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I negazionismi.

2006, In: Storia della Shoah. La crisi dell'Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo. vol. 3, p. 423-448

422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 422 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 423 Valentina Pisanty I negazionismi Nella prefazione a I sommersi e i salvati Primo Levi ricorda che i militi delle SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l’abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. […] E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti. C’è un legame di continuità tra le parole dell’SS riportate da Levi (che riflettono la politica di occultamento delle prove del genocidio perseguita dai nazisti) e le attività di un gruppo di presunti storici che da qualche tempo sostengono che la Shoah non sarebbe mai avvenuta e che le camere a gas naziste sarebbero un’invenzione della propaganda alleata, di matrice sionista, per estorcere alla Germania sconfitta ingenti riparazioni di guerra con le quali finanziare lo Stato di Israele. Spesso ci si riferisce a questi autori con l’etichetta di «revisionisti» (appellativo con cui essi stessi amano autodefinirsi), ma la storiografia scientifica preferisce chiamarli «negazionisti». Il motivo è semplice: mentre ogni storico che si rispetti è revisionista, nel senso che è disposto a rimettere costantemente in gioco le conoscenze acquisite qualora l’evidenza documentaria lo induca a rivedere le sue posizioni, il negazionista è colui che nega l’evidenza storica stessa. Prima di approfondire le tesi e i metodi di lavoro dei negazionisti, sarà utile soffermarsi brevemente su queste distinzioni. In figura: manifestazione razzista a Londra nel 1980. Fotografia di Chris Steele-Perkins, Magnum Photos. 422-465 27-02-2007 424 11:00 Pagina 424 Storia della Shoah Revisionismo, riduzionismo e negazionismo Se il progresso scientifico consiste nell’avvicendarsi di paradigmi, allora ogni sostenitore di un paradigma nuovo è un revisionista: Copernico è revisionista rispetto al sistema tolemaico, i sostenitori dell’innocenza di Dreyfus erano revisionisti rispetto a coloro che emisero il verdetto di colpevolezza nel 1894, e così via. Ma, nell’ambito degli studi sulla Seconda guerra mondiale, è possibile individuare una forma più specifica di «revisionismo» che taluni propongono di chiamare «riduzionismo» perché vuole ottenere lo scopo di ridimensionare la portata della Shoah e dei crimini nazisti. L’esponente più conosciuto di questo indirizzo storiografico è probabilmente Ernst Nolte, lo storico della cultura tedesco, allievo di Heidegger, che in varie occasioni1 ha sostenuto che la distruzione degli ebrei fu la risposta di Hitler alle atrocità bolsceviche, e che la macchina di sterminio messa in moto dai nazisti non fu poi tanto diversa da altri episodi che hanno insanguinato la storia contemporanea, tra cui in primo luogo i gulag sovietici, che egli equipara ai lager nazisti. Ne deriva la tesi secondo cui il nazismo fu una reazione di difesa rispetto alla minaccia bolscevica, identificata da Hitler e dai vertici nazisti con la «piaga giudaica»2. Non voglio entrare qui nel merito della controversia storica, per discutere se sia o meno ragionevole ipotizzare che vi fosse un «nocciolo razionale» nell’equazione tra bolscevichi ed ebrei posta dai nazisti, come sostiene Nolte. Mi interessa invece sottolineare l’ambiguità di fondo di questo procedimento, che è un po’ come se si raccontasse la favola del Lupo e l’agnello dal punto di vista del lupo, senza però inserire una nota di distanziamento, o di ironia, che faccia capire al lettore se l’autore pensi davvero che l’agnello avesse sporcato l’acqua del lupo. Il metodo fenomenologico che Nolte impiega nella sua scrittura dà adito a simili critiche: in nome di una pretesa avalutatività, egli assume la prospettiva dell’ideologia nazista che sta descrivendo, adottandone le rappresentazioni autolegittimanti e incoraggiando il lettore a identificarsi con esse. Ne deriva che il lettore non è messo nelle condizioni di capire se le ricostruzioni di Nolte riflettano il punto di vista dell’autore (e dunque se siano sancite dalla sua autorevolezza scientifica), o se vadano attribuite esclusivamente ai «focalizzatori» (a coloro attraverso il cui punto di vista è filtrata la vicenda). Mentre in un racconto di finzione questa può essere una tecnica stimolante, da un saggio storico ci si aspetta che l’autore si assuma le responsabilità di ciò che afferma in modo ben più esplicito. Queste sono alcune delle ragioni per cui si può avere molto da eccepire sul riduzionismo di Nolte, sul suo stile reticente e allusivo, sul punto di vista che 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 425 I negazionismi 425 egli sceglie di adottare rispetto agli eventi della Seconda guerra mondiale e sulle sue possibili intenzioni recondite – intenzioni emerse più esplicitamente nel discorso, presentato al Senato italiano il 6 maggio 2003, sulla Filosofia europea e il futuro dell’Europa in cui, alla tradizionale equiparazione tra Russia bolscevica e Germania nazista, Nolte aggiungeva come terzo termine dell’equazione lo «Stato Sionista di Israele», definito come «l’opera di colonizzazione europea nel cuore dell’Islam». È legittimo sospettare che i riduzionisti siano mossi da intenti ideologici inconfessati, come il tentativo di attenuare le colpe del nazismo in vista di una sua parziale riabilitazione, secondo la logica del «se tutti sono colpevoli, allora nessuno è colpevole». E tuttavia, mentre il riduzionista argomenta la propria tesi eretica a partire da una base storiografica accettata (l’avvenuto sterminio degli ebrei), il negazionista rifiuta questa base. Per il negazionista, l’inesistenza delle camere a gas è un dato posto come inconfutabile, a partire dal quale riscrivere radicalmente la storia della Seconda guerra mondiale, rifiutando aprioristicamente qualunque documento o testimonianza che attesti l’esistenza dello sterminio. I precursori: Bardèche e Rassinier Fin dal periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda guerra mondiale vi furono voci isolate che si levarono per denunciare le presunte distorsioni alle quali la storiografia dei vincitori aveva sottoposto la storia della guerra, e in particolare quella dei lager di sterminio nazisti. Ad esempio, Maurice Bardèche – cognato di Robert Brasillach, collaborazionista fucilato nel 1945, egli stesso internato per qualche mese tra il 1944 e il 1945 – è un autore dichiaratamente fascista che già nel 1948 pubblica Nuremberg ou la terre promise. In questo testo, Bardèche asserisce che la responsabilità del conflitto non va accollata ai tedeschi, i quali non avrebbero commesso quelle atrocità di cui comunemente li si accusa, bensì agli Alleati e agli ebrei stessi. I campi di sterminio sono per lui un espediente ideato dalla propaganda alleata per distrarre l’attenzione dai crimini commessi dai vincitori della guerra (bombardamento di Dresda, Hiroshima e Nagasaki), e il materiale documentario sui lager sarebbe truccato. I decessi nei campi vengono attribuiti per lo più alle cattive condizioni igieniche e alimentari mentre, se di aguzzini si può parlare, questi sarebbero stati quei prigionieri ai quali era stato assegnato un qualche potere sugli altri (i Kapò). Bardèche è tra i primi a mettere in dubbio l’esistenza dei campi di sterminio, sebbene la sua posizione in proposito sia, nel 1948, ancora piuttosto ambigua e contraddittoria. In alcuni passi del suo libro am- 422-465 27-02-2007 426 11:00 Pagina 426 Storia della Shoah mette che vi sia stata una volontà di sterminio degli ebrei. Altrove, nello stesso volume, sembra invece suggerire che una simile volontà non vi fosse, per lo meno a livello delle alte gerarchie naziste, e che l’originario progetto hitleriano fosse di raggruppare gli ebrei europei in una «riserva» situata nell’Europa orientale. Nonostante venga denunciato e condannato a un anno di prigione (di cui sconterà solo qualche giorno), Bardèche torna all’attacco nel 1950 con Nuremberg II ou le faux monnayeurs, in cui riprende le tesi del primo libro, rafforzandole con alcune «testimonianze» e cercando di assumere un tono oggettivo e pacato. Ora Bardèche può contare sull’appoggio di un testimone di prima mano che conferisce alla sua tesi una maggiore autorevolezza. Nel 1948 Paul Rassinier, anziano deportato politico a Dora e a Buchenwald, pubblica il suo Passage de la ligne che, primo di una serie di libri analoghi3, parte dalla sua esperienza nei campi di concentramento (ma non di sterminio) per denunciare la «menzogna storica» che costituisce ai suoi occhi l’evocazione della Shoah. In origine uomo di sinistra dichiaratamente pacifista, Rassinier fornisce una facciata rispettabile a quei teorici dell’estrema destra che, mossi da un forte antisemitismo mascherato da antisionismo, dedicano la propria esistenza al tentativo di dimostrare l’inesistenza della Shoah e a delegittimare di riflesso lo Stato di Israele. Tuttavia, non è sempre possibile separare chiaramente i due estremismi politici (destra e sinistra) i quali finiscono talvolta per essere accomunati dalle medesime finalità ideologiche. La