana. In entrambi i casi l'asse interpretativo sembra spostarsi pericolosamente dalla prospettiva più consona, cioè quella che evidenzia più da vicino l'originalità del pensiero di Husserl. Sulla base di tali osservazioni ci pare opportuno formulare un personale indirizzo di ricerca che consenta di venire a capo della questione emersa nel nostro studio sulla fenomenologia husserliana. La questione della differenza di principio tra io puro e io empirico-mondano deve trovare una soluzione, o tuttalpiù un chiarimento essenziale, all'interno della discussione riguardante la tematica dell'intersoggettività trascendentale. Husserl sostiene, infatti, la necessità di procedere nell'analisi dell'esperienza trascendentale, che non può affatto limitarsi alla determinazione delle strutture eidetiche a priori dell'ego, in direzione di una “scoperta della trascendentale sfera d'essere come intersoggettività monadologica”180. Le riflessioni fenomenologiche dedicate al problema dell'alterità rivestono, 180 È il titolo della famosa quinta meditazione cartesiana, in cui viene affrontato esplicitamente il tema dell'intersoggettività e quello, esplicitamente connesso, della costituzione del mondo obiettivo. 87 dunque, un'importanza fondamentale nella impostazione generale del pensiero husserliano. L'accusa di solipsismo trascendentale viene affrontata per la prima volta in maniera esplicita all'interno delle argomentazioni contenute nella quinta delle Cartesianische Meditationen. Il superamento dell'obiezione solipsistica mediante la caratterizzazione più articolata della sfera trascendentale rappresenta il tentativo di raggiungere il fine peculiare del metodo fenomenologico: ovvero quello di rendere possibile una conoscenza trascendente la dimensione della coscienza puramente soggettiva e, nonostante ciò, legittimamente motivata181. § 4: La riduzione alla sfera del proprio Il problema dell'alterità, quindi, riassume per la precisione due ordini di questioni: quello relativo alla problematicità dell'alter ego all'interno dell'impostazione inaugurata dal metodo dell'ε̉ποχή e quello, inerente al primo, riguardante la determinazione del senso dell'estraneità in generale, come dimensione per certi versi aporetica dell'orizzonte della coscienza trascendentale. In realtà questi due Leitfaden o fili conduttori dell'analisi fenomenologica, non saranno (e non devono essere) oggetto di ricerche separate e divise poiché il significato di alter così come quello di “estraneo” si implicano reciprocamente. Il contesto delle ricerche husserliane attorno al fenomeno dell'alterità ci pongono, quindi, in un terreno assai delicato, in quanto è la fenomenologia stessa a risultare oggetto di un'obiezione di fondo che intacca il suo dichiarato primato del soggetto. “Si tratta”, come è stato giustamente proposto, “di esercitare il metodo fenomenologico ai confini stessi della fenomenologia, dove il fenomeno, come essere per me, deve annunciare l'altro da me e, attraverso questo esercizio estremo, guadagnare la legittimità della filosofia trascendentale come scienza dei fenomeni”182. 181 La questione principale che porta Husserl alla determinazione del metodo fenomenologico consiste nella celebre obiezione scettica rivolta nei confronti di ogni conoscenza che pretenda di mostrare condizioni oggettive di validità. Cfr. a tal proposito le lezioni contenute in Edmund Husserl, L'idea della fenomenologia, cit., che sono state sottoposte ad esame nel Capitolo primo di questo scritto. 182 Alice Pugliese, La dimensione dell'intersoggettività, cit., p. 196. 88 La strategia dialettica dell'argomentazione husserliana utilizzata contro l'accusa di solipsismo trascendentale consiste nel far propria l'obiezione attraverso la delimitazione, interna al territorio trascendentale, di una “sfera del proprio” o “sfera originale”. “In quanto noi ci atteniamo all'ultimo ego trascendentale e all'universo di ciò che è in esso costituito, vediamo che gli appartiene immediatamente la divisione del suo intero campo trascendentale di esperienza, nella sfera della sua proprietà da un canto[...] e nella sfera dell'estraneo dall'altro”183. All'interno dell'ultimo ego, quello che Husserl chiama Ur-Ich, si verifica una articolazione fondamentale dell'esperienza trascendentale, ovvero della totalità degli Erlebnisse puri. Determinati vissuti vengono, infatti, esperiti dal soggetto riflettente come propri, mentre altri vissuti, ugualmente consaputi, acquisiscono il carattere di vissuti estranei, quindi appartenenti a una coscienza diversa dalla mia e dati in modo indiretto. Questa caratterizzazione della sfera trascendentale risulta fondamentale in quanto Husserl non fa qui riferimento ad una intersoggettività empirica, sociale, ma ritiene di poter avanzare un discorso sull'alterità senza superare gli argini istituiti dal metodo fenomenologico. L'unica operazione da compiere è quella di un approfondimento dell'orizzonte “egologico” che permetta di venire in chiaro del senso fenomenologicamente corretto da attribuire al concetto di ego. Bisogna prestare attenzione, quindi, alla duplicità di piani su cui si muove la linea argomentativa husserliana. Il solipsismo, comunemente inteso, non può rappresentare una seria obiezione all'idealismo fenomenologico-trascendentale, semplicemente perché quest'ultimo non si identifica, come è stato più volte sottolineato, con una forma di idealismo soggettivo. Ad Husserl interessa piuttosto saggiare la possibilità di una confutazione avanzata a livello fenomenologico del solipsismo in generale, ovvero mostrare come sia l'esperienza stessa a richiedere la compresenza di una molteplicità di soggetti che concorrano alla costituzione di un mondo comune e obiettivo. La riduzione alla sfera del proprio persegue, dunque, lo scopo dichiarato di rendere visibile l'essenziale costituirsi dell'alterità internamente all'orizzonte trascendentale. Tale riduzione si distingue, inoltre, dalla generale riduzione 183 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 122. 89 fenomenologico-trascendentale così come la troviamo esposta ad esempio in Ideen I, in cui veniva attuata una sospensione di tutte le validità d'essere naturali. All'interno della neutralizzazione di tutte le oggettualità poste dall'atteggiamento naturale rientra anche la sfera degli “«altri» io e il mondo circostante naturale intersoggettivo”184. Nelle Cartesianische Meditationen Husserl sostiene, invece, di voler compiere “una specie singolare di epoché tematica al di dentro della sfera trascendentale dell'universalità”185. Non si tratta, dunque, di individuare una sfera assoluta di datità indubitabili, ma di mostrare all'interno di tale sfera un sottoinsieme caratterizzato dall'attributo dell'appartentività e dell'essere proprio. L'ambito circoscritto di fenomeni non contiene, perciò, nessuna posizione d'essere riferita a soggettività estranee alla mia. La riduzione speciale e tematica proposta come soluzione del problema dell'altro porta ad una delimitazione fondamentale del senso. In tal modo viene messa in parentesi l'esistenza dell'alter ego, assieme a tutto ciò che è ad essa riferibile: ovvero tutti i prodotti spirituali rappresentanti il mondo della cultura assieme all'essere della natura oggettiva che si costituisce come orizzonte comune e valido nei confronti di una pluralità di io. Dobbiamo, però, compiere una distinzione fondamentale tra la sfera del proprio, chiamata da Husserl anche sfera “appartentiva” o “primordinale”, e la sfera solipsistica. Quest'ultima esclude, oltre all'esistenza dell'altro, anche tutti i vissuti concernenti la dimensione dell'alterità egologica. Al contrario, “la sfera primordinale [...] o sfera del proprio non è dunque in alcun modo una sfera solipsistica, poiché essa racchiude anche i vissuti dell'ego degli altri; ciò che è escluso sono solo i correlati intenzionali (noemi) di questi vissuti”186. Questo punto è fondamentale in quanto permette di evidenziare lo scarto presente tra la posizione di un solipsismo assoluto, che di fatto rimarrebbe dal punto di vista logico inconfutabile 187, e quella 184 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 61. 