storia editoriale di Rassinier è sintomatica a questo proposito. Dal 1962 i suoi libri vengono pubblicati dalla casa editrice neofascista Les Sept Couleurs, diretta per l’appunto da Bardèche, con la scusa che nessun editore di sinistra avrebbe rese pubbliche le sue tesi eretiche. Ma negli anni Settanta Rassinier viene ripubblicato dalla casa editrice (ex libreria) di estrema sinistra La Vieille Taupe, diretta da Pierre Guillaume, la quale giocherà un ruolo rilevante nella diffusione del negazionismo in Europa4. Anche nel caso di Rassinier, la negazione dell’esistenza delle camere a gas avviene per gradi. Nel suo primo libro (1948) egli è mosso soprattutto da uno spiccato anticomunismo e individua nel regime staliniano, e nel comunismo in genere, il maggiore responsabile dello scoppio e degli esiti disastrosi della Seconda guerra mondiale. Sottolineando l’interesse politico dei comunisti a esagerare le colpe dei nazisti per distogliere l’attenzione internazionale dai numerosi crimini sovietici, Rassinier compie il primo passo verso un «ridimensionamento» dello sterminio ebraico. Nel 1950 scrive: «la mia opinione sulle camere a gas? Ce ne sono state. Non tante quanto si crede». Successivamente si avventura in una serie di calcoli pseudodemografici per sostenere che il nu- 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 427 I negazionismi 427 mero di ebrei morti durante la guerra non supererebbe il milione, e sarebbe perlopiù dovuto ai bombardamenti alleati sui campi di internamento nazisti, agli stenti e alle epidemie di tifo, nonché alle crudeltà commesse dai Kapò. Man mano che procede nella sua opera di riscrittura della storia, la sua posizione si fa più estremista. Da un certo punto in avanti, Rassinier comincia a essere ossessionato dall’idea di un complotto giudaico e a parlare del genocidio come della «più tragica e più macabra impostura di tutti i tempi». Nel 1964 pubblica, presso Les Sept Couleurs, Le drame des juifs européens, libro dal titolo ingannevole in quanto, secondo l’autore, il vero dramma non è la morte di milioni di ebrei, bensì il fatto che gli ebrei stessi abbiano voluto farci credere alla Shoah. Non sorprende dunque che in Les responsables de la seconde guerre mondiale (1967) Rassinier si scagli contro gli ebrei in quanto responsabili occulti dell’esplosione del conflitto. Rassinier muore quello stesso anno, privando il mondo accademico della stesura completa della sua Histoire de l’État d’Israel 5. L’opera di Rassinier viene accolta calorosamente da alcuni gruppi di estremismo politico. È grazie all’incontro con le sue idee, ad esempio, che Guillaume e gli altri redattori de La Vieille Taupe si convertono dall’iniziale revisionismo al negazionismo vero e proprio. Il cambiamento di rotta avviene verso la fine degli anni Settanta, in concomitanza con alcuni episodi che, tutti insieme, contribuiscono a rendere il negazionismo un fenomeno sociale dalla portata ben più ampia di quanta non ne avesse in precedenza. Nel novembre 1978 esce sull’«Express» un’intervista all’ex vichyista Louis Darquier (de Pellepoix), il quale sostiene che «ad Auschwitz sono state gassate solo le pulci». Pochi giorni dopo scoppia il «caso Faurisson». Con Faurisson assistiamo alla fusione del filone francese del negazionismo (Bardèche, Rassinier) con quello statunitense di Butz, Barnes, Hoggan, App e Carto. I negazionisti americani 6 Questi ultimi – insieme a una serie di epigoni e di autori minori, provenienti per lo più da ambienti neonazisti americani e, meno frequentemente, britannici – forniscono il ponte di collegamento tra la prima fase francese del negazionismo e il ritorno nella patria d’origine di questo fenomeno, con Faurisson. Già nel 1948 Francis Parker Yockey sosteneva nel suo Imperium (dedicato a Hitler) che il genocidio fosse una menzogna inventata dagli ebrei allo scopo di provocare una guerra totale contro la civilizzazione occidentale. Viene qui riproposto l’antico mito della cospirazione giudaica mondiale, com- 422-465 27-02-2007 428 11:00 Pagina 428 Storia della Shoah piuta attraverso la falsificazione dei documenti (compreso tutto il materiale fotografico relativo al genocidio). Simili rigurgiti del più rozzo antisemitismo, nei quali riecheggiano i toni apocalittici dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, si fondono con le tradizionali argomentazioni dei primi negazionisti francesi nell’opera di Harry Elmer Barnes e di David Hoggan. Il primo, revisionista recidivo (negli anni Venti aveva tentato di invertire le responsabilità della prima guerra mondiale, scagionando i tedeschi), nel 1947 pubblica un pamphlet dal titolo The Struggle against the Historical Blackout, in cui sostiene che è in atto una censura ai danni di chiunque voglia rimettere in discussione la questione delle responsabilità dei tedeschi per quanto riguarda la Seconda guerra mondiale. Nel 1962 esce Blasting the Historical Blackout, in cui Barnes mette in dubbio la verità di alcuni dei crimini di guerra nazisti. Infine Revisionism: A Key to Peace (1966) è un’opera schiettamente negazionista che avvicina Barnes alle idee divulgate da Rassinier. Hoggan raccoglie l’eredità di Barnes, morto nel 1967, e comincia ad affiancare le tesi astratte dei primi negazionisti con una lettura dettagliata delle fonti storiche. Ad esempio, in The Myth of the Six Million (1969) Hoggan rifiuta le testimonianze di Rudolf Höss (comandante ad Auschwitz) e di Kurt Gerstein (SS esperto di camere a gas) in quanto ritenute estorte dagli inquisitori di Norimberga e quindi inquinate dalla propaganda alleata. Viene così inaugurato negli Stati Uniti un filone di esegesi alternativa delle testimonianze della Shoah, attraverso l’applicazione di un metodo ermeneutico del tutto particolare di cui si parlerà in seguito. Secondo Hoggan, Hitler non avrebbe mai voluto la guerra, mentre i veri responsabili della conflagrazione del conflitto mondiale sarebbero stati i britannici e i polacchi. Per quanto riguarda la Shoah, Hoggan afferma che il regime nazista non assunse un atteggiamento discriminatorio nei confronti della popolazione ebraica del Reich fino al 1938, mentre ciò che accadde dopo fu il risultato dell’antisemitismo polacco. Il testo di Hoggan viene pubblicato dalla Noontide Press, una casa editrice di estrema destra che nasce dalla costola del Liberty Lobby fondato dal noto razzista Willis A. Carto (membro del Ku Klux Klan). Un altro negazionista statunitense della prima generazione è Austin J. App, che, già verso la fine degli anni Cinquanta, è un acceso sostenitore della tesi secondo la quale lo sterminio ebraico non sarebbe che una enorme menzogna perpetrata dagli ambienti sionisti, bolscevichi e talmudisti ai danni della Germania sconfitta. Fin dal 1942 App bombarda riviste e giornali con lettere dall’evidente contenuto razzista e antisemita. La scarsa sottigliezza delle sue argomentazioni lo renderebbe un personaggio di scarso rilievo perfino nella sto- 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 429 I negazionismi 429 ria del negazionismo, se non fosse che egli è l’autore dei cosiddetti «otto assiomi del negazionismo» (formulati nel 1973) che fungeranno da princìpi-guida di quell’Institute for Historical Review che negli anni Ottanta coordinerà le attività di tutti i principali negazionisti. Gli assiomi sono: 1) la «Soluzione finale» consisteva nell’emigrazione e non nello sterminio; 2) non ci furono gassazioni; 3) la maggior parte degli ebrei scomparsi emigrarono in America e in Unione Sovietica facendo perdere le loro tracce; 4) i pochi ebrei giustiziati dai nazisti erano dei criminali sovversivi; 5) la comunità ebraica mondiale perseguita chiunque voglia svolgere un lavoro di ricerca storica onesta attorno alla Seconda guerra mondiale per timore che emerga la verità dei fatti; 6) non vi sono prove del genocidio; 7) l’onere della prova sta dalla parte degli «sterminazionisti»; 8) le contraddizioni presenti nei calcoli demografici della storiografia ufficiale dimostrano con certezza il carattere menzognero della tesi sostenuta. In Inghilterra esce nel 1974 un pamphlet di ventotto pagine dal titolo Did Six Million Really Die? in cui l’autore, Richard Harwood (pseudonimo di Richard Verrall, esponente dell’estrema destra inglese), riprende il libro di Hoggan per resuscitare l’antico tema del complotto giudaico, sostenendo che gli ebrei avrebbero dichiarato guerra a Hitler nel 1939 e che lo sterminio programmato non avrebbe mai avuto luogo. Nel 1978 Verrall si riallaccia al discorso di Hoggan e descrive Norimberga come un processo truccato, sotto il controllo occulto della cospirazione giudaica mondiale. Lo stesso tipo di accusa si ritrova nell’articolo di Michael McLaughlin (For Those Who Cannot Speak, 1979). Nel 1977 Arthur Butz, professore di ingegneria elettronica alla Northwestern University di Evanston, Illinois, pubblica The Hoax of the Twentieth Century (Noontide Press). Benché le tesi sostenute da Butz non siano distanti da quelle degli altri negazionisti (le camere a gas sarebbero «invenzioni della propaganda di guerra», la Shoah non sarebbe mai avvenuta, eccetera), ciò che contraddistingue il testo di Butz è il tentativo di conferire una patina di