185 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 116. 186 R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 203. 187 Vale per tutti l'affermazione di Arthur Schopenhauer relativamente alla posizione, teoreticamente ineccepibile, del solipsismo assoluto: “l'egoismo teorico non si potrà mai confutare con argomenti: del resto non è stato mai di sicuro impiegato in filosofia se non come sofisma 90 relativa alla concezione fenomenologica della soggettività trascendentale, al cui interno ritroviamo comunque dei vissuti intenzionali che implicano la presenza dell'altro. Husserl piega, dunque, l'obiezione alla propria esigenza di dimostrare in che modo all'interno dell'orizzonte egologico-trascedentale si pongano le strutture essenziali e le motivazioni che consentano un trascendimento della sfera originale del proprio. Il termine “originale” non deve, tuttavia, trarre in inganno dal momento che, soprattutto nelle Meditationen, si trattta di sviluppare un'indagine statico-costitutiva dell'alterità e non un'analisi di tipo genetico. La riduzione che in questo momento ha luogo non ha lo scopo di evidenziare un campo di datità coscienziali situate ad un livello genetico più originale rispetto a quello concernente gli oggetti trascendenti188. § 5: L'autoappercezione mondanizzante L'individuazione della sfera del proprio ci consente di escludere unicamente la posizione d'esistenza della soggettività altrui in modo da rendere possibile una descrizione fenomenologicamente corretta dell'esperienza dell'altro. Per conoscerela modalità attraverso cui si costituisce all'interno della mia coscienza il senso “alter ego” occorre, infatti, neutralizzare ogni relazione di tipo mondano-naturale nei confronti dell'altro uomo, approdando quindi ad una “singolare solitudine filosofica”189. Questo rivolgimento della coscienza verso il proprio essere è stato scettico, cioè senza convinzione. Come convinzione seria non potrebbe incontrarsi che in un manicomio, e allora per confutarlo non occorrono più argomenti, ma è necessaria una cura” (in Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di G. Riconda, Mursia, Milano, 1991, p. 143). 188 Su questo punto ha rivolto in particolare la sua attenzione Vanzago nel volume citato, sostenendo che la descrizione del fenomeno dell'altro contenuta nelle Meditationen “è esclusivamente statica” (in Luca Vanzago, Coscienza e alterità, cit., pp. 133-134). Ciò significa, dunque, che Husserl è più preoccupato a descrivere il modo di articolarsi del fenomeno all'interno del flusso di coscienza egologico, che non a porre questioni di fondazione ontologica. La dichiarazione dell'identità di fenomenologia e solipsismo non può, di conseguenza, essere sostenuta sulla base della descrizione statica dell'esperienza dell'altro. Ciò non toglie, comunque, che quella interpretazione possa essere argomentata mediante diverse e ulteriori modalità di conferma. 189 Nella Krisis Husserl afferma che “l'epoché crea una singolare solitudine filosofica, che è 91 caratterizzato come il processo fondamentale della riduzione fenomenologica che partiva dalla certezza naturale dell'essere del mondo per ritornare riflessivamente su di sé e sulle proprie operazioni costitutive. Mentre quest'ultima prendeva di mira l'atteggiamento naturale, la riduzione alla sfera appartentiva si radica all'interno della dimensione trascendentale scoperta grazie alla prima ε̉ποχή. Bisogna chiarire, quindi, che il fenomeno dell'altro analizzato nella Quinta Meditazione non coincide affatto con la manifestazione di un essere mondano. È lo stesso orizzonte trascendentale che deve costituirsi come intersoggettività di monadi rapportantesi reciprocamente, poiché senza questa articolazione necessaria non risulterebbe in generale possibile la costituzione di un mondo obiettivo. Il procedimento di descrizione statica dell'esperienza dell'altro che procede in modo rigoroso dall'io puntando verso la costituzione dell'intersoggettività, è motivato, dunque, dalla necessità di rendere scientificamente valida l'esposizione190. L'articolarsi della sfera del proprio deve, perciò, portare necessariamente in direzione dell'esperienza di una alterità egologica, presupposta in anticipo dallo stesso metodo di indagine che ci ha condotti alla delimitazione preliminare dell'orizzonte appartentivo. La costituzione fenomenologica dell'alter ego avviene, infatti, attraverso una trasposizione delle mie strutture essenziali a ciò che sì mostra originalmente come altro, come estraneo. Vediamo, dunque, che il fenomeno dell'altro si scompone in una serie di passaggi costitutivi fondamentali che avvengono all'interno del territorio egologico originale. Innanzitutto occorre che mi sia data in originale la struttura l'esigenza metodica fondamentale di una filosofia realmente radicale” (Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. 210). E’ qui presente in massimo grado il gioco di ambiguità che caratterizza più da vicino la fenomenologia husserliana. L'io trascendentale assume le vesti di un principio metodico, privo di qualsivoglia consistenza ontologica. Vedremo, subito dopo, che procedendo in tal modo si renderebbe nulla la sua stessa capacità costitutiva e, di conseguenza, vano il progetto generale di fondazione del sapere. 190 Nella Krisis Husserl sembra riferirsi proprio a questo punto quando afferma che “metodicamente l'intersoggettività trascendentale e il suo accomunarsi trascendentale possono venir rilevati soltanto a partire dall'ego” (in Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. 212, corsivo nostro). 