rispettabilità scientifica a tali tesi comuni. A questo scopo egli prende in prestito l’apparato retorico tipico delle pubblicazioni accademiche, con tanto di bibliografia, indice analitico, fotografie, note a piè di pagina, riferimenti alle fonti, eccetera. Scimmiottando il procedimento filologico rigoroso della storiografia scientifica, Butz smussa i toni accesi della propaganda antisemita e sostituisce le accuse dirette con insinuazioni. Ma l’essenza delle argomentazioni rimane invariata. Secondo Butz, l’«impostura del XX secolo» sarebbe il frutto di una colossale opera di falsificazione storica da parte del «Sionismo Internazionale» in combutta con i comunisti sovietici, il War Refugee Board e l’Of- 422-465 27-02-2007 430 11:00 Pagina 430 Storia della Shoah fice for Strategic Services americani, la Croce Rossa Internazionale e i media mondiali. Tutti i documenti e le testimonianze che attestano l’avvenuto sterminio sarebbero stati fabbricati a tavolino dagli agenti sionisti/alleati/comunisti, ovvero estorti con la tortura durante i grandi processi del dopoguerra. Come si evince da questa veloce panoramica, negli Stati Uniti (e in Gran Bretagna) il negazionismo nasce e si sviluppa come un fenomeno di estrema destra che attinge ai classici stereotipi antisemiti e che mira esclusivamente a relativizzare i crimini nazisti per riabilitare la Germania di Hitler. Di per sé si tratta dunque di un movimento marginale che rientra a pieno titolo nel filone dell’antisemitismo tradizionale e interessa solo chi già condivide un’ideologia di stampo nazista. Il negazionismo acquisterà un pubblico più vasto solo quando, sviluppando la strategia «oggettivante» inaugurata da Butz, perderà le tracce più evidenti della sua eredità razzista per mascherarsi da paradigma storiografico obiettivo e scientifico. In questo processo di ripulitura dell’immagine del negazionismo giocherà un ruolo centrale Robert Faurisson. Il «caso Faurisson» Fin dall’inizio della sua carriera come critico letterario e professore di letteratura francese all’università di Lione 2, Faurisson dimostra una spiccata propensione per l’interpretazione sospettosa dei testi, autoassegnandosi il ruolo di demistificatore dei luoghi comuni della storia letteraria. I titoli delle sue prime pubblicazioni attestano la sua precoce vocazione per il revisionismo: A-t-on lu Rimbaud? (1961); A-t-on lu Lautréamont? (1972); À quand la libération de Céline? (1973); Le Journal d’Anne Frank est-il authentique? (1975); La Clé de Chimères et Autres Chimères de Nerval (1977). In ognuno di questi scritti Faurisson si pone come colui che infrange le idee ricevute, i pregiudizi supinamente accettati e il conformismo della comunità degli interpreti, ingannati dai mistificatori e dai falsari di vario genere. Mentre tutto ciò che ha a che fare con la tradizione e con l’ortodossia critica viene connotato negativamente per essere poi scartato, in questa visione fortemente polemica dell’attività dell’interprete i concetti di buonsenso, di demistificazione e di detection ricevono una valenza positiva. All’interno del sistema di valori attivato da Faurisson l’interprete-eretico (cioè Faurisson stesso) viene investito della missione di strappare i veli a una realtà tenuta celata per troppo tempo in passato. Implicita in queste pagine è la strisciante accusa che la mistificazione di volta in volta denunciata non sia casuale, ma che sia il frutto di una consapevole falsificazione. I testi di Faurisson sono infarciti di espressioni relative all’inganno, al segreto, alla truffa, al- 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 431 I negazionismi 431 la contraffazione e agli abbagli collettivi. L’aspetto per noi interessante è che la predisposizione a snidare congiure di vario tipo è già presente nei primi testi critici di Faurisson, quasi che l’inclinazione al negazionismo fosse già virtualmente contenuta nei suoi scritti su Rimbaud e su Lautréamont. Verso la metà degli anni Settanta l’affannosa ricerca di verità tenute nascoste subisce una svolta decisiva nella direzione della riscrittura della storia della Seconda guerra mondiale, anche grazie all’incontro con l’opera di alcuni negazionisti americani, tra cui Arthur Butz. Ma prima di passare alla vera e propria negazione della Shoah, Faurisson attraversa una breve stagione critica intermedia durante la quale, nel tentativo di dimostrare l’inautenticità dei diari di Anne Frank, egli ha modo di applicare le sue doti di demistificatore a un argomento che si avvicina a quelli che saranno i suoi interessi successivi. Forse perché per molti lettori i diari di Anne Frank rappresentano il primo contatto con la storia del genocidio, i negazionisti si sono sempre sforzati di dimostrarne l’inautenticità, giocando sul fatto che i testi originali hanno subito diversi tagli e interventi in fase di edizione. Da un punto di vista strettamente storiografico, nessuno ha mai pensato di considerare questi diari come un documento che dimostri l’esistenza dei campi di sterminio o delle camere a gas, e ciò per il semplice motivo che, come è noto, Anne Frank redasse i suoi diari durante gli anni della sua reclusione in Prinsengracht 263. Sorprende, dunque, la veemenza con cui i negazionisti si sono da sempre accaniti contro questo resoconto della vita quotidiana e dei pensieri di un’adolescente che dovette conoscere la realtà dei lager nazisti solo dopo avere cessato di scrivere i suoi diari. Evidentemente ciò che spinge Faurisson, Butz, Irving e tanti altri ad attaccare questo testo va cercato piuttosto nell’impatto emotivo che esso ha sempre avuto sui lettori di tutto il mondo. Attraverso l’insinuazione del dubbio circa l’autenticità di questo documento-simbolo, i negazionisti sperano di estendere l’atteggiamento diffidente a ogni altro aspetto della Seconda guerra mondiale, camere a gas comprese. Nel 1975 Faurisson riprende e sviluppa le obiezioni avanzate da altri negazionisti per screditare i diari di Anne Frank7. L’ipotesi sostenuta dai negazionisti è che i diari siano stati fabbricati a tavolino dopo la fine della guerra dal padre di Anne, Otto Frank, insieme allo sceneggiatore newyorkese Meyer Levin (che nel 1952 aveva scritto un copione teatrale tratto dai diari). Si tratta di un’ipotesi facilmente confutabile, e di fatto confutata in modo definitivo nel 1980, quando un’approfondita indagine scientifica compiuta dall’Istituto di stato olandese sui manoscritti originali conferma che l’autrice dei diari è per l’appunto Anne Frank. Ciò non impedisce a molti negazionisti di continuare a diffondere la tesi dell’inautenticità dei diari. 422-465 27-02-2007 432 11:00 Pagina 432 Storia della Shoah Le Journal d’Anne Frank est-il authentique? offre una raccolta di argomentazioni confuse e contraddittorie in cui non è chiaro se l’obiettivo di Faurisson sia dimostrare che i diari sono contraffatti (ovvero non autentici, scritti nel dopoguerra da qualcuno che non è Anne Frank) ovvero menzogneri nei contenuti. Faurisson dichiara di voler dimostrare che i diari di Anne Frank sono «una soperchieria», dunque una contraffazione, e tuttavia afferma che «la consultazione dei manoscritti pretesamene autentici è superflua»8. Tra il 1974 e il 1978 Faurisson inonda le redazioni dei giornali con lettere provocatorie in cui mette in dubbio l’autenticità dei diari di Anne Frank, nonché di varie testimonianze della Shoah, chiedendo che venga aperto un dibattito sulla cosiddetta «diceria di Auschwitz». Inizialmente non riceve l’attenzione desiderata, ma nel 1978, quattro giorni dopo la pubblicazione dell’intervista a Darquier sull’«Express», esce su «Le Matin» un estratto di una lettera di Faurisson. Nel dicembre dello stesso anno «Le Monde» pubblica altre due lettere di Faurisson. Il testo integrale della seconda lettera circola già dal giugno dello stesso anno sulle pagine della rivista di Bardèche, «Défense de l’Occident», con il titolo Il “problema delle camere a gas” o “la diceria di Auschwitz”, e rivela una presa di posizione inequivocabilmente negazionista. Scoppia in Francia il «caso Faurisson». In seguito allo scandalo, il presidente dell’università di Lione 2 sospende Faurisson dal suo incarico di docente. Faurisson non demorde e il 16 gennaio 1979 pubblica un’altra lettera su «Le Monde», nella quale parla della sua conversione al «revisionismo» e si lamenta delle persecuzioni che ritiene di avere subito. Come vedremo, il vittimismo è una costante della retorica negazionista, e induce a considerazioni ponderate su quali siano le strategie più efficaci per contrastare questo fenomeno. Il 15 febbraio 1979 Faurisson riceve un ordine di comparizione: è accusato di avere «volontariamente mutilato alcune testimonianze, come quella di J.P. Kremer» (medico ad Auschwitz). Il 21 febbraio trentaquattro storici firmano un documento in cui Faurisson è accusato di «oltraggiare la verità»9. Il 29 marzo Faurisson risponde alle accuse con un articolo intitolato Per un vero dibattito sulle «camere a gas», pubblicato da «Le Monde». Atteggiandosi a vittima dell’ortodossia storica, Faurisson ottiene il supporto di diversi intellettuali di sinistra i quali, ribadendo con veemenza il famoso detto apocrifo di Voltaire «odio quel che