92 essenziale dell'essere-un-io, poiché solo se si è riconosciuto il senso fondamentale del concetto ontologico di ego, si è poi in grado di attribuire questo attributo fondamentale ad un altro essere che mi si fa incontro nell'esperienza. Tutto ciò rimanda ad una preliminare auto-riflessione come condizione a priori dell'esperienza dell'altro, dal momento che il trascendimento della sfera appartentiva implica la costituzione di “un ego non come io stesso, che però si rispecchia nel mio io proprio, nella mia monade. [...] L'altro, per il suo senso costitutivo, rinvia a me stesso”191. Il senso d'essere dell'alter ego si mostra in prima istanza come il rispecchiamento (Wiederspigelung) del mio proprio essere, della mia essenza trasposta in un oggetto trascendente. Per far emergere l'alter occorre, quindi, che l'io divenga consapevole di se stesso e della propria intrinseca natura. Ora, ciò che di concreto rimane dopo l'effettuazione della riduzione alla sfera del proprio è un universo di vissuti intenzionali i cui sensi oggettuali hanno perduto ogni riferimento all'intersoggettività costituente, cioè ogni connotazione di tipo obbiettivo. Ci troviamo di fronte ad una “mera natura che ha perduto anche questo per ciascuno”192. All'interno di tale “natura appartentiva” (eigenheitliche Natur) trovo un corpo diverso per principio dagli altri corpi (Körper) di cui ho egualmente esperienza: si tratta del mio corpo proprio (Leib). A questo punto svolgono un ruolo cruciale le cosiddette sensazioni cinestetiche, consentendo l'identificazione del mio corpo nonché la sua differenziazione dal resto degli oggetti che popolano l'orizzonte dell'esperienza ridotta. Grazie alle cinestesi io divengo consapevole del mio corpo, che deve essere inteso come un organo (Organ) in grado di rispondere immediatamente ad ogni movimento della mia volontà, a differenza degli altri corpi con cui intrattengo un rapporto sempre mediato e indiretto. Al livello della corporeità si compie, dunque, la prima testimonianza autoriflessiva dell'ego trascendentale: “ciò diviene possibile perché io posso percepire una mano per mezzo di un'altra, l'occhio per mezzo della mano e così via, ove l'organo funzionante deve farsi oggetto e 191 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 117.90 192 Ivi, p. 119. Husserl precisa, quindi, che non si tratta della natura che rientra nell'ambito d'indagine delle scienze naturali, le quali presuppongono una costituzione intersoggettiva. 93 l'oggetto organo funzionante”193. La possibilità acquisita da parte del soggetto di riflettere non più sul mondo naturale, ma su se stesso e sul proprio orizzonte di possibilità, testimonia una fondamentale evoluzione dell'esperienza fenomenologica. L'ego trascendentale può rivolgersi a se stesso, come principio unitario dei vissuti attuali e potenziali, solo mediante una “autoappercezione mondanizzante”194. Quest'ultima non può certo consistere nell'appercezione naturale della coscienza che si verifica comunemente al livello della introspezione psicologica o percezione interna. Ci troviamo, infatti, all'interno della dimensione trascendentale e ogni riferimento al modo d'essere naturale deve essere preliminarmente escluso. Non si tratta neppure di attuare un capovolgimento dell'orizzonte guadagnato dalla sospensione delle validità naturali e ritornare poi all'atteggiamento naturale, individuando nell'io empirico l'unica possibilità di esplicitare la natura appartentiva dell'ego trascendentale. L'io si definisce come l'unità del flusso di Erlebnisse, dunque qualcosa di costituito sulla base di una serie determinata di intenzioni vuote e riempimenti. L'ego puro, malgrado mantenga la propria funzione costitutiva nei confronti del mondo e delle entità naturali, rimane pur sempre un qualcosa di costituito rispetto alla originaria vita trascendentale irriflessa. Se infatti la riduzione fenomenologico-trascendentale scopre l'oggetto in sé come essenziale correlato di una coscienza costituente, e quindi come fenomeno, l'esplicitazione di tale coscienza trascendentale porta necessariamente a identificare come dato fenomenico lo stesso ego costituente195. § 6: La base concreta della monade husserliana La riflessione compiuta all'interno della dimensione trascendentale compie, quindi, un ulteriore passo avanti tematizzando il risultato ottenuto dalla prima riduzione, ma ciò non può che provocare secondo Husserl una “mondanizzazione” 193 Ibidem. 194 Ivi, p. 121. 195 Nelle opere pubblicate Husserl non si pone mai in modo esplicito il problema della genesi della soggettività trascendentale. La riduzione del mondo a fenomeno di valore per l'io costituente non rappresenta, in quest'ottica, lo stadio finale della riflessione fenomenologica in quanto essa può e deve esercitarsi anche sulla stessa soggettività, in modo da evitare che essa venga conservata come mero presupposto. 94 dell'io puro. Per chiarire l'essenza dell'ego costituente è necessario, infatti, compiere una sua “oggettivazione”, ovvero ridurre il soggetto a qualcosa di essenzialmente costituito. La base fondamentale che permette la determinazione specifica e l'individuazione concreta dell'ego è rappresentata dal suo corpo proprio (Leib), per essenza differente dalla totalità degli oggetti contenuti nella sfera del proprio. La differenza che in questo modo si istituisce non riguarda una presunta qualità in sé dell'oggettualità, che acquisisce il rango di corpo vivente, quanto piuttosto il modo specifico con cui la corrente di vissuti trascendentali si rapporta a questo strato costitutivo dell'esperienza. Il corpo organico rappresenta, infatti, il punto zero (Nullpunkt) dell'esperienza, dal momento che consente la localizzazione e la temporalizzazione dell'io, inteso come entità individuale collocata in determinate coordinate spazio-temporali. Grazie a questa sorta di “incarnazione”, l'ego puro perde quell'indeterminatezza con cui inizialmente veniva intuito e assume una caratterizzazione non più meramente astratta, ma concreta. Allo stesso tempo il fenomeno del corpo proprio contiene il riferimento ad una duplice realtà: essa è un'entità “estesiologica”, ovvero dotata di sensazioni che provengono dall'esterno, e si definisce allo stesso tempo come un'entità dotata della facoltà di “volere”, ovvero della libertà di movimento. La corporeità dell'io puro segna, perciò, da un lato la sua fondamentale capacità “affettiva”, cioè la possibilità di essere affetto e di recepire dei dati iletici, per così dire, dall'“esterno”; mentre dall'altro gli conferisce il carattere dell'“io posso”, della libertà cinestetica. Husserl sostiene, inoltre, che “lo strato estesiologico è la base dello strato del «libero movimento»”196, vale a dire che ogni attività dell'io, ogni cogito consapevole non può non fare riferimento ad una base irriflessa di dati coscienziali meramente passivi che scaturiscono in modo indipendente dalla strutturazione a priori dell'esperienza197. La riflessione stessa, che si configura come un attivo rivolgersi dell’ io su se stesso, non può che installarsi su un terreno preventivamente dato e irriflesso: 196 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 673. 197 Cfr. supra le analisi sviluppate nel capitolo terzo, § 7. 