dici, ma morirei per garantirti il diritto di dirlo», combattono strenuamente per la libertà di parola di chiunque abbia da proporre una tesi eterodossa, Faurisson compreso. Tra i suoi difensori spicca il nome di Noam Chomsky, il quale nel 1980 scrive un breve saggio – Some Elementary Comments on the Rights of Freedom of Expression – in cui, pur premettendo di non conoscere e di non voler entrare nel merito del- 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 433 I negazionismi 433 le tesi sostenute da Faurisson, polemizza con gli storici francesi che si oppongono al suo diritto di esprimerle. Il testo di Chomsky verrà usato (senza il consenso dell’autore) come prefazione di uno dei libri di Faurisson, Mémoire en défense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoire (1980), a cura di Serge Thion. Inutile aggiungere che i negazionisti si sono avvalsi di questo scritto come di una patente per legittimare le proprie tesi. L’Institute for Historical Review Nell’estate del 1979 si tiene, presso un istituto tecnico dalle parti dell’aeroporto di Los Angeles, il primo convegno di «studi revisionisti», nel corso del quale Faurisson viene accolto come un eroe. Tra gli altri partecipanti figurano Austin App, Arthur Butz, John Bennett (negazionista australiano, filopalestinese e antisionista), Richard Verrall e Udo Walendy (il quale si occupa della presunta falsificazione del materiale fotografico da parte degli Alleati). A patrocinare il convegno è l’Institute for Historical Review (IHR), un istituto pseudo-accademico basato a Torrance, California, che annovera tra i propri membri un assortimento di neonazisti, razzisti, antisemiti e negazionisti vari. Il fondatore dell’IHR è Willis A. Carto, già fondatore e tesoriere della Liberty Lobby, il quale considera gli ebrei come «nemico pubblico n. 1» e depreca l’«inevitabile negrificazione dell’America». Oltre a organizzare convegni revisionisti l’IHR pubblica una rivista («The Journal of Historical Review») e si occupa della vendita e distribuzione di videocassette e di libri di argomenti inequivocabilmente antisionisti e antisemiti (nel catalogo generale appaiono anche i Protocolli dei Savi Anziani di Sion). Nel 1981 l’allora direttore dell’IHR William Mc Calden (sotto lo pseudonimo di Lewis Brandon) annuncia che l’Istituto è disposto a pagare 50.000 dollari a chiunque sia in grado di dimostrare l’esistenza delle camere a gas naziste. Chiaramente si tratta di una trovata pubblicitaria, basata sull’espediente per cui, se le uniche testimonianze irrefutabili sono quelle dirette, è improbabile che chi abbia avuto l’esperienza diretta delle camere a gas possa essere vivo per raccontarla. Mel Mermelstein, ex detenuto di Auschwitz la cui famiglia è stata sterminata dai nazisti, manda un plico di documenti che la commissione dell’IHR (composta da Faurisson, Butz, Felderer e altri collaboratori del «Journal of Historical Review») prevedibilmente rifiuta come non validi. Mermelstein fa ricorso legale, il caso rimbalza sui media, e nel 1985 la Corte Suprema di Los Angeles dà ragione a Mermelstein, ordinando all’IHR di pagargli 90.000 dollari. 422-465 27-02-2007 434 11:00 Pagina 434 Storia della Shoah Per qualche anno l’IHR diventa il principale polo di attrazione per diversi negazionisti sparsi per il mondo, e ciò si ripercuote sulle strategie argomentative adottate nei loro testi. Laddove i primi negazionisti operavano in isolamento, con il risultato che i diversi scritti su questo argomento erano spesso in contraddizione reciproca, ora i vari contributi vengono coordinati dall’alto per conferire a essi una coerenza che prima non possedevano. Gli assiomi di App sopra citati forniscono una serie di risposte-standard con cui i negazionisti rispondono alle obiezioni più ovvie che si possono loro rivolgere. Ad esempio: ma se il genocidio non è mai avvenuto, allora che fine hanno fatto gli ebrei scomparsi? La risposta dei negazionisti è: la maggior parte degli ebrei scomparsi ha approfittato del caos del dopoguerra per rifarsi una vita altrove. Come spiegare il significato dell’espressione in codice «azione speciale» che ricorre nei documenti nazisti? Risposta: le azioni speciali non erano altro che selezioni per separare i detenuti infetti da quelli sani nei lager, per impedire lo spargimento delle epidemie di tifo. E il materiale fotografico? Anche le fotografie sono frutto di un abile lavoro di contraffazione a opera degli esperti dei media (che notoriamente sono tutti ebrei). Addirittura, i negazionisti sostengono che le fotografie che raffigurano le montagne di cadaveri dei lager sarebbero state scattate a Dresda dopo i bombardamenti alleati, e che in effetti i corpi apparterrebbero ai cittadini tedeschi. Attraverso la ripetizione martellante delle tesi negazioniste, l’obiettivo è di creare l’impressione che la «questione delle camere a gas» sia oggetto di un serrato dibattito scientifico, contando sul fatto che per la mentalità comune «non c’è fumo senza arrosto». All’inizio degli anni Novanta all’interno dell’IHR avviene una scissione, il cui esito più evidente è l’estromissione di Willis A. Carto dalle fila del movimento nel settembre 1993. Nell’ottobre dello stesso anno, Carto tenta di riprendere fisicamente possesso dell’edificio dell’IHR, ma viene trascinato via urlante dalle forze dell’ordine. Il caso è successivamente trasferito nelle aule dei tribunali. I motivi dell’ammutinamento sono essenzialmente di due tipi. Da un lato, Carto viene accusato dai suoi ex collaboratori di avere preso decisioni economicamente avventate, ad esempio riguardo all’affare Mermelstein. Dall’altro, il conflitto riguarda le diverse posizioni circa l’immagine che l’Istituto desidera proiettare di sé all’opinione pubblica. Come si è detto Carto è un razzista dichiarato, un uomo di estrema destra che fa della propria intolleranza un vanto; per lui il negazionismo non è che uno dei tanti aspetti della sua base ideologica, e infatti subito prima di venire allontanato dal gruppo tenta di modificare la linea editoriale del «Journal of Historical Review», ridimen- 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 435 I negazionismi 435 sionando lo spazio dedicato alla negazione della Shoah in favore di altri argomenti dal sapore inequivocabilmente razzista. Al contrario, gli altri membri della redazione (Thomas Marcellus, Mark Weber, Ted O’ Keefe e Greg Raven) sono maggiormente consapevoli della necessità di ripulire l’immagine dell’Istituto dal proprio passato neonazista per conferirgli una patina di rispettabilità scientifica. Questa volontà si riflette, ad esempio, nel diverso formato della rivista che, dal 1993 in poi, comincia ad affiancare ai tradizionali scritti negazionisti anche altri saggi storici di argomento diverso (dalle origini del cristianesimo ad Alessandro Magno, dal Sudafrica alla questione palestinese), i quali dovrebbero dare un’impressione di maggiore rigore e obiettività storica. I processi di Zündel e Irving A rendere più visibile il negazionismo negli ultimi decenni hanno contribuito le vicende legali, riprese e amplificate dai media, di Ernst Zündel (neonazista di Toronto) e di David Irving. Dopo avere pubblicato per più di vent’anni scritti dal sapore apertamente antisemita e filonazista sotto lo pseudonimo di Christof Friederich (si veda The Hitler We Loved and Why), nel 1978 Zündel rivela la propria identità anagrafica durante un’intervista radiofonica. Ciò nonostante la sua attività propagandistica procede pressoché indisturbata fino al 1985, quando viene accusato di diffondere consapevolmente notizie false sullo sterminio ebraico e conseguentemente condannato a una pena detentiva di quindici mesi, nonché diffidato dal pubblicare materiale sull’argomento della Shoah per almeno tre anni. Nel 1987 la sentenza viene cancellata sulla base di errori procedurali e, nello stesso anno, viene avviato un secondo processo durante il quale intervengono, in difesa di Zündel, diversi negazionisti affiliati all’IHR (tra cui Robert Faurisson, Fred Leuchter, Bradley Smith e Ditlieb Felderer) e alcuni autori (come David Irving) che, pur non essendo (ancora) dichiaratamente negazionisti, dimostrano di avere qualche affinità con questo movimento. Questo dispiegamento di forze non salva Zündel da una seconda condanna detentiva, questa volta di nove mesi, di cui l’accusato sconta una settimana prima di essere rilasciato sotto cauzione di 10.000 dollari. Tuttavia nell’agosto 1992 la Corte Suprema canadese dichiara incostituzionale la legge che proibisce la diffusione di notizie false, prosciogliendo Zündel, il quale negli anni che seguono continuerà a diffondere materiali negazionisti e antisemiti dal proprio sito internet. Il caso ha avuto sviluppi più recenti. Nel 2003 Zündel viene arrestato negli Stati Uniti per violazione delle leggi sull’immigrazione (il suo visto è sca- 422-465 27-02-2007 436 11:00 Pagina 436 Storia della Shoah duto). Dopo avere inutilmente cercato di rientrare in Canada come rifugiato politico (le autorità canadesi gli rifiutano il permesso in ragione dei suoi accertati legami con gruppi razzisti e neonazisti), nel marzo del 2005 viene estradato nella natia Germania dove, in base alla legge contro