95 “l'autoappercezione è una riflessione (riflessione dell'io puro su stesso), e per essenza presuppone una coscienza irriflessa”198. Alla sfera della concretezza monadica non appartengono soltanto gli stati attuali o possibili dei propriErlebnisse: possiedono lo stesso titolo di proprietà personale anche gli oggetti che si costituiscono all'interno di tale orizzonte “primordinale”. L'io concreto prodotto dall'appercezione mondanizzante dell'io puro, in quanto centro di sensazioni e di movimenti, localizzato in un punto dello spaziotempo soggettivo, si dà innanzitutto come centro di un mondo circostante (Umwelt). Scrive infatti Husserl: “I concetti di io e di mondo circostante sono inseparabilmente in un rapporto reciproco”199. Questo mondo di oggetti dati originalmente all'io costituisce la sfera della cosiddetta “trascendenza immanente”. La formazione dei sensi e delle oggettualità di questa sfera primordiale non deve presupporre in alcun modo il riferimento ad una soggettività estranea: “questa sfera appartiene, dunque, a ogni ego, indipendentemente dalla cultura cui appartiene, ed è a partire da essa che si costituisce, come strato ulteriore, un mondo obbiettivo, un mondo di significati, e anche l'alter ego”200. La possibilità di costituire una trascendenza del genere, pur rimanendo ancorati al registro dell'immanenza interna al singolo ego, rappresenta non soltanto la condizione a priori dell'esperienza dell'altro, ma al contempo anche il presupposto dell'autoappercezione dell'io puro. Questi, infatti, mette in atto un'operazione di identificazione nei confronti di un oggetto singolo rinvenuto all'interno del mondo dato originalmente (ovvero il corpo vivo), motivato da sensazioni cinestetiche e affezioni. Grazie a tale procedimento, la totalità degli altri oggetti che sono dati all'interno dell'esperienza solipsistica dell'io assume una particolare curvatura in virtù della orientazione dello spazio-tempo a partire da un unico punto rappresentato dalla singola monade concreta. Il procedere dell'esposizione riguardante l'esperienza fenomenologica 198 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 639. 199 Ivi, p. 581. 200 Vincenzo Costa, Husserl, cit., p. 119. 96 dell'altro rischia, dunque, di oscurare il fatto che la costituzione della propria corporeità avviene contemporaneamente alla costituzione della soggettività estranea. Tale circostanza non viene messa debitamente in luce da Husserl se non in una nota a margine riportata nel testo di Ideen II in cui si afferma che “un segmento di appercezione induttiva concernente me stesso deriva dall'esperienza degli altri in quanto somatologici. [...] Giuoco alternato dell'osservazione di altri e di autoosservazione, poi progressivo ampliamento dell'appercezione induttiva”201. Dobbiamo, perciò, concludere che la sfera del proprio rappresenta un campo di fenomeni al cui interno il mio corpo proprio e quello dell'altro si costituiscono reciprocamente. La sfera oggettuale primordiale non si può identificare tout court con l'io stesso, il quale si rende manifesto solo attraverso l'autoappercezione mondanizzante che avviene all'interno di quella dimensione originale. Un campo di fenomeni privato dell'unità costituente dell'io rappresenta, però, una forma di vita pre-riflessiva in quanto pre-egologica, ma su cui può articolarsi un procedimento di riflessione e di costituzione dell'io. L'analisi della sfera primordiale ci ha permesso di scoprire che il primato della soggettività rappresenta, per Husserl, la conseguenza di una scelta metodica precisa202 e non piuttosto il risultato di un'antecedenza effettiva a livello ontologicofondazionale. Lo strato originario è, infatti, costituto dal fluire della vita trascendentale irriflessa, sulla cui base si fondano i prodotti costitutivi della soggettività trascendentale, da una parte, e del mondo, dall'altra. § 7: La Paarung originaria Si può ora procedere alla descrizione dell'esperienza dell'altro, resa possibile dal manifestarsi di una “trascendenza immanente” all'interno della sfera concreta del mio essere proprio. Nel dominio di questa natura originaria che mi appartiene si fa avanti un corpo (Körper) che possiede un carattere di somiglianza fondamentale nei 201 Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 641, nota (corsivi nostri). 202 Motivata dai presupposti teorici della fenomenologia stessa, discussi nel primo capitolo di questo scritto, e che consistono nel tentativo dichiarato di formulare una soluzione definitiva al problema della conoscenza riprendendo la tradizione del trascendentale moderno. 97 confronti del mio corpo proprio (Leib). La percezione di una tale somiglianza non è il risultato di un'inferenza per analogia, ma avviene in modo immediato e attraverso un unico sguardo. Si tratta, dunque, di un’ “associazione d'accoppiamento” (Paarung) che Husserl definisce anche come “una trans-comprensione intenzionale [ein intentionales Übergreifen] che ha luogo geneticamente (ed essenzialmente), in quanto i dati che si accoppiano sono consaputi insieme e pure distintamente” 203. La funzione associativa rappresenta, come è stato più sopra indicato, il principio universale della sintesi passiva che consente l'apprensione unitaria in originale di fenomeni per altri versi distinti. L'associazione passiva che avviene tra il mio Leib e il Körper fuori di me, ma pur sempre presente nella sfera delle trascendenze immanenti e che presenta una immediata somiglianza col mio, innesca quindi un'attività da parte dell'ego cosciente, il cui risultato consiste nell'appresentazione della coscienza estranea. Una volta percepito il collegamento di tipo analogico tra il mio corpo organico e quello dell'altro, sono motivato a compiere una “trasposizione (Übertragung) appercettiva”, conferendo a quell'oggetto che ho di fronte la proprietà di costituire un Leib proprio di un ego a me estraneo. Il fatto che “l'ego e l'alter ego sono dati pur sempre e necessariamente in un accoppiamento originario” costituisce la condizione a priori dell'esperienza dell'altro. Una volta attuato questo “coglimento analogizzante” della vita coscienziale dell'alter ego all'interno del corpo fisico posto di fronte, non si è ancora mostrata la possibilità dell'esistenza concreta di un soggetto diverso da me. La trasposizione appercettiva costituisce, cioè, ancora un'intenzione vuota, una predelineazione del senso dell'altro che deve trovare un possibile riempimento all'interno del decorso fenomenico successivo. Naturalmente il processo di verifica degli atti che si rivolgono intenzionalmente ad una soggettività diversa dalla mia non può che darsi come infinito, dal momento che risulterebbe un controsenso palese la possibilità concreta di un’esperienza immediata e in originale dei vissuti altrui. A questi ultimi, infatti, non resterebbe alcun attributo essenziale che li consentisse di distinguersi dai miei vissuti coscienziali. Per tale motivo Husserl parla di una “appresentazione” dell'alter ego distinguendola dall'altro genere di appresentazioni che si danno in 203 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 133. 