l’istigazione all’odio razziale, viene arrestato e detenuto nel carcere di Mannheim. Uno degli effetti collaterali di questa vicenda giudiziaria, così come di altre analoghe (al momento in cui scrivo anche il tedesco Germar Rudolf e il belga Siegfrid Verbeke sono sotto processo in Germania e in Austria), è di alimentare la martirologia negazionista, fornendo spunti ai negazionisti desiderosi di atteggiarsi a vittime perseguitate dalla presunta storiografia ufficiale. Più complicato è il caso di David Irving, autore di libri sulla storia del Terzo Reich, il quale nel 1996 intenta una causa per diffamazione contro Deborah Lipstadt e il suo editore inglese, la Penguin Books, accusati di avere gettato discredito sulla sua (di Irving) reputazione accademica. Il testo contestato, che Irving chiede di ritirare dalla circolazione, è Denying the Holocaust (1993), un saggio dal piglio giornalistico in cui l’autrice ricostruisce le diverse correnti del negazionismo europeo e, soprattutto, nordamericano, evidenziandone le tesi, le strategie ricorrenti e i rapporti con alcune frange dell’estremismo politico. Nel libro della Lipstadt, Irving compare solo sporadicamente, ma viene descritto come un neofascista antisemita i cui testi denotano una scarsa onestà scientifica e, in alcuni passi, un’inclinazione al negazionismo. Rispetto ad altri autori apertamente negazionisti l’esatta posizione di Irving nel continuum che va dal riduzionismo al negazionismo è un po’ più incerta. Irving respinge l’appellativo di «negazionista», ma non è sempre chiaro se tale rifiuto sia dettato da una presa di distanze rispetto all’estremismo dei negatori della Shoah, oppure da una più generale insofferenza terminologica (come si è detto, i negazionisti preferiscono autodefinirsi revisionisti). Prima del 1987 Irving non è mai giunto a negare la realtà dello sterminio ebraico, ma semmai tende a scagionare Hitler dalle responsabilità del genocidio e a minimizzare la portata dello sterminio stesso. Ma dopo l’incontro con i principali negatori della Shoah (in occasione del processo Zündel) che lo accolgono a braccia aperte, invitandolo a partecipare ai convegni dell’IHR, Irving dà segni piuttosto eloquenti di conversione alle tesi negazioniste, ad esempio quando afferma che ogni superstite dei lager costituisce la dimostrazione che non vi fu mai un progetto nazista di sterminio programmato degli ebrei, o quando suggerisce che il «mito delle camere a gas» sia un’invenzione di matrice sionista. Spetta dunque alla difesa smontare l’accusa di diffamazione, dimostrando che il ritratto di Irving ricavabile dal libro della Lipstadt poggia su basi intersoggettivamente verificabili. Uno degli obiettivi del processo di Londra è di 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 437 I negazionismi 437 stabilire con precisione quali rapporti intercorrano tra Irving e i negazionisti, e se sia o meno legittimo definire Irving come un esponente (sia pure sui generis) di questo movimento. A questo scopo vengono interpellati vari esperti, tra cui lo storico di Cambridge Richard J. Evans, per fornire pareri indipendenti circa il profilo scientifico del presunto diffamato. Nel suo Telling Lies About Hitler (2002), Evans fornisce un resoconto dettagliato delle varie fasi della sua indagine, dispiegando l’armamentario di strategie interpretative e retoriche utilizzate da Irving nel corso delle sue ricostruzioni storiche, tutte rigorosamente svolte all’insegna della provocazione sensazionalistica e del tentativo di ribaltare le verità storiche generalmente accettate. Evans mostra come, fin dai suoi saggi sulla revisione del numero di vittime dei bombardamenti alleati di Dresda, sul ruolo (presentato come marginale) di Hitler nel contesto dell’antisemitismo nazista, sui diari di Anne Frank (tacciati di essere falsi), e sempre di più man mano che si avvicina alle posizioni dei negazionisti, Irving faccia un uso spregiudicato delle fonti, forzandone il senso per venire incontro alle tesi che egli intende dimostrare. Le strategie evidenziate da Evans sono molteplici: dalla selezione drastica dei documenti al «seppellimento» delle fonti dissonanti nelle note a piè di pagina; dalla decontestualizzazione di un brano citato in modo da fargli dire il contrario di ciò che esso dice realmente, alla traduzione imprecisa o errata di un documento allo scopo di smussare il significato dei termini che puntano a un’interpretazione diversa rispetto a quella caldeggiata; dall’omissione di alcune parole-chiave da una frase riportata alla sintesi in un unico testo di due o più citazioni, tratte da documenti diversi, in modo da travisarne il senso complessivo. Il processo di Londra si conclude con un verdetto di non colpevolezza per la Lipstadt e la Penguin (e con la richiesta a Irving di pagare le spese della difesa): il giudice decreta che le critiche a Irving avanzate dalla Lipstadt sono fondate, che nelle sue ricostruzioni storiche Irving «ha distorto e ha falsificato la presentazione delle prove in suo possesso» e che è un fatto «incontrovertibile» che «Irving si qualifica come un negatore dell’Olocausto». Come per Zündel, anche le vicende giudiziarie di Irving hanno avuto uno sviluppo più recente. Nel febbraio del 2006 egli viene arrestato in Austria – dove si trova per partecipare a un raduno di estrema destra – sulla base di un ordine di cattura del 1989 per discorsi che mettevano in dubbio l’esistenza della Shoah (Irving è accusato di apologia del nazismo). Sebbene nel corso del processo egli ritratti le tesi negazioniste (salvo rilasciare dichiarazioni successive che sembrano smentire la ritrattazione), Irving viene condannato a una pena detentiva di tre anni. 422-465 27-02-2007 438 11:00 Pagina 438 Storia della Shoah Il negazionismo tecnico Man mano che il negazionismo si ammanta di scientificità, l’attacco del paradigma storiografico accettato avviene su due fronti: da una parte il tentativo di smantellare la rete di testimonianze su cui si fonda la nostra conoscenza della Shoah; dall’altro l’arruolamento di presunti esperti – chimici e ingegneri – a cui è affidato il compito di dimostrare l’impossibilità materiale delle gassazioni. Quest’ultimo filone viene inaugurato da Fred Leuchter in occasione del secondo processo Zündel. Fred Leuchter è un presunto ingegnere (in realtà non è laureato in ingegneria) che vive a Boston ed è specializzato nella costruzione e nell’installazione di dispositivi per la pena di morte (sedie elettriche, camere a gas, dispositivi per l’iniezione letale e strutture per l’impiccagione). Nel 1988 Leuchter viene contattato da Irving e Faurisson che gli chiedono di testimoniare in favore di Zündel. Dopo due giorni di colloqui intensivi Leuchter è completamente convertito alla causa negazionista. La tesi che deve sostenere al processo è che è tecnicamente impossibile che i nazisti abbiano eseguito gassazioni di massa ad Auschwitz e in altri campi di sterminio. Avendo ricevuto da Zündel 35.000 dollari per le sue prestazioni, Leuchter viene mandato in missione ad Auschwitz e a Majdanek per raccogliere prove a sostegno della tesi negazionista, accompagnato dalla moglie (in luna di miele) e da una squadra di aiutanti, tra cui un cameraman. Munito di scalpello, Leuchter raccoglie illegalmente mattoni e campioni di materiali dalle rovine dei lager. Tornato a casa fa analizzare la composizione chimica dei campioni e stila il cosiddetto Leuchter Report, destinato a diventare un cavallo di battaglia dei negazionisti. Il compito di Leuchter è di dare un fondamento scientifico al vecchio slogan negazionista secondo cui «ad Auschwitz sono state gassate solo le pulci». È noto che nei lager lo Zyklon B (un potente pesticida) veniva impiegato per la disinfestazione dai parassiti, oltre che per l’uccisione di esseri umani. La presunta anomalia su cui è imperniata l’argomentazione di Leuchter è la seguente: mentre sui muri delle costruzioni in cui venivano effettuate le disinfestazioni rimangono visibili tracce blu di acido cianidrico (la sostanza tossica rilasciata dallo Zyklon B), nei resti delle strutture che oggi vengono indicate ai visitatori dei lager come le ex camere a gas tali tracce sono molto meno visibili. Le analisi chimiche riportate da Leuchter confermano che la concentrazione di acido cianidrico riscontrata nei campioni prelevati dai muri degli edifici adibiti alla gassazione è inferiore a quella riscontrata nei campioni prelevati dai locali deputati alla disinfestazione. Da ciò Leuchter balza alla conclusione che le strutture che oggi vengono presentate ai visitatori come ex 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 439 I negazionismi 439 camere a gas in realtà non avessero quella funzione, che lo Zyklon B sia stato impiegato dai nazisti esclusivamente come anti-parassitario e che le camere a gas omicide non siano mai esistite. La tesi di Leuchter viene confutata nel corso del processo Zündel e, più minuziosamente, in uno studio di Jean-Claude Pressac, ex negazionista riconvertito dopo avere compiuto un’accurata analisi dei documenti originali concernenti la gestione del lager di Auschwitz10. Ciò che Leuchter sembra ignorare è che gli insetti sono molto più resistenti degli esseri umani