98 relazione all'esperienza della cosa, in quanto per essa è da escludere a priori la possibilità stessa di una verifica in carne ed ossa (leibhaft) del senso oggettuale intenzionato. § 8: L'Einfühlung Un tipo di riempimento parziale del tutto specifico dei noemi che pongono l'esistenza di una coscienza al di là del mero corpo fisico è comunque possibile e consiste nel processo seguente: “un corpo organico estraneo, di cui ho esperienza, si rende noto progressivamente come vero corpo organico solo nel suo comportamento esteriore mutevole ma sempre concordante”204. Grazie al manifestarsi di un stile determinato nel movimento del corpo proprio altrui, le mie intenzioni possono trovare momentanei riempimenti e l'esistenza dell'altro risulta confermata fin tanto che io sia in grado di prevedere lo sviluppo coerente dei suoi movimenti. Se ad esempio osservo un corpo che si dirige verso un fosso e apprendo nello stesso tempo appresentativamente che egli vede questo fosso, sono portato a credere che vi sarà una determinata reazione o comportamento da parte sua, ovvero che salterà il fosso o si fermerà sul ciglio. Se tale previsione verrà delusa e quel presunto Leib rotolerà giù semplicemente come un corpo morto, dovrò ammettere di aver formulato un giudizio erroneo e di aver avuto di fronte un mero automa, del tutto simile esteriormente ad un soggetto dotato di coscienza. Perciò “non soltanto il «fuori» percepibile originalmente motiva un «dentro» non percepibile originalmente, ma anche il «dentro» non percepibile originalmente motiva un fuori percepibile originalmente, e ciò, adempiendosi in modo percepibile, conferma il «dentro» motivante non accessibile”205. Questo processo continuo di conferme (o smentite) delle intenzioni presuntive da parte di riempimenti corrispondenti è chiamato da Husserl Einfühlung, tradotto in italiano con i termini di “empatia” o “entropatia”. Anche in questo caso io posso penetrare le motivazioni che guidano il comportamento altrui solo attraverso una trasposizione appresentativa dei miei propri vissuti, ovvero “in base al mio 204 Ivi, p. 134. 205 R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 209. 99 comportamento in circostanze analoghe”206. A produrre l'empatia, la capacità di prevedere i vissuti dell'altro, è proprio lo stile comportamentale che caratterizza in modo specifico i movimenti del corpo altrui: esso fa sorgere passivamente le motivazioni a compiere in modo attivo la posizione d'essere dell'alter ego. Vi sono, in particolare, specifici movimenti che rendono attuabile la relazione empatica: essi sono costituiti dalle movenze espressive (facciali o linguistiche) e interpellative del corpo organico. La relazione empatica è caratterizzata in prima istanza dalla “reciprocità dei movimenti, che sono ad un tempo indirizzati verso il e suggeriti dal soggetto”207. Si conviene, dunque, che l'esistenza concreta dell'altro deve risultare da un complesso di esperienze concordanti, il quale però non può mai dare la certezza apodittica del sussistere effettivo dell'altra coscienza che si sottrae per ragioni essenziali alla datità in originale. A questo punto Husserl ipotizza un parallelo tra l'esperienza dell'altro e l'esperienza che io ho dei miei vissuti passati presenti nel ricordo di secondo grado. “L'auto-temporalizzazione, che avviene, per così dire (nella rimemorazione) attraverso una de-presentazione (Ent-Gegenwärtigung), trova la sua analogia nella mia auto-estraniazione (Ent-Fremdung)”208. L'atto rimemorativo che intenziona i nostri Erlebnisse passati non può per principio trovare un riempimento in senso intuitivo e diretto dal momento che il flusso di esperienza è irreversibile; è possibile, quindi, tornare sui propri passi soltanto in modo indiretto e mediato. Ma se in questo caso la distanza che si produce tra l'io attuale e i vissuti dell'io passato è di natura temporale, nel caso dell'auto-estraniazione è attivo un diverso tipo di modalizzazione dell'esperienza. I vissuti dell'alter ego sono percepiti come estranei poiché essi scaturiscono da un atto immaginativo della mia coscienza che, rivolgendosi al corpo proprio altrui situato “lì”, immagina quei vissuti che potrebbe avere “come se” (als ob) il “qui” del suo corpo proprio si trovasse 206 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 139. 207 Luca Vanzago, Coscienza e alterità, cit., p. 146. 208 Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. 212. L'esempio della rimemorazione è del resto contenuto anche in Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 135. 100 precisamente “là” dove è attualmente presente l'altro soggetto. “Io ho quei fenomeni che avrei potuto avere identicamente in se stessi quando mi fossi recato là e vi fossi stato”209. In questo modo risulta fondamentale la caratterizzazione spaziale della Umwelt che appartiene alla monade concreta per cui in essa si dà un centro soggettivo mobile, costituito dal mio Leib che può cambiare liberamente la propria collocazione nello spazio. Il “là” in cui attualmente si trova l'alter ego può tradursi in un potenziale “qui” per la mia coscienza mediante un atto immaginativo. Dal momento che l'immaginazione consiste in una presentificazione dei vissuti dell'alter, il rapporto dell'ego con il suo alter non può che darsi in modo indiretto. Husserl, infatti, distingue all'interno degli atti due tipologie fondamentali: quella degli atti di presentazione che danno l'oggetto “in originale”, “in carne ed ossa” (leibhaft) e quella degli atti di presentificazione che non si riferiscono semplicemente ad un oggetto, ma rappresentano anche una “coscienza riproduttiva della corrispondente impressione, del corrispondente deflusso originario, nel quale si costituisce originariamente la coscienza dell'oggetto ora presentificato”210. L'immaginazione dei vissuti altrui, mediata dalla presentazione della posizione spaziale del corpo proprio altrui, rappresenta il vero e proprio processo entropatico che consente di entrare indirettamente nella coscienza dell'altro “come se io fossi là”, al suo posto. Il “come se” risulta fondamentale e costitutivo dal momento che rende impossibile l'identificazione assoluta tra la corrente dei vissuti altrui e la mia, la quale si dà invece necessariamente in originale. § 9: L'intersoggettività trascendentale Venute in chiaro le modalità fondamentali attraverso cui si articola l'esperienza dell'alter ego e la sua possibilità di principio anche all'interno di quella che è stata definita come sfera del proprio, resta ora da affrontare la questione dell'intersoggettività trascendentale. La costituzione dell'altro comporta, infatti, una trasformazione essenziale 209 Ivi, p. 137. 210 R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 189. 101 all'interno del campo trascendentale dell'esperienza. Non siamo più in presenza di un'unica soggettività che costituisce il senso e l'essere del mondo, ma vi sono una pluralità di ego trascendentali che esercitano in comune la capacità costitutiva. Si pone, tuttavia, in questo senso un problema cruciale: “quello del modo in cui deve venire a effettuarsi una formazione di comunità in generale”211. Rimane ancora oscura, infatti, la modalità attraverso cui si esercita in comune la funzione costitutiva del mondo oggettivo, ovvero della natura in senso pregnante. L'esposizione del fenomeno dell'alter ego ha indicato l'impossibilità di una presentazione diretta dei vissuti altrui che mi sono dati solo attraverso una trasposizione appercettiva motivata dalla somiglianza del mio corpo con il corpo dell'altro. Sembrerebbe aprirsi, perciò, un abisso (Abgrund) tra l'ego che io sono e l'ego rappresentato dall'altro soggetto trascendentale. In realtà tale conclusione si fonda su una errata interpretazione della relazione fondamentale tra il corpo altrui e i suoi rispettivi vissuti coscienziali. L'appresentazione della coscienza dell'altro presuppone, infatti, sempre la presentazione diretta e in originale del corpo che lo identifica. “In altri termini le due cose sono congiunte nella comune funzione di formare una percezione unica che in sé, allo stesso tempo, presenta e appresenta”212. Il legame che sussiste tra il corpo proprio dell'altro e la sua vita di coscienza non partecipa a una mediazione di tipo “categoriale” e intellettiva. La percezione della somiglianza dell'altro corpo con il mio si caratterizza, infatti, come immediata e avviene al livello pre-categoriale della sintesi passive. L'atto intenzionale che tematizza la coscienza altrui costituisce, dunque, il risultato di un'associazione immediata, di una Paarung originaria che ammette smentite solo da parte dell'esperienza stessa che l'ha posta in essere. Assieme al corpo proprio esterno mi si dà, però, contemporaneamente la sua vita di coscienza e, sempre in modo immediato, anche il suo mondo circostante e la totalità delle suoi vissuti. Costituendo un'alter ego non posso far altro che conferirgli tutte quelle caratteristiche che mi competono in quanto monade concreta e per tale motivo nella mia esperienza dell'altro sono racchiusi non solo singoli Erlebnisse, ma 211 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 140. 212 Ivi, p. 141 (corsivo nostro). 102 anche un'intera Umwelt che diviene un certo modo di apparizione dell'unica Welt oggettiva in cui entrambi ci troviamo inseriti. Scrive, infatti, Husserl che “appena esperisco un alter ego come altro uomo, e lo esperisco con una valida legittimità, per quanto presuntiva, allora ho posto un mondo primordiale dell'altro uomo come formazione del suo ego (dell'ego trascendentale)”213. In questo modo la mia personale sfera del proprio può contenere anche il mondo ambiente costituito dall'alter in rapporto ai suoi modi specifici di esperienza, differenti per essenza dai miei, dal momento che ci troviamo nelle due prospettive opposte del “qui” e del “là”. L'articolazione dell'esperienza dell'altro non porta, quindi, a due mondi separati, quello mio e quello dell'altro ego; infatti la Umwelt altrui è una mia costituzione, che viene però attribuito al soggetto estraneo. Tale indice di estraneità caratterizzante ogni atto intenzionale rivolto all'alter, si mostra come necessaria conseguenza della modalità attraverso cui si è venuta a costituire la soggettività altrui; in questo processo è stata, difatti, esclusa la percezione diretta e adeguata dei vissuti dell'altro. Estraneo, straniero (Fremde) è tutto ciò che trascende i limiti della certezza del mio cogito, ma per questo non è detto affatto che esso non possa rientrare all'interno della sfera di proprietà di qualsiasi altro ego cosciente e attivo214. Husserl riconosce qui i limiti fondamentali di un'impostazione soggettivistica come la sua che fonda la scientificità sull'evidenza apodittica, la quale è pur sempre un criterio di valutazione della conoscenza che fa perno sull'io e sulla sue potenzialità intrinseche. Al tempo stesso, però, la fenomenologia dell'estraneo attesta la presenza di una zona d'ombra che avvolge necessariamente e di volta in volta le riflessioni operate al livello della coscienza desta. Tale orizzonte indeterminato costituisce in ogni caso un ingrediente fondamentale del metodo fenomenologico, poiché è ciò da cui sorge e su cui continuamente si appella. Abbiamo notato, in precedenza, che il riflettere non può che radicarsi ed emergere a partire da un orizzonte di vita irriflessa, 213 Edmund Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlaß, Dritter Teil: 1929-1935, Husserliana, Bd. XV, a cura di I. Kern, Nijhoff, Den Haag, 1973, p. 43. Traduzione italiana tratta da Vincenzo Costa, Husserl, cit., p. 125. 214 Non esiste nell'idealismo husserliano propriamente un “esterno” o un “Altro” che non ricada nel dominio di una coscienza o ego trascendentale, magari differente da quel singolo che ha compiuto la riduzione fenomenologica. 103 non tematizzata attualmente dal cogito. La fonte di questa vita irriflessa non va, dunque, ricercata all'interno del campo delimitato dalla coscienza desta e attiva, la quale non può far altro che agire come la hegeliana “nottola di Minerva”, sollevandosi sul far della sera quando tutto è ormai concluso. La vita irriflessa si identifica, in Husserl, con la proprietà altrui: se, infatti, non esiste nulla che non sia oggetto di una coscienza, in che modo potrebbe sussistere nella sfera attuale della coscienza un oggetto che, per definizione, la trascende? Non a caso per risolvere il problema della trascendenza degli oggetti conoscitivi (che poi coincide con la questione circa la possibilità della conoscenza tout court) Husserl deve fare riferimento all'esistenza di altri ego trascendentali che come tali intenzionano cose o prospettive sulle cose per essenza diverse da quelle di cui io ho attualmente coscienza. La costituzione di un mondo obiettivo e valido per ciascuno, avviene inoltre grazie alla mediazione rappresentata dalla presentazione del corpo dell'estraneo e dall'appresentazione dei suoi vissuti di coscienza. “Il fenomeno di esperienza che ha per titolo “natura oggettiva”, oltre alla stratificazione costituitasi primordinalmente [ovvero la mia propria costituzione del mondo], ne possiede un'altra, che viene ad essere appresentata a partire dall'esperienza dell'estraneo e riguarda innanzitutto il corpo fisico estraneo, che è per così dire l'oggetto in sé primo, come l'uomo estraneo è costitutivamente uomo in sé primo”215. Mediante l'articolazione dell'esperienza empatica il mio mondo personale si arricchisce di nuove prospettive che mantengono, tuttavia, la loro caratterizzazione di punti di vista dell'alter ego. In questo modo si compie una trasformazione radicale della mia sfera primordiale, la quale perde il proprio attributo di esperienza assoluta degli enti e diviene un soggettivo riferirsi ad un mondo che possiedo in comune assieme ad una pluralità di monadi. Allo stesso modo si riconfigura anche la modalità attraverso cui l'ego ha esperienza di se stesso. Se considero l'alter alla stregua di una soggettività trascendentale come la mia, ne consegue che io stesso posso diventare un oggetto 215 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 143 (corsivi nostri). 104 agli occhi dell'altro e perciò “percepisco me stesso come un alieno”216. Ma l'apporto fondamentale fornito dall'esperienza dell'estraneo è costituito dal fatto che essa rende possibile una confutazione di principio dell'obiezione solipsistica. Husserl sostiene, infatti, che tra le monadi sussiste una Paarung originaria necessaria al costituirsi stesso del mondo, da un lato, e della soggettività singola, dall'altro. Senza questo rapporto immediato di “accoppiamento” non sarebbe possibile neppure ipotizzare a livello logico-ontologico una monade solipsistica di stampo leibniziano assolutamente priva di relazioni. “Anche se una pestilenza universale non dovesse lasciare esistere che me soltanto”217 il concetto di “esperibileper-ognuno”, ovvero il senso dell'obiettività in generale non risulterebbe affatto scalfito o messo da parte. Nel momento in cui si trova di fronte ad un oggetto che, in un certo senso, trascende il flusso immanente dei suoi Erlebnisse, l'io non è solo in quanto l'esperienza stessa di un tale oggetto presuppone l'esistenza attuale o possibile di una comunità intermonadica di ego trascendentali. Divenire