ai veleni dello Zyklon B. Di conseguenza, la concentrazione di Zyklon B necessaria per uccidere i parassiti è di gran lunga superiore a quella necessaria per uccidere le persone. Inoltre, mentre le gassazioni duravano all’incirca dieci minuti (dopo i quali le camere a gas venivano sgomberate, aerate e lavate), le disinfestazioni dai parassiti duravano diverse ore, dando molto più tempo allo Zyklon B di impregnare i muri dei locali. Alla luce di questi semplici dati, non è sorprendente che i campioni prelevati dai locali per la disinfestazione siano maggiormente intrisi di cianuri dei campioni prelevati dalle camere a gas11. Apparentemente imperturbati dalle smentite scientifiche, i negazionisti continuano a sbandierare il rapporto Leuchter come prova definitiva dell’inesistenza delle camere a gas. Alle pseudo-obiezioni proposte da Leuchter si aggiunge una batteria di ulteriori rilievi tecnici avanzati da altri negazionisti (tra cui Germar Rudolf ), desiderosi di gettare ombre sulla realtà delle camere a gas. Se messe alla prova, tutte le obiezioni tecniche dei negazionisti si dimostrano inconsistenti e pretestuose. Di fronte alle confutazioni scientifiche i negazionisti reagiscono in due modi diversi: i più rozzi si limitano ad aggrapparsi ostinatamente alle proprie credenze, ignorando gli argomenti contrari. I negazionisti più accorti, invece, introducono via via nuove obiezioni sempre più cavillose, sfruttando ogni possibile interstizio interpretativo per insinuare nuovi dubbi nella ricostruzione complessiva dei fatti. Ne consegue che, nel gioco delle parti incoraggiato da questi autori, i sostenitori della storiografia scientifica si trovano costretti a difendere la propria versione dei fatti la quale, essendo enunciata in positivo, offre necessariamente il fianco alle critiche (il metodo scientifico è per propria costitutiva vocazione aperto ai tentativi di falsificazione). Per rispondere esaustivamente a ciascuna delle micro-obiezioni dei negazionisti, gli storici si trovano costretti a ricostruire ogni dettaglio tecnico delle procedure di gassazione, dall’esatta quantità di Zyklon B utilizzata durante le esecuzioni alla capacità di incenerimento quotidiano dei cadaveri di ciascuno dei forni crematori di Auschwitz. I negazionisti, dal canto loro, concentrano tutti i propri sforzi sulla demolizione della tesi accettata, evitando di assumersi la responsabilità di dimostrare concretamente la tesi secondo cui la 422-465 27-02-2007 440 11:00 Pagina 440 Storia della Shoah Shoah sarebbe il prodotto di una colossale contraffazione storica. Per mettere in discussione l’esistenza del genocidio bisogna infatti immaginare che da decenni sia in atto un progetto coerente e concertato di falsificazione storica in cui tutti i testimoni sarebbero direttamente complici. I negazionisti, che spesso ventilano questa ipotesi, non arrivano mai a spiegare dettagliatamente come sia possibile una simile congiura e chi ne sia l’artefice supremo. Parallelamente ai tentativi di dimostrare l’impossibilità tecnica della Shoah, si sviluppa in campo negazionista una corrente di esegesi alternativa dei documenti e delle testimonianze che attestano l’avvenuto sterminio. L’idea che i negazionisti vogliono far passare è che tutti i testimoni, sia dalla parte delle vittime, sia da quella degli aguzzini, siano manipolati da una non meglio identificata lobby «sterminazionista». Ispirandosi ai metodi interpretativi di Hoggan, Butz e Faurisson, alcuni negazionisti (soprattutto europei) si specializzano nella lettura sospettosa delle testimonianze, lettura mirata a snidare errori veri o presunti da cui concludere che tali testimonianze sono interamente inattendibili e vanno perciò scartate. Tra i negazionisti più impegnati nello smantellamento della rete testimoniale ricordiamo Wilhelm Stäglich in Germania, Henri Roques in Francia, Carlo Mattogno in Italia, e numerosi altri. Utilizzando un stile retorico il più possibile asettico (fatta eccezione per le invettive lanciate contro gli avversari del negazionismo), questi autori si sforzano di apparire come ricercatori puri, ansiosi di ristabilire la Verità storica indipendentemente da qualsiasi agenda politica ulteriore. La strategia argomentativa da loro impiegata è la seguente. Si prende una testimonianza e per prima cosa la si isola dal suo contesto immediato. Lo storico onesto sa bene che la singola testimonianza costituisce una tessera di un mosaico più ampio che, complessivamente, ci informa di come si sono verosimilmente svolti gli eventi a cui ciascuna testimonianza si riferisce in modo necessariamente parziale e potenzialmente inesatto. In quanto prodotti della memoria umana, le testimonianze spesso contengono delle imprecisioni, ed è per questo che, dove possibile, esse vanno «triangolate» con altre fonti. Ma se, anziché far dialogare le varie voci tra loro, si isola il documento dalla rete probatoria in cui è inserito, lo si rende più vulnerabile agli attacchi che gli verranno successivamente sferrati. Dopodiché, il negazionista legge il documento «in contropelo», andando alla ricerca di tutte le increspature esegetiche, le minime inesattezze fattuali e le piccole contraddizioni di cui esso è portatore. Si enfatizza la portata delle anomalie riscontrate e, infine, ci si precipita a concludere che, se la testimonianza contiene un errore, nulla garantisce che non ne contenga innumerevoli altri (è il principio del «falsus in uno, falsus in omnibus»). Dunque – affermano i negazionisti – la testimonianza non costitui- 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 441 I negazionismi 441 sce una fonte di informazioni attendibili e per questo va scartata. In certi casi, essi giungono a sostenere (o a insinuare) che gli errori rilevati non siano casuali, ma che siano attribuibili a una precisa volontà di falsificazione da parte del testimone (o del suo presunto mandante). Un esempio: l’SS Kurt Gerstein, in virtù del suo ruolo di tecnico per la disinfestazione, visitò nel 1942 il lager di Treblinka. Durante la visita, assistette a una gassazione e, subito dopo la guerra, redasse un rapporto in cui descriveva con orrore ciò a cui aveva assistito. Nel rapporto, Gerstein parla anche delle montagne di vestiti, appartenenti alle vittime delle camere a gas, che ha visto a Treblinka, e aggiunge che queste montagne erano alte 35-40 metri. Evidentemente si tratta di un’esagerazione, in quanto una catasta di tali dimensioni sarebbe impensabile. Nel leggere il rapporto di Gerstein, lo storico onesto si limita a constatare l’esagerazione e a concludere che, forse in preda all’emozione, il testimone ha ceduto al meccanismo retorico dell’iperbole. Il negazionista, invece, sostiene che questo errore è un chiaro segno del fatto che il testimone ha mentito (dunque, non che si è semplicemente sbagliato, perché per il negazionista ogni errore equivale a una menzogna) e che la sua testimonianza gli è stata estorta dagli Alleati durante la sua prigionia. Alcuni negazionisti giungono perfino a sostenere che la testimonianza è il frutto di un plagio, nonostante siano state effettuate accurate perizie calligrafiche che hanno dimostrato senza ombra di dubbio che l’autore del documento è proprio Gerstein. Come si vede, vi è un’enorme sproporzione tra l’entità dell’inesattezza riscontrata e le conclusioni che i negazionisti ne traggono. Quando poi la testimonianza resiste a questo attacco frontale, essi inventano delle anomalie che essa non contiene. Ad esempio, nella versione tedesca del rapporto Gerstein (di cui esistono più stesure) l’autore dice che, a gassazione ultimata, le squadre speciali dovevano rovistare nelle bocche, negli ani e nei genitali dei cadaveri per cercare ori e brillanti (accadeva talvolta che le vittime, spogliate dei propri abiti, nascondessero qualche bene prezioso nei loro orifizi). In tedesco brillanti si dice Brillanten, ma nel testo di Gerstein c’è un refuso: ad un certo punto l’autore scrive Brillen (occhiali) invece di Brillanten. Cosa fa un negazionista come Mattogno? Invece di prendere atto del refuso (tanto più che due righe dopo la parola Brillanten viene ripetuta correttamente), ironizza: «Gli uomini dell’Arbeitskommando cercano occhiali nei genitali delle vittime!». Il lettore, che solitamente non è sufficientemente informato per rispondere a ciascuna di queste obiezioni locali, viene gettato in uno stato di disorientamento e di paralisi interpretativa. La prima fase dell’operazione negazionista, dunque, è la rottura del consenso, lo sgretolamento dell’accordo sociale su cui si basa la nostra ricezione collettiva della Shoah. Nella mente del letto- 422-465 27-02-2007 442 11:00 Pagina 442 Storia della Shoah re sprovveduto viene gettato il seme del dubbio circa la realtà dello sterminio. A questo punto, la situazione è matura per sferrare l’attacco finale: attraverso la tecnica dell’insinuazione, si fa intendere al lettore che le «sbavature» appena riscontrate nei documenti non siano casuali, ma facciano capo a una precisa volontà di manipolazione a opera di «certi ambienti del sionismo internazionale». La propaganda su Internet Negli ultimi anni, i negazionisti hanno cominciato a usare Internet come strumento di proselitismo. I principali siti negazionisti includono lo Zündelsite, il Committee for Open Debite on the Holocaust (che fa capo a Bradley Smith, per anni impegnato nella diffusione del negazionismo nei campus universitari americani), i siti di Greg Raven, di Fred Leuchter, di Radio Islam (gestito dallo svedese-marocchino Ahmed Rami, il cui obiettivo dichiarato è di «combattere il razzismo ebraico e l’ideologia sionista»), dell’Association des Anciens Amateurs de Récits de Guerre et d’Holocauste (Aaargh), dell’Adelaide Institute. Quest’ultimo tenta di smorzare i toni ideologicamente accesi di altri siti negazionisti per promuovere l’immagine di un centro di studi storici votato alla ricerca spassionata della Verità. Il canale informatico si rivela un’ottima soluzione contro la censura che, in alcuni paesi europei, colpisce gli scritti dei negazionisti. Come si sa, lo spazio informatico è aperto a tutti e, anche se si decidesse di rifiutare l’accesso alla rete a un sito ritenuto ideologicamente pernicioso, esistono innumerevoli modi per aggirare il divieto. Ad esempio, nel gennaio 1995 un provider tedesco decide di bloccare l’accesso al materiale proveniente dallo Zündelsite: a questo scopo viene oscurato il numero di IP (International Protocol) del sito – numero che peraltro è condiviso da altri 1500 siti, i quali vengono a loro volta bloccati. Nel giro di 24 ore, diversi utenti americani cominciano a scaricare il materiale censurato sul proprio computer, per poi rilanciarlo in rete (con la tecnica detta di mirroring): si tratta di un’operazione del tutto legale, in quanto è protetta dal primo emendamento della Costituzione. Per bloccare queste copie, il provider tedesco dovrebbe oscurare tutti i siti mirror, tra cui quelli di parecchie università. Invece decide (ragionevolmente) di desistere, e dopo appena una settimana lo Zündelsite è di nuovo in rete in Germania. Incidentalmente, si noti che solo un paio dei mirror condividono la politica di Zündel: tutti gli altri agiscono esclusivamente in nome del principio della libertà di espressione. 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 443 I negazionismi 443 L’estrema facilità con cui i negazionisti accedono all’autostrada informatica ha importanti conseguenze sulle strategie con cui i sostenitori della storiografia scientifica cercano di combattere il fenomeno della negazione della Shoah. Se con le vecchie tecnologie comunicative (carta stampata e video) era ancora possibile pensare di reprimere il movimento tramite la censura, con l’avvento e la diffusione di Internet questo obiettivo è divenuto impossibile da realizzare. Al di là del complesso dibattito sull’opportunità o meno di censurare i testi degli autori in questione, è innegabile che un simile proposito si rivela oramai anacronistico, e al divieto di pubblicazione devono subentrare altre strategie più articolate. È da queste premesse che muove il progetto Nizkor (in ebraico «noi ricorderemo»), che dal 1992 si è assunto il compito di smascherare gli obiettivi dei negazionisti attraverso un meticoloso monitoraggio dei loro siti, in base al motto per cui «il modo per combattere idee perniciose è attraverso altre idee». Negazionismo e separatismo afro americano Un ulteriore sbocco che è stato offerto alle tesi dei negazionisti statunitensi negli ultimi vent’anni è costituito dall’attività propagandistica di alcuni gruppi neri militanti che, per affermare le proprie tesi separatiste, si rifanno ai peggiori eccessi della teoria della cospirazione giudaica mondiale. Già nel 1961, durante un incontro con alcuni esponenti di spicco del Ku Klux Klan, Malcolm X affermava che «l’Ebreo sta dietro al movimento per l’integrazione razziale, e usa il Negro come suo burattino». Da allora la comunità ebraica è stata accusata da vari membri di gruppi separatisti afroamericani di avere causato volontariamente pressoché tutte le disgrazie registrate nella storia moderna (e in certi casi anche antica), compreso lo spargimento del virus dell’AIDS presso le comunità nere da parte dei medici ebrei (tesi sostenuta da Steve Cokely). Addirittura, Adeeb Ahmad Shabazz denuncia la comunità ebraica per avere boicottato, tramite il monopolio dei media, la musica rap politicamente impegnata in favore della più violenta forma di «gangsta rap». Secondo la Nation of Islam (NOI) diretta da Louis Farrakhan, il commercio degli schiavi africani dal Cinquecento in poi è stata principalmente opera dei ricchi commercianti ebrei, mentre l’impegno dimostrato dagli ebrei nel processo di integrazione razziale negli Stati Uniti in realtà nasconderebbe una precisa volontà di annullare la purezza dell’identità e la supremazia della comunità nera americana (NOI, The Secret Relationship between Blacks and Jews, 1991). 422-465 27-02-2007 444 11:00 Pagina 444 Storia della Shoah Si realizza così un’improbabile alleanza tra alcune frange del Ku Klux Klan e l’estremismo afro americano di ispirazione islamista e separatista. Al fine di delegittimare la comunità ebraica, entrambi i gruppi operano una rilettura della storia della persecuzione nazista degli ebrei in senso riduzionista (ridimensionamento e banalizzazione della Shoah) e negazionista. Il Black African Holocaust Council (BAHC, fondato da Eric Muhammad nel 1991) impiega termini quali «pogrom», «campi di concentramento» e «Olocausto» per riferirsi alle persecuzioni razziali subite dai neri d’America, sostenendo che l’Olocausto nero non conta sei, ma decine di milioni di vittime dello schiavismo. Inoltre, l’organo principale del movimento – «The Holocaust Journal» – segnala l’avvenuta conferenza sponsorizzata dal BAHC nell’aprile 1994 sul tema «Il mito dell’Olocausto ebraico», durante la quale è stato proiettato un video prodotto e distribuito dall’IHR, che intrattiene rapporti con i gruppi di estremismo nero islamico almeno fin dal 1984 (data in cui Arthur Butz partecipa a un incontro organizzato dal NOI per divulgare le sue tesi negazioniste). Il negazionismo in Medio Oriente A partire dagli anni Ottanta il negazionismo comincia ad attecchire anche in diversi paesi del Medio Oriente. Laddove in precedenza la percezione più diffusa in questi paesi era che l’Occidente avesse creato Israele per lavarsi la coscienza dai crimini della Shoah (mentre alcuni estremisti esprimevano sentimenti apologetici nei confronti del nazismo), man mano che si diffonde la propaganda negazionista è l’esistenza stessa del genocidio a essere messa in discussione. Imbeccati dai negazionisti occidentali, alcuni opinionisti arabi si convertono alla tesi dell’inesistenza della Shoah, talvolta con esiti piuttosto contraddittori: in un articolo apparso sul quotidiano siriano «Teshreen» il 21 gennaio 2000, ad esempio, il giornalista dapprima condanna Israele equiparandolo alla Germania nazista (altro motivo ricorrente della propaganda anti-israeliana) e poi, nel giro di poche righe, passa a negare il principale crimine nazista, ovvero la Shoah12. Uno dei primi negazionisti a cercare alleanze con gli ambienti dell’estremismo anti-israeliano è Zündel, il quale verso la fine degli anni Settanta invia a diversi leader mediorientali un pamphlet di quattro pagine intitolato The West, War and Islam. Nel pamphlet Zündel chiede aiuti ai paesi islamici per finanziare la lotta contro le «campagne di disinformazione sioniste», in particolare per ciò che riguarda il «cosiddetto Olocausto». Non è noto se l’appello di Zündel ottenga qualche risultato concreto, tuttavia è in questi anni che si registra- 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 445 I negazionismi 445 no le prime prese di posizione riduzioniste in vari paesi del Medio Oriente. Nel 1983 Mahmoud Abbas (alias Abu Mazen) pubblica un libro sui Rapporti segreti tra il Nazismo e il Movimento Sionista in cui suggerisce che la cifra dei sei milioni di vittime della Shoah sia stata gonfiata dai sionisti e che il numero degli ebrei morti nei lager in realtà sia inferiore al milione (successivamente Abu Mazen prenderà le distanze da queste tesi, dettate all’epoca – come spiegherà a un giornalista israeliano di «Ma’ariv» – da esigenze di realpolitik). Nel corso degli anni Novanta, e sempre di più dopo l’esplosione della seconda intifada, le tesi negazioniste proliferano sulla stampa araba, innestandosi grossolanamente sul mito della cospirazione ebraica (da tempo motivo ricorrente della propaganda antisionista). A catalizzare l’espansione del negazionismo in Arabia Saudita, Qatar, Egitto, Iran, Siria, Libano e Giordania, gioca un ruolo di rilievo il clamore mediatico suscitato dal «caso Garaudy». Nel novembre del 1995 il francese Roger Garaudy, ex comunista convertito al Cattolicesimo e poi all’Islam, pubblica per i tipi de La Vieille Taupe un libello dal titolo Les mythes fondateurs de la politique israélienne. Si tratta di un testo velatamente negazionista, nel senso che le tesi di Faurisson vengono presentate in modo indiretto e allusivo, tramite espedienti retorici come la virgolettatura polemica delle espressioni «camere a gas», «genocidio», «Olocausto» e «Soluzione finale» per indurre il lettore ad assumere un atteggiamento sospettoso nei confronti della realtà dello sterminio. Ma l’idea di fondo resta che gli ebrei