coscienti della finitezza della propria esperienza non comporta, infine, l'attribuzione immediata della “verità”, del corretto punto di vista sul mondo direttamente all'esperienza dell'altro. Questi mi è dato innanzitutto come alter ego, ovvero come un qualcosa di estraneo che, tuttavia, paradossalmente richiama la mia stessa natura essenziale. Così come attribuisco al corpo altrui le medesime facoltà che mi appartengono in quanto monade concreta, prima fra tutte la capacità di costituire una propria Umwelt, devo trasferire alla sua modalità propria di esperienza le stesse limitazioni e impedimenti che costitutivamente mi riguardano. Anche l'altra coscienza deve percepire se stessa come prospettiva finita e limitata sul mondo, quindi non diviene più la detentrice della “verità” assoluta del fenomeno. Quest'ultima non può che configurarsi come τελος infinito e irraggiungibile da parte tanto del singolo uomo quanto dell'umanità attuale nel suo complesso. Tale punto di convergenza e sintesi olistica di tutte le esperienze del mondo si 216 Dan Zahavi, Husserl's Intersubjective Transformation of Trascendental Philosophy, in (a cura di) Donn Welton, The New Husserl. A Critical Reader, Indiana University Press, Bloomington & Indianapolis, 2003, p. 237 (traduzione nostra). 217 Edmund Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 116. 105 configura, perciò, come una totalità aperta, infinita: “il senso del mondo essente, come mondo della mia esperienza, della mia vita trascendentale, è un mondo mai definito, un mondo con un senso aperto verso l'infinito”218. In maniera analoga alla percezione della cosa singola, il darsi del mondo oggettivo avviene attraverso l'esperienza di una serie infinita di Abschattungen, ognuna relativa e limitata ad una soggettività specifica, ma sempre rinviante ad un orizzonte di senso più ampio che le abbraccia tutte. Vediamo, dunque, che il mondo e i singoli enti che lo costituiscono ricevono il proprio senso d'essere dalla intersoggettività trascendentale. Il singolo ego, concepito come isolato, è incapace di dare ragione di un essere oggettivo e valido per chiunque. Affinché venga data la possibilità al soggetto trascendentale di costituire il senso del mondo è necessario concepire l'ego come appartenente ad una comunità di monadi simili a lui, che collaborino con esso alla operazione essenziale della “donazione di senso” (Sinngebung). Il fondamento dell'essere obiettivo, il Seinsboden effettivo è rappresentato, dunque, dalla comunità intermonadica che si costituisce originariamente come formazione di senso in sé prima. 218 Edmund Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlaß, Dritter Teil: 1929-1935, cit., p. 45. Traduzione italiana tratta ancora dal volume di Vincenzo Costa, Husserl, cit., p. 126. 106 107 Conclusione: LA FENOMENOLOGIA HUSSERLIANA TRA PRIMATO DELLA SOGGETTIVITÀ E RUOLO COSTITUTIVO DELLA MONADOLOGIA TRASCENDENTALE “Il se peut faire que je me trompe, et ce n'est peut-être qu'un peu de cuivre et de verre que je prends pour de l'or et des diamants” René Descartes L'ultimo capitolo, lungi dal rappresentare una soluzione definitiva per la nostra interpretazione della fenomenologia husserliana, pone in realtà una questione di assoluta rilevanza. Si è detto, infatti, che la costituzione del senso d'essere del mondo, ovvero la principale funzione trascendentale, è svolta pienamente dalla comunità intermonadica che di per sé risulta in grado di dare una legittimazione pienamente obiettiva alle posizioni d'essere relative alla singola monade. Per tale motivo è parso evidente che “il criterio di inclusione nel senso e nell'essere è costituito dall'armonia, dalla conciliazione, in ultima istanza dalla pace tra le monadi e all'interno della monade stessa”219. Questa interpretazione del trascendentalismo husserliano risulta, perlomeno, univoca dal momento che lascia in secondo piano la concezione fenomenologica ugualmente centrale riguardante il primato assoluto della soggettività. Nella Krisis Husserl riprenderà, infatti, la tematica dell'intersoggettività trascendentale, sottolineando ancora una volta il fatto che essa si costituisce 219 Alice Pugliese, La dimensione dell'intersoggettività, cit., p. 227. 108 solamente a partire da un soggetto originario (Ur-ich)220. La comunità intermonadica possiede ancora la facoltà trascendentale di dare senso e fondamento ad un essere che altrimenti sprofonderebbe nel nulla assoluto del non-senso (Sinnlos), ma al contempo tale comunità costituente esibisce la propria natura costituita, ovvero prodotta a partire dal primo e unico fondamento inconcusso del sapere filosofico: la soggettività trascendentale. “All'origine dell'oggettività del mondo sta il potere d'ogni io di porsi come coscienza di sé, vale a dire come oggetto per se stesso, prima della costituzione del mondo delle cose”221. La certezza che l'io ha di se stesso viene prima di ogni costituzione, perciò ogni essere per poter sussistere come tale e nelle sue determinazioni specifiche deve essere ricondotto a tale verità apodittica in sé prima. Si tratta, tuttavia, di vedere se tale soggettività originaria possa considerarsi alla stregua di un assoluto metafisico, identificabile con il soggetto della tradizione idealistica. In realtà la confutazione dell'interpretazione solipsistica dell'ego trascendentale, che Husserl approfondisce nella Quinta Meditazione, ci consente di rifiutare per principio un'impostazione che enfatizza il carattere eminentemente assoluto del soggetto. L'identità dell'io con se stesso rinvia necessariamente alla nonidentità, all'estraneità dell'io rispetto ad un altro nei cui confronti può unicamente rispecchiarsi. Se viene esclusa a priori la possibilità dell'io di confrontarsi con l'altro da sé, viene meno anche la peculiare facoltà riflessiva che implica sempre una forma implicita di auto-estraniamento costitutivo. L'intenzionalità propria della coscienza trascendentale, inoltre, non può ridursi ad un rapporto nei confronti di una “alterità” apparente, illusoria, come accadrebbe se la totalità dell'essere fosse ridotta ad un unico soggetto trascendentale. La peculiarità dell'idealismo husserliano, infatti, consiste proprio nel mantenere costante la differenza fenomenologica tra soggetto e oggetto, tra conoscente e conosciuto. Per tale motivo “la questione del valore della assolutezza della soggettività si fa tanto più urgente, in quanto tale assolutezza sembra contraddire la caratteristica essenziale della vita di coscienza, che, come è 220 Cfr. Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale,cit., pp. 210-212. Il paragrafo porta, infatti, il titolo significativo: “Io, in quanto io originario (Ur-ich), costituisco l'orizzonte degli altri io trascendentali in quanto co-soggetti dell'intersoggettività trascendentale che costituisce il mondo”. 221 Mario Ruggenini, Dire la verità. Noi siamo qui forse per dire, Marietti, Milano, 2006, p. 138. 