non furono sistematicamente uccisi nei lager, i quali sarebbero stati campi di lavoro forzato e non di sterminio, e che pertanto non ci fu mai una volontà di genocidio da parte dei nazisti. Secondo Garaudy, lo Stato di Israele – con la connivenza delle potenze occidentali e sovietiche, interessate a distogliere l’attenzione dai propri crimini di guerra – sfrutterebbe il «mito dell’Olocausto» per legittimare la propria politica espansionistica agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. Nel gennaio del 1996 la rivista «Le canard enchaîné» solleva la polemica e, in base alla legge Gayssot che proibisce la negazione dei crimini contro l’umanità, Garaudy viene processato (sarà condannato a pagare una multa di 120.000 franchi). Nel frattempo viene diramato l’annuncio che l’anziano abbé Pierre (votato come il personaggio pubblico più amato dai francesi) sostiene Garaudy sulla fiducia, pur non avendo letto il suo libro. Le dichiarazioni dell’abbé Pierre destano notevole scalpore, provocando prese di posizione enfatiche sul diritto alla libertà di espressione che i negazionisti non mancheranno di sfruttare a sostegno delle proprie tesi. Pubblicato dall’editore El Ghad el Arabi del Cairo, il pamphlet di Garaudy viene recensito entusiasticamente da diverse testate arabe, e lo stesso Garaudy 422-465 27-02-2007 446 11:00 Pagina 446 Storia della Shoah viene accolto trionfalmente a Damasco, ad Amman, a Beirut e a Teheran. Sull’onda di questo successo mediatico, altri negazionisti (tra cui l’austriaco Wolfgang Fröhlich, lo svizzero Jurgen Graf e gli americani Mark Weber e Bradley Smith) prendono contatti con i paesi del Medio Oriente, dove, svincolati dalla necessità di conferire un’apparenza neutrale ai propri discorsi, sono liberi di adottare toni e posizioni apertamente antisemite. È così che il negazionismo viene messo al servizio della propaganda antisionista più grossolana e virulenta. In combutta con le frange estremistiche e, in alcuni casi, con gli stessi vertici governativi di paesi che rifiutano di riconoscere il diritto di esistenza allo Stato di Israele13, i negazionisti organizzano incontri pubblici in cui proclamano che «le ricerche dimostrano che il gas che si dice fosse usato per ucciderli in realtà era usato per pulire gli indumenti dei prigionieri», che l’esistenza della Shoah è «un’affermazione senza fondamento» e che, facendo leva sul tema dell’Olocausto, «i Sionisti vogliono realizzare un nuovo ordine mondiale»14. Conclusioni In tutte le sue manifestazioni, il negazionismo non si regge in piedi senza una qualche versione della teoria del complotto, ovvero senza la convinzione (assai diffusa nella mentalità collettiva) che da qualche parte vi sia una regia occulta che manipola l’intero corso della storia. Tra i diversi stereotipi negativi che da sempre alimentano l’antisemitismo, quello dell’Ebreo cospiratore è senz’altro il più odioso, il più pericoloso e il più duro a morire. Dove risiede lo scandalo del negazionismo? Moralmente, la negazione della Shoah appare intollerabile perché è evidente che chiunque si premuri di falsificare un evento come la Shoah (o, nelle versioni più blande, di ridurne drasticamente la portata) è spinto da un movente ideologico poco edificante: per quale motivo, altrimenti, perdere il proprio tempo a tentare di sfatare un episodio, storicamente accertato, che vede contrapposti un partito di aguzzini e una massa di vittime innocenti? L’unica possibile spiegazione è che il negazionista, lungi dal perseguire un neutrale progetto di «ricerca della verità», si prefigga di ripulire l’immagine del nazismo dalle sue più evidenti macchie per ripiombare nel paradigma dell’antisemitismo storico. Ma, se per un momento lasciamo da parte le considerazioni etiche e politiche, non c’è alcun motivo particolare per cui la storia della Shoah, tra tutti gli eventi del passato, debba essere posta definitivamente al riparo dai tentativi di riscriverla. Da un punto di vista strettamente epistemologico, non 422-465 27-02-2007 11:00 Pagina 447 I negazionismi 447 è nella propensione a leggere sospettosamente i documenti che consiste l’aberrazione negazionista, perché si sa che la nostra conoscenza del passato è il frutto di incessanti revisioni e che nessun episodio storico, per quanto immane, è in linea di principio off limits rispetto all’azione potenzialmente erosiva della falsificazione. Lo scandalo logico del negazionismo sta, piuttosto, nella foga con cui, una volta messa in dubbio la realtà dei fatti della Shoah (contando sulla collaborazione di un lettore poco informato, se non già predisposto ad abbracciare posizioni antisemite), questi autori dichiarano prematuramente chiusa l’indagine, rifacendosi al secolare mito dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion per riempire le innumerevoli lacune di cui i loro discorsi sono intessuti. Note al saggio 1 Tra queste, ricordiamo Nazionalismo e bolscevismo: la guerra civile europea 1917-1945 (1987; tr. it. 1988) e Controversie (1999). 2 Sui metodi riduzionisti impiegati da Nolte si veda Pierpaolo Poggio, Nazismo e revisionismo storico, manifestolibri, Roma 1997. 3 1950: Le mensonge d’Ulysse; 1961: Ulysse trahi par les siens; 1962: Le véritable procès Eichmann ou les vainqueurs incorrigibles; 1964: Le Drame des Juifs européens. 4 Inizialmente revisionisti marxisti – in un pamphlet del 1960, Auschwitz ou le grand alibi, la tesi della Vieille Taupe è che l’antisemitismo nazista vada letto come la reazione della piccola borghesia tedesca alla crisi economica del primo dopoguerra, crisi che portò alla decisione di sacrificare una parte della popolazione (la piccola borghesia ebraica) in favore del sistema complessivo – dopo l’incontro con i testi di Rassinier, Guillaume e i suoi compagni si convertiranno gradualmente al negazionismo vero e proprio. 5 Per approfondire il negazionismo di Paul Rassinier si rimanda a Florent Brayard, Comment l’idée vient a Paul Rassinier, Fayard, Paris 1996; Nadine Fresco, Fabrication d’un anti-sémite, Seuil, Paris 1999. 6 Sui negazionisti americani si veda Deborah Lipstadt, Denying the Holocaust, Macmillan-Penguin, New York-London 1993. 7 I primi attacchi all’autenticità dei diari di Anne Frank risalgono a un articolo uscito in Svezia (sul giornale «Fria Ord») nel 1957. L’articolista, tal Harald Nielsen (danese), sosteneva che il vero autore dei diari fosse l’agente letterario Meyer Levin, che nel 1952 scrisse un copione – poi rifiutato dal padre di Anne, Otto Frank – per produrre uno spettacolo teatrale dal testo originale. Simili critiche erano state ribadite in Norvegia, in Austria e in Germania occidentale, e nel 1958 erano sfociate in una querela per diffamazione sporta da Otto Frank contro un insegnate di Lubecca, il quale aveva ritrattato pubblicamente la sua tesi dopo che una perizia sull’autenticità dei diari ne aveva dimostrato l’assoluta infondatezza. Ciò nonostante la tesi continua a circolare e viene ripresa da vari autori tra cui Richard «Harwood» (Did Six Million Really Die?, 1974), Dietlib Felderer (Anne Frank Diary - A Hoax?, 1978) e lo stesso Faurisson, il quale, in una lettera inviata a Jean-Marc Théol- 422-465 27-02-2007 448 11:00 Pagina 448 Storia della Shoah leyre nel 1975 scrive: «Gli specialisti del Monde si tengono al corrente dell’attualità? Leggono gli studi o le testimonianze che si moltiplicano sulla “menzogna” o la “truffa” di Auschwitz? […] Sanno che il Diario di Anne Frank è una montatura di Meyer Levin?». 8 Per una disamina delle strategie argomentative impiegate da Faurisson e da altri negazionisti per screditare i diari di Anne Frank, si veda Valentina Pisanty, L’irritante questione delle camere a gas, Bompiani, Milano 1998. 9 Promotore dell’iniziativa è lo storico Pierre Vidal-Naquet, autore di Les assassins de la Mémoire (1987), uno dei primi studi antinegazionisti. 10 Si veda Jean-Claude Pressac, Auschwitz: Technique and Operation of the Gas Chambers, The Beate Klarsfeld Foundation, New York 1989. 11 Per una confutazione esaustiva dei rilievi tecnici avanzati da Leuchter si rimanda a Pressac, Auschwitz cit., e alla sezione del sito Nizkor dedicata allo smontaggio punto per punto del rapporto (www.nizkor.org). 12 Cfr. ADL, Holocaust Denial in the Middle East: the Latest Anti-Israel Propaganda Theme, consultabile alla pagina http://www.adl.org/holocaust/denial_ME/default.asp. 13 Si vedano le dichiarazioni pubbliche rilasciate dal presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad nel dicembre del 2005 circa il «mito» dell’Olocausto e la necessità di trasferire Israele in territorio europeo o americano. A seguito dello scandalo internazionale suscitato da tali affermazioni, diversi negazionisti occidentali (tra cui Faurisson, Butz, Zündel, Thion, e altri) inviano calorosi messaggi di sostegno ad Ahmadinejad, acclamandolo come «il primo statista che ha parlato in modo esplicito e con trasparenza dell’Olocausto» (Fonte: ANSA 3/1/2006). 14 Dichiarazioni rilasciate dal negazionista australiano-tedesco Frederic Tuben durante un convegno negazionista organizzato in Iran («Olocausto, dall’affermazione alla realtà») di cui dà notizia il quotidiano «Siasat-e-Rouz» dell’8 marzo 2006 (Fonte: ANSA 8/3/2006).