109 noto, è rappresentata per Husserl dall'intenzionalità”222. La riduzione pone in evidenza proprio il carattere imprescindibile della correlazione universale tra oggetti e soggetto donatore di senso, dove il termine “soggetto” deve però essere inteso in senso pluralistico e non più, come vuole la tradizione filosofica moderna, in senso solipsistico. Non si tratta, perciò, di attuare un rivolgimento dell'atteggiamento naturale nel suo opposto: per cui dopo aver assolutizzato l'esistenza trascendente del mondo si giungerebbe, attraverso un'operazione inversa, ad assolutizzare l'io puro, considerandolo come unico soggetto della Sinngebung. Incentrare l'orizzonte trascendentale attorno ad un polo unico e costante rappresentato dal soggetto individuale costituisce un tradimento della stessa riduzione fenomenologica. Ciò infatti significa trasporre le categorie riduzionistiche dell'atteggiamento naturale all'interno di quel territorio assolutamente nuovo e originale della dimensione trascendentale. Per tale motivo l'atteggiamento teoretico proprio del fenomenologo si caratterizza per lo sforzo di mantenere costantemente aperto il limite che traccia i confini tra soggettività e oggettività all'interno del processo conoscitivo. Quello che in un dato momento può apparire come un oggetto “in carne ed ossa”, indipendente da ogni facoltà soggettiva di modificazione dell'esperienza, nell'attimo successivo si manifesta come illusione, come fraintendimento dei dati fenomenici che rimangono pur sempre gli stessi. Il confine tra soggettivo e oggettivo è stato, dunque, superato in direzione di una nuovo divisione, questa volta più sicura dell'altra ma mai assolutamente certa. La possibilità reale, e non meramente ipotetica, del verificarsi di un errore percettivo (così come in qualsiasi altro livello dell'esperienza) rappresenterebbe il problema principale per la comprensione assoluta della soggettività trascendentale. Se al di fuori della coscienza non vi sono entità estranee, in grado almeno di minare la certezza di sé posseduta dall'ego cogito, ogni cosa che viene esperita dal soggetto è realmente essente: ancora una volta l'esse viene ad identificarsi al percipi e l'arbitrio scettico diviene il punto di vista dominante del discorso filosofico. Restringere a tale conclusione la fenomenologia trascendentale significa, tuttavia, disconoscere l'immane sforzo husserliano di venire a capo del problema della conoscenza, in modo da confutare una volta per tutte l'assurdità delle 222 Mario Ruggenini, Verità e soggettività, cit., p. 201. 110 argomentazioni scettiche e solipsistiche. L'assoluto per Husserl, quindi, non è né il mondo in sé né il puro soggetto, quanto piuttosto “la correlazione trascendentale del soggettivo e dell'oggettivo, l'inscindibile unità dell'essere e dell'apparire”223. La coincidenza di essere e apparire (soviel Schein, soviel Sein) costituisce in realtà più che una mera constatazione teorica di un principio ontologico, una meta, un'idea-limite verso cui indirizzarsi immer wieder. Come sostiene Paci, “il termine ideale della fenomenologia del conoscere è la trasparenza dell'essere alla coscienza; è, potenzialmente, la coincidenza del reale con il razionale, dell'essere con il conoscere”224. Questa impostazione di fondo che regge in ogni punto il sistema dell'idealismo fenomenologico pone in massimo risalto l'articolazione differenziata dell'esperienza, che da un limite di massima chiarezza fluttua fino ad un limite di massima oscurità. L'evidenza apodittica, che rappresenta il primo di questi margini dell'esperienza fenomenologica, è ottenibile attraverso il metodo della riduzione, del ritorno a sé, ai propri Erlebnisse, alla propria sfera monadica. All'interno di questa sfera, si è visto, si dà in maniera mediata l'estraneità per eccellenza dell'alter ego, ovvero l'estremo opposto rispetto alla chiara evidenza. La vita di coscienza oscilla, dunque, tra questi due opposti fondamentali e non potrebbe sussistere qualora una qualsiasi di queste dimensioni fondanti venisse a mancare. Da tale complessità del ego trascendentale deriva la caratterizzazione husserliana della funzione costitutiva in senso intersoggettivo. L'apprendimento del punto di vista dell'altro, o perlomeno la consapevolezza nell'esistenza di un orizzonte monadico diverso dal mio, porta necessariamente alla costituzione dell'oggetto trascendente. La “trascendenza” della cosa percettiva non è più una proprietà attribuita ad un oggetto reale, ma il risultato dell'interazione di una pluralità (infinita) di direzioni percettive appartenenti ad altrettanti soggetti di esperienza. Di conseguenza, come afferma giustamente Zahavi, “the intersubjective experienceability of the object guarantees its real transcendence, and my experience (constitution) of it is consequently mediated by my experience of its giveness for 223 Ivi, p. 211. 224 Enzo Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Bompiani, Milano, 1990, p. 16. 111 another transcendent subject, that is, by my experience of a foreign world-directed subject”225. Privati dell'esperienza dell'alter, risulteremmo perciò soggetti senza mondo, coscienze senza alcuna direzione intenzionale. Husserl, attraverso la sua monadologia trascendentale, mostra dunque l'inscindibile unità che lega ogni soggetto trascendentale; ma non lo fa introducendo, per così dire, ab nihilo il postulato dell'intersoggettività, quanto va alla ricerca di esso utilizzando accurate analisi fenomenologiche in grado di conferire una solida base a tale assunzione226. L'originalità del contributo husserliano consiste, dunque, nel far compiere alla filosofia moderna inaugurata da Descartes quel progresso in avanti in grado di porla in una prospettiva seria e coerente, in una parola “scientifica”. Con un tale veste rigorosa il pensiero occidentale degli ultimi quattro secoli può finalmente prendere parte ad un dialogo più fecondo con le attuali impostazioni filosofiche, ponendosi al loro stesso grado di legittimità, nella consapevolezza incrollabile che il tempo presente, con la sua critica senza frontiere rivolta alla filosofia moderna, non sia l'unica possibile incarnazione di quell'ideale imperituro e sempre rinnovantesi che rimane il significato ultimo della parola “verità”. 225 Dan Zahavi, Husserl's Intersubjective Transformation of Trascendental Philosophy, in (edited by) Donn Welton, The New Husserl, cit., p. 236. 226 Fondamentale in tal senso il volume di Dan Zahavi, Husserl und die transzendentale Intersubjectivität. Eine Antwort auf die sprachpragmatische Kritik, Phaenomenologica 135. Kluwer Academic Publishers, Dordrecht-Boston, 1996. L'autore conduce una critica nei confronti di una certa filosofia del linguaggio che invece di argomentare a favore dell'esistenza di una pluralità di soggetti, la dà semplicemente per scontata e la considera il punto d'appoggio di tutte le riflessioni ulteriori. 112 113 Riferimenti bibliografici Opere di Edmund Husserl consultate: Die Idee der Phänomenologie. Fünf Vorlesungen (1907), hrsg. von W. Biemel, Nijhoff, Den Haag, 1950; trad. it. di A. Vasa, L'idea della fenomenologia, Il Saggiatore, Milano, 1981. Philosophie als strenge Wissenschaft (1911), in Aufsätze und Vorträge (1911-1921), Nijhoff, Den Haag, 1987, pp. 3-62; trad. it. di C. Sinigaglia, a cura di G. Semerari, La filosofia come scienza rigorosa,, Laterza, Roma-Bari, 1994. Ideen zu einer Phänomenologie und phänomenologische Philosophie (1913; 1930), hrsg. von W. 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